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Sulla prospettiva degli antichi.

Carlo Randoni

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OSSERVAZIONI

DELLA

PROSPETTIVA DEGLI ANTICHI.

LEZIONE

DELL’ARCHITETTO RANDONI

Letta nelle adunanze degli 8 luglio, e del 27 novembre 1823.

Non si può asserire, che gli antichi non abbiano conosciuti gli effetti ottici, e che
nelle loro architetture, e pitture non ne abbiamo fatto uso; giacchè negli scrittori
antichi s’incontrano sovente alcuni passi, che apertamente dimostrano quanto
chiara, di simili effetti, essi avessero l’idea, e come ad essi applicassero i principii
della scienza. Vitruvio, per quanto spetta agli effetti ottici, in molti casi ci avverte
sopra le aggiunte che si debbono fare per supplire alla apparente diminuzione
prodotta negli oggetti, in proporzione alla distanza dalle quali sono veduti, e nella
prefazione del libro settimo egli fa menzione del Trattati di Agatarco, di
Democrito, e di Anassagora, nei quali dice si trovassero le regole di Prospettiva
particolarmente applicata al Teatro, onde potere, dato un punto fisso, imitare al
naturale con lince le apparenze degli oggetti da dipingersi, acciocchè da una cosa
vera si possano rappresentare imagini d’edifizi, alcuni dei quali, benchè dipinti
sopra superficie piane, sembrino allontanarsi ed altri avvicinarsi. Dopo una così

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esatta descrizione al disegno di prospettiva lineale concorrente, non v’ha più
luogo a dubitare, che gli antichi non lo abbiano eseguilo con metodo e regole
certe; ma fatalmente questi trattati, e queste così esatte regole non sono giunte
sino a noi; e sebbene Vitruvio discorra a lungo della pittura, e dei colori, dei quali
discende sino a darcene la derivazione, ed il loro costoso prezzo, nulla di meno
da’ suoi Trattati non possiamo rilevare quali fossero le regole, o teoriche o
pratiche usale dagli antichi per eseguire il disegno prospettivo; nè definisce egli
da che sia generata la prospettiva lineale concorrente, nè fa cenno della piramide
formata dai raggi visuali, nè della sezione di questa, ne quali regole si tenessero
per delineare le projezioni prospettive.

L’abbate Salier, nella sua dotta Dissertazione sopra la prospettiva dell’antica


pittura e scultura1, intende provare, che gli antichi abbiano esattamente praticate
le regole della prospettiva, che i moderni conoscono sotto il nome di prospettiva
lineale concorrente (cioè di quell’arte la quale insegna a descrivere l’imagine di
una cosa che si vede, dato il punto fisso dell’occhio, il piano di sezione della
piramide visuale, e la distanza dell’oggetto veduto dal piano di sezione); ricorda
egli i detti di Socrate, e di Vitruvio, e ci fa menzione della degradazione nelle
Tavole di Asclepiodoro, della famosa Tavola d’Ifigenia di Timante, e simili. Non
meno preziose sono le osservazioni del Conte Caylus2, le quali sono un’appendice
della Disertazione suddetta; egli assennatamente osserva, che non vi può essere
l’imitazione della natura senza far uso della Prospettiva, ch’è la base del disegno
d’imitazione, sebbene sia certo, che l’arte della Prospettiva lineale concorrente
non avrà avuta tutta la sua perfezione all’istante del suo nascere, e che non si sarà
osservata nel disegnarla da principio tutta quella aggiustatezza, che di poi le
regole ci insegnarono: ma quali fossero queste regole, ne tace il Caylus, e
persuaso di questo naturale andamento delle cose, e volendo sostenere il parere
dell’Abbate Salier, si dà a credere, che se gli antichi non hanno eseguita la
Prospettiva in tutto il suo rigore, sia stato per uniformarsi allo stile di que’ tempi,
e sul timore di non essere intesi, come ben soventi accade ai nostri giorni, che
persone anche scienziate, ma non istrutte nell’arte del disegno, credono
storpiature le finezze dell’arte negli scorci: ma questa conseguenza e
insussistente, poichè se nelle pitture di quei tempi si fossero già praticati gli
scorci, le persone istrutte, e già avvezze a vedere sì fatte imagini della natura,
avrebbero guardate le cose nel loro vero, e naturale aspetto, e non avrebbero
giudicate storpiature gli scorci.

Il Caylus parla del Trattato di Prospettiva di Euclide, la quale è da credere


fosse quella insegnata da Anassagora o da Democrito, o fosse quella insegnata da

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Teone, poichè, come dice il citato Caylus, Euclide non ha fatto altro, ed è pure
assai, che disporre con ordine geometrico le scienze degli antichi: su lo stesso fare
sono i precetti di Prospettiva di Eliodoro Larisseo tradotti dal greco dal Danti, e
fra moderni quelli di Vittelione, che visse nel 1300; ma tutte le regole, che in essi
trattati si contengono, non spiegano altro se non se gli effetti della visione, e le
leggi con cui dipingono nella retina dell’occhio le imagini delle cose vedute.
Nessuno dei citati filosofi dà regole pratiche per determinare con linee le
apparenze; questa è pure l’opinione di Guido Ubaldi, come si rileva dalla
Prefazione della sua Prospettiva: dunque tutta la Prospettiva di Euclide non
poteva produrre, che una maggiore facilità, e dare una migliore direzione ai pittori
che imprendevano ad imitare dal vero la veduta di una fabbrica, o di un paesetto e
simili; e sembra, che tutte le loro regole di prospettiva consistessero in qualche
metodo pratico per più facilmente ritrarre dal vero le imagini delle cose vedute;
per esempio quelle, che forse avranno insegnato gli antichi ai loro allievi, e che
tuttora insegnano i moderni, detto la regola del traguardo, o dell’appiombo, e
livello, al cui metodo, per più facile e sicura guida Leon Battista Alberti aggiunse
l’uso del velo colla graticola, regola colla quale si conoscono le linee che
sfuggono, e si uniscono al centro dell’occhio, quelle che obbliquamente si
diriggono ai punti accidentali, le parti, che sono a destra, od a sinistra dello
spettatore, le più vicine, o quelle più lontane ec., ma bisogna poterle ritrarre dal
vero come facevano li pittori ai tempi di Vitruvio, e coloro, che più erano abituati
nell’esercizio di questo metodo ritraevano con maggiore facilità, ed aggiustatezza,
e le imagini ritratte erano più somiglianti: nella stessa guisa che tuttora fanno li
nostri pittori che non conoscono le regole teorico-pratiche per eseguire il disegno
di Prospettiva lineale concorrente.

Delle pitture greche non ci rimangono, che le descrizioni ed i miracoli


raccontati da Plinio: dallo stesso storico sappiamo, che presso i Romani si faceva
gran conto degli artefici, e delle loro pitture, come quelle di Ludio, che Plinio
mette nel novero dei pittori più celebri, che abbiano dipinto vedute d’ogni genere,
vissuto ai tempi di Augusto.3 Cerchiamo pertanto di dedurre qualche conseguenza
teorica delle loro pratiche, osservando i monumenti antichi che sono sfuggiti dalla
voracità de’ secoli passati: si dia perciò un’occhiata alle pitture dell’Ercolano, e a
quelle delle terme di Tito, pitture tutte, le quali sono state eseguite circa i tempi
nei quali visse Ludio, o che almeno si possono credere della sua scuola. In queste
opere tutte, il minor pregio è la Prospettiva; nè si può dire, che attorno quelle
opere vi abbiano lavorato solamente deboli artefici, e che per l’insufficienza dei
mediocri non si debbano porre in dubbio, e negare le virtù degli eccellenti. Le
pitture dell’Ercolano appartenevano a fabbriche sontuose e proprie dei più

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doviziosi e potenti personaggi di Roma, nello abbellire le quaili certamente non
avranno impiegato pittori dozzinali; lo stesso è da credere di quelle delle terme di
Tito, giacchè per attestato di Raffaele Mengs quelle dipinture sono distinte
particolarmente pella lucidezza ed armonia del colore; dunque da quelle si
dovrebbe dedurre parimenti, a quale grado di perfezione in esse si trovi la
Prospettiva lineale concorrente: l’esame si faccia sopra soggetti d’architettura,
genere di disegno nel quale gl’effetti ottici sono più sensibili, e scelgansi que’ che
più degli altri sono commendati: ciò non pertanto in quanto alla giustatezza della
Prospettiva lineale li troviamo assai imperfetti.

Vitruvio4 si lagna che a’ suoi tempi le pitture copiate dalla natura andavano
in disuso, ed a quelle s’anteponevano i rabeschi: dunque io dico, che per questo
fatale assurdo l’arte non ha più potuto fare progressi.

Più esatta non doveva essere la prospettiva impiegata nelle decorazioni


teatrali: dalla costruzione ed ornamenti della scena dei teatri di Pompeo, di Balbo,
e del teatro di Marcello, come si vedono nella grande Pianta di Roma antica del
Piranesi, si deduce che non faceva bisogno di molte decorazioni dipinte,
magnifico essendo l’aspetto della scena stessa tutta costrutta di fabbrica; perciò le
decorazioni le quali si vedevano, o per l’apertura delle tre porte od ai fianchi del
pulpito, i vani essendo di larghezza proporzionata all’ampiezza della scena, non
potevano le decorazioni essere di grande importanza in fatto di prospettiva: e
siccome le cose d’arte ove mancano gli scritti si propagano presso gli artisti col
mezzo di metodi pratici, che passano da maestro a maestro ai loro scolari, con la
prospettiva teatrale di necessità non poteva essere diversa da quella che abbiamo
notato nelle altre pitture antiche, nelle quali non si può scorgere esattezza di
regola, ma solo un’imperfetta imitazione della natura, e tanto meno vi doveva
essere questa esattezza di regola nelle decorazioni teatrali, in quanto che esse non
si possono sempre ricavare dal vero; e siccome nel teatro tutto deve essere
immaginazione, così non essendovi regole fisse, maggiori devono essere le
imperfezioni.

Dopo la prima costruzione dei teatri, l’uso degli spettacoli teatrali, dalla
prima semplicità greca, giunse alla più grande sontuosità presso i Romani, ed il
costume si mantenne fino a’ giorni nostri; si può dunque congietturare, che
l’impiego delle pitture teatrali non fu interrotto mai, e che i professori di
quest’arte successivamente si sono imitati; anzi io porto opinione, che le scene
degli antichi fossero fatte a quel modo, che si usavano ancora ai tempi di Daniele

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Barbaro cioè parte in pittura e parte in rilievo, ed erano stimatissime, poichè il
Barbaro ne parla con molta lode nel seguente passo5:

«Vero è che Pompeo Pedemonte homo industrioso, e pratico s’ha imaginato


un modo di accordare le fabbriche delle scene con le pitture dei muri e pareti di
modo che le pitture pareno fabbriche e ciò che si vuole.»

Quindi espone le regole del citato Pedemonte. Questa maniera di fabbricar


scene con fare i laterali di rilievo rappresentanti case, alberi, e simili si è praticata
sino ai tempi del Serlio, e del Vignola, e le migliori erano simili a quelle del teatro
Olimpico di Vicenza, o quelle che lo stesso Serlio commenda tanto, state eseguite
dal Gerolamo Genga nel teatro d’Urbino, nelle quali gli alberi erano fatti di
rilievo, e di finissima seta i fogliami, o quelle lodate dal P. M. Danti fatte in
Firenze nel palazzo Ducale l’anno 1569 eseguite da Baldassare Lanci da Urbino6,
del Baldassare Peruzzi architetto insuperabile nel dipingere Prospettive, e delle
scene meravigliose, che poi hanno servito di esemplare a quanto di buono si è
fatto in questo genere7, alla quale maniera di scene l’Algarotti dà il nome di scene
da Presepio.

Le decorazioni a questa maniera si praticarono sino quasi ai tempi di Troyle


detto il Paradossi, cioè verso il 1672, poichè fra gli autori di Prospettiva pratica e
questi il primo, che più non parla di scene in rilievo, ma espone la maniera di
disegnare i laterali della scena detti volgarmente quinte sopra telai piani collocati
di prospetto: dopo il Troyle, il Ferdinando Bibiena arricchì di molte bellissime
pratiche la prospettiva teatrale; egli fu il primo che abbia ardito disegnar le scene
d’angolo: l’Andriani ultimamente trattò con profondo sapere la prospettiva
teatrale, e qual celebre pittore di scene par suo: sono certo che se Sofocle potesse
vedere le scene state eseguite dal Gioanni Torelli, dal Ferdinando Bibiena, dal
Servandoni, dal Pietro Righini, dal Colonna, e parlicolannenle quelle dei fratelli
Fabrizio, e Bernardino Gagliari, onore del teatro Torinese, dal Gonzaga,
dall’Ignazio Degotti, e dal Luigi Vacca loro allievi, francamente direbbe, se io con
i miei versi dipingo, costoro colle loro dipinture poetizzano; e così Plinio di tanti
altri miracoli della pittura avrebbe ad accrescere il suo trigesimo quinto libro.

L’abbate Sailer, il Caylus ed altri, opinarono che gli antichi eseguissero la


Prospettiva lineale concorrente con rigorose regole consentanee alle leggi
dell’ottica; ma essi confusero il disegno scenografico, col disegno prospettivo,
quando questi due metodi di disegnare, ed esprimere gli oggetti, sono fra loro
assai diversi, poichè il primo è un genere di disegno di convenzione, ed è

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geometrico, come lo sono il disegno icnografico, e lo ortografico, e l’altro, cioè il
prospettivo, e l’imitazione della natura; in conseguenza le misure sono tutte
alterate dagli effetti ottici, per cui debbe essere diverso il metodo da usarsi nel
descriverne la projezione; nel disegno geometrico, il sistema de’ raggi è paralello,
nel prospettivo è concorrente all’apice del cono visuale, ed ai punti accidentali; e
sebbene il disegno scenografico dimostri ad un tempo stesso la pianta, il
prospetto, ed i lati, tuttavia non perde la qualità di essere disegno geometrico.

L’inganno dei traduttori, o commentatori di Vitruvio, eccettuato Filandro, si è


l’aver creduto che il circini centrum di Vitruvio, fosse lo stesso che dire oculi
centrum, a ciò indotti dall’idea che essi avevano del modo di eseguire la
Prospettiva lineale concorrente, come si pratica di presente, quando che circini
centrum non viene a dire altro in sostanza, che l’apertura del compasso colla quale
si determinano le misure geometriche propostesi, di cui il nodo che unisce le due
aste e il centro; di fatti Vitruvio nel descrivere il disegno scenografico parla ne’
seguenti termini:

«Item scenographia est frontis, et laterum abscedentium adumbratio, ad


circinique centrum omnium linearum responsus.» 8 che da me così si traduce: la
scenografia è il disegno del prospetto, e dei lati che isfondano, dei quali tutte le
linee ritengono per misura le quantità stabilite dall’apertura del compasso. La
figura scenografica delineata secondo gl’insegnamenti del testo metterà in chiaro
l’intenzione del maestro.

SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA.

FIGURA I.

La figura che si propone esprime un cubo composto di tanti pezzi di legno


insieme connessi in modo che i quattro piè ritti, e le otto traverse formino il
carcame del cubo, e nelle sei faccie sono inserti sei ottagoni, cioè uno per faccia
parimenti costrutti da otto pezzi caduno;, alquanto minori in grossezza del
carcame; la icnografia di questo cubo, è la faccia inferiore su cui poggia, espressa
dal quadrato A. H, la faccia B. C è il prospetto ossia l’ortografia, G. F, la parte

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posteriore dell’ortografia, le A. E, e B. F le faccie laterali, od i lati, e la D. E, la
faccia superiore, o la copertura: di ogni pezzo di questo componimento se ne può
rilevare col compasso la precisa geometrica dimenzione, per valersene a comporre
un altro simile cubo da servire di modello all’operajo.

Questo genere di disegno è quello che Vitruvio chiama scenografia, ed è un


terzo metodo di disegnare in tutto geometrico, ad eccezione degli angoli della
figura, o del corpo che si rappresenta, i quali in questo genere di disegno sono
diversi dai veri, a cui non possono in verun modo attribuirsi le proprietà del
disegno prospettivo, giacchè esso non esprime l’imagine della cosa ma la cosa
stessa; per dare una chiara idea ne ho fatta la figura in disegno prospettivo di
uguale base, altezza, ed ugualmente posto sopra il piano della terra acciò si possa
giudicare della differenza loro. Vedi la figura II.

È cosa ovvia e naturale, che Vitruvio abbia descritta la proprietà del disegno
scenografico, piuttosto che quella del prospettivo, poichè quest’ultimo appartiene
alla pittura, e non direttamente all’architettura, e ragion vuole che Vitruvio
descriva l’essenza del disegno scenografico, poichè tutti sanno, che Vitruvio era
pure Architetto militare, ed il suo impiego al servizio dell’Imperatore Cesare
Augusto era quello d’Ispettore delle Fortificazioni, e Macchine belliche, onde è
che il disegno scenografico è quello di cui più comunemente si servirono
gl’Ingegneri militari, e tuttora si servono anche i moderni sotto l’improprio nome
di Prospettiva alla Cavaliera, per delineare i nuovi progetti delle macchine e dei
piani di fortificazione, stante che nel tempo stesso si esprime e l’icnografia e
l’ortografia, tiene la proprietà di dare la vera misura della pianta, e quella
dell’elevazione, e come opportunamente il Filandro dice, serve qual modello
all’operajo per eseguire la futura opera: di fatti Ferdinando Bibiena9 dice
affermativamente non potersi dire Prospettiva: Pietro Accolti questo metodo di
disegno lo chiama Prospettiva parallela e non concorrente, e se ne serve appunto
di modello per ricavare le ombre geometriche, e quindi applicarle al disegno
prospettivo concorrente10 . Ma poichè Vitruvio non parla in nessun luogo del
modo d’eseguire con precisione il disegno prospettivo, ossia propriamente della
projezione ottica, conviene persuadersi, che ai tempi di Vitruvio, e di Augusto,
tempi nei quali le arti e le scienze erano tenute in grande stima, e più che mai
protette, li pittori d’allora eseguissero la prospettiva per sola abitudine, e
dobbiamo conchiudere, che il metodo di delineare la Prospettiva lineale
concorrente sia opera dei moderni, i quali dallo studio delle regole d’ottica
insegnate dai filosofi, hanno saputo dedurre le regole pratiche per disegnare non
solo le vedute di cose vere, ma anche di quelle non vere e solamente imaginate.

8
Le prime regole pratiche di Prospettiva lineale, dalle ricerche state fatte dai
professori in quest’arte, s’attribuiscono al maestro Pietro della Francesca di Borgo
S. Sepolcro, morto nel 1460, e pubblicate da frate Lucca del Borgo S. Sepolcro; il
Serlio le ha unite alla sua Architettura: scrisse della Prospettiva Leon B. Alberti, il
Durero, il Daniele Barbaro, e il Vignola parimenti ha date le sue regole della
Prospettiva risolte con due metodi ai quali il Danti vi ha unite le geometriche
dimostrazioni; quindi eccellenti matematici si occuparono a dichiarare gli arcani
di questa scienza e ad esporla con metodi ordinati e piani, come fecero il Volfio,
Dechales, Ozanam, Taylor, la Caille; il celebre Eustachio Zanotti, e moltissimi
altri.

1. ↑ Paris, Mem. Lit. Ac. R. de Lit. et Iscript. t. 8.


2. ↑ Paris, Mem. Lit. Ac. R. des Iscr. et beaux-arts t. 23.
3. ↑ Plin. I 35. c. 37.
4. ↑ Vitr. Arc. lib. 7. c. V.
5. ↑ Parte IV, c. XVI.
6. ↑ Dante pros. p. 53.
7. ↑ Milizia V. Arc. t. 1.
8. ↑ Vitr. lib. I. c. II.
9. ↑ Ferd. Bib. Piosp. T. a. op 38. e 39.
10. ↑ Prosp. Accolti, p m. c. XXVllt.

Note

9
10
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