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Che cos'è la storia dell'architettura? che sottintende una domanda più ancora più ampia che è quella di: Che cos'è la storia?
la storia è la ricostruzione di una serie di eventi che tratta dall'origine del mondo fino ad oggi, eventi che possono raccontarci dei fatti
che sono avvenuti.
Alcuni sono quelli della Preistoria, relativi a un periodo che precede la comparsa dell'uomo, altri invece sono legati ai fatti che l’uomo ha
compiuto. E chiaramente più ci avviciniamo noi, più sono dense, sono tante le testimonianze e i documenti che possono aiutarci a
ricostruire questi eventi, e più ci allontaniamo da noi e più questi documenti sono scarsi.
Paradossalmente l’abbondanza di documenti non vi deve far pensare che sia più facile ricostruire la storia.
In realtà la sovrabbondanza dei documenti a volte genera un problema di scelta di questi. E, l'altra questione più generale, che non
riguarda solo la lettura, è stabilire una scala di importanza dei documenti che si hanno. Occorre accertarsi delle fonti che si hanno e
verificarne l’attendibilità.
Partendo dai dati certi, verificabili e assicurati, si possono ricostruire le vicende in maniere differenti a seconda dei dati che sono emersi,
altrimenti la storia sarebbe una specie di lunghissimo percorso temporale. La storia è quindi soggetta a profondi i condizionamenti dovuti
all’epoca e all'ambito culturale in cui la stessa storia è prodotta.
È quindi possibile pensare a una storia universale, intangibile, inscalfibile che sia sempre quella in ogni epoca, oppure pensare di
scrivere anche la storia delle epoche passate: questo sempre garantendo però tutti quegli elementi che fanno della storia una disciplina
sostanzialmente scientifica, ovvero l’uso corretto delle fonti e dei dati. La storia dell'architettura si colloca all'interno di questa storia ed è
quindi soggetta alle stesse alle stesse modalità.
I primi storici dell’architettura sono gli architetti. Le prime testimonianze sull'architettura sono delle cronache che si devono a Vitruvio, il
quale scrive una serie di descrizioni di quella che ha i suoi tempi era la pratica dell'architettura, e con lui evidentemente aveva una certa
confidenza. Quello di Vitruvio è un testo scritto solo da lui.
Che cos'è nel momento contemporaneo a lui? Qual è la pratica dell'architettura? Quali sono le tipologie? Quali sono gli edifici a cui
l'architettura fa riferimento?
Già parliamo di una epoca molto lontana ma che già in qualche modo si ispirava a qualcosa di antecedente, cioè la contemporaneità era
comunque legata alle reti del passato anche all'epoca esistevano. Di Vitruvio rimane quindi un testo scritto è solo durante l’epoca
moderna, cioè dopo la scoperta dell'America, in pieno Rinascimento nel 1521 che viene pubblicato e illustrato da Cesare Cesariano
- immagine dell'uomo misuratore delle cose: la quadratura del cerchio quindi fa capire come in un'epoca molto successiva alla
sua scrittura. 1500 anni dopo sostanzialmente questo testo di Vitruvio viene illustrato in un momento culturale in cui l'idea della
dell'azione umana dell'uomo è considerata come un elemento attorno al quale si cristallizza tutto il sistema delle Arti e
dell'architettura. Tanto che quest’immagine diventa simbolica di questa di questa condizione. Di fatto non è propriamente un
libro di storia, ma siccome già all'epoca c'è un legame molto stretto tra la storia e il progetto questo trattato sostanzialmente
serve sì per progettare, ma di fatto anche per descrivere l'architettura del passato. Quindi il progetto avviene mutuando gli
esempi da quelle che in Vitruvio solo delle descrizioni e che nell'edizione Cesariano sono sostanziate da delle illustrazioni.
Questo lascia intendere il rapporto molto stretto che esisteva già allora tra storia e
progetto. In questo periodo accade una cosa molto strana, che non troviamo praticamente
scritta in nessun trattato e nemmeno in quelli successivi, cioè che, in tutta la trattatistica
rinascimentale troverete sempre l'idea che l'architettura nuova non sia nient'altro che il
tentativo di ritornare all'architettura romana, all’architettura antica. Tentativo di leggere
attraverso, interpretare Vitruvio che non aveva lasciato dei disegni appunto. Cesare
Cesariano che li che li illustra, vuole reinterpretare Vitruvio per arrivare a quella che poteva
essere l'architettura descritta al meglio. Ma in realtà gli architetti nel fare questo sapevano
benissimo di avere un'ampia capacità e possibilità di invenzione sulle descrizioni di Vitruvio,
ne erano assolutamente consapevoli. Quindi si assiste:
- da una parte, a una compagine più erudita che cerca di ricostruire Vitruvio non pensando alla legittimità di una libera
interpretazione,
- dall'altra parte invece una pratica più di invenzione che si si basa su Vitruvio, ma è chiaramente, lucidamente consapevole che
il margine su cui ogni architetto poteva lavorare individualmente era molto alto.
Da una parte gli eruditi, dell'altra gli architetti che pur praticando la propria esperienza nella tradizione inventano.
Questi precetti furono poi interpretati più o meno liberamente degli architetti. I trattati sono una sorta di sforzo per arrivare alla storia
dell’architettura, condizione che curiosamente in Italia permarrà fino ai giorni nostri, perché a questo punto facciamo un salto in avanti
molto ardito e grazie al quale ci si avvicina sempre di più alla contemporaneità.
Quando si inizia a definirsi in una maniera molto precisa la disciplina della storia dell'architettura?
Essa si definisce con la pubblicazione dei libri di storia dell'architettura da parte degli storici dell'architettura.
In quasi tutti i paesi europei avviene questo fenomeno (cioè una serie di studiosi che arrivano dall'ambito umanistico e che non hanno
una formazione di architetto si occupano insieme all'arte anche della storia dell'architettura).
Mentre invece, in Italia, rimane radicatissima una tradizione che ha origini molto antiche, per cui gli storici di architettura hanno spesso
una formazione da architetto, cioè sono architetti che a un certo punto si sono dedicati alla architettura.
Con una formazione di architetto si ha la possibilità e la capacità di leggere alcuni elementi tipici del fenomeno architettonico e legati alla
cultura del progetto, cosa che magari uno storico dell'arte fa più fatica a leggere; poi ci sono gli storici dell'arte che hanno una
formazione così attenta. Tra questi Gustavo Giovannoni (che in verità fu ingegnere), ma possiamo ammetterlo in questa categoria. Ci
sono anche Bruno Zevi, Manfredo Tafuri tutti storici dell'architettura non architetti di fatto però hanno una formazione dell’architetto.
Adolfo Venturi e Lionello Venturi che nella loro attività hanno scritto anche dei volumi di storia
dell'architettura, in realtà possiedono una formazione da storici dell'arte. Ma una delle tipicità
italiane è proprio quella di una storia dell'architettura pensata, redatta da degli architetti.
Chiaramente questo ci fa anche capire come quel legame molto stretto tra erudizione sulla
storia e la propedeutica al progetto sia sempre latente nella produzione di storici dell'arte
italiani, anche quando esplicitamente non prendono una posizione sulle vie che il progetto deve
percorrere (come ad esempio faceva, in maniera quasi didascalica Zevi,) ma apparentemente
sembrano molto più distanti dalla come per esempio come Manfredo Tafuri. Di fatto nel loro
sguardo c'è sempre una sorta di attenzione alla ricaduta anche progettuale che quel tipo di
storia può avere anche quando è negata come nel caso di Tafuri.
(Pagine in carta pesante) I disegni erano preziosissimi. Noi oggi viviamo in una epoca di
sovrabbondanza di immagini se ci incuriosisce un architetto, un'immagine di un quadro, di
un film basta andare su Google e troviamo subito le immagini di quello che ci interessa.
Anche nella seconda metà del Novecento: c'erano però le biblioteche, le riviste. Nel 1400 e
nel 1500 le immagini non erano così abbondanti, i quadri, le raffigurazioni pittoriche, erano
preziose, le si poteva vedere solo negli edifici religiosi. I libri erano posseduti da pochissime
persone, quindi le immagini, le descrizioni dell'architettura erano estremamente rare.
Proprio per questo motivo i trattati erano molto preziosi ma anche molto costosi, non era
facile riprodurre a stampa una serie di copie con degli scalari di produzione. Con la
diffusione dei libri in generale, ma in particolare dei libri che avessero
anche delle immagini, quindi l'immagine e ancor più l'immagine
dell'architettura è rara preziosa. Gli esempi del passato sono descritti
da Vitruvio (visibili chiaramente gli ordini, le trabeazioni) e poi anche la
descrizione e il rilievo di monumenti le cui vestigia erano ancora
presenti.
Sugli edifici del passato, sulla descrizione delle domus romane eccetera mette a punto una
tipologia di progetto per nuove case, soprattutto delle corti rurali. Come visibile in questo
caso, è attraverso una tipologia ricorrente, composta da parti differenti (il nucleo centrale,
le ali, le barchesse, eccetera) che mette a punto una sorta di meccanismo progettuale cioè
una specie di abbecedario delle tipologie e degli e delle parti tipologiche che si possono
aggregare per costituire un nuovo edificio. Questo passaggio, in maniera più sensibile degli
altri, rende molto stretto il rapporto tra erudizione sulle fonti antiche e nuovo. L’antico apre
infatti una tassonomia progettuale utilizzabile per realizzare dei nuovi edifici. Egli scrive
infatti non solo di palazzi, ma passa in rassegna anche gli ordini architettonici (in questo
caso visibile l'ordine corinzio in cui va a evidenziare in maniera dettagliata le parti del
capitello che riprendono appunto le foglie di acanto).
Questione terminologica
Moderno: spessissimo lo usiamo per riferirci a qualcosa che è attuale.
In verità però questo termine ha sempre avuto questo significato di ‘cosa nuova’, motivo per cui anche nel 400 gli architetti si definivano
moderni e chiamavano la loro architettura moderna, Palladio si definiva moderno la sua architettura era moderna, e nell'ottocento Boito
si definiva moderno come definiva la sua architettura moderna.
Negli anni trenta gli architetti d'avanguardia si definivano moderni, la loro cultura si è cristallizzata nella storia dell’architettura e così
questo aggettivo assume come significato lo scarto espressivo che si registra tra gli anni Venti e gli anni trenta, che muta l'aspetto
dell’architettura. Così quando parliamo di architettura moderna ci riferiamo a quella architettura che tra gli anni Venti e trenta utilizza un
linguaggio nuovo e in qualche modo rivoluzionario. È un cambiamento molto evidente rispetto a quello che era accaduto nei 2000 anni
precedenti, è un cambiamento evidente degli elementi espressivi che costituiscono l'architettura.
Ciò non cambia che ‘moderno’ rimane un termine molto ambiguo. Occorre sempre specificare nel proprio discorso l’accezione che si
intende dargli.
Nella periodizzazione storica (non della storia dell'architettura) l'epoca moderna è quella che va dalla scoperta dell'America (1492) alla
rivoluzione francese (1789) e questo ci permette di capire come parlare di architettura e capiamo che stiamo parlando dell'utilizzo di un
termine che si utilizzava da parte degli architetti già dal 1492, già dall’inizio del Rinascimento e che perdura tutt'ora oggi. Oggi il termine
‘moderno’ si sostituisce con il termine ‘contemporaneo’ che vuol dire attuale.
Se si fa riferimento invece alla sezione storica precisa all'interno della storia dell'architettura in cui si utilizza il termine ‘moderno’ ci si
riferisce appunto gli anni 20-30 del 1900.
(Il periodo precedente alla scoperta dell’America è il Medioevo: che va appunto dalla fine dell'Impero Romano d'Occidente fino alla
scoperta l'America. Prima abbiamo l'età Antica quindi dall'invenzione della scrittura (3000 a. C.) fino alla fine dell'Impero Romano
d'Occidente. Prima c'è la preistoria. L'età contemporanea quello con cui noi viviamo: è quello che inizia sostanzialmente con la
rivoluzione francese (1789) e arriva fino a noi).
Quando noi parliamo della cultura dei nostri giorni stiamo parlando di architettura contemporanea, ma architettura contemporanea è
anche l'architettura degli anni, ma poi capiremo perché sussiste questa identificazione dell'architettura moderna con l'architettura degli
anni 20
Quando parliamo di architettura moderna spesso ci riferiamo alla scrittura degli anni Venti e trenta l'architettura di Le Corbusier, di
Gropius… Per quale motivo? Perché, proprio come facevano gli architetti rinascimentali, si sentivano moderni nel 1932.
In questo periodo tre storici dell'arte si occupano di architettura: Henry Russell Hitchcock, Philip Johnson (che diventerà architetto solo
dopo) e Alfred barr. Essi sono i curatori di un museo americano nel quale decidono di fare una mostra che documenti uno stato più
avanzato delle ricerche di architettura, e che documenti gli esiti espressivi di queste ricerche sull’architettura.
L’architettura è la disciplina avanguardista la più avanzata in quel momento e si sviluppa trasversalmente in varie parti del mondo
occidentale: dagli Stati Uniti all'Europa. Così come Palladio come Vasari ai loro tempi, la chiamano moderna perché è relativa all’oggi e
attuale (utilizzano l’accezione comune degli architetti, degli artisti per cui moderno è qualche cosa di coetaneo, di cronologicamente
legato al concetto di novità, cronologicamente coincidente con l’oggi).
L'architettura degli anni Venti e Trenta è quella che documentano questi architetti ‘moderni’ nel loro libro, che in realtà è il catalogo di
una mostra che si terrà al Moma a New York (il Moma nel 1932 è molto diverso dal Moma di oggi). La mostra sarà documentata con
questo catalogo e per primo legittima l'architettura degli anni Venti e trenta d'avanguardia come architettura moderna.
- Modern Architecture: è il titolo della mostra.
- International exhibition: è il titolo del catalogo che i due architetti pubblicano parallelamente anche ad un libro molto più
divulgativo che si chiama International Style cioè lo stile internazionale col quale, soprattutto in ambito anglofono, viene
identificata l'architettura d'avanguardia degli anni Venti e trenta.
Due definizioni di linguaggio: architettura moderna e International Style
Alla mostra tenutasi al Museum of Modern Art di New York nel 1932 si cristallizza una genealogia dell'architettura moderna in quella
accezione che perdurerà e perdura ancora oggi. E sarà l'elemento su cui si attesteranno, a partire dalla seconda metà degli anni trenta,
tutte le prime storie dell'architettura Tali storie, che a differenza dei trattati non hanno una vocazione di ricaduta progettuale esplicita,
sono fortemente mirate a illustrare una visione dell'architettura che tende verso un risultato condiviso, espressivo degli architetti
dell’epoca.
Gropius, Le Corbusier, Mies van der Rohe: si capisce come la modernità spazi dall’Europa all’America. Wright è messo quasi come una
foglia di fico per evitare le accuse più aperte di legittimare una tendenza che arriva dall'Europa agli Stati Uniti. Gli Stati Uniti uscivano dal
monopolio che tenevano dai tempi dalla scoperta dell'America, ed entravano in un rapporto di stretta sudditanza al gusto all'arte alla
letteratura europea.
L’immagine mostra un appartamento sulla quinta strada, che, una serie di facoltosi
americani, aveva dotato di un corredo di danaro, per fondare un nuovo museo che
doveva essere legato alla modernità.
Museum of Modern Art la cui funzione è quella di promuovere le tendenze
avanguardiste sia nel campo delle Arti sia nel campo dell'architettura. L’idea
avanguardista parte dal luogo in cui venivano organizzate queste mostre, un
grande appartamento. Motivo per cui l’idea del Moma del tempo era molto
distante dal Moma di oggi. Nel 1932 grazie a questo lo schema esibitivo (foto a
destra) prende corpo la mostra che cristallizza l’idea di Modern Architecture,
architettura moderna, e International Style, ora non solo nella cultura americana,
ma nella cultura architettonica che tutt'oggi nell'uso disinvolto di questi termini
mostra la sua la sua persistenza, la sua capacità di aver individuato in una maniera
rettorica molto fortunata in una determinata modalità espressiva della architettura.
Nicolaus Pevsner che è uno storico dell'arte tedesco inventa un altro termine che sarà
fortunatissimo: Modern movement. Questo libro ‘Pioneers of the Modern movement
from William Morris to Walter gropius’ parla di un movimento, che non è più solo uno
stile (International Style), ma è un movimento.
Questi architetti non solo parlano lo stesso linguaggio, ma parlano lo stesso linguaggio
perché sono mossi da intenti simili, intenti tali da costituire la legittimità di un
movimento. Questo movimento avrà un così una forte caratterizzazione etico-morale
della nuova architettura tanto da perdere quello della nuova scrittura, che non è solo
una discriminante espressiva ma espressiva di un'adesione al movimento.
Così, a una condizione morale etica moderna giusta, la democrazia questo non lo dice
in maniera esplicita ma lo lascia trasparire, la società civile laddove deve orientarsi
progressista deve scegliere quel determinato linguaggio.
Tornando alla copertina di questo libro: (come nel caso di Modern Architecture ed
International exhibition) ci dice molto di più di quello che è. È una copertina meno
circostanziata. Due questioni su cui prestare attenzione:
- Primo: l'autore è un autore tedesco Nikolaus Pevsner, uno storico dell'arte
tedesco, ma il libro è pubblicato da una casa editrice londinese che si
chiama Faber and Faber nel 1936 a Londra.
- Secondo: sulla copertina campeggiano due immagini che sono in alto a
sinistra William Morris e in basso a destra Walter gropius, quindi si evince
come nel definire un architetto un uomo di cultura, un forte rinnovatore dei
costumi della società si serva di queste due figure: William Morris quindi un
inglese e Walter Gropius un tedesco.
Per capire meglio si possono citare gli esempi sia di Le Corbusier, sia di Morris.
Essi sono degli architetti degli architetti mossi da una loro scelta espressiva che tentano in tutti i modi di realizzare, non ponendosi
minimamente il problema di asservire un regime totalitario. Soprattutto Le Corbusier stenta fino all'ultimo di "far digerire ai nazisti
l'avanguardia del suo linguaggio”. La cultura tedesca a differenza di quella italiana è profondamente reazionaria e totalmente
antimodernista, e quindi nega qualsiasi possibilità a questo linguaggio.
Questo spinge Le Corbusier ad emigrare, e tenta in tutti i modi di legarsi sia al regime fascista sia al potere della committenza di Stalin,
per realizzare i suoi progetti.
L’altro esempio è Morris. Pevsner cercava di radicare questa evoluzione nel lavoro dell’architetto, anzi dell’uomo di cultura. Sceglie la
figura di Gropius ed ancor prima quella di William Morris, il che è curioso perché anche Morris aveva era vicino agli intenti riformisti dei
socialisti che avevano un’identità politica molto precisa quindi in questo senso funzionava benissimo nella genealogia che il paese aveva
individuato, ma è curioso perché nel momento in cui stava esplodendo la produzione industriale. Morris totalmente rifuggiva dall'idea
della produzione industriale ed idealizzava le tecniche produttive e il laboratorio artigianale del Medioevo come un antidoto all’incultura
della produzione industriale che invece era uno dei cardini del movimento moderno. Era quindi curioso perché contraddittorio: per dare
una consistenza politica e morale all'origine movimento moderno, Pevsner sceglieva una personalità come quella di Morris che, per
quanto politicamente impegnato e progressista, aveva delle idee assolutamente reazionarie sull'utilizzo della tecnica della tecnologia
della produzione industriale.
I libri (→): in questa edizione originale vediamo che tutto una parte di legittimazione storica, le conquiste degli ingegneri che portano alla
nascita di un nuovo linguaggio, la scuola di Chicago, e l’arts and Crafts che verteva sulla produzione di oggetti e arredi. L’arts and Crafts
fu creata da Morris con l’intento di ritornare idealmente ai sistemi di produzione e all'immaginario medievale, per contrapporli alla perdita
di qualità della ricerca, di produzione ed estetica che la produzione industriale dei primi del 900 aveva portato con l’uso della macchina.
Poi mostra Macintosh, Perret e Wright. In
questo libro del ’36, mostra tutte le tappe
della storia dell’architettura come se questi
progetti fossero rimasti inscalfibili nella
genealogia. Anche Zevi, Benevolo e Tafuri
riprendono queste stesse categorie, questi
stessi edifici. Forse occorrerebbe oggi
scrivere una storia dell’architettura che sia
trasversale a tutte queste categorie.
È tuttavia curioso come nel libro di Behrendt, nonostante ci sia questo dualismo a cui
tendere, e vi siano delle radici che esplicitamente rimandano all’architettura barocca, è
scansito dalle stesse tappe che ritroviamo nel libro di Pevsner.
Infine vi è il libro di Siegfried Giedion, Time and Architecture: the growth of a new
tradition, 1941. Egli è uno storico dell’arte tedesco che si rifugia negli stati uniti dove
pubblica il suo libro e porta a compimento ulteriore quello che era già reso evidente dai
libri che avevano preceduto.
Giedion arricchisce la sua visione anche di in un rapporto molto stretto con le arti
visive, con l'idea di una forte influenza del cubismo, che arricchiva la visione dinamica
dell'architettura di una nuova dimensione ovvero quella del tempo. Questa dimensione
permetteva di muoversi attraverso l'architettura e quindi di coglierla in un suo dato
essenziale che la emancipava dalle altre arti. Questo ampliava la riflessione anche
sulla categoria di spazio, la quale diventerà poi la protagonista della del progetto
storiografico di Bruno Zevi, ma dà anche una connotazione morale sempre più
esplicita, etica a quello che Pevsner aveva già avanzato nel suo volume, ovvero al
discrimine tra modernità = linguaggio = Modern Architecture = International Style =
ordinamento politico democratico /e classicità = monumentalità = ricaduta reazionaria.
L'altro elemento importante di questo libro (come dice il sottotitolo: le radici di una
nuova tradizione) è il fatto di rendere la genealogia radicata nel passato (che era già
presente seppure minimamente in Pevsner ed era già evidente in Behrendt) ancora più
evidente. Questa evidenza è data partendo proprio dalla architettura barocca, da dei
rapporti che nuovamente mettono in luce, danno validità a tutte quelle componenti
dinamiche appunto dell'architettura.
Foto: dell'edificio di Perret e la Tour Eiffel che abbiamo visto comparire in tutti questi
itinerari. Forte rapporto con il cubismo.
Questa modalità di oscillazione tra una significanza diciamo politica e morale ed epocale, di modalità espressive molto diverse è colta in
un articolo pubblicato su Domus nel ‘44 di Bruno Munari.
Siamo nel 1944, non è ancora uscito il libro di Zevi verso un'architettura organica, ma è evidente come la mente sofisticata di Zevi abbia
potuto cogliere questi aspetti.
Questo ci fa capire come nella tradizione dei seminal book della storia dell'architettura contemporanea,
a) gli elementi espressivi assumessero delle connotazioni etiche (questo forse Munari in parte lo condivide anche ma)
b) si rende conto di come ci fosse questa vulgata di contrapporre volutamente degli elementi che avevano delle caratteristiche
linguistiche differenti. Quindi nella contemporaneità nell'epoca moderna ci doveva essere sempre un’oscillazione tra questi due pulsioni:
una più legata ad un immaginario cartesiano geometrico rigido e l'altra invece legata a una libertà una fluidità.
L'articolo si chiama ‘come sarà il nuovo stile? ragione fantasia si alternano al timone dell'ispirazione’ che metti luce proprio questo
dialogo. Qui si arriva in maniera lineare fino a Roma e poi invece vedete che abbiamo lo stile Moresco, che più fluido poi lo stile
romanico, più geometrico poi il gotico, più fluido poi rinascimento, più geometrico poi il Barocco, trionfo della fluidità, poi il neoclassico
dove ritornano le forme rigide, poi floreale e poi razionale, razionalista e inserisce delle forme legate alle uova, gli aerei che secondo lui
diventeranno lo stile di domani.
Questo fa capire come l'artificio retorico narrativo di queste storie congenia gli elementi in una maniera tale da dare alla lettura dei
cambiamenti dell'architettura, un fine e una ricaduta che conferisce a questa architettura anche un significato etico e morale.
La lezione di oggi verte sul progetto storiografico. L'altra volta ci siamo fermati sui precedenti personaggi che costituiscono la tradizione
non solo della storia dell'architettura contemporanea, che in realtà si è autodefinito sempre storia dell’architettura moderna. Abbiamo
visto come di fatto la trattatistica che si sviluppa a partire dalla fine del Quattrocento sostanzialmente costituisca una specie di
preambolo a quella che sarà proprio la poi la storiografia successiva; la storia dell’architettura vera e propria fino ad arrivare
all'architettura contemporanea.
Essa viene definita dai suoi protagonisti
- la mostra e il catalogo il libro pubblicato da Russell Hitchcock nel 1932,
- la mostra di Russell Hitchcock nel 1932
- il libro di Pevsner del 1936 (Pioneers of the Modern movement from William Morris to Walter gropius)
- il libro di Walter Gropius,
- ed infine il testo di Giedion (Space time and Architecture) pubblicato negli Stati Uniti nel 1941
costituiscono una precisa genealogia dell’architettura contemporanea. A partire di fatto dal primo decennio degli anni 30 fino al 1941, la
mostra vede la sua circolazione in ambito internazionale e così i libri sono tutti scritti in lingua inglese. In questo modo chiaramente sono
conosciuti anche dalla critica italiana vengono recensiti sulle riviste dell'epoca. Esse non hanno una diffusione capillare in Italia e
soprattutto non hanno una diffusione nell'ambito disciplinare delle Scienze della Formazione di architetti.
La prima storia dell'architettura italiana è pubblicata da Bruno Zevi al 1950 nel suo libro egli riprende la genealogia (di cui abbiamo già
parlato) ed imposta il suo lavoro su una ricerca morale e storica che cerca le radici dell'architettura contemporanea nel passato.
Pevsner le aveva trovate nel lavoro di William Morris.
Zevi va molto più indietro nel passato e nella continuità della narrazione nel suo libro inserisce delle sincopi, più o meno evidenti a
seconda del differente periodo storico: una ricorrenza, un’alternanza di elementi propri dell'architettura che aveva molto messo in luce
quel bizzarro diagramma di Bruno Munari.
La foto risale al 1951, quindi a 6 anni dalla fine della guerra: vi sono Frank Lloyd Wright ed
altri architetti famosi. Siamo in Italia, a Venezia precisamente sullo sfondo è presente la
facciata di Palazzo Ducale. È presente anche un prete. Al centro c’è Frank Lloyd Wright,
affiancato da Bruno Zevi, giovanissimo stranamente con la cravatta e non con il papillon
che contraddistinguerà la sua immagine negli anni successivi. La persona di fianco lui è
Giuseppe Samonà, architetto che in quel momento è il direttore della dell'Istituto
Universitario di architettura di Venezia, lo Iuav, dove Zevi insegnerà. Vi è poi Oscar
Stonarov, architetto americano che nel 1951 aveva allestito una mostra di Wright, in Italia,
ed è il motivo per cui Wright si trova ancora qui questa data. La signora in primo piano è
Vanna Wright, seconda moglie di Frank.
Questa foto rappresenta il compimento di questo prodotto storico, che ha delle tappe
differenti.
Wright sarà il protagonista di questo progetto storico. In verità Wright incontra Zevi molto tempo prima perché Wright è un architetto
noto a livello internazionale. Ad esempio una rivista italiana che si chiama ‘architettura ed arti decorative’ già negli anni 20 pubblica
articoli sull’architettura di Wright. La sua fama prosegue anche negli anni 30 e possiamo tranquillamente affermare che Wright degli anni
trenta fosse già un’archistar.
Zevi nasce nel 1918 è un giovane e brillante, della borghesia Romana. Un ramo della famiglia si è arricchito con attività commerciali, e
l'altro con delle ambizioni intellettuali. Il padre fu ingegnere ma vuole fare lo storico dell'arte, evidentemente era già rapito della disciplina
della storia dell’arte e già è conscio di avere una grande capacità oratoria. Il padre lo vuole ingegnere ma, egli si iscrive alla Facoltà di
Architettura. Tuttavia già ai tempi del liceo che ha frequentato a Roma (Liceo Torquato Tasso, frequentato dall'elite borghese e
aristocratica della città) ha modo di rendere evidenti le sue le sue qualità e anche le sue ambizioni.
Scrive sul giornale del liceo, frequentato in quegli anni anche dal figlio di Mussolini, Vittorio Mussolini, intorno al quale si costituisce un
gruppo di giovani intellettuali, educati e cresciuti dal Fascismo che ha pervaso in maniera molto forte ed evidente i vari gradi
dell'Istruzione, a partire dal 1922 (cioè dalla marcia su Roma e della presa del potere di Mussolini). Questi giovani studenti manifestano
tutti una forte ambizione nell’occupare un ruolo futuro all'interno del dibattito delle Arti e dell'architettura, e quindi sono molto
avanguardisti rispetto alla generazione che li ha formati e che li ha preceduti.
Zevi successivamente si iscriverà alla Facoltà di Architettura.
Non è solo Wright che tenta di ottenere una commissione dal regime fascista, negli stessi anni anche Le Corbusier fa di tutto per
incontrare Mussolini e per farsi commissionare una nuova città nell'agro pontino. Negli stessi anni, o poco prima, anche in Germania,
Ludwig Mies van der Rohe cerca in tutti i modi di proporre al regime nazionalsocialista una serie di progetti avanguardisti che lui sta
sviluppando e che avrebbe potuto sviluppare con gli studenti della Bauhaus. Per motivi diversi in Germania rispetto a quelli dell'Italia,
tutti queste vocazioni vengono frustrate, questi incarichi non vengono assegnati (né in Germania a Mies, né in Italia a le Corbusier e
nemmeno a Wright).
Successivamente la storiografia (che tende a identificare la soluzione modernista nel linguaggio dell'architettura dotato di un significato
etico, sociale e politica) ha molto glissato su queste candidature imbarazzanti nella costruzione invece di quella mitografia anche etica
dell'immagine dell'architettura contemporanea.
Invece anche Wright tenta quindi di farsi commissionare una città per la bonifica dell'agro pontino e si propone come architetto del
regime. Il giovane Zevi nel mentre partecipa al congresso, di conseguenza è abbastanza improbabile che non si accorga della
candidatura di Wright, anche perché in quel momento è una figura centrale all'interno della cultura architettonica internazionale.
Nel 1938 il giovane Zevi è già iscritto all' all'università ed è uno degli studenti più brillanti del suo corso alla Facoltà di Architettura di
Roma. Riceve nello stesso 1938 all'inizio dell'anno, la medaglia intitolata a Benito Mussolini, come uno degli studenti più brillanti della
facoltà. Tuttavia in quello stesso anno 1938 vengono promulgate anche le leggi razziali con cui l'Italia si allinea sulla posizione antisemita
tedesca.
Le leggi escludono gli ebrei dalla società, sostanzialmente. Li escludono dal poter frequentare l'università, dal poter esercitare
alcune professioni: praticamente tolgono agli ebrei molti diritti civili. L'ebraismo costituisce un'origine, una religione se praticata.
Gli ebrei erano ormai perfettamente integrati, non sono nella società italiana, ma nelle varie società di cui facevano parte:
mantenevano una forte identità e una coesione, che nei secoli era stata forzata anche dal fatto che per un lungo periodo non
potevano risiedere dove volevano nella città, ma solo nel ghetto. Erano comunque integrati nella società, soprattutto in quella
italiana del periodo e ancor di più in quella romana. All'interno del partito Nazionale fascista, prima del 1938, alcune posizioni di
rilievo erano occupate da ebrei. Quindi l'allineamento dell'Italia sull'antisemitismo fascista, provocò l’odio nei confronti degli
ebrei, il quale aveva anche una seconda origine Cattolica. Tuttavia nei secoli precedenti, a partire dall'unità d'Italia, c'era stata
una perfetta integrazione degli ebrei nella società italiana, ed anche nelle gerarchie del partito Nazionale fascista.
La promulgazione leggi razziali che avviene per vari motivi da una parte fondati sull’antisemitismo storico anche italiano, ma
dall'altra sicuramente sollecitati dall'alleanza che Mussolini stabilisce con l'asse roma-berlino.
Improvvisamente una serie di persone che fanno parte della società anzi, rivestono di ruoli di rilievo, sono private dei loro diritti
civili, non possono esercitare le loro professioni, non possono frequentare le scuole e università, possono lavorare solo per altri
e non per non ebrei. Gli “altri” vengono chiamate all'epoca “Ariani”.
Questo ci permette di capire come la figura di Zevi sia legata a questa serie di circostanze epocali e drammatiche che hanno
caratterizzato la storia del ventesimo secolo.
Zevi si trasferisce prima a Londra nel 1939 dove si iscrive a una scuola di architettura molto prestigiosa, l’architectural association. A
Londra nel 1936, Pevsenr aveva pubblicato ‘pioneers of Modern movement from Wiliam Morris to Walter gropius,’ Behrendt aveva
pubblicato il suo libro ‘modern building’ dove c'è già questo dialogo tra Modern movement (componente più razionale) e l’International
style (componente più fluida, più organica).
Il giovane Zevi frequenta questa scuola molto elitaria, molto progressista, in cui gli studenti erano già fatto proprie le istanze promosse
dal libro di Pevsner e quindi pensavano a un'architettura con un fondamento etico morale, alla necessità di tendere verso una visione
anche sociale del problema architettonico, quindi tendevano già a legittimare un linguaggio, non semplicemente per questioni di
diffusione.
Proprio in quegli anni (maggio del 1939) Wright si trova a Londra per una serie di conferenze, ne tiene quattro alla Royal Institute of
British architects, organismo molto prestigioso della società e della cultura architettonica inglese. Queste conferenze vengono poi
pubblicate da Wright nello stesso anno con un titolo ‘organic Architecture’’. Durante la sua permanenza a Londra anche Wright
frequenta l'architectural Association, la scuola dove era studente Zevi e addirittura partecipa a una ingegneristica trasmissione televisiva
(all'epoca non era ancora diffusa la tv, ma c'erano esperimenti di trasmissione sonori e di immagini che lo vedono protagonista). Viene
allestita una mostra fotografica nel suo lavoro e però si solleva anche un dibattito che fai mettere in posizioni molto critiche, anche degli
studenti, nei confronti dell’architetto americano. Gli studenti consideravano Wright come uno dei Pioneer di Pevsner, uno dei precursori
dell'architettura moderna, ma non protagonista del modem movement, perché aveva in qualche modo condotto la cultura architettonica
verso dei mutamenti che avrebbero poi decretato la nascita del movimento moderno.
Era un archetto legato alla cultura dell'Ottocento del 19esimo secolo, era un individualista, non aveva la questione sociale morale,
l'architettura non era così evidente al centro del suo lavoro e così gli studenti fanno proprie le considerazioni indotte da Pevsner e la sua
figura viene fortemente criticata.
• Inoltre già dalle parti degli anni trenta, prima delle leggi antisemite, era iniziato uno scambio (a partire dal 35 36) tra i laureati della
scuola di architettura della Sapienza di Roma, dove studiava Zevi e la Columbia University. Protagonisti di questo scambio furono
Pasquale Carbonara e Bruno Zevi. Alla Columbia, inoltre c'era Roberto Calandra, suo coetaneo e suo collega di università.
Ad Harvard gropius rivoluziona radicalmente insegnamento insegnando l’architettura moderna contemporanea e calcando sul
significato etico sociale (prima sistema più agnostico). Questo attira molti studenti progressisti, (tra cui lo stesso Zevi, che si trasferirà
dalla Columbia University ad Harvard), ma anche molte critiche della società accademica e anche dei sostenitori all'università (le
università americane sono private e vengono sostenute dalla borghesia americana)
Zevi e un piccolo gruppetto di studenti, 10 studenti, pubblicano un piccolo panflè (un libretto molto piccolo che ha un intento polemico)
che si chiama ‘An on Architecture’. Siamo nel 1941, anno in cui, proprio ad Harvard viene pubblicato il libro di Gideon, ‘Space time of
Nel quinto si dice che, nella Germania nazista nell'Italia fascista, l'architettura moderna è stata bannata. In realtà questa affermazione è
vera per la Germania, ma non così vera per l'Italia. E infatti è su questa ambiguità che poi si fonderà anche la fortuna della proposta
storiografica zeviana.
Bruno Zevi prende il Bachelor a Cambridge, ad Harvard, nella School of design di Gropius nel 1942.
La formazione di Zevi continua a essere quella di un architetto. Ad Harvard ci sono gli storici dell'architettura che però insegnano al
corso di lettere e non a quello di architettura, perciò Zevi non sostiene l'esame di storia dell'architettura. La sua formazione e i suoi
riferimenti relativi alla storia dell'architettura sono quelli che lui ha avuto durante la sua formazione Romana, quando è allievo di Fasolo
(storico dell’architettura ed architetto che lavorava con Luigi Moretti).
Negli Stati Uniti, Zevi si laurea con una tesi di progettazione architettonica ed è significativo, perché il progetto che Zevi e gli altri
studenti fanno in quel in quel momento in questo laboratorio gestito da gropius e da Breuer, ricalca quella che, in quel momento, è la
modalità con cui breuer e gropius stanno sviluppando i loro progetti americani (non quindi solo la didattica, ma anche la loro attività di
progettazione).
In foto, in basso: Zevi frequenta sempre la gente di Harvard negli stessi anni,
incontra Pei (l'architetto cinese che poi costruirà la piramide del Louvre). La
tesi di pei parla di un linguaggio modernista però con un riferimento alla
tradizione che deve essere deve essere alterato rispetto alla banale citazione
(tetto a falde, camino, l’uso della pietra).
In foto, a destra: il plastico preparato da Zevi per la laurea. Visibile il protagonismo della parte in
pietra che corrisponde al grande cammino della sala conviviale all'interno del Centro Comunitario.
Nel frattempo scoppia la Seconda Guerra Mondiale. La Germania si sta sempre più espandendo
nello scenario europeo.
Zevi in questo periodo è impegnato in una forte attività antifascista proprio politica, dagli Stati Uniti
verso l'Europa. Nel frattempo si è sposato con Tullia Calabi, che era a sua volta era la ampolla di
un'importante famiglia milanese, era la figlia dell'avvocato Giuseppe Calabi. I Calabi erano ebrei e
anche loro si erano trasferiti negli Stati Uniti. Il padre di Giulia era molto amico di Portaluppi, il quel
realizza dei progetti molto belli per lo studio dell'avvocato. I Calabi sono i cugini dei Segre e nel
1938 fanno visita ai Segre esortandoli a lasciare l'Italia. I Segre invece pensano che la situazione
non sia ancora estremamente critica perciò i Calabi partono soli per gli Stati Uniti e i Segre
vengono deportati (tranne la figlia più piccola cioè Liliana) e vengono sterminati in un campo di
concentramento tedesco.
Subito dopo la laurea, Zevi è in pieno impegno in questa attività ma decidere di tornare in Europa.
Lo scenario politico è quello che precede la fine della guerra: ci sono i problemi dell'esercito tedesco sul fronte Russo, gli americani sono
ormai alleati dell'Inghilterra, e si profila un futuro che vede nella sconfitta del nazismo e della stabilizzazione di una forma di governo
democratico il futuro dell'Europa.
Zevi, strettamente connesso con le politiche promosse anche da regista americano negli Stati Uniti, decide di ritornare in Italia. Nel
1943 parte dagli Stati Uniti e prima di partire fa testamento (questo lo sappiamo grazie ad alcune pagine delle agendine che Zevi
teneva: in foto). Sceglie di fare testamento perché, nonostante la profilassi delle svolte gli eventi fosse abbastanza confortante, i pericoli
erano tantissimi. Così Zevi si imbarca su una nave militare e torna in Europa. Tuttavia non riesce ad entrare in Italia e si stabilisce a
Londra. Tutte le tappe del suo viaggio sono state in parte anche ricordate dallo stesso Zevi in una sua autobiografia ‘Zevi su Zevi’ dove
però egli cristallizza questi eventi in una dimensione molto più lineare e meno contraddittoria.
Una volta a Londra, Zevi rimane come bloccato, perché il fronte italiano nazista non permette di effettuare operazioni non pericolose ed
inoltre è costretto ad un periodo di inattività forzata. Durante questi mesi ritornano le ambizioni sopite, che aveva già giovane, ma anche
gli echi del manifesto ‘Modern Architecture is fighting fascism’.
Inizialmente Zevi pensa di scrivere un libro, un libro che potesse sollecitare la cultura architettonica italiana per dei nuovi orizzonti, dei
nuovi modelli dopo il fascismo.
Nell libretto del 1941 c’è questa affermazione che dice che sia in Italia che in Germania l'architettura moderna è stata esclusa dal
regime. Per l'Italia questa cosa non è vera, nel senso che in Italia in una pluralità di linguaggi che ambiscono a diventare il linguaggio
dell'architettura fascista. Alcuni di questi sono estremamente legati allo storicismo (Brasini), altri cercano di essere una mediazione tra
alcune tendenze storiciste esplicite ed il lessico dell'avanguardia (Piacentini), e altri sono dichiaratamente avanguardisti (Terragni). Però
anche tra le tendenze dichiaratamente avanguardiste, c'è una forte contraddizione dovuta ai capi del regime complesso, in cui al potere
vi sono personalità molto diverse: alcune più affini alla cultura d'avanguardia, e altre assolutamente razionali.
La Casa del Fascio di Como fa capire come l'idea di un del Fascismo, che esclude a priori l'architettura modernista sia sostanzialmente
una semplificazione molto drastica di una situazione molto più complessa.
A partire dalla fine degli anni trenta, però uno degli architetti più in rilievo all'interno del panorama architettonico italiano, è anche
Marcello Piacentini. Egli è il fautore di una sorta di ibridazione tra l'architettura tradizionale e quella d'avanguardia, e cerca di far
diventare questa opzione, quella ufficiale del regime. Tuttavia questa risulta essere un’architettura di compromesso, motivo per cui
Piacentini non riesce nel suo intento.
Zevi capisce che l'architettura del dopo fascismo (mentre in Germania si poteva giocare questa carta, rispolverando l'architettura
Modern movement and International Style), in Italia questo era più il risultato di un compromesso. Questo perché nell'immaginario degli
italiani, degli architetti ma anche della popolazione era evidente il legame che c'era stato tra certe tendenze d'avanguardia e fascismo.
Quindi serviva un modello diverso.
È la stessa cosa che fa Pevsner, facendo partire la parabola del Modern movement dal lavoro di William Morris
Zevi, conscio di tutte queste sollecitazioni (conosce molto bene Venturi, conosce molto bene il libro di Pevsner) pensa di fare la stessa
cosa, e si basa anche su una serie di libri che giovane Giulio Carlo Argan (allievo di Lionello Venturi) aveva pubblicato negli anni trenta
sull'architettura del Duecento/ Trecento, cioè della pittura medievale.
Zevi tuttavia si rende conto che questo progetto estremamente raffinato era anche estremamente complesso da comunicare. Per
quanto fosse raffinata la sua capacità di pensiero, era altresì consapevole che più questo progetto fosse raffinato più sarebbe stato
difficile da comunicare a un pubblico ampio come quello degli architetti, che è un pubblico generalista che si doveva occupare
dell'architettura. Nel frattempo frequenta la biblioteca del Riba che aveva già frequentato durante il suo primo periodo londinese (Zevi è
per la seconda volta a Londra). Sulle sue agendine troviamo scritto come egli si trovi a casa a studiare l’architettura medioevale.
Ma nonostante ciò alla biblioteca Zevi si imbatte in un libro che Russell Hitchcock. Da questo libro si evince che negli anni 40 Russell
Hitchcock si era molto distanziato da quell'idea del modernismo europeo come unico modello di modernità. Questo perché in quella
mostra, Wight prima fortemente criticato, era poi riuscito a ‘sedurre’ lo stesso Hitchcock tanto che poi quest’ultimo prima di litigarci
selvaggiamente aveva pubblicato una monografia su Wright ‘in the nature of materials’ nel 1941. Questo aveva mostrato come anche
Wright stava coltivando una sua via di attualizzazione alternativa rispetto a quella del modernismo europeo.
Zevi scopre tale libro (scrive sull'agenda di aver consultato questo libro a Londra) e improvvisamente ha un duplice colpo di genio:
- il primo colpo di genio è sostanziale: capisce che l’architettura di Wright, che lui aveva sempre snobbato, e che non si poteva
definire storicista, ma che non coincideva nemmeno con International Style e il Modern Movement, però quel tipo di
architettura fortemente connotata e riconoscibile, poteva essere la strada che rappresentava l'evolversi dell'architettura
moderna, visto che appunto li non si era mai diffusa.
- il secondo colpo di genio è quello del comunicatore: utilizza una modalità che Zevi poi farà propria anche negli anni successivi,
ovvero quella della citazione di un libro importante nella cultura d'avanguardia europea: ‘verso un'architettura’ di Le Corbusier
del 1923. Questo libro è come una specie di sacra scrittura laica per tutto il fronte modernista europeo e anche italiano.
Questo progetto era stato pensato per l'Italia, motivo per cui fu scritto prima in italiano ed inoltre l'Inghilterra ha sempre avuto una certa
resistenza rispetto alla divulgazione del lessico modernista. Così il libro di Zevi sarà pubblicato appena egli riesce a ritornare in Italia,
ovvero nel 1944, prima della fine della guerra (Roma è già stata liberata). Riesce a pubblicare il suo scritto nel 1945, finanziato quasi
sicuramente dai capitali americani con i soldi che l'intelligence aveva deciso di impegnare per divulgare in Italia un modello culturale
alternativo a quello che si profilava sull'altra sponda dello scacchiere internazionale, ossia quello comunista della Russia.
In realtà devi si fa parte di questo filone, è finanziato da questo filone, ma poi sviluppa un progetto assolutamente personale che è
compatibile con questa vocazione americana ma è strettamente legato a una sua ambizione e alla situazione culturale italiana del
momento. E questa è un'altra caratteristica tipica di Zevi: la quadratura del cerchio: inserirsi in un sistema molto complesso in cui gli
viene chiesta una cosa, ma non essere semplicemente un asservito al sistema; Zevi è essere in grado di sviluppare con una propria
autonomia un progetto compatibile con sistema ed allo stesso tempo avere una sua una sua coerenza.
Questo non è ancora un libro di storia dell’architettura ma è un libro che però poi si riverserà completamente nella storia del 50. I capitoli
sono montati in maniera tale per cui Wright non è solo il precursore, l'architettura organica non è solo un'alternativa, ma è l'architetto
autore di un linguaggio che è quello a cui deve tendere l'architettura contemporanea.
Questo progetto storiografico troverà poi un compimento 5 anni dopo, nella ‘storia dell'architettura moderna’ del 1950, un testo molto
succinto molto ideologico, molto militante in cui viene presentata una certa architettura come il fine a cui deve tendere la cultura
progettuale contemporanea (organizzazione ripresa da Pevsner). Vi sono poi una serie di apparati (la cronologia, una bibliografia molto
settaria e precisa) che rendono la struttura intelligibile, solida, documentaria.
L'edizione inglese del libro di Zevi prenderà luce solo nel 1950 ma avrà una
diffusione un'incidenza irrilevante rispetto al libro in italiano. In copertina viene
pubblicato un edificio con un aspetto anche vagamente tradizionalista che ci fa
capire come proprio, anche dal punto di vista editoriale, il progetto haitiano
non aveva nessun senso in un paese come l’Italia.
L’edizione inglese è dotata di una serie di illustrazioni che non si trovano
nell’edizione italiana e che troveranno poi compimento invece nella ‘storia
dell'architettura’ di Zevi che viene pubblicata in quegli anni.
Prende corpo una visione molto specifica: il classicismo è sintomo di un
atteggiamento politicamente reazionario, e vediamo che sono posizionati nelle
stesse tavole gli edifici sia russi sia tedeschi sia italiani. È presente Piacentini, il
quale inizia diventare il modello negativo, il deuteragonista della storia
dell'architettura zeviana: è anche oltremodo semplificata la visione di Piacentini
e la sua architettura. Questo perché Zevi è abilissimo nel congegnare nel suo
volume un meccanismo molto preciso e, siccome non si può negare la
presenza di un’architettura modernista che si sviluppa in questi anni in Italia, e
titola queste tavole con ‘Modern Architecture In Italy, Despite Fascism’ nelle
quali inserisce la stazione Santa Maria Novella di Michelucci, degli edifici di
Moretti, un edificio di Banfi (che in realtà è dei BBPR e che lui chiama come di
Gianluigi Banfi perché architetto devi BBPR che era morto in campo di
concentramento), e un edificio di Terragni. In verità non era giusto dire ‘despite’
cioè nonostante, perché gli architetti di queste opere erano assolutamente
militanti tra le fila, per convenienza o per ideologia, del Fascismo.
- nel 1950: ‘storia dell’architettura moderna’: sostanziato dal libro precedente. Gaudì in copertina,
con il suo Parque Guell, e sostanzialmente questo libro confluisce tutto nell’architettura organica,
ma si arricchisce di un panorama più ampio, più sfaccettato e diventa una storia dell'architettura
estremamente militante. È la prima storia dell'architettura italiana, dove l'Italia è vista col filtro della
visione militante zeviana, per cui (come abbiamo visto dalle tavole precedenti) la cultura
architettonica d'avanguardia è osteggiata e censurata dal regime. Piacentini diventa il
deuteragonista di questa storia dell'architettura e invece 3 architetti italiani (tutti morti durante il
fascismo e due in un campo di concentramento) tra cui Pagano, molto vicino all’ideologia fascista,
diventano invece gli eroi e i protagonisti che fanno l'architettura moderna, e quindi costituiscono la
cellula da contrapporre a quella della tradizione del classicismo che invece è impersonata da
Marcello Piacentini.
È un libro estremamente affabulante in cui è descritta la cristallizzazione di questa militanza, ma vi
è anche una serie incredibile di informazioni, di dati, di un apparato iconografico estremamente
complesso.
È un libro che avrà per molti anni una fortuna incredibile e non avrà nessuna
concorrenza per un decennio, fino a quando nel 1960 Leonardo Benevolo pubblica
un'altra storia dell'architettura.
Anche questo libro presenta una dedica, alla madre di Zevi, la quale muore proprio
nell'immediato dopoguerra in Israele. Questo perché i genitori di Zevi non torneranno
mai a Roma, mentre invece lui si e andrà a vivere nello stesso villino dove aveva
vissuto quando era uno studente della Facoltà di Architettura: amplierà questo villino
negli anni successivi in una maniera molto simbolica e molto aderente al suo
progetto di rinnovamento critico-storiografico dell’architettura. La madre fu vittima
delle leggi razziali e nel volume vi è una sorta di visione tra Buoni e Cattivi che fa sì
che ci sia uno spartiacque molto netto, nella visione zeviana, in
cui il sistema che ha legittimato le politiche architettoniche del
Fascismo, o viene ricondotto artificiosamente sotto l'idea di una
contestazione del Fascismo (cosa che non aveva avuto
l’architettura di Terragni), oppure diventa una condizione da
condannare (quella rappresentata in maniera simbolica da
Piacentini).
È presente anche il rapporto con l'arte, con il cubismo, ripreso
da Giedion e dal suo libro. Vi sono poi alcune tavole in cui
Gropius (giovane) è messo in relazione con l’architettura
italiana collocata in uno scenario internazionale.
Questa continua oscillazione tra le due tendenze era già stata anticipata da
Munari, prima della pubblicazione del libro di Zevi nel 45 (in realtà
l'introduzione di ‘verso un'architettura organica’ era firmata febbraio 44, lo
stesso mese in cui Munari pubblica questo diagramma su Domus). Munari
ironicamente ma anche in maniera colta capisce che il libro di Zevi sta
sostanziando un’ennesima contrapposizione tra tendenze espressive (lui le
chiama ‘stile’) e in qualche modo capisce qual è il fine dal punto di vista della
ricaduta espressiva del progetto storiografico zeviano.
Dal punto di vista pratico che ricaduta questa pratica sul lavoro degli architetti?
Ha una ricaduta un po' formale e un po' banale anche sotto certi punti di vista,
espressa in maniera molto sintetica dalla casa che Figini costruisce per sé a Milano
al Villaggio dei giornalisti. È una specie di omaggio quasi didascalico a Le Corbusier
in quanto sono citati i famosi cinque punti dell'architettura di le Corbusier:
- quindi la pianta libera
- la finestra a nastro
- l’edificio su pilotis
- il tetto giardino
Anche Figini e Pollini, nel 1955, (in piena fortuna del progetto critico zeviano)
realizzano per la Olivetti, a Ivrea, una fascia di servizi sociali.
Riprendono la tipologia dell’edificio su pilotis e si adeguano al modello zeviano:
i pilotis diventino poligonali, la maglia strutturale diventa poligonale così come l’orditura
che va a disassare la gerarchia geometrica dell’edificio alterando alcune giaciture
planimetriche.
Tra queste vediamo scala, che esattamente come quella zeviana, non presenta più i
gradini con la linea dell’alzata perpendicolare al muro ma che è parallela al fondo del
vano scala e quindi si adegua alla modalità compositiva complessiva che si radica
nell'utilizzo degli elementi poligonali.
REDHOUSE
Webb realizza per William Morris un'abitazione, che non doveva essere solo
un’abitazione ma anche una specie di manifesto, il quale deve rendere espliciti i
punti fermi della dottrina laica, e delle caratteristiche di rinnovamento, dei caratteri
architettonici dell’Arts and Crafts (che fino a quel momento aveva prodotto oggetti
tappezzerie ma mai per un'architettura).
Webb aveva avuto una formazione da architetto, ma come accadeva a quel tempo,
era una formazione di tipo artistico, quindi anche un pittore e disegnatore. (Cosa
che accadeva anche in Italia negli stessi negli anni e negli anni immediatamente
seguenti, per esempio all'accademia di belle arti di Brera).
In foto: William Morris da solo e con Edward burne-jones, che un altro pittore e
artista che accompagna Webb e Morris nella realizzazione sia di questo edificio, ma
anche di molti dei progetti realizzati con l’Arts and Crafts.
Anche il fatto di avere un aspetto non conforme rispetto ai canoni diciamo più tipici
dell'immaginario Vittoriano, che aveva preceduto questa cultura, ci fa molto capire
come in ogni prodotto doveva riassumersi e manifestarsi la filosofia riformatrice del
movimento delle Arts and Crafts.
In foto: Jane Burden Morris, la moglie di William Morris, ritratta dallo stesso Morris,
da Taiwan Jones e da Dante Gabriele Rossetti, fu uno dei protagonisti della pittura
preraffaellita. Si vede la realtà: l'immagine fotografica e i disegni coincidono, c'è la
volontà di ritrarre una donna in abiti molto meno rigidi conformi di quelli che
imponeva il protocollo Vittoriano dell'epoca, e anche con delle acconciature
naturali, non particolarmente elaborate, che lasciano intravedere queste
personalità come colta in maniera non protocollare, nella sua negli aspetti della
quotidianità.
In foto: caricature di Morris mentre legge le sue poesie all'amico Edward burne-jones, ed alla moglie
Jane Morris. L'uno sta su una sedia afflitto, l'altra è in vasca da bagno che con una serie di calici (7)
mentre lui imperterrito legge lei delle poesie.
Questo per farti capire anche come l'occhio dell’epoca osservasse questa azione così appassionata,
quasi da apostolato, che Morris svolgeva e probabilmente doveva farlo in maniera a volte così convinta,
da essere da essere quasi caricaturale.
In foto: Un'altra caricatura. Morris faceva parte di un’élite e si era impegnato nelle sue proteste vicino
ai socialisti, però la sua diciamo così condizione intellettuale lo metteva anche in una posizione di grande privilegio. La caricatura ritrae un
poliziotto durante una manifestazione socialista, che in realtà non lo sta minacciando di arresto non sa ma gli lucida le scarpe.
In foto: Vediamo come il parapetto sia privo di decorazioni. Tuttavia il suo pregio sta nel materiale,
il legno: le tavole accostate, sono presenti dei buchi che in qualche modo alleggeriscono la
pesantezza della preghiera. Questi elementi medievali sono assecondati ad una sorta di
semplificazione. Sul muro vi è un quadro preraffaellita appeso. Nella copertura non viene
organizzato un plafone che nasconde la struttura lignea, al contrario essa viene esaltata. Anzi
viene ulteriormente rimarcata dal cambio di rivestimento: le parti impugnate sono rivestite con
un'altra tappezzeria nuova mentre la parte sommitale del plafone ha una decorazione nuovamente
in contrasto. Vengono lasciate a vista le capriate in modo da conferire alla struttura anche una
connotazione espressiva.
In foto: Un soggiorno interno. Anche in questo caso è presente un mobile che si ispira sempre
a una specie di cassone medievale. È poi presente anche una scaletta con una specie di
piccolo soppalco che permetteva l'accesso a un’apertura. In che rimanda sempre ad un
immaginario medievale il quale sostanzia una determinata articolazione di spazi di elementi.
Anche in questo caso gli elementi non sono strutturali, sono decorativi però sublimano la
presenza di una struttura; quindi rimarcano sempre il primato degli elementi funzionali che
devono essere rivelati e che devono emancipare il gusto estetico. Inoltre è presente questa
libreria che addirittura pare anticipare con questi montanti liberi una soluzione che sarebbe
arrivata molto tempo dopo.
In foto: alcune immagini dell’interno. Articolazione della volumetria interna che ricarica le forme del tetto, con le travi a vista, enfatizzate
del cambio di rivestimento delle pareti. Differenziazione delle finestre anche a seconda della loro funzione. Questo conferisce un aspetto
ricco e variato sia allo spazio interno che allo spazio esterno. Uso di tappezzerie tipico dell'ambiente Vittoriano ma con una forte
razionalizzazione e semplificazione degli elementi.
In foto: una specie di abaco delle finestre. E una foto degli interni dove la decorazione muraria del plafone fa percepire la struttura. È
presente il motto latino sopra il camino ‘ars Longa vita brevis’ che fa riferimento all’immanenza di quello che noi costruiamo rispetto alla
durata della vita. L'arte è vissuta in maniera intensa come con modalità morale che sostituisce la religione. Volontà di eternare in questo
edificio concezioni non solo architettoniche ma anche ideali. Vi è una volontà di pensare l'architettura come una sorta di etica religiosa.
Anche in un altro capolavoro di Wright, più tardo, il larkin building, edificio per uffici nella cui parte sommitale vi era una grande iscrizione
latina che parlava del Lavoro come una necessità e una aspirazione etica dell'uomo.
In foto (in basso): un'abitazione successiva di Morris dove è visibile la sua camera
da letto con molte tappezzerie da lui disegnate. Letto prodotto dalla Arts and
Crafts, e poi i tessuti che rimandano sempre all'immaginario medievale e gotico.
Rispetto alla Red House vi è un certo appesantimento degli elementi. La Red
House ci mostra un Morris e un Webb in un momento di particolare felicità
espressiva.
In foto: L’interno di una tenda di una popolazione nomade che rimanda all’immaginario della
capanna.
Questo intreccio di rami con l'avvento di nuove tecniche, si trasforma in muro: un muro
solido, fatto di mattoni, d'argilla o di pietra (prima ancora in legno). Ora questo muro
improvvisamente può essere sostituito con una struttura in ferro. Essa, a differenza della
muratura può essere molto più esile, più sottile, può non essere piena, può essere
concentrata solo in alcuni punti, può essere un telaio. La struttura telaio somiglia tantissimo
alla struttura della capanna primitiva. La differenza sta nel fatto che tale telaio è più resistente
e robusto. Vi è un rinnovamento a tutti gli effetti, quello prima (di Morris) di faceva ad un
immaginario medioevale.
Si fa strada l’idea che gli elementi della struttura potevano essere lasciati a vista, e la
separazione tra interno ed esterno poteva avvenire attraverso l'uso di un elemento
trasparente, come il vetro. In questo modo, la parete è la comunque parete, ma perdeva la
sua consistenza di diaframma netto ritagliato delle finestre. Questo perché essa stessa era
costituita da una specie di trama metallica colmata nelle sue lacune dal vetro. L’utilizzo di
questi due materiali non sarebbe stato possibile prima del 19esimo secolo con
la produzione industriale.
Prima del vetro, venivano utilizzate per le finestre delle Domus romane delle
lastre di Alabastro (quindi un elemento lapideo) tagliate molto molto sottili in
modo da essere trasparenti alla luce ma non trasparenti allo sguardo. Il vetro
era un’alternativa ma mentre l’Alabastro poteva essere tagliato in fogli più
grandi, ai tempi il vetro no. Con lo sviluppo nel XIX secolo della Tecnica
produttiva industriale del vetro la situazione cambia, vi è una nuova modalità di
produzione che abbassa i costi e rende questo materiale insieme al ferro (nella
costruzione dell'architettura antica utilizzato per i perni) più accessibile e
fruibile.
Soluzioni utilizzate per le tipologie nuove. Ad esempio le serre, utilizzate sia
scopo produttivo sia a scopo ornamentale
In foto è possibile vedere come all'interno, quando vengono montati gli stand, in alcuni casi questa
struttura venga nuovamente rivestita dagli espositori che hanno l’intento di delimitare gli spazi con
tappeti, cortine tessili. Questo è la prova dell'innovazione di paxton e dall'altra di quello che sempre
aveva individuato molto bene, cioè della necessità archetipica di rivestire gli elementi che delimitano
lo spazio con dei materiali di natura o di rimando alla natura.
← Concetto della natura tessile
dell’architettura ribadito in una delle
ultime della Biennale di architettura del
2014, da Rem Koolhas.
→ L’orditura ed il rivestimento sono
visibili anche nello stadio realizzato da
Herzog e de Meuron per le Olimpiadi a
Pechino nel 2008. Il rapporto tra
orditura e rivestimento rimanda a quella
che semper aveva teorizzato nella sua
trattazione.
LA SCUOLA DI CHICAGO
Quando abbiamo parlato di quelli che sono stati i seminal books sull’architettura contemporanea-moderna, quelli che sono diventati, sono
stati e sono tutt’ora i padri dei manuali di storia dell'architettura attuali abbiamo detto che il primo volume che tracciava, seppure attraverso
una sorta di processo identitario formale l'architettura, l’International Style, era il catalogo della mostra del
MoMa del 1982, Architecture International Exhibition.
All'epoca negli Stati Uniti alcuni architetti americani tra cui lo stesso Wright erano molto seccati dal fatto
che quest'idea di modernismo sembrava sostanzialmente arrivare dall'Europa e, proprio di seguito a questo
malumore, Wright era stato incluso all'interno di questa mostra con però aveva un ruolo, come abbiamo
ben capito dalla produzione di Zevi iniziare o meglio dalla posizione iniziale di Zevi, di un precursore. Wright
lamentava che c'era una tradizione dell'architettura americana è che era per la seconda volta ignorata
perchè per la seconda volta veniva importato uno stile dall'Europa che diventava l’etimo di riferimento anche
per la cultura architettonica americana.
Da questa polemica di Wright capiamo che c'era, quindi, una tradizione che si era sviluppata negli Stati
Uniti.
Vediamo cosa succedeva negli Stati Uniti e in particolare a Chicago parallelamente a quello che stava
avvenendo in Europa quindi parallelamente alla costruzione della Red House, parallelamente alle grandi
esposizioni di Parigi, alla costruzione della Tour Eiffel e alla Old Machine. Vediamo cosa succede in una
città che è un po' la culla della cultura architettonica americana, Chicago.
A Chicago a cavallo del XIX secolo, vediamo uno degli edifici che esattamente come la Red House può essere considerata, per un discorso
ideologico, l'inizio di una di una tradizione che avevrebbe portato verso il Modem Movement di Pesvner, e vediamo qual è invece uno degli
inizi di una tradizione americana che viene denominata poi appunto scuola di Chicago, la Chicago School.
Questo edificio First Leiter Building, dell’architetto William Le Baron Jenney, è stato
costruito a Chicago nel 1879. Rispetto agli edifici visti in Europa finora rispetto alla Red
House ma anche rispetto ai padiglioni delle grandi esposizioni internazionali sono
evidenti delle differenze. Guardando la collocazione dell'edificio all'interno della città
balza subito all'occhio che rispetto per esempio all'edificio bombardato a Londra, 1860
ca.
⋅ Forma della pianta simile: quadrata.
⋅ Altezza differente: quello di Chicago è di 7 piani quindi è sensibilmente più alto di
quell’altro (3 piani).
⋅ Struttura: nell'edificio di Londra la struttura è denudata dai bombardamenti,
all'interno ha una struttura in acciaio, un telaio costituito da delle travi che si
incrociano generandodegli elementi quadrati sui piani orizzontali e nel punto in
cui si incrociano queste travi sono collocati degli elementi verticali che sollevano
a distanza queste piastre orizzontali. I lati di questa di questa maglia sono uguali per cui si determina questa sorta di reticolo cubico.
⋅ Facciata: L’edificio di Londra aveva una facciata neo cinquecentesca, la quale aveva delle aperture che fanno capire come in realtà
all'interno di quella struttura non fosse eseguito in muratura tradizionale, bensì era una struttura molto più esile molto più leggera che
permetteva l'apertura delle bucature molto più ampie.
Anche l’edificio di Chicago ha una struttura in modulo a telaio metallico, evincibile dall’accostamento delle finestre, che sono tutte
identiche regolari e, quindi, i pilastri portanti e le travi orizzontali sono regolati da questa serie di tre aperture.
Le tre finestre piccole corrispondono alla campata libera tanto che il sostegno tra l'una e l'altra è esile, minimo, e invece la parte di
facciata più cospicua è in corrispondenza agli elementi verticali della struttura.
Vi è una corrispondenza tra la facciata esterna e la struttura interna. La facciata rivela sempre di più quello che accade all'interno.
È un processo molto complesso e oscillatorio; anche nell'architettura dei nostri giorni si può assistere a modalità molto differenti di rapporto
tra la superficie esterna degli edifici e la loro struttura.
Spesso gli stessi ingegneri, gli architetti pensavano delle facciate che fossero più aderenti a quello che avveniva all'interno dell'edificio e
fossero meno preoccupati di decorare queste facciate, di trasformare queste facciate facendole sembrare un edificio di un'altra epoca,
un edificio classico.
Negli Stati Uniti, negli anni successivi alla scoperta l'America, gli stili che vengono utilizzati sono quelli europei (anche il film Via col vento
la Casa della famiglia di cotonieri nella quale vive la protagonista è una casa Palladiana); ad esempio Jefferson, oltre ad essere stato
presidente degli USA era anche un architetto, costruiva edifici di stampo palladiano; quindi gli Stati Uniti avevano sempre attinto alle
tradizioni europee e, quindi, questo fenomeno di emancipazione che stava avvenendo anche in Europa, negli Stati Uniti assume una
connotazione più complessa perché diventa anche un fenomeno nazionalistico, cioè il modo di emanciparsi da un dettato culturale che
arrivava sempre dall'altra parte dell'oceano.
In questa immagine è rappresentata la pianta di New York, in cui spicca Central Park.
Si legge qui una situazione più complessa perché si configura come una scacchiera
molto regolare, ma spezzata da delle parti a scacchiera irregolare che sono poi
confinanti tra di loro.
Questo accostamento di differenti maglie regolari è avvenuto, a causa della presenza
di strade pregresse che sono state mantenute e sia delle giaciture determinate dalla
forma dell'isola di Manhattan.
La facciata degli edifici di Chicago poteva essere varia, producendo risultati molto diversi tra di
loro, talvolta avendo un’immagine della facciata quasi estranea; la capacità degli architetti della
scuola di Chicago, però era quella di cercare sempre comunque una corrispondenza tra la facciata
esterna e la struttura interna.
In questa fotografia, è riportato un edificio con una struttura in acciaio, ma la facciata ha lo stile alla
veneziana, come se fosse affacciato su Canal Grande. In facciata è leggibile la scansione degli
spazi interni, con al centro una grande sala centrale, la barchessa e gli elementi laterali. Vi è un
rimando all’architettura veneziana e il modo in cui è allegerita la facciata mediante queste grandi
aperture fa capire che il riferimento è quello dell’architettura veneziana, ma riadattato al contesto
e alla tipologia di edificio di grande elevazione, che non sarebbe mai stato realizzato a Venezia. Vi
è, infatti, la capacità di rendere questi riferimenti compatibili con il tipo di struttura tipico della scuola
di Chicago.
La parte sommitale, che doveva ospitare la parte dei servizi e impianti, è stata schermata da questa
fascia in muratura e questi oculi che si distacca completamente dal riferimento veneziano da cui
trae il resto della facciata.
In quest’altra fotografia si vede un edificio molto più alto rispetto al precedente con una
struttura anche in questo caso in acciaio all'interno, risolta all'esterno con questo
paramento murario molto rigoroso, molto semplice in cui l'elemento nobilitante dovuto agli
inserti più elaborati della tessitura muraria.
All’ultimo piano ciò che salta all’occhi è il distacco rispetto ai piani inferiori, che ricorda la
Stoà dell’AltesMuseum di Schinkel portata però al piano attico. È caratterizzato da un
ordine gigante alto 3 piani che costituisce una citazione classicista al livello sommitale con
questa loggia e questi serramenti arretrati ma inserita all'interno di una composizione in cui
è chiarissima come la struttura interna sia un elemento da cui si è conformata la tessitura
della facciata esterna.
Nella parte inferiore, basamentale è caratterizzato da elementi decorativi che lo
allegeriscono e lo impreziosiscono.
Quindi anche in questo caso, come l'edificio di fianco a quello di Le Baron Jenney, è
leggibile la divisione della facciata di questo edificio in basamento, corpo centrale e
coronamento, e come, nonostante vi sia la corrispondenza tra facciata esterna e
struttura interna, vi sia una citazione alla dimensione classicista.
Uno degli edifici più significativi realizzati dagli architetti della scuola di Chicago è
l'Auditorium di Chicago progettato da Louis Sullivan e Dankmar Adler tra il 1886 e il
1889. Adler è un architetto che lavorerà spesso in coppia con Sullivan. Questo edificio
è uno dei più importanti della scuola di Chicago ed è un'altra delle icone
dell'architettura contemporanea, citato da Pevsner e Gideon.
In questo edificio si può vedere da una parte confermata la scelta trattata in
precedenza per quanto riguarda il rimando agli acquedotti romani e alla tripartizione
basamento-corpo-coronamento.
L’edificio è molto imponente e che presenta internamente una corte. Nell’immagine si
vedono, inoltre, una torre che sormonta una parte dell’edificio e staccato un corpo più
piccolo di carattere vittoriano, che fa capire la differente scala e l’importanza
dell’auditorium all’interno del tessuto urbano.
La torre oltre ad avere un valore simbolico ha anche una necessità funzionale.
In questa fotografia si vede un elemento che è presente in tutti gli edifici americani alti, poiché
negli Stati Uniti ci sono delle norme molto severe sulla sicurezza di questi edifici, che devono
essere sempre presenti le scale antincendio in ferro esterne che hanno l'ultima parte che si può
abbassare nel caso di uso.
Si vede, inoltre, il contrasto tra il bugnato rustico che si scorge dietro a questa scala in ferro e
l’imponenete colonna perfettamente rifinita. Sono evidenti anche i serramenti, i quali sono
rivestiti in metallo e sono arretrati rispetto al filo la facciata.
Successivamente è intuibile sempre da questa immagine che la struttura è caratterizzata da
dei conci e, dunque, non si tratta di un monolite, per cui all’interno della trave è sicuramente
collocata una putrella in acciaio, poi rivestita da questi conci di pietra.
La sezione dell’Auditorium, che occupa tutto l’isolato, mostra come la grande corte
interna sia occupata dall’auditorium stesso.
Tipologicamente si tratta di un edificio nuovo ed è anche una soluzione intelligente
perché permette di occupare la parte centrale di questo enorme edificio con una
destinazione differente dal resto dell'edificio, permette di assottigliare le parti
destinate ad uffici e dunque di disporre di una profondità tale da rendere ottimale le
soluzioni aeroilluminanti dell'interno.
Ai piani bassi gli ambienti si affacciano solo verso l’esterno perché la parte interna
è occupata dall’auditorium, mentre ai piani più alti questi ambienti possono disporre
di un doppio affaccio, sia verso l’esterno che verso l’interno, poiché l’auditorium
presenta un’altezza inferiore.
Sono rappresentati sulla destra il foyer d’ingresso e la zona adibita a servizi, al
centro vi è la sala gradonata e più a sinistra, invece, il palcoscenico con la torre
scenica che si sviluppa in altezza poiché in essa vengono fatti scorrere gli scenari,
i fondali, le scenografie.
La torre in vista era destinata parzialmente ad uffici e in parte per le trasmissioni radio, grazie appunto alla sua maggiore altezza.
In questo edificio, pertanto, si vede come non vi sia solamente interesse rispetto al rapporto tra la struttura e la facciata, alla modularità
della struttura e del suo riflesso sulla facciata, ma anche un’attenzione alla creazione di una tipologia completamente nuova.
Nell’immagine è raffigurato l’ingresso con un arco a tutto sesto, il quale presenta delle spalle
bassissime tanto che l'apertura è costituita nella parte sommitale da un semicerchio, la quale sarà
un'altra delle caratteristiche tipiche della scuola di Chicago. Vi è la ripresa di un elemento classico
dell'architettura romana ma diminuendo l'altezza delle spalle, configurandolo in una maniera
completamente differente. Questo elemento verrà utilizzato anche da Frank Lloyd Wright nei suoi
progetti di Chicago. Egli, infatti, lavorerà per lungo tempo nello studio di Adler e Sullivan e ci sono
alcuni progetti di Wright in cui l’ingresso all’edificio è un’esplicita citazione di questa tipica soluzione
di Adler e Sullivan.
Vi è anche in questo caso l’accostamento di parti più ruvide, mozzate e parti, invece, più rifinite, che
rimanda, dunque, all’architettura del cinquecento oppure a quella di Bernini, quasi a far vedere
simbolicamente in maniera esplicita la coesistenza della natura e dell'artificio umano.
Qui vediamo l'interno, viene ripreso l’uso dell’arco e vi sono una serie di decorazioni più convenzionali
che però rivelano molto bene la struttura dell’edificio; anche in questo caso vi sono dei telai con queste
strutture metalliche, vi è una trave principale dove si appoggiano altre travi, ma sono presenti anche
soluzioni più inusuali, ad esempio la trave che poggia sulla chiave di volta dell'arco.
Questi due sistemi coesistono in maniera indipendente e non fanno recepire un senso di straniamento,
ma vi è la volontà di sottolineare il caratter complesso e composito di questo tipo di architettura.
Immagini del foyer, dei dettagli e dei serramenti sempre caratterizzati da elementi
fitomorfi come fossero pannelli modulari.
Carattere molto diverso da quello dell'auditorium di Sullivan ma stesse pulsioni.
La griglia presente in fotografia serve per far circolare l'aria calda in inverno e l’aria fresca in estate,
poichè il clima di Chicago è rigidissimo in inverno e torrido d'estate, quindi già in questi primi edifici si
sviluppano i sistemi di circolazione forzata dell'aria. Quindi anche questi elementi sono integrati, sono
ottimizzati e non vengono nascosti, così come le lampadine.
Anche all’interno della sala dell’auditorium le lampadine non vengono celate, bensì lasciate a vista ed
esaltate, configurandoli come una parte significativa dell’architettura.
La galleria superiore presenta una geometrizzazione del capitello e del pilastro, sono presenti delle
vetrate decorate tra gli archi che rimandano alla tradizione medioevale che però si ispirano anche all’Art
and Crafts londinese.
Il soffitto è caratterizzato da dei lacunari determinati dall'incrocio delle travi, degli elementi strutturali.
Gli archi che conducono al boccascena sono addirittura illuminati da una serie di lampadine che
diventano un elemento decorativo dell’architettura. L’illuminazione elettrica è anche di fatto l’unica
illuminazione all’interno dell’auditorium.
L’architettura viene percepita, vista sia dalla sua percezione formale, dei suoi elementi costitutivi, sia
da quelli sottolineati, esaltati dall'illuminazione elettrica.
Vi sono una siere di particolari che riprendono sempre i concetti sopra citati dei pannelli fitomorfi e dei
rimandi classicisti.
Cartoline d’epoca e immagini più recenti che mostrano l’aspetto dell’edificio un tempo e ora.
Il Reliance Building realizzato da John Wellborn Root e Daniel Burnham a Chicago tra il 1890-
1894, è un chiaro esempio di applicazione dei pannelli decorati con elementi floreali la cui
conformazione geometricamente molto definita li fa sembrare degli elementi modulari.
La facciata di questo edificio presenta una grande superficie vetrata che continua con questi
bow-window che sporgono proprio grazie alla struttura in ferro e poi il rivestimento è
caratterizzato, appunto da questi elementi modulari in pietra artificiale o in stucco, molto
decorati e definiti da campiture geometriche molto precise, come se fossero dei moduli
prefabbricati.
Inoltre, è sempre maggiore lo sviluppo in altezza che comincia ad andare oltre la convenienza
economica e a legarsi anche al valore simbolico di questa corsa in altezza.
Nella parte basamentale spesso trovano a posto delle attività commerciali che spesso
sono su due piani e, dunque, hanno una specie di mezzanino. In questo caso nella parte
basamentale la struttura è ancora più assottigliata, non vi sono le partizioni che
interrompono la parte superiore, bensì vi è una esposizione degli elementi della struttura
in metallo, ma che sono comunque rivestiti con elementi lapidei, avvolto a sua volta da
una griglia metallica, creando così un gioco raffinato, in cui la struttura è rivestita ma allo
stesso tempo resa esplicita.
Vi sono delle griglie metalliche che tengono il rivestimento lapideo che avvolge la struttura
metallica dell'edificio.
Sempre di Adler e Sullivan vediamo il Chicago Stock Exchange Building, ossia la sede della Borsa.
Sono presenti sempre la divisione basamento-corpo-coronamento, i bow window che moltiplicano la
superficie, la struttura molto nuda, pulita; la parte basamentale rimanda ancora un po' alla all'idea del
dell'acquedotto, la parte centrale meno, mentre il cornicione sempre iper decorato. Basamento e
coronamento sono gli elementi con i quali gli architetti si confrontano di più, i quali dialogano con la parte
centrale molto più semplice, spoglia.
Si vede il grande portale con l'arco sempre ad imposta molto ribassata che poi diventerà un elemento
tipico dell'architettura di Wright ed è un edificio che purtroppo è stato distrutto poiché negli Stati Uniti
non vi è alcuna forma di tutela per gli edifici storici, come invece accade in Inghilterra.
Quando un edificio considerato significativo viene demolito, vi è un tentativo di fermare questo
procedimento, ma non si riuscì.
Ma la parte basamentale dove c'era il salone della borsa verrà conservata e verrà ricostruita.
Si ripetono alcuni elementi già visti nell'atrio del dell'auditorium. Quindi i capitelli con queste forme fitomorfe che sembrano orientaleggianti,
anche in questo caso le lampade lampadine non sono nascoste ma diventano un elemento di forte caratterizzazione dell'edificio, la parte
superiore con questi elementi, dei sistemi di illuminazione sempre indiretta che non volevano nascondere la luce elettrica, ma erano stati
studiati per avere una diffusione più uniforme; vi sono anche i vetri legati a piombo che riprendevano degli elementi geometrici decorativi
che poi troveremo anche nelle parti decorate sul resto del soffitto.
Questa sala era doppia altezza, per cui la folla poteva disporsi sia nella parte sottostante che nelle gallerie superiori ed assistere al mercato
delle contrattazioni.
Prima dei display elettronici c'erano questi grandi tabelloni nei quali venivano scritte delle lettere e dei numeri che facessero capire agli
astanti i prezzi delle quotazioni di scambio delle azioni che venivano comprate vendute all'interno della borsa.
Vi sono molti elementi che riprendono quelli già visti come nella Red House e negli altri interventi di Morris.
La targa appesa spiega appunto la storia della ricostruzione di questa sala che è avvenuta recuperando le parti preservate, salvate dalla
demolizione che punto è avvenuta nel 1917.
Sullivan e Adler, Guaranty Building a Buffalo 1894-1895. I primi edifici erano più o meno coevi, adesso
stiamo andando molto più in là, siamo a cavallo tra XIX e XX secolo.
Gli elementi decorativi sono sempre di cotto molto articolati, ma presentano elementi di giunzione che
rivelano la modularità e quindi la sua virtuosa aderenza a una struttura che in qualche modo è rivelata,
non è del tutto nascosta da questi elementi di decorazione molto densi, molto forti ma che sono
concentrati solo in alcuni punti ed è sempre leggibile la corrispondenza tra la struttura interna, sempre
modulare, sempre d'acciaio, e la partizione della facciata. Diventano dei moduli di rivestimento, come
dei pannelli prefabbricati.
Questo è il museo all’interno del quale sono stati conservati quegli elementi degli edifici di Chicago che sono stati demoliti di cui sono state
preservate delle parti. Si vedono delle grandi inferriate, degli ascensori, alcuni dei pannelli, elementi metallici, una vetrata di Wright o
addirittura i bozzetti in gesso di alcuni elementi modulari che servivano poi da stampo per la realizzazione di quelli in cotto ecc.
Le quattro figure della foto sono: Luigi Conconi, che era un pittore ma anche un architetto, Carlo
Pisani Dossi, Giachi ed Emilio Praga.
Prima che negli anni Venti si istituzionalizzasse in Italia la formazione dell'architetto e venissero
fondate le prime scuole di architettura all'interno delle università, la formazione dell'architetto non
era conformata ad un protocollo condiviso; per esempio c’era presente una sezione di
architettura della facoltà di Ingegneria del Politecnico, la quale prevedeva degli insegnamenti
tecnici e altri artistici.
A Brera era poi attivo un corso solo basato su insegnamenti artistici che dava il titolo, non di
architetto, ma di professore di disegno architettonico con il quale poteva essere comunque esercitata la professione di architetto; non
potevano essere realizzati dei lavori che prevedevano l'impiego di strutture ardite, ma gli architetti potranno realizzare piccoli lavori o
comunque collaborare con gli ingegneri per la costruzione anche di edifici più impegnativi anche dal punto di vista strutturale.
Ed è proprio quello che capita con la villa Pisani Dossi perché in questo caso Luigi Conconi collabora con l'ingegner Luigi Perrone e
realizzano questo edificio.
Carlo Pisani Dossi fu letterato, politico e un animatore di un altro movimento culturale per alcuni versi simile più tardo rispetto a quello
delle Arts and Craft e dei pittori preraffaelliti, ossia degli Scapigliati.
Scapigliato è un aggettivo che indica una persona spettinata, chi ha una vita molto disordinata, chi non non si preoccupa in un certo senso
delle apparenze più convenzionali. La loro è una cultura tardo romantica un po' come quella dei pittori preraffaelliti e rifiutavano un
conformismo espressivo legato agli insegnamenti, ai precetti stilistici dell'Accademia, esattamente come i pittori preraffaelliti anche se poi
andavano in un'altra direzione espressiva.
Avevano un grande ideale bohemiene di disprezzare un po' quei valori della società borghese conformista anche nel gusto dell'arte che
erano in quel momento codificati. Esattamente come Morris e i pittori preraffaelliti additavano il gusto medio della società inglese come
un gusto mediocre, la produzione industriale come una produzione che si faceva a un immaginario mediocre, così anche gli Scapigliati
cercano una loro dimensione poetica ed espressiva che rivaluti tutta una serie di atteggiamenti non conformisti, decadentisti.
Carlo Pisani Dossi è un po' l'animatore di questa cornice culturale era anche molto ricco, con una grande disponibilità economica, quindi
decise di farsi costruire una casa, che non fosse solo una sua casa, ma anche una specie di luogo dove i vari scapigliati potessero ritrovarsi
a discutere di arte, letteratura, ecc.
Decise di realizzare questa casa non nella città dove lui vive quotidianamente, cioè Milano, ma a Cardina che è sopra Como in un luogo
molto caratterizzato dalla sua posizione e soprattutto dal rapporto con la città.
L’edificio realizzato viene pubblicato su una rivista dell'epoca che si chiamava “L'Architettura Italiana” che usciva con delle pagine del
formato di un quotidiano e poi invece delle tavole più rigide nel quale erano illustrati degli edifici, di cartoncino e non era rilegata, nel senso
che poteva essere poi raccolta in cartelle; erano una specie di “raccolta in foglio”.
Il modo in cui le riviste pubblicavano questi progetti in grandi fogli erano un invito a utilizzare questi edifici come dei modelli, avere
illustrazioni molto grandi, molto schematiche, le piante, i prospetti significava fornire questo materiale come un elemento di suggestione
per la progettazione.
All'epoca aveva in Italia una certa notorietà, ma poi viene letteralmente rimossa dalle pubblicistiche, dalla letteratura tanto che è difficile
che voi lo troviate delle immagini nella manualistica.
Questo è il fronte con cui si presenta l'edificio e vediamo una tipologia che si diffonde tantissimo in Italia all'inizio del secolo (tra ‘800 e
‘900) che quella del Villino Borghese, quindi una piccola villa di solito con tutta una serie di elementi distintivi, la torretta che rimandava
aveva un po' delle pretese di ascendenza significativa dell'edificio (la torre è sempre qualcosa di simbolico che rimanda un'architettura
con un'utilità celebrativa difensiva). Però tutto è rimpicciolito e portato al livello di un nuovo ideale domestico, della borghesia a cavallo del
secolo, che è un po' il simbolo della propria esistenza, del proprio ruolo sociale.
Vi sono dele colonne binate solo su un angolo, una semicolonna nel muro più a sinistra e una semicolonna libera a destra. Questo
sottolinea la libertà con cui sono intesi questi elementi che rimandano alla classicità.
L’edificio è appartenuto sempre alla stessa famiglia ed è esattamente conservato nello stato originale. A distanza di 100 anni l’immagine
è la stessa, se non fosse per la vegetazione più rigogliosa.
Vi sono tutta una serie di elementi che sembrano sotto certi punti di vista appartenenti ad una tipologia banale, ma invece risulta
frammentata e composta e rivela tante cose che a prima vista non vengono colte. Ad esempio questo balcone che è interrotto e poi
ripreso successivamente.
L’impluvium
Era il luogo dove si riunivano gli Scapigliati, e lo si può capire dal fatto che ogni colonna è stata dedicata a uno degli Scapigliati, era una
specie di dedica con un'iscrizione che era riferita alla personalità dell'individuo.
Una cosa inusuale per essere una parte collocata sottoterra è che la parte interna delle colonne è investita da una luce diretta che non
avremmo potuto trovare in un impluvio completamente ipogeo. Infatti se ci giriamo dall'altra parte vediamo che la villa è situata proprio su
una sorta di precipizio, di grande discontinuità altimetrica.
Da una parte vi è un giardino in quota e dall’altra una grande scoscesa.
Dal prospetto si può vedere il volume in alto a destra che si scorgeva anche nell’altro prospetto, la passeggiata pensile dell’impluvium e si
affaccia sulla città di Como e poi vi è un grande muro di scarpa che sorregge tutta questa parte volumetricamente predominante rispetto
alla parte che si poteva cogliere a primo impatto.
La grande finestra ad arco rimanda nuovamente agli edifici di Sullivan a Chicago, ma in quello di Conconi e Perrone ha due colonne che
la interrompono e quindi riprende la tipologia proprio della finestra Roma termale, ponendo attenzione al rapporto molto complesso tra la
memoria delll'antico e l'invenzione.
La sezione fa comprendere bene la successione degli ambienti: giardino, piano del viale di accesso, grande atrio con lo scalone che
scende e non sale; vi è inoltre un piano superiore ulteriore che è destinato ai servizi.
Il piano terra è il piano delle notte, quello interrato è la zona in cui si sviluppa un grandissimo piano destinato al soggiorno e allo svago, il
cuore pulsante dell'edificio ed infine vi è un piano inferiore destinato ai servizi, alle cucine, il piano crotto e la cantina.
Questa vista fa comprendere bene come si instaura la villa sul contesto del dirupo.
vi è sulla destra il piano del giardino; la villa è costruita proprio sull'orlo del dirupo e ha questa parte basamentale occupata dalle cantine
e da muro di scarpa che permette l'espansione del piano destinato al soggiorno, mentre la parte superiore col piano delle camere da letto,
il piano di servizio con un'altra fila di finestre perché nel piano delle camere da letto c'è una parte di servizio, dei bagni delle stanze di
domestici che è più bassa e che quindi genera un ammezzato nel quale sono poste delle altre stanze di servizio. Il piano superiore è in
realtà il piano dei bambini cioè una specie di sala di gioco, in modo da separare il mondo dell'infanzia da quello degli adulti (c'era una certa
rigida divisione delle fasce d'età soprattutto in una famiglia alto-borghese com'era quella dei Pisani Dossi, dove l'individuo entra in società
solo con la maggiore età, mentre prima conduceva una vita separata rispetto a quella del resto della famiglia).
Siamo nella parte superiore del giardino e vediamo questa vista su Como.
Lo studio sembra ripreso dalla casa Red House di Morris, anche perché le stoffe utilizzate per questi imbottiti sono tappezzerie di Morris
ed è una scelta moderna, fatta dagli attuali proprietari che hanno rifatto queste sedute e che però non casualmente hanno deciso di
utilizzare le stoffe di Morris che ancora vengono prodotte e commercializzate, con un rimando sempre al Medioevo.
A prima vista il salone sembrerebbe di un palazzo cinquecentesco o settecentesco, ma osservando attentamente gli affreschi si vedono
dei dettagli che rimandano più all’epoca contemporanea, come l’affresco del pavone.
Il lampadario della sala da pranzo da una parte rimanda ai lampadari medioevali, ma l’esaltazione delle lampadine ricorda un po' alcuni
particolari presenti all'interno degli edifici di Adler e Sullivan.
LA TRIENNALE DI MILANO
LA VILLA DI MONZA
Nasce inizialmente come biennale, e viene
allestita nella villa di Monza, donata dai Savoia
allo stato, e in cui nasce un istituto per le arti
decorative (ed arti applicate → precedenti al
design industriale, infatti sono applicate agli
oggetti legati al mondo della produzione.) Guido
Marangoni fonda ‘casabella’.
Inizia a prendere spazio l’architettura (prima era mostra di arti decorative), fino a
diventare elemento cardine, si sperimenta e poi si consolida il modello a padiglione.
Questo è essenziale per la conoscenza e lo scambio di informazione, crescita
formale ed anche banco di prova per gli architetti stessi.
Casa Elettrica
Opera del ‘Gruppo Sette’ in cui Figini e Pollini si occupano nella definizione delle
camere da letto, Libera degli arredi. Bottoni della cucina e dei bagni (mostrando
l’utilizzo delle più moderne innovazioni specie delle avanguardie tedesco-
austriache).
[Il sito della Triennale viene riorganizzato, con archivio delle esposizioni.]
Mostra realizzata nel ‘palazzo delle esposizioni di Roma’, costruito nel 1800 dal padre di piacentini, Pio Piacentini, con stampo barocco-
classicista. In occasione della mostra, si riprogetta la facciata per rimodernarla. Fu progettata da Mario de Renzi e Adalberto libera. Si
mantiene la pianta del palazzo, con l’atrio e la successione degli ambienti (caratterizzate da un’illuminazione dall’alto), nei quali venivano
allestite delle scenografie che celavano gli spazi originali per creare nuovi ambienti.
Non si esponevano più quindi, oggetti, ma allestimenti nuovi che raccontavano episodi ed avvenimenti, inaugurando anche la stagione di
collaborazione tra artisti ed architetti.
La Triennale dal 1933 passa sotto la direzione di Ponti, e ogni triennale viene spesso
attribuita ad un architetto (es: la VI è quella di Pagano).
Nel caso della V Triennale, i volumi di Domus si dedicano principalmente a quella.
Lo spazio si adatta all’allestimento. Albini in grado di gestire e definire lo spazio. Composizione lontanissima dalla pianta della villa reale di
monza.
Foto della stanza per un uomo, nella VI Triennale, che fa vede come
dal prototipo di ‘casa’ si passi anche al prototipo di ‘ambiente’ ed
all’arredamento che esso possiede.
A destra: quaderni delle nuove triennali (anni 50-60) dove viene ripreso il suo
ruolo di catalizzatore di creatività. In questi anni nasce il design.
Nei primi anni 2000, mostra del design industriale. Gli spazi
del primo piano sistemati da Michele de Lucchi. Installato
fino al 2007 in design musum, ogni 6 mesi cambiavano
allestimenti.
Palazzo Castiglioni
Facciata principale: esattamente come per l’edificio sventrato dai bombardamenti di Londra, questa immagine, che ci svela un edificio
integro, indica una foto molto simile. Osservando nel dettaglio l’immagine:
1. Dalla fotografia si può capire la scala dimensionale dell’edificio grazie alla persona in basso a sinistra, analogamente agli edifici di
Chicago. Le dimensioni di finestre, porte ecc. sono molto superiori a un dimensionamento medio: il grande ingresso deve essere di
almeno 5m! Edificio quasi monumentale
2. Se le strutture degli edifici di Chicago per ampiezza delle aperture e l’esiguità della parte piena della facciata lascava introdurre che
l’edificio avesse una struttura metallica portante, in questo caso cosa deduciamo dalla foto? La grande quantità di massa muraria
che si vede ci fa capire che la tecnica di realizzazione è tradizionale, non si ha una struttura a telaio in acciaio
3. L’edificio non è simmetrico: apparentemente lo sembra, poi tracciando un asse immaginario si notano un numero diverso di oculi (3-
2), piccola campata a destra ecc. l’apparente simmetria è in realtà contraddetta da una composizione che gioca sull’irregolarità della
simmetria della facciata.
La pianta mostra un lotto stretto e lungo, con la presenza di due edifici differenti: uno sulla città, uno rivolto verso il giardino e un viale
poco trafficato (viale-giardino) carattere molto diverso delle due vie e dei due edifici (edificio in alto portineria-scuderia-rimessa-casa
del custode). Risolve la dimensione trapezoidale del lotto. L’ingresso è un edificio a sé stante che in parte risolve l’irregolarità del lotto,
entrambi da forma trapezoidale portano il giardino ad essere di forma regolare. Contraddire la regolarità, grazie a un
espediente/irregolarità. L’edificio a nord è poi asimmetrico, la facciata sul giardino entra in relazione con la curva del giardino.
L’edificio principale ha un’estensione in profondità molto allungata (cfr. Chicago, edifici con grandi luci, struttura in acciaio). In pianta si
vedono, oltre stanze che colmano il perimetro e verticale risoluzione dell’areazione e illuminazioni con i cortili interni e lo scalone
sfruttare al meglio la profondità del corpo di fabbrica. Meccanismo complesso simile al meccanismo della villa pisani dossi (che rivela la
collocazione sul crinale di una costa). Il dispositivo è sorprendente vista la capacità di Sommaruga di utilizzare i vincoli (chiostrine interne,
ambienti di passaggio molto articolati) in occasioni di sviluppo di un meccanismo di relazione tra gli spazi sorprendente.
Ingresso da corso Venezia: si entra in un androne, stanza al piano superiore, dal quale si passa
a uno spazio ad altezza doppia. Quest’ultimo ha un lucernario (terza chiostrina). Si passa poi
attraverso un diaframma di colonne in porfido nero a una scala barocca a due rampe che occupa
la parte bassa di un grande ambiente completamente vuoto ai piani superiori, con un lucernario.
Scalone molto luminoso. Si vedono le due rampe, l’intradosso, un affaccio che dall’androne
riesce a vedere attraverso il secondo ambiente, lo scalone fino a una sala più piccola che serve
a collegare il piano nobile ai successivi.
Facciata: edificio a cavallo del secolo, composizione esterna bugnato rustico che ricorda le
architetture del 500 romano (Palazzo Chigi, pietra sbozzata = parte inferiore materia rudere,
significato allegorico dell’architettura = arte frutto dell’artificio umano) a volontà di ricollegarsi alla
sda attraverso le epoche. Tuttavia, statue liberty: corrente che si sviluppa meno sostenuta da un
impianto ideologico meno impegnato di Morris. Si ispira a forme nuove e differenti che non hanno
un rapporto diretto con gli stili storici, elementi fitomorfi, tratti comuni con art n kraft. Elemento
trattato con leggerezza e ridondanza differente rispetto a morris. Caratteristica che si ha anche
nella secessione viennese (forte geometrizzazione della facciata, in alcuni punti sovrabbondanza
di elementi decorativi). Vengono tolte le due sculture e mutata l’orditura superiore dell’ingresso, le
sculture vengono rimosse per pudore pubblico, impronta michelangiolesca, statua di schiena
casa = ca’ di ciap. Sommaruga le smonta da qui e le rimonta nella villa Faccanoni Facciccani. Nella
seconda versione il portone risulta più alto perché la tamponatura viene
spostata più in alto lasciando vuota la parte del vetro. La parte che si apre del
portone ha una dimensione esigua rispetto alla dimensione complessiva del
portale. Pannello ed elementi decorativi vegetali fitti e forti che fanno pensare
alle formelle della scuola di Chicago, nonostante la parte modulare ripetibile ce
l’hanno di più i decori sule finestre rispetto alla decorazione del portale, più
imponente e più decorato che cerca di ovviare alla perdita delle statue.
Scalone: la luce piove dall’alto, grande finestra che si affaccia sulla chiostrina (quella che sta sopra l’androne). Finestra che da sull’esterno,
ogni elemento dispositivo dell’edificio permette di traguardare spazi diversi con dimensioni con convenzionali/ conformi tra di loro.
Pianerottolo grande: si vede bene la finestra che affaccia sulla corte interna, al tempo stesso si riesce a traguardare la parte su strada.
Decorazione in ferro battuto analogamente agli elementi decorativi in stucco. Stessa decorazione di elementi floreali sulle pareti, on dipinti
ma con tecnica dello sgraffiato: muro rivestito di vari strati di intonaco di colori differenti, una volta steso l’ultimo strato si potevano ottenere
decorazioni, incidendo, che si sviluppavano su tre dimensioni. Asportare lo strato eccedente.
Facciata verso il giardino: veranda chiusa al primo piano, abile nell’integrare un’idea differente:
utilitarista, veandea che si ispira alle serre (Cristal Palace): recupero espressivo e funzionale
delle serre. Affaccio sul giardino, parte più fluida che sporge e si affaccia con l’edificio della
protineria, più bassa. Elemento tipico compositivo di Sommaruga: elementi verticali interrotti,
nel cancello i contrafforti sono pensare per svilupparsi in altezza e poi interrotti.
Funicolare: stazione di arrivo e tracciati su cui scorre la funicolare, o in torre o nascosti idea
di Sommaruga, utilizzare il piano inclinato della funicolare, impostando l’architettura d’arrivo
secondo questo asse inclinato. Non viene celato, ma elemento compositivo dominante.
Riferimento al palazzo Berri Meregalli: apparentemente immagine diversa, ma riferendosi al prospetto del progetto carattere classico:
torri, elementi che plasmano le sue forme, come con questo edificio molto plastico. Negli stessi anni Ulisse giulio arata, elementi che
assumono plasticità: pareti non scatolari, mobilita, massa dell’edificio non come rigida ma plasmata in forme più morbide. Recupero
elementi gotici, romanici ecc...
Castello di Giuseppe mancini a Zoagli: edifici svalutati da una critica militante, non ancora
moderni cazzate, prima di tutto gli apparati decorativi erano interessanti perché
mescolavano più stili ed elementi di invenzione ispirati alla vegetazione, ipertrofici perché
mutavano la struttura volumetrica degli edifici. Non sembrano tagliati con un bisturi ma
plasmati in un blocco di argilla. Tracciando una strada che li stava emancipando da elementi
storicisti. Come esiste un fluire molto più complesso tra gli elementi architettura futuriste di
Eugenio Sant’Elia si ispira. Cancello di Sanbenelli Torre molto più alta e poderosa che appare
troncata. Cartoline che Mancini spedisce a Portaluppi
Progetti immaginari di centrali elettriche: rendere un elemento compositivo fondante della funicolare = gli
elementi che di condotta forzata di circolazione dell’acqua non sono più un elemento funzionale ma fondante
dell’architettura.
Progetti realizzati da sé tra il 1913 e 1914 per una città utopica, non vere occasioni di lavoro. Quando si imbatte
il progetto è straordinariamente simile a quello di villa pisani dossi. Sant’Elia è la personalità visionaria che
traendo e affondando le radici nella cultura del proprio tempo fa un passo non spiegabile se non ci fossero
state le architetture di Sommaruga e di conconi.
Allievo di Adler and Sullivan, nasce dalla scuola di Chicago. Mostra subito un personale talento che lo porterà a emanciparsi dallo studio
(conduceva una serie di progetti autonomi in parallelo, detti case di contrabbando). Questo motivo determinerà la fine dei rapporti con
AS e l’inizio di una carriera autonoma.
Figlio della cultura architettonica americana, la sua formazione è particolare: non si laureerà mai in architettura studi in una scuola tecnica.
Il padre pastore protestante, la madre investe nell’istruzione del figlio affinché lui diventi architetto, utilizzando anche sollecitazioni esterne,
tra cui i famosi giochi fröbeliani (corrente di educazione infantile di Freubel) che prevedevano la manipolazione di forme in maniera sempre
più articolata. Elemento che sicuramente ha inciso sull’immaginario di Wright, ma non una portata totalizzante nella formazione di Wright.
Ha contribuito alla riduzione di forme complesse in elementi geometrici più semplici, ma non rivestono IL ruolo.
Come le Corbusier non può essere ricondotto solo ai 5 punti dell’architettura, con Wright non si può ricondurre alla casa in mezzo alla
natura e il camino come fulcro dell’abitazione. Pur partendo dalla casa dei pionieri dove il camino è l’unico elemento in muratura al centro
della casa, non può diventare l’unico punto in cui si concentra l’attenzione su Wright.
-----QUINDI – LUOGHI COMUNI DA SE PROPRIO PROPRIO ACCENNARE MA SUI QUALI NON DILUNGARSI:
- Giochi Fröbeliani
- Casa nella natura / camino come focolare
- Vicende biografiche della vita di Wright tra cui soprattutto l’omicidio della moglie e l’incendio successivo della casa da parte di un
domestico estremista che criticava la relazione “adultera” (il divorzio non era possibile al tempo) di Wright, uccidendo moglie, figlio,
alcuni collaboratori e infine dando fuoco all’intera abitazione. Wright scappa infatti con la nuova compagna dalla moglie, compiendo
un viaggio in Europa (tour italiano) -------------
- Taliesin I (1911-14)
- Tragedia familiare e ricostruzione Taliesin II
- Ripresa professionale e Midway Gardens 1914
- Secondo viaggio in Giappone e Imperial Hotel di Tokio 1015-21
- California e Textile Block Houses 1921-24
- Taliesin III 1925-35
- Broadacre City 1931-35
Dagli anni ’80 dell’Ottocento agli anni ’60 del Novecento dagli uomini a cavallo alle automobili. Tripartizione della carriera di Wright.
Wislow House: una delle prime opere che realizza da solo. Lavoro in
autonomia rispetto alle collaborazioni con lo studio di A&S, periodo di
emancipazione dallo studio. 1893, in parallelo con la Casa Pisani Dossi e
Palazzo Castiglioni. Punti di incontro e differenze.
L’edificio è perfettamente simmetrico? No, il carpot sulla sinistra rompe la simmetria perfetta del complesso. Prppetto posteriore mto
articolato, bow window, si lega all’uso del giardino che viene fatto sul fronte posteriore. Articolare volumetrica più complessa. Piata =
camino centrale aperto sia su ingresso che su soggiorno. Non simbolico, partire da tradizione autoctona della casa di pionieri in camino
di muratura e costruzione lignea per i tamponamenti. Motti morali attorno al camino.
Edifici di fronte alla casa di Wright, stile evoluzione casa dei pionieri
(portici, architettura palladiana delle grandi residenze del sud che
rappresentavano la nascente borghesia americana) Schindler (?)
style. Parte a rirendere alcuni dettagli dell’edilizia tradizionale come il tetto a
falda, trasformando operò il termine classico in un più composito risultato.
Secondo piano: continua l’articolazione dello spazio privato sull’alto, mentre sotto si hanno
le parti a doppia altezza della biblioteca e della drafting rom con le coperture.
Camino con motto morale scolpito, verità, vita e amici. Il camino è si al centro ma è solo
una delle caratteristiche dell’abitazione di Wright. Spesso nell’ingresso c’erano dei divanetti
dove sedersi per riscaldarsi un po’ appena entrati dall’esterno. Ingresso della casa dove si
vedono stucchi ed elementi (es soffitto con lampadine) che ci fanno ritornare a d esempio
all’Auditorium di A&S. raffigurazione più canonica e tradizionale, spesso caldi di opere
dell’arte greca. Fregio orizzontale con figure umane inserito come elemento di citazione più
che elemento conformante a un partito classico. Dall’esterno è infatti evidente la volontà di
emancipazione dalla convenzione.
Parte finale della playroom, gioco di soppalchi, citazione classica = calco della Nike di
Samotracia. Anche in Wright iv è la volontà di rimandare slls tradizione usando la citazione più
qualificata come elemento di confronto tra la sua architettura e l’origine dell’architettura.
Edificio coevo alla sua casa dove si vede la volontà di prendere il cottage inglese con il
bowwindow a finestre neogotiche (Art nCraft), forme geometriche che assumono durezza e
purezza che le emancipa dal modello raaeetebnrae del cottage inglese. Camini allineati che
diventano lastra che taglia la geometria del tetto
Prare houses
Tradizione dei pionieri. Non vezzi espressivi della personalità, ma linguaggio americano ed
economico. Tipica la pianta cruciforme al piano terra. La scala è particolare, soffitti bassi,
ambienti ampi ed estesi ma che non hanno mai dimensioni monumentali.
Ingresso nascosto? Dall’esterno di vede il piano, giardino più basso della strada, corte
di servizio, ma l’ingresso di insinua sul retro in una piccola hall di ingresso sotto il piano
terra tramite una scala che porta al piano superiore. Dall’esterno percezione della parte
di soggiorno, bowwindow che pensa allo spazio esterno, gioco raffinato sul limite
tra dentro e fuori. Asola sopra il camino. Cfr. palazzo Castiglioni con sguardi che
attraversano in maniera non convenzionale lo spazio: permeabilità dello spazio
con esterno, finestre piccole che lo schermano dallo sguardo dall’esterno,
l’inferriata sul bowwindow non è possibile vedere dall’esterno l’interno.
Spazio per il pranzo: gambe che spuntano a reggere il tavolo che sedie dalla
conformazione particolare con schienali che arrivano fino al pavimento. Spazio
fluido e ampio, elementi di illuminazione alti e spalliere alte fanno si che lo spazio
dei commensali attorno al tavolo diventi stanza nella stanza.
Confine incerto tra spazio interno ed esterno del soggiorno: sempre coperti dalla lastra
orizzontale del tetto al primo piano. Spazi orizzontali scomposti che si ritrovano dell’arte
cubista di Picasso nel 1910 (ritratto Wilhelm Uhde).
Larking Builidng: edificio commerciale, l’azienda decide di costruire la sua sede a wright.
Produttore commerciale di biciclette. Periferia industriale: l’edificio si integra per negazione,
dall’esterno elemento tuttuno, dall’interno fa di tutto per non percepire lo spazio esterno. Prima
soluzione: necessità di avere un corpo annesso, simmetrico, con piano il corpo si trasforma come
il carpot. Asse di simmetria principale e secondario sul quale si innesta il corpo annesso. Nelle
torri le scale di risalita. Ingresso per clienti e per fornitori, interpiani diversi (ammezzato interpiani
più bassi). Composizione sempre per lastre, forma percorsa e ritmata da solchi profondi nella
muratura esterna. Evoluzione degli spigoli: scale che si emancipano sempre di più, estrusioni del
volume principale. Piano terra in cui wright applica la soluzione dell’open space. Edifico turificato
con solchi, determina zone che grazie alle partizioni prevedere una percezione diversa dello
spazio. studio rigoroso e semplificato con punti in cui sono previsti elementi decorativi densi.
1841-1918 sono le date di nascita e di morte di Otto Wagner, uno degli esponenti più noti della cultura architettonica austriaca in
particolare viennese e, soprattutto, un iniziatore della Wagner Schule la quale poi porterà alla Secessione Viennese.
In Wagner, come visto anche per Sommaruga, vi è la doppia attitudine:
⋅ da una parte a essere figlio della cultura architettonica e artistica del proprio tempo, quindi ad aver frequentato un’attività didattica,
un’accademia che è caratterizzata dall'insegnamento degli stili, dei vari stili delle varie epoche, quindi l'idea del progetto era
strettamente collegata a quella di una sorta di revival storico di alcuni elementi caratteristici che arrivano dalla storia;
⋅ dall'altra, esattamente come avveniva in Sommaruga, la volontà di emanciparsi da questa ripresa, seppur personalizzata, degli stili
storici attraverso due strade:
1. quella di inventarsi delle tipologie, quindi delle combinazioni proprio tipologiche dal punto di vista della combinazione degli
elementi che costituiscono le parti in un’architettura che evadessero dagli insegnamenti della storia (complice anche il fatto
che con l'avvento di una nuova epoca, segnata dei grandi rivolgimenti politici e dalla Rivoluzione Industriale erano necessarie
tipologie di edifici nuovi);
2. dall'altra come dire forzando la compresenza di questi stili e soprattutto cercando in maniera sempre più esplicita, dichiarata,
di inaugurare uno stile nuovo, cioè uno stile per la nuova epoca.
Quindi, a un certo punto, è palese la volontà di emanciparsi anche linguisticamente da questo dettato degli stili storici.
Questo è un progetto per una banca Landerbank del 1882-84 e anche qui è
interessante vedere come la composizione dell’architetto sia figlia di un
insegnamento di tipo accademico e quindi vi è l'idea di avere una pianta
assiale, un impianto simmetrico, elementi che tendono ad un modello ripetibile
e riconoscibile; per cui non solo negli alzati, non solo nelle soluzioni con cui
vengono risolte le superfici dell'architettura, ma anche nella concezione della
pianta. Questo però non implica che questa modalità professione impiegata
avvenga in una maniera banale, come spesso si pensa all’idea di impianto
accademico, soluzione accademica rigida, bensì gli architetti potevano essere
dei bravi architetti anche se erano degli architetti accademici. In questo caso
la pianta evidenzia la capacità dell’architetto di risolvere i problemi funzionali,
seppur utilizzando uno schema piuttosto rigido, ma adattandolo all’esigenza.
Questa pianta riprende elementi della classicità, come i tondi, la specie di
galleria che suggerisce una forma basilicale.
Il problema riguarda il lotto, il quale non è regolare; Wagner riesce, attraverso l'utilizzo di forme, il fronte è un fronte simmetrico, regolare,
i vari ambienti che costituiscono la concatenazione di questi spazi sono degli ambienti di forme regolari, però l’assialità di questo progetto
in realtà ha una spezzata, c'è una dissimmetria. I due assi di simmetria si intersecano e il progetto muta per adattarsi alla forma del lotto
e risolvere in maniera equilibrata, composta un impianto complesso.
Guardando dall'alto questa pianta, con questi elementi di forme differenti che si integrano l’uno dell’altro rimandano a Villa Adriana, la villa
dell'imperatore Adriano, di cui abbiamo solo i resti.
Rovine romane che ci mostravano non solo più una pianta di un edificio, ma una parte di città costituita esattamente come vediamo
costituito questo edificio, cioè un insieme di forme regolari che però creavano una serie di interazioni tra di loro, generando un organismo
complesso.
Questo è il progetto per una villa che Wagner realizza per sé stesso a Vienna nel 1886-
1888, Villa Wagner I, e nuovamente in questo caso si vede la composizione
tipicamente Beaux Arts; la pianta potrebbe essere una sorta di sintesi tra una pianta di
un edificio greco-romano, ma anche palladiano ed è una tipologia quasi universale nel
senso anche un museo potrebbe avere questa pianta.
Negli anni Ottanta dell'Ottocento l'architetto si muove in questa direzione però poi
osservando il prospetto di questo edificio è riscontrabile anche che ci sono una serie
di deroghe da questa idea molto precisa neoclassica. Queste deroghe non sono tanto
i cromatismi che oggi appaiono abbastanza evidenti, sorprendenti ma che in realtà
erano tali anche nell'architettura greca e romana, non campiture bianche come il
neoclassicismo, ma è evidente come Wagner ritorni attraverso l'ispirazione al modello
originale ad una pittura policroma che era quella appunto greca e romana. Si presenta così
una soluzione che si emancipa dalle superfici neoclassiche bianche con cui veniva di solito
riproposta l'architettura della classicità. Ci fa capire una volontà di emanciparsi a quel
modello; altra deroga è la copertura con questi elementi rivestiti di linee che sporgono dalla
gronda e queste mensole metalliche in corrispondenza delle colonne che reggono la gronda;
anche la balaustra, la ringhiera della scala con andamento più fluido, sinuoso che cerca di
trovare già una propria autonomia rispetto al modello classico.
L’edificio riprende lo stile dell’Altes Museum di Berlino realizzato da Schinkel, il quale
presenta anch’esso questo portico con colonne replicato in un numero di campate molto più
elevato rispetto a Villa Wagner I, ma che riprendere nuovamente questo impianto.
Wagner mostra subito questa attitudine, che si vedeva già dalla pianta della banca, a risolvere anche i problemi funzionali complessi quindi
non semplicemente a come per esempio nella Villa, la quale rispetto la banca è una modalità differente di intendere l'architettura, però
l’architetto è attratto della possibilità che l’architettura offre di essere una specie di regista superiore all’articolazione di problemi anche
funzionali più complessi, come ben dimostrato nella banca.
La planimetria del piano generale per la metropolitana di Vienna, una delle prime città al mondo a dotarsi di una metropolitana che era in
parte fuori terra e in parte interrata, e si occupa della progettazione non tanto delle linee, dei tracciati ferroviari, della parte meccanica,
ma del display, cioè degli elementi con cui la metropolitana era fruibile dalle persone, occupandosi della
definizione architettonica delle stazioni.
Qui inizia un percorso indipendente rispetto agli elementi che erano evidenti nella sua casa e però già
intrisi da una sua attitudine a risolvere anche i problemi funzionali complessi come nella pianta della
banca.
Questa è una delle stazioni della metropolitana; in questo caso era previsto un tracciato sopraelevato,
deducibile da questi archi che reggono il tracciato della metropolitana, e Wagner quindi pensa a una
stazione il cui elemento funzionale deve portare il piano dei binari. Realizza questa specie di contrafforte
coi muri lievemente inclinati, molto possente, con quattro elementi che sembrano dei bastioni laterali,
con la pianta allungata che permette di salire al piano superiore.
La modalità con cui è costituito questo volume poderoso tronco ricorda Palazzo Castiglioni nella parte
della portineria e poi quella che doveva essere la stazione di arrivo della funicolare nell'albergo di
Varese. Era un espediente tipicamente secessionista, che si svilupperà proprio in questi anni, e Wagner
è uno dei suoi ispiratori, animatori, ed è interessante perché è chiaro che parte da elementi desunti
dalla storia e li combina con forme, volumi e attitudini che arrivano a decifrare un elemento nuovo,
riconoscibile appunto dall'idea di questi elementi poderosi come se fossero le basi di grandi torri, che
Qui vediamo degli edifici, dei progetti di Wagner per le stazioni della metropolitana, quella per
Karlsplatz a Vienna 1898, quindi già nel pieno della Secessione, e si vede anche come questo
staccarsi dagli stili storici in maniera esplicita, così come aveva fatto William Morris e Kraft,
rifugiandosi nel neo medievalismo idealizzato, ed è anche quello che faranno altri architetti,
soprattutto in Belgio, la cosiddetta architettura Liberty, cioè partendo da un estremo
decorativismo, dalla ripresa di elementi decorativi fitomorfi, i quali arrivano quindi dal mondo
vegetale, le linee fluide, si era formalizzato in una serie di linguaggi che di solito vengono
raccolti sotto l'etichetta di “Art Nouveaux” cioè “Arte Nuova”, che in ogni paese è declinato da
una propria attitudine, personalità; in Spagna vi sarà appunto Gaudì, in Italia vi sarà
Sommaruga, vi saranno architetti come d'Aronco, che poi costituiranno un più esplicito, quasi
didascalico, rimando al Liberty floreale.
Non è tanto interessante differenziare le etichette, citarle in breve perché sono state utilizzate
dalla storiografia, ma vi è il desiderio di capire come c'è un fermento comune che viene poi
declinato con linguaggi diversi, riconoscibili, ma con tutta una serie di legami trasversali che
sono più interessanti delle differenze. Allora la volontà di Wagner è quella di dare vita a uno
stile che fosse più corrispondente anche alle necessità funzionali, che in qualche modo si
confrontasse anche con quelle tecniche costruttive che, come nel suo progetto giovanile del
museo, non erano prese in considerazione. Wagner inizia ad inserire l'architettura là dove nei
suoi disegni giovanili c'era una campitura bianca del foglio; i nuovi edifici possono essere
costruiti con strutture metalliche, prevedono l'utilizzo del vetro, come nel progetto del Crystal
Palace di Paxton, e, allo stesso tempo, rispetto al Crystal Palace, possono dare inizio ad una invenzione formale decorativa ed espressiva
sulla soglia del quale Paxton si era fermato; infatti sono presenti questi elementi modulari che non sono solo decorativi, ma corrispondono
ad una struttura in ferro leggera, una specie di tamponamento; queste parti vetrate non sono più semplici vetrate, ma diventano degli
elementi che iniziano ad avere una loro caratterizzazione dell'architettura.
Qui vediamo la costruzione dove intuiamo molto bene come la quadrettatura, che
non vedevamo dall'esterno, sia in realtà un elemento della struttura che viene
lasciato trasparire, che viene trasformata, in contrasto con il progetto della banca nel
quale si deve vedere il lato bello e il lato di servizio che non si deve vedere; qui non
c'è più lato bello, non c'è più il lato di servizio, ma è una struttura utilitaristica come
la metropolitana, quindi un elemento di servizio la cui definizione veniva, fino ad anni
precedenti, lasciata unicamente agli ingegneri che l'avevano progettata, ora viene
pensata da un architetto, che trasforma un elemento utilitario in un elemento
caratterizzato da una forte identità architettonica, e anche nella sua costruzione inizia
a far sì che quella campitura bianca che sostituiva la struttura, la tecnica costruttiva
che si vede negli edifici giovanili, venga colmata, venga disegnata ma non solo,
quello spazio bianco diventa l'architettura. C'è ovviamente una grande attenzione alla decorazione, ricordando sempre la concezione
dell'architettura come della natura tessile, quindi la volontà di trasformare il rivestimento in un elemento applicato che ci rimanda
idealmente alla natura tessile della parete, però allo stesso tempo, come nella capanna che i nomadi rivestono col tessuto traspare
l'ossatura lignea, traspare l'elemento strutturale, anche Wagner fa trasparire l'elemento strutturale, che poi verrà decorato, ma la griglia,
la maglia strutturale diventa un elemento che si coglie nell'architettura; è un passaggio diverso, cioè più intellettualizzato rispetto a quello
che avviene negli Stati Uniti con la Chicago School, dove anche lì piano piano la struttura si rivela all'esterno degli edifici, però gli americani
sono più pragmatici, alcuni edifici non hanno poi neanche dell'intenzionalità, ne teoriche, mentre Adler e Sullivan sì, ma molti degli edifici
storici avevano una matrice utilitaristica più evidente rispetto alle opere di Adler e Sullivan; però là c'è sempre un certo grado di
pragmatismo, qui c'è invece una forte intellettualizzazione di questo processo ma con dei risultati che appunto fanno trasparire una
struttura, con la struttura differente, che è realizzata con materiali nuovi, differenti, sulla
superficie dell'edificio anche quando questa viene poi fortemente decorata, fortemente
caratterizzata dagli elementi decorativi che la rivestiranno.
Qui vediamo molto bene come funziona: è una specie di basculante che può essere aperto e chiuso per
regolare quindi il flusso delle acque.
Osservando la pianta capiamo che si tratta di blocchi residenziali molto profondi, in cui vengono studiate delle
tipologie complesse, con le chiostrine dei cortili interni, chiostrine dei nuclei distributivi, che, anche all'interno
realizzano cortili di servizio, altri invece con una volontà di avere una propria identità architettonica e che
vengono utilizzati quindi non solo come elementi di servizio, ma come elementi di ingresso.
È visibile un’infilata dal vano scale a questo grande cortile, che non è un cortile di servizio, invece le due chiostrine
anche in questo punto avviene la stessa cosa, ma una grande capacità poi di utilizzare, di inventare delle
tipologie distributive molto complesse.
Anche negli elementi interni, come la ringhiera di una scala attorno all'ascensore, c'è sempre questa fortuna delle decorazioni che si
ispirano al mondo vegetale, alla linea fluida, e vedete come tutto questo parte, anche da Morris e dalle Arts and Craft che però
individuavano in un modello ben preciso, d'ispirazione neo-medievalista, il loro immaginario, qui invece vengono liberate da quel referente
e vengono portate verso una loro differente legittimazione espressiva.
Qui vediamo l'elemento di giunzione tra due edifici, fatti dagli stessi
architetti, ma contestualmente differenti, cioè dovevano intonare una
modalità tra loro differente, ma analoga nel cercare un linguaggio
nuovo per l'architettura.
L'Accademia di belle arti di Vienna sembra una sorta di piedistallo, di qualcosa che non c'è. Osservate come i pilastri
sono quasi delle citazioni analoghe a quelli presenti nella portineria di Palazzo Castiglioni di Sommaruga. È chiaramente
realizzato alcuni anni dopo, quindi Sommaruga probabilmente conosceva molto bene queste immagini, delle opere in
generale della Secessione e di Wagner in particolare.
Qui vediamo la Galleria d'Arte moderna di Vienna, progetto del 1900, e in questo caso sembra quasi una
citazione esplicita della natura tessile degli
arazzi che ricoprivano le pareti, qui svolge
anche e risolvere anche un problema di tipo
allestitivo, funzionale; da questo prospetto si
percepisce che vi saranno delle sale al primo
livello illuminato delle finestre, e al secondo
livello (affresco), dove non vi sono
praticamente finestre sarà presente un
illuminazione zenitale, da quelle strutture che
spuntano, i lucernari; quindi esattamente come negli Atelier degli Artisti viene preferita una luce che arriva
dall'alto, di solito questi lucernari sono poi rivolti verso nord in modo da non aver mai un’insolazione
diretta, radente all'interno dello spazio; le pareti devono essere piene, anche per ragioni funzionali, nel
senso che devono permettere di appendere le opere, appendere i quadri, e quindi sono cieche; ecco che
allora è ancora più funzionale, legittimo, che all'esterno ci sia questa specie di grande affresco con i temi
tipici della Secessione, molto anche simbolisti, ossia ci sono delle figure femminili che volano, cioè evadono dalla rappresentazione
realistica della realtà, e idealizzano attraverso dei simboli, una serie di allegorie, di metafore, e diventano anche in qualche modo didascalici
del fatto che quello è un museo, e che questa è un'arte nuova e che sovverte alcuni principi tradizionali; allo stesso tempo il suo manifestarsi
come una superficie di rivestimento tessile rimanda comunque a una conoscenza della storia: conoscere la storia per essere così
confidenti con lei, da arrivare a definire un linguaggio nuovo, che non può essere reciso nettamente, come sarà invece poi una pretesa
sempre un po' dichiarata, ma mai espressa fino in fondo delle avanguardie storiche del ‘900, di recidere ogni legame con la storia, qui il
legame c'è, ma c’è una confidenza che permette di superare quelli che sono i dettami di una serie di elementi di stili storici condivisi.
Guardando le piante notiamo chiaramente che si tratta di una chiesa a pianta centrale e che all'esterno compaiono quegli elementi presenti
nelle abitazioni precedenti. Ci sono dei riferimenti alla storia (la cupola, la pianta centrale, una quasi serliana, le colonne di ingresso) però
le colonne non reggono un portico, ma c'è questa specie di tettoia metallica sospesa a metà delle colonne e poi c'è un altro elemento che
le raccoglie prima del capitello dove sono poste poi delle sculture, molto differenti dalle sculture tradizionali, del tutto simboliste dove
appunto le ali degli angeli non ricordano più le ali tradizionali, ma diventano quasi degli elementi geometrici a sé stanti che caratterizzano
il prospetto di questa facciata. Le borchie che reggono gli elementi di rivestimento all'esterno, la quadrettatura della copertura metallica
della cupola, cioè tutto quello che prima stava in quella campitura, che dicevamo bianca per cui non era definito, non era presente
nell’architettura, ora diventa invece un elemento caratteristico dell'architettura di Wagner.
Anche all'interno troviamo sempre questi elementi che rimandano da una parte alla figurazione bizantina, come il Cristo, ma dall'altra sono
intrisi di quel simbolismo tipico della Secessione; l'intradosso della cupola non coincide con l’estradosso perché, come accadeva spesso
nella cupola stessa di Brunelleschi, dove il meccanismo strutturale funzionava proprio grazie all'indipendenza tra intradosso ed estradosso,
anche in questo caso è così: c’è un rivestimento modulare dell'intradosso e Wagner lo rivela, i moduli diventano un elemento che
caratterizza in maniera decorativa la superficie dell’intradosso, e qui ricordano anche gli elementi più decorati ma modulari col quale gli
architetti della Chicago School rivestivano l'esterno degli edifici. La campitura geometrica, la quadrettatura che vedevamo nelle piastrelle
diventa anche qua un elemento che non viene nascosto, ma anzi esalta la modularità, qui non viene nascosta la decorazione, ma la
decorazione interagisce, agisce, cioè trasforma l’elemento modulare in una delle caratteristiche principali della sua caratterizzazione.
In questa raffigurazione si capisce bene la relazione indipendente tra intradosso ed estradosso: l'estradosso non coincide con l'intradosso,
c'è un grande spazio, chiaramente nella cupola di Brunelleschi questo spazio è esiguo, qui si tratta come di due cupole, una più bassa
interna, legata alle funzioni e anche alle proporzioni dell’architettura, e una esterna molto più grande, perché deve essere un simbolo,
deve costituire una specie di segno distintivo, visibile da lontano sul territorio. Lo spazio centrale tra le due cupole però, non è più una
campitura neutra, grigia di cui l'architetto non si interessa più, ma anzi la struttura metallica della cupola, che è rivelata anche dal
Queste sono immagini dello spazio tra le due cupole: nella foto di sinistra vediamo la parte superiore della cupola, mentre nella foto di
destra vediamo l'estradosso dell’intradosso, con questa struttura in ferro principale e la maglia in ferro più piccola che poi si rivela anche
nella quadrettatura sottostante.
Questi due elementi che, partendo da presupposti diversi ma esattamente come in Wright, tendono a una
geometrizzazione delle forme.
Uno dei capolavori di Wagner è la Postparkasse, la cassa di risparmio postale di Vienna, realizzata tra il 1903 e il 1912
a Vienna, dove la squadratura delle masse in volumi semplificati, la quadrettatura del rivestimento, le borchie che
reggono il rivestimento come elemento espressivo della facciata, la forte geometrizzazione degli elementi naturalistici,
la scultura dell’angelo fortemente geometrizzata, diventano degli elementi tipici della sua grande copertura vetrata, il
rigore, la semplificazione, e allo stesso tempo però questa decorazione, che è molto presente, in alcuni punti più
concentrata come una sorta di momenti epifanici, come negli angoli dove ci sono queste statue, questa specie di
coronamento, che però lascia dei vuoti, lascia dei buchi in modo da non costituire una linea netta di demarcazione tra
il cielo e l'edificio, ma realizzare un confine più elaborato tra il volume dell'edificio e il vuoto che lo sovrasta; si tratta di
una facciata caratterizzata dalla modularità del rivestimento e degli elementi di borchiatura, più fitti o più radi, che
diventano una delle caratteristiche della superficie, ma in generale tipiche della Secessione dell'ultimo Wagner.
L’edificio presenta una pianta articolatissima, simmetrica, quindi ritorna nuovamente anche la formazione Beaux Arts, però allo stesso
tempo, esattamente come nella pianta giovanile della banca, una simmetria intelligente, che permette attraverso un’invenzione tipologica,
di risolvere un problema funzionale molto complesso.
Qui rappresentato è un particolare della sezione della corte interna, dove abbiamo delle grandi
coperture in metallo e questa struttura in metallo viene rivelata all'interno e rimanda nuovamente
alle architetture parigina, la Old Machine, però qui non si tratta più di una architettura effimera,
si tratta di una architettura duratura; non solo è una cassa di risparmio postale, una banca, ma
qualcosa che deve far trasparire, trasmettere, ai clienti della banca stessa, la solidità e la capacità, l'affidabilità dello stesso edificio, quindi
un linguaggio nuovo, che vuole testimoniare l'affidabilità di una nuova classe sociale, quella della borghesia, e che costruisce degli edifici
che devono essere soldi affidabili come gli edifici antichi, ma che ormai possono legittimamente parlare un linguaggio nuovo, e all'interno,
esattamente come avveniva nella stazione metropolitana, questa struttura in metallo diventa rivelata, diventa presente.
Altri particolari dell'interno: gli arredi sono in faggio curvato, e qui ci sarà una produzione di poltrone in faggio curvato e paglia di Vienna,
proprio perché nasce dalla lavorazione della paglia tipicamente viennese, che viene accoppiata al faggio curvato proprio durante l'epoca
della Secessione, tanto che c'è una ditta che si chiama Tonet, e non “Tonè” perché non è francese, che inizia a realizzare questi arredi
partendo da forme tradizionali, poi secondo modelli che sarà lo stesso Wagner e poi soprattutto Olbrich a definire, e che rispetto agli
arredi più tradizionali hanno un evidente grado di innovazione, sia dal punto di vista tecnico costruttivo, sia dal loro aspetto.
Questo mutamento nella personalità, maturazione della personalità di Wagner, fa sì che la sua seconda e ultima villa, Villa Wagner II, sia
molto differente dalla prima, e fra l'altro rimanda, a questo punto, anche a una conoscenza, probabilmente di alcuni dei lavori di Adler e
Sullivan, ma dello stesso Wright, che erano già stati costruiti e che si stavano costruendo in quegli anni dall'altra parte dell'oceano, e che
mostra la trasversalità di questi sforzi di rinnovare l'architettura.
Wagner possedeva uno dei volumi di Wright, cioè di queste cartelle che contenevano tutte la riproposizione dei progetti di Wright, realizzata
e stampata a Berlino, quindi molto vicino a Vienna, tra il 1910 e il 1911.
Riprendendo quello analizzato in precedenza, la Secessione Viennese si ritrova intorno alla rivista “Ver Sacrum”, è
un po' come le Arts and Crafts di Morris, riunisce in un progetto comune, che è idealista ma è anche imprenditoriale,
perché poi anche la Secessione Viennese pensa di produrre oggetti, mobili, arredi, e che vuole emanciparsi,
esattamente come Morris, ma un gradino superiore, perché, mentre Morris si rifugiava poi nell'immaginario
medievale, la Secessione Viennese tenta di forgiare un linguaggio nuovo, per quanto confidente con la storia, nel
senso che non c'è mai la volontà di obliterare, di cancellare la storia, ma di, in estrema confidenza con essa, di
stabilire un linguaggio nuovo, differente.
Si parla di simbolismo in Germania, soprattutto a Monaco, poiché si sviluppa negli stessi anni una corrente artistica
che si definisce così, che è molto vicina al preraffaellismo, quindi a quella cerchia di artisti che si muoveva nell'ambito
delle Arts and Crafts di Morris.
La Secessione nasce, appunto, intorno alla rivista, ma porta poi a organizzare una mostra delle opere successive,
una sede vera e propria della Secessione, e molti sono, nel 1900 proprio a cavallo del secolo, gli artisti che vi
partecipano, e il più noto forse è Gustav Klimt.
Questo è un manifesto per la Secessione Viennese di Alfred Roller, un altro artista vicino a Klimt
con delle caratteristiche che saranno poi anche quelle di Klimt, e che presenta delle
caratteristiche riscontrabili anche nelle architetture di Wagner.
La partizione geometrica delle piastrelle sulla facciata dell'edificio non costituiva quell’elemento
geometrico, non era qualcosa che si voleva cancellare, anzi, il ritmo geometrico della
quadrettatura diventerà, appunto, uno degli elementi cardine su cui si declinerà nei vari campi
la riconoscibilità espressiva della Secessione Viennese; così che anche nella pittura e nella
grafica, come si vede in questo manifesto, c'è una forte volontà di utilizzare delle campiture
geometriche molto riconoscibili: nella parte alta del manifesto delle righe orizzontali con delle
specie di parentesi, delle onde con questa specie di occhi, sullo sfondo una specie di stelle,
che sublimano, in qualche modo, la figurazione realistica, perché al centro vediamo che c'è un
personaggio, una donna piegata che tiene tra le mani una sfera, però tutto è
convenzionalizzato, esattamente come faceva Wright dall'altra parte dell'oceano.
Quindi è interessante andare a riscontrare questi elementi in tangenza comune rispetto a questi
fenomeni differenti, più che volerli sempre etichettare in maniera indipendente l'uno dall'altro.
Vi è questa capacità di convenzionalizzare anche l'immagine figurativa attraverso una serie di
elementi geometrici, ma nel caso della Secessione, proprio di reticoli, come retini, che
potevano anche essere geometrici, e dalla sovrapposizione di due retini con delle geometrie
diverse, ne nasceva un terzo motivo geometrico. In questi disegni, in quelli di Klimt, ma anche
il manifesto della Secessione, ci sono delle partiture geometriche che si sovrappongono, l’interazione tra di loro produce una
caratterizzazione molto forte a questa immagine; poi geometrizzate all'interno di questi elementi ritroviamo delle figure naturalistiche, delle
figure umane, delle figure antropomorfe, però fortemente geometrizzate comunque della loro definizione, e le cui parti del corpo sono, in
realtà, assorbite da queste campiture geometriche.
Questo è un elemento tipico della Secessione e sarà presente, sarà caratteristico per esempio del lavoro di Klimt, oltre che dei grafici
come in questo manifesto di Roller, e nell'architettura questo si tradurrà spesso in una campitura, una specie di quadrettatura, in una
geometrizzazione delle facciate. Nell'architettura spesso questo reticolo geometrico è evidente, e l'architetto concentra alcuni elementi
decorativi in alcuni quadrati, in alcune partiture geometriche piuttosto che in altre, ma rimane fortemente visibile questa sorta di maglia
geometrica che pervade, non solo la definizione della costruzione, ma anche l'impaginato di apertura e anche spesso gli elementi decorativi
che vengono condensati in alcuni punti.
Joseph Maria Olbrich, 1867-1908, come gli altri esponenti contemporanei, tutti attivi nella parte della maturità proprio a cavallo del secolo,
realizza il palazzo della Secessione a Vienna tra il 1897 e il 1898 quando viene realizzata la mostra della Secessione viennese.
Questo è il manifesto della mostra, e anche questa architettura riprende esplicitamente degli elementi
wagneriani, come una forte geometrizzazione che pervade sia la sua generale definizione (la parte superiore,
la semisfera perfetta della cupola, i due contrafforti laterali, i cespugli che sono potati come delle sfere
perfette) e poi vediamo che una specie di quadrettatura, che sovrintende sia la sua proposizione generale,
ma che delimita anche poi le aree dove è più forte l'intervento gli elementi plastici decorativi: i due punti attorno
all'ingresso, la parte sopra l'ingresso, la sfera, gli elementi che definiscono e che coronano i due contrafforti.
Questi sono gli schizzi di Olbrich che portano alla definizione dell’edificio della Secessione, il quale ricorda in più piccole dimensioni il
Palazzo delle Esposizioni di Wagner proprio perché all'interno la luce era zenitale, quindi c'erano queste grandi partizioni senza finestre
che sono quelle fuori risolte secondo la decorazione,
Si coglie la forte geometrizzazione di tutto l'edificio, con questo basamento e dell’elemento sommitale dalle dimensioni molto modeste
rispetto alla possenza del basamento, e anche di materiali, di cromie che lo staccano nettamente dal basamento.
Un’altra questione è che questo deve essere un edificio dimostrativo, sullo schizzo vi è scritto “Ver Sacrum”, lo stesso nome della rivista,
il quale vuole vendicare una primavera rispetto alla nuova espressività che questi artisti e questi architetti volevano ricercare.
Questa foto d'epoca mostra come l'edificio era in realtà un avancorpo, a cui poi era annesso un
elemento nel quale si sviluppava l'esposizione vera e propria.
Questa è la pianta, la quale è simile per alcuni versi alla pianta del Larkin Building, cioè quindi un
elemento spaziale abbastanza omogeneo, però in cui il volume è scandito questo grande spazio in
elementi geometrici che lo parcellizzano e lo fanno apparire come uno spazio composito
esattamente come avveniva nel Larkin Building.
Dalla sezione è comprensibile bene la successione di spazi che caratterizzano l’edificio internamente: vi è l’ingresso, al di sopra del quale
vi è la sfera e anche all'interno ritorna la decorazione con questi alberi fortemente geometrizzati; poi vi è una parte più espositiva, allestiva
con l'illuminazione dall'alto, senza finestre sulle pareti che costituiva lo spazio di esposizione all'interno del padiglione della Secessione.
Questo è un plastico che dimostra la conformazione originale dell’edificio; anche la finestratura è come se facesse trasparire questa sorta
di quadrettatura su cui sembra stato disegnato tutto il prospetto dell'edificio.
Dalla sezione del plastico si vede come la sfera della copertura è una sorta di semisfera perfetta ed è una sorta di chioma di un albero
potata appunto secondo una geometrizzazione molto precisa delle sue forme.
Sul fianco emerge questa sorta di quadrettatura che affiora poi nella definizione dei serramenti
delle finestre e anche tutti gli elementi fitomorfi si inseriscono in un quadrato perfetto, vi sono una
serie di quadrati e anche gli elementi più liberi, i quali sono maioliche della composizione delle
piastrelle che definiscono questi elementi che riprendono la quadrettatura.
Quindi è come se ci fosse una forte gerarchizzazione degli elementi decorativi che sono tutti definiti
da questa maglia quadrata, che è come se fosse estesa su tutta la superficie e la si percepisce
per assenza, ossia anche dove non c'è proprio, perché proprio dove abbiamo gli elementi
decorativi, anch’essi obbediscono in una maniera molto evidente a questa maglia quadrata che
sovrintende l'impaginato della facciata.
Olbrich realizza anche una sorta di colonia per gli artisti, la quale era stata patrocinata dal Granduca
d'Assia, Ernst Ludwig von Hessen; è una specie di tentativo, un po' come ha fatto Morris, di costituire
una sorta di luogo idealizzato nella quale tutto era improntato a un’idea prima di un'opera d'arte totale;
poi è anche un forte impianto idealistico e imprenditoriale di questa colonia, che doveva rinnovare
proprio le arti. Olbrich si propone ed il Granduca finanzia questo progetto di cui Olbrich non è il solo
autore coinvolto, ma tra gli altri anche un giovane Behrens, che poi sarà il maestro di Gropius e di Mies
van der Rohe.
Questo è il manifesto della colonia di Darmstadt, la Matildenhohe; è interessante perché anche
l'elemento di raffigurazione del luogo, dell’edificio che ricorda il Palazzo delle esposizioni di Wagner,
con l’assenza di finestre una parte superiore, il grande portale d’ingresso, il quale rimanda anche a
Wright e ad Adler e Sullivan.
Il paesaggio è, inoltre, raffigurato in una maniera convenzionalizzata, gli alberi sono dei triangoli e l'elemento di strada che porta all’ingresso
é rivestita di questo pattern a scacchi; l'edificio è fortemente geometrizzato e anche i due elementi verdi laterali sono in realtà degli alberi
nel loro vaso rosso, ossia il quadrato rosso.
Questo tipo di rappresentazione rimanda alla passione di Wright per le xilografie giapponesi, cioè forme d'arte nel quale i paesaggi, gli
elementi naturalistici erano fortemente geometrizzati e anche quando sembravano rappresentazioni più libere, in realtà sottintendevano
una forte geometrizzazione dell'organizzazione generale dell'opera.
Queste riflessioni fanno capire come alcuni elementi siano trasversali, ad esempio questo grande interesse per la geometrizzazione sia in
campo artistico, sia nel campo delle arti della scultura, dell'architettura, è presente in Wright lo prende dalla cultura giapponese, dopo c’è
nella Secessione Viennese.
L’attenzione a questo processo di convenzionalizzazione geometrica si spiega poiché era uno dei modi con i quali sia nel campo delle arti
sia nel campo dell'architettura si poteva avere da una parte una confidenza con la storia perché non si negava la tradizione pittorica, non
si negava l'idea della rappresentazione, ma dall'altra parte si poteva emancipare da una serie di modi banali della rappresentazione, si
poteva inaugurare un linguaggio nuovo, confidente con la tradizione ma nuovo, indipendente.
Ognuna delle culture prima citate sviluppava queste sollecitazioni in modo molto differente, ma allo stesso tempo un modo che permette
di demarcare una linea comune, trasversale che attraversa queste culture ma che anche mette in relazione, avvicina luoghi, che anche
geograficamente sono molto distanti.
Questo è uno degli edifici della Matildenhohe, caratterizzato da una forte semplificazione: nella parte superiore non ci sono elementi, non
ci sono finestre perché era necessaria una parte allestiva, c'è una pensilina che sporge, l'arco è quasi un semicerchio, gli elementi
naturalistici, quelli che non sono sottoposti alla rigida geometrizzazione, sono le due sculture che stanno ai lati dell'ingresso e poi anche
le finestre del piano più basso hanno i serramenti caratterizzati da una maglia quadrata, che quindi rimanda a una sorta di gerarchia della
quadrettatura che sovrintende il “come è impaginata la facciata e come soprattutto sono impegnati poi gli elementi decorativi”.
Sono presenti degli alberi disegnati geometricamente ed alberi potati geometricamente che stanno davanti a quelli rappresentati dietro.
Questi erano dei veri e propri esperimenti anche sociali di comunità, che prevedevano un forte rinnovamento non solo degli elementi
espressivi ma anche degli elementi ideali produttivi e anche di una nuova idea del ruolo dell'architetto, dell'artista all'interno della società.
Vi sono ulteriori edifici della Matildenhohe anche molto differenti tra di loro. Questa è la casa Gluckert, dove anche in questo caso vi è una
forte geometrizzazione però vi sono anche delle linee più morbide, più fluide, che presagisce già una certa volontà di liberarsi dalla forza
di gerarchizzazione volumetrica presente negli altri edifici. Anche qui vi sono, però, alcuni esempi di convenzionalizzazione della
decorazione.
Vi è poi il nuovo edificio espositivo della Matildenhohe con questa sorta di torre, la Hochzeitsturm, che doveva essere un segno di
riconoscibilità nel territorio.
Essa è coronata da questi archi via via crescenti, la superficie è ricoperta di mattoni e poi vi sono delle finestrature asimmetriche, dei
ricorsi che sembrano già anticipare le ricerche di Mies e del neoplasticismo olandese.
Dalla pianta si possono vedere anche i telai che diventano degli elementi che rivelano questa specie di maglia quadrata, che diventa
l'elemento gerarchico di queste composizioni.
Un altro architetto della Secessione Viennese è Josef Hoffmann, più giovane degli
altri già analizzati e quello che vivrà di più.
Questi sono dei disegni di Hoffmann relativi al suo viaggio in Italia del 1893; all'epoca,
soprattutto per l'area austro-tedesca, il viaggio in Italia era assolutamente uno degli
elementi che caratterizzava l'educazione di un giovane intellettuale, artista, letterato,
architetto, e nel suo viaggio in Italia egli visita anche il sud dell'Italia probabilmente la
penisola Salernitana, le isole Capri e realizza questi disegni di queste architetture
locali, quindi di architetture mediterranee, vernacolari che erano tipiche dei paesi
mediterranei.
Uno degli elementi che lo caratteristica è il cercare di riallacciarsi alla tradizione, ma
non alla tradizione aulica, classica, ma di ricercare una tradizione minore, e quindi
probabilmente gli elementi fortemente semplificati, le volumetrie anche a volte
accidentali, determinate da una costruzione che seguiva i bisogni di ampliamenti,
delle giaciture dei luoghi, ecc. di queste case e la loro pulizia formale, che, appunto,
Hoffman ritrae in questo suo taccuino di studi, fa capire come probabilmente una
delle fonti della semplificazione, delle geometrizzazioni evidenti della Secessione
Viennese arrivassero dalla tradizione minore, mediterranea.
Questa è una delle prime opere che Hoffmann realizza, la villa Beer-Hoffmann (1905-1906) realizzata
per la sua famiglia a Vienna, e anche in questo caso il cancello, i serramenti, gli elementi decorativi
rimandano a quella maglia quadrata che sembra sovrintendere proprio alla composizione di tutto
l'impaginato della facciata.
Questi sono degli arredi realizzati da Hoffman, molti sono fatti con tonet,
quindi con la tecnica del faggio curvato, e si nota come anche negli
arredi c'è questa volontà di geometrizzare in una maniera molto netta
la conformazione di essi che all'epoca avevano delle forme più
tradizionali, meno volutamente eversive rispetto a quelle che erano le
tradizioni comuni di progettazione di questi elementi di arredo.
Questi sono alcuni elementi tipici della produzione della Secessione Viennese; vi sono opere di Koloman Moser che
venivano spesso utilizzate dallo stesso Hoffmann che rientrano esattamente in quel processo di rinnovamento
dell’epoca.
Queste, invece, sono opere di Hoffmann, in particolare il suo dondolo, il quale è una delle
cose più note realizzate con la tecnica del faggio curvato. L'arredo è molto geometrizzato, i fianchi sono
praticamente dei quadrati, con una parte semicircolare e gli elementi decorativi sono anche funzionali: i pomelli
decorativi in realtà servono per regolare l'inclinazione dello schienale.
La sedia in alto a dx è molto geometrizzata anche per quanto riguarda gli elementi decorativi, che sono dei
quadrati rossi che normalmente rimandano ad una forte geometrizzazione; oppure guardando la seduta in alto
a sx vi è la volontà di usare in maniera anticonvenzionale queste regole geometriche, è una poltrona quadrata
ma lo schienale non è semplicemente posto su un lato, ma su due trasformando così la modalità di uso comune
della sedia, così come le gambe non staranno più tra le due gambe della sedia, ma a cavallo di una.
Questi sono altri elementi che fanno percepire come la geometrizzazione pervadesse qualsiasi tipo di oggetto e di
utilizzo, c’è sempre, un po’come Morris con le Arts and Crafts, questa volontà di investire ogni campo in maniera
molto idealizzata e idealistica con un grande slancio, una caratura altissima dei risultati.
Da una parte questi oggetti rappresentavano una grande sfortuna commerciale perché questi elementi d’arredo
costavano tantissimo, delle opere d'arte in cui viene difficile pensare di vivere agevolmente e quindi con una poca
fortuna; dall’altra, invece, un fortissimo impatto sulla cultura artistica e architettonica, una grandissima capacità di
avere inventato un linguaggio fortemente connotato, che avrà una ricaduta fortissima sulla cultura architettonica
successiva.
Questa rappresentazione è il primo studio della pianta, in cui non è una carta millimetrata,
ma una carta quadrettata, riuscendo così a prendere il proporzionamento e l'adesione a una
maglia quadrata che regolava sia la definizione di prospetti, sia definizione delle piante.
L’abitazione è caratterizzata da un ingresso ed è articolata, esattamente come le piante di
Wagner, ma è più libera, le forme sono più nette e non c'è più una simmetria, vi è una volontà
a costituire una specie di manifesto di libertà compositiva dell’insieme compositivo.
Vi è la definizione di una corte di servizio cinta, che rimanda a quella di servizio della
Redhouse, ma anche a quella della Ruby House di Wright, con tanto di garage.
In questo primo studio, rispetto al quale poi vi sanno dei mutamenti, vi è un grande ingresso,
il soggiorno, una loggia giardino posteriore, che in qualche modo invita alla fruizione del
giardino superiore, una sala per la musica, che poi diventerà un vero e proprio teatro, una sala con un tavolo per riunirsi, una biblioteca,
un terrazzo, una grande sala da pranzo e poi tutta la parte di servizio e la scala che portava alla parte superiore.
La pianta definitiva, anch’essa tracciata su un foglio a quadretti, è molto articolata: la sala da pranzo
rivolta sul giardino, all’interno della quale verranno poi realizzati due interventi, dei mosaici con delle
parti dipinte e inclusioni di materiali diversi di Klimt; simmetricamente a sx corrisponde la biblioteca;
la sala della musica diventa, appunto, un
vero e proprio teatro; la scala si sposta a
dx; un grande soggiorno a doppia altezza,
la sala per la colazione.
Il piano terra si sviluppa così, con la parte di
servizio a dx, la scala principale vicino
all’ingresso a sx, mentre quella di servizio
più a dx.
Il piano superiore presenta le camere
padronali a nord con un bagno
monumentale.
La parte sommitale è destinata al servizio
con le camere per i domestici.
Questi sono i plastici dell’edificio, in particolare si vede la facciata verso il giardino. La torre inizialmente era più semplificata, non c'era
ancora il gruppo scultoreo sulla sua sommità e sembrava costituita da cubi sovrapposti; essa non ha una funzione, ma doveva essere un
elemento di riconoscibilità, di visibilità di questo edificio.
Questa è una foto del cantiere da cui si capisce la tecnica costruttiva, costituita da muratura
continua per le pareti, mentre l'acciaio per i solai, delle travi a profilo IPE o H.
Queste sono altre foto degli anni più recenti dell'edificio, che fanno comprendere abbastanza bene
com’è la soluzione degli abbaini al piano superiore trasforma questi elementi quasi inquadrati in cubi
che emergono sul limite della gronda superiore dell'edificio; non ci sono sporgenze di gronda, una
delle suggestioni evocate probabilmente dalle architetture della tradizione vernacolare, minore, viste
in Italia, puntate sul suo taccuino di viaggio.
Questo è un particolare dal quale si vede un altro elemento diciamo così un'altra scultura più
naturalistica posta sulla pensilina d’ingresso, poi si traguarda la torre e si vedono i gruppi scultorei
sulla torre.
In quest’immagine si vedono molto bene i cordoli, che sono dei cordoli bronzi tridimensionali molto plastici che appunto sottolineano in
maniera molto evidente, molto vigorosa tutti gli spigoli dell'edificio, pensati per essere messi sia sugli spigoli sporgenti che sugli angoli
rientranti.
Inserito in un quadrato c'è un'immagine di queste due figure femminili che reggono un cesto di frutta e di
fiori a simboleggiare l'abbondanza, però fortemente geometrizzato; le figure femminili sono molto
geometrizzate, come con Wright, però in questo caso fiori e frutta sono invece realizzati in forme più
naturalistiche, che è un po' come per Klimt, in cui alcuni degli elementi sono indipendenti da questa griglia
geometrica che sottende in una maniera molto rigorosa tutta la composizione.
Questo è il primo studio per la sala della musica, che poi diventa vero e proprio teatro e questa
è quella realizzata.
Anche il mobile del pianoforte è rivisto da Hoffmann, che lo caratterizza lateralmente con gli
stessi elementi con cui è caratterizzato l’edificio, quindi con questo profilo sugli spigoli, a scala
minore, bronzo che sottolinea tutti gli spigoli del mobile.
Il gusto cromatico è molto netto: soffitto bianco, pareti e pavimento di marmo nero, tende ed
arredi rossi.
La sala da pranzo è monumentale: presenta un tavolo gigantesco, che si poteva ulteriormente prolungare, il pavimento a scacchi bianco
e nero, la geometrizzazione molto netta di tutti gli arredi, oltre che dell'ambiente, pareti rivestite in marmo preziosissimo e inserti a mosaico,
e in parte dipinti, di Klimt sulle due pareti e sulla parete di fondo.
Il bagno monumentale che rimanda alle terme romane: la vasca è un blocco monolitico di marmo scavato al centro. ⇑
Questo bagno non è più pensato come un elemento di servizio, utilitario, ma un luogo di piacere, relax.
Il Padiglione austriaco a Roma del 1911 esposizione di Roma nel 1911. Sarà
molto influente poi nell'immaginario di molti architetti italiani, quali Aschieri,
Piacentini.
C'è nuovamente il tema della storia perché composto da una Stoah, un
portico, che è un elemento classico per eccellenza, ma viene rivisto con delle
cornici concentriche, un elemento fortemente geometrizzante tipico della
produzione di Hoffmann.
Questa è Villa Primavesi, realizzata a Vienna, del 1913-15. La facciata è un tempio però è molto semplificata. (Molte architetture di Aldo
Rossi rimandano esattamente a questa geometrizzazione molto netta della classicità).
Questa è la Villa Knips a Vienna. Anche in questo la maglia quadrata viene evocata dei serramenti e anche dalla borchiatura della facciata
che rimanda proprio all'incrocio di una maglia quadrata che si può immaginare anche dove non la si vede.