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STORIA DELL’ARCHITETTURA 2

Prof. Menna
Indice
Lezione No. 01 pag. 4
Lezione No. 02 pag. 6
Lezione No. 03 pag. 10
Lezione No. 04 pag. 13
Lezione No. 05 pag. 18
Lezione No. 06 pag. 23
Lezione No. 07 pag. 29
Lezione No. 08 pag. 35
Lezione No. 09 pag. 39
Lezione No. 10 pag. 43
Lezione No. 11 pag. 46
Lezione No. 12 pag. 51
Lezione No. 13 pag. 54
Lezione No. 14 – la lezione è inesistente
Lezione No. 15 pag. 58
Lezione No. 16 pag. 64
Lezione No. 17 pag. 68
Lezione No. 18 pag. 71
Lezione No. 19 pag. 76
Lezione No. 20 pag. 80
Lezione No. 21 pag. 83
Lezione No. 22 pag. 87
Lezione No. 23 pag. 90
Lezione No. 24 pag. 94
Lezione No. 25 pag. 98
Lezione No. 26 pag. 101
Lezione No. 27 pag. 105
Lezione No. 28 pag. 110
Lezione No. 29 pag. 114
Lezione No. 30 pag. 118
Lezione No. 31 pag. 121
Lezione No. 32 – la lezione è inesistente
Lezione No. 33 pag. 125
Lezione No. 34 pag. 128
Lezione No. 35 pag. 132

Argomenti mancanti
5. L’influenza di Viollet-le-duc: Horta, Guimard, Gaudì, Berlage
8. Antonio Sant’Elia e l’architettura futurista
11. Tony Garnier e la ‘’Cité Industrielle’’
14. La Catena di Vetro: l’architettura espressionista
17. La Nuova Oggettività: Germania, Olanda, Svizzera
21. La nuova collettività: arte e architettura in Unione Sovietica
25. Terragni e il Razionalismo italiano
28. Le vicissitudini dei CIAM e il Team X
A causa della perdita di un paio di registrazioni la Lezione No. 14 e la Lezione No. 32 mancano: per
sopperire alla No. 14 basta studiare ‘5. L’influenza di Viollet-le-duc: Horta, Guimard, Gaudì, Berlage’;
mentre per la No. 32 bisogna studiare Villa Tugendhat, Casa Farnsworth e Crown Hall di Mies Van Der
Rohe. Di Le Corbusier il prof. Menna non ha spiegato la Maison Jaoul.
Storia dell’Architettura, Lezione No. 01
Il significato di Storia dell’Architettura Contemporanea
Storia
Stando a ciò che afferma Platone, il discorso è una narrazione di eventi, la quale può essere buona o
cattiva: tale qualificazione è determinata dal fatto che il discorso stesso si preoccupi,
preliminarmente, di chiarire l’oggetto preso in considerazione.
Nella lingua italiana il termine ‘Storia’ denota due concetti molto diversi tra loro, i quali, dai latini
venivano indicati con due locuzioni distinte: res gestae (l’insieme degli eventi reali, oggettivi, razionali
e accaduti inerenti, direttamente o indirettamente, gli uomini, piccoli o grandi che siano, importanti
o insignificanti); historia rerum gestarum (il racconto, il resoconto, la cronaca, la narrazione dei fatti
realmente accaduti). Il fatto che la storia venga raccontata implica la presenza di un raccontante, i
quali tendono a vedere e concepire i medesimi eventi in modi differenti, nati da diversi orientamenti,
cultura, metodologia, interessi. Ragion per cui, benché le res gestae (in italiano Storia) godono
dell’oggettività, la historia rerum gestarum (in italiano Storiografia) è un qualcosa di puramente
soggettivo condotto su base oggettiva. La Storiografia si basa su: selezione e interpretazione. La
selezione è l’esercizio, da parte dello storico, della libertà di scelta dell’oggetto (i fatti di cui parlare),
scelta di determinate parti all’interno del fatto principale considerato, scelta dei documenti (di solito
già preselezionati o da altri storici o perché andati persi), scelta delle metodologia. Quest’ultima, in
storiografia, esiste in due livelli: oggettivo (che detta i principi cardini dell’analisi delle fonti);
soggettiva (metodo che fa capo alla formazione culturale e professionale dello storiografo stesso). La
scelta delle fonti, e quindi del tipo di storiografia, è anche influenzata dall’orientamento dello storico.
L’interpretazione è la diretta conseguenza delle molteplici selezioni.
Contemporanea
Ha storia ha subito una Periodizzazione, ragion per cui, per convenzione, l’intero ciclo umano viene
suddiviso in cinque periodi: Preistoria, Età Antica, Età Medievale, Età Moderna, Età Contemporanea.
La Preistoria va dai primordi dell’umanità fino a circa il IV Millennio a.C., quando nacque la scrittura,
la quale dà inizio alla Storia e sancisce la nascita dell’Età Antica. Sulla fine dell’Età Antica ci sono
diverse date simboliche, che differiscono in base alle diverse interpretazioni degli storici, però si è
soliti adottare il 476 d.C. (caduta dell’Impero Romano d’Occidente). L’Età medievale è compresa nei
mille anni fra la caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476) e la scoperta dell’America (12 ottobre
1492), sebbene sia indicato anche il 1453, anno della conquista turca di Costantinopoli, la capitale
dell’Impero Romano d’Oriente, o con la Riforma Protestante di Lutero o, ancora, con il 1401
(concorso per scegliere l’artista che realizzerà la decorazione della Porta Nord del Battistero di
Firenze). Dell’Età Moderna, che segue, se ne attesta la fine intorno a diverse date (e nasce l’Età
Contemporanea): 1789 (Rivoluzione Francese); 1848 (riaffermazione dei principi nati dalla
Rivoluzione Francese, dopo la Restaurazione del Congresso di Vienna del 1815); 1851 (Prima
Esposizione Universale); 1863 (nascita dell’Impressionismo con Manet); 1892 (data cardine per gli
storici dell’architettura, quando viene progettata, da Victor Horta, Hôtel Tassel, che sancisce la
nascita di uno stile e dell’Art Nouveau).
N.B.: per fiction si intende un racconto di vicende create da un autore, che si basa sulla considerazione
di eventi realmente accaduti (contaminazione tra dati di fatto e dati di immaginazione).
Storia dell’Architettura, Lezione No. 02
Il termine ‘Architettura’
La definizione di Architettura non è un concetto ben preciso e definito, ma varia tra le epoche e in
base ai grandi maestri che hanno cercato di darne un significato.
Marco Vitruvio Pollione
Celebre architetto del primo secolo, durante l’età augustea, scrisse un testo molto importante in dieci
libri, noto come De Architettura: dedicato all’imperatore Augusto, esso è il primo trattato
fondamentale dell’architettura, in quanto, all’interno dello stesso, viene analizzata l’intera disciplina,
sia nella sua dimensione teorica sia in quella costruttiva e realizzativa. Ricorrono anche osservazioni
da un punto di vista astronomico perché progettare tenendo conto della luce del Sole implica la
creazione di ambienti che sanno sfruttare al meglio tale fattore. Per Vitruvio, l’architettura si
compone, sostanzialmente, di tre caratteristiche, ovvero la Triade Vitruviana che si fonda su: Firmitas
(la Staticità), Venustas (Bellezza intesa come Armonia*) e Utilitas (un’architettura viene realizzata per
rispondere a un’esigenza pratica). Un’importante traduzione di Vitruvio viene fatta da Ferdinando
Galiani: ‘’l’architettura di compone di due parti, pratica e teorica. La pratica è la continua e consumata
riflessione sull’uso e si esegue con le mani, dando una forma propria alla materia necessaria, di
qualunque genere essa sia. La teorica può dimostrare e dare conto delle opere fatte, con l’uso di
regole della proporzione e raziocinio. Quegli architetti, i quali si sono applicati alla pratica, senza la
teorica, non hanno potuto giungere ad acquistare nome con le loro opere; al contrario, coloro i quali
si sono appoggiati alla teorica sola e alla scienza, hanno seguito l’ombra e non già la cosa. Ma quelli
che hanno provveduto ad acquisire l’una e l’altra, come soldati provveduti di tutte le armi necessarie,
sono giunti più presto degli altri al loro scopo’’.
Medioevo
Durante il periodo medievale, la dimensione concettuale si spegne e l’architettura diventa
soprattutto una pratica di cantiere di alto livello. L’architetto si conforma come un capocantiere e i
saperi si tramandano all’interno delle corporazioni. Non v’è un codice di regole poiché si riteneva che
l’architettura potesse fare a meno di tutto questo.
Rinascimento
Per iniziativa di Donatello, Masaccio e Filippo Brunelleschi si crea il Rinascimento. La teoria di Vitruvio
viene ripresa, rielaborata, attualizzata, approfondita da Leon Battista Alberti. Egli scrisse in latino: De
Pictura, De Statua e De Re Aedificatoria. Alberti definisce architetto ‘colui il quale sarà con certa e
meravigliosa ragione e regola, sia con la mente e con l’animo di visare (immaginare, stabilire, decidere
deliberare un’intenzione), in modo tale che, mediante i movimenti dei pesi, congiungimenti e
ammassamenti dei corpi, si possono con grande dignità accomodare benissimo all’uso degli uomini
e per fare tutto questo c’è bisogno che egli abbia cognizione di cose ottime ed eccellentissime’.
Alberti riteneva che un’architettura non doveva essere solo bella in sé e provocare piacere, ma
doveva anche essere conforme e dare lustro alla città. C’è una dimensione concettuale molto forte
in Alberti e a ciò si associa una grande attenzione per il sociale. Alberti si rifà alla Concinnitas, il segreto
della bellezza dell’architettura fondato sulla considerazione delle proporzioni e degli ordini
architettonici. Durante questo periodo si riconduce alla bellezza, all’armonia e alla proporzione la
dimensione del corpo umano (Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci). Da Alberti in poi, per tutto il
‘400 e buona parte del ‘500, i grandi maestri scrivono il proprio trattato: Trattato di architettura civile
e militare, scritto da Francesco di Giorgio Martini; Trattati sulle proporzioni di Luca Pacioli, il quale si
sofferma sulla perfetta proporzionalità della Sezione Aurea, al cui studio dedica il trattato De Divina
Proporzione; Donato Bramante costruì il codice dell’architettura rinascimentale grazie alle sue opere,
fissando di nuovo al centro della riflessione architettonica gli Ordini, che ‘vitruvianamente’ vengono
associati alla figura maschile, femminile e giovane; Vignola scrisse due trattati, Regola dei Cinque
Ordini dell’Architettura (contenente la Tavola Sinottica, cioè un documento in cui rappresenta i
cinque ordini, forzandoli con l’aggiunta di elementi non previsti originariamente) e Due Regole della
Prospettiva Pratica. Tutto ciò indica come nel Rinascimento l’architettura fosse intesa principalmente
come un codice di norme e regole (fondate sull’esempio degli antichi, ordini architettonici,
proporzioni, prospettiva) da seguire necessariamente. Segue poi la celebre figura di Palladio, autore
dei Quattro Libri dell’Architettura contenenti, a corredo, sia opere moderne sia antiche. Il 1500 è un
tempo di grandi contraddizioni perché nel 1527 Roma viene distrutta (Sacco di Roma) determinando
lo sgretolamento delle certezze e negli artisti prende forma la condizione di crisi, che si tramuta
nell’idea di un’architettura che non si deve basare per forza su un sistema di regole. Di conseguenza
si assiste a una serie di sperimentazioni e deroghe.
Barocco
La seconda metà del ‘500 si conforma dunque come dialettica tra norma e deroga, intendendo la
regola come un qualcosa il cui valore sta nella pensabilità dell’essere superata (la vera regola
ammette la possibilità di essere contraddetta). Tra i maggiori c’è Sebastiano Serlio, autore di
molteplici trattati scritti in periodi diversi (Sette Libri dell’Architettura a partire dal 1537), che ha
legittimato, da un punto di vista teorico, la sperimentazione, non uscendo fuori dal Rinascimento. Dal
1527 gli artisti lasciano Roma per ovvi motivi, abbattendo il monocentrismo della città, portando in
altre parti d’Italia e d’Europa il nuovo linguaggio: Serlio in Francia alla corte di Francesco I, Jacopo
Sansovino a Venezia, Giulio Romano a Mantova (Palazzo Te), Michelangelo con la Biblioteca
Laurenziana (che presenta dinamismo, innovazione, tensione, il tutto ricondotto all’interno di una
geometria). Tale processo si accentua sempre di più fino a gettare le basi del Barocco e qui si delinea
la figura di Borromini che dice che il valore dell’architettura sta nella sperimentazione di forme
possibilmente inedite, implicando un uso della matematica e della geometria per andare oltre il
limite.
Neoclassicismo
Quest’idea, che conforma il Barocco, va avanti per un secolo e mezzo, fino ad arrivare al ‘700
illuminista, quando ci si pone in contrasto con la ricerca dell’invenzione. Tra gli autori che propongono
un’idea di architettura che riprende Alberti e Vitruvio, con l’introduzione di elementi nuovi, c’è Carlo
Lodoli, monaco veneziano, che tenne delle lezioni ai rampolli dell’aristocrazia di Venezia. Fra i suoi
allievi ci sono: Francesco Algarotti, autore del Saggio sopra l’Architettura riprendendo alcuni concetti
di Lodoli, ma ammorbidendoli a fronte della radicalità del maestro; circa venti anni dopo la morte di
Lodoli, viene scritto Elementi d’Architettura Lodoliana da Andrea Memmo, dove vengono professati
i principi relativi all’arte del fabbricare con solidità scientifica e con eleganza non capricciosa. Lodoli
afferma che l’architettura è una scienza intellettuale e pratica, diretta a stabilire rapporti tra le parti
con raziocinio e con uso delle proporzioni, e, con l’esperienza, conoscere la natura dei materiali
(‘’nulla si deve mettere in rappresentazione che non sia anche in funzione’’). Francesco Milizia, che
si concentra sull’architettura civile, afferma che l’architettura, presa in tutta la sua estensione, è l’arte
più interessante per la conservazione, la comodità, le delizie e la grandezza del genere umano.
Chiarisce poi dicendo che è l’arte che domina sulle altre perché è capace di dare un’identità a una
comunità, produce e aumenta il commercio, impiega le pubbliche e le private ricchezze in beneficio
e in decoro dello stare, dei proprietari e dei posteri. L’architettura difende la vita, il bene e la libertà
dei cittadini. André-Charles Boulle si interroga circa l’architettura e, ponendosi in contrapposizione
con Vitruvio, dice che non è l’arte del costruire, poiché in questa definizione si prende l’effetto per la
causa, quanto piuttosto è un’arte in cui la concezione dell’opera ne precede l’esecuzione.
Ottocento
Nel XIX secolo si presenta un eclettismo storicistico per via della ripresa di stili precedenti. Pietro
Selvatico dice si schierarsi tra coloro che sostengono che l’architettura è l’arte di costruire gli edifici
secondo bisogni civili e sacri dei popoli. In questo modo egli esprime il valore della diversità umana e
l’architettura deve essere espressioni di tale eterogeneità di tradizioni. Per fare ciò si propone la
necessità di usare uno stile che sia in linea con l’uso cui è destinato l’edificio. John Ruskin ritiene,
invece, che l’architettura riscatta l’uomo dai mali dei tempi moderni (ponendo attenzione su una
dimensione spirituale), in quanto, essendo un anti-moderno, vive nella nostalgia di periodi
precedenti. Ruskin sostiene, inoltre, che l’architettura è un’arte che tutti dovrebbero imparare
perché interessa tutto e ignorarne i principi fondamentali non è più perdonabile di quanto lo sia il
non sapere le regole della grammatica e dell’ortografia. Eugène Viollet-le-Duc è una figura centrale
dell’Ottocento, grande intellettuale e architetto francese, è uno dei padri della cultura del restauro.
Egli afferma che è necessario considerare le tradizioni e i nuovi bisogni, vedendo l’architettura come
qualcosa che si fa carico dell’intera storia di un popolo ed è capace di esprimere i nuovi bisogni.
William Morris, allievo di Ruskin, definisce l’architettura come un’arte in cui deve tutto deve essere
coordinato e coerente, con la collaborazione di tutte le arti (dal momento in cui nelle abitazioni
britanniche ottocentesche c’era la tendenza a favorire un’eccessiva eterogeneità nell’allestimento
delle stanze). Morris vede, inoltre, l’architettura come l’arte che abbraccia tutto l’ambiente che
circonda la vita umana ed è l’insieme delle modifiche e alterazioni introdotte sulla superficie
terrestre, in vista delle necessità umane.
Novecento
Wright introduce una nozione molto importante, cioè l’architettura come arte dello spazio interno.
Tale riflessione arriva al termine di un processo culturale iniziato da intellettuali tedeschi, come Alois
Riegl, che definisce l’architettura come un’arte utilitaria, il cui scopo in ogni tempo consiste nella
formazione di spazio circoscritto. Si fa riferimento a due nuove fondamentali parti dell’architettura
che sono: la creazione dello spazio come tale e la creazione del suo involucro, intendendo una
dialettica tra l’involucro e lo spazio interno. Da tutto ciò nasce proprio la concezione di Wright. Le
Corbusier da la sua definizione di architettura e dice: che consiste nell’uso di materiali grezzi, nello
stabilire rapporti emotivi; un’arte che va al di là dei fatti utilitari e si conforma come fatto plastico;
l’architettura è il gioco sapiente, corretto, magnifico dei volumi sotto la luce. Le Corbusier afferma
che l’architettura non ha nulla a che vedere con gli stili e non ha il solo significato e il solo compito di
rispecchiare la costruzione e di assolvere a una funzione, se con funzione si intende quella dell’utilità
pura e semplice.
Per il professore, la definizione più bella di architettura è quella del pittore Piet Mondrian:
l’architettura è pura logica plastica, che, muovendo dal razionale, si realizza nel contingente e il
grande compito dell’architettura è mostrare, incessantemente e chiaramente, il bello universale,
formando un tutt’uno con la pittura e la scultura.
*N.B.: Vitruvio cerca di riprendere ciò che fecero i Greci e cioè di tradurre il concetto soggettivo di
bellezza in principi oggettivi: la bellezza di un edificio nasce dal fatto che quest’ultimo nella sua
immagine trasmette la natura della funzione che si svolge (dimensione Semantica) e in base a ciò
discretizza l’uso degli Ordini Architettonici; usare le proporzioni in modo che gli elementi siano in
rapporto tra di loro secondo certe relazioni matematiche.
Storia dell’Architettura, Lezione No. 03
L’Ottocento ed Eclettismo Storicistico
All’interno dell’Ottocento non c’è una corrente chiaramente definita, ma è caratterizzato da un
fenomeno più complesso, ricco, vasto, contraddittorio (sembra avere un piede nel passato e uno
rivolto verso il futuro e la modernità). La contraddizione tipica dell’Ottocento si definisce grazie a due
fenomeni cronologicamente paralleli: architettura dell’ingegneria (protesa verso il futuro e il
progresso tecnologico) ed eclettismo storicistico (rivolto al peso della storia).
Eclettismo Storicistico
Per eclettismo (dal greco ekleghein, scegliere, selezionare) si intende la possibilità di scegliere o si
definisce eclettico colui/colei che riesce a fare qualcosa di diverso. Tale eclettismo è indicato come
‘storicistico’ perché si basa sulla ripresa della storia e degli stili del passato. È grottesco che questo
secolo, così travolgente e dominato da un forte impeto verso la modernità, la scienza, la tecnologia,
in architettura presenta il bisogno di rifarsi al passato, quasi come se fosse stato incapace di
sviluppare un proprio stile. In alternativa al termine ‘eclettismo storicistico’ si può utilizzare
‘architettura revivalista’. Per quanto concerne la periodizzazione, si propone come arco temporale
1815-1893: nel 1815 avviene la Restaurazione con il Congresso di Vienna e tutti i sovrani, cacciati via
da Napoleone, ritornano sui rispettivi troni, segnando la fine del grande progetto culturale illuminista;
nel 1893 inizia convenzionalmente il Contemporaneo con la Casa Tassel a Bruxelles di Victor Horta e
nasce, dunque, l’Art Nouveau. Cronologicamente, l’eclettismo storicistico viene messo in relazione al
Romanticismo, per cui si dice che se c’è un’architettura del Romanticismo, allora è un’architettura
degli stili, dei revivalisti. Ciò è giustificato da vari punti di contatto: forte tendenza al recupero della
storia, della tradizione; dal culto dell’utopia si passa a una proiezione verso la nostalgia; idea di
nazionalismo; riscoperta della fantasia, della libertà creativa, dell’immaginazione. La scelta dello stile
viene effettuata secondo molteplici ragioni e criteri: in funzione del tipo di attività cui è destinato
l’edificio (per edifici rappresentanti il potere si sceglie uno stile neoclassico/rinascimentale, per un
luogo di culto si predilige quello gotico, e così via); a causa del ritorno del nazionalismo contro
l’universalismo, in molti Paesi si apre un dibattito relativo alla scelta di uno stile nazionale, ragion per
cui gli architetti, piuttosto che crearne di nuovi in grado di definire l’identità di uno Stato, riprendono
le tradizioni architettoniche passate relative ai territori in cui operano; la scelta può avvenire anche
in funzione del sistema costruttivo: l’uso del ferro e del cemento armato comporta la costruzione di
strutture a mo’ di telaio regolare, ma gli architetti, seppur facendone uso, tendono a voler
mascherare il tutto con grandi apparecchiature murarie o rivestimenti di stucchi, intonaci e marmi
(di solito facenti capo a stili classicisti proprio per accordarsi con la regolarità dei telai); per ragioni
ideologiche, cioè si ritiene che l’architettura di un determinato periodo debba essere scelta in quanto
incarna dei principi in linea con il luogo o caratteristiche sociali. Per cui le città ottocentesche si
conformavano di un’eterogeneità stilistica degli edifici, assimilabile alla marcata diversità ritrovabile
all’interno degli ambienti delle case coeve. Durante il corso dell’Ottocento si assiste alla nascita degli
ibridi: gli architetti non scelgono uno stile piuttosto che un altro, ma li fondono. Questo sottolinea
una certa ‘paura’ nel voler creare un nuovo linguaggio architettonico basato sulle nuove tecniche
costruttive. Il capolavoro derivato da questa tendenza ottocentesca dell’eclettismo storicistico è la
metropoli: la città moderne hanno acquisito la loro immagine definitiva proprio nel 1800 e l’hanno
fatto grazie a logiche urbanistiche e logiche architettoniche, che hanno determinato l’aspetto di
strade, parchi, case, stazioni, alberghi, ecc. In tal senso, l’800 si conferma come un secolo generatore
di edilizia corrente di grande qualità e di un’immagine urbana coerente. La tipica strada ottocentesca
viene identificata con il Boulevard (usato per esempio a Parigi col piano del barone Haussmann),
ovvero grandi rettifili alberati sui quali si affacciano le principali attività e attrazioni sociali.
Un’invenzione sono le gallerie, degli spazi molto belli realizzati, inizialmente, nelle città nordeuropee
per consentire alle persone di passeggiare, comprare, consumare anche in condizioni climatiche
avverse. Esse si diffondono anche in Italia (Milano, Torino, Genova, Napoli). Anche i parchi urbani
nascono nel 1800, i quali non sono solo il polmone verde della città congestionata, ma hanno
un’importante funzione sociale (incontrarsi, sfoggiare vestiti, segreti convegni d’amore,
manifestazioni pubbliche). Vengono, inoltre, pensate nuove tipologie residenziali: il villino, l’alloggio
operaio (case a schiera), palazzina isolata di città, casa unifamiliare a più piani, case d’affitto (edifici
residenziali, nati a Parigi con la trasformazione di Haussmann, caratterizzati da una stratificazione
sociale: piano terra per i negozi e bistrot, primo piano per l’appartamento del ricco borghese, per gli
altri piani più si sale più scende il rango sociale). Prendono, poi, forma i grandi teatri dell’opera e i
grandi alberghi, dove per quest’ultimi ci si avvaleva di un omologato eclettismo storicistico affinché
il turista/avventore potesse respirare l’aria della città di provenienza. In merito alle stazioni
ferroviarie, si può affermare che: hanno avuto un ruolo urbanistico importantissimo perché hanno
determinato il cambiamento dell’assetto della città consistentemente; costituiranno per lungo tempo
il ‘biglietto da visita’ della città in quanto, arrivando con il treno, era la prima cosa che si aveva modo
di vedere, ragion per cui veniva caricata con grande significato architettonico (ciò spiega il perché le
stazioni all’interno sono esplosioni di modernità, per la presenza di strutture in ferro e coperture
trasparenti, mentre all’esterno hanno facciate realizzate nel segno dell’eclettismo storicistico per
conferire un’immagine aulica). L’eclettismo storicistico investe anche la realizzazione di edifici del
potere, monumenti celebrativi (es. il Vittoriano, detto Altare della Patria). I penitenziari e le fabbriche,
sebbene internamente sono luoghi, rispettivamente, di punizione e sfruttamento, esternamente essi
sono definiti da una notevole estetica. Stesso trattamento è riservato per edifici adibiti al tempo
libero (stabilimenti termali, balneari, stadi, parchi divertimento) e per le architetture effimere per le
mostre. Per le esposizioni universali, sebbene in quella del 1851 a Londra il Crystal Palace aveva
delineato la nuova strada da seguire, in quella a New York del 1853 il Crystal Palace non segue la
semplicità moderna delle forme dell’esempio londinese, ma ricorda lo stile romanico del Duomo di
Pisa.
Esempi
Mausoleo Schilizzi e Palazzo della Borsa (Alfonso Guerra)
Il Mausoleo Schilizzi è un’opera funeraria realizzata da Alfonso Guerra, commissionata dalla ricca
famiglia Schilizzi di Napoli. La scelta dell’autore di rifarsi a uno stile neo-egizio è comprensibile perché
in quell’epoca le grandi architetture erano proprio quelle funerarie. Guerra viene anche incaricato di
realizzare il Palazzo della Borsa, per il quale si sceglie lo stile neorinascimentale sia perché si voleva
rispettare una certa serietà sia per sottolineare il movimento e la frenesia presenti al suo interno.
Caffè Pedrocchi (Giuseppe Jappelli)
Realizzato dal veneto Giuseppe Jappelli a Padova in uno stile neoclassico (l’ingresso è caratterizzato
da un pronao di colonne doriche scanalate poggianti direttamente sullo stilobate). Internamente,
l’edificio ha una serie di sale: etrusca, greca, romana, stanzino barocco, sala rinascimentale, gotica-
medievale, ercolana o pompeiana, moresca, egizia. Dopo tre anni, a causa sia del successo del Caffè
Pedrocchi che della disponibilità dei proprietari, venne commissionato a Jappelli un ampliamento,
che viene realizzato in uno stile veneziano tardo-medievale.
Mole Antonelliana (Alessandro Antonelli)
Antonelli è stato un grande architetto, avente la padronanza assoluta delle tecniche di costruzione
come pochi in Europa, che gli consentivano di realizzare opere che si estendevano notevolmente in
altezza. È un’architettura che fa capo all’eclettismo storicistico, ma anche molto creativa per
l’implementazione della componente sperimentale tecnologica.
Disclaimer: la mancanza di esempi neogotici e neoromanici è giustificata dal fatto che si è voluto
evitare una ridondanza, dal momento in cui essi saranno spiegati dettagliatamente in lezioni
successive.
Storia dell’Architettura, Lezione No. 04
IL NEOGOTICO
Karl Friedrich Schinkel, Allegoria di Wilhelm Beuth in sella a Pegasus
È uno straordinario dipinto che illustra la figura mitologica di Pegasus, sul quale l’autore posiziona il
fondatore della società del commercio e incremento della crescita industriale dell’economia di Stato.
È un’immagine straordinariamente efficacie della situazione di disagio da parte di architetti, artisti,
letterati, intellettuali britannici nei confronti dell’industrializzazione: la Rivoluzione Industriale del
1700 è nata in Inghilterra e ha rappresentato la base della modernità. Essa ha determinato
cambiamenti radicali nei modi di produzione, nell’approvvigionamento delle fonti di energia, nel
sistema di trasporti. Tutto ciò ha determinato una pesante trasformazione del territorio. Nel dipinto,
si nota dunque una parte superiore mitologica, in cui il protagonista è nudo (Nuda Verità), mentre
giù c’è un territorio irreversibilmente mutato e devastato a causa della presenza degli impianti
industriali che, con i loro fumi, rendono impercettibili i caratteri del territorio stesso. Vi è, dunque,
un contrasto tra l’idea di industrializzazione e gli effetti che la stessa comporta. Ragion per cui gli
intellettuali inglesi sull’effettivo ‘’progresso del progresso’’. Tali questioni vengono affrontate nei
romanzi di Charles Dickens (es. Hard Times), mettendo in evidenza le condizioni di estrema miseria,
povertà, degrado, discriminazione e assenza di prospettive. La città viene vista come suolo per
l’installazione di impianti e alloggi operai. Benché l’artigianato non sia ancora morto, è indubbio il
fatto che esso stia lasciando, progressivamente, il passo all’industria e alla produzione in serie e
questo si riverbera negativamente sulla soggettività operaia. Quello che va in crisi è la fiducia nel
progresso, un qualcosa creato dall’uomo che si ritorce contro l’uomo stesso. Non è un caso che nasce
il genere Horror nell’Inghilterra Vittoriana, che perpetra l’idea del ‘mostro’ come prodotto dell’uomo
(Frankenstein di Mary Shelley, Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde di Stevenson, ecc.).
Ciò genera un confronto tra il presente negativo e il passato, che viene idealizzato: si contrappone al
cattivo presente un buon passato per costruire un futuro.
Augustus Pugin
È colui che ha dato dignità alla ripresa dello stile del passato come momento di riflessione teorica e
culturale, in particolare considerando il gotico, creando, di fatto, il neogotico. Il padre era un grande
pittore e illustratore scappato dalla Francia rivoluzionaria che scrisse anche un’opera teorica relativa
all’architettura gotica. Su questa scia, Pugin elabora le sue idealizzazioni, producendo progetti di
design, di architettura e testi teorici. Si sceglie il neogotico perché solo quel momento del passato è
stato in grado di esprimere quei valori che si ritengono necessari per costruire il futuro e reagire al
presente. In questo senso, Pugin si caratterizza come un antimoderno. Egli scrive Contrasti, ovvero
un parallelo tra i nobili edifici del XIV e XV secolo ed edifici dello stesso tipo del tempo presente,
un’opera che dice che le architetture risalenti al 1300 e 1400*1 sono il modello di riferimento
incarnante i valori che si sono smarriti. Altri testi: (1841) Gli autentici principi dell’architettura
cristiana in Inghilterra (la polemica di Pugin ha una base religiosa, infatti era membro di un
movimento religioso di alto rango conservatore, moralista, antimoderno, sessuofobo, che predica un
ritorno a una Chiesa Cristiana Cattolica unica), ovvero un’apologia per i Revival e per la rinascita
dell’architettura cristiana, ovvero il gotico; (1843) Revival in atto nel presente nell’architettura
cristiana è un’immagine della città dove l’intera varietà tipologica dell’architettura è conforme ai
canoni estetici gotici, andando a mettere in evidenza l’idea secondo la quale ‘la buona architettura
era l’architettura cristiana’. Con l’importante contributo teorico di Pugin, Ruskin e Morris, la polemica
neogotica sarà un evento importante nella formazione della coscienza critica che porterà alla nascita
del Movimento Moderno. Infatti, dentro tale polemica neogotica c’è un critica della modernità che
prelude a quello che arriverà alla fine dell’Ottocento e inizi del Novecento. Il neogotico non implica
solo una ripresa dei canoni estetici ma anche della concezione dell’edificio e dello spazio interno e
questo consente a molti architetti di costruire anche edifici del potere: Pugin, insieme a Charles Barry,
realizza una complessa struttura dalla notevole pianta, ovvero il Parlamento di Westminster, con la
celebre torre (Big Ben)*2 diventata il simbolo di Londra.
Movimento Pittorico dei Nazareni e i Preraffaelliti
Erano pittori, intellettuali e ferventi credenti cattolici che sostenevano che l’arte dal 1500 in avanti
non si sia sviluppata se non in una forma di decadenza. Essi affermano che per essere autenticamente
moderni bisogna rifiutare il moderno, e tutto quello che lo ha preceduto, per ritornare a un tipo di
pittura pre-moderna: come modello assoluto viene indicato Raffaello Sanzio del periodo fiorentino
(fino al 1504). I membri ti questo movimento si trasferiscono a Roma nel Monastero di Sant’Isidoro,
generando il concetto di confraternita: sostenevano che l’arte doveva tornare a essere realizzata su
fortissime basi spirituali ed etiche e che non deve essere distinta dalla vita*3. L’arte non deve essere
più un progetto individuale a servizio del senso narcisista dell’artista, ma deve essere parte di un
progetto condiviso e collettivo. Tutto questo anticipa le avanguardie del Novecento in quanto si
presenta l’idea dell’indissolubile legame tra arte e vita. Il movimento dei Nazareni genera quello
Preraffaellita, i cui principi erano: un’arte tratta dalla natura; fuori dalle convenzioni accademiche;
concezione della storia dell’arte moderna come un processo di decadenza. Si predica il ritorno
dell’arte a modi, a forme, a linguaggi, a decorazioni del Quattrocento italiano. Anche loro predicano
la fusione tra arte e vita e la concezione dell’arte come progetto collettivo e, dunque, perpetrano
principi di fratellanza e confraternita, vivendo insieme. Tra i maggio esponenti ci sono: Dante Gabriele
Rossetti, in arte Gabriele Rossetti, William Morris, William Hunt, Ford Madox Brown. Dentro a questo
movimento prende corpo l’esperienza teorica di un grande personaggio: John Ruskin.
John Ruskin
John Ruskin è uno storico e critico dell’arte che, negli anni, diventerà sempre più importante tanto
da determinare il successo o il fallimento di un artista. Egli insegnò ad Oxford ed era un moralista,
cattolico e reazionario. Ruskin compì una dichiarazione di sostegno ai Preraffaelliti dove afferma la
sua adesione spirituale al movimento. Scrisse Le pietre di Venezia dove vengono poste delle questioni
importanti inerenti il rapporto tra l’uomo, il suo lavoro e il prodotto del suo lavoro. Ne Le sette
lampade dell’architettura fa una diagnosi molto interessante in merito al rapporto tra l’uomo e
l’oggetto che viene prodotto nei tempi moderni. Secondo Ruskin la domanda corretta da porre
riguardo tutti gli ornamenti e i manufatti è se la produzione di quell’oggetto è avvenuta con piacere:
la riposta è no se il manufatto è stato realizzato dall’operaio; è sì se l’artefice è un artigiano. Il miglior
riconoscimento per la fatica fatta non è ciò che se ne ricava, ma è ciò che si diventa grazie a essa. A
detta di Ruskin, il mondo non può diventare tutto un’officina, come si andrà imparando l’arte della
vita si troverà alla fine che tutte le cose belle sono anche necessarie (pilastro del pensiero moderno).
Ruskin ritiene che il figlio dell’arte è serio, come quello di tutte le cose belle, le quali o sono inutili
oppure hanno una funzione molto più profonda di quella di dare divertimento (la bellezza non è solo
legata al diletto e al piacere). Questa critica alla modernità, che assume un contorno più radicato
nella realtà quotidiana della produzione degli oggetti, viene accolta da William Morris.
William Morris
William Morris, formatosi sui testi di Pugin ed entrato nel clima neogotico, ascolta a Oxford le lezioni
di Ruskin e ne resta molto condizionato, ma la sua riflessione critica nei confronti della modernità
non avviene su basi religiose, bensì su fondamenti politici, conformandosi come un socialista. Vi è
dunque una critica contro l’industrializzazione, ma fatta dal punto di vista degli operai e dei lavoratori.
Nel celebre manuale di Pevsner del 1936, I pionieri dell'architettura moderna (sottotitolo: da Morris
a Gropius), si sottolinea la grande risonanza di Morris. Egli inizialmente era un pittore, ma, in seguito
a un viaggio in Francia, restando particolarmente colpito dalle cattedrali gotiche, si lega
particolarmente all’architettura. Segue, poi, l’incontro con i Preraffaelliti, che si rifacevano a principi
artistici del Tardo Medioevo fortemente idealizzati e cavalleresco, sancisce il ritorno di Morris alla
pittura, in particolar modo di pittura in rapporto all’architettura (infatti tra le sue opere più importanti
rientrano dei dipinti murali realizzati a Oxford, dove si nota l’anima di un artista pittore che ama
l’architettura e si rende conto della necessità di tenere insieme queste arti). Sposò Jane Burden,
donna di estrazione popolare che venne considerata l'incarnazione della bellezza non solo da Morris
ma anche dai suoi amici preraffaelliti. In seguito, Morris chiese al suo amico Philip Webb di progettare
insieme una casa, che poi verrà realizzata nella campagna del Kent, non solo per viverci, ma anche
per ospitare i membri della confraternita. Del progetto, Morris si occupa degli interni, dove, dando
particolare rilevanza alle decorazioni artistiche, collabora con molteplici artisti preraffaelliti.
Red House di Morris
Per alcuni storici dell’architettura è l’inizio della modernità. Modello di riferimento principale per il
movimento inglese noto come Free School o English Free Architecture*4. Gli aspetti fondamentali
della Red House sono: integrazione, che avviene a più livelli tra edificio e natura, tra un’impostazione
moderna della pianta e la tradizione costruttiva locale (che si esprime nell’uso di materiali tradizionali
quali il mattone, l’ardesia, il legno, e di tecniche costruttive tradizionali in muratura portante), tra
edificio come architettura, arte e design (per Morris è necessario rompere la visione della casa come
un insieme di stanze molto diverse tra di loro, per affermare una cultura del progetto fondata su una
forte, chiara, visibile coerenza e unità di stile); progetto razionale – osservando la pianta è chiara la
mancanza di ambienti regolari, ma si nota che essa è un montaggio di blocchetti e ciò non è casuale
perché da qui comincia a farsi strada un’impostazione progettuale in base alla quale ogni ambiente
deve essere: dimensionato (tenendo conto di base per altezza dello spazio) in base al tipo di funzione;
posizionato rispetto al sistema dei percorsi; orientato verso il lato migliore rispetto alla funzione (la
cucina a nord, il soggiorno a ovest, ecc.). Va da sé che la pianta della Red House è il risultato della
disposizione di questi ambienti non rispetto a un’idea precedente e aprioristica, ma di una
progettazione finalizzata a rendere gli ambienti capaci di consentire un perfetto svolgimento delle
funzioni cui sono destinati. Ne deriva una forma apparentemente casuale, ma che in realtà è la più
razionale possibile: non c’è niente di più irrazionale di usare una pianta razionale e forzarla per farci
entrare dentro tutto quello che occorre. La Red House rappresenta, così, una svolta per Morris. Gli
interni risultano essere molto importanti perché sono una sorta di manifesto di tutta l’estetica
preraffaellita e manifesto dell’idea di architettura di Morris: il lavoro è estremamente curato nel
segno di una forte collaborazione tra le arti in modo che ogni cosa sia subordinata alle altre e con
esse in armonia (non c’è un centimetro quadrato che non sia oggetto di un intervento progettuale
e/o artistico e quindi qualsiasi elemento diventa chance di espressione estetica), nel segno di uno
stile medievale sofisticato e idealizzato, da cui cominciano a prendere forma alcuni decori che si
svilupperanno in una direzione preannunciante l’Art Nouveau. Egli ritiene che non debba esistere una
differenza tra arti maggiori e arti minori, ma devono tutte essere innalzate al livello dell’architettura,
che definisce gli ambienti in cui le comunità vivono e lavorano.
Nel 1861 Morris diventa imprenditore aprendo una società a Londra finalizzata alla produzione di
oggetti: mobili, tessuti, tappeti, arazzi, servizi da tavolo, vasellame, suppellettili e arredi sacri. Il
linguaggio estetico evoca il Medioevo e gli oggetti stessi sono frutto della fusione e integrazione di
più arti. Nel 1864 lascia la confraternita e si dedica a due aspetti: grafica editoriale, realizzando lavori
estremamente raffinati; design dei tessuti, arrivando ad elaborare ca. 600 prodotti tra tessuti e carte
da parato, da cui si nota che il motivo ispiratore è la natura. In seguito fonda una nuova società,
sciogliendo la precedente, col nome di Morris & Company, un grande showroom sulla Oxford Street
di Londra dove si vendono gli oggetti da lui pensati realizzati a mano, in quanto vi era il rifiuto di
qualsiasi sistema meccanizzato e semi-meccanizzato, molto costosi. Morris diventa il tesoriere della
Socialist League e, sotto l’influenza di Marx, diventa seguitore del Comunismo, arrivando, poi, a
fondare il proprio partito socialista. Come noi viviamo e come noi potremmo vivere è un testo che lui
scrive nel 1885. Nel 1877 compie una grande battaglia per salvare un’antica abbazia minacciata di
demolizione per far posto a un nuovo edificio: è un evento molto importante per la cultura
architettonica perché da questa vicenda, egli prende le mosse per fondare Society for the Protection
of Ancient Buildings, la prima società che si impegna a difendere i monumenti storici dai rischi delle
demolizioni per la realizzazione di edifici per rispondere ad alcune logiche di profitto. Scrisse poi News
From Nowhere, un romanzo che racconta di un operaio che va a partecipare a un’infuocata
assemblea sindacale e politica e, successivamente, sogna quella società per la quale lui lottava (si
descrive un immaginario futuro, un’utopia). Nell’opera si perpetra il rifiuto dell’industrializzazione in
favore di un rifacimento di fonti energetiche ecosostenibili. William Morris ha avuto delle grandi
responsabilità in Inghilterra perché da lui è nato l’Arts and Crafts Movement, che ha segnato per molti
decenni la produzione manifatturiera e la cultura del progetto secondo principi di rifiuto della
modernità. Ragion per cui Londra sarà fuori dal panorama delle grandi metropoli industrializzate in
questo periodo.
Henry Cole
Aprì un’azienda nella quale fa oggetti semplici, utilizzando soluzioni tecnologicamente avanzate, di
ottima fattura, qualità e prestazioni con un prezzo molto basso. Henry Cole era vicinissimo al principe
Alberto e contribuì alla fondazioni di scuole per la formazione di giovani artigiani per far sì che la
mentalità cambi del pubblico e dei produttori. Lavora a una delle prime riviste di design all’interno
delle quali vengono mostrati oggetti di disarmante semplicità e che esprimono un gusto fortemente
moderno, verso la morte dell’intaglio, incastro e decorazioni. Henry Cole rinnova così il modo di
produrre in serie, con strumenti meccanizzati o semi-meccanizzati. Contrariamente a quanto fa
Morris, la soluzione non era cancellare l’industria, che ormai era parte di un processo irreversibile,
ma rivederla, in modo che ci siano più vantaggi per tutti.
*1 N.B.: in questo secolo in Italia si sviluppa il Rinascimento.
*2 N.B.: è stata l’architettura dell’Eclettismo Storicistico a creare quella che, per lungo tempo, sarà
l’immagine delle grandi metropoli.
*3N.B.: la vita deve essere condotta secondo dei principi cristiani applicati nella quotidianità con
grande vigore e inflessibilità.
*4 N.B.: che perpetrava principi di libertà dell’architettura dalle regole accademiche.
Storia dell’Architettura, Lezione No. 05
Il Movimento Arts and Crafts
È un movimento che contrasta e nega ogni valore della produzione industriale e muove una critica, o
religiosa o politica, all’industrializzazione nel suo complesso. Il fondatore è William Morris e il fulcro
di tale tendenza è la creazione di aziende artigianali finalizzate alla realizzazione di oggetti per la casa.
Vi è una grande contraddizione nell’operato di Morris perché: da un lato c’è una profonda critica
sociale molto forte nei confronti di una società classista e industrializzata; dall’altro c’è una
produzione di oggetti raffinati che hanno costi molto alti e acquistabili solo dalla upper class. Il
movimento Arts and Crafts in Inghilterra è molto vasto, ma contraddittorio.
Esponenti del movimento Arts and Crafts
Richard Norman Shaw
È un architetto sia di grandi residenze e piccole ville unifamiliari in campagna che di edifici per
appartamenti in città. Egli ha un doppio linguaggio: quando lavora in città si avvale di uno stile
classicista, controllato, simmetrico, semplificato, incarnando l’idea di ‘moderno’ dell’epoca; quando
si occupa della campagna, invece, si rifà alla tradizione folkloristica e pittoresca (mattoni, infissi in
legno). Grazie a Shaw venne reso popolare lo stile Queen Anne. A Shaw si deve anche un grande
contributo in ambito urbanistico: ci fu un imprenditore che acquistò un suolo molto grande per
realizzare una lottizzazione per la classe medio-alta e quella alta, che non vuole vivere più
nell’insalubre centro di Londra, ma preferisce ambienti sociali diversi e più controllati. Tale evento
sopperisce a questo bisogno della borghesia e viene realizzato il quartiere di Bedford Park (nella parte
occidentale di Londra). Inizialmente il compito viene affidato a Edward Godwin e in seguito a Shaw,
il quale realizza un impianto che è il seme della Città Giardino e del Garden City Movement in quanto
le premesse del progetto sono: bassa densità, tipologia abitativa di case pittoresche a due livelli, il
disegno della città deve essere vario, asimmetrico e come protagonista assoluto il verde. Shaw in
questa occasione pubblica nel 1875 Sketch for cottages and other buildings, dove raccoglie i disegni
sia dei cottages che di edifici pubblici, per operai, lavorando per dare forma a una vera piccola città
autosufficiente, al di là del solo quartiere borghese. L’idea di Città Giardino è anti-urbana perché in
quegli anni la città si stava costruendo ad alta densità, andando a sottolineare un rifiuto della
metropoli. Alla fine delle esperienze degli anni ‘60/’70/’80 dell’Ottocento, la Città Giardino trova una
sua formulazione teorica con il testo Tomorrow, a peaceful path to a real reform*1 di Ebenezer
Howard, che sancisce la nascita del Garden City Movement. La Città Giardino si conforma con: forma
irregolare, strade curvilinee, bassa densità, case con due o tre piani e realizzate in mattoni, ecc. Il
tutto è circondato dalla natura, che non è solo selvaggia, ma anche antropizzata e funge, dunque,
anche da risorsa economica. Trovano, inoltre, spazio le linee ferroviarie, utilissime per lo sviluppo
delle vie di comunicazioni. Il progetto della città giardino un po’ fallisce per cui viene revisionata e,
benché l’idealizzatore fosse Howard, viene resa operativa e attuabile da Raymond Unwin, che nei
congressi internazionali di urbanistica presenta dei ‘quartieri giardino’ perché capisce che è molto
più fattibile applicare i principi del Garden City Movement a zone urbane di dimensioni più ridotte
rispetto alla città. Unwin, inoltre, fonda la Garden City Association, che diventa un’organizzazione
internazionale*2.
Arthur Heygate Mackmurdo
Nel 1882 fonda una Arts and Crafts nota come Century Guild. Egli era un disegnatore di mobili, grafico
editoriale, decoratore di tessuti e carte da parati. Mackmurdo è uno di quegli esponenti dell’Arts and
Crafts Movement che, come Morris, ha avuto una certa influenza sulla nascita dell’Art Nouveau
perché nelle sue realizzazioni (dall’arredo alle copertine per i libri) impiega un forte uso dei motivi
floreali, non rifacendosi alla storia degli stili. Nella professione di architetto, negli anni procede
sempre più verso la semplificazione dello stile, preannunciando il Movimento Moderno.
Charles Robert Ashbee
Fonda una sua Arts and Crafts, una gilda sull’artigianato. Ashbee era un colto e raffinato designer e
lo si può vedere dalle sue produzioni (mobili, gioielli) che, tra l’altro, sono caratterizzate da soluzioni
tipiche dell’Art Nouveau. Egli si autodefiniva un socialista costruttivo, in quanto era a favore di un uso
responsabile delle macchine perché la civiltà moderna si basava su quello. Incontra Wright in America
e ne resta molto influenzato perché è molto proiettato verso la modernità. Ashbee fissa un nesso tra
Arts and Crafts e Garden Movement: nel 1906 occupa un piccolo paese di campagna dove c’è
un’azienda agricola, facendo trasferire lì i cinquanta artigiani membri della sua azienda, dando vita a
un esperimento sociale: le abitazioni abbandonate vengono adibite al soggiorno delle famiglie, un
mulino in disuso viene attrezzato come un laboratorio, ecc. Si preoccupa di creare dei corsi che
rinnovano l’educazione, introducendo delle materie che non si insegnavano nelle scuole: nuoto,
giardinaggio, cucina, educazione civica, ecc. Per limitare il provincialismo, crea delle scuole estive
finalizzate a tenere degli incontri con gli architetti di città.
William Richard Lethaby
Fonda anch’egli la propria Arts and Crafts. Compone un testo teorico Architettura, Misticismo e Mito.
Era stato allievo Phillip Webb e di Shaw: dal primo aveva preso il rispetto per i materiali tradizionali,
mentre dal secondo prende l’articolazione spaziale. Alcuni elementi della sua architettura sono: tetti
a falde molto sporgenti, muri intonacati, finestre orizzontali (non più buchi isolati della muratura, ma
sono raggruppati). Nelle sue realizzazioni c’è l’anticipo di un gusto tipico del Novecento. Si rincorre
una semplificazione sempre meno organica e più razionale.
LA SCUOLA DI CHICAGO
La Scuola di Chicago non è una vera e propria scuola come il Bauhaus, ma è un’espressione adoperata
per riferirsi all’opera di alcune figure che hanno prodotto nella città di Chicago. Tra gli esponenti più
importanti ci sono: William Le Baron Jenney, Louis Sullivan, Frank Lloyd Wright. Tutto nasce da un
incendio che distrugge la vecchia Chicago nel 1871. Segue una ricostruzione fatta con nuove tecniche
fondate sull’uso del cemento armato e dell’acciaio. Il nome della città di Chicago deriva da un termine
indiano ‘’Checagou’’ o ‘’Checaguar’’ (porro selvatico), inoltre essa viene anche chiamata Windyhill
(per il fatto che è molto ventosa) o Second City (poiché la sua importanza è seconda solo a New York).
Chicago nasce da un piccolissimo villaggio (poche case e un’azienda agricola) creato da una
commerciante indiana (Potawatomi) insieme a un altro commerciante haitiano. Tale proprietà venne
venduta al Governo degli Stati Uniti, che l’aveva trasformata in una piazzaforte militare. Nel 1833 la
popolazione arrivava a 350 abitanti e l’estensione territoriale era di circa un 1km2. Nel 1848 fu aperto
un canale che collegava il lago Michigan al fiume Illinois. Sì pensò poi di costruire anche una ferrovia
nel 1852, andando così a rivelare tutte le potenzialità strategiche del luogo. Nell’arco di dieci anni il
piccolo paesino diventa il porto principale del Mondo per volume di affari inerenti il commercio del
grano e dei cereali. Le principali conseguenze sono un’esplosione economica e un notevole
incremento demografico, tanto da arrivare a 300mila abitanti ca. nel 1871 e a 1milione e 100mila
abitanti nel 1890. Chicago, durante il corso dell’Ottocento, veniva ironicamente definita ‘Porkopolis’
perché viene inventata l’industria alimentare, che nasce dall’invenzione di innovazioni come
l’inscatolamento, conservazione della carne in scatola, catena di montaggio alimentare. L’8 ottobre
del 1871, secondo una leggenda, essendo composta principalmente da case in mattoni di uno o due
piani e con solai in legno e munite talvolta di stalle, accade che la mucca della signora O’Leary calcia
una lampada a olio che, grazie anche alla considerevole presenza di vento, genera in pochi minuti un
enorme incendio che distrugge una buona parte della città (The Great Fire). I dati riportano la
distruzione di: 120km di strade, 190km di marciapiedi, 2mila lampioni, 17mila cinquecento edifici,
222milioni di dollari di proprietà. Un terzo degli abitanti ca. resta senza una casa. Per far fronte a
questa catastrofe si opta per una Rebuilding: dal 1872 al 1879 un intero settore di Chicago viene
ricostruito applicando le nuove tecniche di costruzione, preferendo uno sviluppo in altezza degli
edifici. Arrivare alla realizzazione di edifici di sei piani, comportava l’impiego di sistemi di telai di travi
e pilastri. Questo nuovo sistema era economicamente vantaggioso per molti imprenditori perché su
una piccola superficie di suolo la realizzazione di più uffici comportava un profitto maggiore. La forma
urbana che viene prescelta è quella tipica delle città americane di fondazione, che nasce da un
modello antichissimo facente capo al modello di Ippodamo da Mileto: griglia ortogonale (o Principio
Ippodameo). A Chicago si adopera il termine Loop (anello) che indica il centro urbano destinato a
commercio e uffici e che funge anche da tracciato per una linea metropolitana (che in molti punti è
sopraelevata). Quando si ricostruisce, il suolo aumenta di valore e, quindi, per fare più profitto si
costruisce più velocemente e più in altezza possibile e ciò comporta uno sviluppo rapido delle
tecniche costruttive dell’Architettura dell’Ingegneria. Le scelte ingegneristiche, tecnologiche e
architettoniche, i nuovi materiali, i nodi strutturali, l’invenzione dell’ascensore, le scelte
impiantistiche determinano la ricerca di un nuovo linguaggio e di una nuova tecnologia.
La scuola di Chicago si sviluppava in tre fasi: 1a Generazione, dove la struttura degli edifici è mista
(muratura portante e struttura in acciaio) e aveva come esponenti Richardson, Le Baron Jenney; 2a
Generazione, caratterizzata dal fatto che, negli anni ’80 dell’Ottocento, gli edifici misti diventavano
tutti composti da telai in acciaio; 3a Generazione, nel 1893, in occasione della Fiera Colombiana, si
fece una scelta culturale regressiva che spense tutto il periodo sperimentale e avvincente precedente
(ritorno agli stili dell’eclettismo storicistico). Per esempio Richardson realizza un edificio (Marshall
Field Wholesale Warehouse) con forme eclettiche, ma che nasconde una struttura, della pianata e
degli impianti, estremamente avanzata. L’invenzione dell’ascensore è determinante nell’appetibilità
dei grattacieli: inizialmente, durante gli anni della Guerra Civile Americana, l’ascensore era molto
simile ai montacarichi, successivamente si sviluppa tecnicamente ed esteticamente, venendo
impiantata negli edifici residenziali e lavorativi. Nel 1889, quando ci fu la Mostra Universale di Parigi,
si costruì, a scopo dimostrativo, un ascensore che porta i turisti ai vari livelli della Torre Eiffel.
Esempi di edifici
Leiter Building di Le Baron Jenney
Le Baron Jenney è un architetto dotato di una conoscenza teorica architettonica molto consistente,
tanto da scrivere nel 1869 Principi e pratica dell’Architettura e tiene una serie di lezioni universitarie.
È un edificio che ha i solai che sono ancora in legno, ma c’è una struttura in elevazione mista: c’è
un’anima in ferro e parapetti in muratura. Non si può parlare di una vera struttura a telaio, in quanto
la costruzione non presenta collegamenti resistenti alla trazione. Si nota il fatto che la nuova tecnica
consente uno sviluppo in altezza, c’è una forte semplificazione del linguaggio architettonico perché
non si sente più il bisogno dell’impiego di decorazioni, motivi stilistici, capitelli, fregi, ecc. Questo
sistema permette di aprire grandi vetrate.
Home Insurance Building di Le Baron Jenney
Viene realizzato per una compagnia di assicurazioni nel 1885. Tale edificio è considerato uno dei più
importanti per la storia dell’architettura americana. Si ritiene che sia anche il primo grattacielo.
Essendo un’epoca di transizione, si nota sempre un richiamo alla storia perché la struttura portante
all’avanguardia viene mascherata: per esempio, l’ingresso è un grande portale inquadrato da colonne
binate, con un piano nobile col balcone.
The Fair Store di Le Baron Jenney
È un edificio molto importante perché la soluzione strutturale adottata è antincendio in quanto i
pilastri di ferro sono rivestiti di cemento. La struttura in ferro è fatta in modo tale che negli elementi
orizzontali possono essere inseriti i tubi del gas, parte del sistema impiantistico. Qui, l’immagine
esterna dell’edificio è il risultato dell’armonia tra forma, impiantistica e struttura.
Manhattan Building di Le Baron Jenney
L’edificio presenta un elemento tipico della tradizione anglosassone: Bow-Window, cioè quando c’è
una struttura poligonale di vetro che va dal davanzale al solaio. In questo caso viene utilizzato come
elemento di significazione dell’edificio: oltre a dare più luce, diventa anche un motivo architettonico.
Montauk Block di Root e Burnham
È il primo edificio per cui viene adoperato il termine ‘skyscraper’ (grattacielo).
Tacoma Building di Holabird e Roche
In questo caso gli elementi orizzontali sembrano essere meno forti visivamente rispetto a quelli
verticali perché vengono adottati i bow-window, che danno un senso più verticale.
Monadnock Building di Burnham e Root
Fa grande shock per l’epoca perché c’è l’azzeramento del linguaggio storicistico: è una facciata
costituita da aperture che hanno il solo scopo di creare una buona illuminazione interna. È l’edificio
più moderno che viene costruito in questo tempo
Nel 1893, per celebrare i quattrocento anni dalla scoperta dell’America (1492), proprio a Chicago si
tiene la World’s Columbian Exposition. Poteva essere l’occasione giusta per Chicago per delinearsi
come ambito architettonico più moderno del Mondo, ma così non fu: si preferisce la costruzione di
edifici secondo i canoni dell’eclettismo storicistico perché la cultura americana aveva un complesso
di inferiorità per la vecchia Europa.
*1 N.B.: dove vengono indicati, tra le tante cose, i vantaggi e gli svantaggi della città e della campagna
e che la città giardino deve possedere tutte le loro caratteristiche positive.
*2 N.B.: nel Novecento si presentano tre tipi di atteggiamento nei confronti della città: rifiuto della
metropoli; esaltazione della metropoli; accettazione della metropoli, ma realizzata dalle regole
desunte dalla città storica.
Storia dell’Architettura, Lezione No. 06
Louis Sullivan
È colui che, con determinazione, ha posto il problema del linguaggio dell’edificio alto e ha dato una
risposta coerente, riuscendo a tenere insieme: idea, forma, struttura e linguaggio. Sullivan costituisce
l’anello di collegamento tra questo periodo e il Movimento Moderno, essendo il maestro di Frank
Lloyd Wright. Nacque a Boston nel 1856 ed ebbe una formazione completa: sul piano tecnico
(all’M.I.T., Massachusetts Istitute of Technology); si trasferisce poi a Chicago perché è lì che c’era il
progresso in ambito architettonico; completa la sua formazione, da architetto tradizionale, in Europa
presso l’Accademia delle Belle Arti di Parigi. Dal 1873 fa tre incontri importanti che contribuiscono a
rendere più egemone la sua formazione: Frank Furness, un architetto eclettico storicistico e autore
de Provident Life and Trust Building, che fa comprendere l’importante valore della sperimentazione
e lo mette in contatto con John Edelman; John Edelman*1 (architetto di origini tedesche) è molto
importante per Sullivan perché gli fa conoscere William Le Baron Jenney, andando, così, a fare il
tirocinio nello studio più importante di Chicago; il terzo incontro avvenne con Danmark Adler, un
ingegnere di origini tedesche, con il quale Sullivan si associò per aprire uno studio nel 1881 (Adler &
Sullivan Architects). Il logo dello studio è formato da cerchi, che si giustappongono tra di loro, e da
motivi filiformi vegetali ed evocativi della natura, che richiamano il Liberty. Influenze come Kropotkin,
‘’The Rebel’’ e ‘’Socialist League’’ portarono Sullivan a scrivere Kindergarten Chats. Inizialmente lo
studio si occupa di piccole come: uffici, magazzini, depositi e, più raramente, piccole abitazioni di
altezza massima di sei piani, aventi una struttura mista e sono tripartiti generalmente in parte
basamentale, sviluppo della facciata e un coronamento. Lo studio arriva a progettare 256 edifici, ma
ne restano poco meno di trenta perché sono stati in massima parte demoliti negli anni ’50 e ’60,
quando le grandi città americane subirono pesanti piani relativi alle trasformazioni urbane*2. Nel
Jewelers’ Building (1881-1882) si nota una certa predominanza dei vuoti sui pieni, di grandi superfici
vetrate, lo smusso dell’angolo a 45°, presenza dell’arco ribassato, andando ad anticipare le
caratteristiche di un capolavoro dell’Art Nouveau: La Maison du Peuple di V. Horta (1898-1899). La
grande affermazione sulla scena di Chicago si ha quando Adler e Sullivan ricevono il complicato
incarico di realizzare un grandissimo edificio, Auditorium Theater and Hotel Build (Auditorium di
Chicago).
Auditorium Theater and Hotel Build di Louis Sullivan
Bisognava realizzare una grande sala per concerti. Vi furono delle problematiche relative alle
dimensioni, problemi di natura tecnico-strutturale, il suolo era vicino all’acqua e, inoltre, l’edificio
doveva avere una grande eterogeneità nelle funzioni (ufficio, albergo, ristorante). Data la sua altezza,
era un edificio molto complesso per l’epoca: il centro è dominato dallo spazio dedicato al teatro; la
struttura era un misto tra muratura portante ed elementi in ferro, i solai in ghisa e ferro, e ci sono
una serie di soluzioni differenziate in ragione del tipo carico che arrivava al suolo: il grande vuoto
della sala, il peso considerevole degli uffici e dell’albergo. L’esterno: la parte bassa dell’attacco al
suolo e alla strada è risolta in maniera tardo-cinquecentesca perché c’è la ripresa di vari stilemi tipici
dell’architettura manierista, come le bugne di grandi dimensioni non lisce e appena sbozzate e grandi
aperture ad arco a tutto sesto che corrispondono agli ingressi principali (il tutto richiama potenza,
fisicità, massività, potenza, grande percezione di ancoramento al suolo e sicurezza); segue una
cornice marcapiano e dei piani che si succedono in alto e, man mano che si sale, le bugne si riducono
di dimensione e la sbozzatura delle stesse diventa meno accentuata (in alcune facciate la
contrapposizione tra massività dei primi due livelli e la leggerezza di quelli soprastanti è molto forte);
grazie al sistema a telaio, vengono aperte delle grandi vetrate raggruppate secondo un ritmo costante
dagli archi a tutto sesto; a salire, si nota la tendenza dell’edificio a essere un vero e proprio piano di
luce, anche perché la superficie tende a diventare completamente liscia. Il carattere dell’edificio è
dominato da energia, tensione e ritmo e da qualche velata allusione orientaleggiante. Qui Sullivan è
in una fase di legame all’eclettismo storicistico (al neoromanico) e non è ancora giunto a una
personale proposta. È un edificio sofisticatissimo per l’epoca perché, benché esternamente avesse
un carattere molto forte, la struttura interna era all’avanguardia. L’auditorio era di grandissime
dimensioni e venne progettato in modo che potesse essere parzializzato in base al tipo di evento e al
numero di spettatori: c’è un palcoscenico (che per venire incontro alle nuove tecniche registiche, ha
un dispositivo mobile che consente la rotazione), sistema di funzionamento delle macchine sceniche,
più ordini di platee, la copertura, avente un armamento a linea spezzata, viene mascherata da una
controsoffittatura acustica, realizzata dopo vari studi per preservare la qualità del suono, composta
da archi ellittici e concentrici. Vi sono, inoltre, soluzioni impiantistiche di riscaldamento, di
ventilazione (ventilatori di tre metri di diametro sul tetto). Gli archi della copertura creano una grande
suggestione: da elemento tecnico-funzionale, esso diventa un qualcosa dal valore estetico e
ornamentale molto forte. Sullivan, infatti, era particolarmente preso dall’uso degli ornamenti in
chiave sovversiva e conflittuale rispetto allo storicismo: per marcare l’autonomia dagli stili storici
utilizza un tipo di decorazione molto fitta caratterizzata da una sorta di dado schiacciato
completamente rivestito da fogliame che si distribuisce liberamente sulla superficie. Determina, così,
assenza di motivi storicistici, il che implica la presenza di motivi naturalistici. Molti dei motivi
decorativi elaborati dallo studio di Sullivan erano lavori affidati a un giovane talento, ovvero Frank
Lloyd Wright.
Walker Warehouse di Louis Sullivan
È un’opera che, elaborata durante una fase di ricerca, ha due temi: provare a testare un tipo di
linguaggio in grado di esprimere l’edificio moderno, sempre più indipendente dagli stili del passato,
nel segno di una maggiore semplificazione del neoromanico di Richardson; questione
dell’ornamento. L’edificio presenta, nella parte basamentale, due grandi arcate a tutto sesto di grandi
dimensioni e che arrivano fino a terra. C’è, poi, uno sviluppo del corpo dell’edificio e una soluzione in
alto (piano attico e cornicione). Le finestre sono accoppiate e congiunte in alto da archi a tutto sesto.
A differenza delle opere di Richardson e dello stesso Auditorium di Chicago, qui il trattamento
superficiale della pietra è liscio. In merito alla questione degli ornamenti, l’intero esterno è come una
superficie continua senza ornamenti, con le finestre, in una convincente composizione tripartita:
Sullivan non nega la decorazione, ma la concentra in alcuni passaggi della costruzione. Egli crea un
ornamento inedito che si basa su geometria e natura e che sembra vere lo scopo di esprimere
dinamismo e movimento, per fare da contrappunto all’inerzia di una superficie massiccia: appaiono
come dischi scolpiti e in rilievo (movimento interno), connessi tra di loro con dei tratti ricordanti le
ruote delle locomotive, e c’è un forte richiamo alla natura.
The Carrie Eliza Getty Tomb di Louis Sullivan
Sugli edifici di piccole dimensioni Sullivan continua a lavorare sul tema del contrasto tra una superficie
liscia (che da il senso del lavoro, dell’artificio, dell’uomo moderno e delle sue tecnologie) e una molto
decorata. La tomba viene commissionata dalla ricca famiglia Getty nel cimitero di Graceland, a
Chicago. La tomba ha la parte bassa liscia composta da tre filari isodomi con i giunti sfalsati, mentre
la parte superiore è infinitamente lavorata come un tessuto. L’apertura è caratterizzata da un arco, i
cui conci a raggiera convergono verso il centro e si intersecano con delle fasce (alcune lisce, alcune
decorate). Il portoncino in ferro è anch’esso estremamente decorato con geometrie ed elementi
desunti dalla natura. Ricorre ancora la tripartizione: un piccolo crepidoma ospita la parte
basamentale, su cui, poi, vanno a posizionarsi il corpo di elevazione e il cornicione (semplice,
suddiviso in una parte liscia superiore, una incassata e una decorata che funge da collegamento con
l’edificio stesso). I motivi geometrici adottati sono quelli dell’ottagono, della stella prodotta come
giustapposizione di piccole sfere che diventano di dimensioni sempre più ridotte man mano che si
allontanano dal centro. Nel portoncino ricorro i temi decorativi della spirale, della pianta vegetale,
foglie di cardo, una geometria ora contraddetta ora utilizzata per tenere assieme il tutto.
Wainwright Tomb di Louis Sullivan
A San Louis, per conto della ricchissima famiglia Wainwright, viene commissionata la suddetta tomba:
il crepidoma ha tre gradini; la parte bassa e quella alta sono entrambe lisce, ma c’è una fascia molto
decorata che segue la fine del corpo in elevazione, lo spigolo, il punto di stacco dal basamento e
l’apertura stessa. Lo spazio è coperto da una calotta, andando a esprimere un’immagine di grande
forza ed essenzialità. A tali caratteristiche esterne si contrappone un interno colorato, luminoso,
sensuale per le superfici decorate, i marmi, l’intradosso cupolato tempestato di oro (come
riferimento c’è il Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna). La tomba sembra essere un’allegoria del
corpo e dell’anima.
Martin Reyerson di Louis Sullivan
Nel cimitero di Graceland, Sullivan realizza un’altra tomba, con la quale sembra fare un viaggio negli
archetipi dell’architettura, ma anche nel futuro perché sta scrivendo una pagina nuova, c’è una forte
proiezione verso il futuro e un’orgogliosa rivendicazione di appartenenza ai tempi moderni. Va a
citare quelli che sono i canoni di architetture pre-classiche.
Wainwright Building di Louis Sullivan
A San Louis, Louis Sullivan compie questo capolavoro perché ha la possibilità qui di affrontare il tema
dell’edificio alto. Che forma e linguaggio dare all’edificio alto? Sullivan compie alcune scelte
innovative: taglia fuori l’uso degli archi nelle aperture; non ci sono scansioni orizzontali, in quanto
arretrati rispetto agli elementi verticali, e tale scelta viene compiuta per incrementare lo slancio verso
l’alto dell’edificio stesso. Ricorre ancora una volta la tripartizione: la parte basamentale è separata
dal corpo in elevazione da una fascia marcapiano; il corpo in elevazione si impenna verso l’alto con
un fascio di pilastri, i quali arrivano fin su al coronamento; il coronamento è lavorato e decorato ed è
costituito da un cornicione molto sporgente. Battuta di pilastri e moduli tutti uguali con pannelli
decorati per le finestre nella parte del davanzale. È stato inserito nel 2013 nella lista dei dieci edifici
che hanno cambiato l’America. Durante la costruzione, i piani venivano progressivamente resi agibili,
ragion per cui fu un’opera apprezzata degli imprenditori, dalla critica e dal pubblico. La pianta è a U,
dove gli uffici sono disposti sui lati, mentre lo spazio di distribuzione è al centro. Non è simmetrico:
gli uffici che costano di meno sono più piccoli e prendono luce verso l’interno; gli uffici che si aprono
sulla facciata e sulle strade sono più di pregio. In seguito, l’ultimo lato è stato coperto con un
lucernario. L’edificio occupa un quarto dell’isolato in cui si inserisce, la sua geometria è un quadrato
perfetto, la copertura presenta un sottotetto e dei fori circolari che danno luce agli ambienti e sono
circondati da cerchi più grandi che sono parte dei tralci avvitanti nella decorazione (dinamismo molto
forte). Essendo i pannelli, posti in prossimità dei davanzali delle finestre, molto decorati, si risalta
maggiormente il piano di luce dei pilastri che stanno più avanti.
Guaranty Building di Louis Sullivan
Ci sono degli elementi che confermano le scelte fatte a San Louis e altri che le rinnegano. È evidente
la tripartizione: basamento a due livelli in pietra con finestroni orizzontali; corpo in elevazione
caratterizzato da una battuta di pilastri in prima linea decorati in terracotta e collegati in alto da archi
a tutto sesto, ci sono anche gli elementi orizzontali più arretrati rispetto ai pilastri stessi; il
coronamento, che ha un maggiore livello di integrazione col corpo sottostante. La forza vitale che
fluisce nei piloni si espande nei tralci attorno agli oculi. Ciò è la metafora di un sistema meccanico che
si completa e compie il suo gran giro, salendo e discendendo. Nella sua opera Kindergarten Chats egli
dice ‘’il grattacielo deve essere alto, ogni centimetro della sua altezza. La forza e il potere dell’altezza
deve essere nella gloria e nell’orgoglio dell’esaltazione. Deve essere ogni centimetro una cosa
orgogliosa e slanciata, salendo in pura esultanza che dal basso verso l'alto come un'unità senza una
sola linea discendente’’. Sullivan si applica, quindi, a far sì che questo edificio possa essere percepito
come qualcosa che, letteralmente, sta facendo un assalto. Non si preoccupa più, come i suoi colleghi
di Chicago, di addomesticare tale immagine, ma si occupa di esaltare tutto ciò. I pilastri non sono lisci,
ma tempestati di motivi decorativi, compreso il cornicione. Secondo Sullivan, l’architettura non può
essere concepito come un sistema inerte, ma deve essere in grado di esprimere quello che esiste in
ogni edificio, in quanto ognuno di essi è il risultato di un complesso intreccio di azioni e di reazioni.
L’edificio è, dunque, visto come prodotto dell’eterna forza vitale che si sprigiona da un germoglio, in
cui è racchiusa la volontà che presiede all’esistenza. Egli conia una frase che è uno degli slogan del
Movimento Moderno: ‘’la forma segue la funzione’’. È una frase prelevata da uno scultore, Horacio
Greenough, che afferma ‘’la forma segue sempre la funzione, è l’unica legge che non ammette
eccezione’’. Nel libro ‘L’Edificio Alto Per Uffici Considerato Artisticamente’ esplica il suddetto
concetto affermando, inoltre, che ciò è la legge che pervade tutte le cose organiche e inorganiche,
tutte le cose fisiche e metafisiche, tutte le cose umane e sovrumane, tutte le autentiche
manifestazioni del pensiero, del cuore, dell’anima e che la vita è riconoscibile nella sua espressione,
è che la forma segue sempre la funzione. In questo modo, è come se avesse trovato una chiave per
dare una risposta al problema di dare una forma e un linguaggio all’edificio alto e,
contemporaneamente, una base teorica e filosofica. Da buon intellettuale, Sullivan venne influenzato
da personalità come Emerson, Thoreau, Nietzsche e Walt Whitman. Il pensiero di Sullivan si conforma
come un miscuglio di Strutturalismo e Organicismo, con riferimenti alle antiche culture mediorientali,
lasciando fuori la Grecia per non piombare di nuovo nell’uso degli stilemi di riferimento europeo. È
una concezione vitalistica che si salda a una forte dimensione etica. Come Whitman, Sullivan è un
entusiasta sostenitore della giovane democrazia americana, che al tempo era una delle più avanzate.
Schlesinger & Mayer Department Store di Louis Sullivan
Realizza un edificio all’angolo tra due importanti strade commerciali di Chicago: adotta, dunque, la
soluzione del blocco angolare cilindrico, con una parte ricca di decorazioni ricche di stampo
naturalistico. È una struttura molto moderna, essendo metallica e con grandi aperture, ricoperta da
una fittissima ornamentazione. L’edificio presenta delle superfici specchianti nelle quali si riflette
l’immagine urbana degli edifici circostanti. L’idea di un pilastro che in alto si apre, come
un’efflorescenza, e si trasforma da un cilindro in una serie di tralci e rami è indice dell’avvicinarsi
dell’Art Nouveau.
Gage Building di Louis Sullivan
In quest’opera è ancora più evidente la questione del pilastro: in questo caso, esso sembra ricordare
quello egizio (a forma di fusti di papiro legati insieme) e non subisce interruzioni perché tutti gli
orizzontamenti stanno dietro, dunque si percepisce un grande slancio vitale, che esplode in alto e si
apre in una serie di tralci, foglie, ecc. Gli orizzontamenti sono semplici e arretrati.
Esposizione Universale di Chicago
Nel 1893, l’Esposizione Universale di Chicago, o Esposizione Colombiana (poiché organizzata in
occasione dei 400 anni dalla scoperta dell’America), fu un grandissimo investimento perché si realizza
una sorta di vera e proprio città (gigantesche costruzioni, padiglioni, canali e bacini d’acqua artificiali).
L’incarico venne affidato a Daniel Burnham, il quale diede vita a tutto ciò, che venne chiamato ‘White
City’ perché: erano tutti edifici provvisori; dovevano dare un’idea di modernità; erano realizzati con
strutture lignee rivestite con staff (un composto di intonaco, cemento e fibra di iuta) dipinto di bianco.
Questi edifici furono realizzati copiando gli stili europei: il trionfo a scala planetaria dell’eclettismo
storicistico è avvenuto proprio nella città che di più lo aveva ostacolato. Per la notte, essendoci il
trionfo dell’energia elettrica, si era investito per l’installazione di potenti riflettori che puntavano fasci
di luce potentissima, che si riflettevano nell’acqua e andavano a sbattere sulle costruzioni bianche.
Da alcune viste si riconosce un po’ della Roma barocca, della Parigi dell’Ottocento, di Londra, di
Venezia, ecc. Questa cultura architettonica antimoderna andò ad influenzare pesantemente
l’urbanistica. Per tale Esposizione, Sullivan riceve l’incarico di realizzare il Transportation Building,
caratterizzata da una grande apertura ad arco a tutto sesto (elemento distintivo delle opere di
Sullivan) con tanti altri archi concentrici in strombatura. Inoltre, si nota il motivo della cornice che sta
in alto e poi, piegandosi ad angolo retto, scende verso il basso e si raccorda con il punto in cui il
basamento finisce e comincia il corpo dell’edificio. La struttura metallica è lasciata a vista.
L’Esposizione segna il ritorno del complesso di inferiorità degli intellettuali americani nei confronti
dell’Europa e ciò è molto evidente nell’operato di Burnham, il quale risponde alle attese del pubblico
prelevando pesantemente dall’eclettismo storicistico, tralasciando a volte anche una coerenza tra gli
stili impiegati (es. Fisher Building, Masonic Temple Building, Flatiron Fuller Building). Tutto ciò porta
Sullivan ad andarsene e, in una fase avanzata delle sua carriera, realizza edifici bancari di provincia,
nei quali ricorre il tema della decorazione (pilastro che si apre, cornici decorative concentriche, l’arco
a tutto sesto) (es. Land and Loan Office del 1912). Sullivan comprende che la sua architettura non è
più in grado di intendere il tempo corrente, ragion per cui si rifà ad alcune scelte fatte dal suo allievo
Frank Lloyd Wright: disarticolazione della scatola in piccoli blocchi asimmetricamente disposti tra di
loro e la costruzione viene intesa come un qualcosa che deve rispondere a esigenze diverse, che
vengono inserite in blocchi differenti.
Casa per le vacanze di Louis Sullivan
Questa casa è interessante per due ragioni: la pianta è una croce asimmetrica (molto simile
all’impianto adottato da Wright); l’interno è ispirato a dei caratteri di semplicità e geometria.
*1 N.B.: Edelman fu un architetto che considerava la sua professione carica di valenza politica (era un
anarchico). Influenzò, rafforzò e irrobustì l’etica e la morale di Sullivan, il quale, a sua volta, giunse a
concepire il lavoro dell’architetto anche come un qualcosa di intellettuale fortemente orientato verso
la comunità.
*2 N.B.: il concetto di patrimonio non aveva assunto ancora l’importanza che ha oggi.
Storia dell’Architettura, Lezione No. 07
Frank Lloyd Wright (1867-1959)
Frank Lloyd Wright è uno degli architetti americani più importanti del Novecento per molte ragioni:
come pochissimi altri, con grande forza e determinazione, ha sottolineato che l’architettura è arte
dello spazio, in anticipo rispetto ad altri maestri; la qualità intrinseca delle sue realizzazioni e progetti;
non c’è stato nessun architetto nel Novecento in grado di proporre e comunicare al grande pubblico
la qualità dell’architettura moderna, dimostrando la bellezza della stessa. Ciò è stato possibile anche
grazie alla sua longevità, che gli ha consentito di attraversare tutte le fasi del moderno vivendole da
protagonista. Durante il corso della sua carriera ha progettato circa mille edifici, di cui sono stati
costruiti 536. Wright era particolarmente legato alla figura materna e nella sua formazione è stato
centrale l’apprendimento delle forme elementari*1 e, insieme, varie influenze: John Ruskin, di cui
Wright legge Le Pietre di Venezia; Eugène Viollet-le-Duc, autore di un dizionario dell’architettura,
padre del restauro e grande sostenitore dell’uso dei nuovi materiali; la musica di Beethoven e di Bach.
Piccolo di statura, Wright aveva una personalità straripante, una grande determinazione nel volersi
affermare, era egocentrico, egoista, narcisista. Fu così che andò a Chicago, dove entra, come
disegnatore, nello studio di Silsbee. Qui ebbe modo di interagire con Ernest Fenollosa, collezionista
di arte decorativa giapponese, grazie al quale si avvicinò all’arte orientale. Nel 1888 entra nello studio
di Louis Sullivan come disegnatore: grazie al suo talento riesce ad impressionare Sullivan, che lo
incoraggia. Wright si mette ben presto in luce all’interno dello studio, tanto che nel 1890 riceve, da
Sullivan stesso, l’incarico di responsabile dell’architettura residenziale (case, abitazioni, ville, villette,
palazzine, ecc.) a punto tale che nel 1892 egli già firma come architetto, insieme al maestro, il
progetto di Casa Charnley: caratterizzata dalla presenza di una sorta di loggia fiorentina incastrata
nel corpo dell’edificio; ricorda lo stile di Sullivan in quanto c’è una tripartizione, una struttura
simmetrica, la parte centrale arretrata. Essendo estremamente ambizioso, Wright non si limita a
seguire solo le orme di Sullivan, ma decide di sperimentare e seguire la propria curiosità, infatti si
interessa a Bruce Price, architetto che aveva fatto delle realizzazioni vicino New York, perché era
solito usare delle piante che uscivano fuori dai canoni tradizionali (con una marcata dialettica di
orizzontalità e verticalità): saranno determinanti nell’operato di Wright, il quale le elabora con
un’infinità di varianti. Questi sono anni di formazione e ricerca per arrivare a una proposta personale
in fretta e ha due opzioni davanti a sé, quando guarda l’architettura americana di quegli anni: riferirsi
alla natura*2 (articolazione, varietà, simmetria, dialogo con la tradizione, materiali tradizionali, ecc.);
la storia e gli stili storici. Egli si riferisce, oltre che a Sullivan, anche a Richardson, il quale, quando
operava in campagna e in aperta natura, adoperava un certo tipo di linguaggio asimmetrico, quando,
invece, lavorava in città per la realizzazione di un edificio pubblico, si avvaleva di uno stile storicistico.
Wright, però, non si adegua a tale visione perché non la ritiene culturalmente fondata per il suo
tempo, volendo arrivare ad elaborare un nuovo stile, ovvero il suo scopo principale. Primo di ciò, è
importante considerare varie esperienze vissute da Wright.
Prairie Houses
Casa Winslow di Frank Lloyd Wright
L’edificio viene realizzato nel 1893*3 e ha l’importante ruolo di essere uno dei primi ad inaugurare la
serie delle Prairie Houses. Essa una casa a doppio fronte: una facciata verso l’esterno (la città) e una
verso l’interno (il parco) e sono completamente diverse tra di loro nella logica. In quella esterna, tutto
è simmetrico: portoncino in asse, il blocco centrale simmetrico distinto con un altro colore, finestra
a sinistra e destra. Si delinea, dunque, un’immagine pubblica di grande sobrietà. Le finestre sono a
battenti, piuttosto che scorrevoli (!), mentre il tetto è caratterizzato da falde con inclinazione più
dolce, facendo sporgere molto di più la linea di gronda, creando anche un’ombra molto forte. Dietro,
invece, sembra il risultato di un gioco frobeliano (si notano il cilindro, il cubo, la piramide, prisma a
base ottagonale, corpi avanzanti, corpi arretranti) a causa dell’assenza di un disegno simmetrico e,
quindi, c’è il libero gioco di forme e volumi che rispondono all’esigenza di stabilire un legame con la
natura. Si dice che questa sia un’opera di transizione: mostra un legame con Sullivan per la
tripartizione e la simmetria; è rivoluzionario per la libertà adottata. La pianta: ingresso al centro,
camino (perno della composizione poiché sta al centro). La famiglia Winslow richiede anche una
foresteria all’interno dell’immenso giardino, che viene realizzata così: la simmetria viene messa
nell’angolo e usa un linguaggio di corpi arretranti e avanzanti, di tetti schiacciati e sporgenti. Il dialogo
e il rispetto della natura è molto forte e ciò si nota nella soluzione di costruire il tetto, in prossimità
dell’albero, seguendo l’andamento del fusto. Wright così esterna il suo obiettivo: rigenerare la cultura
dell’abitare in senso americano (vuole eliminare il complesso di inferiorità degli intellettuali americani
nei confronti della cultura europea) e in senso moderno (è cambiato il modo di vivere, c’è il progresso,
la tecnologia). La sua strategia si articola in tre passaggi: spazialità e disegno nuovo; linguaggio
americano e personale; concepire il progetto di architettura cambiando la struttura dello studio
professionale e dando importanza alla tecnologia (considerando cemento armato, acciaio).
Spazialità e disegno nuovo
Durante l’Esposizione Universale di Chicago egli resta molto colpito dall’architettura giapponese: il
Giappone ha presentato una ricostruzione di un tempio tradizionale. Wright resta colpito per alcune
ragioni: il tempio giapponese non è un edificio monumentale (a differenza di una chiesa), ma è
articolato in corpi diversi (padiglioni collegati tra di loro attraverso passaggi e ciò sugella un rapporto
coll’esterno); per quanto riguarda l’esterno, le superfici hanno un segno grafico, basato
sull’orizzontale e verticale (astrattismo geometrico), che suscitano il suo interesse; lo spazio è
composto da un vuoto ricco di significato. L’aspetto importante che nota dell’architettura giapponese
è: lo spazio è fluido e libero, anche se diviso in vari ambienti funzionali, rispetto alla casa occidentale
(composta da stanze molto chiuse servite dai corridoi). Inoltre, tutto ciò va a sposarsi perfettamente
con la tendenza moderna dell’epoca di concepire la casa come uno spazio più piccolo datato di
ambienti capaci di sopperire a più esigenze, in grado di essere flessibili. Ci sono alcuni elementi
dell’architettura giapponese che vengono particolarmente considerati: Genkan, un’area, stante
subito dopo l’ingresso, che funge da filtro tra l’esterno e l’interno ed è il luogo in cui ci si tolgono le
calzature, posizionando quest’ultime con le punte verso l’esterno (generalmente è ribassato rispetto
al livello della casa stessa); la casa giapponese ha sempre un centro, definito Tokonoma, ovvero uno
spazio leggermente rialzato, somigliante a un’ampia nicchia, che non ha alcuna funzione pratica, ma
solo una simbolica, infatti di solito è destinata a occupare un vaso, una stampa, una scritta, un
oggetto. Tale aspetto, nell’architettura di Wright diverrà la zona del camino, il perno simbolico dello
spazio interno grazie al quale si identifica la famiglia; un altro aspetto tipico della casa giapponese
sono i Fusumà, dei pannelli di legno scorrevoli pieni che fungono da filtro tra un ambiente e l’altro.
Del Fusumà esiste una variante nota come Shoji, un pannello che illumina e separa perché invece di
essere tutto pieno, è composto da un telaio ligneo con pannellature di carta di riso (traslucida); nota,
poi, che il linguaggio della cultura giapponese è essenziale, semplice e geometrico, libero da
decorazioni.
Linguaggio americano e personale
Nell’arco di pochissimi anni Wright diventa un architetto molto affermato e ricco, tanto da poter
espandere casa sua e di creare una parte adibita a studio (dove i clienti vengono accolti in una sorte
di reception, c’è un office di distribuzione, una biblioteca, sala da riunione). Egli in questo caso opera
con i materiali della tradizione (legno e mattone), ma assemblandoli in modo inedito: una vetrata che
si incastra in un corpo più arretrato, quasi come se fosse il risultato di un montaggio froebeliano, e
con una fascia che cinge tutto il vetro. C’è un grande sforzo che lui fa nell’elaborare una decorazione
inessenziale, tanto da esser presente una qualità comunicativa coincidente con la struttura stessa.
Internamente ricorrono le aperture che fanno entrare la luce dall’alto, le iscrizioni, si percepisce una
totale padronanza della dimensione tettonica (come si costruisce una copertura, come si usano le
travi, come esse possono essere rivestite, come si possono far incrociare in modo da favorire il
passaggio della luce). Nella Playroom della casa, volendo onorare la storia e quindi il linguaggio
americano, si rifà ai pionieri che andavano progressivamente verso Ovest e agli autoctoni di tali luoghi
(i pellerossa). Ciò lo porta a delle soluzioni molto originali: il lucernario presenta dei motivi decorativi
tratti dalla cultura dei nativi americani; la volta non è in riferimento ai grandi sistemi voltati di Roma
imperiale, quanto piuttosto ai carri dei pionieri americani (visibile nel tema del cerchiaggio). C’è,
inoltre, la presenza di un grande e semplice camino, di una biblioteca, posta in prossimità della porta
d’ingresso, e di un dipinto rappresentante uno sciamano che scruta il cielo nel quale prende forma
una figurazione (chiaro riferimento alla cultura dei pellerossa).
Al minuto 1:00:55.95, Fabrizio dice che Wright è un razzista.
Moderna tecnica del costruire e moderna organizzazione dello studio
Wright si incuriosisce, studia, utilizza e padroneggia le nuove tecniche (cemento armato e acciaio):
diventa tanto bravo che nel 1910, a New York, in occasione di una mostra dell’edilizia, viene incaricato
di progettare il padiglione per l’azienda americana Portland, specializzata nella produzione di
cemento. Wright, inoltre, vedeva il vetro non come qualcosa di passivo nell’ambito della costruzione,
ma lo impiegava come un elemento della costruzione, brevettando dei sistemi nei quali la
tamponatura è di vetro cemento oppure di vetro armato (brevetta dei sistemi di pannellatura in
cristallo, immaginando persino di giungere a sistemi di ‘’muratura’’ realizzata in blocchi di vetro).
Opta, inoltre, per una nuova organizzazione dello studio: crea un grande studio e chiama degli
specialisti per ognuno dei vari aspetti coinvolti nella progettazione delle grandi case. In questa fase,
infatti, egli si occupa principalmente della progettazione di residenze per ricchi imprenditori di
Chicago. Paul Muller fu l’ingegnere e strutturista che rese possibile la realizzazione di molte delle
opere di Wright. Vengono, così, radunati vari esperti: falegnameria, consulenza di disegno
architettonico degli spazi esterni, disegno di mosaici, di tessuto, di vetro, di sculture.
Appartamenti Francisco Terrace
Wright non si occupava solo di architettura destinata a soddisfare i bisogni della classe borghese
dominante, ma anche di edilizia residenziale di massa per la piccola borghesia. È un complesso di
alloggi di piccole dimensioni per la lower e middle class americana. Gli appartamenti sono serviti da
un ballatoio che gira intorno a una corte, misurandosi col tema dell’edilizia sociale con un anticipo di
circa due decenni. L’idea di tenere degli appartamenti in un unico blocco, avente una grande corte
all’interno che da luce, aria e verde, crea uno spazio di condivisione e le premesse di una piccola
comunità. Vi sono delle grandi bocche ad arcate, desunte da Sullivan, che monumentalizzano
l’ingresso. Tutte queste cose si sintetizzano nelle Prairie Houses (case della prateria), ovvero grandi
abitazioni unifamiliari realizzate da Wright tra il 1893 e il 1914 e sono quasi tutte e Oak Park.
Caratteri fondamentali dell’architettura delle Prairie Houses
1-Sintesi di modernità e tradizione
La tradizione viene dai materiali usati, dal ricorso agli archetipi, cioè: il camino (che esprime un
profondo senso americano essendo la traduzione delle rudimentali pietre usate dai pionieri per
accendere il fuoco, facendone la loro ‘’casa’’), che evoca l’essenza dell’abitare americano, un
fortissimo legame con la natura, un passato di nomadismo. La modernità si esprime nel linguaggio,
nella concezione nuova dello spazio. Si può prendere in considerazione la Dana-Thomas House, che
incarna l’idea del tempio giapponese dell’organizzazione in blocchi: una casa realizzata proprio per
padiglioni. Sono presenti i tetti, i mattoni, l’arco, ma è tutto montato insieme e ciò, per l’epoca, è
qualcosa di inedito. Presso l’ingresso c’è una scultura in linea col gusto artistico più sofisticato del
tempo.
2-Spazialità libera e fluida
La nuova spazialità si definisce, in pianta, con l’abolizione del corridoio perché gli ambienti sono
connessi più che collegati: ogni ambiente si trasforma e fluisce in un altro attorno al perno principale,
cioè il camino. Vi sono, inoltre, quote diverse e spazi a doppie altezze. È proprio questo che definisce
una spazialità omogenea e fluida.
3-Controllo Geometrico della dialettica tra spazi aperti e spazi chiusi
Prendendo in considerazione la Martin House, il controllo geometrico avviene: con l’uso dell’angolo
retto, di natura fortemente artificiale; griglia ortogonale soggiacente a tutto che definisce la pianta;
la pianta a croce che Wright adotta è, in molti casi, asimmetrica, ragion per cui presenta dei bracci
che si allungano di più rispetto ad altri. L’uso della croce è giustificato dal fatto che essa presenta
sempre un centro, luogo destinato al camino. La struttura delle case ha, dunque, un nucleo più
interno e dei bracci che partono dal nucleo stesso e si prolungano differentemente tra di loro. Ci
sono, poi, una serie di elementi (muri, muretti, giardini, terrazze, spazi aperti, pergolati, percorsi
scoperti) che collegano i vari spazi dell’abitazione e si conformano come una sorta di dissolvenza
dell’edificio nella natura. C’è un’oscillazione tra un’organizzazione che, qualche volta, è simmetrica e
monocentrica e, altre volte, asimmetrica e policentrica. Le Prairie Houses hanno una ‘tendenza
piramidale’ perché ci sono dei bracci più lunghi sotto, poi, al secondo livello, alcuni bracci si fermano
e al centro prosegue la costruzione delle camere da letto.
4-Natura e Architettura
La natura entra nella casa e la casa va verso la natura. Il bell’edificio rende il paesaggio più bello di
quello che era prima e a sugellare la trasformazione della natura in paesaggio è proprio l’intervento
umano. Il rispetto e l’amore per la natura è subordinato all’amore per l’architettura.
5-Dialettica tra Funzionalità ed Espressione
Le opere di Wright sembrano il prodotto di un montaggio di blocchi: esso non è mai arbitrario. Ogni
pezzo è il prodotto e il risultato non di un capriccio estetico, ma è di un calcolo e analisi razione di
quelli che sono i comportamenti e le esigenze di chi deve abitare in una casa: ogni ambiente deve
avere delle sue dimensioni, orientamento differente, quantità di luce differente, rispetto all’esterno
e agli altri ambienti. E, successivamente, invece di chiudere il tutto in una scatola, si lascia
esattamente estroflesso questo prodotto.
6-Dialettica tra Orizzontalità e Verticalità
C’è una forte connotazione orizzontale di queste opere, però capita che, in prossimità del centro, ci
sono degli elementi che vanno verso l’alto: i camini, i gruppi scala, le torrette di ventilazione, ecc. Si
può considerare la Robie House: viene realizzata in un lotto stretto e lungo, ragion per cui non può
usare la croce. Allora come soluzione propone: i due bracci sul lato corto vengono ruotati e slittati.
L’ingresso principale non è sulla strada, ma si deve fare il giro da dietro, così da vedere l’edificio di
scorcio, e, inoltre, esso è posto alla fine di un percorso. La casa è munita di una sala biliardo (nel piano
basso), di una Playroom con giardino per i bambini, sala per gli ospiti (nel piano superiore). Al centro
c’è il camino con vicino le scale che conducono sopra, allo spazio del pranzo e a quello del soggiorno,
che sono asimmetrici, hanno entrambi una terminazione a spigolo, come se fosse la prua di una
piccola imbarcazione e c’è un’uscita su un grande terrazzo coperto. Nell’altra ala ci sono i servizi
(cucina, dispensa, stanze per i domestici, ecc.). Verso la strada c’è la sala più grande con una
considerevole balconata che affaccia sull’esterno. La committenza chiese: delle viste sull’esterno che
potessero garantire una vista su buona parte di ciò che accadeva, senza, però, dare la possibilità di
vedere dentro; non si volevano tende e armadi a muro; zona separata dei figli con una Playroom a
contatto con l’esterno. C’è espressione di grande dinamismo e tensione che sono quelle che segnano
la casa moderna nella città. Per marcare l’orizzontalità si avvale di molteplici fasce di pietra a più
livelli: attacco del basamento, livello del davanzale, fasce marcapiano, ecc. Inoltre, per i mattoni
sceglie un formato più schiacciato e allungato e l’altezza del giunto tra i mattoni stessi è più alto. La
larghezza del balcone e la sporgenza del tetto non sono casuali o determinati da un fattore estetico,
ma piuttosto per motivi di privacy e introspezione. C’è una grande importanza verso l’esposizione
della luce e verso la protezione dalla pioggia. Con la costruzione stessa, senza impianto, permette di
arrivare a degli standard di sostenibilità ambientali particolarmente elevati. Lo spazio interno è
caratterizzato da travi alte. Per la controsoffittatura si avvale di fasce che si modellano sulle travi,
andando a creare così delle separazioni tra i settori. Il punto di luce non è isolato come un lampadario,
ma viene inserito in un sistema in cui tutto è compreso perché c’è il punto di luce stesso, la lampada,
il portalampada, la fascia della controsoffittatura, la trave, la pannellatura. Tutto è tenuto assieme e
integrato.
7-La Progettazione Integrale
Si intende il controllo totale su tutto ciò che c’è da fare nella casa da parte dell’architetto. Questo
garantisce unità di stile e coerenza, molto in linea con l’Art Nouveau.
*1 N.B.: nel 1876 accompagnato dalla madre vide, all'esposizione internazionale indetta per il
centenario di Philadelphia, i giochi fröbeliani. Ideati dal pedagogista tedesco Friedrich Fröbel, erano
cartoni e cubi di legno dalle forme geometriche, dipinti di colori primari, che guidavano i bambini alla
conoscenza della composizione, della scomposizione di volumi principali in secondari e delle relazioni
tra diverse forme.
*2 N.B.: realizza casa sua nel 1889, Casa Frank Lloyd Wright, a Oak Park (sobborgo residenziale di
Chicago, dove si realizzano le case dell’alta società, che incarna il mito americano della prateria).
L’edificio dall’esterno è dominato da tetti a falde molto inclinate, mentre, osservando la pianta, si
scopre un’asimmetricità della struttura (l’ingresso è sul lato e non nel centro; la terrazza è
asimmetrica). È presente un camino con delle panche e dei pannelli con delle targhe su cui sono incise
delle frasi che dovevano rendere più chiaro il senso dell’architettura o rifarsi a dei principi progressisti
(aspetto che ritorna molto spesso nelle architetture di Wright).
*3 N.B.: quando, in Europa, Victor Horta stava realizzando la prima casa nello stile dell’Art Nouveau.
Storia dell’Architettura, Lezione No. 08
Wasmuth Portfolio
È una pubblicazione molto importante perché avvia la diffusione prima in Germania e Olanda, poi in
Europa, del linguaggio di Wright. Ciò condiziona moltissimo la produzione architettonica e la ricerca
sperimentale. Ebbe moltissimo successo e risonanza, tanto da rappresentare una scossa per tanti
architetti europei. Il Portfolio venne realizzato in collaborazione con la casa editrice tedesca Wasmuth
e contiene i progetti di Wright fino al 1910. Da sottolineare il fatto che la componente estetica delle
tavole era a cura di una talentuosa collaboratrice di Wright, ovvero Marion Mahony Griffin.
Lexington Terraces di Frank Lloyd Wright
Wright lavora a progetti non solo per l’alta borghesia (come le ville a Oak Park), ma si impegna nel
realizzare anche edifici residenziali per la classe media. Il progetto è caratterizzato da appartamenti
di piccolo taglio che vengono assemblati in un organismo. Anche in questo caso c’è una ricerca
tipologica all’avanguardia per l’epoca: progetta nel modo più razionale possibile degli spazi di piccole
dimensioni e di buona qualità spaziale. C’è la presenza di una grande corte centrale alberata che ha
una funzione di condivisione, per compensare l’isolamento molto forte generato dalle unità abitative.
Si nota la presenza di un percorso interno di circolazione che ospita i corpi scala. Queste scelte, in
relazione al tempo (1901), risultano essere soluzioni inedite. Non viene realizzato.
Edifici Pubblici
Unity House/Unity Temple di Frank Lloyd Wright
Si tratta di un complesso religioso. Jenkin Lloyd Jones, zio di Wright, aveva fondato una religione (una
delle tante confessioni cristiane presenti negli Stati Uniti), ovvero la All Souls Unitarian Church (Chiesa
Unitaria di Tutte le Anime), di matrice progressista e pacifista. Jones interpretava la chiesa non come
un luogo dove c’è la parola del Signore che viene imposta al pubblico passivo del fedeli, ma
interpretava una chiesa con un’accezione comunitaria e con una spiccata connotazione sociale: un
qualcosa che non si staccava dal corpo della società. L’idea era quella di avere un tempio in cui il
celebrante è al centro dei fedeli all’interno di un centro spirituale, ma anche ‘sociale’ aperto alla vita
della comunità. Nel 1905 venne affidato a Wright l’incarico di realizzare a Oak Park la Unity House,
all’interno della quale c’è lo Unity Temple. Così, progettò e realizzò tale impianto. Oak Park aveva una
socialità molto bassa essendo un’ampia area verde ospitante delle residenze, ognuna isolata
dall’altra. Il progetto riuscì ad arginare questo deficit. La Unity House è una struttura laica composta
da spazi molto ampi con poche divisioni all’interno e, dunque, molto flessibili per fare riunioni, lezioni,
piccoli concerti, ecc. L’atrio d’ingresso è sopraelevato rispetto al fondo stradale: per arrivare
all’interno dell’edificio si sale una gradinata che porta a una terrazza con parapetto, da cui è possibile
entrare nell’atrio*1. L’atrio è posizionato al centro, tra la Unity House e lo Unity Temple. Lo Unity
Temple è a pianta centrale perché da un punto di vista liturgico, a differenza della chiesa solita in cui
i fedeli sono posti di fronte al sacerdote che celebra: qui il celebrante è posto al centro e intorno si
dispone la comunità, creando un senso di maggiore integrazione. Da un punto di vista geometrico è
molto semplice: la Unity House presenta tre quadrati desunti da quello dell’ingresso; l’ingresso è un
quadrato; lo Unity Temple è un quadrato all’interno di un altro quadrato che definisce l’involucro e
agli angoli ci sono quattro piccoli e cavi quadrati (cavedi), contenenti gli impianti, in prossimità dei
quali ci sono le scale, che collegano la sala con la parte in basso. L’idea progettuale è chiaramente
desunta dal tempio giapponese tradizionale, ma con qualche differenza: nel tempio nipponico
l’ingresso è posto in prossimità di un ampio spazio largo che conduce a un’area più piccola (di
meditazione) e, poi, di nuovo a un luogo ampio. È una sequenza di attraversamento obbligatorio. In
Wright non è così: cambia la posizione dell’ingresso, conferendo all’avventore di scegliere di andare
a sinistra o a destra, in base al voler partecipare alla funzione religiosa o al prendere parte alle
iniziative laiche della Unity House. Tale scelta ha nella storia dell’arte un precedente clamoroso: la
basilica romana*2, un edificio civile avente una forma rettangolare, dove l’ingresso era posizionato
sul lato lungo e ciò garantiva un allungamento dello spazio verso destra e sinistra. Tale caratteristica
venne cambiata con l’avvento del Cristianesimo, con il quale si decise porre l’entrata sul lato corto. I
caratteri fondamentali del progetto sono: simmetria, geometrie semplici, la luce viene dall’alto*3, gli
spazi sono a tutta altezza, le gallerie sono su tutti e quattro i lati, le scale negli angoli. Questi sono
anche i principi su cui si fonda sempre un’architettura pubblica di Wright (fabbrica, ufficio, albergo,
chiesa, ecc.) e che si pongono in netto contrasto con le logiche delle Prairie Houses (asimmetria,
geometrie complesse, estroversione, ecc.). Il progetto si conforma come immagine dell’idea
wrightiana di tempio. In merito al simbolismo: egli si avvale della pianta centrale fondata sul quadrato
e la croce; le facciate sono identiche per sottolineare i principi di unità spirituale e morale; le iscrizioni.
Per quanto concerne le tecnologie, è la prima volta che Wright fa uso su larga scala della struttura in
cemento armato e si avvale anche di un’impiantistica all’avanguardia. La decorazione interna è
geometrica e astratta: usa l’angolo retto, simbolo di modernità e dell’artificiale, e dei segni grafici che
percorrono i vari elementi, per alleggerire la massività della struttura. L’esterno da una forte idea di
fisicità e semplicità.
Larkin Company Administration Building di Frank Lloyd Wright*4
La stessa logica precedente viene adoperata in questo edificio per uffici realizzato (a Buffalo, New
York, 1902-1906) per Larkin Soap Manifacturing Company. L’incarico viene affidato dal
vicepresidente Darwin D. Martin (committente della Martin House). L’azienda è inserita nel campo
della produzione di detergenti e decidono di investire, realizzando vicino alla fabbrica, tale edificio in
cui si doveva svolgere un’attività collaterale: ditta di spedizioni. Il contesto in cui si inserisce è
totalmente opposto al sobborgo immerso nella natura di Oak Park: si tratta del cuore dell’America
industriale, un contesto urbano in cui il lotto considerato è ubicato tra gli impianti e la ferrovia. Con
tale progetto Wright rivoluziona l’edificio per uffici: la geometria è semplice in quanto vi è l’uso, in
pianta, del rettangolo a cui si aggiunge un altro rettangolo più piccolo contente gli ingressi
principali*5. Vengono inseriti due gruppi scala e gli ascensori perché sopra ci sono gli uffici dei
dirigenti. Una volta varcato l’ingresso, si entra in una grande sala a tutta altezza illuminata dall’alto.
Tutto intorno, su vari piani, si trovano gli altri uffici. È un edificio molto introverso poiché lascia poco
spazio alle aperture, realizzato in acciaio e cemento armato. Wright trasforma un elemento
necessario come le feritoie in un qualcosa di esteticamente rilevante, andando a posizionare sulla
loro sommità delle sculture (un po’ riprendendo l’operato dei grandi maestri dell’architettura gotica).
È un’invenzione assoluta e coraggiosa in quanto la rinuncia a fare dei solai piano per piano per
preferire una ‘piazza’ coperta da un lucernario crea l’idea di open office: l’assenza di muri e spazi
piccoli permette ai lavoratori si concentrarsi sul proprio lavoro e di avere anche contatto visivo col
prossimo, secondo principi di unità e condivisione. Nasce così il concetto di ‘capitalismo familiare’ nel
segno di un inedito comunitarismo aziendale. Da un punto di vista progettuale, tale scelta sembra
indicare una considerevole perdita di spazio, ma così non è: lo spazio che si perde per attuare tale
disposizione degli ambienti lo si guadagna evitando la realizzazione dei percorsi di distribuzione. I
livelli superiori sono formati da grandi ballatoi con parapetto, che prendono indirettamente luce
dall’alto, dai quali ci si può affacciare e sentirsi parte della stessa comunità. Oltre a ciò, Wright realizza
una sala riunioni (per socializzare nelle pause), una biblioteca (per l’idea progressista di riscattare il
lavoro di ufficio), igiene, in nome del paternalismo liberal e della retorica dell’azienda che ha cura dei
propri dipendenti. Questa architettura, rispetto al tempo in cui venne realizzata, è stata vista come
una protesta. Purtroppo a causa di problemi economici e crisi, l’azienda mette in vendita l’edificio in
quanto, con Wright, nasce un valore commerciale relativo alla qualità dell’architettura e alla firma
dell’architetto. Non viene comprato, ragion per cui viene abbattuto, lasciando solo un piccolo pezzo
celebrante la memoria di questa grande opera. In seguito, sulla base dei disegni e delle foto d’epoca,
sono stati realizzati dei render, grazie ai quali è possibile vedere un interno caratterizzato da mattoni
bianchi, lampioncini per l’illuminazione artificiale, suppellettili, l’uso di parole esplicative il significato
dell’architettura stessa.
Midway Gardens di Frank Lloyd Wright
Edificio a uso collettivo realizzato a Chicago nel 1914 e demolito nel 1929. Si tratta di un complesso
urbano di grandi dimensioni destinato al tempo libero, al divertimento, al ballo, ecc. Anche qui c’è un
grande vuoto, essendo a cielo aperto, e delle gallerie. Inoltre era prevista una struttura a semicerchio
ospitante un palco, sul quale si esibivano i musicisti di musica jazz. Risulta essere un organismo molto
complesso composto da una serie di terrazze, gallerie porticate in una composizione assiale centrata
sulla conchiglia dell’orchestra. Nella stagione estiva era solito trovare lo spazio occupato di numerosi
tavoli grazie ai quali era possibile consumare da bere, stare in compagnia, sviluppare rapporti sociali,
ecc. Per l’inverno c’era uno spazio coperto da un lucernaio. La logica degli ingressi ricorda quella
adoperata per il Larkin Building. È uno dei simboli dell’exploit tecnico di questi anni in quanto venne
realizzato in circa tre mesi dall’ingegnere Mueller. Il progetto risponde alla mania del ballo: esso si
ispira alle Edelweiss Gardens, ovvero birrerie-giardino all’aperto tedesche con musica. Il linguaggio è
molto più articolato perché si tratta di uno spazio che deve trasmettere divertimento. Alla fine degli
anni ’10 il suo studio si scioglie, ragion per cui lo realizza e organizza in maniera differente.
Evento di cronaca
Wright aveva una residenza, Taliesin, dove era andato a vivere con una bellissima donna, Mamah
Borthwick Cheney, la moglie di un suo committente. Tutta la stampa bigotta, tradizionalista, religiosa
americana attaccò l’una e l’altro. Accade che un loro domestico, un fondamentalista cristiano,
schiacciato da questa propaganda martellante, decide di punire la donna uccidendola con un’ascia,
insieme ai suoi figli e altre quattro persone, appiccando un incendio. Wright non era presente perché
si trovava in Giappone, a Tokyo, per prendere accordi in merito alla realizzazione dell’Imperial Hotel.
Imperial Hotel di Frank Lloyd Wright
L’opera è ispirata ai Midway Gardens perché ci sono: il giardino all’interno, le gallerie porticate, i
percorsi di accesso coperti, il ristorante, ma rielaborati per conformarli alle esigenze di un hotel e,
quindi, rispettivamente, essi si definiscono in atrio, ambienti con camere, terrazze caffè, auditorium.
Ci fu un terremoto devastante a Tokyo nel 1922: fu tutto distrutto, tranne questo edificio e ciò
sottolineò l’avanguardia strutturale e tecnologica dello stesso (altro grande successo di Mueller). Egli
utilizza molto la pietra locale e si rifà all’idea di ‘costruzione per padiglioni’ e inserisce vasche con
giochi d’acqua. Vi è un forte legame e dialogo con la tradizione locale, forte presenza di temi
decorativi. Nel linguaggio egli fonde elementi giapponesi con elementi precolombiani americani
desunti dalla cultura azteca e inca.

*1N.B.: l’atrio presenta tale conformazione su entrambi i lati, avendo due ingressi.
*2N.B.: edificio in cui si amministrava la giustizia, si facevano affari, ecc., quasi come una grande piazza
coperta.
*3N.B.: la struttura presenta poche aperture verso l’esterno, ragion per cui risulta introversa, ma il
respiro non manca perché l’illuminazione viene invece garantita da un lucernario che introietta la
luce dall’alto. Tra il lucernario e lo spazio interno c’è un filtro: un cassettonato che raccolgono la luce
e la proiettano giù come fasci.
*4N.B.: il professore all’esame lo chiederà nominandolo Larkin Building.
*5N.B.: nell’edificio si entra dalla strada, dopo aver superato un cancello, si percorrono dei gradini
per arrivare nell’atrio, da cui si accede nella grande hall, la quale si incastra nel corpo dell’edificio.
Nella stessa hall giunge l’altro ingresso posto simmetricamente.
Storia dell’Architettura, Lezione No. 09
Art Nouveau
Contemporaneamente alla progettazione di Wright delle Prairie Houses (abitazioni per l'alta società
di Chicago) e dei primi edifici di uso pubblico, in Europa accadeva qualcosa di estremamente
rilevante: nel 1893 nasce l'Art Nouveau (data in cui, da ricordare, Wright progettò Casa Winslow). Le
date arbitrarie che definiscono il periodo di questo movimento sono 1893-1918: la prima coincide
con la realizzazione a Bruxelles, da parte di Victor Horta, di Casa Tassel; la seconda è la chiusura di
un'epoca poiché sancisce la fine della Prima Guerra Mondiale. Vi è un problema storiografico che
pone l'Art Nouveau o come l'ultima espressione artistica dell'Ottocento (e quindi ha in sé elementi
che sono ancora legati all'architettura ottocentesca) o come primo fenomeno del Moderno: vi sono
storici che sostengono la prima (es. Manfredo Tafuri) o la seconda (es. Bruno Zevi) idea. Il professor
Menna sostiene che la verità si trova nel mezzo: sicuramente l'Art Nouveau ha dei caratteri legati alla
cultura borghese ottocentesca, ma anche degli elementi di assoluta innovazione sul piano
architettonico, culturale, concettuale, teorico, filosofico, che hanno portato al Novecento. I tratti di
innovazione e di rottura che hanno preannunciato la modernità sono maggiori di quelli che
richiamano il XIX secolo.
Fonti e premesse
L'Art Nouveau esplode all'improvviso e si diffonde come un incendio in un pagliaio ovunque, con una
rapidità senza precedenti nella storia. Vi sono varie fonti che preannunciano tutto ciò: alcuni tessuti
di William Morris; la cultura britannica dell'Ottocento: Preraffaelliti, Walter Crane (che teorizza come
origine dell'arte la linea, tant'è che figura questo stesso argomento figurandosi un fidanzato che ,con
un sasso, incide il profilo della donna proiettata come ombra sulla caverna*1), Mackmurdo
(esponente dell'Art and Craft realizzatore di sedie e copertine); la cultura giapponese (già
estremamente rilevante per Wright), che diventa molto importante per l'Europa perché per tutto
l'Ottocento, soprattutto in Francia e Inghilterra, si diffonde il giapponismo (culto per tutto ciò che
viene dal Giappone, che ha portato gli artisti a concepire la forma in modo diverso rispetto a quello
che era definito dalle regole accademiche per quanto riguarda i soggetti, la rappresentazione dello
spazio, tanto da aver, in parte, influenzato i caratteri dell'arte impressionista e post-impressionista).
Molto autori di libri, come Christopher Dresser, quando si occupano e di capire il Giappone prendono
in esame l'intero ventaglio della progettazione (considerando aspetti come lo spazio, la disposizione
degli ambienti, le decorazioni, gli oggetti d'uso, stemmi, marchi) (es. Principi di Design Decorativo,
che si occupa dei fregi, delle decorazioni; il Giappone, la sua architettura, la sua arte e le sue arti
applicate); altro elemento fondamentale è l'interesse per il mondo rurale con tutte le sue forme
(come ad esempio Sullivan che si interessa moltissimo di stabilire una relazione tra l'organismo
architettonico e quello vivente), ma ciò non si traduce solo in una mera imitazione, quanto piuttosto
ci si sofferma sulla natura considerandola un campo di forze dinamiche (es. Sullivan intendeva
l'edificio come un qualcosa che è animato al suo interno e si da come equilibrio temporaneo di azioni
e reazioni); ulteriore fonte da considerare è il razionalismo strutturale architettonico (nell'Ottocento
si sviluppa in architettura una forte attenzione dal dato tettonico e costruttivo al punto tale che lo
storico August Choisy fa una storia dell'architettura, non considerando solo gli stili in sé, ma
prendendo in esame gli stili come un qualcosa di determinato dalle strutture)*2; c'è stato un
contributo proveniente anche dalla pittura: in Francia e in Belgio, la parte della cultura post-
impressionista (in antitesi coll'impressionismo) ha costruito il suo linguaggio sul punto (es. Una
domenica pomeriggio sull'isola della Grande-Jatte di Georges Seurat) o sulla linea che marca le figure,
le quali vengono campite omogeneamente (cloisonnismo, che concepisce la forma come un sistema
di insiemi ognuno nettamente definito da una linea marcata e sinuosa); il simbolismo tipico dei
sintetisti, il cui esponente principale è Gauguin, e dei i nabis (di origine ebraica e significa "profeti")
porta alla realizzazione di opere che rompono con la tradizione.
Caratteri dell’Art Nouveau
1. Stile Internazionale
È un fenomeno che non solo si diffonde rapidamente dove nasce, ma ovunque. Esso riceve varie
denominazioni a seconda della nazione: in Italia è noto come Stile Floreale (usato per definire
l’architettura soprattutto) e Stile Liberty (con riferimento agli oggetti); in Francia è chiamato Art
Nouveau, Style Jules Verne (scrittore di fantascienza), Style Guimard (architetto francese più
importante dell’Art Nouveau), Style Métro (perché le stazioni della metropolitana di Parigi sono
decorate con tale linguaggio); in Belgio è denominato Style Horta, Art Nouveau, Style Nouille; in
Germania è qualificato come Jugendstil; in Austria prende il nome di Sezessionstil (Secessione); in
Spagna si ha Arte Jòven e, in Catalogna, Modernismo; in Inghilterra è classificato Modern Style o
Studio Style (nome di una rivista). Le ragioni della rapida diffusione sono legate al fatto che non si
aspettava altro che uno stile nuovo e moderno, per cui viene immediatamente accolto. L’Ottocento
è stato il secolo delle città e della borghesia, la quale spazza via l’aristocrazia: se c’è uno stile che
incarna gli aspetti borghesi e urbani è proprio l’Art Nouveau. Ciò è rafforzato dal fatto che il nome
deriva, per la prima volta, da tipici esponenti della borghesia: commercianti, imprenditori,
importatori: Art Nouveau era il nome di un negozio a Parigi, di proprietà di Siegfried Bing, dove
venivano venduti oggetti in questo nuovo stile; un imprenditore di Londra aveva il nome di Sir Arthur
Laseby Liberty, possessore di un negozio di nome Liberty a Regent Street. La sua diffusione è favorita
anche dalle varie Esposizioni Universali ed Esposizioni delle Arti Decorative: lo sviluppo dello Stile
Floreale in Italia avviene dopo un’Esposizione a Torino del 1902, dove Raimondo D’Aronco realizza
un padiglione con i canoni di questo nuovo stile. Le riviste ebbero una risonanza molto consistente
dettato anche dal modo in cui venivano realizzate le copertine (linee curve, figura femminile,
elementi floreali): Simplicissimus, Jugend, Versacrum (Germania); The Studio (Inghilterra); The Chap-
Book (America); Emporium, Architettura e Arti Decorative (Italia). Il ruolo della pubblicità è
fondamentale e ritrova un alleato formidabile nel cartellone: erano realizzati da grandi artisti come
Van de Velde, Mucha, Cheret. In questo modo tale linguaggio si è diffuso e, poi, imposto nella
pubblica opinione. Altra ragione della rapida diffusione è la tendenza dell’Art Nouveau ad avere la
flessibilità e capacità di adattarsi ai vari contesti nazionali, soprattutto grazie a un sapiente uso della
tradizione artigianale: in ogni Paese ha saputo confrontarsi con la tradizione degli stessi,
conformandosi eterogeneamente da luogo a luogo. Grande importanza ce l’hanno le associazioni di
produttori: Century Guild e Art Workers Guild (Mackmurdo e Crane) in Inghilterra; Aemilia Ars in
Italia; Weiner Werkstatten in Olanda; Scuola di Nancy (dove nasce proprio l’Art Nouveau*3) in
Francia; Colonie di Talaskino e Abrantsevo in Russia.
2. Un vero e proprio Stile
L’Art Nouveau si è espresso in tutti i campi dell’universo estetico. Grazie ad essa si è superata la
gerarchia tra arti maggiori e arti minori. Si comincia a guardare alla produzione industriale in modo
diverso: si va oltre l’idea che vede l’artigianato meccanizzato come un qualcosa che non può
raggiungere la bellezza dei prodotti fatti a mano. Le influenze arrivano in pittura, scultura,
architettura, decorazioni, disegno delle infrastrutture, arredi urbani e tutto ciò che ha a che fare con
il design for the built environment (es. metropolitane, panchine, lampioni, insegne, numeri civici) *4.
Nel campo dell’architettura degli interni c’è un ripensamento di consolidate tipologia tradizionali
(arredi, parapetti, vetrate, ecc.). Altri campi che vengono presi in considerazione sono: stoffe,
rivestimenti in tessuto, carte da parati, fotografia, abbigliamento, manifesti, locandine, grafica
editoriale, stampa, grafica, acconciature, gioielli (es. il progetto di spilla con api e ombrellifere di René
Jules Lalique), lettering.
3. Interclassismo
È vero che l’Art Nouveau è lo stile della borghesia, però una delle ragioni del successo è il fatto che
in esso si riconoscono tutte le altre classi: aristocrazia, media e piccola borghesia, proletariato. Si
ritrovano dunque casi in cui gli architetti lavorano, a distanza di pochi anni e con il medesimo stile, a
opere ora commissionate dalla borghesia capitalista ora dalla classe operaia (es. Casa del Popolo di
V. Horta). Il perché la borghesia sia così legata all’Art Nouveau è legato alle origini del fenomeno
stesso, mentre i lavoratori la apprezzano perché tale fenomeno è indice di rivoluzione, di progresso
e di futuro, un futuro di giustizia sociale. A sostegno di ciò, il socialista Henry Cazalis aka Jean Lahor
(medico) fonda la Società Internazionale dell’Arte Popolare, scrive ‘L’Art Nouveau’ e ‘Le abitazioni a
buon prezzo’.
4. Rottura con il passato
L’Ottocento è stato un secolo incapace di creare un suo stile fino a questo momento, a causa della
concezione di un ‘eterno ritorno’, cadendo così nell’eclettismo storicistico. Tutto questo viene ora
ostacolata da un’ideologia positivista incentrata sul progresso. Vi è un rifiuto degli stili per liberare la
forma dagli schemi del passato, sulla base di una forte tensione intellettuale, creativa e immaginativa,
con un desiderio di libertà molto forte, e di nuove tecnologie e materiali. Nasce la concezione di un
uso moderno dei materiali, anche di quelli più antichi: nuove tecniche (curvatura del legno col vapore;
curvatura putrelle del ferro); contaminazione, cioè mettere insieme materiali diversi, aspetto che
nelle accademie era sacrilego (ferro, pietra, mattoni, legno, mosaici, vetri, ceramica).
5. La Natura
Quando si vuole rifiutare la storia, perché la si ritiene coefficiente di attrito ostacolante il progresso,
si sceglie la natura: si esprime non solo nella realizzazione di ornamenti ripresi dal mondo naturale,
ma soprattutto nella progettazione di oggetti assenti nella natura che, però, sono conformati in modo
da ricordarla, quasi come a voler rappresentare l’energia organica e vitale della stessa. Il simbolo
dell’Art Nouveau in Germania è un ricamo con il filo dorato noto come Il Ciclamino o La Frustata, fatto
da Hermann Obrist: un movimento sinusoidale senza fine di curve dello stelo. La natura è di
riferimento anche per i sistemi strutturali. Uno dei soggetti scelti è il pavone: un animale affusolato,
elegante, sinuoso.
6. Simbolismo
Tutta l’Art Nouveau è simbolista e il simbolismo si diffonde ampiamente in tutta Europa dagli anni
’80 dell’Ottocento agli anni ’20 del Novecento. Alcuni esempi possono essere: il letto ‘Alba e
Crepuscolo’ di Emile Gallé; l’Atelier Elvira di August Endell. Spesso gli artisti si ritrovano a raccontare
delle storie con gli oggetti che realizzano: storie di grandi inquietudini e tormento. La figura femminile
viene caricata di significato simbolico, tanto che personalità come Klimt, per rappresentare
qualsivoglia tema, scelgono proprio la donna (es. Giuditta di Klimt).
7. Logica compositiva e linguaggio
Il ventaglio di contenuto si riflette in architettura attraverso vari punti: volontà di integrazione, cioè
che tutto deve rispondere, in un ambiente che viene vissuto, a un principio di coerenza stilistica, così
come ogni oggetto deve essere relazionato all’architettura in cui viene inserito (es. una scrivania
d’ufficio che è stata presentata, per una mostra internazionale tenuta a Monaco di Baviera, da Henry
van de Velde: egli la definisce ‘un ambiente da lavoro’ e dice che ogni stanza ha un nodo centrale da
cui si irradia la vitalità e intorno a cui tutti gli altri oggetti devono articolarsi e ordinarsi; in base tale
struttura della stanza si ordinano i vari pezzi d’arredo che saranno percepiti come organi viventi*1);
componente lineare, cioè che l’Art Nouveau è uno stile lineare in cui, appunto, domina la linea, dove
tutto tende a essere dinamico; componente geometrica (l’Art Nouveau ha sia una matrice organica
naturalistica e lineare sia una matrice geometrica, tipica di Mackintosh); rapporto figura-sfondo,
nell’arte cambia la relazione tra la figura e lo sfondo perché non si assiste più a una subordinazione
del secondo al primo, ma essi si connotano di pari dignità, andando a generare effetti bidimensionali;
ornamento, il tema centrale dell’Art Nouveau e che van de Velde indica come un qualcosa avente la
funzione di strutturare la forma; dinamismo; stilizzazione, cioè semplificare e ridurre un certo oggetto
nei suoi elementi fondamentali ed essenziali che, talvolta, risultano astratti o simbolizzati.

*1 N.B.: è fondamentale ricordare che uno dei tratti distintivi dell'Art Nouveau è l'uso della linea
mobile.
*2 N.B.: altri storici che si impegnano in questo campo sono: Viollet-Le-Duc (architetto, storico,
teorico francese, fu una grande figura dell'Ottocento europeo essendo uno dei padri della cultura del
restauro e profondo conoscitore della storia), il quale sosteneva che i nuovi materiali (es. il ferro),
non solo potevano essere impiegati, ma potevano anche essere esibiti coesistendo con la pietra ed
essere lasciati a vista. Ciò non veniva fatto precedentemente. La coesistenza dei vari materiali è
proprio un ulteriore aspetto tipico dell'Art Nouveau.
*3 N.B.: dai canoni estetici perpetrati da questa scuola Victor Horta prende ispirazione per la
realizzazione a Bruxelles di Casa Tassel.
*4 N.B.: Ernesto Basile fece di Palermo una delle capitali dell’Art Nouveau realizzando il salone del
Grand Hotel Villa Igiea, dove mobili, soffitto e boiserie sono eseguiti dalla ditta Golia-Ducrot, mentre
gli affreschi alle pareti sono opera del pittore palermitano Ettore De Maria Bergler.
Storia dell’Architettura, Lezione No. 10
DISCLAIMER: la lezione è stata sostenuta dall’assistente, ragion per cui si consiglia di approfondire
con fonti esterne.
Barcellona
Il tutto si svolge in questa importantissima città catalana. Nell’Ottocento le città subiscono un
processo di rimodernamento determinato da una molteplicità di fattori: mezzi di trasporto e
locomozione, necessità di implementare strutture amministrative fondamentali (macelli, stazioni,
municipi, stazioni, carceri, tribunali), necessità di rimodellare le città sulla base di alcune spinte
conseguenti i moti rivoluzionari del 1848, quando ci si rese conto che le strade medievali piccole e
tortuose erano d’ostacolo per l’intervento delle forze statali. La pianta di Barcellona, prima
dell’intervento di Ildefonso Cerda, era caratterizzata da un nucleo storico (Barrio Gotico) circondato
da mura, con il mare a sud, il fiume Besòs ad est e il quartiere di Gràcia a nord. Barcellona venne poi
conquistata dall’amministrazione centrale madrilena e divenne parte della Spagna, iniziando un
percorso di rivendicazioni autonomiste. La borghesia catalana ritenne che fosse arrivato il momento
che la città conoscesse un’espansione per uscire dagli angusti limiti dell’impianto medievale segnato
dalle mura. Dopo una lunga battaglia vennero abbattute le mura e fu indetto un concorso di
progettazione, al quale si classifica come primo un architetto, Antoni Rovira i Trias, il cui disegno di
espansione era composto da: una grande piazza posta a ridosso del centro storico, determinando
una nuova centralità e immagina l’espansione urbana come un ventaglio. Nel 1859 l’amministrazione
madrilena, contrariamente alla logica di rispetto dell’autonomia locale, impose il piano elaborato da
Ildefonso Cerda, cancellando gli esiti del concorso, il quale si basa su un preciso modello di
espansione: la griglia ortogonale di matrice ippodamea*1. Nel gioco di astrazione introdotto da Cerda
con la griglia, si perde un po’ di vista gli elementi di equilibrio della città: rapporto tra le persone,
identità dei luoghi, rapporto con gli spazi. Le innovazioni che Cerda introduce nel modello ippodameo
sono: elementi di ruralizzazione (fare in modo che la città non sia solo costruita, ma implementare
elementi naturali); caratterizzazione degli isolati tramite due aspetti fondamentali: superamento del
modello di isolato a corte, preferendo il costruito solo su due lati e lasciare il resto al verde, mentre
la lunghezza degli isolati stessi fuoriesce da precisi calcoli matematici in relazione al numero di
residenti, alla larghezza delle strade, all’altezza degli edifici, ecc.; taglio degli angoli sia per motivi
funzionali legati al traffico, sia per la creazione di piazze che determinano la vera forza urbana di
Barcellona. Benché questa fu la proposta di Cerda, in seguito ci furono dei cambiamenti conseguenti
ai regolamenti edilizi: aumento della sezione, costruzioni al centro, chiusura della corte,
sopraelevazione. Il grande impianto a griglia viene poi caratterizzato da due strade diagonali su cui si
concentra l’afflusso maggiore di traffico. Il tratto fondamentale del progetto di Cerda è l’assenza di
un centro (acentrico), a differenza della proposta di Antonio Rovira. Ciò, da un punto di vista della
rendita urbana determina una condizione omogenea su tutto il territorio.
Antoni Gaudì
È a Barcellona che si svolge principalmente la sua attività progettuale e rappresenta con le sue opere
(caratterizzate da forme e colori estremamente espressivi) la città stessa. Gaudì, il 7 giugno del 1926,
venne investito da un tram e morì. Quando venne trovato, egli aveva un soprabito logoro e abiti
malridotti, ragion per cui non fu riconosciuto immediatamente. Gaudì versava in tale condizione a
causa della scelta di interrompere tutti gli incarichi professionali, dedicandosi alla realizzazione della
Sagrada Familia, arrivando a trasferire il suo studio sotto la cripta dell’opera stessa: visse, così, in
simbiosi con la sua opera, col suo pensiero architettonico e quello religioso. Gaudì era un grande
conoscitore della storia dell’architettura precedente, delle tecniche costruttive e dei materiali ed egli
unì tali conoscenze a un’immaginazione senza eguali. Il suo stile di riferimento era il gotico, visto
come un momento della storia in cui il valore costruttivo assumeva un aspetto anche
rappresentativo*2. Era capace di immaginare delle strutture utilizzando degli elementi costruttivi di
poco valore economico, come le rasillas (mattoncini tenuti insieme con malte di gesso, le quali si
dilatavano quando si indurivano, generando un effetto di compressione sui mattoni stessi,
consentendo il mantenimento delle volte senza l’ausilio di centine). Essendo autore di opere che non
prevedevano strutture regolari, ma tendenti ad avere forme inedite e inusuali, Gaudì calcolava egli
stesso le strutture grazie alle quali i suoi progetti si potessero reggere: lo faceva avvalendosi del
metodo dei poligoni funicolari: l’analisi sulla deformazione del filo determina la curva dei momenti e,
ribaltandola, si ricava la struttura che può resistere a un determinato carico.
Casa Vicens di Antoni Gaudì
È uno dei primi incarichi che realizza per la borghesia catalana, in particolare per la famiglia Vicens,
produttrice di piastrelle. La casa si sviluppa intorno a un ingresso, a una serra, a una camera da pranzo
e a un elemento centrale. L’architettura viene rappresentata utilizzando a piene mani gli stili del
passato: maioliche mediterranee ed arabe, le gelosie arabe, gli elementi strutturali desunti dal gotico.
Il tutto viene rielaborato in modo da essere in linea coi principi del modernismo. Per gli interni: uso
di maioliche, arredi disegnati da lui stesso.
Cripta de la Colonia Güell di Antoni Gaudì
In seguito inizia a progettare per Eusebi Güell, rappresentante di una parte della borghesia catalana,
uomo religioso e cristiano come lo stesso Gaudì, era notevolmente ricco (grazie alla tratta degli
schiavi). All’interno di quest’opera egli si avvale dell’uso di un arco parabolico (desunto da un arco
gotico), il quale è privo di punto di cuspide.
Palazzo Güell di Antoni Gaudì
Nel quartiere più malfamato della città (Barrio Gotico), Güell decise di costruirsi il proprio palazzo.
L’edificio è composto: da una sala di musica posta al primo livello, sulla quale, tramite dei loggiati,
affacciano i piani superiori, fino alla sommità caratterizzata da una cupola avente embrici aperti,
finalizzati all’introduzione di luce. La sala di musica rappresenta il perno di tutta la composizione del
palazzo. L’edificio, costruito in appena due anni, venne realizzato con un dispiego considerevole di
fondi, di materiali pregiati (ottone, oro per le decorazioni, legni pregiati per porte con intarsi
metallici). Vennero previste anche delle cantine. Güell con tale architettura volle ottenere natali nobili
che non aveva.
Park Güell di Antoni Gaudì
Il Park Güell di Barcellona è stato progettato da Antoni Gaudì tra il 1900 e il 1914 per conto di Eusebi
Güell. È un parco residenziale realizzato sulla collina di Gracia, dove si pensava di rispondere
all’esigenza di abitazione nuova e moderna della borghesia catalana. Nel parco vengono realizzati due
edifici: casa del custode e casa di Gaudì stesso. Viene progettata anche una scalinata che reggeva un
grande spiazzo all’aperto circondato da una serpentina*3 dove Gaudì fa molto utilizzo di un elemento
suo tipico: Trencadìs, ovvero la composizione di pareti grazie a maioliche rotte. Con tale tecnica
definisce il valore estetico della seduta a serpentina, la quale è il tratto fondante del luogo. Inoltre
con il Trencadìs decora anche i suoi caratteristici ed espressivi camini. Il mercato è sorretto da un
colonnato dorico rivisitato. Si ritrovano elementi strutturali che, dopo un’accurata analisi della
natura, si conformano seguendo azioni e movenze naturali: esempio possono essere i piedritti
inclinati impiegati per sorreggere un peso.
Casa Battlò di Antoni Gaudì
Al centro di Barcellona, nel quartiere della discordia, Gaudì realizza la Casa Battlò. È un edificio per
appartamenti (uno per piano) il cui tetto ricorda la schiena di un drago. I camini sono disegnati come
se fosse gli elmi di guerrieri medievali. Vi è l’utilizzo di strutture antropomorfe per disegnare i bow-
window e di maioliche, le cui gradazioni cromatiche sono utilizzate in modo da porre quelle più scure
in prossimità alla luce.
Casa Milà di Antoni Gaudì
È un edificio con tre corti interne. Si tratta di un’architettura composta da pietra sorretta da acciaio:
le pietre vengono scalpellate e modellate in modo che esse possano ospitare all’interno delle travi in
acciaio che sorreggono i pilastri. Il tutto è caratterizzato da una gradazione di bianchi, da maioliche,
da un tetto che, ancora una volta, ricorda la schiena di un drago e da camini realizzati in opera sul
disegno di Gaudì. L’opera viene chiamata anche La Pedrera perché ricorda uno scoglio eroso dal
mare.
La Sagrada Familia di Antoni Gaudì
È una architettura complessa i cui tratti distintivi sono: dodici torri dedicate agli apostoli; è una chiesa
che voleva pareggiare con quella di San Pietro a Roma; è una chiesa a cinque navate e con tre ingressi;
la pianta ricorda i caratteri dell’architettura gotica. Qui realizza il suo studio, nella cripta, dove viveva
circondato da scheletri, simboleggianti l’ammonimento sulla vanità della vita e oggetti di studio per
le sue strutture mirabolanti.

*1 N.B.: la griglia è un’astrazione mentale ed è un qualcosa che non tiene conto dello spazio e
dell’orografia del terreno, rivendicando la superiorità della costruzione mentale sulla realtà.
*2 N.B.: nell’Ottocento venne coniato il termine ‘tettonica’, che è in riferimento alla struttura degli
edifici. Dire che un’architettura è tettonica significa che essa esplica nella sua rappresentazione la sua
stessa struttura.
*3 N.B.: qui era previsto un mercato, perimetrato da una grande seduta realizzata con la tecnica del
Trencadìs.
Storia dell’Architettura, Lezione No. 11
DISCALIMER: Se vuoi approfondire laddove ti sembra poco, fallo.
Henry van de Velde
Nell’Art Nouveau esistono due grandi correnti: una volta alla rappresentazione della natura e si fonda
sulla linea sinuosa (organico-naturalistica); l’altra incentrata su metrici geometriche, manifestatosi in
modo più ridotto in Paesi come gli U.S.A., Scozia e Vienna.
Van de Velde è un autore che parte da un certo tipo di linguaggio per poi comprendere che l’Art
Nouveau è un fenomeno inadatto alla conformazione dello spazio moderno. Ragion per cui si
interroga in merito a tale questione, arrivando concepire la razionalità come soluzione. Henry van de
Velde è nato ad Anversa nel 1863 e la sua carriera sarà lunghissima poiché spirerà all’età di 94 anni,
lavorando fino agli anni ’30 e ’40 del Novecento, partecipando anche a un’Esposizione a Parigi, dove
realizza un padiglione. All’età di 18 anni frequentò l’Accademia delle Belle Arti, dove si formò con un
linguaggio accademico e, in seguito, si trasferì a Parigi per entrare a far parte di un piccolo gruppo di
artisti, grazie ai quali ebbe modo di avere contatto col neoimpressionismo francese. Tra i suoi colleghi
era presente Georges Seurat, dalla cui tecnica fu influenzato. Van de Velde è stata una figura
completa a 360°: formatosi come artista, si chiede se fosse giunto il momento che gli artisti iniziassero
a prendere la responsabilità di applicare l’arte alla realtà; fu architetto, arredatore, stilista; maniaco
del controllo, egli era dell’idea di dover progettare tutto, dalla macro alla micro scala. In seguito
decise di ritornare in Belgio: nel 1889 aderisce a I Venti, un gruppo di artisti fondato da Octave Maus
e Théo van Rysselberghe: grazie a quest’ultimo conobbe sua moglie, Maria Sèthe, esperta decoratrice
di interni che collaborò col coniuge per una serie di progetti. I Venti nascono in risposta a un rifiuto
da parte di un gruppo francese e si impegnano nell’organizzare una serie di esposizioni aperte a tutte
le tendenze artistiche all’avanguardia, non solo relative alla pittura, ma anche alla musica, letteratura,
ecc. Van del Velde iniziò pian piano a cimentarsi in composizioni molto distanti dai canoni accademici
(es. Composizione Astratta che rappresenta una zucca tendente alla fioritura per poi conformarsi
come un’astrazione). Henry van de Velde era in accordo con il pensiero socialista di William Morris (il
quale a sua volta era stato influenzato da Marx ed Engels), benché era consapevole del fatto che il
progresso non poteva non essere accettato: il suo obiettivo era quello di assegnare qualità agli oggetti
prodotti in serie. Rifiuta, dunque, da un lato l’industrializzazione, in quanto comporta la realizzazione
di oggetti non particolarmente complessi. L’ultima decade dell’Ottocento decide di trascorrerla
presso la casa di sua zia, un’esperta ricamatrice: van de Velde si cimentò anche in questa forma d’arte
arrivando a realizzare un arazzo conosciuto come La Veglia degli Angeli (opera che esprime il disagio
che gli artisti stavano sentendo in quel momento: concretizzare l’arte nella realtà). Insieme a Victor
Horta, fu il principale esponente dell’Art Nouveau. Van de Velde fu, inoltre, particolarmente attratto
dal mondo della grafica (es. Poster Tropon realizzato per un’industria di ricostituenti, un’opera che
sintetizza entrambe le due grandi correnti dell’Art Nouveau). Nel 1898 van de Velde decise di
abbandonare completamente il mondo della pittura per dedicarsi all’architettura, con uno scopo
preciso: affermazione di una cultura del progetto moderno come strumento di emancipazione
culturale, etica e sociale. Ciò era possibile grazie all’affidamento totale all’artista di ogni forma e
processo della produzione artistica, artigianale e industriale: assumersi il difficile compito di
progettare tutto. I suoi primi lavori vennero realizzati in stretta collaborazione con il connazionale
Octave Van Rysselberghe, in particolare per la realizzazione di due alberghi a Bruxelles: l'Hotel Otlet
e l'Hotel De Brouckère. Qui van de Velde si occupò della riprogettazione degli interni che vengono
declinati in stile completamente Art Nouveau: carte da parati, pareti smussate, ecc.
Casa Blomenwerf di Henry van de Velde
Per la realizzazione di tale residenza, van de Velde collaborò con sua moglie Maria Sèthe. L’opera
venne compiuta per la famiglia van de Velde. L’edificio presenta in facciata tre tetti con linee
triangolari spezzate e poi si notano delle fasce verticali scandenti il tetto stesso. La pianta è un
esagono irregolare non solo per conferire dinamicità, ma anche perché si voleva concepire la casa
come un organismo vivente, dove ogni organo è strettamente dipendente da ogni altro e dal tutto:
si considera ogni architettura come una serie di elementi che fan parte di un processo più ampio e
complesso, come l’ingranaggio di un orologio. La vitalità espressa dagli elementi è ciò che permette
agli stessi di potersi ordinare e consente all’utente di convergere all’interno della stanza, ognuna delle
quali ha un nodo centrale da cui si irradia vitalità e rispetto a cui tutti gli altri oggetti devono
articolarsi. L’opera venne realizzata parallelamente alle Prairie Houses di Frank Lloyd Wright.
All’interno della casa egli realizza anche gli arredi. Il successo e il favore della maggioranza arrivò
attraverso due Esposizioni: avendo avuto l’incarico da Samuel Bing di progettare gli interni di un
salone, ebbe modo di esser presente alla Secessione di Monaco e alla Secessione di Dresda*1. Decise,
poi, a causa della complessità delle forme da lui stesso proposte, di fondare un laboratorio proprio,
in cui entrarono a far parte artigiani talentuosi. Il successo generatosi dalle Esposizioni e la possibilità
di viaggiare, lo portarono a ricevere un importante incarico: Museum Folkwang, a Essen.
Museum Folkwang (Interni) di Henry van de Velde
Qui van de Velde ebbe modo di occuparsi degli interni del museo: percorsi interni, andando a
decidere la collocazione delle opere; sala d’ingresso.
La produzione Teorica di Henry van de Velde
La forma come rappresentazione e interpretazione della funzione: van de Velde ha la volontà di
creare e di costruire l’idea di una bellezza razionale e afferma che nulla deve essere messo in
rappresentazione se non sia anche in funzione. Ciò indica che l’ornamento è parte strutturante
dell’oggetto che si realizza, andando a connotare ogni singolo elemento. La volontà di forma e il genio
creativo dell’artista decreta la forma. Van de Velde opera scegliendo e pensando prima una forma in
particolare, la disegna e poi trova il modo di realizzare quel determinato oggetto che deve rispondere
a un principio di necessità e non solo estetico (se non è razionale, non ha ragione di esistere). Dunque,
l’ornamento che intende van de Velde è parte integrante dell’oggetto, connota ogni singolo elemento
e garantisce unità. Se, invece, non si parla di ornamento, allora ci si sta riferendo alla decorazione:
una mera applicazione di qualche decoro. La sua Teoria dell’Architettura avrà frutto perché egli stesso
riesce nell’intento di decretare delle forme particolari e mai fine a se stesse. All’inizio del Novecento
(1901-1902) scrisse Teoria delle Arti Applicate e Rinascimento delle Arti Applicate. Con la
pubblicazione di questi due testi si inimicherà Adolf Loos, essendo quest’ultimo un sostenitore
dell’impossibilità di partire dall’ornamento, dalla volontà di forma perché l’architettura deve
indirizzarsi verso un linguaggio molto più semplice.
Nel 1902 Henry van de Velde si trasferì a Weimar, dove si presentò il culmine della sua carriera poiché
fu consulente artistico del granducato, ebbe la possibilità di conoscere la famiglia del filosofo
Nietzsche poiché Elizabeth Nietzsche gli affidò un incarico: risistemazione degli interni dell’abitazione
del filosofo, in particolar modo gli archivi. Essi vengono declinati in stile Art Nouveau, ricoperti di
materiale ligneo per una corretta conservazione dei testi. Successivamente effettuò un viaggio in
Medio Oriente e in Grecia, che ebbe una grande influenza sul cambiamento del suo linguaggio: c’era
l’intenzione di mettersi alla prova e scoprire forme nuove, cercando di scoprire le radici stesse della
civiltà umana: venne influenzato da geometrie megalitiche e con considerevole forza tellurica. Al suo
ritorno dal viaggio, realizzò schizzi e si cimentò nella progettazione di composizioni e monumenti (uno
anche per Nietzsche) con un linguaggio totalmente nuovo: tutto viene ridotto alle masse.
Villa Esche, a Chemnitz, di Henry van de Velde
Uno degli esempi mostranti il cambiamento dell’architetto dopo il viaggio è proprio questo progetto:
l’abitazione, per ricalcando i canoni dell’Art Nouveau, ha un linguaggio molto più semplice e libera
dai dogmi, c’è una ridotta presenza di linee curve, si evince una forza megalitica. All’interno: è
presente un lucernario avente una vetrata declinata in stile Art Nouveau, dove c’è rappresentata una
farfalla stilizzata; la balaustra in legno della scala è marcatamente decorata e nulla è lasciato al caso,
benché il linguaggio sia semplificato.
«Haus Hohe Pappeln», residenza privata di Henry van de Velde, a Weimar
Trasferitosi completamente a Weimar, ebbe la necessità di realizzare una nuova residenza per sé e
per poter trascorrere del tempo con la sua famiglia. ‘Hohe Pappeln’ significa ‘Alti Pioppi’, infatti la
residenza era circondata da questa tipologia di alberi. La pianta: ha una certa somiglianza con una
nave, in particolare ciò si vede negli scalini d’ingresso che permettono di accedere al piano rialzato;
al centro c’è il salone; sulla destra è previsto lo studio del maestro; sul retro è presente il cortile
progettato da Maria Sèthe.
Scuola di Arti e Mestieri (Bauhaus), a Weimar, di Henry van de Velde
Da consulente artistico del granducato ricevette la possibilità di tenere un corso grazie al quale
insegnava ad apprendisti artigiani le tecniche di laboratorio. Con esso realizzò una vera e propria sede
ovvero la Scuola di Arti e Mestieri, nella cui planimetria generale è possibile vedere: in basso a destra
c’è la Kunstgewerbe, ovvero il seme di quello che dopo quattordici anni fu il Bauhaus perché Walter
Gropius fu allievo di van de Velde. Quindi uno dei maggiori esponenti dell’Art Nouveau ha contribuito
in modo sostanziale alla creazione dell’edificio simbolo del Movimento Moderno. La facciata è
caratterizzata da grandi vetrate, delle quali le ultime tendono a sfondare il tetto a falde. Il loro
impiego è giustificato dal fatto che il clima di Weimar è molto rigido e ciò favoriva, nei periodi più
freddi, di riscaldare gli ambienti. Durante questo periodo Henry van de Velde ci cimentò anche nella
realizzazione di lampade sospese dalle forme molto particolari.
Esposizione del Werkbund a Colonia
L’ultima commissione prima di lasciare definitivamente la Germania fu la sua partecipazione
all’Esposizione di Colonia nel 1914, dove decise di realizzare un teatro. Tale evento rappresenta uno
dei massimi momenti della storia dell’architettura perché si incontrano diverse tendenze
architettoniche nello stesso luogo: Henry van de Velde con la sua proposta Art Nouveau, Walter
Gropius con un modello di industria, Bruno Taut con l’Espressionismo e il suo padiglione di vetro,
Peter Behrens con il Classicismo. Vi fu anche l’incontro tra van de Velde e Muthesius: quest’ultimo
affermò che ormai la produzione di oggetti deve essere indirizzata verso quella che è una maggiore
industrializzazione, cioè cercare di produrre cose semplici, funzionali, esenti da forme complesse, di
buona qualità. Van de Velde fu contro questa idea perché egli riteneva che era impossibile pensare
di produrre degli oggetti in serie che siano anche di buona qualità senza il tocco dell’artista. Benché
tutto ciò accadde a un passo dalla nascita del Movimento Moderno, la disputa fu vinta da van de
Velde, tra i cui sostenitori c’era anche Gropius. Il teatro che van de Velde realizza all’Esposizione è di
dimensioni considerevoli, in stile Art Nouveau, in calcestruzzo. L’ingente struttura è tripartita e i
volumi maggiori sono quelli contenenti il palcoscenico e la platea, mentre quelli più bassi sono
destinati ai servizi. La scelta di portare un teatro risiede nel fatto che esso rappresenta la più alta
forma di vita sociale (dove attori, avventori ed edificio interagiscono tra di loro), secondo van de
Velde. In questo modo si tengono insieme edificio-ambiente, forma, forza, arte, società, estetica ed
etica.
Kröller-Müller Museum di Henry van de Velde
Lasciata la Germania e ritornato nei Paesi Bassi, riuscì ad entrare in contatto con la famiglia Kröller-
Müller, la quale gli assegna l’incarico di progettare un museo, i cui lavori iniziarono a partire solo dagli
anni ’30 per poi essere terminati negli anni ’50. La pianta è a croce e presenta varie sale espositive.
Nel 1977 il museo venne ampliato dall’architetto Wim Quist.
Modelli Urbani di Henry van de Velde
In questi decenni che intercorrono nell’ultimazione del progetto, egli lavorò alla produzione di
modelli urbani e residenze private che hanno un linguaggio totalmente nuovo rispetto a quello
utilizzato in precedenza: fortemente improntato nella modernità, semplificato, con allusione
all’angolo retto. Si comprende, dunque, che van de Velde prese atto della fine dell’Art Nouveau e,
volendo stare al passo con i tempi, si uniformò alla nuova tendenza razionalista e funzionalista.
Adottò un’alternanza, nei suoi progetti, di pieni e vuoti, in cui i volumi vengono estrusi, facciate e tetti
piani. Un esempio può essere Casa Wolfers, caratterizzata da un’estetica ridotta ai minimi termini.
Ricevette anche commissioni per edifici pubblici, come la Torre della Biblioteca dell’Università di
Gand.
Padiglione belga à l'Expo di Parigi di Henry van de Velde
Il suo ultimo progetto fu quello realizzato all’Esposizione di Parigi del 1937: Padiglione Belga. Era una
struttura molto diversa dal teatro proposto a Colonia: un telaio di metallo, cemento armato e vetro
con forme megalitiche e con un linguaggio ridotto all’accentuazione della massa. La particolarità sta
nella scelta di ricoprire tutta la struttura con piastrelle di terracotta rossa, denunciando un tocco di
regionalismo belga.
L’influenza di Worringer
In questo periodo un teorico e critico tedesco, Wilhelm Worringer, pubblicò il libro ‘Astrazione ed
Empatia’ che influenzò van de Velde perché: per empatia l’autore intende l’impulso dell’artista a
generare delle forme che siano organiche e figurative e che siano decretate perché l’artista si senta
in armonia con la realtà circostante. Inoltre all’empatia viene legato il mondo rinascimentale, dove ci
sono delle forme naturalistiche e in cui l’architetto realizza opere dettate da questa sua sensazione
di armonia e benessere che ha nei confronti della realtà; per astrazione intende l’impulso da parte
dell’artista di creare forme non dettate dall’armonia provata nei confronti dell’universo, ma da leggi
matematiche e regole astratte. A ciò Worringer ricollega il gotico. Secondo van de Velde, astrazione
ed empatia sono due concetti riducibili al suo proprio modo di fare architettura.
*1 N.B.: a Monaco realizza lo scrittoio (di forma concava, si insegue l’ergonomia) nei canoni dell’Art
Nouveau, che è emblema della produzione di van de Velde; a Dresda progetta un piccolo salotto in
cui ha il controllo su tutto, infatti la carta da parati si abbina ai tessuti impiegati.
Storia dell’Architettura, Lezione No. 12
Victor Horta
Victor Horta è il più importante architetto dell’Art Nouveau. Il tutto si sviluppa a partire dagli anni ’90
dell’Ottocento a Bruxelles, tra le capitali più vivaci del Mondo per vari motivi: ragioni economiche
perché è una città fortemente industrializzata, sviluppatasi sulla base della presenza di materie prime,
e ciò aveva favorito la presenza di un’imprenditoria dinamica; era un Paese politicamente e
culturalmente progressista e si riscontrava nell’ottimismo, nell’innovazione tecnologica, nella ricerca
scientifica e nella socialdemocrazia (la borghesia fa una serie di concessioni alla classe operaia per
consentire a quest’ultima di emanciparsi); vivacità culturale perché a Bruxelles fu accolto
l’impressionismo e il post-impressionismo con mostre, gallerie, riviste, ecc. Nel 1881 nasce
un’importante rivista intitolata ‘’L’Art Moderne’’ che tratta l’arte contemporanea e sancisce la
fondazione del gruppo ‘’Les XX’’, artisti e architetti (tra cui Henry van de Velde), che sono volti a
un’arte libera, indipendente e sperimentale. Bruxelles si conforma, così, come un grande laboratorio
di sperimentazione culturale. In questo contesto economico e culturale molto avanzato si forma la
figura di Victor Horta che, fin dall’infanzia, mostrava una forte propensione verso la materia
architettonica. Si iscrisse all’Accademia delle Belle Arti di Gand e ricevette, dunque, una formazione
da artista. In seguito fece un tirocinio presso lo studio di Alphonse Balat (uno degli architetti più
importanti del Belgio, classicista e profondo conoscitori dei materiali come acciaio, ferro, ghisa e
cristallo). Balat progetta per la famiglia reale delle grandi serre in ferro e cristallo. Horta qui imparò
la leggerezza, la trasparenza, i nuovi materiali e il loro utilizzo. Nel 1891 lasciò lo studio di Balat e nel
1892 incontrò due persone che furono la sua fortuna: Eugène Autrique ed Emile Tassel (professore
di geometria descrittiva dell’Università di Bruxelles, massone, appassionato di fotografia, consulente
per l’ufficio studi di Solvay).
Casa Tassel di Victor Horta
Viene commissionata da Emile Tassel. La casa si inserisce in un lotto stretto e lungo nel centro di
Bruxelles. La facciata doveva inserirsi tra due facciate tradizionali e Horta ci riesce brillantemente:
crea qualcosa di immediatamente percepibile come nuovo, ma che era in grado di relazionarsi con il
preesistente. Vanno considerati quattro elementi: la struttura è un misto di pietra tradizionale e ferro
lasciato a vista; l’andamento generale è curvilineo perché è come se al centro la facciata si gonfiasse,
e, per sottolineare tale andamento, inserisce delle cornici in pietra lavorate ad hoc; sequenza inedita
per il tempo che si conforma con un portoncino d’ingresso sormontato da vano d’ombra creato da
un bow-window scandito da colonne in pietra, poi, sopra, si innesta il ferro (elementi fini che
addirittura lasciano a vista i chiodi di ferro) e in cima c’è la copertura metallica che si accorda con il
cornicione (tale sequenza suggerisce un senso di dinamismo); elementi innovativi quali la piattabanda
metallica e l’inedito disegno della balconata. Internamente si ha svolta tipologica: doveva risolvere il
problema di non poter creare aperture sui muri laterali (c’erano muri ciechi a causa di edifici
adiacenti), ma destinarle all’affaccio sulla strada e a quello sul retro. A metà del lotto Horta posiziona
due ambiente aventi come funzione quella di portare luce agli spazi più interni: tali ambienti sono la
scala, che si sviluppa in altezza e ha un grande lucernario, e un piccolo cortile (barella?). Organizza gli
ambienti in sequenza uno dietro l’altro (ricordando la casa romana): ingresso, fauces, atrium, gradini,
spazio di distribuzione che consente la scelta di poter andare su. Si arriva presso una sala a T capovolta
che si protende, con una soluzione poligonale, verso il giardino. Gli spazi sono l’uno dentro l’altro: è
una spazialità nuova e omogenea che si muove e si trasforma. C’è poi un mezzanino che corrisponde
in facciata al piccolo bow-window posto appena sopra l’ingresso. Salendo ancora si hanno le camere
da letto. In casa Tassel inventa un linguaggio architettonico che prima non esisteva. Casa Tassel si
conforma in pianta anche di una serie di mosaici decorativi posti sulla pavimentazione. La scala si
caratterizza con linee curve: pavimentazione, parete, ringhiere, lampada, pilastro. Il tutto nel segno
di una grande omogeneità, coerenza e unitarietà del sistema concavo-convesso che informa tanto
sia la spazialità (volumi-ambienti) sia le superfici dell'involucro (vetrate, mosaico, pavimenti, pareti).
Egli, inoltre, non si limita a mettere in vista il ferro e la pietra, ma crea dei veri e proprio nuovi canoni
estetici: nei pilastri che progetta non vi è alcun riferimento agli stili precedenti: è tutto innovativo e
di mai visto, frutto della sua genialità. Casa Tassel è la prima opera dell'Ottocento completamente
libera dall'eclettismo storicistico e crea un vero e proprio stile già maturo. Il professor Tassel era
entusiasta perché percepiva l'abitazione come un abito che gli stava a pennello fatto su misura o
come la conchiglia al mitilo (che avvolge e rappresenta). Tale successo dipende dalla grande amicizia
e conoscenza tra Horta e Tassel.
Casa Solvay di Victor Horta
Il professor Tassel era amico di Armand Solvay, figlio di Ernest Solvay (chimico, imprenditore,
mecenate, politico) che a 23 anni brevettò il 'processo Solvay' (la fabbricazione industriale del
carbonato di sodio a partire da sale marino, ammoniaca, e acido carbonico). Il salotto di Solvay veniva
frequentato da personalità molto importanti come Einstein, Planck, Rutherford, Poincaré, Madame
Curie. È proprio per il figlio di Ernest Solvay, Armand, che Horta realizza questa opera. Il tutto si
articola in: piano terra (ufficio privato), primo piano (salone con balcone e sala pranzo verso il
giardino), piani superiori (camere). Vi è chiaramente una sintesi di temi già visti: muri inflessi, mixité
(pietra ed elementi metallici a vista), bicromia del paramento. Al contrario di Casa Tassel che al centro
si rigonfia, in questo caso si opta per una depressione, contribuendo a comprimere gli spazi interni e
a dare fluidità alla facies. Si crea così un gioco di curve che esternano un senso di dinamismo. Essendo
una commissione da parte di una famiglia borghese estremamente importante che era solita
organizzare eventi molto rilevanti, per gli interni vengono scelte delle soluzioni esteticamente di alto
livello fatte in collaborazione con il pittore Théo van Rysselberghe. L'interno così presenta specchi,
decorazioni, ambienti di diverse altezze, policromia delle vetrate, riferimenti alla coda del pavone,
elementi di artigianato lignei e di ferro. Sono utilizzate tutte forme che ricordano la natura senza,
però, riprendere direttamente aspetti del mondo vegetale, ma lo spirito vitale dello stesso.
Casa-Studio Horta (Museo Horta) di Victor Horta
Horta decide per realizzare per sé una cosa a cui, diviso da un muro di spina, si addossa un altro
edificio destinato a essere studio. Nel progetto regna un gioco di quote. Viene inserita una scala
curvilinea. Gli ambienti sono tutti strettamente collegati e tendono a unirsi uno nell'altro: in
particolare va sottolineato il rapporto dialettico con la natura che offre il soggiorno che affaccia sul
giardino. Ricorrono gli elementi decorativi tipici dell'Art Nouveau. Gli elementi funzionali non
vengono nascosti, ma lasciati a vista e acquisiscono una propria autonomia di oggetto con una forte
immagine. Le vetrate, benché hanno la classica tecnologia dei fili di piombo mantenenti i pannelli di
vetro, presentano dei motivi decorativi astratti e carichi di sinuosità. Le decorazioni adottate da Horta
incarnano i principi di forma, espressione e struttura. L'esterno è caratterizzato dall'impiego della
pietra, del ferro e del legno e non teme di lasciare a vista i chiodi delle travi e dei pilastri (i quali sono
sinuosi). È come se ogni cosa venisse destrutturata e reinventata in modo complesso e articolato.
Hotel van Eetvelde di Victor Horta
La pianta si caratterizza di un ingresso che introduce su un percorso diagonale che si avvita su se
stesso a mo' di spirale che diventa uno spazio centrale: uno spazio che funge da scala, sosta e
disimpegno, dunque polifunzionale. L'illuminazione è anche prevista dall'alto e ciò conferisce allo
spazio una grande luminosità.
Casa del Popolo per il Partito Socialista Operaio Belga di Victor Horta
È la dimostrazione di quanto l'Art Nouveau sia stato lo stile sia dei capitalisti sia della classe operaia.
In pianta si nota una scelta molto intelligente: poiché il lotto aveva una forma tormentata egli non fa
altro che adattarsi a tale situazione dimostrando di non aver paura di adottare una forma non
simmetrica e regolare. Ciò piace agli operai perché viene interpretato come un segno di rottura e
provocazione. Al piano terra gli ambienti si dispongono a ventaglio e convergono verso un punto. Si
presentano varie difficoltà: non esistevano precedenti a cui rifarsi perché un edificio del genere non
era mai esistito prima; irregolarità assoluta del lotto; mixitè funzionale (grandi spazi, alimentari, uffici,
spaccio, auditorium, sala caffè, grandi magazzini, sala giochi). Viene lasciata a vista la
controsoffittatura metallica. Al primo piano cambia logica: prevede una spina centrale rispetto alla
quale si dispongono gli uffici. Al secondo piano pone l'auditorium. Il tutto è tenuto insieme dagli
elementi di collegamento verticale. È una macchina molto complicata come mai si era fatto prima in
Europa. La copertura è costituita da pilastri che tendono a convergere verso il centro e, sulla sommità,
si deformano e piegano in curve e controcurve: tutto sembra agire in maniera organica e unitaria.
Esternamente, Horta non si preoccupa di dissimulare e mascherare l'irregolarità, ma la accetta e la
esibisce utilizzando un sistema di pietra e ferro, in cui quest'ultimo domina nettamente per un
significato simbolico: richiamo alle fabbriche in cui gli operai lavorano. Lascia a vista i bulloni. C'è
meno decorativismo perché l'edificio viene fatto per gli operai e non per dei "rammolliti borghesi".
Vi è, inoltre, una predominanza dei vuoti e vetrate perché allegoricamente si allude alla trasparenza
morale che intendeva perseguire la classe operaia. Il più controllato slancio decorativo è compensato
da una concezione volumetrica che attraverso l'inflettersi dei piani pare voler negare la massa
muraria. Dalla sua biografia si riprende la citazione: "usare il ferro come materiale nuovo, artificiale,
era visto come essere dalla parte del progresso e questo a sua volta, in quel tempo, poteva significare
essere socialista". Sulla scia della Casa del Popolo si sviluppano i grandi magazzini, come L'Innovation
a Bruxelles. Negli anni '50 la Casa del Popolo venne demolita perché, a causa di una grande frenesia
costruttiva, in tutta Europa vennero costruiti nuovi pezzi di città storia, con conseguente
abbattimento del preesistente. L'edificio venne smontato e posto in deposito e col tempo il tutto si
è corroso.
Palais des Beaux Arts di Victor Horta
Col tempo, però, Victor Horta si irrigidisce nello stile, infatti quest'opera è dominata da elementi che
richiamano fortemente il classicismo.
Storia dell’Architettura, Lezione No. 13
Introduzione
Victor Horta può essere considerato l'esponente più importante dell'Art Nouveau organico-
naturalistica e lineare. Per quanto riguarda, invece, la matrice geometrica dell'Art Nouveau va presa
in esame un'altra figura e per farlo bisogna "spostarsi" in Gran Bretagna: Londra e Glasgow.
Quest'ultime sono due città che appartengono a due contesti molto differenti: la prima è parte
dell'Inghilterra (dove c'era una fortissima resistenza contro l'Art Nouveau, sebbene uno dei fenomeni
che ha anticipato tutto ciò sia stato proprio l'Arts and Crafts Movement), la seconda della Scozia.*1
La città di Glasgow era denominata "la seconda città dell'Impero" perché caratterizzata da
un'imprenditoria molto aperta, vivace, ricca e progressista a fronte anche di un ambiente culturale e
sociale di medesimi caratteri. Si formarono i Glasgow Boys e Glasgow Girls, un gruppi di pittori
postimpressionisti e simbolisti che, con grande libertà, avevano buttato all'aria tutte le regole
dell'accademia. In questo clima prende vita l'esperienza di Charles Rennie Mackintosh.
Charles Rennie Mackintosh
Nacque nel 1868, in una famiglia modesta. Fin dalla nascita ebbe una malformazione al piede che lo
costrinsero, durante l'infanzia, a dei lunghi soggiorni a letto, sviluppando, così, una sensibilità
malinconica ed estetica molto forte (con grande propensione verso la natura). Inizialmente si formò
come artista, infatti ebbe un grande talento nel disegno. Dalle sue opere emergono i due temi
principali che sono presenti nelle sue architetture: la natura prosciugata, essenziale, strutturale; la
geometria e la forma circolare. Nel 1884 Mackintosh frequentò dei corsi serali alla Glasgow School of
Art. In seguito, interessandosi all'architettura, entrò come disegnatore nello studio di Honeyman &
Keppie, dove conobbe Jessie Keppie. Nel 1890 fece un viaggio di studio in Italia (aspetto molto
ricorrente nelle biografie dei grandi artisti) e a Napoli, dove, secondo alcune fonti, restò colpito
dall'edificio dell'Accademia delle Belle Arti. Nello studio in cui era disegnatore, ebbe modo di stringere
amicizia con Herbert Mac Nair e con due sorelle inglesi: Margaret e Francis Mac Donald. Fondarono
un gruppo noto come The Four: lavoravano soprattutto nel campo dell'architettura degli interni e del
design. Col tempo lo studio affidò a Mackintosh lavori sempre più importanti. Nel 1896 The Four
decisero di andare a Londra perché c'era una grande mostra: The Exhibition of the Arts & Crafts
Society of London. Era una mostra dove erano previsti spazi allestiti da molteplici produttori di
oggetti. The Four proposero i loro manufatti, i quali erano molto diversi da quelli che caratterizzavano
la produzione londinese: vennero respinti a causa si critiche feroci generate dal rifiuto dell'Art
Nouveau e, dunque, non vennero capiti. Nello stesso anno, a Glasgow, incontrarono Miss Caroline
Cranston, un'imprenditrice avente sale da tè. Ella affidò a Mackintosh e The Four vari incarichi:
comporre gli interi delle sale da tè. Si presentò, così, per loro una grande occasione per affermarsi.
Nella sala Le Buchanan St. Tea Rooms si occuparono delle pareti e di disporre informazioni circa ciò
che si compiva in quello spazio. In seguito, avendo maggiore visibilità e importanza, arrivarono a
conformare lo spazio architettonico della Argyle St. Tea Room, intervenendo sul pavimento,
controsoffittatura, camino, tavoli, grafica dei menù, ecc.: è il segno di un nuovo linguaggio e di
progettazione integrale. Mackintosh, in particolare, arriva, grazie ai lavori in questa sala, a definire
quasi del tutto il suo linguaggio e stile: ad esempio nelle poltrone che progetta è interessante notare
come esse nascano dalla scelta di aumentare le dimensioni di una parte della sedia tradizionale: lo
schienale si protende verso l'alto, chiudendosi con un disco ellittico schiacciato.
Nuova sede della Glasgow School of Art
Segna il suo debutto in architettura. Tutta la storia del Moderno è stata preparata e teorizzata prima
nella dimensione dell'oggetto, poi nell'architettura degli interni e poi dopo in architettura. All'epoca
il direttore della Glasgow School of Art era Francis Newbery, un uomo moderno e progressista, il
quale, volendo una nuova sede, bandisce un concorso al quale parteciparono e vinsero Honeyman e
Keppie, ma, a causa di fondi esigui, decisero di affidare il lavoro a Mackintosh. Quest'ultimo, quindi,
si ritrovò a progettare e realizzare il nuovo edificio della stessa scuola in cui frequentò anni prima i
corsi serali. La costruzione venne fatta in due fasi: la prima nel 1896; la seconda nel 1899. Osservando
la pianta, è bene fare un discorso sull'orientamento: la facciata è caratterizzata da grandi e semplici
vetrate rettangolari (quasi come se fossero quelle di una fabbrica piuttosto che di un'accademia di
belle arti) e la presenza delle vetrate è giustificata da ragioni planimetriche che lo spingono a
posizionare le aule a nord in modo che in esse possa entrare una luce diffusa. Il linguaggio adoperato
è inedito che è una sorta di impasto che richiama l'architettura industriale, tradizionale (es. usa la
pietra scozzese tipica di Glasgow che viene messa in relazione con la modernità). Il prospetto sembra
simmetrico, ma non lo è: fa prevalere una logica funzionale rispetto a quella rappresentativa. Si
diverte, con una gioiosa libertà, nel creare una composizione fatta di tanti episodi distribuiti
asimmetricamente (vetrate, balconi, curve, bow-window, torrini, ecc.). Ognuno di questi elementi è
attentamente progettato. Si avvale del bianco e del nero per laccare le superfici lignee. Il tutto è uno
straordinario catalogo di soluzioni ed elementi dal disegno inedito, nel segno della natura e della
stilizzazione geometrica, che rivelano la grande immaginazione di Mackintosh. Gli interni sono
ricercati, ma essenziali e vige una grande unità stilistica: tutto è foderato in legno e c'è una
molteplicità di oggetti disegnati dall'architetto stesso e sua moglie Margaret Mac Donald (lampade,
boiserie, tappeti, poltroncine, orologi). Ogni ambiente era caratterizzato in un certo modo in rapporto
alla funzione che si svolgeva dentro, su base psicologica. Per le capriate inventa una soluzione di archi
ribassati non concentrici: si stringono in prossimità della chiave.*2
Casa Mackintosh
È il progetto che egli fa per casa sua. Gli interni sono caratterizzati da una parziale foderatura in legno
(pannellature bianche) delle pareti. I mobili sono tutti addossati al muro, quasi come se fosse
un'articolazione del muro stesso (logica tipicamente Art Nouveau). Il camino, anche, pare esser parte
di un'unica composizione: è composto da una fascia unitaria sporgente, curve molto dolci, incassi. Il
camino della camera da letto è estremamente semplice: una bucatura nel muro avente una
protezione in ferro, alari giganteschi e una parte che viene rivestita da assi di legno tinteggiate di
bianco (la qualità di un'architettura non dipende dal pregio e della finezza dei materiali) e vi sono
decorazioni floreali molto stilizzate. Vengono disegnate le lampade, le poltrone. In questo senso, Casa
Mackintosh diventa il manifesto di una nuova architettura. A Mackintosh era particolarmente caro
un aforisma: c'è sempre speranza in un errore onesto; non c'è nessuna speranza nella perfezione
glaciale del mero stilista. Il vero architetto interpreta le funzioni alla luce o di come egli crede che le
stesse possano essere soddisfatte o della mentalità dei fruitori.
Progetti non realizzati
Casa di campagna per un artista
La pianta è molto semplice: un rettangolo. Una parte di esso è un giardino che, a differenza della
tradizione inglese, dall'esterno non si vede, in quanto nascosto da un cancello, alberi e muri. La casa
è a forma di elle: grande soggiorno aperto verso sud con un bow-window; camini che vengono
estroflessi. C'è simmetria e asimmetria. Tali aspetti vengono ripresi in un altro progetto: Casa per
l'amico William Davidson.
Casa per l'amico William Davidson (The Windyhill House)
Qui si indaga un aspetto molto importante, ovvero la conoscenza degli individui per cui si sta progetto
l'abitazione: in questo modo si adatta il proprio pensiero a determinate esigenze. È una casa costruita
per contrapposizione: antico e nuovo: a prima vista sembra una casa di campagna tradizionale (tetti
inclinati, trovandosi in Scozia; l'intonaco è molto ruvido per una buona tenuta al freddo; il senso del
pittoresco), ma con il rigore delle scelte distributive: il tutto è il risultato di un approccio molto
razionale, con un'apparente casualità. Vi sono, inoltre, contrasti di bruno e colorato, di buio e
luminoso. La pianta deriva proprio da una disposizione calcolata, logica e razionale degli spazi. Per
tenere tutto insieme viene scelto un unico colore di intonaco. Le finestre sono diverse, in funzione
della quantità di luce che deve arrivare negli ambienti stanti internamente (l'interno detta l'esterno).
Tende a trasformare gli spazi di collegamento e distribuzione in spazi di sosta.
Ingram Tea St. Room: The White Dining Room
È una sala da tè molto grande composta di vari ambienti, la quale presenta, interamente, una boiserie
con elementi in rilievo che ne staccano degli altri, sui quali vengono fatti degli interventi decorativi
dalle sorelle Mac Donald. Si progettano le stoffe, i tessuti, le sedie (le quali hanno altezze diverse degli
schienali in base alla destinazione d'uso, che può essere ufficio, stanza da pranzo, sala da tè*3, ecc.).
Per attirare un pubblico più giovanile si opta per un'eterogeneità delle caratteristiche stilistiche delle
sale da tè.
Haus Eines Kunstfreundes (Casa per un amatore dell'arte)
Nel 1901 si verifica l'esperienza che consente a Mackintosh di avere un lancio internazionale: una
rivista tedesca chiede a dei designer e architetti di disegnare Haus Eines Kunstfreundes (Casa per un
amatore dell'arte). Il suo progetto riceve un discreto successo: immagina la casa come l'abitazione di
una grande collezionista che fa delle grandi feste. Non è una casa simmetrica perché è il risultato del
montaggio di spazi in base al principio di funzionalità. Rinuncia a mettere tutto dentro a un unico
blocco, andando a determinare un'immagine di grande ricchezza. Mackintosh non è interessato tanto
alla forma degli infissi, ma al rapporto che lo stesso ha con la superficie: certe volte li incassa, certe
volte li fa uscire fuori. I volumi vengono lasciati liberi. "Una plasticità formale quasi affine al cubismo"
per citare Frampton. Degli interni è di particolare rilevanza la sala da pranzo: un grande tavolo avente
sedie con lo schienale alto; i mobili sono tutti addossati alle pareti; i tappeti, le lampade e i decori
sono concentrati solo in alcuni punti. Nella sala della musica c'è il pianoforte intorno al quale
Mackintosh crea una struttura di legno, volendo dare una sua interpretazione allo spazio, che
richiama simbolicamente la musica ed è caratterizzata da un senso onirico. La stanza da gioco dei
bambini diventa un bosco: le lampade provengono dall'alto, ma hanno dei pali "inutili, ma necessari"
che terminano in alto con dei decori ricordanti gli alberi; il pavimento diventa un prato. Il progetto
era immaginario e non venne realizzato.
*1N.B.: una menzione va fatta a James Abbott Mc Whistler, ritenuto in America il padre dell'arte
moderna: egli venne in Europa e, rimanendo colpito dalle opere degli impressionisti. È autore del
dipinto "Composizione in nero e in grigio: ritratto della madre del pittore".
*2N.B.: nel progetto per una chiesa fa un disegno di capriata avvalendosi di una elemento tipico del
simbolismo: l'albero della vita, stilizzato.
*3N.B.: a Glasgow le sale da tè erano il perno della vita sociale.
N.B.: tenere a mente la Lighthouse.
Storia dell’Architettura, Lezione No. 15
DISCLAIMER: prestare molta attenzione all’ N.B. numero 2.
Introduzione
Nel 1897 a Vienne, quasi improvvisamente, nacque la Secessione (tale nome deriva dal distacco che
ci fu dall'Associazione Ufficiale degli artisti), che determinò l'Art Nouveau viennese, la quale si
espresse in molteplici campi, tra cui quello dell'architettura. Ci sono stati tre grandi autori: Joseph
Maria Olbrich (autore della Casa della Secessione), Joseph Hoffmann e Otto Wagner (maestro dei
primi due). Otto Wagner, benché temporalmente si colloca prima, viene considerato dopo perché al
movimento secessionista aderisce successivamente, dopo una carriera ricca di successi legati
all'eclettismo storicistico.
Joseph Maria Olbrich
La finta cupola che copre l'atrio centrale della Casa della Secessione di Olbrich e Klimt è una struttura
in ferro sferica realizzata con un telaio avente lo scopo di tenere assieme tremila foglie di alloro in
lega (ottone). Le foglie non sono piane, ma ondulate e ciò consente un dinamismo nella riflessione
dei raggi solari. Esternamente quindi si ha la suggestiva immagine di una cupola dorata che si erge
sull'edificio bianco, mentre all'interno si ha l'impressione di trovarsi al riparo di un grande albero. La
cupola sembra sorretta da 4 piloncini aventi i muri leggermente rastremati (si può ricordare in merito
il Mausoleo Schilizzi). Inoltre, le foglie d'alloro sono utilizzate anche per ricoprire le pareti interni,
come una pellicola*¹. I giornalisti del tempo si scagliarono fortemente contro tale opera definendola
in vari modi: Tempio per rospi, Crematorio, Moschea, Cavolo dorato, Assassinio del buon gusto,
Vespasiano assiro. Otto Wagner, maestro di Olbrich, restò positivamente colpito dall'edificio tanto
da abbandonare la sua strada per scegliere quella degli allievi, infatti, nella stessa piazza (Karlsplatz),
realizzò due stazioni della metropolitana che riprendono aspetti della Casa della Secessione:
impostazione simmetrica, rapporto tra bianco e oro, la scelta di sovrapporre ai muri delle texture
floreali.
Colonia degli Artisti di Darmstadt di J. M. Olbrich
Olbrich ottenne un grande successo tra gli intellettuali all'avanguardia austriaci e tedeschi e ciò gli
consentì, nel 1899, di conoscere Ernest Ludwig, Granduca d'Assia (nipote della regina Vittoria e
parente del Kaiser prussiani Guglielmo II), un uomo che provava a sviluppare la tradizione in senso
moderno: chiamò gruppi di scultori, pittori e architetti da varie parti d'Europa con lo scopo di
orientare il design di oggetti d'uso verso la modernità, creando un grande centro di artisti finanziato
da comune e stato. Tra i nomi più celebri vi sono: Peter Behrens (convocato come pittore), Patriz
Huber e Joseph M. Olbrich. Quest'ultimo, nel 1901, fu il progettista di tutto l'impianto comprendente:
un grande centro con aule e laboratori, spazio per le esposizioni, case dei professori. L'obiettivo
cardine era quello di qualificare artisticamente la produzione industriale per fare profitto. Il luogo
principale dell'intero complesso, realizzato nel 1901, venne chiamato Ernest Ludwig Haus, per
onorare la figura di colui che aveva dato inizio al processo. Tale edificio è collegato, grazie a una strada
di orientamento nord-sud, a un'altra struttura importante: il centro espositivo degli oggetti prodotti
dove si tenevano grandi esposizioni. Le case dei professori e degli artisti sono disposte in zone
limitrofe agli edifici sopracitati. L'impianto sembra risentire l'impostazione delle cittadelle vescovili
tedesche risalenti al XVI e XVII secolo. Il 15 maggio del 1901 si tenne una cerimonia di inaugurazione
della colonia (Das Zaichen, cioè Il Segno). Si voleva arrivare alla realizzazione di un prodotto che
avesse in sé tutte le arti (Gesamkunstwerk). L'edificio Ernest Ludwig Haus presenta le caratteristiche
del bianco e della simmetria: ingresso al centro bianco e oro (avente un monumentale arco a tutto
sesto), due ali. Nella pianta si distinguono gli atelier e i laboratori, i quali dovevano avere delle grandi
vetrate (come nella Scuola d'Arte di Glasgow) per ottenere una luce diffusa (con orientamento verso
nord). È un edificio molto raffinato: semplice nella pianta con un calibrato gioco di volumi. L'ingresso
è preceduto da due gradinate dove sono posizionate due statue: allegoria della forza (evocante il
lavoro) e allegoria della bellezza (evocante la qualità del design). Il retro è conformato dalle grandi
vetrate dei laboratori e il tutto è "mascherato" da i muri laterali curvilinei.
Casa Olbrich di J. M. Olbrich
Il progetto è in linea con ciò che voleva Ludwig: tradizione e innovazione. Infatti, la casa è un blocco
simmetrico con un tetto inclinato, ma bianca e con decorazioni concentrate in alcune fasce. Si nota
la presenza dei principi dell'architettura rurale, del classicismo, della Secessione.
Oggetti
Gli oggetti prodotti dagli artisti di Darmstadt vennero presentati in occasione di una mostra (Ein
Dokument Deutscher Kunst) con un intento commerciale, ma fu un flop poiché furono invenduti. Il
linguaggio dei mobili è pesante e non viene compreso né dal pubblico borghese tradizionalista né
dagli avanguardisti. Peter Behrens lasciò, così, l'associazione, intuendo che il progetto in sé avesse
grandi ambizioni e una lucida definizione dell'obiettivo, ma nella pratica non rendeva in egual modo.
Andò a lavorare ad Hagen, dove Van De Velde fece la sua risposta alla colonia di Darmstadt, grazie
dal programma di rinnovamento urbano e culturale voluto dal mecenate Karl Osthaus. Olbrich restò,
invece, a Darmstadt, dove ebbe modo di realizzare case, sequenze di giardini, la Villa tradizionale
assiana, casa popolare per gli operai e, dal 1905 al 1908, lavorò al Palazzo delle Esposizioni sulla
Matildenhohe. Quest'ultimo era un gigantesco complesso che si afferma come una nuova acropoli
per una nuova Atene, consacrata all'arte, all'architettura e alle arti applicate. Esso è caratterizzato da
grandi dimensioni, da una piazza antistante (parzialmente porticata con una pergola) e la grande
torre dove si tengono delle cerimonie (Hochzeiturm, cioè Torre nuziale)*². Vi è poi un piccolo bosco
di platani e la chiesa preesistente viene inserita in una sistemazione generale. Il progetto va così ad
occupare un'importanza a scala urbana e paesaggistica oltre che architettonica. Frampton definisce
l'opera "come una montagna mistica che si opponeva consapevolmente alla serenità edenica del
regolare Platanenhain che lo fronteggiava". C'è un sistema di scale e terrazze che porta,
progressivamente, a una quota superiore. Olbrich fu un grande designer in quanto si ritrovò a
disegnare carte da parati, copertine di libri, poltrone, mobili, vasi, gioielli, in cui si notano degli incroci
tra arte pre-classica (Creta, Micene) e Art Nouveau.
Grandi Magazzini Tietz, Dusseldorf (1906-1908) di J. M. Olbrich
È un gigantesco edificio contraddistinto da due elementi cardine: grandi superfici vetrate comprese
tra piloni di pietra; tetto possente che, nelle due ali laterali, assume una conformazione tradizionale.
Qui l'Art Nouveau viene messa parzialmente da parte poiché l'architetto è dell'idea che essa non
abbia un particolare futuro, ragion per cui la si ritrova a tratti nell'ingresso.
Palazzo per Joseph Feinhals, Colonia (1908) di J. M. Olbrich
L'Art Nouveau è completamente sparita e l'inquietudine di Olbrich lo porta a tornare indietro a
riscoprire la storia e la tradizione del barocco tedesco e il classicismo: per il porticato predilige la
scelta di colonne doriche. Ciò fa comprendere che persino colui che aveva inventato, a Vienna, la
Secessione, va in crisi e la abbandona per primo e, non sapendo a cosa rivolgersi, si rifà alla storia. È
come se gli architetti di questo mondo, una volta stabilito e verificato che l'Art Nouveau ha compiuto
il suo tempo ed è incapace di rappresentare quello moderno, preferiscono considerare il classicismo.
Lo storico dell'arte italiano Tafuri coniò, per la fase degli anni '10, l'espressione "Modernità senza
avanguardia".
Otto Wagner (Introduzione a Vienna)
Fu il maestro di Olbrich, infatti quest'ultimo praticò il tirocinio presso il suo studio. L'opera di Wagner
è legata alle trasformazioni che Vienna subì: la città antica di fondazione romana(Altstadt) era cinta
da mura (ristrutturare poi nel 1533 a causa dell'invenzione della polvere da sparo); in seguito al di
fuori delle mura vennero edificati piccoli e grandi quartieri (Vororte), separati dall'Altstadt da uno
spazio noto come Glacis e racchiusi anch'essi in una cinta muraria (Linienwall). A causa della crescita
esponenziale della popolazione, venne bandito un concorso internazionale per il Piano di
Ampliamento Generale di Vienna. Parteciparono in 80 e vi furono 3 gruppi vincitori (Stache, Foster e
Van der Null). Le richiesta fatte agli architetti per la nuova città comprendevano: una grande area per
esercitazioni militari; localizzazione di due acquartieramenti militari a nord-ovest e sud-est
dell'Altstadt; sistemazione a parco dello spazio davanti il palazzo Reale; edifici pubblici, musei, un
teatro dell'opera nella zona sud del RING; una migliore integrazione nel contesto della Karlskirche e
della Votivkirche. L'incarico fu affidato ai tre gruppi vincitori, a Lohr (architetto comunale di Vienna)
e a una Commissione ministeriale. Sì arrivò, così, a un nuovo progetto nel 1859, realizzato nell'arco
di 30 anni e comprendeva un Piano incardinato sul RING (la fascia che si creava abbattendo le mura).
Gli edifici proposti erano tutti riconducibili al fenomeno dell'eclettismo storicistico. In questa fase si
fanno strada anche le figure di Semper e Camillo Sitte: il primo era fermo sostenitore del
Neorinascimento che, ideologicamente, era indice di libertà e diritti civili; il secondo era un
antistoricista e pensava che la bellezza delle città europee derivava dalla piccola dimensione, dallo
scorcio, dall'adattamento alla misura d'uomo, dall'elemento pittoresco. C'è una netta
contrapposizione tra i due, ma per il Piano scelsero la visione di Semper. Il Ring, così, si conformò
come un grande spazio ricco di giardini e finalizzato ad ospitare edifici pubblici e, inoltre, vennero
posti dei principi da seguire: 4/5 della superficie era per monumenti e opere pubbliche (finanziate
con i proventi dalle vendite dei suoli concessi ai privati); 1/5 ai privati per consentirgli di realizzare
residenze di pregio e fare speculazione. Ci fu, anche, una ristrutturazione urbanistica e architettonica
del centro storico (Altstadt). Durante il corso dei lavori si manifestò un sensibile affievolimento del
ruolo dell'autorità pubblica nel governo del territorio nel tempo e nello spazio: decresce la qualità
dell'architettura dell'abitare allontanandosi dal centro poiché l'idea originaria dell'isolato
(prevedente una grande area destinata al giardino) fu tradita in quanto, prevalendo il senso di
speculazione, si arrivò alla realizzazione di piccole corti. Nel 1893 bandirono il concorso per il Piano
per la Grande Vienna dal Linenwall fino al Danubio e vinse Otto Wagner.
Otto Wagner (1841-1928)
Nacque a Penzing, sobborgo di Vienna il 13 luglio 1841. Figlio di Rudolf Wagner, notaio alla corte
reale ungherese e di Susanne von Helffenstorffer-Hueber. Ebbe una formazione politecnica da
ingegnere a Vienne e in seguito andò a Berlino. Successivamente si formò in materia architettonica
nell'Accademia di Belle Arti di Vienna, dove fu allievo di Van der Null, Foster, ecc. Si affermò da
giovanissimo grazie alle sue conoscenze dei materiali: nel 1879 allestì il corteo reale per le nozze
d'argento di Francesco Giuseppe ed Elisabetta (Sissi).
Landerbank (1883-1884) di Otto Wagner
Nella prima fase da storicista elaborò questo progetto all'interno di un lotto molto particolare,
riuscendo a regolarizzarlo: lungo la strada pone il corpo che funge da facciata e che segue
l'andamento della strada stessa; segue un androne circolare, illuminato dall'alto, che tende a
depistare la percezione del cambiamento dell'asse dell'edificio; le altre componenti si dispongono
intorno alla variazione dell'orientamento dell'asse, sfruttando così tutta la profondità del lotto.
Benché lo stile sia chiaramente classicista, vi è l'introduzione dei nuovi materiali (ferro, vetro,
strutture metalliche lasciate a vista)*³.
Villa Wagner (1888) di Otto Wagner
Raggiunta una certa fama, ebbe la possibilità di progettare una villa personale: a Vienna esisteva uno
Status Symbol noto come Rosen Haus (la casa delle rose) e Wagner decise di uniformarsi a ciò,
creando una residenza unifamiliare all'interno di un parco, generalmente posta in una posizione più
arretrata rispetto alla strada. Ancora una volta i riferimenti sono chiaramente volti al Quattrocento e
Cinquecento. La pianta definisce uno a U, dove l'ingresso è però scandito da un portico che, come un
filtro, introduce all'interno (ricorda Palladio). Ci sono poi due ali laterali: delle terrazze porticate. Vi è
l'integrazione tra architettura e arte: vengono previste delle grandi nicchie per ospitare delle statue.
Analizzando i particolari, si nota la presenza di un repertorio neoclassico: rilievi in stucco bianco su
fondo colorato, cassettonato, ordine ionico. In contrasto con tali elementi si pongono delle vetrate
colorate in chiaro stile Art Nouveau, sottolineando la tensione di Wagner verso la ricerca di qualcosa
di nuovo.
Edificio per appartamenti Universitatstrasse (1888) di Otto Wagner
La committenza era proiettata verso il profitto, ragion per cui si chiede di occupare il lotto il più
possibile. È così costretto a progettare una "scatola" di appartamenti. Il linguaggio sembra a prima
vita neorinascimentale (basamento, cornicione sporgente, piano attico, spigoli bagnati), ma va
considerata la presenza di paraste e lesene che non seguono gli ordini architettonici, bensì esse sono
ornate da una fitta decorazione. È un'ulteriore conferma della presa di coscienza di Wagner di volersi
distaccare dai canoni classicisti e, in questo caso, il segno della ricerca si manifesta nell'ornamento.
Magazzini Neumann sulla Karntnerstrasse (1895-1896) di Otto Wagner
Sono dei grandi magazzini e rappresentano una nuova tipologia di edificio per Vienna. Nel prospetto,
le lesene perdono la continuità essendo spezzate da fasce orizzontali. Contrariamente a quanto
previsto per le lesene (capitelli, cornici, trabeazioni, triglifi, metope), ci sono decorazioni inusuali:
fasce lisce con lettering.
Linke Wienzeile (1897-1898) di Otto Wagner
Edificio per appartamenti coevo all'esplosione della Secessione: si avvale, infatti, del bianco e dell'oro,
dell'ornamento inedito (cascata di gocce d'oro), ma con qualche richiamo all'Ottocento (medaglioni
dorati). Vi è la presenza di una parte in ghisa incastonata nello spigolo, il quale viene addolcito,
svuotato e reso più basso. Internamente ci sono elementi decorativi che richiamano la natura, ma
non ancora Art Nouveau.
Majolikahaus (1898-1899) di Otto Wagner
È un edificio per appartamenti di cui è rilevante la facciata: appone maioliche dipinte a mano con
colori molto vivaci, creando un disegno ricordante un albero che si sovrappone all'intera facciata. I
fiori stilizzati dell'ornato a tralci erano rosso tenue, i boccioli turchese, il fitto fogliame delle nicchie
dei balconi verde scuro. I critici dell'epoca definirono "selvaggiamente secessionista" il risultato di
quest'ambiziosa soluzione formale, Loos parlò sarcasticamente di "architettura tatuata". In
quest'opera, l'ornamento prende la libertà di divincolarsi dall'allineamento delle finestre. Il muro
viene rivestito come, all'origine dell'architettura, le strutture lignee erano rivestite da pelli e teli: è la
teoria del rivestimento di Gotfried Semper. Un principio fondativo tettonico e semantico che Wagner
non ritiene incompatibile con la modernità e che anzi invoca proprio l'ornamento della modernissima
Secessione: architettura tatuata, che in questa è un qualcosa di progressivo. Elementi storicistici sono
la balconata, l'aggetto significativo del cornicione.
Stazioni gemelle della metropolitana sulla Karlsplatz (1898-1899) di Otto Wagner
Qui la struttura metallica è a vista e la combina con la pietra, con il marmo, lamine d'oro. Vi è un
raffinatissimo lavoro sulla "pelle" dell'edificio, che risulta un gioco di calibratissimi dettagli e di
elementi industriali (profilati metallici). C'è l'uso della volta a botte coperta in lamiera ondulata: un
gioco di fulminanti cortocircuiti tra lusso e architettura popolare, tra tradizione storica e innovazione
linguistica.
Chiesa di St. Leopoldam Steinhof (1903-1907) di Otto Wagner
L'opera è preceduta da un percorso e da un pergolato mediterraneo. L'edificio in sé, invece, risulta
un impasto di elementi storicistici, Art Nouveau, neobizantini. L'interno è foderato da una trama
geometrica di fili dorati che definiscono dei quadrati. Inoltre, l'interno è improntato a funzionalità e
semplicità: grande attenzione ad arredi, visibilità, corretta acustica, illuminazione. Chiese a Kolo
Moser e a Othmar Schimkowitz di realizzare rispettivamente mosaici delle vetrate e angeli sulle
colonne del portale principale e dell'altare maggiore.
Moderne Architektur, libro di Otto Wagner
Nel 1894 Wagner era diventato professore ordinario e direttore di un corso di specializzazione in
architettura dall'Accademia di Belle Arti. Tra gli allievi c'erano Hoffmann, Karl Ehn, Schindler.
Un'attenzione crescente per la modernità, lo porta, nel 1896, a scrivere Moderne Architektur, un
trattato che ebbe molta fortuna. Esso è articolato in 5 capitoli: l'architetto, lo stile, la composizione,
la costruzione, la prassi artistica. In merito allo stile, egli si espresse dicendo che "L'arte moderna
deve offrirci forme moderne che rappresentano la nostra epoca e il nostro modo di vita". In seguito,
fatta esperienza dell'Art Nouveau, comprende che quest'ultima non è pienamente in grado di
intendere i tempi moderni e per tale motivo ricerca un linguaggio ancora più proteso verso la
modernità. Un esempio è la Sala dei telegrafi del quotidiano "Die Zeit".
Sala dei telegrafi del quotidiano "Die Zeit" (1902) di Otto Wagner
Presenta un linguaggio ipermoderno per il tempo: una facciata pop dove si nota l'uso marcato del
lettering, gli elementi di illuminazione sono fuori, non c'è un linguaggio, c'è l'alluminio in facciata.

*1N.B.: un particolare da notare è la presenza nell'edificio dello slogan degli artisti della Secessione:
"Al tempo la sua arte; all'arte la sua libertà".
*2N.B.: la torre è un grande monumento di significato multiplo, un punto di riferimento che
modellasse la città in modo unico. C'era la volontà di creare un edificio alto in modo che, da tutta la
città, si vedesse questa vera e propria acropoli. Un'interpretazione possibile, osservando la parte
terminale in alto, è quella di vedere il monumento come la mano di Ernest Ludwig che protegge la
città. L'ingresso è architravato e fatto di elementi che arretrano e una cancellata geometrica. Le
aperture sul prospetto di dispongono asimmetricamente a destra all'interno di una fascia (come
Wright). La terminazione è composta da archi concentrici rastremati verso l'interno coperti da una
struttura metallica lasciando spazio alla presenza di balconi. Il gioco delle membrature concentriche
sarà ripreso da Hoffmann.
*3N.B.: il pavimento è composto da una struttura metallica fungente da sostegno per la copertura in
cristallo.
Storia dell’Architettura, Lezione No. 16
Otto Wagner
L’opera di Wagner si può dividere in tre periodi: prima fase di eclettismo storicistico con cui raggiunse
una considerevole fama; seconda fase di incontro con la Secessione; terza fase di allontanamento
dalla Secessione per arrivare a un tipo di linguaggio caratterizzato da elementi dell’Art Nouveau
geometrico e ‘proto-razionalisti’. Quest’ultima la si può notare in un edificio per appartamenti in cui
ricorrono elementi classicisti (parte basamentale, corpo dell’edificio e cornicione aggettante) ed
elementi geometrici molto semplificati (le aperture collegate tra di loro da sottili linee orizzontali e
verticali). Alcuni particolari da notare: uso di intonaco, marmo e maioliche (piastrelle di ceramica
smaltate), predilezione di finestre strette e lunghe. (Nome dell’opera: non lo so perché non l’ha
detto).
Postsparkasse (Cassa di Risparmio delle Poste) di Otto Wagner
È una delle opere più importanti dell’architetto e si configura come un grande edificio posto nel cuore
di Vienna. Al suo interno sono previsti: spazi pubblici (grandi saloni con sportelli per le operazioni
bancarie); spazi semi-pubblici (uffici per clienti); spazi riservati. Il progetto è del 1903, quando Wagner
vinse il concorso. I lavori iniziarono nel 1904, sospesi nel 1906, ripresi nel 1910 e conclusi nel 1912.
La struttura è molto grande e ha una forma vagamente trapezoidale (con la base piegata verso il
basso in prossimità dell’ingresso). Al centro sono previsti cinque cortili*1 e il tutto si conforma come
un recinto di uffici che gira intorno agli spazi aperti: vi sono dei bracci di collegamento tra le ali dei
vari uffici. È un grande impianto simmetrico con un’impostazione assiale e con una forte
caratterizzazione monumentale. Il prospetto è arricchito da scritte, ghirlande, motivi decorativi e
sculture angeliche di alluminio (desiderio di unire tradizione e innovazione). La struttura portante è
in mattoni rivestita di sottilissime lastre di marmo di Sterzing (e granito svedese in basso): qui Wagner
gioca sull’altezza dei filari e sulla frequenza delle chiodature in alluminio usate per fissare le lastre,
trasformandole nell’elemento di caratterizzazione principale della facciata*2. Alcune piastrelle sono
ondulate e ciò determina un prospetto animato: c’è l’intenzione di avere un conflitto di azioni e
reazioni. L’ingresso in pietra è sormontato da una pensilina in alluminio. All’interno vi è una grande
scala che conduce al piano superiore dove c’è una grande sala: uno spazio luminoso coperto da una
copertura dalla forma particolare (sembra una volta a botte, non di un arco a tutto sesto, ma di un
arco a tre centri rialzato) e avente una struttura metallica che tiene assieme le lastre di vetro
traslucido; lo spazio è intonacato di bianco; i pilastri, in acciaio e lasciati a vista, tendono a essere
rastremati verso il basso e verso l’alto, avendo così una sezione più grande nella parte centrale (idea
di elasticità e flessibilità); la pavimentazione (composta da un telaio metallico e pannelli traslucidi in
vetrocemento) disegna delle linee che collegano i pilastri tra di loro, andando a determinare grandi
quadrati; vi sono degli elementi metallici di aereazione e ventilazione che, pur facendo parte della
componente impiantistica, assumono una loro autonomia che esibisce i tempi moderni. Il grande
salone delle casse fissa un paradigma dell’ufficio pubblico novecentesco ispirato a principi di
funzionalità e flessibilità, ma anche un’immagine di modernità, pulizia, ordine ed efficienza. Vi sono
superfici lucide, traslucide, opache che determinano un’eterogeneità nell’uso dei materiali:
vetrocemento, legno, acciaio, intonaco, pietra, marmo, vetro bianco. È una bolla di vetro: trasparenza
e fragilità: una metafora del denaro. Questo simbolismo non ha più bisogno dell’ornamento perché
sono i materiali stessi che vengono caricati di un significato simbolico: la potenza espressiva dei
materiali è autosufficiente. In sezione si può vedere che i pilastri si spingono ben oltre l’altezza delle
coperture per tenere quest’ultime dall’alto tramite dei tiranti in acciaio: è una soluzione molto
moderna. Nei motivi decorativi degli interni viene ripresa la bicromia di bianco e nero molto presente
in quegli anni. C’è un totale controllo anche sugli arredi: oggetti leggeri lignei messi in combinazione
con l’alluminio (sedute, punti di appoggio, piedi, ecc.).
Seconda Villa Wagner
È un’opera che incarna la modernità: scatolare, spigoli vivi, eliminazione dei riferimenti agli stili storici,
copertura piana, segni grafici sulla facciata che collegano le aperture. La pianta è asimmetrica (a
differenza della Rosen House): l’ingresso è decentrato, c’è un solo terrazzo porticato. Analizzando i
particolari: non manca l’elemento decorativo che si realizza nella bicromia bianco-nero e nella
presenza di decorazioni floreali fortemente geometrizzate. Il panello posto in cima al portoncino
principale venne realizzato da Klimt. Adolf Loos sottolineò la capacità di Wagner di essere un artista
di altissimo livello, un costruttore e profondo conoscitore della forma concepita come una
costruzione che avvolge gli spazi.
Josef Franz Maria Hoffmann
Nacque nel 1870 in Moravia (Brno) e fu il grande rivale di Adolf Loos. Frequentò la Scuola superiore
di Arti e Mestieri di Brno, fece un tirocinio presso la divisione di pianificazione dell’autorità militare
di Wurzburg. Si trasferì a Vienna per seguire i corsi di architettura all’Accademia di Belle Arti del
professore Otto Wagner. Scelse di aderire al fronte della Secessione insieme al suo amico Olbrich. La
sua opera, improntata a una forte essenziale astrazione geometrica, apre il secolo in chiave
decisamente moderna. Nel 1895, dopo la laurea, vinse il Prix de Rome, ovvero una borsa di studio
molto consistente grazie alla quale riuscì a fare un viaggio in Italia. I fattori che incisero sulla
formazione di Hoffmann furono: Otto Wagner, la cultura britannica (country house e gli interni di
Mackintosh). I temi principali che orientano l’opera di Hoffmann sono: Gesamkunstwerk, il desiderio
di trasformare l’architettura in un qualcosa nel quale si fonde tutto (architettura, pittura, scultura, le
arti minori) e ciò determina un’unità di stile e la possibilità dell’architetto di disegnare tutto; Chiarezza
semantica Spazio/Forma, ovvero che l’esterno deve rivelare l’interno; Geometria, perché Hoffmann
mette da parte la matrice morfologica concavo-convesso naturalistica per favorire l’angolo retto, il
prisma, il cubo e il quadrato; Perfezione Tecnica, gli oggetti devono essere perfettamente definiti in
tutti i loro dettagli e devono essere il risultato di una corretta applicazione della tecnologia (bisogna
conoscere bene i materiali, dunque).
Sanatorio di Purkersdorf di J.F.M. Hoffmann
È un’attrezzatura clinica privata, un sanatorio dove i clienti potevano curare le malattie respiratorie:
ragion per cui venivano realizzati in campagna e in zone particolarmente salubri. In questo caso si
tratta di un’iniziativa privata voluta dall’imprenditore Viktor Zuckerkandl per le famiglie ricche di
Vienna. È un’architettura simmetrica dove non ci sono grandi superfici vetrate e presenta degli
aspetti riconducibili all’architettura proto-razionalista: tetti piani, superfici tese, spigoli vivi, intonaco
bianco, volumi chiaramente enunciati e messi in relazione tra di loro in un gioco di avanzamenti e
arretramenti. Quest’architettura rimanda a un’immagine di grandissima essenzialità. Tutto è giocato
raffinatamente sul trattamento superficiale: in alcuni punti l’intonaco è perfettamente liscio, in altre
è oggetto di rasatura, in altri ancora è lasciato più grezzo. C’è un unico motivo decorativo: una fascia,
costituita da due fasce di quadratini bianchi e neri che si alternano, che non solo segna l’attacco tra
una parte e l’altra della facciata, ma segue anche il profilo delle finestre tenendole assieme. Questo
tipo di scelta influenzerà Wagner. Anche gli interni sono frutto dell’uso della forma quadrata (pareti,
pavimentazione, arredi).
Palais Stocklet di J.F.M. Hoffmann
È una delle sue opere più importanti ed è un’icona delle architetture del Novecento. È una residenza
privata della ricchissima famiglia Stocklet: nello specifico si tratta di Adolphe Stocklet, un ingegnere
minerario che manifestava interesse per vari rami. La volontà era quella di avere una grande
residenza dove era possibile organizzare salotti intellettuali, feste, banchetti, opere teatrali e
musicali. Essendo stato colpito, durante un viaggio a Vienna, dalle architetture della Secessione,
Stocklet diede l’incarico ad Hoffmann di realizzare una villa a Bruxelles. La pianta mette in evidenza
la struttura molto complessa avente vari assi orizzontali e verticali: è una struttura policentrica che
non incarna più l’idea del palazzo, ma è il risultato dell’integrazione di blocchi scatolari, diversi per
dimensioni e forme, messi in relazione grazie a degli assi. È una residenza suburbana per una famiglia
che appartiene alla classe dominante. Essa si conforma anche come una casa-museo per soddisfare
l’esigenza della moglie Suzanne Stevens di essere una collezionista d’arte. L’abitazione si compone di
quaranta stanze articolate su tre livelli. I due assi orizzontali sono interrotti da quelli verticali
appartenenti allo studio, terrazza e sala da pranzo*4 (caratterizzati da terminazioni triangolari). La
terrazza si pone sullo stesso asse della hall a tutta altezza e dello spazio circolare dell’ingresso. I
pilastri della hall sono calcolati in modo che interrompano l’unità del ballatoio e per ottenere dei
pannelli quadrati. L’esterno è interamente rivestito di lastre di prezioso marmo grigio chiaro del
Belgio. La monumentalità e la pesantezza vengono smorzate con fasce bronzee*3 poste negli spigoli:
sembra così che siano stati messi insieme tanti piani. La parete non ha più funzione portante: diventa
rivestimento ed è indipendente dalla struttura. Inoltre essa è libera di essere autonoma rispetto ai
piani e al tetto. Il cornicione scompare con le finestre che addirittura lo sfondano e la linea superiore
è identica a quelle verticali laterali. C’è anche un grande giardino sul retro. Il tutto è sormontato da
un torrino che richiama i canoni dell’Art Deco. Gli interni sono interamente progettati da Hoffmann.
Era compresa anche una piccola sala per le rappresentazioni teatrali e fu arredata con lastre di marmo
di Portovenere con cornice in rame dorato, tende e tappezzeria in rosso scarlatto e pavimenti in teak
australiano.
Cabaret Fledermaus di J.F.M. Hoffmann
Il cabaret è un luogo in cui si allestisce un teatro non ufficiale. Il locale ha una pavimentazione a
scacchi bianca e nera, mentre le pareti sono ricoperte, fino a una certa altezza (in corrispondenza
dell’imposta dell’arco d’ingresso), da piastrelle colorate tutte diverse in dimensioni e colori. Esse sono
sormontate da un listello, oltre il quale la parete diventa bianca.

*1N.B.: i cortili hanno forme diverse (quelle centrale è più grande e di forma quadrati, gli altri hanno
forme meno regolari) e sono sormontati da coperture traslucide.
*2N.B.: essi, inizialmente previsti dorati, rievocano il denaro.
*3N.B.: con l’azione degli agenti atmosferici diventano verde rame.
*4N.B.: la sala da pranzo si sviluppa longitudinalmente. La parete di fondo ospita due ingressi alla sala,
un dipinto (di Klimt) e due grandi mosaici posti a destra e sinistra.
Storia dell’Architettura, Lezione No. 17
La nascita della Wiener Werkstatte
Koloman Moser fu un architetto e artista che aveva una spiccata predilezione per le arti minori:
arredamento, progettazione di oggetti, tessuti, carte da parato, ecc. Egli era particolarmente amico
di Hoffmann e, insieme a quest’ultimo, progettò una serie di manufatti all’avanguardia, ma che, a
causa della mancanza di imprenditori che investissero i loro capitali in questa produzione, per un
considerevole periodo di tempo il tutto rimase irrealizzato. A ergersi come risolutore di tale situazione
fu l’imprenditore Fritz Waerndorfer, che si offrì nel mettere a disposizione un capitali per l’apertura
di un’azienda destinata alla produzione dei suddetti manufatti. Nasce, così, la Wiener Werkstatte (le
Officine di Vienna) nel 1905. L’orientamento stilistico di tale attività era di matrice Art Nouveau
geometrica. La fondazione della Wiener Werkstatte comporta la formazione di due gruppi all’interno
della Secessione: uno sostenente che, trattandosi di una realtà imprenditoriale, sarebbe stata
contaminata la purezza della Secessione e quindi il design non doveva essere considerato all’interno
della Casa della Secessione, andando a contraddire uno dei principi di tutta l’Art Nouveau; un altro
gruppo stava dalla parte di Hoffmann e Moser, tra cui Klimt. Fu così che nel 1905 la Secessione subì
uno scisma, tanto che nel 1908 coloro che parteggiavano per la Wiener Werkstatte parteciparono a
una mostra opposta ai secessionisti. Alcune ideologie caratterizzavano l’azienda: stabilire una
connessione tra pubblico, progettista e artigiano; creare oggetti domestici buoni e semplici; la
funzionalità era la prima condizione; la loro forza consisteva nella progettazione di oggetti dalle
buone proporzioni e nel trattamento ottimale dei materiali; l’aggiunta di ornamenti era contemplata,
ma senza vincoli e non a ogni costo. Da ciò prendono vita tredici principi fondamentali che erano
seguiti: 1. Riconoscimento e riqualificazione del lavoro artigianale; 2. Chiara definizione dei principi:
utilità, praticità, onestà; 3. Intervento in ogni settore dell’artigianato artistico; 4. Educazione al gusto
della borghesia: rifiuto dei revivals e del mito del decoro; 5. Unità di stile; 6. Pragmatismo
imprenditoriale; 7. Razionale organizzazione del lavoro; 8. Uso delle macchine senza moralismi; 9.
Nessuna commistione lavoro/formazione; 10. Pubblicità; 11. Diffusione in ogni Paese; 12.
Aggiornamento, ricerca, sviluppo; 13. Vendita su commissione. La Wiener Werkstatte attraversa
prima una fase in cui gli oggetti prodotti sono caratterizzati dal minimalismo, dall’uso delle forme
geometriche semplici, bicromia bianco-nero e minima presenza dell’ornamento e decorazioni.
Successivamente, si presenta un secondo periodo in cui le parti si invertono e si nota un crescente
decorativismo.
Padiglione Austriaco all’Esposizione di Roma di J.F.M. Hoffmann
Il padiglione viene realizzato secondo uno spiccato gusto classicista e non risulta diverso dalle
ultimissime opere di Olbrich: l’impostazione è bloccata, vi è assenza di ornamento.
Verso un gusto razionalista
A un certo punto ci si rende conto che l’Art Nouveau non può risolvere i problemi di abitazione di
massa e non è più in grado di esprimere i tempi moderni. Hoffman si avvicina così ai canoni perpetrati
dal suo rivale Adolf Loos e ciò è evidente anche nel Werkbund austriaco, nel Padiglione austriaco alla
Biennale di Venezia nel 1934.
Adolf Loos
Principi fondamentali
Nacque nel 1870 a Brno. Fu una delle figure più importanti di questo periodo perché: creò una rottura
con l’Art Nouveau per seguire qualcosa di più moderno; il suo lavoro era incentrato sullo spazio
interno più che sull’esterno, ponendosi in contrasto con l’eclettismo storicistico ottocentesco e in
accordo con la vera essenza dell’architettura e cioè la spazialità interna; essendo stato in America,
egli fu un entusiasta sostenitore di tutto ciò che era ipermoderno e si affermò attraverso architetture
all’avanguardia, senza mai dimenticare il valore della storia e della tradizione (non ci può essere una
modernità senza la totale comprensione della tradizione); afferma un linguaggio essenziale e puro.
Adolf Loos non era considerato dai suoi coetanei razionalisti come uno di loro, perché dava molta
importanza alla storia. Successivamente, però, quando il Movimento Moderno e il razionalismo, negli
anni ’50 e ’60, sono andati in crisi e si sono rigenerati attraverso una ripresa della storia, allora si è
compreso il valore della figura di Loos, ragion per cui quest’ultimo era estremamente all’avanguardia.
La premessa fondamentale di Adolf Loos pone una netta differenza tra la casa e il monumento: la
prima ha a che fare con un bisogno vitale, mentre il monumento è un atto gratuito che non incide
sulla vita umana. Egli sosteneva che tutto ciò che è al servizio di uno scopo pratico è escluso dall’arte,
dunque: l’architettura non ha nulla a che vedere con l’arte, poiché soddisfa esigenze umane pratiche.
Per Loos l’architettura si afferma in due aspetti: Costruzione, cioè qualcosa di fisico, la messa in opera
dei materiali, è tecnica. L’architetto dunque si occupa di costruire, di tutto ciò che concerne la
struttura, mentre non gli appartiene quello che non riguarda la struttura (mobili e arredi);
Conformazione dello spazio, che con Loos si conforma con l’individuazione delle funzioni e delle
dimensioni necessarie e ciò si concretizza come dei blocchi che vengono incastrati tra di loro in altezza
in modo che essi possano essere chiusi in un’unica scatola. Dato che si hanno altezze differenti,
l’architettura diventa una sorta di gioco di incastri che porta ad avere delle sezioni diverse. Questo
modo di progettare viene nominato con un neologismo di Loos stesso: Raumplan (piano dello
spazio/stanze) e quindi lo spazio viene concepito come l’incastro di volumi diversi, ma conclusi da un
unico tetto a ricomporre la scatola. Da ciò dipende un vantaggio sul piano economico perché si sfrutta
razionalmente la cubatura e la superficie. Dal punto di vista espressivo si determina all’esterno un
distribuzione asimmetrica delle aperture sulle facciate, mentre all’interno si ha un ricca articolazione
spaziale.
Logiche concettuali su come si costruisce
Pratica della Rinuncia
Le rinunce sono quelle legate alla rappresentazione dell’architettura, all’autogratificazione
narcisistica, a un’idea di architettura come ricerca formale, alla decorazione di natura artistica. Si
parla dunque di nichilismo*1 loosiano. Esso non è una rottura, ma un ricongiungimento col passato,
con le origini delle costruzioni umane, con una mentalità che mirava a discriminare l’utile
dall’accessorio, l’essenziale dal superfluo. La critica dell’ornamento di Loos è continua e ha varie
ragioni: economiche, perché per fare qualcosa di decorato comporta un costo maggiore e tempi più
lunghi, ma per essere competitivi sul mercato i proprietari scaricano sui salari dei lavoratori; sociali,
in quanto i prezzi alti sono proibitivi e non accessibili a tutte le classi sociali; etiche, poiché dal suo
punto di vista la storia umana la si può anche vedere come una progressiva emancipazione dal mondo
dei selvaggi (civiltà) e dall’ornamento, infatti quest’ultimo è particolarmente presente, sottoforma di
simboli e pitture corporee, nelle società più primitive. L’uomo moderno è, infatti, asciutto ed
essenziale nel modo di vestire e di pensare e, quindi, liberarsi dall’ornamento vuol dire veramente
creare un’architettura più civile. L’ornamento è anche sintomo di assenza di pensiero, è una malattia
dell’intelligenza perché invece di pensare un manufatto, lo si decora; estetiche, dal momento in cui
nell’arte si tende, nella contemporaneità di Loos, a mostrare sempre più un approccio analitico,
evitando simbolismi, la componente narrativa e decorativa, e ciò influisce anche sul gusto che, nei
Paesi più civilizzati, è sempre più anti-decorativo. Da ciò deriva l’idea di un’architettura essenziale in
grado di concentrarsi sulla funzione e sull’interpretazione della funzione.
Loos, inoltre, parla di Semantica dei materiali: il significato simbolico non viene espresso attraverso
l’apparato decorativo, quanto, piuttosto, attraverso un uso sapiente dei materiali: ogni materiale,
infatti, ha una propria qualità intrinseca che rende superfluo, volgare e anti-economico ogni
mascheramento ornamentale. Tale qualità consiste nella sintesi dei caratteri specifici del materiale
dal punto di vista tettonico, formale, materico, cromatico. La competenza specifica dell’architetto è
riconoscere la natura dei materiali e saperla esprimere.

*1N.B.: nichilismo=manifestazione di anarchismo politico che prende corpo alla fine del 1700 e inizio
del 1800 nelle fabbriche della Gran Bretagna perché l’uso delle macchine compromette la stabilità
lavorativa degli operai, i quali reagiscono creando questo movimento. Il nichilismo è anche legato al
rifiuto radicale e senza compromessi.
Storia dell’Architettura, Lezione No. 18
Adolf Loos
Poetica della Differenza
Nel suo modo di progettare Adolf Loos mette a confronto delle coppie alternative e dicotomiche: una
concezione dialettica del processo progettuale. Le coppie sono: Antico-Nuovo, Architettura-Luogo,
Interno-Esterno. Antico-Nuovo: il presente si costruisce sul passato, così come questo si è costruito
sui tempi che lo hanno preceduto. Loos ha una forte proiezione nel futuro ed è responsabilmente
consapevole dei tempi moderni del tempo, che andavano rappresentati con architetture adeguate e
che richiamassero la tradizione. Il rispetto della tradizione è un qualcosa di concreto per Loos, in
quanto esso si realizza nell’uso critico di ciò che è già stato progettato, per poter concentrare le
risorse su quello che si deve ancora progettare. La forma migliore è una forma già data poiché la
tradizione è vista come la stratificazione, nel corso dei secoli, di un’intelligenza collettiva che si deve
mettere a frutto. La tradizione è vista da Loos anche come un ‘argine’: alla frenesia creativa, alle
derive decorativiste della Secessione e della Weiner Werkstatte, ovvero il falso nuovo; alla nostalgia
del passato e alle retoriche dell’Heimatkunst; al vedere il passato come ‘storia degli stili’ e come un
catalogo. All’interno della storia c’è un’opzione privilegiata da Adolf Loos, cioè il classico. Architettura-
Luogo: per Loos un’architettura deve imporsi al luogo, rivendicando orgogliosamente l’appartenenza
al proprio tempo, ma reinterpretando il luogo stesso. Vi è, dunque, una dialettica tra la specificità e
l’autonomia dell’oggetto architettonico e i caratteri fondamentali dell’ambiente nel quale si va a
integrare. Quando si progetta in una città bisogna conoscere e riconoscere i caratteri fondamentali
della stessa, che non sono i monumenti, ma il modo in cui sono realizzate le abitazioni, la
pavimentazione, gli infissi, l’intonaco. Ogni città ha un suo carattere e l’edificio nasce proprio dalla
dialettica serrata con il contesto del costruito. Interno-Esterno: verso l’esterno l’edificio dovrebbe
restare muto e rivelare la sua ricchezza all’interno: lo specifico dell’architettura è nel suo spazio
interno; la facciata di un edificio è quell’elemento che appartiene a tutti, oltre che al proprietario,
perché definisce l’ambiente e deve interferire il meno possibile con esso. È compito del progettista
trasmettere, attraverso l’articolazione esterna, adeguatezza del progetto al tempo in cui esso è stato
realizzato. Inversamente, l’interno sono molto ricchi e con materiali ricercati perché esso appartiene
all’individuo.
Formazione di Adolf Loos
Nacque il 10 dicembre 1870 a Brno. Suo padre era uno scalpellino-scultore e maestro marmista.
All’età di 12 anni inizia a soffrire di sordità. Nel 1885 si diploma al Reale Ginnasio Superiore dei
Benedettini. Nel 1887 frequenta il corso di Scienza delle Costruzioni alla Scuola Industriale Superiore
di Reichenberg (Boemia) e un tirocinio estivo obbligatorio da muratore. Nel 1893 va in America dallo
zio paterno a Filadelfia e ha modo di visitare NYC, St. Louis, Chicago per l’Esposizione Colombiana.
Con questo viaggio Loos ha modo di toccare con mano la modernità. Torna a Vienna nel 1896 e inizia
ad entrare man mano nel mondo dell’architettura ed entra in contatto con un imprenditore-
architetto Karl Mayreder, la cui moglie, Rosa Obermeyer, lo introduce ai salotti intellettuali. Nel 1897
inizia a lavorare come architetto. Il suo primo progetto risale al 1898 e riguarda l’arredamento interno
di un negozio (demolito) di abbigliamento (Negozio Goldman & Salatsch): si percepisce un sapore di
Secessione, ma con una chiara impostazione geometrica. Successivamente inizia a scrivere scritti
molto semperiani (si percepisce l’influenza di Semper) e c’è una critica molto dura contro
l’ornamento e all’arte applicata.
Cafè Museum di Adolf Loos (1899)
È la prima realizzazione importante che genera molto scalpore a Vienna, tanto da essere definito
Nihilismus dal critico Hevesi: la facciata non è decorata, ma è semplice e bianca con aperture
rettangolari. La pianta mostra: la posizione dell’ingresso nell’angolo, la sala con i tavolini e la sala con
i tavoli da biliardo. Non adotta nessuna connotazione estetica espressiva. Sul soffitto, realizzato come
una volta a botte, lascia a vista le canalette per il passaggio dell’impianto elettrico. Propone delle
lampade minimaliste, rivoluzionari per il tempo, adottando un linguaggio industriale e molto
semplificato e concettuale.
Casa Loos di Adolf Loos (1903)
In questo progetto affiora l’understatement*1 che lo caratterizzava. L’appartamento non è grande.
C’è un piccolo camino di mattoni articolato in casse contenenti mensole. C’è il cassettonato. È una
casa molto inglese. La camera da letto, essendo la parte privata, viene realizzata con un linguaggio
completamente diverso: viene messa in risalto la dimensione onirica con la forte presenza di bianco
(una tenda fascia buona parte del perimetro della stanza, non limitandosi alle sole finestre, ma
andando a coprire anche le pareti); lo spazio del letto è evanescente e diafano.
Fondazione della rivista Das Andere (1904)
È una rivista della quale usciranno soltanto due numeri ed è finalizzata all’introduzione della cultura
occidentale (americana) in Austria. Sono scritti inerenti l’abbigliamento e il cambiamento del gusto
allora in uso verso uno più moderno.
Villa Karma di Adolf Loos (1904)
È una realizzazione importante che viene fatta per un medico di grande cultura filosofica orientale ed
esoterica, Theodor Beer. In realtà si tratta di una ristrutturazione di una villa esistente sulle rive del
Lago Ginevra, nei pressi di Montreaux: effettua un ampliamento circondando la preesistenza con una
parte nuova: si tratta di galleria aventi grandi aperture verso l’esterno. È un nuovo che profuma di
antico, infatti l’ingresso è risolto con una pianta ovale ed è preceduto da un pronao tetrastilo dorico.
La polizia municipale interviene dicendo di dover cambiare il progetto in quanto esso non era in
armonia con l’ambiente. È un edificio che contiene i principi professati da Loos stesso: esterno è
bianco e silenzioso, al contrario di un interno molto ricco; c’è un rapporto con il luogo e il
committente; negazione dell’ornamento; semantica dei materiali perché all’interno egli si affida
molto al significato culturale che può avere la scelta di un materiale piuttosto che di un altro.
L’ingresso, dunque, è ovale e ha una pavimentazione a scacchi concentrici: c’è un rapporto tra il
bianco, il nero, il marmo e ornamenti*2. Uno degli angoli è occupato da un corpo cilindrico avente
sulla sommità una loggia. Gli interni sono realizzati in legno e marmo (tavoli, librerie scavate nel muro,
controsoffittature, un leggero cassettonato, ecc.).
Karntner-Bar (American Bar) di Adolf Loos (1908)
In uno spazio angusto realizza un bar all’americano rielaborando i canoni viennesi. L’esterno è diviso
in due parti: la parte di sotto simmetrica in marmo e ottone e con grandi aperture per far entrare la
luce; sopra pone un elemento scatolare rivolto verso l’esterno caratterizzato da una bandiera
americana, su cui aggiunge l’intestazione Karntner-Bar; sopra, ancora, viene posta un’ulteriore fascia
su cui viene scritto American Bar. L’interno è caratterizzato da: pochi tavolini con sedute imbottite,
un bancone all’americana con sedute più alte, la pavimentazione è a scacchiera, le pareti sono
coperte da pannelli di legno ed ospitano anche degli specchi che girano su tutti i lati per mettere in
risalto il cassettonato a quadrati concentrici del soffitto e per dilatare lo spazio. Mette, inoltre, in
risalto le travi ricoperte di marmo. Sulla parete dell’ingresso sono disposte delle lastre di alabastro
lucido.
Ornament und Verbrechen
Il 1908 è anche l’anno della conferenza che lui tiene, Ornament und Verbrechen (Ornamento e
Delitto), dove c’è una critica all’ornamento, ma non la negazione dello stesso.
Negozio Knize di Adolf Loos (1909)
Esternamente ha un’immagine molto dura e rigorosa, volendo dare l’idea di uno scrigno che ribadisce
tutta la potenza espressiva del materiale: usa il granito e la quercia. Internamente prevale il calore
del legno chiaro (ciliegio), del colore verde, degli specchi.
Casa Steiner di Adolf Loos (1910)
È la sua casa più famosa. La facciata verso la strada è sormontata da una mezza volta a botte per
rispettare il regolamento edilizio secondo cui la casa non doveva avere più di un piano sulla strada e
che si poteva tollerare solo il sottotetto. Il prospetto sul giardino, invece, sormontato da un terrazzo.
Esternamente è dominato da un azzeramento semantico e presenta una marcata semplicità
(intonaco bianco e finestre) in quanto Loos dà importanza alla qualità dello spazio interno. L’opera
risulta iper-moderna, ma anche storica: utilizza la lamiera per la copertura a volta, un elemento
presente nella tradizione delle case popolari di Vienna. Il silenzio dell’esterno cela la calda intimità
dello spazio interno. Si effettua una differenza tra lo spazio della città e della casa: il primo condensa
in sé i valori di civiltà, che esige emancipazione dall’ornamento; il secondo è l’immagine della
dimensione interiore di chi abita. La pianta mostra che dall’ingresso è possibile accedere o alla cucina
o alla hall, che convergono in un unico grande spazio da pranzo/conversazione avente un’apertura
sul giardino. Si nota una grande attenzione all’operato di Wright e alla casa giapponese e c’è, dunque,
una fluidità spaziale: ambienti interrelati dai collegamenti verticali, pilastri e blocchi funzionali. Si può
osservare uno dei primi esempi di pianta libera, che Le Corbusier teorizzerà nei suoi scritti. L’intonaco
che usa in malta di calce è della tradizione popolare. La sua modernità è aver opposto alla Secessione
un nuovo, più maturo, responsabile e rivoluzionario uso della tradizione.
Geschaftshaus Goldman & Salatsch (Looshaus) di Adolf Loos (1910/1911)
È l’edificio più importante a carattere pubblico di Loos. Esso sorge su una piazza del centro di Vienna
(Michaeler-platz) dove si trovano grandi monumenti della grande architettura storica viennese: si
presentò il problema di voler realizzare un edificio moderno in un contesto storico. Riceve l’incarico
dalla sartoria per cui, qualche anno prima, aveva già fatto gli interni. L’architettura si divide in una
parte commerciale e in una abitativa (sopra). La pianta irregolare è divisa in due parti: una
pentagonale il cui ingresso, preceduto da quattro colonne (che richiama il pronao di s. Michele), è
scavato con un profilo curvilineo e ciò gli da la possibilità di riallacciarsi all’Hofburg: risulta essere una
sintesi virtuale delle presenze che stanno nella piazza. Nella parte alta c’è l’intonaco bianco a calce,
come sono i palazzi di Vienna. L’opera fu violentemente attaccata perché sembrava un edificio
popolare a causa della grande semplicità. Loos si difende affermando che un edificio moderno per
essere considerato tale non poteva che avere un’essenzialità nel linguaggio. Il primo progetto che
propose prevedeva un tetto alto e dei fregi sul fronte. Il secondo presenta dei filari orizzontali sulle
facciate. Nel terzo progetto semplifica ancora e toglie tutto e lascia il bianco con le aperture quadrate.
I lavori vennero bloccati poiché ci fu la richiesta di apporre delle fioriere con gerani e, così, ci fu la
quarta idea progettuale. Trattandosi di un edificio misto tra parte commerciale e abitativa, Loos non
aveva riferimenti e dovette di fatto inventare una tipologia. Per faro ciò riprende l’idea americana di
Hotel avente nel piano terra una parte pubblica (lobby) dove chiunque può accedere. C’è un
riferimento alla colonna: la base caratterizzata da un marmo cipollino d’Eubea e le cui colonne
(anch’esse in marmo) sono collegate a un architrave di ferro e non hanno una funzione portante, ma
sono un elemento di finzione necessaria utile a collegarsi col portico della chiesa di S. Michele e
rappresentano un simbolo dello spazio pubblico dove si condensano le tracce della storia e della
civiltà. La base si compone anche di un piano ammezzato che ospita bowindi inquadrati da piccole
colonne; il fusto è il corpo in cemento armato intonacato di bianco destinato agli alloggi che si
sviluppa in altezza ed è virtualmente scanalato dalle strisce verticali delle bucature. Ricorre il tema
della dissociazione tra interno ricco ed esterno semplice, della dissociazione dei materiali (residenze
in intonaco e negozi in marmo), della dissociazione tra il cemento armato della struttura e la forma
architettonica dell’involucro murario indipendente dal telaio; il capitello è il tetto, che è molto
inclinato per sfruttare lo spazio in atelier con forte legame con la tradizione che prevede un
cornicione aggettante e una copertura in rame. L’interno è scandito dalla presenza del telaio con
coperture lignee utile a far percepire lo spazio principale di forma cubica. Il soffitto ha le travi in rilievo
e, collegandosi ai pilastri, creano una sorta di cubo cartesiano. Sono presenti gli specchi e i lucernai
che dilatano e addolciscono lo spazio. La scala, raffinata nei dettagli, prevede prima una rampa unica
e poi si biforca. L’edificio rappresenta la sintesi massima di tutto il pensiero loosiano.
Villa Scheu di Adolf Loos (1912)
È la prima vera casa volutamente progettata a terrazze. Lo fa perché è interessato alle nuove tecniche
di costruzione atte a rendere impermeabili i tetti piani. L’edificio si pone come una scatola bianca
all’interno della quale sono ricavati gli spazi a diverse altezze che si manifestano esternamente con
delle aperture non corrispondenti le une con le altre.
Villa Horner di Adolf Loos (1913)
Ricompare nuovamente il tema della volta, questa volta per intero e non a metà e dunque il vincolo
imposto dalla norma diviene chance espressiva per l’architettura e detta la forma.
Cafè Capua di Adolf Loos (1913)
Il professore lo cita come uno dei bar da sapere, ma non spiega nulla al riguardo: fratm/sorm studialo
da altre fonti, chest è.
Apertura di una scuola e lo scoppio della Guerra
Adolf Loos apre una scuola privata. Tra gli allievi spiccano i nomi di Neutra, Engelmann e Kulka. La
scuola chiude dopo pochi mesi a causa dello scoppio della Prima Guerra Mondiale nel 1914. La fine
della guerra e la sconfitta dell’Impero Asburgico comportò per Vienna un duro colpo: da grande Stato
imperiale diventa una piccola repubblica. Le elezioni dopo il conflitto vedono la sinistra vittoriosa e
ciò definisce un’amministrazione socialista che decise di dare una risposta al problema delle
abitazioni degli operai e nacque il progetto Vienna Rossa. Adolf Loos si mette a disposizione per
questo programma e diventa Architetto Capo del Dipartimento dell’Edilizia del comune di Vienna. Si
occupò principalmente di due progetti: Stedlung am Heuberg e Garten Stadt Stedlung Friedenstadt.
La sua idea di casa per operai prevedeva abitazioni a due piani con due giardini (anteriore e
posteriore), per creare delle piccole case borghesi. Questo lo pose in conflitto coi suoi colleghi che
avevano pensato a dei grandi blocchi in cui far vivere gli operai insieme (modello hofe). Per arginare
i costi e i tempi di costruzioni, arrivò ad elaborare delle case prefabbricate: ‘Case con un solo muro’.
Pur osteggiando inizialmente gli hofe, in seguito ne progettò uno: Otto-Haas Hofe. Si tratta di un
grande blocco di appartamenti multipiano.
Villino Rufer di Adolf Loos (1922)
Loos andò via da Vienna poiché soffrì del fatto che fosse visto come un architetto che, seppur
moderno, non andava fino in fondo: chiaramente questa concezione era sbagliata. Ragion per cui
andò a Parigi e si occupo della progettazione di questa abitazione. Le aperture sul prospetto sono
messe in modo casuale e asimmetriche: esse sono in funzione dell’articolazione spaziale interna. È,
per stessa ammissione di Loos, la più esemplare dimostrazione di costruzione generata dal raumplan.
La tabula rasa semantica è totale. A Parigi entra in contatto con Le Corbusier.

*1N.B.: Atteggiamento volutamente alieno da enfasi e retorica.


*2N.B.: egli non è contro l’ornamento ma vuole che quest’ultimo entri a far parte del significato
dell’architettura, come van de Velde.
Storia dell’Architettura, Lezione No. 19
Adolf Loos
N.B.: Adolf Loos, proprio come F.L. Wright, organizza lo spazio interno con dei blocchi. La differenza
tra i due sta nella scelta del primo di chiudere il tutto all’interno di un cubo murario, mentre il secondo
lascia i diversi volumi a vista.
Nuova sede del Chicago Tribune di Adolf Loos (1922)
Tra il 1922 e il 1923 partecipò a un concorso internazionale di un importante quotidiano di Chicago
(Chicago Tribune) per la costruzione di una nuova sede. Questa fu vista come l’occasione perfetta per
la vittoria del razionalismo, dopo le varie sconfitte del passato. Il progetto presentato da Loos è molto
provocatorio: è composto da un cubo (base) su cui viene posta una gigantesca colonna, che è il corpo
principale del grattacielo, nel quale si nota anche l’entasi. Sulla sommità è posto un capitello. La
provocazione sta nel fatto che egli rispetta esplicitamente la richiesta di un edificio bello, realizzando
un’opera d’arte privandola dell’autentica dimensione dell’architettura. L’edificio non fu mai
realizzato e Loos ne era consapevole.
Villa Moissi di Adolf Loos (1923)
Loos dimostra un forte attaccamento e interesse alla cultura mediterranea, alla casa mediterranea,
alla lucida, logica e razionale progettazione delle abitazioni che per secoli hanno costituito l’habitat e
gli insediamenti mediterranei. Sulla scia di ciò egli si impegnò nella progettazione di un’abitazione al
Lido di Venezia per l’attore Alexander Moissi, ma mai realizzata. È una costruzione molto nichilista,
minimalista: La facciata orientale di questo edificio a schiera e cubica, risulterebbe nella disposizione
del tutto equilibrata delle sue finestre, delle pareti, se la lama non fosse, per un'ampia porzione del
piano superiore, dilaniata da un terrazzo a graticcio. La casa stessa è un disegno cubico intonacato
pesante aperto verso l'alto. Il soggiorno è al piano di sopra per la vista su Venezia. La scala esterna
accanto all'ingresso conduce al terrazzo vicino al salotto.
Casa di Tristan Tzara di Adolf Loos (1926)
Tristan Tzara fu il pioniere del dadaismo parigino. Tzara, benché fosse contro la razionalità a causa
del fatto che essa avesse portato all’orrore della Prima Guerra Mondiale, affidò l’incarico a uno dei
massimi esponenti del razionalismo: Adolf Loos. Il motivo di tale scelta può essere riassunto in una
frase di Tzara stesso: ‘’l’arte è una continua processione di differenze’’. Ciò coincide proprio con i
principi perpetrati da Loos (vedi Lezione No. 18). La costruzione si erge su un terreno scosceso, e
quindi fu necessario costruire muri di contenimento. La prima scrittura, la facciata, presenta una
composizione geometrica, divisa in due in funzione del materiale, la parte inferiore, rettangolare, di
pietra (fisicità e massività); quella superiore quadrata, di intonaco bianco (dal materico si passa
all’astratto ed evanescente). Si utilizza la pietra per i tre livelli della casa denotandone l’uso: il primo
livello da dare in affitto, gli altri per l’abitazione del poeta. All’alloggio da affittare si accede da un
patio coperto, dal giardino. Una scala principale attraversa la pianta del primo e secondo piano
incontra altri livelli, fino al piano nobile. L’insieme denota una geometria pura, con un uso radicale
della simmetria nella quale il grande vuoto centrale della balconata è protagonista e a questa
risponde il ritmo delle tre aperture simmetriche minori del livello inferiore. La base si distacca per
l’uso della pietra, che fa da “struttura” a differenza del paramento superiore, più che altro una “pelle”
dell’edificio. L’interno mette insieme ambienti a differenti quote in un volume unico (raumplan).
Risponde alla concezione loosiana di un interno privato avulso dalla immagine pubblica data dalla
facciata.
Villa Josephine Baker di Adolf Loos (1927)
Adolf Loos realizzò questa casa per Josephine Baker, una delle celebrità più belle di Parigi, di cui si era
innamorato. L’abitazione si pone come un blocco massiccio che viene stemperato dalla facciata, al di
sopra della fascia basale monocroma e liscia, caratterizzata dalla bicromia in bianco e nero (probabile
omaggio alla destinataria), a strisce orizzontali che ne marcano l’estensione longitudinale, interrotte
da sporadici vani finestrati. Il cubo principale, in cui sono evidenti gli spigoli vivi, si incastra con un
corpo cilindrico. L’interno prevede una singolarissima piscina in elevazione, con le pareti perimetrali
vetrate e trasparenti, in modo da costituire una sorta di acquario in cui chi vi nuota sia in esposizione.
L’ingresso da su una grande scala che porta ai piani superiori fino alla grande hall/soggiorno
caratterizzato da tre grandi vetrate che affacciano verso la strada. Vi è poi uno spazio, ovvero una
galleria interna che gira intorno alla piscina sopracitata. In questo progetto si ha modo di vedere un
razionalismo provocatorio che si carica anche di Art Deco.
Villa Müller di Adolf Loos (1930)
Successivamente ritorna a Vienna e si occupa di un nuovo lavoro. Con questo progetto Loos ritorna
al rigore razionalista: il progetto si compone come un cubo con la parte centrale che fuoriesce
leggermente e protegge il portoncino d’ingresso. Esternamente domina il bianco, le finestre non
hanno cornici, non ci sono decorazioni, sono presenti le terrazze. La particolare progettazione nello
spazio, definita Raumplan, in questa villa raggiunge il suo apice portando a termine un lungo processo
di sperimentazione (già presente nel progetto di Villa Steiner, 1910). Lo spazio viene caratterizzato,
anche all'interno di una stessa stanza, dal mutare in altezza dei livelli di calpestio, indicando il
cambiamento di una funzione o la simbolica importanza di una determinata area. Gli interni infatti,
al contrario della semplice facciata esterna, sono caratterizzati da mobili confortevoli e superfici di
rivestimento in marmo, legno e seta.
Deutscher Werkbund (1907)
Uno dei problemi principali della Germania nel 1800 è che i prodotti industriali tedeschi erano di
basso valore rispetto a quelli delle altre nazioni. Si sviluppa un dibattito che vede favorevole il
sostenimento delle aziende tedesche che fanno uso delle macchine e tale livello di industrializzazione
deve essere affiancato da una buona qualità dei disegni dei prodotti. Ciò richiama le Arts Crafts.
Questa visione delle produzione industriale era principalmente sostenuta dal politico liberale
Friedrich Naumann e, insieme all’imprenditore Karl Schmidt, fonda la Deutscher Werkbund.
L’architetto Muthesius partecipò attivamente all’iniziativa: architetto e progettista tedesco già attivo
in Giappone, fu inviato nel 1896 a Londra come addetto culturale dell'ambasciata tedesca, con lo
specifico compito di studiare l'architettura e il movimento delle arti applicate inglesi. Al suo ritorno
in patria venne nominato Sovraintendente del comitato prussiano dell'industria per le scuole di arti
e mestieri. Pubblica nel 1904, in tre volumi il libro Das englische Haus e svolge una vasta attività di
pubblicista e conferenziere nella quale egli tende ad affermare l'importanza della lavorazione
industriale come l'unica capace di risolvere il problema socio-economico delle arti applicate. Nel 1906
ci fu una conferenza a Dresda dove si chiese ai produttori di approcciare alla produzione in serie
progressivamente e cambiare il linguaggio degli oggetti. Tale richiesta non viene presa in
considerazione e ciò favorì, pochi mesi dopo, la nascita del Deutscher Werkbund nel 1907. Il
Deutscher Werkbund è un’associazione tra dodici aziende produttrici di oggetti e dodici architetti,
quelli più bravi dell’avanguardia tedesca: Peter Behrens, Theodor Fischer, Josef Hoffmann, Joseph
Maria Olbrich, Bruno Paul, Wilhelm Kreis, Max Langer, Richard Riemerschmid, Adalbert Niemeyer.
Nel 1911 aderirono Walter Gropius e Ludwig Mies van der Rohe. Tutti loro venivano incaricati di
progettare oggetti. Alcune delle ditte che presero parte all’iniziativa si associarono assieme perché
sono piccole e non riuscivano singolarmente a fare degli investimenti per avviare una produzione
meccanizzata.
Peter Behrens
Peter Behrens è uno degli architetti che partecipò alla Deutscher Werkbund. Si formò inizialmente
come pittore e artista. Egli attraversò una prima fase in cui, da artista, fu molto vicino allo Jugendstil.
Venne chiamato a Darmstadt come pittore dal granduca Ernesto Luigi d'Assia e fu uno dei
partecipanti al suo progetto di un insediamento di artisti. Qui egli costruì la propria abitazione (Casa
Behrens 1901). A Darmstadt iniziò progressivamente ad interessarsi all’architettura degli interni,
infatti fu egli stesso a progettare gli interni della propria abitazione con un gusto ancora vicino allo
Jugendstil, tanto da essere molto influenzato dall’operato di Henry van de Velde, infatti progetta ogni
singolo dettaglio. La dimora segna un’importante svolta, lontano dallo stile liberty degli esordi, verso
un’estetica sempre più rigorosa ed essenziale. In seguito, nel 1902, partecipò a un’Esposizione
Internazionale delle arti figurative di Torino, dove si occupò del disegno del padiglione della città di
Amburgo. Anch’esso è chiaramente in stile Art Nouveau: era prevista una vasca, decorazioni con
angeli stilizzati, un lucernario, un portico composta da colonne collegate attraverso inusuali arcate. A
un certo punto Behrens comprende che lo Jugendstil è ormai un linguaggio non più sostenibile e crea
una rottura con esso distaccandosene e favorendo il classicismo. Nel 1903 fu nominato preside della
Kunstgewerberschule (Scuola delle Arti Applicate) di Düsseldorf e tale esperienza gli diede modo di
ragionare ulteriormente verso un linguaggio più moderno e classicista, a partire dalla progettazione
di oggetti: elabora dei mobili costruiti secondo unità modulari. Le forme a cui rifaceva Behrens erano
il quadrato e il cerchio. Nei primi progetti architettonici di matrice classicista che egli elabora ci sono
forti riferimenti alle opere di Palladio, Sanmicheli e, quindi, all’Italia del 1500. Si occupò poi di
padiglioni per le aziende, i quali furono delle notevoli occasioni per sperimentare.
Crematorium ad Hagen di Peter Behrens (1905)
È l’edificio più importante di questa sua fase e primeggiano le forme del quadrato, cerchio, cubo,
diagonali. Per alleggerire le superfici, disegna delle linee orizzontali e verticali bicrome: un principio
grafico pre-rinascimentale. Egli usava la geometria come dispositivo di controllo del progetto
architettonico che deliberatamente vuole prendere le distanze dallo Jugendstil. Il crematorio aveva
una struttura complessa: la chiesa era caratterizzata da un sistema di terrazze aventi un portico in
alto. Anche l’interno viene progettato secondo un classicismo, l’uso delle geometrie e un grafismo
bicromo bianco-nero che serve a caratterizzare semanticamente gli edifici e a rifilare le superfici
sottolineandone gli spigoli. C’è la ripresa di una trabeazione con riferimenti a metope e triglifi.
L’ingresso, preceduto da una rampa, è scandito da un porticato. Si nota un forte riferimento alla
chiesa di San Miniato al Monte.
?Mostra d'arte della Germania nordoccidentale, Kunsthalle e padiglioni di Peter Behrens (1904)?
Il classicismo di Behrens emerge anche con quest’opera, dove il controllo geometrico è assoluto
perché divide la superficie in sei quadrati. Inoltre si avvale di un pronao tetrastilo curvilineo (si
manifestano suggestioni palladiane e barocche). Riporta le geometrie del quadrato e del cerchio
anche nella progettazione del cancello esterno. N.B.: il titolo di quest’opera non è certo, bisogna
verificare.
Storia dell’Architettura, Lezione No. 20
Peter Behrens
Edificio Aziendale AEG di Peter Behrens (1907)
Nel 1907 ricevette l’incarico dal politico e imprenditore tedesco Walter Rathenau. Quest’ultimo si
dimostrò un imprenditore illuminato poiché decise di cambiare gli oggetti che si producevano
dandogli un aspetto moderno e un’efficienza tecnica al passo coi tempi. Per fare questo, il liberale e
progressista Rathenau affidò il compito a Behrens: disegnare tutto, ovvero progettare gli oggetti che
l’azienda dovrà produrre e, dunque, occuparsi di dare una forma al prodotto industriale. Nasce così
in Europa l’Industrial Design, un settore nel quale confluisce una parte consistente della cultura
architettonica del 1900. A Behrens si occupò anche di progettare le architetture adibite alla
produzione e alla vendita dei manufatti industriali: showroom, negozi, uffici degli impiegati,
fabbriche, impianti industriali, il marketing, la pubblicità. È il primo caso della storia in cui un
architetto diventa responsabile dell’intera elaborazione di un’azienda. Uno dei poster dell’azienda
dimostra la sensibilità artistica di Behrens e la sua volontà di attenersi a un linguaggio semplice, ma
riferendosi al classicismo attraverso l’uso di geometrie semplici. Nella progettazione delle lampade
Behrens si dimostra molto all’avanguardia (proto-razionalista): sono cilindriche, asciutte, leggere,
funzionali, economiche, essenziali, un gusto che va verso la semplificazione di forme e colori. La
semplicità incideva positivamente sui tempi di produzione e sui costi, ragion per cui ci fu un dominio
sul mercato. Egli prese a modello i vasi della cultura ellenica in quando essi racchiudono in sé dei
principi logici: gli antichi greci davano una forma ai loro manufatti in funzione del contenuto che
l’oggetto stesso doveva contenere: la forma era determinata dalla funzione. Dimostra che i materiali
industriali possono esercitare una funzione seduttiva nel piano estetico. Behrens, inoltre, fu il primo
a essere determinante nella creazione di archetipi, la cui risonanza si percepisce ancora oggi, e nella
composizione di oggetti totalmente nuovi che allora non esistevano: gli elettrodomestici. Disegnò
anche il logo dell’AEG: scelse l’esagono come geometria perché esso richiamava le api e il fatto che
esse siano un modello insuperabile di organizzazione produttiva.
La fabbrica dei piccoli motori di Peter Behrens
All’interno del complesso aziendale AEG, Behrens si occupò della progettazione degli edifici in cui i
manufatti venivano prodotti. La fabbrica dei piccoli motori aveva delle dimensioni considerevoli per
gli standard Europei: 196m di lunghezza. Un lungo edificio diviso in quattro blocchi a metà tra il
classicismo e la modernità: moderno perché è vetrato, costruito con le nuove tecniche di costruzione
(telaio, i cui pilastri sono distanziati con la stessa distanza, andando a creare un ritmo costante, tipico
del tempio greco); i pilastri semicircolari aventi in alto una trabeazione, adattata alle necessità
funzionali di un’industria, evocano l’idea della colonna. L’altezza arriva a circa 20m. Le parti opache
sono rivestite da piastrelle smaltate violacee. La parte alta è come una trabeazione: tutto vetrato;
cornice arretrata per un ulteriore piano inclinato. Si avvale di un ordine gigante.
La fabbrica delle turbine di Peter Behrens
È un’icona delle architetture del 1900. C’è una forte assonanza con il tempio greco: impianto
rettangolare con sviluppo longitudinale molto forte; alternanza tra una superficie opaca (pilastro) e
una trasparente (vetrate); un frontone, con una conformazione desunta da una linea spezzata, che,
proprio come accadeva per il tempio, serve a comunicare il significato semantico dell’edificio (c’è il
titolo dell’edificio); gli angoli sono fortemente marcati (come accade per i palazzi italiani
rinascimentali e barocchi) da un effetto che ricorda delle gigantesche bugne sagomate, perché in
realtà la struttura è metallica (leggermente inclinata verso l’interno) ed è ricoperta da un sottile strato
di cemento. Da un lato, dunque, rimarca la tettonica, dall’altro la nega perché pone il tetto come se
poggiasse sul sottile strato vetrato. Il fianco è interamente vetrato, ma con la presenza di pilastri di
acciaio: qui è la vetrata ad essere inclinata verso l’interno e il pilastro fuoriesce di più. È un edificio
lungo 123m e largo 25m, ma in seguito fu ampliato arrivando a 207m di lunghezza. L’attacco a terra
è costituito da un basamento, che in prossimità dei pilastri tende a sporgere e ospita la cerniera su
cui poggia il pilastro: tale massa d’acciaio converge solo in punto e si elude l’effetto di pesantezza e
minaccia. La forma del frontone sembra essere una specie di grande chiodo/vite: un’allusione a
tempio dedicato alla sacralizzazione del lavoro industriale capitalista.
Cenni sul Deutscher Werkbund
Quest’associazione per promuovere se stessa componeva un annuario in cui venivano raccolti tutti i
progetti e organizzava delle grandi esposizioni. La più importante fu fatta nel 1914 a Colonia. Da
tenere in considerazione sono due poster fatti per tale esposizione: le loro differenze mettono in
evidenza il fatto che il Werkbund non era compatto, infatti all’interno dello stesso c’erano delle
posizioni molto diverse: uno dei poster è caratterizzato da una certa semplicità ed essenzialità; l’altro,
invece, è più raffinato, simbolista e attinge a piene mani dall’Art Nouveau. Queste due anime non
convivono pacificamente tanto da generare un conflitto: l’esposizione del 1914 fu teatro di uno
scontro tra il gruppo capeggiato da Muthesius e quello di Henry van de Velde (Behrens non si schiera
apertamente con nessuno dei due). Muthesius, fondatore del Werkbund, compose un documento di
dieci punti: nei primi due si sofferma sull’architettura e sul design che definisce rispettivamente
oggetto tettonico e oggetto industriale. Egli sosteneva un tipizzazione: ridurre la varietà dei tipi per
favorire forme più chiare; nei punti dal tre al dieci, parla di standardizzazione, della fusione di piccole
aziende in società più grandi, del rifiuto di produrre oggetti unici disegnati da artisti. Tale documento
viene rifiutato dalla maggioranza degli architetti, tra cui van de Velde che sosteneva che doveva
essere l’industria a rapportarsi alla creazione artistica. Vince quest’ultimo punto di vista, sostenuto
anche dal giovane Walter Gropius. All’esposizione del 1914 erano presenti molteplici correnti: l’Art
Nouveau di van de Velde, il Classicismo moderno di Behrens, l’Espressionismo tedesco (che contesta
lo Jugendstil e il classicismo), il Razionalismo di Gropius rappresentato dalla progettazione di un
edificio noto come ‘fabbrica modello’ in cui egli si sforza di mostrare come andava fatta una fabbrica.
Gropius in quest’occasione prese le distanze dal maestro Peter Behrens e si affermò,
successivamente, come padre del Razionalismo. Nel 1913 il tema del Werkbund era l’arte
dell’industria del commercio e c’era un clima di entusiasmo, mentre nel 1914 era presente la tematica
inerente i trasporti e le comunicazioni. Essendo il 1914 l’anno in cui scoppia la Prima Guerra
Mondiale, tali processi culturali ricevettero una battuta d’arresto. Alla fine della guerra nel 1918 tutti
gli artisti d’avanguardia erano fortemente orientati verso un tipo di arte politica.
Industria Farmaceutica Hoechst di Peter Behrens (anni ’20 del 1900)
L’edificio è stato realizzato in un lotto stretto e lungo. Esso è realizzato tutto caratterizzati da una
bicromia e tipici motivi espressionistici tedeschi. Ciò che colpisce è la hall d’ingresso, anch’essa in
mattoni colorati messi a scalare con un profilo a ziqqurat: è uno spazio a tutta altezza illuminato
dall’alto con dei lucernai, costituiti da quadrati che vengono ruotati a 45°. Il tutto punta a un
coinvolgimento del visitatore. Le caratteristiche non fanno pensare che ci si trova davanti a una
fabbrica. È il Behrens classicista che sperimenta l’espressionismo tedesco.
Padiglione tedesco delle arti applicate di Peter Behrens
È un edificio realizzato in mattoni. La pianta si basa sulla geometria classica del quadrato e del cerchio,
mentre in alzato si presenta l’uso del triangolo e dell’angolo acuto che diventa trionfante e domina
la composizione (la matrice triangolare è tipicamente espressionista). C’è un sistema di riferimento
simbolico mistico. L’obiettivo è quello di stabilire una relazione sulla base psichica, emotivo piuttosto
che razionale. L’esterno è principalmente caratterizzato da un gioco di mattoni policromi posti in
opera in modo da creare linee che si incrociano secondo angoli acuti. La pavimentazione, benché
basata sul quadrato ruotato a 45° e ciò viene fatto sull’idea di voler conferire dinamismo.
Fase Razionalista di Behrens
Nel 1922 Behrens venne chiamato a Vienna per ricoprire il ruolo di docente alla Scuola di Architettura
e venne coinvolto nel progetto di Vienna Rossa: nel 1927 si ritrovò quindi a progettare delle Hofe
(congresso di alloggi a basso costo) compiendo la svolta razionalista. Gli alloggi per la parte meno
abbiente della popolazione vennero elaborati da Behrens con tetti piani, facciate tese, assenza di
decorazioni, le finestre sono semplici bucature, c’è una massima economia di spazio. Vi è un gioco di
arretramenti e questo fa del razionalismo di Behrens un qualcosa che riprende le logiche neoplastiche
e cubiste. Verso la fine della sua carriera (alla fine degli anni ’20 del 1900) anticipa, ancora una volta,
i tempi utilizzando l’energia elettrica nelle architetture della città contemporanea poiché prova a
immaginare la resa degli edifici illuminati dalla luce elettrica. Dimostra una totale padronanza della
tecnologia più avanzata nel settore edilizio. Aveva uno studio a Berlino nel quale c’erano degli allievi
i cui nomi erano: Walter Gropius, Mies Van Der Rohe e (il mio amato) Le Corbusier <3. Durante il
periodo nazista Behrens si pose invece come figura contraddittoria: rimase preside della facoltà di
architettura a Berlino e fu figura di spicco nelle trasformazioni artistiche del secolo, oltre che un
importante industrial designer, fu più volte elogiato da Albert Speer (architetto pupillo di Adolf Hitler)
e raggiunse notorietà mondiale. Ciò malgrado rimase sempre in un certo qual modo inviso al governo
nazista, che avrebbe desiderato limitarne l'attività.
Storia dell’Architettura, Lezione No. 21
Introduzione al Bauhaus e Walter Gropius
Il Bauhaus si divide in tre fasi: la formazione (1919 – 1922); una svolta interna porta alla revisione
dell’intero programma: matura il Razionalismo (1923 – 1928)*1; la terza fase (1929 – 1933), che
coincide con le dimissioni del gruppo dirigente della scuola, comporta un rinnovamento dei
programmi per aprirsi a nuove cose ed è nota come fase del funzionalismo. Quest’ultima fase vive un
periodo malinconico a causa delle crisi a livello politico della Repubblica di Weimar. Uno dei pionieri
del Bauhaus fu Walter Gropius, il quale, fin da ragazzo, è stato ossessionato dall’idea di trasformare
l’architettura in un’attività industriale. Nel 1906 egli si occupò di progetti di case razionalizzate sulla
scia del suo pensiero che prevedeva la costruzione di case in serie con l’ausilio delle macchine. Si
formò nello studio di Behrens con un tirocinio di quattro anni poiché ero lo studio più avanzato sulla
considerazione dell’elemento tecnologico in Europa. Un altro allievo di particolare talento fu Adolf
Meyer: con quest’ultimo, nel 1911, Gropius aprì uno studio e i progetti più importanti della prima
parte della sua carriera emersero proprio da tale collaborazione: Meyer fu centrale nella traduzione
dei pensieri di Gropius in disegni date le sue scarse capacità da disegnatore. Gropius, proprio come
lo sarà Le Corbusier, era molto interessato all’architettura industriale e vede in essa il modello di
architettura degli anni che verranno. Ragion per cui aderì al Deutscher Werkbund in cui aprì una
sezione di architettura e scrisse sull’annuario del Werkbund stesso degli articoli inerenti l’Industrial
Design.
La fabbrica di scarpe Fagus di Walter Gropius (1911)
La sua prima opera, insieme a Meyer, fu per un imprenditore illuminato, Carl Benscheidt: il progetto
si conforma come un grande impianto confrontabile con quello del suo maestro Behrens, del quale
vengono messi in discussione alcuni assunti: ricorso al classicismo, in quanto Gropius punta a
liberarsene per sviluppare un’architettura lontana da ogni riferimento degli stili storici e, dunque,
senza volersi adattare alla modernità priva di avanguardia caratterizzante l’operato di chi lo aveva
preceduto. Va comunque considerato che, essendo allievo di Behrens, in questa fase vi sono delle
affinità con il maestro: l’interno della hall con la scala è risolto con una bicromia bianco-nero; c’è il
classicismo; le vetrate e il parapetto in tubolare di acciaio sono il segno di un’immagine industriale.
Ciò sottolinea come questa sia un’opera di transizione proprio a causa dell’influenza di Behrens, ma
introduce al Razionalismo: intonaco bianco, tetto piano, struttura a telaio, trasparenza e leggibilità
della struttura, perfetta corrispondenza tra forma esterna e interna. C’è una logica simbolica diversa
rispetto al lavoro del maestro: il progetto di Behrens era la celebrazione e la sacralizzazione del lavoro
e realizzato come un tempio misterioso; l’edificio di Gropius è trasparente e da fuori si vede ciò che
avviene dentro. Una sostanziale differenza tra i due è che mentre Behrens carica di pesantezza gli
spigoli, Gropius, invece, opera in modo opposto annullandoli.
La fabbrica modello di Walter Gropius (1914)
Il progetto venne presentata in occasione dell’Esposizione del Werkbund a Colonia nel 1914 e fu la
proposta che introdusse i segni del Razionalismo. L’impianto della fabbrica modello è molto grande:
un edificio a corte, che chiude un grande spazio, che ha un corpo molto alto, verso l’esterno, che
piega a C con due corpi più bassi e si chiude trasversalmente. Su tale corpo: si incastra la fabbrica
vera e propria composta dai grandi saloni delle macchine; si innesta un corpo trasversalmente e
asimmetricamente un piccolo impianto dei vapori. L’edificio è preceduto da un piazzale. L’ingresso è
caratterizzato da muri con semicircolari. Il fronte è essenziale, geometrico, semplice, astratto.
Scandisce in maniera costante il ritmo avvalendosi delle aperture. Vi sono poi due torri in prossimità
delle terminazioni laterali: dei cilindri trasparenti che ospitano le scale a spirale. Le coperture sono
piane e ci sono le pensiline. Il cemento è lasciato a vista in combinazione con le superfici vetrate. La
facciata interna del cortile è completamente trasparente e si pone come un volume di cristallo che
viene giustapposto sul corpo. Ciò segna, indubbiamente, il passaggio da un’architettura piena e opaca
a una aperta e trasparente.
La nascita del Bauhaus
Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale pone un freno alle ricerche in campo artistico e il clima
fecondo produttivo di questi anni. L’esito del conflitto comportò pesanti sanzioni per la Germania, la
quale si ritrovò in una disastrosa condizione economica e sociale: ciò non fece altro che accrescere
nell’avanguardia artistica e architettonica tedesca un senso di rivoluzione. Si delinea il mito dell’arte
che può cambiare la società viene preso per una verità attuabile: si crearono, così, vari gruppi: gruppo
di novembre, che si fuse con varie associazioni socialiste e con un grande raggruppamento noto come
Consiglio Operaio dell’Arte. Tra gli esponenti dell’avanguardia tedesca (circa 50 membri): Behrens,
Ludwig Mies Van Der Rohe, Meyer, Bruno Taut, ecc. È in questo clima che nasce il Bauhaus: a Weimar
c’era una scuola d’arte applicata nota col nome di Kunstgewerberschule, fondata da Henry van de
Velde. Nel 1915, la guerra e la cacciata di van de Velde dalla Germania poiché era belga, la scuola
chiuse. In prossimità della Kunstgewerberschule c’era una scuola di Belle Arti, Hochschule für
Bildende Kunst, anch’essa in crisi. Nel 1918, Gropius, approfittando della fine della guerra e della
neonata Repubblica di Weimar, fece una proposta: fondere le due scuole, sancendo la fine della
discriminazione tra belle arti e arti applicate. La proposta venne accettata e nacque il Staatliches
Bauhaus (Casa della costruzione). Il nome del Bauhaus deriva dal termine utilizzato per indicare le
corporazioni medievali e il rifacimento a questo è dovuto al fatto che il Medioevo è visto come un
possibile modello per una nuova arte e una nuova architettura. Gropius ne era il direttore e il primo
edificio in cui si insediò il Bauhaus era stato progettato da van de Velde.
Il Bauhaus – Prima Fase (1919 – 1922): Espressionismo
In questa fase il Bauhaus era orientato verso l’espressionismo. Il programma della scuola venne
scritto da Gropius e fu stampato per essere diffuso in tutta la Germania. C’è la volontà di costruire un
futuro nuovo, moderno e socialista in cui pittura, scultura e architettura saranno destinate a fondersi
nella progettazione di oggetti d’uso e abitazioni. È un nuovo modo di interpretare la
Gesamkunstwerk, cioè come uno strumento per un nuovo modo di intendere il costruire e di
trasformare il mondo, quindi servire a una nuova cultura del progetto. C’è una dimensione sociale,
una culturale e una simbolica: quella sociale è molto forte perché si dice esplicitamente che l’arte è
per tutti e collettiva; quella culturale è finalizzata a tenere assieme tutte le arti avvalendosi della
tecnica (intesa come manualità) e intelletto (teoria); la dimensione simbolica è espressa
dall’immagine che Gropius sceglie, ovvero la cattedrale del futuro (ripresa dall’espressionista
Feininger) perché la cattedrale nel medioevo era un prodotto collettivo e si vuole rappresentare la
collettività e l’intera popolazione. La scuola apre nel 1919 ed è possibile frequentare corsi di varie
discipline che sono strettamente legate al design piuttosto che all’architettura. Gli studenti, prima di
fare la scelta di aderire a uno dei corsi, dovevano frequentare tutti un corso comune Vorkursus: un
semestre obbligatorio molto importante durante il quale venivano impartiti i principi teorici
fondamentali del progetto, da applicare nei corsi successivi. Per un ruolo così importante Gropius
scelse Johannes Itten: di origini svizzere, si formò a Vienna in una scuola in cui si insegnava la
pedagogia. Egli era un artista di orientamento espressionista e profondo conoscitore di filosofia. Gran
parte del lavoro di Itten è su base psicologica e a prova di ciò ci sono schizzi che dimostrano che le
forme geometriche sono strettamente legate alla psicologia. Itten riteneva che per il semestre
propedeutico in cui insegnava fosse necessario liberare l’energia creativa degli alunni. Un esercizio
che faceva fare agli studenti era quello di far cercare dei piccoli pezzi di vari materiali e di assemblarsi
insieme per creare delle nuove configurazioni. Questo conferiva: aumento della creatività, impegno
in un progetto, conoscenza della natura dei materiali. Per quanto riguarda l’architettura, le figure di
spicco furono Gropius, Meyer e Albers (uno dei più rigorosi astrattisti) che collaborarono per la
costruzione di una casa: Casa Sommerfeld, realizzata in legno. L’edificio esprime a pieno l’architettura
del primo Bauhaus, molto lontano dal razionalismo: è un progetto tradizionalista con basamento in
pietra, tetto inclinato, impostazione simmetrica. Gli interni vennero disegnati dagli studenti del
Bauhaus e, trattandosi della fase espressionista, si ha a che fare con un grande laboratorio, per
l’appunto, espressionista astrattista: divenne un’occasione di esercizio per gli alunni. Molto
importanti sono le feste, inventate, che venivano fatte nel Bauhaus perché avevano un valore
didattico: era un pretesto per abbinare le varie tipologie di laboratori. A conti fatti, in un contesto del
genere, in cui si andò ad inserire anche il dadaismo, il razionalismo non trova spazio, però attraverso
la figura di Kandinsky: egli passò da un tipo di espressionismo spirituale a un astrattismo di segno
geometrico e razionale. Dunque, intorno al 1922, prendono corpo due tendenze nel Bauhaus: una
espressionista che fa capo a Itten e una di tipo geometrico, astrattista, più fredda e razionale. Di
fronte a tale situazione, Walter Gropius capì che c’era un problema nel Bauhaus e nelle modalità di
impostazioni, arrivando a concepire di aver sbagliato tutto: l’orientamento culturale di Itten non
funziona e non coincide con ciò che egli aveva in mente. Inoltre, si presentò un’altra situazione: Theo
Van Doesburg, con Mondrian, aveva da qualche anno fondato un movimento noto come
Neoplasticismo, pittorico e architettonico, di matrice astratta e geometrica. Theo Van Doesburg
conobbe Gropius, in occasione di una cena nel 1921, e chiese a quest’ultimo di poter insegnare al
Bauhaus per poter portare questo tipo di linguaggio. Gropius rifiutò più e più volte le richieste poiché
riteneva quella persona inaffidabile: Van Doesburg, però, era così motivato e così fiducioso nelle
potenzialità del Bauhaus che aprì una scuola privata (a casa sua) dove la sera gli studenti andavano
per esercitarsi e imparare. Molti restarono colpiti da tale linguaggio per cui si sviluppò sempre più tra
i ragazzi del Bauhaus, mettendo da parte l’espressionismo. Kandinsky insegnò nel Bauhaus a partire
dal 1922 in un corso analitico e composizione cromatica. Sosteneva che l’arte è un linguaggio
autonomo e che il valore dell’arte non consiste nel riprodurre la realtà esterna poiché non c’è un
legame tra le due: la realtà dell’arte è l’arte stessa. Essendo un linguaggio, essa può essere insegnata
e appresa in quanto ci sono delle regole da comprendere.
Il Bauhaus – Seconda Fase (1923 – 1928): Maturazione del Razionalismo
Gropius compose una circolare per tutti i professori in cui si affermava che i laboratori dovevano
essere finalizzati alla creazione di prototipi possibilmente industriali da produrre in serie: così facendo
obbligò i docenti a impegnarsi su un tipo di forma compatibile con la produzione industriale e in linea
con i principi moderni. La scuola, inoltre, aveva bisogno di soldi perché i laboratori erano costosi e
quindi c’era l’intenzione di firmare degli accordi con le industrie: i prototipi del Bauhaus venivano
venduti alle aziende, che li producevano poi in serie. Per questa ragione Itten comprese che i tempi
del suo erano giunti al termine e quindi lasciò volontariamente l’incarico di essere il docente del
Vorkursus (restò comunque nella scuola come insegnante). Ci fu, dunque, la svolta nel 1922 che portò
verso una nuova oggettività e si tenne, per la prima volta, nel 1923 una mostra di architettura. Il
nuovo logo era composto da quattro linee componenti il profilo dell’uomo nuovo nella bicromia
bianco-nero.

*1N.B.: è in questo periodo che viene costruito il nuovo edificio del Bauhaus che è esso stesso un
manifesto dell’architettura razionalista.
Storia dell’Architettura, Lezione No. 22
Il Bauhaus – Seconda Fase (1923 – 1928): Maturazione del Razionalismo
Il Bauhaus necessitava di un nuovo docente del Vorkursus dopo che Itten si era sollevato dall’incarico.
La nuova scelta sarebbe dovuta ricadere su un professore che era molto vicino a ciò che stava
accadendo a Mosca: le scuole di progettazione lì si dimostravano all’avanguardia poiché già nel 1919
si presentarono delle scelte di campo orientate verso il Razionalismo. Venne incaricato il professore
ungherese Laszlo Moholy-Nagy: un pittore socialista che, prendendo parte a un fallimentare tentativo
rivoluzionario in Ungheria, fu costretto a scappare in Germania. A Berlino conobbe il russo El Lissitzky,
colui che portò in Europa l’avanguardia russa rendendola nota, ed ebbe modo di entrare in contatto
con il Costruttivismo, il Suprematismo e le altre avanguardie artistiche sovietiche attive nei primi
decenni del XX secolo. Ragion per cui, Laszlo Moholy-Nagy orientò il Vorkursus verso un indirizzo
razionalista andando a determinare l’affermazione di una linea analitica e oggettiva a discapito di una
espressionista e soggettiva. L’arte viene intesa come una disciplina direttamente legata al calcolo e
alla matematica e si sviluppa una nuova cultura del progetto: in primo piano c’è la progettazione
architettonica e il design che dovevano essere basati: su un metodo produttivo con risultati
quantificabili e ciò si concretizzava nella progettazione di prototipi fatti con i materiali compatibili con
la produzione industriale e secondo esigenze funzionali ed economiche. Nel 1923 si tenne una mostra
di architettura a Weimar in cui venne presentato il progetto di una casa simboleggiante il
cambiamento del Bauhaus: presenza dell’intonaco bianco e dello spigolo vivo, affiancati dall’assenza
di ornamento, e si nota una marcata essenzialità e semplicità; è comunque un’abitazione di
transizione data la presenza della simmetria; in pianta si vede che l’ingresso è seguito da un piccolo
vestibolo, poi un atrio di disimpegno che permette subito l’accesso alla cucina, oppure si può entrare
in una grande sala, attorno alla quale sono posizionati le varie stanze e servizi; la parte centrale è
illuminata dall’alto con una quota della copertura maggiore avente aperture. La sequenza è classica
ed è affine al modello della casa pompeiana. Si viene a instaurare una logica di realizzazione degli
oggetti attraverso il montaggio di elementi semplici: tutto il progetto sta nell’ideare dei singoli
componenti e nel modo essenziale, economico e funzionale in cui essi devono legarsi: quello che
conta sono le relazioni tra gli elementi e il dispositivo che le consente. Uno dei temi perseguiti sia nel
design sia in architettura era quello della polifunzionalità. Parallelamente a questo cambiamento di
rotta della didattica si pone anche la necessitò della costruzione di una nuova sede del Bauhaus nel
1925.
La nuova sede del Bauhaus di Walter Gropius (1925 – 1926)
Il Bauhaus all'inizio venne largamente sovvenzionato dalla città di Weimar, ma dopo un cambio nel
governo vi furono contrasti con le autorità, che comportarono la chiusura dell'istituto a Weimar. Nel
1925, la scuola si spostò quindi a Dessau e la nuova sede venne progettata da Walter Gropius. Venne
inaugurato nel 1926. Nell’edificio possono essere rintracciati tutti gli elementi teorici che Gropius
considerava di fondamentale importanza per l’avvio di una nuova era per l’architettura. Il complesso,
articolato come una grande scatola unica, è concepito sulla base di un’individuazione delle diverse
funzioni insediate: sia attraverso la suddivisione dell’edificio in volumi, sia attraverso differenti
modalità di trattamento dei volumi con destinazioni d’uso diverse (la forma segue la funzione). La
mutevole combinazione dei materiali e degli elementi utilizzati definisce la destinazione dei singoli
blocchi: cemento armato per la struttura, mattoni per il tamponamento, intonaco dipinto di bianco
per le finiture esterne, telai in profilati di ferro per le superfici trasparenti. È incisiva la presenza
dell’angolo retto e dello spigolo vivo. Di particolare interesse è la grande superficie vetrata, sviluppata
su tre piani, che connota il blocco destinato ai laboratori tecnici, alle aule e alle sale di esposizione.
La particolarità dell'intero complesso è il muro dell'ala dei laboratori completamente costruito in
vetro e che all'epoca suscitò grande fermento. Era presente anche un auditorium nel quale si
tenevano rappresentazioni teatrali e musicali. I pilastri dell'edificio sono arretrati rispetto alla facciata
in vetro in modo che questa si estenda senza interruzioni. C'è l'impressione di trasparenza, leggerezza
e planarità. Inoltre, si viene a creare anche un forte rapporto con la città poiché la strada ‘entra’
nell’edificio. L’opera è il tentativo di rifondare il linguaggio dell’architettura e della città perché non
c’è mai una prefigurazione della nuova idea di architettura se non c’è anche una prefigurazione della
nuova idea di città. È per questo che viene riconosciuto come il manifesto del Razionalismo. Gropius,
inoltre, si impegnò nella progettazione di un grande complesso di case in serie bifamiliari: il progetto
sfortunatamente saltò ed egli riuscì a realizzarne solo quattro (di cui una monofamiliare per se
stesso), che avrebbero costituito gli alloggi dei professori del Bauhaus di Dessau. Sono dei blocchi
scatolari, con facciate sono tese e bianche, aventi notevoli e numerosi sbalzi possibili grazie all’ausilio
del sistema a telaio in cemento armato. La pianta è semplice: planimetria quadrata con un blocco
rettangolare verso l’esterno. Esse sono assemblate tra di loro come se si incastrassero. Questo è un
passaggio storico importantissimo perché Gropius fissa il canone dell’architettura residenziale
unifamiliare razionalista. Nel 1927 l’identità del Razionalismo è compiuta.
Gli Oggetti del Bauhaus
Anche gli oggetti subiscono un profondo cambiamento rispetto alla fase precedente: essi perdono la
loro unità di forma per diventare un montaggio di corpi diversi. Tale scelta va incontro alla produzione
in serie industriale. Si persegue un elementarismo geometrico con il quale si rendono distinguibili gli
elementi costituenti del manufatto. Tra i materiali presi in considerazione c'è la plastica, come ad
esempio la bachelite. Da ciò conseguono, dunque, oggetti semplici nella realizzazione, fatti con
materie economiche e molto funzionali. Questa logica venne applicata dal Bauhaus su tutto ciò che
veniva progettato: a Dessau furono superate le eredità espressioniste d'anteguerra e decadde
l'entusiasmo nei confronti dell'artigianato che aveva caratterizzato i primi anni, pertanto non furono
più previsti docenti artigiani. Inoltre finalmente nella nuova sede Gropius poté estendere gli
insegnamenti anche all'architettura.
Il Bauhaus – Terza Fase (1929 – 1933): Affermazione del Funzionalismo
Nel 1927 si assiste a uno scontro tra la cultura architettonica razionalista, che diventa nazionale, e le
altre tendenze del Bauhaus. Nel 1927 Gropius alla ricerca di un docente per la neonata sezione di
architettura, pensò in primo luogo a Mart Stam che però rifiutò la proposta, per poi offrire la cattedra
a Hannes Meyer che accettò la proposta. L'insegnamento che egli propose fu di tipo funzionalistico
e collettivistico e imperniato sulla sociologia, l'economia e la psicologia. In questo periodo ci furono
ricerche inerenti la progettazione degli alloggi economici minimi: si ragionò sull'orientamento che
essi dovevano avere affinché si potesse conservare maggiormente il calore. La sezione di architettura
venne cambiata con il nome di edilizia, andando a sottolineare la poca importanza che si voleva dare
alla dimensione artistica ed estetica: la scuola della terza fase del Bauhaus è funzionalista. Sotto la
direzione di Hannes Meyer per un periodo di tempo l'ingresso alla Bauhaus fu aperto a tutti gli
studenti e studentesse che volessero entrarvi, senza seguire alcun criterio selettivo, ma i problemi
del sovraffollamento portarono alla decisione di stringere il numero degli studenti a 150. Nel 1930 a
causa di alcune manifestazioni del gruppo di studenti comunisti ci fu un colloquio con il sindaco nel
quale si rafforzò l'idea che l'allontanamento di Hannes Meyer, che aveva dato alla scuola
un'impostazione filocomunista, avrebbe risolto i conflitti tra gli studenti: qualche settimana dopo fu
invitato a rassegnare le dimissioni.
Storia dell’Architettura, Lezione No. 23
Il Bauhaus – Terza Fase (1929 – 1933): Affermazione del Funzionalismo
I corsi del terzo Bauhaus ne erano solo quattro: design, comunicazione visiva, tessuti e carta da parati
e, infinte, edilizia (architettura). Nel 1928 Walter Gropius portò a termine il piccolo complesso di
alloggi Siedlung di Dessau-Törten: egli disponeva di un grande suole nel quale realizzare una serie di
alloggi a basso costo per la classe operaia; si trattava di un quartiere sperimentale. È il coronamento
del segno di Gropius: fin da ragazzo auspicava la progettazione di case in serie. Progettò e disegnò il
quartiere a partire dalla rotaia lungo la quale scorrevano i carrelli contenenti gli elementi
prefabbricati da montare e ciò mette in evidenza il principio della standardizzazione. L’organizzazione
del cantiere era razionale e finalizzata alla realizzazione in tempi brevi e con costi bassi. Le abitazioni
erano a schiera*1 e tutte uguali. Queste case furono brevettate come degli oggetti industriali:
l’ingresso all’alloggio era contrassegnato da un portoncino rosso; la struttura era in cemento armato;
le travi, i muri, gli infissi erano tutti prefabbricati. Il risultato non è particolarmente accattivante da
un punto di vista estetico, ma ciò è giustificato dal fatto che non fosse questo aspetto a essere
rilevante per il Bauhaus: è predominante la presenza del bianco, tetti piani, spigoli vivi,
elementarismo geometrico, infissi modulari. Trattandosi del primo caso di realizzazione di un
quartiere in elementi prefabbricati, esso si definisce sperimentale. L’edificio più alto era quello dello
spaccio e fungeva da cooperativa di consumo. Dopo questa esperienza, Gropius divenne il grande
protagonista della realizzazione dei quartieri razionalisti nelle grandi città, come Karlsruhe-
Dammerstock. Qui cambia la tipologia perché per ragioni economiche al posto delle case a schiera si
prediligono edifici in linea: esistono quelli con tanti corpi scala (collegamenti verticali) che servono
appartamenti o coppie di appartamenti; ci sono poi quelli a ballatoio costituiti solo da due scale
(all’inizio e alla fine del corpo di fabbrica) e un percorso che consente l’accesso agli appartamenti
(ballatoio). L’edificio alto in linea rappresenta la svolta definitiva di Walter Gropius. Un altro esempio
sono è Siedlung Siemensstadt di Berlino nel 1929. È il progetto per la cooperativa edilizia che
prevedeva la costruzione di 1800 alloggi in linea, la cui progettazione viene affidata a Bartning, Forbat,
Gropius, Haring, Henning e anche Scharoun. Gropius progetta tre edifici a quattro piani con diversa
distribuzione e diverso sviluppo: case a media altezza e realizzate con la tradizionale tecnologia della
muratura. Il concetto di isolato (appartenente alla cultura urbanistica borghese) viene messo da parte
per favorire grandi edifici in linea orientati in base all’asse eliotermico.
Tra gli ultimi docenti della terza fase del Bauhaus ci fu Ludwig Hilberseimer, che elaborò il progetto
di una città verticale: viene adottato l’edificio alto lamellare; la città viene immaginata come divisa in
strati: nel sottosuolo è collocata la linea della metropolitana e delle linee di collegamento, in
superficie si trovano gli edifici per uffici e negozi, sui tetti degli edifici per uffici trovano spazio le
residenze.
Teatro Totale di Walter Gropius (1927)
Il progetto, mai realizzato, venne fatto in collaborazione col regista teatrale Erwin Piscator. L’opera si
compone di un palcoscenico ‘bio-meccanico’ adatto ad un teatro che voleva il coinvolgimento dello
spettatore: a seconda delle esigenze registiche si costruì un’idea flessibile di teatro nella
determinazione del rapporto tra attori e pubblico, tra scena e platea. Nel 1925 Gropius aveva già
avuto un’esperienza simile poiché progettò un irrealizzato teatro all’interno del Bauhaus. Le
macchine, che permettevano di far ruotare ed assumere diverse configurazioni a seconda che si
trattasse di una conferenza, di una rappresentazione teatrale o di un concerto, erano molto
complesse. L’esterno si configurava con un’immagine molto inedita per il tempo: elementarismo
geometrico (prima, parallelepipedo, cilindro), la struttura viene lasciata a vista, le scale estroflesse,
una forte tensione costruttivista (influenza da parte del costruttivismo russo).
Palazzo dei Soviet di Walter Gropius (1931)
Gropius partecipò al concorso bandito dal Governo Comunista Sovietico a Mosca. La proposta di
Gropius si compone, in pianta, di un nucleo centrale che sembra esplodere in una serie di settori
circolari di differenti dimensioni: l’idea era quella di comunicare che quel luogo era il cuore
dell’Unione Sovietica e che da lì si irradiava in tutte le direzioni il socialismo. Il volume, per le diverse
dimensioni dei corpi circolari, trasmette grande dinamismo. È un Gropius che sta connotando la
propria architettura di fortissimi accenti dinamici. Ciò è rintracciabile anche nelle proposte che egli fa
dei padiglioni in occasione delle mostre del Werkbund.
L’enorme crisi del 1929 a causa del crollo di Wall Street comportò l’affermazione dei nazionalismi in
Germania e, di conseguenza, nel 1931 il partito Nazionalsocialista capeggiato da Adolf Hitler prese il
potere. Quest’ultimo nei confronti del Bauhaus si pose con un atteggiamento di negazione a causa
degli alti costi, tanto che i nazisti decisero la chiusura della Bauhaus, cominciando con l'eliminazione
dei contributi all'istituto e la pretesa che fossero licenziati i docenti stranieri. Il 12 agosto 1932 il
sindaco Hesse dovette mettere, su richiesta dei nazisti, all'ordine del giorno la chiusura della scuola
e le attività cessarono ufficialmente a fine settembre 1932. Dal momento in cui il direttore dal 1930
fu Ludwig Mies Van Der Rohe, quest’ultimo tentò un ultimo tentativo di salvare la scuola
trasferendola a Berlino e affittando una fabbrica di telefoni abbandonata. La presa del potere del
Partito nazionalsocialista segnò però la fine anche dell'esperienza berlinese perché la Gestapo
perquisì la scuola decidendone la chiusura nel 1933. Entrata in vigore una legge secondo la quale
anche le scuole private dovevano essere sottoposte all'Intendenza scolastica provinciale, Mies
richiese il permesso di aprire una scuola d'arte e la risposta della Gestapo fu di rispettare alcune
condizioni imposte dal Ministero della cultura: licenziamento di Kandinsky e Hilberseimer, l'assenza
di docenti ebrei, la presenza di qualche docente presente all'interno del partito, programma di studi
orientato in senso nazionalsocialista. Viste le condizioni poste e le difficoltà economiche, dovute al
mancato versamento delle rette degli studenti e alla perdita dei contratti con le aziende produttrici
su licenza dei prototipi della scuola, i docenti all'unanimità decisero di chiudere definitivamente il
Bauhaus il 19 luglio 1935 .
Il Neoplasticismo (o De Stijl) in Olanda
Il Neoplasticismo nacque come un movimento artistico, però fin dall’inizio accolse al suo interno degli
architetti, determinando l’esistenza di un’architettura neoplastica. Il movimento si sviluppa
attraverso tre fasi: la nascita e l’affermazione (1917 – 1921), durante la quale ci sono stati degli
architetti che hanno provato a mettere in pratica i principi del Neoplasticismo: Robert van 't Hoff,
Theo Van Doesburg, Jacobus Johannes Pieter Oud, Gerrit Rietveld, Willem Marinus Dudok;
l’internazionalizzazione, in cui molti, a causa dei conflitti con Theo Van Doesburg, andarono via e
arrivarono nuovi membri che permisero il confronto del De Stijl con la scena tedesca, svizzera e
sovietica. Tra essi ci fu Cornelis van Eesteren che fissò il canone dell’urbanistica razionalista: fu autore
del primo piano regolatore moderno di Amsterdam; l’affluenza nel razionalismo e spegnimento.
Il Neoplasticismo – Prima Fase (1917 – 1921): Nascita e Affermazione
La nascita del Neoplasticismo si deve a Piet Mondrian: un grande pittore di paesaggi che si affermò
fin da subito per la sua finezza e delicatezza. Nel 1905 entrò in contatto con le avanguardie parigine.
La sua carriera fu caratterizzata da quattro incontri importanti: quello con l’Art Nouveau (in Olanda
Nieuwe Kunst) grazie a cui scoprì il linearismo piatto e bidimensionale di Jan Toorop; scoprì la
rivoluzione cromatica violentissima di Matisse, membro dei Fauves parigini, che prevedeva l’uso di
colori molto forti e la soppressione del disegno; venne influenzato dalla Teosofia, una filosofia
inventata dalla russa Helena Petrovna Blavatsky, di cui Amsterdam divenne la capitale europea. Molti
architetti e intellettuali fecero parte del movimento teosofico perché esso sosteneva l’esistenza di
una struttura razionale invisibile latente nel reale rivelabile attraverso la geometria, soprattutto con
l’intervento degli artisti. Ciò sugella il passaggio di Mondrian dai Fauves al simbolismo; in occasione
di una mostra ebbe modo di vedere dei dipinti di Picasso e ne rimase estremamente colpito, tanto
da decidere di voler andare a Parigi e aderire al cubismo. Nel 1913 ritornò in patria a causa della
morte del padre: l’evento face sì che Mondrian si distaccasse dalle tendenze cubiste e, isolato in
Olanda, sviluppò una sua strada. Inoltre, Mondrian approcciò l’astrattismo. Nel 1915 cominciò a
incontrarsi con dei personaggi: Theo Van Doesburg , l’anima organizzatrice e divulgatrice del
movimento; un matematico (non so riuscito a capire e a trovare il nome) vicino alla filosofia teosofica
autore di varie opere. Da questi incontri prese piede la volontà di voler fondare un nuovo movimento:
nel 1917 nacque il De Stijl. Pochi mesi dopo venne fondata la rivista De Stijl con la quale si divulgavano
le teorie e i principi; sul numero due venne pubblicato il manifesto. Il movimento assunse anche il
nome di Neoplasticismo. L’obiettivo principale era la ricerca dell’equilibrio tra naturale e universale:
la nuova arte doveva tenere dentro sia la dimensione astratta e razionale sia quella concreta e
naturale. Ciò si affiancava alla volontà di avere un’unità internazionale nella vita, nell’arte e nella
cultura sul piano materiale e su quello intellettuale. Da un punto di vista artistico il tutto si traduceva
in un’arte oggettiva e razionale, non sentimentale, non imitativa. Mondrian perseguì con questo
linguaggio fino agli anni ’40 del 1900, un linguaggio che aveva delle caratteristiche ben precise:
ridurre la complessità, l’elemento considerato è la sola linea retta, uso di soli sei colori (bianco, nero,
grigio, rosso, giallo, blu), la regola sintattica da seguire prevedeva che le linee fossero disposte
perpendicolarmente tra loro. Nel 1919 Mondrian tornò a Parigi e scrisse il testo ‘Il Neoplasticismo’,
pubblicato nel 1920 in francese: nell’opera venne data grande importanza all’architettura e ne diede
anche una definizione ‘l’architettura è pura logica plastica che muovendo dal razionale si realizza nel
contingente’. Per Mondrian il grande compito dell’architettura era quello di dimostrare
incessantemente in modo chiaro il bello universale formando un tutt’uno con la scultura e la pittura.
Questo coincideva con quanto affermava Gropius a Weimar in occasione della fondazione del
Bauhaus. Il De Stijl fu dunque decisivo per l’architettura moderna, infatti quest’ultima fu molto
influenzata dal Neoplasticismo, più di quanto lo sia stata dalle altre avanguardie, determinando la
nascita di una nuova logica, scomponibile in due punti: nuova idea di spazio fluido basata sui nuovi
mezzi costruttivi che consentivano di rivoltare diversamente gli stessi elementi in modo da avere
spazi in libera e gioiosa interrelazione; una diversa articolazione dei volumi perché gli ambienti interni
avevano altezze e dimensioni diverse e dovevano incastrarsi senza costrizioni (interpenetrazione).

*1N.B.: abitazioni a due livelli affiancate l’un l’altra. È la stessa tipologia che usò Adolf Loos per Vienna
Rossa.
Storia dell’Architettura, Lezione No. 24
Architetti della Prima Fase del Neoplasticismo
Robert van 't Hoff (1887 – 1979)
Robert van 't Hoff è stato un architetto e designer di mobili olandese. Decisivo nella sua formazione
fu il viaggio che compì in America nel 1914, grazie al quale ebbe modo di avvicinarsi all’opera F.L.
Wright, visitando l' Unity Temple, Taliesin, i Midway Gardens, il Larkin Administration Building e le
case suburbane di Wright a Oak Park, Illinois. Van 't Hoff e Wright hanno discusso della collaborazione
a un progetto per una galleria d'arte a Long Island, cui van 't Hoff era stato coinvolto attraverso la sua
relazione con Augustus John, ma il progetto non è andato avanti e van 't Hoff è tornato in Europa. La
prima opera di Van 't Hoff al ritorno dagli Stati Uniti è stata la Villa Verloop, il cui design ha portato
l'inconfondibile influenza delle Prairie Houses di Wright, inoltre la sua importanza si deve al fatto che
essa sia una delle prime abitazioni a essere realizzate in cemento armato. In seguito si impegnò con
molta attenzione alla militanza e alla lotta politica comunista, e si dedicò all’edilizia economica e
popolare. Van ‘t Hoff incontrò il fondatore di De Stijl Theo van Doesburg qualche tempo a metà del
1917, con il quale su coinvolto nella progettazione di una composizione scultorea che stabilisce delle
relazioni attive con l’ambiente circostante e finisce col conformare lo spazio pubblico.
Theo van Doesburg (1883 – 1931)
Theo van Doesburg fu un pittore, architetto e scrittore olandese. Ebbe modo di collaborare per la
progettazione di varie architetture: una delle più importanti avvenne con Jacobus Johannes Pieter
Oud. I due lavorarono al pensionato De Vonk: un edificio molto tradizionale perché era una
preesistenza: l’esterno prevedeva mattoni, infissi bianchi, copertura tradizionale; l’interno è
caratterizzato dalla sovrapposizione di prismi di altezze differenti. Il contributo di van Doesburg si
manifesta nella pavimentazione e nel disegno delle vetrate, fatto di elementi (in giallo, bianco e nero)
messi in relazione secondo l’angolo retto conferendo una conformazione astratto-geometrica. Tale
soluzione venne adottata anche per il portone d’ingresso. Queste scelte sono giustificate dall’idea di
modernità van Doesburg: rendere componenti attivi gli elementi passivi dell’abitazione (come gli
infissi, ecc.) producendo delle situazioni psicologiche per chi abita lo spazio. Per van Doesburg la
pittura poteva acquistare un senso attraverso una funzione architettonica e ciò si realizza proprio
nell’uso delle vetrate, che diventa ‘architettura di luce colorata’. È il segno di un’inquietudine che
attanagliava l’animo dell’artista di inizio Novecento. In seguito collaborò con Gerrit Rietveld: una
ristrutturazione per Casa De Ligt, dove van Doesburg si occupa delle soluzioni interne e degli arredi.
Egli lavorò alla pavimentazione, che pose in relazione col soffitto: il quadrato centrale della
pavimentazione richiama il disegno del soffitto ed è diviso in una serie di quadrati e rettangoli; le
quattro ali che ci sono servono per relazionare il tutto con le pareti, le quali, a loro volta, sono
articolate in quadrati rettangoli. Quest’opera mette in risalto come anche il solo trattamento
superficiale di uno spazio ne cambia la percezione. Successivamente si ritrova nuovamente a
collaborare con Oud: la ristrutturazione di una costruzione tradizionale che viene cambiata
completamente: si nota un’indole neoplastica nella concezione dell’edificio come un insieme di
blocchi che si incastrano tra loro, possibile solo con l’uso delle nuove tecniche di costruzione.
Jacobus Johannes Pieter Oud (1890 – 1963)
Studiò ad Amsterdam, successivamente si recò a Monaco, dove lavorò nello studio di Theodor
Fischer. Negli anni dal 1917 al 1919 si impegnò nella rielaborazione della tipologia delle case a schiera
di alcuni quartieri popolari, come le case operaie Spangen (progetti irrealizzati): propose un gioco di
incastri piuttosto che l’idea dell’edificio unico e ciò genera armonia di spazi interni ed esterni in
volumetrie dalle superfici intonacate di bianco, dove spiccano i riquadri delle porte e delle finestre,
dipinte con i colori puri di Mondrian. Oud beneficiò moltissimo del Neoplasticismo poiché fu per lui
un mezzo grazie al quale entrò nella modernità. Nel 1918 fu il responsabile dell’edilizia sociale di
Rotterdam finalizzata ad accogliere il grande afflusso di popolazione verso la città. La necessità era
quella di costruire per il maggior numero di persone possibile e con tempistiche brevi. Durante
l’elaborazione dei progetti per tale incarico, egli si rese conto che il Neoplasticismo aveva costituito
un motore fondamentale per la modernità, ma che a un certo punto non era più in linea con la
progettazione architettonica orientata verso un’edilizia sociale a causa dei costi elevati e dei lunghi
tempi di realizzazione. L’isolato che egli propose era stretto e lungo (con aperture poste negli angoli
corti) e fu ispirato da uno dei grandi maestri dell’architettura olandese: Hendrik Petrus Berlage, il
quale propose questo conformazione dell’isolato in un incarico per la parte meridionale di
Amsterdam. Tale soluzione aveva il fine di creare spazi comuni e rendere l’aerazione di qualità
maggiore. Qui Oud non si avvale dei canoni neoplasticisti. Egli, dunque, operava una distinzione tra
l’architettura di massa e a basso costo che andava condotta verso il razionalismo, e un’architettura
privata che poteva essere talvolta ricondotta alla logica compositiva del De Stijl. A Rotterdam fu
incarico della progettazione della facciata del Cafe Restaurant De Unie, che è un clamoroso elemento
di rottura: essa viene pensata proprio come un dipinto neoplasticista: uso dei colori giallo, rosso, blu;
conformazione asimmetrica; implementazione della componente testuale; la parte poligonale rossa
si compone di cornici concentriche.
Gerrit Rietveld (1888 – 1964)
Egli era figlio di un ebanista. Fu proprio presso la falegnameria del padre che Rietveld intrattenne la
sua prima esperienza lavorativa, la quale si rivelò particolarmente formativa in quanto gli consenti dì
venire agevolmente a contatto con il mondo dei materiali da costruzione. Proseguì la sua formazione
seguendo i corsi serali di disegno architettonico al Museo delle Arti applicate di Utrecht, sotto la guida
dell'architetto Piet Klaarhamer, grazie al quale conobbe Berlage. La famosa Rood Blauwe, la sedia
rossa e blu, fu realizzata in questo periodo, tra il 1917 e il 1918 ed era vicina alla poetica del De Stijl:
il motivo per cui tale opera è considerata neoplastica non risiede nell’uso del colore, ma nel modo in
cui è stata concepita: la relazione che si instaura tra struttura, forma general e funzione: si tratta di
una nuova logica compositiva che prevedeva una decostruzione e una ricostruzione: i singoli elementi
tradizionali vengono ripensati secondo un linguaggio astratto e geometrico. In piena armonia con la
poetica del De Stijl i vari elementi costituenti della sedia sono assemblati per semplice
giustapposizione e si sovrappongono senza incastrarsi o compenetrarsi: questo criterio aggregativo
genera una sedia dagli elementi costituenti ridotti ai minimi termini, quasi priva di massa o volume,
che non interrompe lo spazio nel quale si colloca. La Sedia rossa e blu è considerata una
concretizzazione dell'arte di Mondrian e si lega al neoplasticismo principalmente per due temi:
l’incastro delle componenti e il colore. Nel 1919 aderì al De Stijl sancendo la sua completa adesione
all’architettura. Nel 1924 Rietveld progettò Casa Schröder. (La spiegazione dell’opera sta più giù,
tranquill o frat)
Il Neoplasticismo – Seconda Fase (1921 – 1925): Internazionalizzazione
Theo van Doesburg entrò in contatto con il Dadaismo e con i dadaisti tedeschi. In questa fase il De
Stijl perde molto membri a causa dei conflitti che sorsero con van Doesburg: van der Leck,
Vantongerloo, van 't Hoff, Oud, Wils e Kok. L'impronta che van Doesburg voleva dare al movimento
fu possibile grazie all'influenza del Decostruttivismo russo e alla figura di El Lissitzky, il quale venne
invitato a pubblicare sulla rivista De Stijl. La vicinanza all'arte russa fu tale da portare a pensare alla
fondazione di una società (Organizzazione Olanda-Nuova Russia). Vi furono incontri anche con la
cultura tedesca e in particolare con il regista cinematografico Hans Richter. Inizialmente Theo van
Doesburg manifesta l'estetica del Decostruttivismo russo attraverso la composizione di copertine per
riviste, mentre El Lissitzky inizia a progettare avvalendosi del neoplasticismo: c'è un vero e proprio
scambio culturale. Van Doesburg, inoltre, con l'iniziativa di scuola privata che tenne a Weimar per
tenere corsi per gli studenti del Bauhaus, riuscì a far entrare nella scuola di Gropius i principi del
Neoplasticismo e del Decostruttivismo pur non essendo mai stato parte del corpo docenti. Un'altra
figura di rilievo nella seconda fase del De Stijl è Cornelis van Eesteren e fu decisivo per l'urbanistica
del Novecento. Egli, insieme a Theo van Doesburg, si impegno in vari progetti (molto dei quali non
realizzati) e partecipò a una mostra a Parigi nel 1922 sul Neoplasticismo, alla quale presero parte
anche Oud, van Doesburg stesso, Rietveld e Mies Van Der Rohe. In seguito si distaccò
progressivamente dal De Stijl in quanto fu impegnato ad Amsterdam per incarichi da urbanista. Nello
stesso anno Theo van Doesburg lavorò alla sua opera scritta più celebre, nella quale raccolse tutte le
esperienze fatte sia da egli stesso che dai suoi colleghi affinché si potessero definire i caratteri del De
Stijl: ‘Verso un’architettura neoplastica’. Fu pubblicata per la prima volta a Parigi nel 1924*1. Il testo
venne articolato in punti: tutte dichiarazioni in cui si afferma quali sono i principi secondo cui andava
intesa e fatta l’arte e, in particolare, l’architettura in tutte le sue forme: economicità, funzionalità,
forme semplici e definite; tutto andava messo in relazione (aspetto che resterà per quasi tutto il
Novecento); il rapporto tra interno ed esterno doveva essere di continuità e non di distacco;
l’architettura non veniva vista come un cubo all’interno del quale andare a disporre gli spazi, ma,
piuttosto, come una scultura desunta dall’incastro di volumi; si perpetrava un soppressione della
simmetria e l’assenza della gerarchia delle facciate; la nuova architettura sopprimeva la pittura come
espressione autonoma, integrandola, bensì, nel discorso architettonico; il colore non era decorativo
o ornamentale. Nel 1924 Rietveld progettò il suo capolavoro: Casa Schröder. È una residenza privata
costruita a Utrecht su commissione della signora Schröder, vedova di un ricco e importante notaio
della città. L’opera segna una cesura molto netta con la scena architettonica ad essa contemporanea.
Fu costruita in un lotto che all'epoca rappresentava il confine ultimo della città: ciò avvenne per
volere della committenza che voleva a tutti i costi un’abitazione moderna e vennero date delle
direttive. Per la casa, Rietveld elaborò tre progetti: il primo aveva di neoplastico il trattamento delle
superfici esterne; il secondo è già più in linea con un’idea neoplastica dell’architettura, poiché le
pareti iniziarono a frantumarsi e la facciata venne configurata come un montaggio di piani che slittano
l’uno rispetto all’altro in varie direzioni e, laddove i piani stessi non si accostavano, si andavano a
determinare le aperture; il terzo progetto fu quello definitivo e con esso riuscì a superare la normativa
che sanciva il divieto di fare ambienti senza suddivisioni fisse: si poteva fare un unico ambiente solo
nel sottotetto, ragion per cui l’artista considerò il secondo piano come un sottotetto. Il piano terra è
composto da pareti divisorie che compongono un ingresso, una cucina, una stanza per la domestica,
uno studio e ciascuna stanza è dotata di un'ampia finestratura e, nel caso dello studio di Rietveld e
della camera della domestica, di un ingresso indipendente. Gli ambienti non si articolano secondo
una successione lineare o circolare, bensì si dispongono radialmente intorno al fulcro connettivo
centrale. Il piano superiore è la parte più innovativa del progetto: un open space dinamico, dove una
pluralità di pannelli scorrevoli può aprirsi e chiudersi configurando tre camere da letto, un bagno e
un soggiorno oppure spazi unici più ampi. Fatta eccezione per i servizi igienici, entrambi i piani
dell’edificio sono trasformabili secondo i principi di un'architettura dinamica a seconda di chi abita.
Le facciate si configurano come un agglomerato di piani e linee i cui componenti sono volutamente
separati gli uni dagli altri, aggregandosi reciprocamente senza però fondersi: essi dialogano secondo
logiche sporgenti, ricalanti, a lama, differenziandosi tra di loro attraverso un definito linguaggio
cromatico: egli manipola i colori in modo da aumentare l'effetto di plasticità e dinamicità delle
facciate. Il trattamento cromatico proposto è rigoroso e prevede l'applicazione del bianco e del grigio
per le superfici, l'utilizzo del nero per gli infissi di porte e finestre, e l'impiego dei colori primari per le
altre strutture spaziali. Non è un caso se la casa Schröder è stata spesso paragonata a una
trasposizione tridimensionale delle teorie figurative delle opere di Mondrian. Un’attenzione
particolare va al modo in cui Rietveld progettava: elenco delle funzioni che doveva avere la
costruzione e studio di come andavano collegate tra loro; analisi della posizione degli arredi poiché
la progettazione avveniva proprio a partire dal loro collocazione.

*1N.B.: ‘’…1924… senti ma li vai a chiamare quelli che sono usciti? C’era uno con la camicia a fiori che
è uscito, mentre io stavo proiettando la poltroncina rossa e blu, e non è più tornato: o è svenuto o
vai a vedere come sta’.
Storia dell’Architettura, Lezione No. 25
Casa Schröder di Gerrit Rietveld (1924) (continuo)
Rietveld dimostra grande bravura nel fondere le capacità da ebanista acquisite in passato con la
nuova cultura del Neoplasticismo e le richieste della committenza. La casa affaccia su tre lati, essendo
collocata in un lotto posto alla fine di una lottizzazione. Varcando l’ingresso, che non è posto in asse,
si ha modo di vedere una scala, collocata sulla destra, che porta a un pianerottolo d’attesa e poi c’è
un’altra scala semicircolare. La cucina, collocata inizialmente al piano inferiore, venne spostata nel
1936 al secondo piano. Le due caratteristiche principali del progetto sono: lo spazio flessibile grazie
alle pareti mobili; nuovo rapporto dialettico tra interno ed esterno: l’involucro salta andando a
determinare un rapporto osmotico tra il dentro e il fuori (l’idea di qualcosa che respira). In tal senso,
Rietveld si avvale del De Stijl per frantumare la compattezza dell’involucro. Le grandi vetrate non sono
finalizzate solo a introiettare la luce, ma anche a mettere in relazione interno ed esterno. Il colore ha
una notevole importanza in quanto esso identifica le varie aree e le delimita. L’abitazione è priva di
ornamenti e la parte espressiva è rimandata sempre al colore. Molti dei mobili in legno vengono
progettati ad hoc per Casa Schröder ed essi si conformano come prototipi industriali. La pianta ha un
dinamico andamento diagonale. I tre prospetti sono diversi e sono delle composizioni neoplastiche:
l’osservatore è sollecitato a delle viste differenti. Il progetto è la corretta espressione dell’idea
olandese ‘unità nella diversità’: ogni elemento ha una sua forte caratterizzazione, ma
contemporaneamente si combina e si connette agli altri giungendo a un’unità.
Willem Marinus Dudok (1884 – 1974)
Figlio di musicisti, è stato un ingegnere e architetto olandese. Dopo essersi laureato come ingegnere,
Dudok passa diversi anni costruendo fortificazioni ed edifici militari per l'esercito olandese. A partire
dal 1916 diventò architetto e partecipò a un concorso pubblico per l’espansione della città di Nimega:
paradossalmente, non vinse a causa delle sue grandi capacità poiché si cercava un semplice urbanista
comunale. In seguito divenne architetto della piccola città di Hilversum, vicino ad Amsterdam, dove
progetta il piano d'espansione della città e realizza numerose opere: municipio, piscina coperta,
cimitero, abitazioni, scuole. Hilversum, con l’arrivo di Dudok passò dall’essere un piccolo centro a una
moderna città industriale e tecnologicamente avanzata. Egli si occupò anche dei Piani Regolatori e
Piani d’Espansione. La popolazione di Hilversum crebbe, nell’arco di pochi decenni, da 15mila abitanti
a oltre 100mila.
Municipio di Hilversum di Willem Marinus Dudok (1915 – 1932)
L’opera, per volere di Dudok stesso, venne costruita fuori dal centro storico sia perché così facendo
molti vincoli sarebbero caduti sia perché sarebbe stata una buona occasione per riqualificare una
zona marginale: il collocamento di edifici pubblici nei neonati quartieri avrebbe scongiurato un futuro
da ghetto. La prima idea progettuale del municipio venne rifiutata a causa delle grandi dimensioni. In
tale situazione intervenne il più grande architetto d’Olanda, Berlage, che fece firmare un manifesto
a tutti gli architetti olandesi per far sì che l’opera si realizzasse. L’esito fu positivo e fu costruito:
l’edificio è a doppia corte, di cui una chiusa e con dei bracci che si protendono verso l’esterno, mentre
l’altra si lascia attraversare dalla strada. Dudok collocò uno specchio d’acqua per indirizzare coloro
che volevano entrare nell’edificio verso un percorso stabilito d’architetto stesso. L’opera ricalca i
canoni del neoplasticismo perché si compone di una serie di volumi incastrati dinamicamente tra di
loro. Andato in pensione, negli anni ’50 del Novecento tenne delle conferenze in America durante le
quali gli chiesero se ci fosse stato qualcuno che l’abbia influenzato nel suo lavoro: egli rispose che fu
ispirato dalla musica e da Wright, infatti nelle sue opere si evince la propensione dei componenti
degli edifici ad espandersi rispetto a un centro (nel caso del Municipio di Hilversum è la corte). Dudok
incarna la sintesi tra Wright, Berlage e il neoplasticismo.
Il Neoplasticismo – Terza Fase (1925 – 1931): Epilogo
L’ultima fase del De Stijl è caratterizzata da uno spiccato funzionalismo. Ci fu un intervento di Theo
van Doesburg, insieme ad Hans Arp, in una piazza del centro storico di Strasburgo per Il palazzo
dell'Aubette (risalente al 1700): fu richiesta la realizzazione di un centro per il tempo libero con
dancing, ristoranti, bar, ecc. Van Doesburg lasciò l’esterno così com’era, ma svuotò la parte interna
per poi collocare degli spazi dal sapore neoplastico. Celebre è l’interno della sala ristorante-cinema:
colpisce il fatto che i rettangoli siano messi in diagonale e l’introduzione di colori inusuali per il De
Stijl. La sala prevedeva un accesso tramite una scala e un ballatoio. Fu proprio l’introduzione della
diagonale nelle sue opere e architetture a sancire la rottura anche con Mondrian. Allo stesso tempo
anche Rietveld si allontanò da quell'elementarismo caratteristico di Casa Schröder, muovendosi verso
una progettazione dei sedili e degli schienali molto meno geometrica, incentrata adesso su superfici
curve. In seguito lo stesso van Doesburg si allontanò dal Neoplasticismo.
Jacobus Johannes Pieter Oud (1890 – 1963)
Villaggio operaio Kiefhoek di J.J.P. Oud (1925)
Qui Oud rivede la tipologia di case a schiera olandesi tradizionali. I blocchi di case hanno l'aspetto di
edifici unitari e compatti e gran cura è dedicata alle terminazioni, dove il discorso continuo cade
d'improvviso; gli angoli acuti ed ottusi all'estremità orientale sono arrotondati, ospitando negli smussi
i negozi. Il piano inferiore è quasi ovunque rivestito con materiali durevoli: mattoni chiari, che
formano anche le brevi recinzioni trasversali dei giardinetti e i gradini davanti alle porte; i serramenti
dei soggiorni hanno il telaio grigio, per formare una fascia continua; spiccano solo le porte in rosso
minio, dalla cornice bianca. L'impegno con cui sono studiati tutti i particolari caratterizza
profondamente l'architettura di Oud: dietro ogni scelta si sente la disciplina del neoplasticismo, ma
lo sforzo di semplificazione e di abbassamento dei costi induce l'architetto ad accantonare ogni
ricerca combinatoria fuori dal comune.
Hoek van Holland di J.J.P. Oud (1923 – 1926)
Qui ogni riferimento tradizionale è abolito e nello stesso tempo l'organismo torna chiuso e integro,
senza più tracce della scomposizione neoplastica. I due blocchi uguali contengono due file di alloggi
sovrapposti, cosicché il modulo in facciata risulta piuttosto ampio e il ritmo lento e spaziato; le
estremità sono arrotondate in modo che il ritmo non sia spaziato ma giri e ribatta su se stesso. Tutte
le pareti sono rivestite da un intonaco bianco uniforme, come nelle opere contemporanee di Gropius
e di Le Corbusier, ma le giunzioni e i punti delicati sono risolti con materiali durevoli: il breve zoccolo
è in mattoni gialli, il gradino davanti alle porte in mattoni rossi, le soglie e le basi degli stipiti in
cemento grigio. Le facciate sono tese e sono assenti le decorazioni, le coperture sono piane, vige un
elementarismo geometrico e vengono adottate grandi superfici vetrate: è un Razionalismo poetico
perché Oud dimostra che è possibile tenere assieme le esigenze economico-funzionali e la tensione
espressiva, benché si tratti di case di lavoratori a basso costo.
Cornelis van Eesteren (1897-1988)
Cornelis van Eesteren collaborò con Theo van Doesburg nell'elaborare dei progetti architettonici che
fossero l'applicazione dei principi del movimento neoplasticista. I progetti elaborati dai due sotto
forma di modellini e presentati nella mostra di De Stijl a Parigi nel 1923 rappresentarono un vero
manifesto influenzando una generazione di architetti non solo olandesi. Col tempo anche van
Eesteren capì, come Oud, che l’espressività del Neoplasticismo cozzava con le esigenze
dell’architettura operaia a basso costo, ragion per cui si rivolse verso la progettazione urbana:
partecipò ad alcuni concorsi. Grazie alla sua attività di progettista a scala urbana, nel 1929 si presentò
la svolta della sua carriera: passo dal fare le ‘pazzielle’ neoplastiche con van Doesburg al diventare
capo dell’Ufficio Urbanistico di Amsterdam. Van Eesteren fu autore del Piano dell’ampliamento
urbano della città: è molto importante perché è la prima volta che viene realizzato un piano
razionalista in Europa, applicato a una grande città, progettato secondo i principi emersi dal CIAM del
1933 (Quarto CIAM), dal quale nacque il paradigma secondo cui la pianificazione della città doveva
essere centrata su quattro funzioni principali: abitare, lavorare, divertirsi e spostarsi. Dunque, la città
poteva essere pensata come un organico montaggio di aree, dove ognuna di esse era dedita a una
funzione: zonizzazione.
ATTENZIONE!: STUDIARE DAL LIBRO DI FREMPTON IL CAPITOLO ‘’LA NUOVA OGGETTIVITÀ:
GERMANIA, SVIZZERA, OLANDA’’.
Johannes Duiker, Scuola all’aria aperta.
Brinkmann e Van der Vlugt, Fabbrica Van Nelle.
Storia dell’Architettura, Lezione No. 26
Il Neoplasticismo – Terza Fase (1925 – 1931): Epilogo
Appartamento dell'autista di Van der Vuurst de Vries di Gerrit Rietveld (1927)
Tra il 1925 e il 1926 quest’opera si diffuse attraverso le riviste in tutta Europa, diventando uno dei
manifesti dell’architettura moderna, la quale venne vista come una soluzione adatta al superamento
di numerose esigenze e problematiche sociali. Molti aderirono a questo linguaggio, tra cui Rietveld,
che ricevette l’incarico da un medico (Van der Vuurst de Vries) di Utrecht di realizzare la casa del
proprio autista. Il progetto realizzato sembra una costruzione che, per le dimensioni, tipologia,
collocazione a fine di una lottizzazione, presenta varie affinità con Casa Schröder, anche se in realtà
è un’opera completamente diversa. La struttura è costruita solo con moduli standard: nell’involucro
c’è l’uso di muri prefabbricati di cemento armato di 6cm di spessore, le cui dimensioni possono essere
1 x 3, 1 x 2 o moduli quadrati. Essi vengono accostati con fasce metalliche bullonate ai pilastri di
acciaio. I pannelli sono colorati e, grazie all’apposizione di mascherine, hanno dei puntini neri che
fanno vibrare la superficie e la cui disposizione, in orizzontale e verticale, mette in evidenza la
direzionalità dei pannelli stessi. I colori sono assenti poiché sono prediletti il grigio e il nero, a
eccezione della porta d’ingresso. L’abbandono del Neoplasticismo da parte di Rietveld ha una
motivazione importante: la caratteristiche tipiche del De Stijl non erano più importanti di un
adeguamento al linguaggio dell’Industrial Design per la massa e lavorare al disegno industriale adatto
al più ampio numero di persone possibile e atto a risolvere questioni sociali. Gli interni vengono risolti
nel segno del funzionalismo olandese e lo spazio interno è privo di corridoi, stanze e sembra che
respiri, adattandosi con grande facilità ai bisogni di chi abita. Agli inizi degli anni ’30 del Novecento
Rietveld aderì completamente al Razionalismo, sugellando, così, la fine del De Stijl.
Theo van Doesburg (un’altra volta)
Anch’egli abbandonò il Neoplasticismo perché era un’opzione culturalmente non più sostenibile. Si
dedicò, così, alla progettazione di grattacieli, alla scrittura del libro ‘Città della circolazione’. Nel 1929
fece la scelta di perseguire il Razionalismo, infatti a Parigi nel 1930 venne firmato il manifesto di una
nuova corrente, nella quale confluiva il Neoplasticismo: Concretismo. Il documento affermava: che
l’arte è universale e che si doveva conformare di un Razionalismo, da ricercare nell’astrattismo
geometrico: che l’arte doveva essere interamente concepita e formata nello spirito prima della sua
esposizione, senza ricevere alcun dato formale dalla natura, dalla sensualità e dal sentimentalismo;
che si voleva optare per un’eliminazione del simbolismo; che c’era la necessità di realizzare il dipinto
con elementi puramente plastici, cioè piani e colori perché un elemento pittorico non aveva altro
significato che sé stesso; che la tecnica doveva essere meccanica, esatta e, dunque, anti-
impressionista. A causa dell’occupazione tedesca in Francia, gli artisti furono costretti a lasciare il
Paese: la meta scelta da molti fu New York. Questo rappresenta un passaggio molto importante nella
storia dell’arte novecentesca: la capitale mondiale dell’arte non era più Parigi, bensì New York.
Le Corbusier (1887 – 1965) <3
Introduzione, vita e formazione
Le Corbusier, pseudonimo di Charles-Édouard Jeanneret-Gris, nacque a La Chaux-de-Fonds nel 1887
ed è stato il più grande architetto europeo del Novecento. Il suo paese d’origine fu distrutto in gran
parte da un incendio e poi ricostruito secondo un ordine geometrico. Il mestiere del padre era quello
di smaltatore di quadranti d'orologi e il giovane Le Corbusier sembrava predestinato a seguire le orme
paterne e, per questo motivo, una volta terminati gli studi primari, fu iscritto alla Scuola d'Arte
Applicata di La Chaux-de-Fonds. Qui ad accorgersi dell'irrequietudine creativa di Jeanneret vi fu un
insegnante di quella scuola: Charles L'Eplattenier, esponente dell’Art Nouveau. Tra le sue prime
produzioni scolastiche c’è il progetto di una cassa di un orologio da tasca: si rifà all’Art Nouveau
geometrica e naturalistica. Il professore L'Eplattenier lo invogliò ad uscire da quell’ambiente
provinciale per andare a Vienna, dove si stava sperimentando proprio il linguaggio dello Jugendstil.
Le Corbusier ebbe modo di incontrare l’architetto Tony Garnier (formatosi all’accademia delle Belle
Arti di Parigi) a Lione, uno dei pionieri dell’urbanistica razionalista: fece, infatti, il progetto di una città
industriale nei primissimi anni del Novecento in cui mise in evidenza la prioritaria importanza
dell’industria all’interno della città, la quale diventa protagonista. È attraverso tale incontro che Le
Corbusier capì l’importanza del nesso tra l’elaborazione di un’architettura moderna e la
prefigurazione di una città moderna: non si poteva pensare ad architetture moderne senza elaborare
un’idea di città moderna. Nel 1907 LC fece il suo primo viaggio in Italia, nella parte settentrionale del
Paese, prestando particolare attenzione alla Toscana: fu incredibilmente colpito dalla Certosa del
Galluzzo ubicata nella valle di Ema, opera che lo condizionerà a vita. Il motivo di tanto stupore per
quest’architettura risiede nel fatto che lui veda nelle abbazie medievali un modello assoluto di
perfezione nella relazione tra una vita individuale e riservata (celle dei monaci dalle dimensioni
essenziali) e una sociale (chiostro, refettorio, ecc.). Riteneva che era proprio questo il modello da
seguire se si voleva arrivare all’elaborazione di un modello di città. Nella formazione di Le Corbusier
fu centrale anche la figura di August Perret: in Europa fu colui che aveva dimostrato la possibilità di
usare il cemento armato per le abitazioni urbane e che ciò avrebbe garantito lo stesso tipo di qualità:
è lo sdoganamento del cemento armato. Inoltre, venne messo in risalto anche la sua valenza
espressiva, persino lasciandolo a vista. Le Corbusier passò un periodo di quattordici mesi nello studio
di Perret a Parigi e fu un periodo di grande arricchimento anche grazie alla frequentazione di
biblioteche, musei, mostre. Nello studio di Perret, LC incontrò l’amore della sua vita: il cemento
armato. Amerà per tutta la sua carriera questo materiale perché: era qualcosa di plasmabile e di
monolitico allo stesso tempo; era economico; era la sintesi della modernità, in quanto orgoglioso
sostenitore del suo tempo, del classicismo, poiché le costruzioni a telaio in c.a. hanno un ritmo
regolare, e del gotico, dato che il sistema in c.a. non è continuo come uno in muratura portante, ma
discreto, esattamente come le opere gotiche. Successivamente andò a Berlino (1910) perché
ricevette l'incarico di studiare i metodi di fabbricazione e distribuzione dei prodotti artistici in
Germania, ma preferì andare nello studio di Behrens: ci restò per cinque mesi. Sempre in Germania
entrò in contatto con il Deutscher Werkbund. Fece poi una visita a Hellerau, città giardino della
Sassonia costruita su progetto di Heinrich Tessenow*1. Le Corbusier tuttavia fu deluso dallo studio di
Behrens, che comunque lo sollecitò a riflettere sul rapporto tra architettura e industria, alimentato
anche dalla visita della Fabbrica di Turbine AEG. Nel 1910 tornò a casa, a La Chaux-de-Fonds, dove il
suo insegnante L'Eplattenier gli diede l’incarico di immaginare una nuova sede della scuola. Le
Corbusier elaborò un progetto in cui la geometria era contrassegnata da una piramide al centro
(lucernario trasparente) e con un grande spazio comune interno. Erano previsti dei singoli spazi
privati muniti di piccoli giardini e aule più grandi: è la sintesi tra isolamento e socialità che aveva visto
nella Certosa del Galluzzo. Nel 1911 inizio quello che viene definito Viaggio d’Oriente: inizialmente
concepito in maniera improvvisa, finì non solo per prolungarsi per ben sette mesi, bensì per avere
un'influenza determinante sulla sua formazione. L’itinerario prevedeva molte tappe: da a Dresda
ridiscese a Vienna e a Budapest, poi proseguì con tappe a Baja, Belgrado; varcati i confini della
Romania e della Bulgaria, LC iniziò a essere pervaso da un felice entusiasmo, suscitato soprattutto
dall'architettura rurale, spontanea e anonima di quei luoghi, che egli studiò con dedizione; notevole
fu anche la fascinazione esercitata dalle luminose moschee della Turchia e dall'architettura
mediterranea, rigorosa ed essenziale, fatta di geometrie semplici (il quadrato, il cubo, la sfera); ci fu
poi la visita all'acropoli di Atene e al Partenone. A Istanbul, per ragioni fortuite, incontrò il maestro
Perret, dal quale fu prontamente sollecitato a ritornare in Francia, ma LC, tuttavia, declinò e decise
di fare ritorno nella propria città natale, La Chaux-de-Fonds, dopo tappe a Pompei, Napoli, Roma e
Firenze. A Pompei ebbe modo di confrontarsi con il colore e, soprattutto, sull’intendere l’architettura
come uno spazio interno che si pone in relazione con l’esterno e il paesaggio circostante. A Napoli lo
colpì particolarmente la facciata con le bugne diamantate del Gesù Nuovo a causa della continua
variabilità di superficie in relazione alle ombre prodotte dalla luce solare. A Roma si soffermò su ciò
che restava dei monumenti antichi ed è importante notare come il più grande architetto del
Novecento e del Movimento Moderno si sia formato a partire da un rigoroso studio storico e
sull’antico. Le Corbusier si soffermava molto sulle forme che avevano una relazione con lo spazio e
ciò è possibile comprenderlo dai suoi schizzi, i più importanti dei quali riprendevano gli ambienti
interni. Tutto ciò che apprese da questo viaggio gli restò dentro a vita e il tutto sarebbe poi emerso
durante la sua carriera. Ritornato a La Chaux-de-Fonds cominciò ad esercitare la professione da
architetto e aprì un proprio studio e a questi anni risalgono infatti varie realizzazioni, perlopiù
connesse all'edilizia residenziale: villa Jeanneret-Perret, progettata per i genitori; il cinematografo La
Scala; la celebre villa Schwob.
Villa Schwob di Le Corbusier (anni ’10 del Novecento)
È l’opera più importante di Le Corbusier degli anni ’10. Qui si percepisce la forte risonanza che ebbe
la Lezione di Roma e degli antichi, che si servivano di rigorosi sistemi di proporzionamento basati sulla
matematica e sui tracciati armonici. Essi sono adoperati nel dimensionamento della facciata. La
pianta quadrata comprendente una croce trasuda classicismo e le due ali laterali richiamano
fortemente l’operato di Palladio. Vi sono una serie di influssi dimostratori della sua complessa e ricca
formazione. L’opera si conforma come una casa-palazzo basata su una simmetria e sul regolare ritmo
delle campate.
Successivamente Le Corbusier lasciò La Chaux-de-Fonds perché era un ambiente chiuso e provinciale
e non gli poteva garantire la realizzazione del suo obiettivo: l’affermazione personale. Si trasferì, così,
a Parigi nel 1917: è qui che Charles-Édouard Jeanneret-Gris prese lo pseudonimo di Le Corbusier*2.
Aprì uno studio e, poiché il maestro Perret gli presentò il pittore Amédée Ozenfant, si avvicinò alla
pittura. L'amicizia con Ozenfant, dunque, fu decisiva per lo sviluppo di un linguaggio pittorico
coerente e poi trasposto in architettura. Con Amédée LC ebbe l'opportunità di meditare sulla lezione
di Monet, Signac, Matisse ed, entrando nel mondo dell’avanguardia parigina, fondò un movimento
pittorico, il Purismo, con il quale si affermò a Parigi come pittore. Ne fece il manifesto, Après le
Cubisme (Dopo il Cubismo, in cui rigettò le proposte di Picasso e dei cubisti tutti, visti come autori di
dipinti oscuri e irrazionali, per fare forza sulla ripresa dei principi del primo Cubismo: forme ordinate,
rigorose, non decorative e in grado di captare la modernità. L’aspirazione di Le Corbusier era quella
di andare oltre la pittura per giungere a una teoria globale della civiltà che esalti la macchina,
l’industria e la perfezione tecnica. Per propagandare il nuovo verbo purista fondò una rivista d'arte,
L'Esprit Nouveau, che fu pubblicata insieme al poeta parigino Paul Dermée fino al 1925. Il sottotitolo
era ‘rivista internazionale di estetica’ e ci si riferiva a tutta l’estetica. La nuova estetica doveva
soddisfare delle esigenze funzionali e ciò era possibile solo se essa fosse intervenuta sulla forma:
esistono delle forme incompatibili con il soddisfacimento di funzioni e altre che lo sono. Il compito
dell’artista era proprio quello di trovarle e quelle da ricercare sono le forme pure che fanno capo
all’elementarismo geometrico, utili a comprendere la classicità: la natura umana è duale: una
dimensione apollinea (ragione) e una dionisiaca (istinto). L’arte e la ricerca della forma serve proprio
a ricomporre in una sintesi ciò che si presenta di solito in dissidio. Le sue nature morte erano vicine
ai canoni dell’Impressionismo sintetico per l’uso del colore e il modello di superficie, temi ripresi dal
Cubismo sintetico e che Le Corbusier riportò a un’immagine di grande equilibrio, di perfetto
bilanciamento dei pesi in gioco, di un’idea di respiro classico. Nel 1923 scrisse il libro Verso una
architettura, uno dei testi più importanti e famosi del Novecento che si pone come un manifesto
ideologico architettonico. C’era un obiettivo: provare, al pari degli antichi maestri greci e latini, a
regalare ai complicati tempi moderni l’armonia, realizzabile attraverso la matematica, la tecnica
(cemento armato, acciaio) e la Lezione di Roma (studio della storia). Il libro si compone
principalmente di immagini esplicative dove il testo è relegato una ragionata funzione didascalica.
Inoltre, con questo scritto si esalta la civiltà industriale e del volume puro, si sottolinea il rifiuto
dell’ornamento gratuito e dello storicismo.
Casa per Ozenfant di Le Corbusier (1922)
È la prima casa razionalista che viene realizzata: un’abitazione sperimentale. È presente l’intonaco
bianco, grandi superfici vetrate, ripensamento del tetto a falde tradizionale per ottenere un profilo
allusivo dell’industria. (Da fare meglio con altre fonti).

*1N.B.: costui provò ad immaginare una modernità non più vicina all’Art Nouveau, ma geometrica,
chiara e semplice e ottiene ciò avvalendosi del classicismo stilizzato.
*2N.B.: Il nome d'arte di Charles-Édouard Jeanneret-Gris con cui egli oggi è universalmente noto,
ovvero «Le Corbusier», venne coniato sotto indicazione di Amédée Ozenfant nel 1920: trasse spunto
da «Le Corbesier», trisavolo materno il cui ritratto era posto nella casa dove aveva trascorso l'infanzia.
La «e» venne mutata in «u» sotto consiglio di Ozenfant: il soprannome risultò gradito a Jeanneret
poiché gli ricordava quello del maestro L'Eplattenier.
Storia dell’Architettura, Lezione No. 27
Le Corbusier (1887 – 1965) <3
La nuova strategia architettonica di Le Corbusier è caratterizzata dall'impiego di pilotis (pilastri a
sezione circolare), tetti-giardino, piante e facciate libere e finestre a nastro. Le Corbusier fece
l’esperienza di casi unifamiliari in cui vigeva il tema della serialità: agganciamento di una casa all’altra
per creare edifici continui (sistema domino): Case Monol. La Casa Monol è a un livello, ha un unico
grande spazio condiviso: uno spazio omogeneo, flessibile, libero. L’involucro è arretrato rispetto ai
pilastri, andando a determinare l’esistenza di un portico. Lo è coperto da un’unica grande volta a
botte ribassata. Qui è evidente l’influenza che ha esercitato su di lui il viaggio in Italia.
Casa Citrohan di Le Corbusier (1920)
Il nome Citrohan è un omaggio al produttore di automobili Citroën: voleva marcare l’aspetto della
tensione verso la creazione di un principio seriale. Negli schizzi la casa era immaginata isolata e come
unica casa unifamiliare. Ha una forma molto semplice (l’impianto è rettangolare) e la luce è
organizzata in modo da provenire solo dai lati corti. È un’abitazione a due livelli, anche se metà dello
spazio è a tutta altezza. L’ingresso immette in un unico grande ambiente al piano terra, mentre al
primo piano va a disporre lo spazio per la conversazione, cucina, servizi. Al livello superiore,
accessibile attraverso una scala circolare, si trova un affaccio sul soggiorno del piano inferiore che
funge da spazio di filtro per le camere da letto e i servizi. Con l’uso di una scala esterna si può arrivare
sul terrazzo: la copertura è piana in quanto immagina la costruzione realizzata in cemento armato.
Qui trova collocazione un solarium e un giardino esterno. L’opera rimanda all’architettura contadina
campana che LC ebbe modo di studiare e il riferimento è espresso anche nel trattamento delle
superfici: intonaco bianco. Benché inizialmente il modello della Casa Citrohan venne ideato come
un’abitazione isolata, il progetto poteva essere adattato, eliminando la scala esterna, a una
disposizione in serie. Ancora, optando per la rimozione del terrazzo, era possibile metterne una
sull’altra. Si andava, così, ad ottenere edifici lineari multipiano costituiti da una serie di alloggi duplex.
A conferma della sensibilità e dell’esigenza di tenere assieme sempre case e città,
contemporaneamente presentò nel 1922 il suo progetto di città.
Progetto di Città per tre milioni di abitanti (Plan Voisin) di Le Corbusier (1922 – 1925)
Il Plan Voisin*1 è una soluzione urbanistica per il centro di Parigi, progettata tra il 1922 e il 1925 da
Le Corbusier e presentata in occasione dell'Esposizione internazionale di arti decorative e industriali
moderne di Parigi del 1925, nel Padiglione dell'Esprit Nouveau. È visto come il progetto di una città
immaginaria fatta per tre milioni di abitanti. Esso venne elaborato sulla base di quattro principi
fondamentali: Decongestione, Incremento della densità, Incremento dei mezzi di trasporto, Grande
disponibilità di aree verdi. Le Corbusier effettuò una critica violentissima alla città ottocentesca di
Haussmann: era congestionate, composta da unità abitative di tre o quattro livelli, la circolazione
viaria era resa difficile dal modo in cui si erano sviluppate le strade in assenza di un piano, non c’era
un buon rapporto tra spazio libero e costruito, con conseguente deficit di aree verdi. Immaginò così
una città completamente nuova, facendo piazza pulita di quella ottocentesca: il nucleo urbano,
riferendosi all’urbanistica ellenistica, era organizzato in modo da creare una differenziazione delle
superfici urbane in modo che ognuna di esse abbia una funzione prevalente: si chiama Zonizzazione.
Il disegno risulta regolare e geometrico ed è incardinato sul sistema secondo cui si vanno a
identificare due assi principali (nord-sud ed est-ovest), in riferimento al cardio e decumano degli
accampamenti militari romani (castrum), e una serie di strade minori parallele alle principale che si
incrociano tra di loro: si definivano lotti di 400m. Al centro si concentravano le funzioni a carattere
pubblico e ciò è un’interpretazione moderna dell’antico concetto di foro/agorà, ma a differenza di
quest’ultimi non pone una piazza ma ventiquattro giganteschi edifici cruciforme sospesi su pilotis:
essi ospitavano uffici, sedi dell’amministrazione pubblica, giustizia, ecc. Il tutto si configurava come
un enorme parco perché alla loro base erano presenti aree verdi. Tutt’attorno, poi, trovavano posto
delle costruzioni più basse caratterizzate da una conformazione che spezzava la monotonia
dell’impianto ortogonale: sono edifici a blocco dai quattro a sei piani sospesi su pilotis*2, che
costituivano la zona residenziale. La città era pensata come ad alta densità e immersa in ampi spazi
verdi, ma bisogna sottolineare il fatto che Le Corbusier prese le distanze dall’idea di Città Giardino, in
quanto a bassa densità e dispersiva, in favore di principio di ‘tabula rasa’: eliminare tutto ciò che è
stata la storia della città per impiantare questo nuovo modello di metropoli. Si tratta di un progetto
visionario che non venne mai realizzato. Gli edifici cruciforme prendevano il nome di Imeuble Villa
(edificio città) e non erano altro che l’applicazione di molteplici modelli della Casa Citrohan agganciati
gli uni sugli altri. Il primo esempio di alloggi duplex di tali edifici prevedevano una disposizione a L
degli ambienti intorno a uno spazio (un patio): è un principio che affonda le sue radici nella storia
delle abitazioni. Nel punto in cui le due L si incontravano, trovava posto una scala interna conducente
al piano superiore adibito alle camere e dove, a un certo punto, lo spazio si ferma per il
posizionamento di un affaccio sulla grande sala inferiore. Nel 1925 a Parigi si tenne l’Esposizione di
Arti Decorative, molto importante per l’affermazione dell’Art Deco: in questa occasione, mentre gli
altri colleghi presentarono progetti di manufatti per l’arredo, Le Corbusier mostrò il progetto di un
intera città, le cui tavole furono disposte all’interno di un grande spazio circolare annesso a una Casa
Citrohan (Padiglione dell’Esprit Nouveau): in questo modo egli, ponendosi in polemica con l’Art Deco,
presentò sia un modello nuovo di città che di spazio dell’abitare (che grande, non c’è nulla da dire).
Il modello di abitazione progettato per tale evento era l’unità minima abitativa che poteva essere
anche autonoma poiché la realizzazione si poteva effettuare attraverso elementi prefabbricati
(pensare a una casa come a una macchina). Gli interni si componevano: di mobili che erano indice di
dialettica tra il purismo moderno e linguaggio popolare (tappeti, vasi di ceramica, poltroncina
borghese, ecc.); di pareti intonacate di bianco che ospitavano i dipinti di nature morte di Le Corbusier
stesso. Da sottolineare è la carica provocatoria di tale proposta in un contesto in cui erano
contemplati altri principi, tanto da essere censurata: pochi giorni prima dell’apertura della mostra la
commissione, che ebbe modo di vedere il tutto e ne rimase sconcertata, decise di non renderla
accessibile al pubblico. Grazie a delle conoscenze che si imposero a favore di LC, fu poi resa fruibile.
La composizione del Plan Voisin richiama la catena di montaggio: partendo dalla piccola unità
abitativa, attraverso l’assemblaggio dei componenti, si arriva alla costituzione di edifici e dell’intera
città. La superficie costruita si aggirava tra il 5 e il 10% del totale, in modo da avere una notevole
presenza di verde, pensato sottoforma percorribile in ogni senso dai pedoni al cui interno si trovano
i servizi pubblici: scuole, asili, teatri, campi sportivi, ecc. Al centro di questo organismo urbano Le
Corbusier colloca la stazione ferroviaria stazione ferroviaria sotterranea, la cui copertura è adibita a
piattaforma per l’atterraggio e il decollo di aerotaxi.
Il quartiere moderno Frugès a Pessac di Le Corbusier (1924)
A Le Corbusier venne commissionata dall’industriale Henry Frugès la progettazione di un quartiere
operaio che doveva prevedere circa 200 abitazioni e a tale proposito acquisisce una vasta radura, nel
piccolo comune di Pessac. Sia il committente che l’architetto partono dalla premessa che il complesso
abitativo di Pessac possa diventare un grande laboratorio in cui sperimentare dal vivo le innovative
proposte architettoniche e urbanistiche elaborate da Le Corbusier. Per essi si tratta di un’occasione
unica per mettere in atto i cinque punti alla base della propria teoria architettonica. Inoltre, Cité
Frugès costituirà anche un’importante opportunità per sperimentare la prefabbricazione in
architettura, con la standardizzazione dell’intero processo produttivo, dalle pareti, ai pavimenti, ai
tetti. All’epoca, il risultato fu veramente rivoluzionario, sia per i materiali utilizzati, sia per l’immagine
estetica trasmessa, con linee e forme geometriche essenziali, sia per il comfort offerto agli abitanti,
conseguenza di una grande attenzione alla salubrità, i quali avevano a disposizione alloggi di 75 mq,
con luminosi spazi individuali e collettivi. Il tutto era a un prezzo accessibile. Dei 200 alloggi ne
saranno progettati 127, di cui soltanto 51 furono realizzati. Gli edifici si articolano in tre tipologie
differenti: le Case Citrohan, costituite da due case contigue alte tre piani, con una terrazza
sovrapposta, accessibile da una scala esterna; le Case Monol, abitazioni collegate tra di loro da un
arco formando un lungo corpo longitudinale. È il primo quartiere operaio realizzato nel segno del
razionalismo, in quanto è precedente anche al quartiere Törten di Gropius (1928). La policromia,
sebbene inizialmente non fosse prevista, assumerà il ruolo di protagonista nella Cité Frugès. Le
Corbusier progetta giochi cromatici non solo sulle pareti interne degli alloggi, ma anche sugli esterni,
potenziando la plasticità dei volumi costruiti. Con il colore valorizza certi elementi architettonici, dà
uniformità ad alcuni gruppi di case, oppure crea alternanza fra le diverse abitazioni.
Progetto per la sede della Società delle Nazioni Unite di Le Corbusier (1927)
Nel 1927 la Società delle Nazioni, organizzazione sovrannazionale istituita dopo la prima guerra
mondiale per promuovere la risoluzione diplomatica delle controversie internazionali, aveva varato
un concorso per la progettazione della propria sede a Ginevra, in Svizzera. In collaborazione con il
cugino Pierre Jeanneret, Le Corbusier riuscì a dare vita a un progetto la cui vittoria avrebbe segnato
il trionfo dell’architettura moderna e razionalista. Fu, invece, una grande sconfitta. Il progetto
presentato si componeva di due grandi parti: un blocco destinato ad ospitare la monumentale sala
delle assemblee, di forma trapezoidale, e qui l’impianto è simmetrico; alle spalle del primo si
collocava il complesso di edifici di alberghi, ristoranti, uffici con sale comuni, ecc. Il tutto era immerso
in un parco dalle dimensioni considerevoli. Le costruzioni erano in cemento armato, avevano superfici
vetrati a tutta altezza e, parzialmente, erano sollevate su pilotis.
Dopo questo episodio, nel 1927 decise di lasciare l’Europa Occidentale per l’interesse che provava
nei confronti di ciò che si stava facendo nella Russia Sovietica (URRS). Rimase colpito dall’architettura
del Costruttivismo russo poiché essa era favorevole all’implementazione tecnologica. Inoltre, rimase
entusiasta anche dell’urbanistica russa che in quegli anni lavorava a un vasto programma di creazione
di nuove città: da qui emerse una nuova idea di città, ovvero ‘città lineare’, che concepiva il nucleo
urbano come una lunga e grande striscia. L’obiettivo di Le Corbusier era quello di ricevere l’incarico
di disegnare una città. Nello stesso anno, a Stoccarda, in Germania, il Deutscher Werkbund tenne una
mostra per l’abitazione: venne acquisito un lotto in prossimità di una zona collinare e fu chiesto a
Ludwig Mies Van Der Rohe di suddividere in lotti lo spazio del quartiere e affidarne uno agli architetti
europei da lui scelti per la realizzazione di residenze. È un momento di grande internazionalizzazione
per il Movimento Moderno in quanto i più grandi protagonisti d’Europa si ritrovarono a lavorare
insieme. Si trattava di tutte abitazioni unifamiliari o bifamiliari di varie dimensioni. Per quanto
riguarda le due case di Le Corbusier: la prima è unifamiliare e si articola proprio come una Casa
Citrohan sollevata, però, su pilotis. Da notare la terrazza a cielo aperto sul tetto ricavata da un
prolungamento dei pilastri d'angolo collegati con delle travi, che definiscono in maniera
architettonica compiuta il volume geometrico prismatico. Inoltre, il terrazzo così costruito va ad
inquadrare dei pezzi di natura del paesaggio circostante risaltandoli. Il secondo livello di questo
progetto è munito di un solario ed è caratterizzato dall'affaccio sullo spazio a tutta altezza, tipico della
Citrohan. I mobili che definiscono l'interno sono realizzati nel segno del purismo e stabiliscono una
forte relazione molto forti con l'involucro: è come se fossero articolazioni della parte muraria stessa;
l'altra casa, invece, è doppia: è un impianto lineare sospeso su pilotis. Da notare come la facciata
presenta uno sbalzo rispetto ai pilastri: tale scelta viene adoperata per avere la possibilità di
immettere delle finestre a lunghezza. La parte abitativa dell'edificio si svolge solo su un livello ed è
composta da una scala che conduce sopra e due appartamenti: essi condividono uno spazio pedonale
dove è posizionato un'area di studio. La costruzione è sormontata da un terrazzo giardino con solario.
Congresso Internazionale dell'Architettura Moderna (CIAM)
Nel 1928 nacque il CIAM, ovvero congressi nati dal bisogno di promuovere un'architettura ed
un'urbanistica funzionali. Il primo ebbe luogo nel 1928 a La Sarraz, un castello nel cuore della Svizzera.
Tale scelta è giustificata da vari motivi: Le Corbusier era a ridosso della sconfitta di Ginevra e voleva
riscattarsi; le due figure fondatrici dei CIAM erano svizzere: Le Corbusier e Sigfried Giedion (un grande
storico e critico di architettura). Questo CIAM fu quello introduttivo in cui si posero le basi e si decise
che ogni anno se ne sarebbe tenuto uno in una città europea diversa e che ognuno dei congressi
avrebbe avuto un tema: l'obiettivo era quello di giungere a una posizione comune. Nel 1929 si tenne
il secondo CIAM a Francoforte (Germania) e la tematica fu inerente la razionalizzazione dell'alloggio
per la classe lavoratrice. Volendo fare di Ginevra anche la capitale culturale d'Europa, Le Corbusier
presentò un progetto molto ambizioso: la realizzazione di un grande centro culturale che avrebbe
ospitato musei, sale per congressi, biblioteche e tante altre attrezzature che consacravano la città
come un'Acropoli volta al pensiero, alla cultura, all'arte e alla scienza. Il progetto presentava un
impianto definito da una strada conducente al complesso di edifici di grandi dimensioni, il cui ingresso
era collocato nello spigolo. La struttura a forma piramidale doveva essere adibito per rappresentare
un museo mondiale: venne immaginato come una grande rampa a spirale quadrata convergente
verso l'altro. Furono, inoltre, previsti spazi di ampliamento. Le Corbusier fu attaccato dalla critica
poiché il progetto, contrariamente ai principi esposti da Le Corbusier stesso, era volto verso una
spiccata monumentalità e formalismo piuttosto che funzionalità. Il maestro si difende affermando
che la progettazione, coincidendo con la composizione, prevedeva anche una dimensione estetica:
c'è architettura ovunque ci sia un progetto. Nel 1939 LC lavorò a un'altra idea di museo: Museo a
Crescita Illimitata. Anche in questo caso il tema era volto alla spirale quadrata ed era sospeso su
pilotis. Esso era pensato in una conformazione tale che poteva essere ingrandito lungo il perimetro
della spirale stessa.
La Ville Radieuse di Le Corbusier (1930)
È un progetto mai realizzato per una città di un milione e mezzo di abitanti. Il punto di partenza è la
residenza che prevede cellule abitative accostate a formare un macro edificio in linea di 11 piani con
lunghezza indefinita che si piega ad angolo retto seguendo due orientamenti: orientamento est-ovest
con alloggi che affacciano sui due lati e strada di disimpegno interna; orientamento nord-sud con
alloggi solo a sud e strada perimetrale a nord. I fabbricati e le superstrade corrono ogni 400 m, sono
sollevati su pilotis e quindi lasciano libero il terreno che diventa un parco percorribile in ogni senso
dai pedoni al cui interno si trovano i servizi pubblici. Lo zoning prevede una distinzione netta tra le
funzioni individuando zone per la residenza, zone per il lavoro (industrie leggere e pesanti), la city
destinata agli affari e alle attività speciali (università, sedi amministrative, etc.) con i grattacieli
distanziati nel verde serviti dalla stazione ferrovia e dall’aeroporto. Nel complesso la logica risulta
cambiata perché è molto più vicina alla città lineare, piuttosto che a quella del Plan Voisin che
contemplava uno zoning concentrico. In questo modo era anche più semplice intervenire laddove
fossero stati necessari degli ampliamenti. La superficie coperta della Ville Radieuse risulta essere circa
il 12% del totale. Tutto il resto è libero da costruzioni e in gran parte destinato a verde. Le densità
fondiarie sono conseguentemente molto elevate raggiungendo anche i 1.000 ab/ha.

*1N.B.: il nome Voisin era un omaggio a un produttore di aeroplani.


*2N.B.: tale scelta consentiva il passaggio anche al di sotto degli edifici.
Storia dell’Architettura, Lezione No. 28
Le Corbusier (1887 – 1965) <3
La Ville Radieuse di Le Corbusier (1930)
Una sostanziale differenza tra gli alloggi del Plan Voisin e quelli della Ville Radieuse stava nel fatto che
i primi erano duplex ed si conformavano con delle piante a L ruotanti intorno a un patio, mentre nel
secondo caso, per abbattere i costi, si aveva a che fare con appartamenti a un solo livello: resta l’idea
della planimetria a L perché gli spazi destinati al soggiorno, alla conversazione, sala da pranzo, si
disponevano in questo modo, ruotando intorno al blocco delle camere da letto, le quali erano di
dimensioni ridotte e ciò era giustificato dal voler dare maggiore priorità agli ambienti diurni. È
sicuramente un’idea molto rigida.
Proposte di città di Le Corbusier (anni ‘20/anni ’30 del Novecento)
Alla fine degli anni ’20 del Novecento fece un viaggio per visitare l’America Latina: Brasile, Argentina.
A Rio de Janeiro restò sedotto dalla bellezza dei luoghi. Qui elaborò degli schizzi in cui immaginava
una città nuova composta da edifici lineari lunghissimi e ininterrotti e l’ampliamento a cui lui pensò
per Rio de Janeiro aveva come protagonista proprio l’introduzione nel suolo urbano di una struttura
lunga sospesa su pilotis e sviluppata su più livelli. All’interno organizzò i livelli in modo che ospitassero,
oltre agli alloggi, vari negozi e locali pubblici. L’andamento seguiva la sinuosa linea costiera. Le
Corbusier non si pose il limite di lasciare la città esistente intoccata e di inserirsi e sovrapporsi
all’interno del tessuto urbano e storico. Nella proposta di ampliamento di Buenos Aires, fatto insieme
al cugino Pierre Jeanneret, immaginò di concentrare attrezzature residenziali e collettive in grandi
super-blocchi concepiti come parallelepipedi dorati uguali che si affacciavano sul mare. Nella
progettazione della città di Algeri (Africa) fu molto più concreto rispetto alle visionarie proposte
precedenti: nel progetto venne considerata la città storica messa in relazione con la parte di
ampliamento attraverso un’unica macrostruttura al cui interno c’erano abitazioni, sul cui tetto era
prevista una via carrabile. Le Corbusier qui cercò di distaccarsi dalla poetica dell’angolo retto per
provare anche a introdurre la linea curva per porsi in relazione con la sinuosità del suggestivo
andamento costiero. Il maestro, nel corso degli anni ’20, per smorzare la rigidità degli edifici con
angoli retti, era solito introdurre, o sulla sommità o alla base, degli elementi curvilinei, quasi scultorei,
che lui stesso chiamava ‘oggetti a reazione poetica’. Essi venivano giustificati come se fossero
qualcosa in grado di quotare la sensuale bellezza del Mediterraneo. Nel 1935 si ritrovò a lavorare
presso la città di Zlín (Repubblica Ceca): la questione era di creare un collegamento tra il centro
storico e la zona degli insediamenti industriali. La soluzione venne trovata in un grande elemento
lineare collegato alla linea ferroviaria. Nel 1944 pubblicò un testo ‘I tre insegnamenti umani’,
all’interno del quale propose la fusione delle varie tipologie di città: concentrica, lineare e immersa
nel paesaggio (tipo le cooperative agricole). In questo modo dà alla progettazione urbanistica una
visione a scala regionale piuttosto che solo urbana. Tale progetto si configurava con un centro, delle
macro-strutture lineari e con dei centri di produzione agricola tutti intorno. Nei suoi modelli di città,
Le Corbusier prevedeva di concedere la libertà di scelta ai proprietari per quanto riguarda il tipo di
abitazione: orientata verso un gusto moderno oppure uno più tradizionale. In questo modo la rigidità
dell’impianto si scioglieva attraverso l’infinita varietà delle singole soluzioni dei privati.
Le Corbusier: Tema della Casa Unifamiliare
Une Petite Maison (una piccola casa) di Le Corbusier (1923)
È un’abitazione che fa per sua madre. Gli elementi fondamentali di questo progetto sono: il lago e il
paesaggio; lo spazio rettangolare di piccole dimensioni a disposizione. Viene messo in relazione
l’uomo e lo spazio in cui si muove. Le Corbusier conforma lo spazio architettonico in funzione del
corpo che si muove e di quello che vede dall’interno verso l’esterno. L’edificio si presenta come un
piccolo parallelepipedo bianco inserito in un lotto e addossato al recinto, che è un muretto: esso ha
una parte bassa in pietra (simbolo di appartenenza al suolo) e una più alta che dall’esterno, in
prossimità dell’ingresso, non rende visibile la casa. Nella costruzione è previsto uno sbalzo sorretto
da pilotis. Il blocco dell’abitazione, realizzato all’insegna della semplicità, prevede un solo livello.
Compare per la prima volta la finestra in lunghezza, circa 15m, che si configura come un elemento
che più che bucare il muro, tende a romperlo. All’interno della pianta è possibile vedere lo studio che
Le Corbusier fa sui movimenti di sua madre, rappresentati tramite un tratteggio, e ciò fa capire che il
progetto è desunto proprio in funzione di tale aspetto: la pianta diventa una sorta di estensione del
percorso compiuto dall’individuo. Il giardino viene articolato con un grande albero, un tavolino
(ortogonale al muro di recinzione) per stare all’aperto. La maestria di Le Corbusier in quest’opera si
manifesta nel modo in cui si relazione al paesaggio: egli non lo rende chiaramente visibile appena si
varca l’ingresso, ma lo occlude e lo scherma per poi farlo riapparire ritagliato in una cornice: è così
che la natura si risalta e le si fa perdere la sua confusa neutralità.
La maison La Roche-Jeanneret di Le Corbusier (1924)
Il progetto è una doppia villetta (in un unico edificio) per suo cugino Pierre Jeanneret e il banchiere
Raoul La Roche. Dall'ingresso si dipana un sentiero in pendenza che, addentrandosi in profondità nel
lotto, consente l'accesso a entrambe le abitazioni: volumi netti, candidi, dalle notevoli qualità
plastiche. La casa di La Roche ha una pianta a L e la particolarità del prospetto è la presenza delle
lunghe finestre a nastro che ‘cuciono’ le due abitazioni distinte, non dando, dall’esterno, la
percezione di due alloggi separati. Nel complesso la pianta è irregolare perché nasce
dall’accostamento di volumi diversi: alla scatola principale viene addossato un cubo, poi ci sono dei
corpi messi al di sopra, c’è la presenza di elemento dalla forma particolare che sembra esprimere
l’idea di uno spazio architettonico costruito dall’interno verso l’esterno in quanto la parete curva
mette in evidenza la sensazione di un ambiente che si sta gonfiando sotto l’effetto di una pressione.
A tale irregolarità affianca dei tracciati regolatori. C’è uno stringente confronto con le avanguardie,
grazie alle quali avviene la completa rottura con l’idea della casa tradizionale: come se questa casa
fosse la verifica della possibilità di travasare i risultati della ricerca artistica dentro l’architettura. Lo
spazio interno è concepito come una galleria che si sviluppa in altezza secondo un percorso: è quello
che lui chiama ‘la passeggiata architettonica’. A proposito del colore: la casa è completamente bianca,
ma per mettere in risalto questo aspetto e per farlo apprezzare veramente, Le Corbusier introduce
una policromia sapientemente disposta: le pareti in ombra sono un blu chiaro, mentre quelle
illuminate rosse; il peso di un volume costruito viene alleggerito con l’uso dell’ocra. Queste non sono
scelte estetiche, ma hanno un fondamento psicologico e un forte legame con il senso di percezione
degli individui: il colore risponde razionalmente e logicamente a un’esigenza psicologica legata allo
spazio.
Villa Stein a Garches di Le Corbusier (1927)
La villa Stein, importantissimo capitolo della riflessione architettonica lecorbusierana, fu realizzata a
Garches, su commissione di Madame Gabrielle de Monzie e del marito Michael Stein. In quest’opera
Le Corbusier prova a lavorare sul prisma e sulla compiutezza della forma e per farlo si avvale della
Sezione Aurea: la usa per la suddivisione degli spazi interni, per la definizione delle facciate.
L'abitazione si costituisce come un aggregato di tre solai in cemento armato sorretti da un sistema di
pilotis che rendono il suolo permeabile a qualsiasi tipo di percorso e conferisce autonomia alla
struttura. Lo schema strutturale del progetto è molto simile a quello usato da Palladio per Villa Foscari
(la Malcontenta): viene studiato il tipico rapporto rinascimentale doppio-singolo-doppio-singolo-
doppio. Esse differiscono perché: l’opera palladiana è in muratura portante, mentre quella di LC è a
telaio in cemento armato; in Villa Foscari si concentra tutto nel centro ed è riferito ad esso (azione
centripeta), mentre nella Villa Stein il fuoco centrale è vuoto e i componenti si disperdono verso i lati
(azione centrifuga). Nel progetto di Le Corbusier tutto agisce contemporaneamente: i collegamenti
verticali e le divisioni curvilinee vengono messe ai margini: è un’opera che mette insieme la lezione
dell’antico con la modernità. La villa Stein costituisce una delle traduzioni più sistematiche dei cinque
punti di una nuova architettura enunciati da Le Corbusier nella sua opera Vers une architecture. La
copertura viene resa vivibile con l'insediamento di una terrazza protetta da setti murari e impreziosita
da una torre ellittica dalle qualità scultoree. I prospetti bianchi e iper-moderni della villa sono tagliati
in tutta la loro lunghezza da finestrature che svuotano l'angolo della sua valenza strutturale e
consentono un'interazione più diretta tra esterno e interno.
Villa Savoye di Le Corbusier (troppo bella) (1928 – 1931)
Villa Savoye è una residenza privata situata a Poissy, costruita su commissione di Pierre Savoye. Il
luogo in cui l’opera viene costruita è una radura in un bosco. Qui si ha la piena espressione dei Cinque
punti dell’architettura: edificio sospeso su pilotis; pianta libera; facciata libera; finestre in lunghezza;
tetto giardino piano. La villa si compone di tre piani e di tre piante diverse tra loro: il piano terra
mostra la presenza dei pilotis e di un volume vetrato che ospita il garage, ambienti di servizio per i
domestici, una scala e un elemento al centro: una rampa che porta al piano superiore; il primo piano
ha una conformazione planimetrica differente: un quadrato all’interno del quale prende forma una L
e un grande soggiorno che si apre sul terrazzo. I muri presentano delle aperture in lunghezza con
infissi. Le Corbusier sceglie di prolungare i muri anche sul terrazzo e di riproporre anche le bucature
lunghe, ma senza infissi; attraverso il collegamento verticale della rampa si giunge al secondo piano:
si tratta di un terrazzo a L è il coronamento dell'edificio e la conclusione del percorso della promenade
architecturale. Il terrazzo giardino, composto da solai in calcestruzzo armato, non pesa sulla struttura
sottostante, ma anzi funge da coibente e garantisce agli ambienti del primo piano, una maggiore
frescura d'estate e un buon isolamento d'inverno. Il terrazzo ospita: un giardino coltivabile; un
solarium protetto da una parete tagliavento, che riprende la forma delle curve al piano terra, nel
segno della privacy; balaustre di tipo navale in tubolare di acciaio tinto bianco; del vano-ciminiera
dalla curiosa forma imbutiforme in cui è alloggiata la scala. Il tutto è articolato secondo forme libere.
Dunque c’è una reazione tra l’impostazione cartesiana dell’angolo retto e le forme libere. L’elemento
protagonista del progetto è la rampa, che si pone come un percorso che consente di attraversare in
altezza lo spazio e ne si percepisce il protagonismo soprattutto in sezione. Gli aspetti fondamentali
da tenere bene a mente sono: asimmetria, benché la forma base sia un quadrato; rotazione;
distribuzione periferica; fruizione dinamica dello spazio, sollecitata e rafforzata dalla presenza
monumentale di corpi. L’opera è sicuramente il manifesto più conosciuto del movimento moderno e
in particolare del cubismo architettonico. Viga anche il principio architettonico secondo cui viene resa
chiara la differenza tra parte portante e parte portata.
Il Modulor di Le Corbusier
Il Modulor è una scala di proporzioni basate sulle misure dell'uomo inventata dal famoso architetto
svizzero-francese Le Corbusier come linea guida di un'architettura a misura d'uomo. Le Corbusier
sviluppò il Modulor all'interno della lunga tradizione di Vitruvio, ripresa nell'uomo vitruviano di
Leonardo da Vinci, dei lavori di Leon Battista Alberti, e degli innumerevoli altri tentativi di trovare
proporzioni geometriche e matematiche relative al corpo umano e di usare queste conoscenze per
migliorare sia l'estetica che la funzionalità dell'architettura. Per formulare risposte da dare ai
problemi posti dal suo tempo e riguardanti l'attrezzatura della società, individuò un unico criterio
accettabile: l'uomo. Il Modulor fu dunque ideato da Le Corbusier con lo scopo di fornire una gamma
di misure armoniose per soddisfare la dimensione umana, applicabile universalmente all'architettura
e alle cose meccaniche. Le Corbusier studiò questa scala dimensionale strutturandola su due scelte
fondamentali, la prima di tipo matematico e la seconda di tipo antropomorfo. È un sistema nel quale
sono evidenziati e rappresentati, attraverso i numeri, i rapporti fondamentali tra le varie parti del
corpo e come essi si possono tradurre in geometrie. Il nome Modulor è frutto della combinazione di
module (modulo) e or (in riferimento alla section d'or, ovvero la sezione aurea).
Storia dell’Architettura, Lezione No. 29
Le Corbusier (1887 – 1965) <3
Negli anni ’30 del Novecento si presenta una svolta nell’opera di Le Corbusier, rispetto al suo
linguaggio precedente: si assiste a una svolta tecnologica, a una svolta rivolta al recupero di materiali
e logiche compositive che appartengono alla storia, a una svolta verso una monumentalità e tensione
poetica.
Immeuble Clarté di Le Corbusier (1930)
In questo progetto LC si approcciò all’uso dell’acciaio: la struttura fu realizzata in acciaio con saldatura
elettrica. C’è la presenza di elementi standardizzati, una grande superficie vetrata e c’è una
considerevole presenza dei vuoti. È interessante notare che l’edificio è arretrato rispetto alla strada:
c’è una piastra d’ingresso munita di servizi condominiali e di due cubi che costituiscono gli accessi.
All’interno è di notevole interesse il posizionamento di scale in acciaio lasciate a vista e il cui piano di
calpestio è costituito da vetro cemento.
Padiglione Universitario della Svizzera nella Città internazionale universitaria Parigi di Le Corbusier
Il Governo svizzero affidò a Le Corbusier l’incarico di progettare quest’opera. Il risultato è un edificio
di grande importanza animato da una doppia natura: esibisce la modernità attraverso l’applicazione
dell’acciaio per la struttura portante; contemporaneamente manifesta una concezione tradizionale
dell’impostazione delle facciate. L’edificio appare come un blocco rivestito di lastre di pietra avente
aperture che sono finestre ritagliate nella continuità del muro: sta proprio qui la tradizionalità.
Nell’architettura è possibile notare un corpo più basso finalizzato ad accogliere i servizi collettivi (sala
riunioni, sala giochi, corpo scale) ed è un elemento in cui non ci sono angoli di 90°. Una parete
dell’edificio è costruita in muratura in blocchi di pietra a secco. Ne consegue una dualità. In alto, il
volume prismatico si compone di una perfezione geometrica del parallelepipedo, cioè il terrazzo: esso
non ha un parapetto, ma un muro all’interno del quale sono ricavate grandi aperture che inquadrano
il paesaggio. L’opera è sospesa su pilotis, che in questo caso sono pensati come dei massicci pilastri:
andando sempre più verso le due ali esterne, essi crescono di dimensioni e si fondono, diventando
un unico grande setto. C’è la coesistenza di geometria, forme organiche e geometria spuria non
vincolata all’angolo retto. Dall’interno delle grandi sale vetrate è possibile guardare sul giardino.
Cité de Refuge di Le Corbusier (1929)
È un edificio costruito per essere uno stabilimento dell'Esercito della Salvezza*1 destinato
all'accoglienza, all'alloggio e al reinserimento sociale. Le Corbusier decise di sperimentare la
realizzazione di un edificio a respirazione esatta: un edificio completamente isolato dall’esterno,
sigillato attraverso superfici vitree. Gli infissi di vetro non erano apribili e, dunque, il riscaldamento e
il raffreddamento avveniva attraverso un sistema di condizionamento dell’aria. Nella pianta del piano
terra erano collocati dei volumi assimilabili al refettorio, sala di incontro, ecc. Questa sperimentazione
portò a un fallimento della respirazione esatta: la scatola di vetro sigillata era priva di elementi
frangisole e nel giro di pochi mesi ci si rese conto che era invivibile a causa del sensibile
raffreddamento invernale e del repentino surriscaldamento estivo. Ci fu un duro scontro tra la
baronessa, committente dell’opera, e Le Corbusier, il quale, sprezzante, rispose che il malessere
dell’individuo era un problema di poco conto se rapportato alla grandezza della sperimentazione
architettonica. Dopo la guerra, nel 1948 alla facciata venne sovrapposta una struttura frangisole in
cemento per schermare l’incidenza dei raggi solari. La facciata fu, inoltre, arricchita con l’inserimento
dei colori primari. Il fatto che ci siano elementi in cemento lasciati a vista definisce l’opera come un
progetto brutalista.
Immeuble Molitor di Le Corbusier (1931)
L'Immeuble Molitor è un edificio di Parigi che all'ultimo piano ha l’atelier per la pittura personale di
LC e un'abitazione dove trascorse gli ultimi anni della sua vita. L'edificio, in una posizione panoramica
tra il Parco dei Principi e il Bois de Boulogne, venne scelto da Le Corbusier per la propria abitazione,
creando all'ultimo piano il miglior appartamento dell'intero edificio, ampio circa 240 m2. Il sistema
delle volte permise la creazione di ampi spazi, senza il ricorso a supporti intermedi e creando vari
ambienti funzionali che sono un tutt'uno, senza i tradizionali mezzi di separazione. Le porte ad
esempio sono veri e propri mobili ruotanti, che permettevano di isolare in maniera invisibile per il
visitatore i due nuclei principali dell'appartamento: lo studio di pittura e la parte abitativa vera e
propria. Lo studio è diviso in tre ambienti principali: la grande sala per dipingere, con ampie finestre,
pareti lisce e con una predominanza del colore bianco, anche nel pavimento. La volta misura circa
3x12 metri, con un'altezza di 3,50 m; la grande parete di fondo è composta da pietre e mattoni a
vista; l'angolo con la scrivania e lo scrittoio, affacciato sul panorama; il ripostiglio e la camera di
servizio. Grande importanza rivestiva la luce, che Le Corbusier cercò di far entrare da ogni lato,
ricreando artificialmente la situazione di un'abitazione sul Mediterraneo. Pannelli di legno servivano
per controllare le aperture e impedire una luce troppo abbagliante, soprattutto al mattino. All'ultimo
piano, raggiungibile da una scala a chiocciola senza ringhiera, si trova una gabbia di vetro e muratura
dalla quale si accede alla terrazza superiore. L’edificio è in acciaio e ha le superfici realizzate in
muratura. I mattoni, la pietra, la volta sono chiari elementi della tradizione.
Pavillon des Temps Nouveaux di Le Corbusier e Pierre Jeanneret (1937)
L’opera venne realizzata in occasione dell’Expo di Parigi del 1937 e fu commissionata dall’azienda
Temps Nouveaux. Si presenta come un contenitore per gli elementi espositivi messi all’interno: ha
una struttura metallica con pilastri esili legati tra loro attraverso delle controventature e tenuta con
cavi metallici alle estremità. Il tutto è coperto da tenda. C’è la ricerca tecnologica più avanzata di quel
periodo.
Pavillon Philips all'Esposizione Internazionale di Bruxelles (1958)
L’architettura è iper-tecnologica perché c’è un’elaborazione geometrica di gusci sottilissimi
autoportanti formati da lastre. È il frutto di un calcolo elaboratissimo e della verifica sperimentale
della nuova tecnologia. La pianta è priva di angoli retti e di linee dritte, ma è tutto uno spazio curvo
che richiama la caverna. È la prima architettura multimediale perché, grazie a Jannis Xenakis, gli
spettatori potevano assistere a uno spettacolo di luci associate ai suoni composti da Varèse, a
celebrazione della nuova era elettronica.
Petite Maison de Weekend di Le Corbusier (1935)
Il progetto è stato creato nel 1935 da Le Corbusier per M. Felix, il direttore della Bank Societe Helfe.
Gli fu chiesto di fare una casa il più impercettibile possibile. Ecco perché The Weekend House si
trovava nella periferia di Parigi. Era nascosto tra gli alberi, edificio molto piccolo e alto solo 2,5 metri.
Il tetto è stato realizzato in pietra di cava e cemento armato e ricoperto da terra ed erba. All'interno
ci sono muri in pietra imbiancati a calce, che sono ricoperti da compensato. C'è anche un pavimento
in ceramica e un camino in mattoni rossi. Sono disponibili alcune vecchie foto, che mostrano l'interno
finalmente finito di blocchi di vetro del Nevada illuminati. Tutto è aperto al giardino. Pur essendo
all'interno, tutti possono sentire la cooperazione tra la casa e il paesaggio.
Appartamento attico Beistégui di Le Corbusier (1929)
Venne commissionata dal ricco imprenditore Beistégui in una delle strade più ricche del mondo:
Champs-Elysées. All’ultimo piano di un edificio tradizionale borghese, LC incastona una piccola
scatola moderna e purista: un’architettura articolata su tre livelli, due dei quali sono a cielo aperto. Il
muro del terrazzo è tanto alto da coprire la vista per il solo gusto di creare uno spazio surrealista dalla
dimensione onirica: ciò è messo in evidenza dalla scelta di arredi barocchi. È una composizione di
volumi puristi.
L’Unité d'Habitation (Marsiglia) di Le Corbusier (1945 – 1952)
Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, il Governo francese affidò a Le Corbusier il compito di
progettare delle case popolari. Ci sono tre caratteristiche principali che rendono l’opera
assolutamente geniale: fonde l’edificio alto in linea con l’edificio a ballatoio con gli alloggi duplex a
schiera, inventando una nuova tipologia; nel segno dell’influenza che ha avuto la visita alla Certosa
del Galluzzo, realizza un grande contenitore destinato ad accogliere ambienti per la vita privata, alla
famiglia, all’abitazione e attrezzature per la vita sociale (biblioteca, asilo nido, strada commerciale
con negozi, servizi comuni, lavanderia, supermercato, palestra, caffetteria, ufficio postale, negozi,
ristoranti o uffici ), configurando il tutto come una piccola città; c’è l’emersione di un nuovo linguaggio
concentrato sull’esibizione del processo costruttivo attraverso il telaio in cemento armato e qui c’è
la più potente manifestazione delle possibilità espressive e poetiche del c.a. lasciato grezzo e a vista.
L’edificio ospita circa 1.600 persone (237 alloggi), si estende su un'area di circa 3.500 metri quadrati
e misura 137 metri di lunghezza per 24 metri di larghezza e 56 di altezza. Posta al centro di un'area
verde, la struttura è orientata est-ovest per godere della migliore esposizione al sole e si sviluppa su
diciotto piani. L’edificio è sospeso su pilastri: non si tratta di esili pilotis, ma di massicci piloni
rastremati. Gli alloggi duplex hanno sezione a L: gli appartamenti sono serviti da un percorso interno
(ballatoio illuminato artificialmente); entrando nell’appartamento a sinistra si vede una scala interna
che porta a un secondo livello superiore; entrando a destra, invece, c’è la scala che porta a un piano
inferiore. Adopera grandi vetrate e davanti a esse applica una struttura che scherma l’incidenza
diretta dei raggi solari per determinare dei benefici sul piano della qualità della vita. Per la facciata
viene anche adoperato l’uso del colore. L’idea di disposizione e composizione delle case proposta qui
da Le Corbusier era stata introdotta in Unione Sovietica. Inoltre, c’è da dire che LC ripete questa
impostazione per ogni piano, disponendo gli appartamenti gli uni sugli altri, esattamente come fa
Oud nell’Hoek va Holland. A un certo punto, in sezione si vede che il sistema di alloggi salta per fare
spazio alla ‘strada’ commerciale coi negozi. Vengono progettati anche gli arredi e la posizione degli
stessi. Sulla sommità c’è il tetto giardino che, oltre ad accogliere gli impianti di illuminazione e
aerazione, è arricchito con sala riunione, piscina, biblioteca, asilo, ecc. Quando Le Corbusier decise di
lasciare il cemento a vista, si occupò anche della collocazione e dell’orientamento delle casseforme
lignee perché così sarebbe stato possibile leggere la trama del legno conformante la superficie
cementizia, oltra a creare dei tratti chiaroscurali: può essere definita un’architettura brutalista poiché
esprime una forte e dura fisicità. Viene inserito anche il Modulor attraverso bassorilievi nella
muratura perché tutti gli elementi sono calibrati proprio rispetto a questo sistema di rapporti. È
un’opera che ebbe una grandissima risonanza e impatto sulla cultura architettonica della seconda
metà del Novecento.
Cappella di Notre Dame du Haut a Ronchamp di Le Corbusier (1950 – 1955)
A Le Corbusier venne affidato l’incarico di progettare un santuario a Ronchamp perché alla fine della
guerra le gerarchie cattoliche decisero di affidare la costruzione dei luoghi di culto alle avanguardie
del Novecento. La pianta della cappella ha una pianta irregolare mai vista prima in un edificio dello
stesso LC: un muro curvo che piega su se stesso, creando alle due estremità due spazi, cioè due
cappelle. È interessante notare che l’elemento che funge da limite esterno della chiesa, diventa parte
dell’interno; c’è poi un altro muro che, avvitandosi su se stesso, genera un’ulteriore cappella, ed esso
piega bruscamente, definendo, di fatto, l’esistenza di spigoli; il terzo muro è caratterizzato da un
notevole spessore che, in sezione, si assottiglia progressivamente, andando a fissare il limite del
Sagrado. La pianta è priva di angoli retti. Lo spazio interno: il pavimento, costituito da lastre di pietra
autoctona, non è piano, ma leggermente inclinato per assecondare l’andamento della chiesa a quello
del suolo e ciò sottolinea un forte legame tra l’architettura e il luogo; la chiesa è orientata con l’altare
principale a est, proprio come prevede la tradizione cristiana; le tre cappelle, ricavate dal muro che
piega su se stesso, fuoriescono in altezza rispetto alla costruzione e prendono la luce dall’alto. Uno
degli aspetti che più colpisce dell’opera è la gigantesca copertura avente un forte segno scultoreo:
essa si presenta come un guscio vuoto trattato con cemento a facciavista, la cui forma, idealmente,
più che favorire il fluire delle acque al suolo, tende a raccoglierle. La copertura si sostiene su dei muri
trattati con una malta cementizia scabrosa al tatto, nel segno di una fisicità e per creare una relazione
con la natura del luogo. C’è il richiamo al movimento del Sole per citare la divinità a cui era dedicato
il tempio pagano preesistente: la posizione delle cappelle richiama il movimento solare. Di notevole
importanza è la presenza del reimpiego: una tecnica costruttiva antica che prevede il prelevare da
costruzioni precedenti dei frammenti definiti e il loro riutilizzo: integra nell’opera parte delle
preesistenze. Dall’esterno è possibile vedere un pilastro annegato in uno dei setti murari e una linea
di spazio aperto tra tetto e muri: ciò indica che la copertura in realtà è sostenuta da esili pilastri
annegati nello spessore murario. Le aperture nel muro più spesso sono grandi fori, strombati e di
dimensioni differenti, da cui entra la luce e generano un effetto scenografico all’interno: esse si
presentano come una sorta di proiettori di luce, che dall’esterno la convogliano all’interno, ed
essendoci dei pannelli colorati, la radiazione luminosa a colori*2. La parte dell’altare presenta
anch’essa delle piccole bucature e indicano la memoria dei cieli stellati. La copertura dall’interno
sembra una grande tenda che copre il tutto. L’opera non è un’imitazione del luogo, ma una sua
interpretazione.

*1N.B.: associazione che si occupava di accogliere i senzatetto.


*2N.B.: relazione con le cattedrali gotiche.
Storia dell’Architettura, Lezione No. 30
Le Corbusier
Convento di Santa Maria de la Tourette di Le Corbusier (1956)
Qui a muovere tutta l'operazione fu Couturier, capo teologo dei frati domenicani. C'era un grande
fermento nella Chiesa Cattolica sulla questione dell'uso dell'arte e dell'architettura contemporanea
per la costruzione di chiese, abbazie e conventi. In questo caso, Le Corbusier fu incaricato di ideare
un grande convento: il progetto venne redatto dai suoi collaboratori Andre Wogenscky e Iannis
Xenakis. Il principio ispiratore e le scelte fatte sono un'interpretazione di una precisa esigenza del
committente: ritorno a una purezza della pratica del messaggio Cristiano. Ragion per cui il tutto
andava plasmato su criteri di semplicità, di chiarezza, di annullamento della vanità, di povertà, di
frugalità, di ricchezza di senso a fronte di povertà di immagine. Tra i momenti che hanno scandito la
storia dell'architettura, il modello preso in considerazione fu il Romanico, contraddistinto da un'arte
semplice e grezza che esprimeva nel linguaggio una forte connotazione di purezza e sincerità. Il
convento si compone di tre elementi con appendici che formano una struttura a C in pianta, la quale
prevede anche un corpo parallelepipedo: la chiesa. Lo spazio compreso tra queste due parti è il
chiostro, che presenta dei bracci che lo tagliano e che collegano trasversalmente i corpi opposti: ciò
fa sì che il chiostro sia diviso in quattro spazi quadrangolari più piccoli non uguali tra loro. I bracci non
sono altro che percorsi che consentono il collegamento rapido tra vari punti dell'edificio: oratorio,
refettorio, biblioteca, spazio di conversazione, ecc., che sono posizionati tutti al primo livello. La scelta
di non far collegare il corpo a C e la chiesa permise di avere un chiostro con collegamenti verso
l'esterno. C'è da aggiungere che i percorsi del chiostro non sono piani, ma tendono a salire o
scendere, creando voluto riferimento, come a Ronchamp, al sito, scelto per la costruzione, che è
caratterizzato da notevoli salti di quota. Le Corbusier, quindi, si adatta al suolo e ne accentua le
caratteristiche sia coi percorsi che nel profilo della copertura. L'edificio è diviso in più livelli: il primo
è destinato alle funzioni sopracitate; il secondo è per le celle dei monaci, che sono servite da un
ballatoio interno e sono munite di un terrazzo verso l'esterno, infatti sono progettate in relazione alla
vista che si ha dall'interno della camera. Proprio come nell'Unité d'Habitation, anche qui egli si è
rifatto al Brutalismo: l'edificio è in cemento lasciato a vista ed esprime orgogliosamente
l'appartenenza al proprio tempo, proprio quando sembra di rileggere in esso la plurisecolare
tradizione dell'abbazia. L'architettura è immersa nella natura, non volendosi mimetizzare in essa, ma
porsi come polo dialettico e, dunque, c'è un forte rapporto col contesto senza che esso risulti
ambientista (è assente l'idea di pittoresco e di mimesi. L'utilizzo del cemento a vista non impedì di
sorprendere per l'originalità di alcune soluzioni, persino scultoree (c'è un forte gradiente di
espressività): asole che permettono di illuminare gli ambienti interni; il posizionamento di corpi
prismatici inclinati da un lato, definite da Le Corbusier stesso 'mitragliatrici di luce' perché sono delle
strutture che si protendono verso un punto cardinale preciso e illuminano lo spazio liturgico
sottostante; si crea una differenziazione semantica perché le lunghe asole del piano superiore danno
un senso di regolarità e si allude alle celle dei monaci, mentre gli elementi del piano inferiore indicano
la presenza di spazi collettivi. Per quanto riguarda la chiesa: l'altare è posizionato su una sorta di
crepidoma interno; è realizzata con il cemento a vista; come a Ronchamp, il tetto, forato, è staccato
dal muro per consentire l'esistenza di una lunga asola; il corpo cilindrico prevede delle aperture che
illuminano, come un lucernario, gli altari laterali; l'interno è fatto di quote diverse gestite con l'uso di
gradoni. Tutto è calcolato in funzione dell'effetto che ne deriva. C'è l'uso del colore.
La Città di Chandigarh di Le Corbusier (anni '50 del Novecento)
Il sogno di Le Corbusier costantemente perseguito era quello di fare una città: alla fine della sua
carriera ebbe la possibilità di realizzarlo: ideò da zero la città di Chandigarh, in India. Il primo ministro
indiano Jawaharlal Nehru era propenso a rendere l'India un Paese moderno, ragion per cui decise di
investire moltissimo nella costruzione di una nuova città, la capitale del Punjab. L'incarico venne
affidato, in merito all'ambito tecnico, ad Albert Mayer e anche all'architetto Matthew Nowicki.
Quest'ultimo morì in un incidente aereo e fu necessario un sostituto: Le Corbusier, il quale decise di
collaborare con il cugino Pierre Jeanneret. Il nome proposto, Chandigarh, era in onore della divinità
indiana Chandi. La città venne costruita secondo un principio antichissimo: griglia di assi stradali che
si incrociano tra loto. Inoltre, lo schema era vagamente antropomorfo perché: in alto (la testa), come
se fosse un'acropoli, posiziona Parlamento, Alta Corte di Giustizia, Segretariato, edificio del
Governatore, che, affiancati a spazi pubblici, compongono il cuore monumentale. Tale zona prende
il nome di Campidoglio di Chandigarh, dove LC ebbe modo di realizzare architetture di grande impatto
da un punto di vista formale; più in basso c'è la parte assimilabile al tronco e alla spina dorsale della
città che prevede ampie fasce verdi per l'ossigenazione, lo schema viario composto da varie tipologie
di assi di circolazione*¹, la griglia che ritaglia pezzi di città quadrangolari quasi tutti attraversati da un
ampio parco lineare irregolare, che stempera la rigidità della griglia. Il Campidoglio è composto da
una pianta ricca di edifici: il Parlamento, grande corpo quadrangolare; il Segretariato, che è stretto e
lungo; Palazzo del Governatore, mai realizzato; Alta Corte di Giustizia; una grande piazza con specchi
d'acqua articolata su quote differenti e con spazi che si incastrano tra di loro, e doveva essere un
luogo in cui la comunità avrebbe dovuto condividere il segno di una forte consapevolezza di
condivisione e in cui ci si riconosce come concittadini; la Mano Aperta, simbolo di unità, condivisione
e pace.
Segretariato (Campidoglio di Chandigarh) di Le Corbusier (anni '50 del Novecento)
Per ragioni di percezione, propose la costruzione di colline artificiali per schermare il lungo edificio
(quasi un grattacielo orizzontale), che si compone di sei edifici di otto piani affiancati. L'accesso è
consentito da rampe monumentali. La continuità monotona della facciata viene rotta da uno degli
edifici che presenta i piani a doppia altezza, i quali ospitano i Ministeri. Per limitare la violenza dei
raggi solari tipica dell'India, sono previsti dei frangisole davanti alle facciate. Il tetto è a terrazze e su
di esso pone un elemento che richiama simbolicamente le corna di bue, animale sacro nella cultura
Indiana.
Alta Corte di Giustizia (Campidoglio di Chandigarh) di Le Corbusier (anni '50 del Novecento)
È pensato come una serie si piloni giganteschi collegati grazie ad archi paraboloidi reggenti una
grande copertura. All'interno della gigantesca struttura trova posto il blocco con gli uffici
dell'amministrazione giudiziaria e le aule dell'esercizio del potere. L'uso del colore è concentrato
violentemente in alcuni punti e passaggi per legarsi alla mentalità e al gusto della cultura popolare
indiana: si stempera e ridimensiona l'impatto ipermoderno che le opere ebbero sull'ambiente
circostante arretrato e tradizionalista. Anche in questo caso sono previsti dei frangisole, le cui pareti,
in alcuni punti, presentano colori vivaci. Ancora una volta l'accesso all'edificio è affidato a grandi
rampe. Il Modulor viene impresso nell'opera come motivo decorativo (come già fece nell'Unité
d'Habitation). Le aule di giustizia presentano il cemento a vista e alcune pareti di fondo hanno grandi
arazzi disegnati da Le Corbusier stesso e vivacemente colorati.
Palazzo del Parlamento (Campidoglio di Chandigarh) di Le Corbusier (anni '50 del Novecento)
L'edificio ha una forma quadrangolare. Presenta una grandissima sala ipostila circolare (incastrata nel
edificio prismatico) i cui pilastri richiamano la dimensione egizia. Essa si sviluppa in alzato come se
fosse un doppio cono avente in alto un taglio obliquo. Davanti all'architettura, staccato, viene
posizionato un monumentale portico, costituito da setti, reggente una copertura realizzata nel segno
del Palazzo del Segretariato. Al centro della sala ipostila pone la Sala dell'Assemblea, anch'essa
circolare. L'accesso è rimandato alle rampe, le quali hanno una rilevante importanza anche
all'interno.
Il Palazzo del Governatore (Campidoglio di Chandigarh) di Le Corbusier (anni '50 del Novecento)
Mai stata realizzata. In quest'opera il tema della forma a conchiglia è predominante, rispetto
all'architettura precedente in cui tale aspetto era un accenno. pianta si percepisce la dialettica tra la
regolarità dei pilastri disposti secondo una cadenza precisa e l'irregolarità delle partizioni interne che
determinano i percorsi. Sono due anime che convivono nell'opera di Le Corbusier: il principio
Apollineo e quello Dionisiaco, che fissa anche in un suo dipinto.
Villa Shodhan di Le Corbusier (anni '50 del Novecento)
Studiare dal libro

*¹N.B.: l'autostrada che collega Chandigarh con Nuova Delhi, le varie strade a scorrimento veloce,
carrabili e pedonali, in linea con ciò che veniva detto nei CIAM.
Storia dell’Architettura, Lezione No. 31
Ludwig Mies Van Der Rohe (1886 – 1969)
Introduzione e formazione
È uno dei massimi esponenti dell’architettura del Novecento insieme a Le Corbusier, Gropius e Alvar
Aalto. Il suo nome in origine era solo Ludwig Mies, ma, successivamente, decise, per sottolineare la
sua ascesa sociale da figlio di scalpellino ad affermato professionista, di aggiungere il cognome della
madre, Rohe, preceduto da ‘Van Der’ (particelle dei cognomi olandesi). Nacque ad Aquisgrana ed era
figlio di una famiglia umile: il padre era uno scalpellino. Si formò da ragazzo nella bottega del padre,
per poi frequentare dei corsi di decorazione. In seguito fece la scelta di volersi dedicare
all’architettura e si trasferì a Berlino nel 1905, dove entrò nello studio dell’architetto e designer Bruno
Paul. Fu durante l'anno successivo, il 1906, che Mies ricevette la sua prima commissione per una casa
unifamiliare, richiesta da Alois Riehl, docente di filosofia. Il risultato fu un’abitazione che metteva in
pratica i principi della casa inglese di Hermann Muthesius. Frequentò, poi, corsi di edilizia alla Scuola
d’Arte e Mestieri e si iscrisse alla Scuola Superiore di Belle Arti. Il passaggio chiave nella sua
formazione da architetto è l’ingresso dello studio di Peter Behrens, dove conobbe Wright in occasione
dell’organizzazione di una sua mostra da parte dello stesso Behrens. Ebbe modo di viaggiare: in Russia
per il progetto dell’Ambasciata; in Olanda (1912), per un progetto di una casa-museo della famiglia
Kröller-Müller (possessori di un ingente patrimonio artistico). In occasione della tappa in Olanda
conobbe l’opera di Hendrik Petrus Berlage, grande maestro dell’architettura olandese. Gli anni
trascorsi nello studio di Behrens lasciarono un'impronta indelebile nella mente creativa di Mies e fu
qui che conobbe, oltre a Gropius e Le Corbusier, Karl Friedrich Schinkel, un’esponente del classicismo
ottocentesco, che rappresentò un punto di riferimento. Da tali incontri ne derivò una sintesi tra un
classicismo rigoroso e il tentativo di divincolarsi dalle regole rigide del classicismo stesso. Mies iniziò
a sviluppare questi temi che costituiscono il codice genetico del suo operato: il valore della
costruzione messa in evidenza; la scomparsa della decorazione; una concezione dell’architettura
come un aggregato di volumi; chiarezza strutturale delle piante aventi telai molto semplici. Al 1910,
invece, risale il progetto di monumento destinato alle celebrazioni del centenario di Bismarck, non
realizzato, con cui Mies riprese il tema sempre tipicamente schinkeliano del basamento, qui espresso
con un monumentale bastione di pietra affacciato scenograficamente sul Reno: si tratta di un edificio
duro, rigoroso, severo, avente un recinto su pilastri e una grande terrazza. Pochi mesi dopo lasciò lo
studio di Behrens per aprirne uno proprio a Berlino, ma a causa della Prima Guerra Mondiale dovette
arruolarsi. Il termine della guerra fu per Mies momento di cambiamenti: l’affermazione del sistema
repubblicano progressista di Weimar e le difficili condizioni economiche della Germania, portarono a
un periodo di forte fermento, anche culturale e artistico. Tutta l’avanguardia artistica e intellettuale
si ritrovò in forte affinità con i principi socialisti tanto da dar vita a vari gruppi, come
Novembergruppe, di cui Mies fu uno dei principali animatori: era quest'ultimo in particolare un
gruppo d'avanguardia finalizzato a riunire tutte le arti sotto le ali di una grande architettura. La
corrente artistica immagine di questa tensione era l’Espressionismo. In questa fase, dunque, Mies
ebbe un considerevole confronto con le avanguardie, grazie alle quali fece tre incontri determinanti
per la sua carriera: Espressionismo tedesco, che incise sul progetto per un grattacielo di vetro a
Friedrichstrasse, in cui è evidente una potente suggestione e uno stacco dimensionale considerevole.
L’edificio fu immaginato come composto un triplice prisma con grande superfici vetrate continue e
con ossatura di acciaio alto venti piani e con pianta centrale. Ogni piano doveva avere uffici, i quali
erano caratterizzati da una forma particolare composta da angoli acuti. Il tema del grattacielo di
vetro, evocante l’immagine del cristallo espressionista, in questo caso sembra essere messo in
relazione, a livello compositivo, con la Cattedrale del Futuro, usata per il manifesto del Bauhaus.
L'anno successivo meditò ancora sul tema del grattacielo con un'ulteriore elaborazione, dove la
pianta assume un aspetto organico privo di linee rette e alla figura del cristallo si preferisce la foglia.
L’espressionismo di cui si avvale Mies è incentrato sul tema della liberazione della forma attraverso
l’adozione di alcune tecniche costruttive (principalmente c.a. e acciaio); Costruttivismo russo, a
Berlino c’era Hans Richter, fondatore della rivista G (sottotitolo: materiale per una progettazione
elementare), con la quale si perseguiva un elementarismo geometrico (forme basate sull’angolo
retto). Sulla rivista ci furono scritti di El Lissitzky, Theo van Doesburg, Hilberseimer, ecc. Attraverso
l’astrattismo geometrico del costruttivismo è come se Mies avesse iniziato un processo di
purificazione formale. A proposito di purificazione formale, si può parlare di un edificio per uffici in
cemento armato con delle fasce in facciata: alcune trasparenti (per far leggere in profondità il telaio
strutturale), altre opache. I piani opachi hanno, in sezione, una forma a C rivolta verso l’interno con
sopra il vetro: in questo modo prescrive che tutti gli arredi degli uffici dovevano essere inseriti in
questa rientranza. Si occupò anche della progettazione di una casa, di cui non resta altro che delle
vedute di insieme e foto del modello: è una casa che non ha un punto di partenza o un centro, ma è
una struttura policentrica in cui non si va a definire una facciata principale. Si tratta di una serie di
blocchi che creano una forma geometrica non molto definita e sembra rispecchiare una logica
wrightiana (blocchi orizzontali che si dispongono nello spazio). È un progetto che trasuda
costruttivismo russo, però riportato all’asciutta e rigorosa razionalità di chi è stato allievo di Behrens;
De Stijl, nel segno del quale elaborò un progetto di una villa in mattoni: qui si mette in parte da parte
l’insegnamento di Wright perché non c’è più un centro, infatti, ad esempio, il camino lo inserisce
all’interno dell’involucro esterno. È tra le più evidenti manifestazioni dell’influenza che Mies subì da
parte del Neoplasticismo e ne fu così tanto influenzato che prese parte a una mostra a Parigi sul De
Stijl, insieme a van Doesburg, van Eesteren, ecc. La soluzione planimetrica del progetto ricorda un
dipinto dello stesso Theo van Doesburg e c’è una forte semplificazione dei volumi: le superfici esterne
sono, infatti, compatte e omogenee. Sempre sui volumi, bisogna sottolineare il fatto che essi non
siano giustapposti, ma incastrati (Interpenetrazione, aspetto tipico della scultura neoplasticista). Lo
spazio acentrico della casa è libero e fluente, in linea con Wright, ma differisce da quest’ultimo nella
relazione tra ambiente esterno e interno: Wright era solito disporre i volumi a partire dal centro verso
ed essi erano definiti da cortine murarie compatte, per cui si definiva rigidamente il dentro e il fuori;
Mies, invece, in questo caso, si avvale di un involucro esterno che fa percepire la relazione di scambio
che intercorre tra dentro e fuori. Da sottolineare la presenza di pezzi di muro che sono perimetro
della casa, elementi di caratterizzazione dell’esterno e che piegano, senza rotture, andando a definire
gli ambienti interni. Il tema dell’interpenetrazione dei volumi viene anche affrontato in Casa Wolf
(1925). I socialisti rivoluzionari chiesero nel 1926 a Mies Van Der Rohe di realizzare il Monumento a
Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht: egli realizzò una grande stella a cinque punte, con il simbolo del
Comunismo, da porre su una scultura in mattoni molto neoplastica poiché realizzata come un gioco
di volumi che si incastrano, creando una composizione varia. Dalla sintesi dell’influenza di queste tre
grandi avanguardie, egli giungerà alla maturazione del suo linguaggio architettonico nel 1927, che
sarà molto vicino al Razionalismo: tale scelta viene fatta anche per ragioni etiche e sociali, in
particolare per far fronte al bisogno di abitazioni per la parte disagiata della popolazione europea.
Edificio per appartamenti operai al Weißenhof di L. Mies Van Der Rohe (1927)
Il Werkbund tenne una mostra nel 1914 a Colonia e poi un’altra a Stoccarda nel 1927, in occasione
della quale si doveva realizzare un complesso di abitazioni (siedlung). Il direttore della sezione di
architettura del Werkbund è Mies, al quale venne messo a disposizione un grande appezzamento di
terreno dove doveva realizzare una serie di costruzioni rappresentanti per tutti la nuova cultura
moderna dell’abitare. Egli si occupò del piano generale, della scelta degli architetti e riservò per se il
diritto di progettare l’edificio più grande. L’idea principale era, dunque, l’abitare in tutte le sue
manifestazioni: residenza unifamiliare a due livelli, case a schiera, grandi edifici per alloggi a basso
costo per la classe operaia. L’edificio realizzato da Mies si presenta come un blocco di quattro piani,
ognuno dei quali ha quattro appartamenti tutti diversi tra di loro: nel dibattito apertosi su tale
questione, egli prende una posizione ben precisa. L’opera viene realizzata con pochi elementi e senza
ornamento, con una grande qualità dello spazio interno, determinato dall’uso di un telaio in c.a. che
permette di posizionare i tramezzi in rapporto alle esigenze di ogni famiglia. Il prospetto è composto
da fasce continue e finestre a nastro. Le caratteristiche comuni agli edifici sono le facciate essenziali,
i tetti piani, adibiti a terrazza, le finestre a nastro, la pianta libera e l'elevato livello di prefabbricazione,
che permise l'edificazione del complesso in soli cinque mesi.
Padiglione tedesco di Barcellona di L. Mies Van Der Rohe (1929)
Quest’opera è la sintesi della sua formazione: c’è l’influsso dell’Espressionismo, del Costruttivismo,
del Neoplasticismo, del Razionalismo. È il grande capolavoro del suo periodo europeo, derivato da un
incarico da parte del Governo tedesco di realizzare il padiglione nazionale tedesco per l’Esposizione
Universale di Barcellona del 1929: l’obiettivo era quello di manifestare chiarezza, semplicità e onestà
e l’architetto più adatto ad assurgere a tale compito non poteva essere altro che il maestro Mies.
L’opera è un’icona assoluta, con un forte sviluppo orizzontale, con una considerevole integrazione
tra spazi a cielo aperto e spazi coperti, insieme ad ambienti con servizi e ufficio. È un moderno tempio
classico: sviluppo in lunghezza, sollevato su gradini, l’impostazione modulare che regola il
dimensionamento di tutta l’opera. La pavimentazione è costituita da lastre in travertino e il modulo
è 2.09 x 1.09. La modernità la si ritrova in: asimmetria perché i piccoli ambienti non sono chiusi e
separati, ma ci sono setti e schermi opachi, trasparenti e semitrasparenti; dialettica tra introversione
ed estroversione perché l’involucro che delimita lo spazio è costantemente interrotto e aperto verso
l’esterno; pluralità dei punti vista poiché è una struttura estremamente articolata; lo spazio è
policentrico, anti-assiale, fluido, libero. Basamento: l’edificio è sollevato su una base di otto gradini
che profuma di classicità e solennità. Esso prevede anche uno specchio d’acqua sul cui fondale è
occupato dal ciottolame di fiume, e sembra scavato nello spessore di questo blocco lapideo. La vasca
è circondata da un setto alto che piega a 90° per più volte definendo un elemento di spazio interno:
un oggetto di delimitazione esterna si configura come generatore di un blocco ospitante uffici e
servizi. La copertura di quest’ultimo blocco si prolunga ben oltre lo stesso, creando una zona d’ombra,
e si appoggia su un muro coperto da lastre in travertino: esso è un elemento fondamentale poiché
tiene insieme il blocco dei servizi e il padiglione, infatti anche la copertura di quest’ultimo poggia su
tale spessore murario. L’altezza complessiva del padiglione è stata determinata dalla dimensione
delle lastre di travertino. L’area espositiva non ospita alcuna opera in mostra, ma è essa stessa
l’elemento attraverso cui la Germania si rappresenta: il padiglione espone se stesso. All’interno sono
posizionati sgabelli aventi una struttura a X, poltroncine, con struttura in acciaio, che reintegrano
l’imbottitura, una parete in marmo*1, la cui bellezza è nella venature della stessa e nel materiale
stesso: c’è un gioco tra l’opacità del marmo (lucidato a specchio) che evoca l’architettura classica e
la natura, e la modernità espressa dai pannelli trasparenti di vetro con profili metallici. La modernità
la si ritrova nella logica attraverso la quale gli elementi vengono messi in relazione, andando a
conformare lo spazio. C’è un richiamo ai colori della bandiera tedesca attraverso sia la cromia della
parete di marmo sia il tappeto nero posizionato in prossimità di essa. Da sottolineare la presenza di
pilastrini cruciforme metallici: la struttura portante è in acciaio, infatti i setti non sorreggono la
copertura, ma sono solo partizioni interne. I pilastrini hanno un doppio significato simbolico:
dimostrare la modernità della Germania; la costruzione moderna deve essere su pilastri che dividono
lo spazio. A un certo punto viene collocato un secondo specchio d’acqua più intimo (una sorta di
impluvio estroflesso), col fondale in vetro nero e circondato da un muro alto (foderato in onice), con
una scultura (Der Morgen*2) decentrata. I materiali utilizzati sono: pietra (travertino), marmo, (rosso
e verde), vetro (trasparente e nero). La pianta del padiglione sembra richiamare un dipinto di Theo
van Doesburg. Ci sono da considerare due concezioni di tenere a mente: c’è il Neoplasticismo
olandese alla luce della nuova oggettività berlinese, filtrato dal Razionalismo, infatti c’è un senso più
forte e chiaro del percorso e della smaterializzazione (uso di pannelli vitrei, pilastri con superfice
cromata, specchi d’acqua); c’è il Classicismo e un’idea di qualità senza tempo, astoica, nel segno di
una iper modernità che non rinuncia all’evocazione dei valori fondanti del fare architettura. Tutto ciò
viene realizzato con un numero molto ridotto di elementi: LESS IS MORE. Come riferimenti possono
essere considerati Casa Schröder di Rietveld, i progetti che van Doesburg e van Eesteren avevano
presentato alla mostra di Parigi del 1923. Fu demolito nel 1930 e ricostruito nel 1986 da un gruppo
di architetti spagnoli.

*1N.B.: pomice dorato delle montagne dell’Atlante, catena montuosa del Marocco.
*2N.B.: in italiano ‘l’alba’ o ‘il mattino’; una figura femminile che esce dall'acqua e alza le braccia verso
il cielo.
Storia dell’Architettura, Lezione No. 33
Ludwig Mies Van Der Rohe - Periodo Americano
Mies è colui che più di ogni altro ha ridefinito l'architettura americana nella seconda metà del
Novecento. Negli Stati Uniti si tenne una mostra al MOMA nel 1932, Modern Architecture:
International Exhibition, organizzata dal critico d'arte Henry-Russell Hitchcock, che decretò la nascita
del Movimento Moderno anche in America: esso si presentò con una connotazione meno forte da un
punto di vista sociale e politico. Il nome con cui il modernismo venne definito dagli americani è
International Style, il quale ritrovò il principale punto di riferimento nella figura di Mies Van Der Rohe.
Con International Style si fa riferimento a un nuovo linguaggio che parla di modernità e che ambisce
a essere internazionale, andando a definire architetture atopiche. Si giunge così a un'idea di
modernità che trascende la specificità dei contesti nei quali le architetture vanno a collocarsi. Mies
Van Der Rohe si ritrovò a sviluppare il tema dell'edificio a torre a Chicago.
Edificio per appartamenti Promontory di L. Mies Van Der Rohe (1946)
È un edificio per appartamenti alto 22 piani a Hyde Park (Chicago). Il primo progetto che presenta
prevedeva un telaio in cemento armato con pilastri disposti a catena regolare e con parapetti rivestiti
di mattoni: dall'esterno esso appariva come un prisma perfetto avente una superficie ritmata da
elementi verticali collegati idealmente da parti orizzontali. Successivamente elabora una seconda
proposta in cui inventa un sistema di chiusura e di tenuta degli ampi infissi svincolato dalla struttura*¹
e che si sovrappone ad essa. Ci sono, dunque, due telai: uno della struttura in pilastri di acciaio e un
altro secondario degli infissi. Tale scelta dà uniformità alla facciata e l'edificio viene percepito come
rivestito da una pellicola.
Edificio per appartamenti a Chicago di L. Mies Van Der Rohe (1948)
È una coppia di edifici a pianta rettangolare e si conformano come dei blocchi parallelepipedi.
Analizzando la pianta, essa risulta pulita e semplice. L'ingresso, comprendente gruppi di scale e
ascensori, è circoscritto all'interno di un volume trasparente più piccolo della pianta e ciò determina
la formazione di un portico al piano terra. I due edifici sono posti a 90° l'uno rispetto all'altro e c'è
una grande attenzione alla relazione degli spazi residui del lotto. C'è una disposizione di otto
appartamenti per piano e non vi sono pilastri che invadono lo spazio: sono compresi nello spessore
murario perimetrale, nelle partizioni e nel corpo centrale dei collegamenti verticali. Il sistema è un
telaio di pilastri in acciaio annegati nel cemento. Anche qui la struttura degli infissi risulta chiara.
Edificio per appartamenti Algonquin di L. Mies Van Der Rohe (1949)
La struttura è in cemento armato per questioni di budget. Qui la struttura metallica degli infissi
(curtain wall) è avanzata rispetto al telaio strutturale dell'edificio: tale scelta gli dà la possibilità di
inserire degli elementi cavi col fine di ospitare le parti del sistema impiantistico. I montanti in
alluminio sono privi di tinteggiatura e lasciati al loro naturale aspetto cromato.
Seagram Building (New York City) di L. Mies Van Der Rohe (1958)
È un grattacielo di New York progettato in collaborazione con l'americano Philip Johnson. È un prisma
puro alto 150 metri e di 38 piani, arretrato*² rispetto alla prospiciente Park Avenue: ciò ha consentito
la realizzazione di una piazza pavimentata di granito rosa arredata con piante e vasche d'acqua, dal
cui basamento si eleva il parallelepipedo a pianta rettangolare del grattacielo, caratterizzato al piano
terreno da una lobby segnata da sette capriate di pilastri della struttura portante e dagli elementi di
risalita. Come nelle altre realizzazioni americane, il Seagram, presenta chiarezza compositiva e sintesi
costruttiva: rappresenta uno dei massimi esempi di estetica del Funzionalismo e uno dei principali
manifesti del Movimento Moderno. Una delle caratteristiche principali dell'edificio, infatti, è la
struttura all'esterno del fabbricato: secondo il pensiero di Ludwig Mies van der Rohe, doveva essere
visibile; essa è costituita da uno scheletro in acciaio portante, a cui erano appesi i pannelli in vetro a
chiusura esterna. La visibilità della struttura a scheletro però si scontrava con le norme americane,
che richiedevano che le strutture in acciaio fossero ricoperte di materiale antincendio. Così Mies
decise di usare travi non strutturali in bronzo, che, correndo verticalmente sulla facciata dell'edificio,
rivestissero e delineassero esternamente la struttura in acciaio, fungendo da divisori delle larghe
finestre: la facciata acquisisce così una verticalità determinante. Tale metodo finì col diventare
comune nella costruzione dei grattacieli. Particolare è inoltre la modellazione delle imposte di
chiusura delle finestre: Mies desiderava che la visione prospettica della facciata fosse omogenea ed
uniforme, ragion per cui questo progetto presenta delle tapparelle con posizioni di chiusura delle
finestre che potevano avere solo tre collocazioni: completamente aperte, aperte per metà,
completamente chiuse. Alla sommità del grattacielo, il motivo modulare delle finestrature si
interrompe per dar posto al grande volume degli impianti tecnici in esso racchiusi. L'interno del
fabbricato, rivestito con bronzo, travertino e marmo, venne progettato per creare una sensazione di
continuità con la struttura a vista delle finiture esterne in vetro e bronzo. La costruzione del Seagram
Building può essere vista come il compimento di una ricerca teorica e pratica avviata in Germania
dall'architetto attorno agli anni Venti e che ha per oggetto l'edificio per uffici, da lui concepito come
una casa del lavoro.
Convention Hall di L. Mies Van Der Rohe
La Convenzione Nazionale Repubblicana degli Stati Uniti è un congresso politico, tenuto ogni quattro
anni, negli Stati Uniti dai più rappresentativi partiti politici, che designa il candidato di quel partito
alle elezioni per il presidente degli Stati Uniti. Ragion per cui si presentò la necessità di avere a
disposizione grandi spazi all'interno dei quali poteva essere ospitato un considerevole numero di
persone: Convention Hall. Mies immaginò tale luogo come un gigantesco quadrato avente per ogni
lato sei monumentali piloni, esposti in modo tale da non avere il pilastro nello spigolo. I pilastri,
annegati in strutture troncopiramidali, sorreggono un ampio ed esteso tetto. Il progetto si configura
come una grande piazza metafisica.
Progetto per edificio amministrativo della Bacardi Ron S.A. (Cuba) di L. Mies Van Der Rohe (1955)
L'edificio prevede la parte più importante sospesa, infatti al piano terra c'è la hall d'ingresso (a doppia
altezza) arretrata su tutti e 4 i lati e circondata da pilotis. L'altra è svuotato al centro perché ci sono
due scale che portano a una piccola galleria a ballatoio che serve gli ambienti di riunione e uffici.
Edificio amministrativo della Bacardi Ron S.A. (Città del Messico) di L. Mies Van Der Rohe (1957)
La struttura tettonica dell’aula per gli uffici della sede Bacardi a Cuba rimanda alla forma essenziale
della costruzione trilitica (ricorda lo stile dorico): il tetto in calcestruzzo armato è sorretto da 8
colonne cruciformi rastremate che, tramite un’articolazione a cerniera in acciaio, sostengono una
piastra di copertura piana. Essa è pensata come una struttura monolitica in calcestruzzo armato
precompresso in opera, costituita da travi a doppia orditura incrociata determinando una maglia
quadrata di 18 cassettoni per lato. Mies punta sempre a realizzare degli spazi ad aula unica e sono
sempre pensati per una funzione specifica e, insieme, con un'intrinseca e potenziale flessibilità. Il
progetto simboleggia la contemporaneità che si salda a un principio classico e rinascimentale. È uno
spazio omogeneo, connotato fortemente dalla geometria di forme semplici e chiare.
Neue Nationalgalerie di L. Mies Van Der Rohe (1962)
L'impostazione spaziale fu determinante per la progettazione di due musei. Il primo, che non venne
realizzato, si compone di un grande, alto e forte tetto poggiante su pilastri e si tiene su una griglia di
membrature portanti. Lo spazio è arretrato e trasparente. Essendo un ambiente completamente
libero, esso può essere sfruttato per molteplici funzioni. Questo rappresenta la base che lo conduce
alla progettazione di un suo grande capolavoro a Berlino, quando la città era divisa in Est e Ovest. La
Neue Nationalgalerie è un museo di Berlino destinato ad occuparsi dell'arte del ventesimo secolo ed
è stato il primo museo ad essere costruito nell'area che poi diverrà il Kulturforum. L'edificio venne
inaugurato nel 1968, un anno prima della morte dell'architetto. La pianta è quadrata e libera da
pilastri. La copertura è molto alta: poggia da un lato su pilastri cruciforme rastremati e dall'altro grazie
a nervature piegate a 90° (sembra galleggiare nell'aria). Il museo è concepito come una grande hall
vuota e vetrata. Esso è illuminato tramite un salto di quota. La presenza di una rampa in prossimità
dell'ingresso (arretrato rispetto ai pilastri) conforma l'opera come un podio classico. Vi sono, dunque,
dei riferimenti all'architettura greca (sistema trilitico) e romana, sia per il podio che per il riferimento
al cassettonato della copertura. La particolarità della maglia strutturale sta nella disposizione dei
pilastri: ce ne sono due per ogni lato, ma non negli spigoli, bensì nella lunghezza dei lati stessi: ne
consegue una percezione circolare dello spazio, benché si tratti di una pianta quadrata. Lo spazio
espositivo è ubicato nel sottosuolo, mentre il piano terra è destinato al punto vendita e a mostre
temporanee. Le pareti vetrate fanno sì che la luce penetri completamente all'interno dell'edificio, in
modo da tenere fuori l'oscurità. Le caratteristiche della Neue Nationalgalerie la definiscono sia come
un qualcosa di evanescente e non oppressivo, sia come un corpo carico di fisicità di cui se ne
percepisce la presenza: è una forma per eliminazione, un metodo sottrattivo, come fa lo scienziato
da sempre, la cui formula ideale tende alla massima brevità. Mies incarna questo principio all'interno
delle sue architetture, ricercando un peso zero in relazione a un silenzio che tutto dice.

*¹N.B.: ora la struttura è in acciaio.


*²N.B.: l'arretramento rispetto al filo stradale enfatizza il volume del grattacielo, conferendogli una
monumentalità senza eguali.
Storia dell’Architettura, Lezione No. 34
Frank Lloyd Wright - Opere realizzate dopo la Prima Guerra Mondiale
Durante gli anni '20 Wright approfondì le nuove tecniche di costruzione, lavorando sulle possibilità
strutturali ed espressive del vetro. Un esempio è il progetto National Life Insurance Building:
immagina una grande struttura prismatica molto alta, sulla quale si innestano a pettine altri 3
grattacieli. Il tutto viene ideato con una struttura in cristallo armato. Si cimentò anche nella
sperimentazione tipologica provando ad approcciarsi alla tipologia del grattacielo, ma con forme più
dinamiche e uniche: ci riesce con uno grande controllo della geometria e con una sapiente
applicazione delle proprietà costruttive del cemento armato. A tale proposito, egli lavorò a un
progetto per un grattacielo di New York: esso è determinato da quattro nuclei interni di cemento,
ospitanti i collegamenti verticali, e quattro ali. Il tutto è disposto all'interno di un quadrato che ruota
di 45° per ogni piano: la pianta assume sempre una posizione diversa. Si neutralizza così la monotonia
dell'edificio a torre con l'introduzione di un principio dinamico che si combina bene con un forte
sviluppo verticale. Wright dedicò buona parte della sua carriera allo studio del cemento: l'azienda
produttrice del cemento Portland, in occasione di una mostra nazionale a New York nel 1910, chiese
la realizzazione di un padiglione che doveva trasmettere quanto effettivamente questo materiale
fosse qualitativamente efficiente da un punto di vista strutturale ed estetico. Sempre a proposito del
cemento: i content block, ovvero delle costruzioni aventi all'interno una maglia di blocchi di cemento
richiamante la disposizione sfalsata dei mattoni. Si tratta di tre blocchi in cemento con anima di ferro
che hanno la peculiarità di essere montato l'uno sull'altro. Un aspetto da sottolineare è la superficie
esterna: egli imprime un disegno asimmetrico astratto-geometrico che risente della sensibilità
artistica di quegli anni. Il risultato è un edificio che conserva i caratteri delle Prairie Houses e che si
compone anche delle nuove tecniche e materiali da costruzione. Ciò non fu relegato al campo di
ricerca sperimentale, ma venne effettivamente sfruttato anche per la realizzazione di edifici: una
serie di abitazioni realizzate per l'élite hollywoodiana: blocchi di calcestruzzo prefabbricato
La Miniatura di Frank Lloyd Wright
È un casa non molto grande elaborata con una grande cura al dettaglio e al sistema di ammorsatura
dei vari blocchetti, esattamente come farebbe un artista miniaturista.
Hennis House di Frank Lloyd Wright (1927)
È un'abitazione molto grande e monumentale. Qui il blocco di cemento è basato sul quadrato e sulla
decostruzione dello stesso: una serie di quadrati sovrapposti privi di rotazione e disposti con un
progressivo arretramento. Le pareti sono conformate da un'alternanza di blocchetti lisci e non. La
pianta è molto complessa e si innesta su un suolo pendente. Gli interni sono molto suggestivi: spazi
a doppia o tripla altezza o che si incastrano e ciò è possibile grazie al gioco dei volumi che si
incastrano: c'è un'esibizione di una padronanza totale e assoluta della struttura, insieme a una
conoscenza perfetta delle proprietà del cemento armato. La logica dell'edificio, insieme alla scelta
dei motivi decorativi, richiama l'architettura antica meso-americana (azteca, inca, ecc.). Permane,
dunque, la forte volontà di voler creare un'architettura moderna del tutto indipendente nel
linguaggio dall'Europa. Lo spiccato senso di modernità e progresso emanato dall'edificio era tale che
venne usato come set per un film girato negli anni '80: Blade Runner.
Storer House di Frank Lloyd Wright (1923)
La pianta è composta da un prisma incardinato sul rettangolo avente una testa e una base che si
incastrano su un altro prisma trasversale, generando delle articolazioni spaziali molto suggestive. Ci
sono ambienti a tutta altezza che presentano un gioco di incastri di volumi e luci.
Uffici S.C. Johnson di Frank Lloyd Wright (1936 - 1939)
L'opera viene realizzata per una multinazionale di detergenti in un piccolo centro del Wisconsin,
Racine. Si tratta di un grande complesso in cui si percepisce: una forte frammentazione (rinuncia
all'idea di blocco), una contrapposizione tra volumi bassi e una grande torre che si protende verso
l'alto, un forte orizzontalismo generale, un uso del mattone che richiama ai colori della terra, un
carattere tipico delle architetture di uso collettivo, cioè l'introversione: si tratta infatti di volumi
compatti in muratura che, dove è necessaria la presenza di luce, presentano delle aperture a nastro
continue traslucide contribuenti all'idea di compattezza. Dalla planimetria generale si nota che
l'intero complesso si compone di due parti: una più grande e di forma quadrata (un recinto avente
blocchi sul perimetro) che si ammorsa a uno spazio di attraversamento. Al centro di tale recinto sono
collocati dei giardini, nel mezzo dei quali è posto un elemento che si eleva in altezza e che in pianta
si articola come una serie di cerchi che si incastrano tra di loro: è il nucleo centrale del corpo quadrato.
Vi sono poi spazi di accoglienza, reception, segreteria; il secondo blocco è estremamente importante
perché è lo spazio destinato alle attività lavorative: proprio come nel Larkin Building, Wright non
concepisce il luogo di lavoro d'ufficio come un ambiente organizzato in stanze servite da corridoi, ma,
piuttosto, come una grande sala a tutta altezza, dove gli impiegati sono in comunicazione visiva gli
uni con gli altri. I due blocchi sono collegati tra loro attraverso strutture a corde posizionate nello
spazio di attraversamento. Un lato del complesso è occupato da una serie di volumi disposti con un
profilo a scalare progressivamente arretrando verso l'alto, creando delle balconate e terrazze. È del
tutto evidente che l'intero progetto è incardinato sulla matrice circolare che assume il cerchio come
elemento modulare sia sul piano tipologico, che morfologico, come se fosse una grande e continua
variazione sul tema del cerchio. La sala del lavoro è condizionata da un pilastro esile cilindrico
rastremato verso il basso (tinteggiati di verde acqua), mentre in alto si apre trasformandosi in un
disco: non ci sono elementi di mediazioni, ma tutto è continuo, si trasforma da pilastro in solaio. Ogni
pilastro porta un pezzo circolare di solaio: quest'ultimo si compone pertanto di superfici circolari, che
lasciano degli spazi residui attrezzati come lucernari. La sala del lavoro è quindi una sala a tutta altezza
illuminata dall'alto con ballatoi che affacciano sullo spazio interno della stessa, proprio come nel
Larkin Building. Nella progettazione della torre del complesso della Johnson egli ridefinisce
completamente la tipologia dell'edificio alto: adotta un sistema, con nucleo centrale portante, in cui
si posizionano spazi per impianti, per le scale, per l'ascensore. Tutti i livelli sono a sbalzo perché sono,
in modo alterno, quadrati e circolari e tenuti da travi. Vi è poi un'unità superficiale esterna data
dall'adozione del curtain wall.
Casa Kaufmann (Fallingwater o La casa sulla cascata) di Frank Lloyd Wright (1935-1939)
È il manifesto di Wright, dell'architettura americana moderna e dell'organicismo (una corrente
architettonica vista come alternativa al linguaggio del razionalismo europeo). I Kaufmann erano una
famiglia di imprenditori di Pittsburg, che amava rifugiarsi nella natura selvaggia per distaccarsi dalla
frenesia e caos cittadino. Decisero così di incaricare Wright di progettare una villa esattamente nel
luogo in cui erano soliti andare: Mill Run, Pennsylvania. La committenza chiese espressamente la
collocazione della casa in prossimità del punto in cui il torrente compie un salto di quota, andando a
identificare una piccola cascata. Dal punto di vista tecnico, l'opera è realizzata con dei blocchi in
muratura incastrati nella roccia e tutti i livelli sono a sbalzo e poggiano su dei piloni inseriti nella
pietra: è un complesso sistema di piastre rettangolari in cemento armato di vario spessore: sottile
per le tettoie; maggiore per le terrazze; grande per i solai veri e propri. Le terrazze si dispongono
secondo le due dimensioni cartesiane, hanno dimensioni e forme differenti e slittano tutte le une
rispetto alle altre come se fosse una scultura neoplastica. Tutte le scelte perpetrate da Wright
rispondo alle richieste della committenza e non sono frutto di suoi capricci. Il blocco centrale
dell'edificio slitta verso l'alto e viene fasciato di blocchi di pietra autoctona. C'è una perfetta
integrazione degli elementi naturali con quelli artificiali, senza che quest'ultimi imitino la natura. C'è
una dialettica tra nuovi e antichi materiali: la roccia è penetrata dalle parti strutturali in cemento
armato, le quali, essendo ben visibili, sembrano aggrapparsi al materiale naturale. La costruzione ha
solo tre colori: quello della roccia, l'intonaco bianco del cemento, il bordeaux dei profili metallici degli
infissi. Da segnalare la presenza di gradini che consentono il collegamento tra una terrazza e una
piastra a diretto contatto con l’acqua. L’ingresso, stretto, è illuminato da capsule di vetro. L’interno è
un grande spazio diviso e presenta il contrasto incredibilmente suggestivo tra la pavimentazione in
roccia e la controsoffittatura iper-moderna. Al piano principale c’è il grande soggiorno aperto verso
sud e fiancheggiato da due terrazze; sul suo angolo ad est è l'ingresso al quale segue la scala che
porta ai piani superiori. La zona giorno occupa il lato nord dell'edificio; dal soggiorno con una scala si
scende al basamento dell'edificio, dove dall'acqua della cascata emergono sagomati sostegni di
cemento ed altri elementi portanti, formati da blocchi di pietra locale. I tre piani della casa si arretrano
gradualmente dal corpo roccioso centrale, il succedersi dei piani equivale ad un continuo incrociarsi
di un volume sull'altro. La logica compositiva si basa sul saldo rapporto con l'ambiente circostante:
l'asimmetricità dei corpi e lo slittamento dei volumi riflettono e al contempo esaltano l'organico
"disordine" proprio della natura del luogo. Tutti i mobili si fermano all’altezza del parapetto per poter
avere libera la parte alta dell’abitazione con grandi aperture che danno sul bosco. Le pareti interne
rivestite in pietra presentano una disposizione delle lastre di pietra secondo una composizione
astratto-geometrica. Il camino, fulcro della composizione, è semplice ed è ricavato dalla roccia stessa:
è sbozzato quel tanto che basta per accogliere un focolare. È un’opera che parla della e con la natura.
Il Museo Solomon Guggenheim di Frank Lloyd Wright (1959 – 1959)
È un museo d'arte al 1071 della Fifth Avenue di Manhattan a New York City. È la sede permanente di
una collezione in continua espansione di arte impressionista , post-impressionista , moderna e
contemporanea. Il progetto ha una lunga gestazione poiché inizia nel 1943 su iniziativa del ricco
collezionista d’arte all’avanguardia Solomon Robert Guggenheim. Dopo aver acquistato una grande
quantità di opere, la famiglia Guggenheim ebbe la necessità di avere un luogo dove esporle: la prima
sede della fondazione per l'esposizione d'arte, il "Museum of Non-Objective Painting", inaugurato nel
1939. Nel 1943, la famiglia Guggenheim scrisse una lettera a Frank Lloyd Wright chiedendogli di
progettare una struttura per ospitare ed esporre la collezione. Wright ha accettato l'opportunità di
sperimentare il suo stile organico in un contesto urbano. Gli ci sono voluti 15 anni, 700 schizzi e sei
serie di disegni esecutivi per creare il museo. È un edificio che scioccò considerevolmente la critica
architettonica dell’epoca: è un elemento di profonda rottura con il sistema urbano a griglia di
Manhattan poiché la pianta è prevalentemente circolare. È una pianta articolata in due blocchi (uno
più grande e uno più piccolo) con un percorso al centro. L’evidente andamento circolare è combinato
con una matrice triangolare. La galleria principale, che come tutti gli edifici collettivi di Wright ha un
aspetto introverso, assomiglia a un nastro bianco che si avvolge attorno a un cilindro più ampio in
cima che alla base. Il suo aspetto è in forte contrasto con i più caratteristici grattacieli di Manhattan
che lo circondano. All'interno, la galleria espositiva forma una dolce rampa a spirale che sale dal piano
terra fino alla cima dell'edificio e che affaccia sul vuoto interno. I dipinti sono esposti lungo i muri
della spirale e in alcune stanze che si trovano lungo il percorso. La rampa a spirale, a pianta circolare,
è divisa in due parti. Nella parte esterna del cerchio si trova lo spazio espositivo che viene sostenuto
da setti in cemento armato, posizionati lungo i raggi del cerchio ogni 30°. All'interno del cerchio
invece si trova il percorso di salita e discesa il quale è a sbalzo. I setti, di forma trapezoidale, si
restringono andando dall'alto verso il basso fino ad avvicinarsi alla sezione minima di resistenza,
lasciando poi il posto ad un tamburo circolare che corre lungo il perimetro esterno della spirale. In
copertura i setti vengono prolungati così da formare i costoloni della cupola che sovrasta il grande
spazio vuoto. La spirale capovolta somiglia molto ad uno Ziggurat rovesciato tant'è che lo stesso
Wright la denominò Taruggiz. Malgrado visivamente dia l'idea di una struttura ardita, l'edificio in
realtà ha un funzionamento abbastanza classico. La maggior parte di coloro che criticarono l'edificio
si concentrano sul fatto che questo oscurasse le opere esposte al suo interno e che è particolarmente
difficile appendere le opere lungo i muri né piatti né verticali della spirale, non sufficientemente
illuminata dalla grande vetrata centrale.

N.B.: la concezione di città di Wright, opposta a quella ad alta densità proposta da Le Corbusier, si
basa sul concetto di disseminazione e bassa densità: nuclei urbani in cui non c’è un centro, in linea
con la sua indole liberale. È una proposta anti-funzionalista poiché si pone in contrasto con l’idea di
Zonizzazione introdotta dalla Carta di Atene.
Storia dell’Architettura, Lezione No. 35
Alvar Aalto (1898 – 1976)
Hugo Alvar Henrik Aalto è stato un architetto, designer e accademico finlandese. Nelle sue
architetture ricorrono dei temi: tensione verso un’architettura organica*1 (a partire dai primi anni
’30); grande sensibilità e attenzione per la psicologia e per i comportamenti degli individui nella
fruizione delle architetture; considerazione della tradizione costruttiva locale (il prodotto di
un’intelligenza collettiva anonima che nel corso dei secoli si è andata a sedimentare configurandosi
come tradizione). Alvar Aalto si innesta sulla cultura locale e da giovane risente di quest’impostazione
architettonica storicistica, che in Finlandia si caricava di significato identitario e politico molto forte.
Sono tre le fasi che attraversa l’opera di Aalto, il cui lavoro si evolve proprio come la cultura
architettonica novecentesca.
Fase del Doricismo
Casa del Popolo a Jyväskylä di Alvar Aalto (1924 – 1925)
L’immagine è molto tradizionale e ricorda la cultura architettonica italiana del palazzo, ma
semplificato: vengono meno gli elementi decorativi futili per preferire un’essenzialità. La pianta è
molto semplice: è un volume parallelepipedo sul cui fronte ha una battuta di colonne doriche,
l’inserzione del balcone, una forte accentuazione del cornicione. All’interno di questo spazio, egli cala
un altro volume avente un’impostazione circolare: si tratta di una sala ipostila circolare, ricollegabile
alla Sala dell’Assemblea del Campidoglio di Chandigarh di Le Corbusier. Infatti, entrando nell’edificio
si ha incontro una convessità. È un omaggio all’opera di Alberti, il sacello Rucellai.
Casa per il fratello di Alvar Aalto (1925)
È una casa che richiama a tutti gli effetti le componenti dell’abitazione romana: fauces, vestibolo,
atrio. L’apparato decorativo è ripreso dai fregi classici, la pavimentazione è in pietra, la forma è
quadrata. Il tetto dell’atrio è sfondato e appone dei panni stesi: Italia classica monumentale e Italia
pittoresca dei vicoli si fondono. Questo è indice di come l’architettura italiana lo abbia influenzato.
Fase del Razionalismo
Il 1927 fu un anno di capitale importanza per Aalto, che lasciò scemare le proprie nostalgie classiciste
in favore di una brusca virata in senso razionalista. Fu proprio nel 1927, infatti, che la scena
architettonica non solo finlandese, ma anche europea attraversò un tumultuoso mutamento,
stimolato dalla realizzazione del Weissenhof a Stoccarda e da diversi altri eventi che concorsero alla
definitiva eclissi del Romanticismo nordico.
Edificio Turun Sanomat di Alvar Aalto (1928)
È un edificio situato a Turku , in Finlandia, ed è la sede di un quotidiano. Richiama i canoni del
Razionalismo perché c’è la completa assenza di elementi storicisti e di riferimenti alla cultura italiana.
C’è grande attenzione alla funzionalità e all’economia. Le finestre sono composte da nastri, intonaco
bianco, volumi puri, tetti piani. La scelta di aderire al Razionalista non dipende soltanto da una volontà
di cambiamento del linguaggio, ma c’è una grande consapevolezza nell’uso del cemento armato, nella
realizzazione di strutture chiare e nel pieno controllo del lessico e logica compositiva razionalista. C’è
l’idea di far coincidere la forma con la struttura, lavorando sulla caratterizzazione degli elementi
strutturali.
Sanatorio di Paimio di Alvar Aalto (1929 – 1933)
Il sanatorio è una struttura ospedaliera usata al tempo per curare i malati di tubercolosi e patologie
respiratorio: era per questo costruiti in campagna. L’opera è un capolavoro del Razionalismo ed è tra
le prime architetture razionaliste realizzate per uso collettivo. Il sanatorio proposto dall’architetto
Duiker, in Olanda, si basa sull’isolamento delle varie componenti (mensa, cucina, reception, stanze,
ecc.) e le orienta in base alle condizioni di migliore illuminazione e li collega attraverso dei corpi
secondari. La pianta dell’opera di Aalto si basa anch’essa un po’ sull’isolamento dei poli funzionali e
li orienta, da bravo razionalista e responsabile progettista, in rapporto alle migliori condizioni di
aerazione, illuminazione, irraggiamento. L’edificio viene realizzato in cemento armato e, per le ragioni
funzionali prima citate, vi sono blocchi con grandi superfici vetrate, altri che hanno aperture
rettangolari, altri ancora hanno un ritmo uniforme fatto di fasce orizzontali vetrate che si alternano
a pieni. C’è un forte accento dinamico per via della soluzione ad angolo. Benché ci sia assenza del
decorativismo, egli riesce a conferire all’edificio, pur trattandosi di un edificio ospedaliero, una forte
caratterizzazione. Per il solarium realizza una copertura curvilinea che entra in dialettica con la
geometria di volumi puri del razionalismo. Le terrazze sono a quote leggermente sbalzate le une
rispetto alle altre. C’è una grande attenzione alla psicologia dell’utente (in questo caso, un paziente)
perché Alvar Aalto si sforza di creare degli ambienti di vita che possano far trascorrere il periodo di
guarigione in modo più piacevole. L’esterno presenta l’intonaco bianco, tetti piani, vetrate, spigoli
arrotondati; all’interno introduce delle note di colore, studiate sulla psicologia (tinte pastello), e gli
elementi curvilinei: Aalto non vive il Razionalismo in maniera dogmatica, ma si apre a delle soluzioni
differenti. Anche le stesse stanze dei pazienti, con relativi mobili, vengono progettate da Aalto: letti,
armadi, sedie, lavandini (la cui forma è studiata per non creare inquinamento acustico durante l’uso).
La forma non risponde ad altro che alla funzione e alla preoccupazione delle istanze psicologiche. Di
notevole interesse è la Poltrona Paimio (1931) che egli realizzò per questo progetto: uno dei massimi
sperimentatori architettonici che rinuncia all’acciaio per preferire il legno: dimostra che la modernità
e la qualità non sono affatto garantite dall’adozione di un materiale avanzato, dipendono dai valori
spaziali, dalla logica compositiva, dalla relazione spazio interno e involucro. L’oggetto venne fin da
subito riconosciuto come qualcosa di iper-moderno perché la forma è qualcosa di mai visto e
rivoluzionario: una sedia progettata in funzione delle esigenze psico-fisiche dei pazienti.
Biblioteca Municipale a Viipuri di Alvar Aalto (1933 – 1935)
È un altro grande capolavoro di Aalto ed è il risultato di un concorso dal lungo iter: nella prima fase
del concorso, l’architetto propone un progetto imbevuto di storicismo e doricismo a causa della
presenza del grande portale, della parte basamentale in pietra, di un fregio. Segue una seconda fase
del concorso con relativa nuova proposta di Alvar Aalto, che segna il passaggio verso il razionalismo.
Vince il concorso. L’edificio è inserito all’interno di un contesto naturale e c’è un forte dialogo con la
natura. Si presenta come un edificio tipicamente razionalista: volumi puri, spigoli vivi, tetti piani,
facciate tese e bianche, grandi vetrate, leggibilità della struttura. È la piena applicazione del lessico
razionalista. La pianta presenta ambienti distinti con una disposizione su quote differenti: una sala di
lettura, uno spazio di distribuzione dei libri. L’interno è pulito, essenziale, con grandi vetrate, c’è
esibizione di oggetti di design contemporaneo, scale lasciate a vista, i profili metallici. La sala di lettura
è di grande interesse: la luce proviene dall’alto da 58 lucernari aventi una forma che prevede una
base circolare e, nel corso dello spessore del solaio, catturano la luce e la proiettano giù. Si resta
molto colpiti dal disegno di quella che sembra una controsoffittatura, ma che in realtà è un elemento
impiantistico-strutturale realizzato in funzione delle esigenze di illuminazione dell’utenza. La sala
delle conferenze è caratterizzata da una grande vetrata, con vista sul paesaggio, e da una copertura
lignea ondulata: è un disegno organico (di una controsoffittatura) che viene inserito all’interno di una
scatola razionalista. Le ragioni di tale scelta risiedono in due ragioni: studiare il modo in cui il suono
si propaga nell’ambiente senza l’uso di un microfono; concezione della sala in modo che il suono
possa andare da una direzione verso il pubblico, ma anche viceversa. La forma dello sgabello della
sala delle conferenze è determinata da questioni di leggerezza, economicità, spostabile e impilabile.
Fase del Naturalismo
Durante gli anni ’30 si rimette in discussione ed entra in gioco la sensibilità nei confronti della natura
e il peso importante che deve continuare ad avere la tradizione. Ciò avviene attraverso due progetti,
due padiglioni espositivi.
Padiglione Finlandese per l’Esposizione Universale di Parigi di Alvar Aalto (1937)
È un padiglione avente un blocco centrale raccordato a una serie di elementi più bassi che si
dispongono con un profilo che tende a scalare: si definisce una corte aperta. È una struttura di segno
razionalista e gli elementi razionalisti vengono relazionati tra di loro in modo da determinare una
struttura molto aperta e ariosa, anche in collegamento con l’esterno. Gli spigoli non sono vivi, ma
arrotondati: c’è una certa attenzione alla morbidezza. Si assiste all’introduzione del materiale
tradizionale finlandese: il legno, usato anche per alcuni passaggi strutturali, come pilastri, i quali
finiscono in dialettica con i tronchi d’albero. È il segno di una positiva inquietudine che lo porta a
sviluppare il Razionalismo in termini di ariosità e dialogo con la natura.
Padiglione Finlandese per l’Esposizione Universale di New York di Alvar Aalto (1939)
Fu un’esposizione proiettata verso il futuro e il progressismo. L’incarico di progettare il Padiglione
Finlandese fu affidato dal Governo ad Alvar Aalto. L’esterno del progetto si configura come una
scatola razionalista: pulizia, essenzialità di segno, rapporti equilibrati. Poi c’è una schermatura. È
l’interno a essere l’aspetto più inedito: la percezione è dinamica. Posiziona l’ingresso in uno spigolo
in modo da orientare l’andamento dell’edificio lungo la diagonale; interviene sulle pareti e le sagoma
in modo da rendere impercettibile il fatto di essere in una scatola: le articola secondo una linea
curvilinea irregolare e, optando per una divisione in fasce, crea degli aggetti progressivi partendo dal
basso. Su tali fasce, rivestite di profili lignei, inserisce grandi fotografie che raccontano allo spettatore
la Finlandia. Lo spazio interno è, dunque, completamente indipendente dall’involucro: lo fa nel segno
di un’infinita variabilità dello forme di matrice organica. La scelta di queste forme dipende dalla
volontà di Aalto di voler richiamare il profilo irregolare dei laghi della Finlandia. L’opera può essere
considerata il manifesto dell’architettura organica.
Villa Mairea di Alvar Aalto (1938 – 1939)
È un edificio residenziale unifamiliare situato a Noormarkku, in Finlandia, e realizzato e nel 1937
dall'architetto Alvar Aalto su commissione di Maire e Harry Gullichsen. È una villa immersa nel bosco.
Esternamente essa appare bianca, con tetti piani, ma c’è anche la presenza del legno: sono le due
anime del linguaggio della logica dell’architettura di Aalto. Villa Mairea consiste in due corpi di
fabbrica ad L di due piani che si intrecciano ortogonalmente, definendo due corti semiprivate.
Determinante è la forza con cui l'edificio interagisce con la natura circostante: la casa, infatti, non si
pone come un corpo estraneo definito in sé stesso, ma l'inserimento nel bosco risulta armonioso e
viene agevolato da una serie di escogitazioni tecniche ingegnose. Pregevole, in tal senso, è la scelta
dei materiali costruttivi fatta per sollecitare l'utente dal punto di vista psicologico: c’è una pluralità di
materiali, come la pietra, il legno, il laterizio, la maiolica, opportunamente trattati e distribuiti in modo
tale da differenziare dall'esterno la funzione delle diverse parti, nonché per simulare il calore e
l'intimità domestica. L'ingresso presenta un dislivello di quattro gradini ed è collocato a sud. Il
prospetto principale presenta una sinuosa e profonda pensilina che agisce da filtro tra interno ed
esterno. Come già accennato villa Mairea si articola su due piani, con il pianterreno adibito alla vita
sociale e il primo piano riservato per funzioni più strettamente privata: questa differenziazione,
compiuta secondo la funzionalità abitativa e anche sotto il profilo orientativo e planimetrico,
denuncia un chiaro distacco di Aalto dal Razionalismo, che tendeva all'unificazione. Una volta
oltrepassato l'ingresso si giunge nel soggiorno, il fulcro della casa: tale ambiente, oltre a permettere
l'accesso al piano superiore e ai vari ambienti collettivi, è impreziosito dal tipico caminetto finlandese,
collocato in una zona sopraelevata e relativamente isolata, e da una veranda diffusamente finestrata.
Proseguendo verso l'altra ala della casa si incontra un ambiente rettangolare molto semplice che
ospita la sala da pranzo. Sempre al pianterreno si trova la biblioteca, lo studio, la cucina, gli spazi
ausiliari per i domestici e gli ospiti e uno spazio più aperto. La sistemazione planimetrica della parte
settentrionale, dove c’è un portico che conduce alla sauna, realizzata sull'onda dell'entusiasmo per i
bagni di vapore finlandesi: tale struttura, separata rispetto al corpo edilizio principale, si affaccia su
una vasca dal perimetro frastagliato, come quello dei laghi montani, che agisce da immaginario
elemento di congiunzione tra il manufatto edilizio e il bosco retrostante. Tutti questi ambienti sono
interconnessi tra di loro in maniera fluida, energetica, secondo un unico spazio continuo e aperto che
stimola la socializzazione e genera la percezione di essere contemporaneamente all'interno e
all'esterno dell'edificio, richiamando le forme naturali. L’accesso al primo piano è consentito da una
scala nel soggiorno, la quale si pone come un vero e proprio elemento decorativo dalle connotazioni
naturalistiche. Al piano superiore gli spazi risultano parcellizzati e sono serviti da un unico percorso
di corridoi. Il rapporto con l’esterno è esaltato da grandi terrazze ombreggiate da vegetazione
rampicante. Gli ambienti collocati in questo piano hanno un livello di privacy maggiore: la stanza dei
giochi dei bambini, altre stanze da letto dedicate agli ospiti e munite di bow windows
opportunamente orientate in modo da catturare da est e da ovest i raggi solari. La copertura è piana
nel fabbricato principale, mentre il piccolo edificio isolato della sauna è ricoperto di zolle erbose. La
struttura portante di villa Mairea si compone di pilastrini di acciaio o di legno: tale scelta progettuale
ha consentito ad Aalto di liberarsi dalla simmetria bloccata dell'architettura del passato e di
manipolare in totale libertà la collocazione delle pareti interne e delle finestre sulla facciata,
provvedendo dunque a una maggiore aeroilluminazione del complesso edilizio. I ritti e i traversi sono
disposti secondo una maglia il cui modulo subisce continue anomalie, raddoppiando o triplicando i
sostegni: queste varianti, apparentemente irrazionali e arbitrarie, si configurano come tentativi di
evitare il ritmo architettonico artificiale nell'edificio incompatibile con le dinamiche naturali. Per il
medesimo motivo Aalto ingentilisce le linee rette del fabbricato inserendovi elementi curvi di
modeste dimensioni, in modo tale da renderli meno tesi e aumentando la sensazione di fluidità e
continuità. L'edificio beneficia di un calibratissimo dosaggio tra luce naturale ed artificiale che genera
positivi risvolti emotivi nella psiche del fruitore.
La casa sperimentale di Alvar Aalto (1953)
È la casa che fa per sé stesso nella località di Muuratsalo. Ha una forma molto semplice: la pianta è
una L disposta intorno a uno spazio, ovvero una corte a cielo aperto. Al centro di questo cortile
quadrato c’è una piastra quadrata, una sorta di piccola fossa richiamante l’impluvio della casa
romana: in questo caso si tratta di un focolare, il vero centro della casa. La corte non è aperta, ma
recintata da un muro parzialmente interrotto da feritoie. È proprio intorno al cortile che si vanno a
disporre i vari ambienti: soggiorno, sala da pranzo, cucina, camere e servizi. Essi sono pensati come
dei corpi che si abbassano man mano che ci si allontana dal centro. La particolarità per cui la casa
viene ricordata è l’uso del mattone: vengono utilizzati tutti i tipi e formati di mattoni possibili,
andando a creare una texture irregolare. Viene definita ‘casa sperimentale’ proprio perché c’è
l’intenzione di verificare la tenuta nel tempo delle varie tipologie di laterizi: pone l’architettura alla
verifica del tempo che passa. Si creano, dunque, delle facciate frutto del montaggio di blocchi di
dimensioni differenti, unificati solo dal fatto di essere mattoni.
Dormitori del MIT di Alvar Aalto (1947)
Nel 1946 ottenne l'incarico di realizzare l'edificio ospitante i dormitori della Baker House, la nuova
casa dello studente per gli allievi iscritti all'ultimo anno accademico. Una struttura che doveva
ospitare 318 studenti divisi in camere singole, doppie, triple e quadruple. La costruzione era da
erigersi all'interno di in un lotto lungo e stretto contiguo al fiume Charles e all'intensissima viabilità
di Memorial Drive, asse stradale di quattro corsie dal notevole impatto visivo e sonoro. Per i dormitori
del MIT dà vita a una stecca edilizia che si sviluppa sul terreno con un andamento sinusoidale.
Ciascuna stanza, infatti, è dotata di un gradevole affaccio sulla sponda del fiume Charles. La facciata,
con il suo corso flessuoso che sembra rinviare al profilo del fiume Charles, spoglia l'organismo edilizio
di qualsiasi accento di istituzionalità e spezza non solo la monotonia degli altri edifici universitari
neoclassici, ma anche la razionale aridità del Razionalismo. Per massimizzare l'illuminazione Aalto ha
spostato la mensa e la caffetteria a una piccola ala appartata dalla forma squadrata contigua
all'ingresso, affacciata sul fiume e illuminata da una griglia di lucernari cilindrici aperti sulla copertura,
sul tipo di quelli già usati presso la biblioteca di Viipuri. Molto interessante anche la soluzione delle
scale che partono dall'atrio: in due rampe divergenti e aggettanti che salgono lungo la facciata
posteriore dell'edificio creando un corridoio ascendente che amplia gli spazi comuni: il rivestimento
originario in piastrelle delle scale, è stato sacrificato per ragioni economiche con una rifinitura a
intonaco. Sempre per motivi finanziari si è rinunciato alla realizzazione del rivestimento arbustivo
della facciata meridionale dell'ala principale, la doveva essere adornata da edera rampicante.
Quest'edificio, dalla facciata in mattoni, chiude la zona industriale sul retro e riesce a offrire agli
studenti un rifugio abitativo dove ripararsi dalle insidie dell'area circostante.
Municipio di Säynätsalo di Alvar Aalto (1948 – 1952)
Si tratta di un complesso polifunzionale che, oltre agli uffici comunali, doveva ospitare alcuni negozi
al livello stradale, una biblioteca ed appartamenti. Aalto ricevette l’incarico dopo un concorso.
L'architetto prese ispirazione dagli edifici storici italiani, perché si deduce dalla pianta che si sviluppa
attorno alla corte interna soprelevata (realizzata con il terreno di scarto delle fondazioni) rispetto al
fondo stradale: il dislivello è mitigato dall’inserimento di scale. Il volume più monumentale della sala
del consiglio comunale sottolinea ancora di più il riferimento all’architettura italiana. Il soffitto è in
legno di abete rosso. È una corte che vive un doppio livello di isolamento e raccoglimento: primo,
perché è la corte, secondo, perché è sopraelevata. La scala sembra una colata lavica che si apre verso
la città. È un’architettura che ha una varietà nell’altezza dei vari blocchi giustapposti, delle aperture
(a nastro, a feritoia, quadrate, ecc.), delle sagome degli edifici. Vi è anche una rampa. L'edificio è
interamente ricoperto da mattoni sia all'esterno che all'interno, materiale economico e che si rifà alla
tradizione costruttiva medievale tanto ammirata da Alvar Aalto. La struttura è in cemento armato.
Edificio residenziale al quartiere Hansa di Alvar Aalto (1955 – 1957)
Studiare bene dal libro.

*1N.B.: dagli anni ’20 agli anni ’60, il Movimento Moderno si divide in due tendenze: Razionalismo, i
cui maggiori esponenti sono stati Le Corbusier, Mies Van Der Rohe, Oud e Gropius; Organicismo, i cui
protagonisti sono stati Wright e Aalto.

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