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IL CONTO CORRENTE BANCARIO

16 marzo 2021

Quando noi alludiamo o utilizziamo, l'espressione conto corrente, nella prassi e anche nell'uso quotidiano,
credo che non ci siano dubbi sul fatto che ci riferiamo al contratto stipulato con la banca, che si chiama conto
corrente bancario o conto corrente di corrispondenza, dal punto di vista giuridico invece dobbiamo precisare
l'accezione. Perché in realtà, è possibile utilizzare questa stessa espressione in significati anche differenti,
rispetto a quella tradizionale nella quale noi utilizziamo questa espressione.

Innanzitutto, abbiamo l'utilizzo del conto corrente, nell'ambito di un contratto, che il Codice civile chiama
solamente conto corrente, noi per distinguerlo da quello bancario lo possiamo anche chiamare conto corrente
civilistico, o conto corrente ordinario, per esempio.

è un contratto al quale il codice dedica anche una certa attenzione, perché sono 11 norme, dall'articolo 1823
al 1833 del Codice civile, che cominciamo col dire non è un contratto bancario. Quindi se noi andiamo nel
Codice civile e lo cerchiamo all'interno del capo XVII che è quello dedicato ai contratti bancari, non lo
troviamo. Lo troviamo in realtà nel capo XVI, quindi nel capo esattamente precedente, a quello dedicato ai
contratti bancari.

Quindi, Cosa significa che il conto corrente civilistico non è un contratto bancario?

Significa che non è un contratto stipulato dalle banche, e quindi, sicuramente, non è un contratto stipulato
nell'ambito dell'attività bancaria.

La seconda accezione, che pure è presente nel Codice civile, di conto corrente, è un'eccezione di cui abbiamo
già parlato, cioè il fenomeno delle operazioni in conto corrente.

Questo fenomeno delle operazioni in conto corrente lo troviamo regolamentato negli articoli 1852 e seguenti.
Quindi questa volta, 1852 e seguenti, siamo all'interno del capo XVII, che è il capo dedicato ai contratti
bancari. Questa volta siamo di fronte a un'operazione che rientra nell'ambito delle attività bancarie, però non
siamo di fronte ad un contratto.

Quindi, quando il Codice civile parla di operazioni in conto corrente, fa riferimento a un fenomeno che può
riguardare diverse tipologie contrattuali, e che sostanzialmente sta a significare, che un particolare rapporto
gira in conto corrente, cioè funziona, viene eseguito nella logica del conto corrente, che è però diverso dal
contratto di conto corrente bancario, perché non è un contratto. Quindi quando il codice di operazioni di
conto corrente, in conto corrente, non fa riferimento a una figura contrattuale.

Infine, abbiamo il conto corrente bancario, il conto corrente bancario sicuramente è un'evoluzione delle
operazioni in conto corrente, potremmo dire che è la definitiva manifestazione in senso contrattuale di quel
fenomeno, che il Codice civile considera con l'espressione operazioni in conto corrente, solo che questa
manifestazione contrattuale che noi chiamiamo conto corrente bancario, in realtà non è disciplinato dal
codice.

Il codice non la considera come fattispecie tipica di contratto, ma è disciplinata nelle norme bancarie
uniformi, ed è il contratto secondo cui banca e cliente istituiscono un rapporto che si caratterizza per
l'effettuazione delle annotazioni in conto.

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Sebbene si chiamino più o meno allo stesso modo, conto corrente civilistico e il conto corrente bancario, in
realtà al di là del nomen “conto corrente”, non hanno nulla in comune. Perché mentre nel conto corrente
bancario si annotano cifre espressive di somme di denaro, nel conto corrente civilistico si annotano dei
crediti, e questi crediti si estinguono dei crediti reciproci tra due soggetti che si estinguono per
compensazione solo a determinate scadenze.

Il conto corrente civilistico è caratterizzato dal fatto che è un contratto che di regola viene stipulato tra due
imprenditori, tra due imprenditori che sono legati tra di loro da continui e ripetuti rapporti di affari. Questi
rapporti di affari a cui sono legati due imprenditori possono generare una serie di crediti reciproci, quindi
l'imprenditore A per determinate operazioni, tratterà una serie di crediti nei confronti dell'imprenditore B e
sicuramente, l'imprenditore B vanterà una serie di crediti nei confronti dell’imprenditore A.

Chiaramente, di volta in volta, la scadenza del credito, l'imprenditore A, o l’imprenditore B dovrà adempiere
la propria prestazione nei confronti dell'altro imprenditore, però anziché provvedere di volta in volta al
pagamento di quanto l'uno deve nei confronti dell'altro, questi imprenditori potrebbero ritenere opportuno,
ridurre una serie di pagamenti di segno opposto. Quindi potrebbero ritenere opportuno ridurre lo scambio di
moneta e procedere invece a scadenze determinate a compensare i crediti reciproci, e liquidare solo la
differenza che si ottiene dalla compensazione degli stessi. Il contratto che realizza questa funzione, cioè
semplifica quindi i reciproci rapporti di affari, compensandoli e facendo quindi alla scadenza, puntando alla
liquidazione per differenza alla scadenza si chiama per l’appunto, conto corrente ordinario civilistico di cui
agli articoli 1823 e seguenti del Codice civile.

Con il contratto di conto corrente civilistico ordinario, le parti si obbligano ad annotare in un conto, i crediti
che derivano da reciproche rimesse, da reciproche operazioni, potremmo anche utilizzare questa espressione
più generica, non solo si obbligano ad annotarli in conto, ma si obbligano a considerare questi crediti una
volta annotati in conto inesigibili e indisponibili fino alla chiusura del conto.

Cosa significa che il credito è considerato inesigibile?

Significa che il credito non può essere riscosso, il che significa, che anche se il credito viene a scadenza,
quindi scade, quindi teoricamente il creditore potrebbe esigere la prestazione, il pagamento, ebbene, se lo
annota in conto sulla base di un contratto di conto corrente, quel credito diventa inesigibile fino alla chiusura
del conto, indipendentemente dalla scadenza.

Quindi il credito non solo è inesigibile, ma è anche indisponibile, significa che non può essere utilizzato e
che non può essere, per esempio, ceduto.

Quindi è un regime di inesigibilità e indisponibilità che dura fino alla chiusura del conto.

è chiaramente un contratto obbligatorio, vuol dire che si perfeziona con la stipulazione del contratto, senza la
necessità che ci sia l’annotazione in conto dei crediti, che è una vicenda successiva, riguarda la fase
esecutiva, già nella fase di stipulazione, però, le parti si obbligano ad annotare in conto i crediti che
dovessero derivare da reciproche rimesse.

Alla chiusura del conto, si procede a compensare i crediti e debiti reciproci annotati in conto, si otterrà un
saldo, per differenza, che verosimilmente è positivo per un imprenditore, e negativo per l'altro imprenditore,
quindi la parte che è debitrice del saldo potrà effettuare il pagamento nei confronti della parte creditrice,
qualora la parte creditrice lo richieda.

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Quindi il pagamento può essere richiesto solo alla chiusura del conto e riguardare solo il saldo, cioè la
differenza tra i crediti e i debiti annotati in conto. Perché diciamo che il pagamento è eventuale?

Perché dipende dal fatto che la parte creditrice lo richieda, in realtà, se il pagamento non è richiesto, il saldo
si considera come prima rimessa di un nuovo conto, e il contratto si rinnova questo punto, a tempo
indeterminato. Quindi può darsi pure che la parte creditrice alla chiusura del conto, non richieda il
pagamento, a quel punto il saldo è la nuova rimessa di un nuovo conto, e il contratto si rinnova a tempo
indeterminato.

Gli elementi essenziali di questo contratto sono quindi due, il fatto che i crediti reciproci una volta annotati,
sono assoggettati a un regime temporaneo particolare, che li rende inesigibili e indisponibili, questo è il
primo elemento.

Il secondo elemento, che a scadenze periodiche che coincidono con le chiusure del conto dovremmo dire, si
compensa di crediti reciproci, e si liquida la differenza.

Quindi, il momento fondamentale di questo contratto di conto corrente civilistico è indubbiamente il


momento della chiusura del conto. La chiusura del conto, con la determinazione del saldo, è fatta alla fine di
ogni semestre, dice l'articolo 1831, se non risulta diversamente dal contratto o dagli usi. Quindi, per esempio,
è sempre possibile che le parti prevedano in contratto un diverso termine di chiusura del conto, che può
essere annuale o anche trimestrale. Se non prevedo nulla, la chiusura avviene semestralmente.

Alla chiusura del conto, di regola accade che uno dei due correntisti invia all'altro un estratto conto da cui
risultano tutte le annotazioni fatte nel periodo e la determinazione del saldo. Quando si utilizza questa
espressione: “chiusura del conto”, si intende dire che la chiusura del conto presuppone l'effettuazione della
somma algebrica delle partite di credito e di debito, somma algebrica che determina il saldo del conto, cioè la
cifra di cui una parte è debitrice nei confronti dell'altra e viceversa, la seconda parte è creditrice nei confronti
della prima.

La chiusura del conto è un momento che va tenuto distinto, anche concettualmente dallo scioglimento del
contratto. Nel senso che la chiusura del conto non necessariamente comporta lo scioglimento del contratto,
ma comporta solo la liquidazione dei rapporti di dare e avere, che sono sorti nel periodo, può essere il
semestre oppure un diverso periodo, e l’esigibilità del saldo, nel senso che la parte creditrice può esigere il
pagamento del saldo.

Non comporta però lo scioglimento, perché il contratto s'intende rinnovato a tempo indeterminato se la parte
creditrice non richiede il pagamento del saldo, e a quel punto il saldo che si è determinato alla fine di quel
periodo, non costituisce altro che una rimessa, la prima rimessa di un nuovo conto, quindi di un nuovo
periodo potremmo dire, da cui decorre il nuovo conto. Ovviamente se una delle due parti, invece, dovesse
chiedere il pagamento del saldo, la parte creditrice dovrebbe chiedere il pagamento del saldo, allora, a quel
punto, il contratto verrebbe a sciogliersi. Se il contratto si rinnova a tempo indeterminato, chiaramente la
legge, prevede l'articolo 1833, che ciascuna delle parti può a quel punto recedere ad ogni chiusura periodica
del conto.

Oggi il contratto di conto corrente civilistico ordinario è utilizzato veramente poco, diciamo che nella pratica
non si ricorre a questo schema contrattuale, e non si ricorre a questo schema contrattuale, non tanto perché
non c'è una esigenza di semplificare le reciproche relazioni d'affari, ma perché questa esigenza viene
soddisfatta in realtà con tecniche diverse, che in particolare, tecniche che non implicano il fatto di dover
rinunciare all'immediata esigibilità del credito, in particolare questo conto corrente civilistico aveva un senso
fino a quando direi il mondo degli affari era ancora dominato da pagamenti in denaro contante, e allora vi era
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effettivamente un esigenza di evitare movimentazioni, scambi di denaro contante reciproci. Quindi evitare il
passaggio di denaro da una parte all'altra più volte, perché questo comporta chiaramente dei rischi, e anche
una certa farraginosità delle operazioni commerciali.

Questa stessa esigenza oggi è soddisfatta in altro modo, in particolare ricorrendo agli strumenti di pagamento
più innovativi: le carte di pagamento, bonifici, giroconti e così via.

In un mondo regolato ormai dai cosiddetti strumenti di pagamento, il conto corrente civilistico perde la sua
ragione di esistenza e di successo.

Perché però è ancora rilevante questo contratto?

Perché la disciplina del conto corrente ordinario è parzialmente applicabile alle operazioni bancarie in conto
corrente, e di converso, è parzialmente applicabile al conto corrente bancario. Quindi quella disciplina, pur
essendo prevista per un contratto che ha una funzione diversa dal conto corrente bancario, è applicabile in
via analogica, laddove ci dovessero essere dei buchi nella disciplina negoziale, anche le operazioni bancarie
in conto corrente e al conto corrente bancario.

Invece, la seconda accezione, che pure il Codice civile ha modo di utilizzare per l’espressione conto corrente,
è quella legata a un fenomeno bancario tutti gli effetti, che è fenomeno disciplinato dagli articoli 1852 e
seguenti, è noto con l'espressione “operazioni bancarie in conto corrente”, sarebbe la sezione quinta del capo
XVII dei contratti bancari.

Cosa ci dice questo articolo 1852 del Codice civile?

L’articolo 1852 afferma che il deposito bancario, l'apertura di credito e le altre operazioni bancarie possono
essere regolate in conto corrente.

Non siamo di fronte ad un contratto in sé, perché in realtà la norma richiama proprio due contratti, che sono
il deposito bancario, l'apertura di credito e in più allude ad altre operazioni bancarie, dicendo che questi
rapporti contrattuali possono essere regolati nella forma tecnica del conto corrente. Quindi è una modalità
tecnica di esecuzione dei rapporti contrattuali.

Non è un contratto, non è una fattispecie contrattuale in sé con una disciplina organica. Cosa significa che le
operazioni bancarie sono regolate in conto corrente? O meglio, qual è il principale effetto di questa
regolamentazione in conto corrente delle operazioni bancarie?

Il principale effetto e che il correntista, può disporre, in qualsiasi momento, delle somme risultante su
credito, salvo il termine di preavviso eventualmente previsto.

Nel conto corrente bancario, il saldo, quindi le somme risultanti a credito, sul conto è immediatamente
disponibile. Questa è già una differenza direi evidente, lampante, con il conto corrente civilistico, perché il
conto corrente civilistico sono inesigibili fino alla chiusura del conto, quindi il saldo non è disponibile ed
esigibile, lo è solo a scadenze predeterminate che coincidono con le chiusure del conto. Quindi, in realtà
quando sostanzialmente l'articolo 1852 parla di regolamento in conto corrente di determinate operazioni
bancarie, fa riferimento al fatto che diversi contratti bancari possono essere caratterizzati da una specifica
modalità esecutiva, che è quella che avviene attraverso la regolamentazione in conto corrente. Questo può
riguardare il deposito bancario, l'apertura di credito, ma più in generale anche altre operazioni bancarie. Tra
l'altro non è un caso che la legge all'articolo 1852 richiami il deposito bancario dell'apertura di credito,

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perché questi contratti sono in realtà il prototipo delle operazioni passive, il primo cioè il deposito bancario e
delle operazioni attive cioè il secondo, l’apertura di credito.

è come se fosse un richiamo a queste fattispecie contrattuali fatto in via esemplificativa, Fermo restando che
anche altri contratti, che rientrano tra le operazioni passive o attive, possono essere regolati in conto corrente,
e significa questa regolamentazione in controcorrente, che un'operazione bancaria viene a girare sul conto
corrente, viene a subire la logica del conto corrente.

Quali effetti comporta il regolamento in conto corrente?

Innanzitutto, il fatto che il deposito, l'apertura di credito, o l'altra operazione bancaria, abbiamo detto, sono
regolati nella forma tecnica del conto.

Che cosa significa in concreto?

Significa che la banca nell'ambito delle proprie scritture contabili, un conto intestato al cliente, nel quale
vengono annotati tutti gli accreditamenti, come per esempio, i versamenti e gli addebitamenti, cioè i
prelevamenti, che il cliente effettua.

La somma algebrica degli accreditamenti e degli addebitamenti sul conto determina il saldo, cioè
l'ammontare del credito disponibile. è chiaro che il meccanismo della notazione in conto è, potremmo dire,
comune al conto corrente civilistico e questo spiega perché alcune norme del conto corrente ordinario
civilistico siano richiamate anche dalle operazioni bancarie in conto corrente nell'articolo 1852. Però sotto il
profilo degli effetti, noi abbiamo una differenza direi netta, perché nel conto corrente ordinario, l'annotazione
incontro comporta che il credito diventi inesigibile, indisponibile fino alla chiusura del conto.

Nelle operazioni bancarie in conto corrente si verifica invece l'esatto opposto, cioè il saldo che varia in
dipendenza delle annotazioni effettuate in conto, è immediatamente esigibile.

Il secondo effetto, del regolamento in conto corrente è che il cliente può disporre delle somme disponibili al
suo credito risultanti dal saldo disponibile, non solo per effettuare prelevamenti in denaro contante, ma
anche, ci dice la disciplina delle operazioni bancarie in conto corrente, per emettere assegni bancari e può
specularmente alimentare il credito, il saldo disponibile, non solo effettuando versamenti di denaro contante,
ma anche effettuando versamenti di assegni per riscuotere, che la banca si farà carico di riscuotere per conto
del cliente.

Quindi anche l'emissione di assegni da un lato e il versamento di assegni da riscuotere dall'altro,


costituiscono, rispettivamente operazioni di addebito, addebitamenti, ovvero accreditamenti, che vanno a
variare il credito, quindi il saldo disponibile.

Ed è questo l'elemento che caratterizza il rapporto quando questo rapporto contrattuale viene ad essere
regolato il conto corrente, perché la banca si fa carico di effettuare un'attività gestoria per conto del cliente,
cosiddetto servizio di cassa, che consiste proprio nella attività, potremmo dire, di riscossione degli assegni, o
di pagamento degli assegni per conto del cliente. Questa attività gestoria, che abbiamo chiamato servizio di
cassa, è riconducibile allo schema del mandato, quindi la banca compie atti giuridici per conto del cliente, ed
è un’attività gestoria che invece è assente se i rapporti contrattuali, che abbiamo menzionato, al deposito,
l'apertura di credito, o un altro qualunque contratto bancario, non sono regolate in conto corrente. Quindi se
quei contratti sono nella forma del deposito semplice, dell'apertura di credito semplice, quindi non regolate
in conto corrente non abbiamo questa attività gestoria che la banca svolge per conto del cliente. Proprio

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l'evoluzione di questa attività gestoria che la banca compie per conto del cliente, ha segnato, o segna il
passaggio dalle operazioni bancarie in conto corrente, al contratto di conto corrente bancario.

Il contratto di conto corrente bancario o di corrispondenza, abbiamo detto che va concettualmente distinto
dalle operazioni bancarie in conto corrente, perché innanzitutto è un contratto, mentre le operazioni regolate
in conto corrente sono un fenomeno che può accedere a diversi tipi contrattuali, per di più il contratto di
conto corrente bancario di corrispondenza non trova menzione nel codice civile, non è sicuramente il
contratto tipizzato dal nostro codice civile ma è invece un contratto che si è sviluppato nella prassi bancaria,
e trova la sua regolamentazione più compiuta all’interno delle norme bancarie uniformi, nella versione più
aggiornata delle condizioni generali relative al rapporto banca - cliente.

Ci si potrebbe chiedere, visto che abbiamo detto che siamo nell'ambito dell'attività bancaria tipica, se il conto
corrente bancario possa essere ricondotto a un'operazione passiva, quindi di raccolta del risparmio, ovvero
attiva, cioè, di erogazione del credito.

Da questo punto di vista, potremmo dire che il contratto di conto corrente bancario di corrispondenza non è
né un'operazione passiva, né un'operazione attiva, cioè, né un contratto di raccolta del risparmio, né un
contratto di erogazione del credito.

Perché in realtà la disponibilità che si viene a creare inizialmente sul conto, può essere costituita
alternativamente, sia attraverso un deposito da parte del cliente, quindi attraverso un'operazione passiva, sia
attraverso un'apertura di credito quindi una forma di credito che la banca concede al cliente, quindi è la banca
che crea la disponibilità sul conto.

Quindi difatti poi il contratto di conto corrente è svincolato dalla modalità specifica con cui si crea questa
disponibilità iniziale sul conto, e dal punto di vista qualificatorio è corretto ritenere che il conto corrente
bancario non sia né un contratto di raccolta, né un contratto di erogazione, ma sia il contratto base di
qualunque rapporto tra banca e cliente che è dotato di una certa continuità, su cui poi si possono innestare
anche differenti operazioni bancarie differenti a altri fattispecie contrattuali.

Quali sono gli elementi caratterizzanti di questo contratto di conto corrente bancario?

Già dal punto di vista qualificatorio, è importante sottolineare come non si tratti né di un contratto di
erogazione, né di un contratto di raccolta del risparmio, ma è in realtà solamente il contratto di base di un
qualunque rapporto duraturo che la banca instaura con il cliente. Indubbiamente è un contratto nel quale
diviene centrale il cosiddetto servizio di cassa, cioè quella attività gestoria che la banca compie per conto del
cliente, nel caso del contratto di conto corrente bancario viene ad assumere un contenuto molto più ampio,
molto più articolato di quello che traspare disciplina delle operazioni bancarie regolate in conto corrente.
Perché nel caso delle operazioni bancarie regolate in conto corrente, abbiamo detto che fondamentalmente
questo servizio di cassa riguarda l'operatività sugli assegni, quindi riguarda fondamentalmente il compimento
da parte della banca le operazioni di riscossione di assegni per conto del cliente, e di pagamento di assegni
per conto del cliente.

Quando invece ci collochiamo all'interno del contratto di conto corrente bancario, allora il servizio di cassa,
viene a configurarsi come l’obbligo per la banca di eseguire non solo gli ordini di pagamento che il cliente
rivolge a terzi mediante l'emissione di assegni bancari, ma anche ogni altra tipologia di ordine di pagamento.

Quindi per esempio: le rimesse, i bonifici, e giroconti, sono altrettanti ordini di pagamento che il cliente può
emettere nei confronti della propria banca a beneficio di terzi, per l'appunto che devono ricevere il
pagamento. Così la banca è tenuta allo stesso modo a ricevere per conto del correntista non solo gli assegni
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che questi può versare e che presuppongono quindi da parte della banca un'attività di incasso, ma anche tutti
i versamenti che eventualmente terzi soggetti possono disporre a favore del correntista e ad eseguire anche
specifici incarichi di riscossione di crediti verso terzi che le vengano conferiti.

Nel primo caso, quindi, quando la banca esegue ordini di pagamento a terzi impartiti dal cliente, i relativi
importi sono addebitati sul conto corrente e riducono il saldo disponibile.

Nel secondo caso, quindi, quando la banca riceve i versamenti disposti da terzi sul conto corrente del
correntista o esegue specifici incarichi di riscossione di crediti verso terzi, i relativi importi sono messi a
disposizione del correntista sul conto corrente mediante operazioni di accredito.

Quindi nel primo caso fondamentalmente siamo di fronte ad operazioni assimilabili al prelievo di denaro
contante, perché anche il prelievo comporta un addebito in conto, nel secondo caso siamo di fronte alle
operazioni assimilabili al versamento del denaro contante, perché anche il versamento comporta degli
accreditamenti.

Nel contratto di conto corrente bancario le possibilità operative che il cliente ha di disporre del saldo che
risulta a suo credito sul conto corrente, sono notevolmente ampliate, perché per esempio, è possibile
trasferire i fondi da un correntista ad un altro correntista, e questo senza effettuare il movimento fisico di
denaro ma semplicemente operando un giroconto bancario. Qual è il vantaggio?

Il vantaggio è che attraverso semplici annotazioni contabili, riusciamo ad addebitare un conto e ad


accreditare un altro conto per l’importo corrispondente senza la necessità che i correntisti debbano procedere
a prelevare il denaro e a versarlo sull’altro conto.

Questo era lo schema originario del conto corrente bancario, perché poi nel tempo c'è stato un ulteriore
evoluzione, e cioè specifici servizi di pagamento che la banca offre alla propria clientela solo se questa
clientela è titolare di un conto corrente bancario.

A che servizi ci riferiamo?

Ci riferiamo alle carte di pagamento, perché nessuna banca ci rilascerà mai una carta di credito, o meglio una
carta bancomat se non abbiamo un conto corrente di appoggio.

L’operatività gestoria che le banche compiono per conto del cliente sulla base di un conto corrente bancario
si è ulteriormente arricchita nel corso del tempo, fino ai nostri giorni.

Se volessimo ribadire la qualificazione in chiave giuridica di questo contratto, dovremmo dire che il conto
corrente bancario si presenta come un’evoluzione in chiave contrattuale delle operazioni bancarie in conto
corrente.

Rispetto alle operazioni bancarie in conto corrente, il conto corrente bancario ha alcuni elementi comuni,
questi elementi comuni sono un rapporto iniziale di credito, cioè il concetto di disponibilità iniziale sul
conto, una componente gestoria e il fatto che vi è, in entrambi i casi, la regolamentazione del rapporto nella
forma tecnica del conto corrente.

Quello che però caratterizza il conto corrente bancario rispetto alle operazioni bancarie in conto corrente, è
che il conto corrente bancario è un contratto a tutti gli effetti, quindi non è solamente un fenomeno che
rappresenta la fase esecutiva di un rapporto contrattuale, è un contratto ed è un contratto rispetto alle
operazioni bancarie in conto corrente, per l'evoluzione del servizio di cassa, cioè di quella attività gestoria
che la banca compie per conto della clientela. Qual è la disciplina applicabile?
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Indubbiamente se volessimo individuare la disciplina del conto corrente bancario, sicuramente non potremo
prescindere dalle norme bancarie uniformi, perché la regolamentazione compiuta di questo rapporto si ha
proprio nelle norme bancarie uniformi. Tuttavia, al conto corrente bancario è direttamente applicabile la
disciplina delle operazioni bancarie in conto corrente, perché il fenomeno è immedesimo, è applicabile la
disciplina dei singoli rapporti bancari tipici mediante i quali si costituisce la disponibilità iniziale su un
conto, quindi per esempio, se il soggetto deposita una somma di denaro per aprire un conto corrente, come
volgarmente si dice, è chiaro che oltre al rapporto di conto corrente, dovremmo applicare la disciplina
relativa al deposito. Se invece la disponibilità iniziale la costituisce la banca mediante un'apertura di credito,
dovremmo applicare anche la disciplina dell'apertura di credito.

Infine, possiamo dire che è applicabile al contratto di conto corrente bancario anche la disciplina del
mandato, perché evidentemente vi è una componente gestoria che è riconducibile al servizio di cassa che può
essere qualificata fondamentalmente come un rapporto di mandato. Quindi la banca si obbliga a compiere
atti giuridici per conto del cliente, e quindi per esempio possiamo ritenere di applicare la norma sulla
diligenza professionale, in base alla quale la banca deve compiere, adempiere agli obblighi contrattuali nei
confronti del cliente con la dirigenza richiesta al professionista.

è una diligenza chiaramente più qualificata di quella media del buon padre di famiglia.

è chiaro che c'è un tentativo, di fronte ad una fattispecie contrattuale che non ha una disciplina tipica o che
magari ha una disciplina anche nel Codice civile, ma fondamentalmente è caratterizzata da poche norme,
quindi è una disciplina scarna, che ha più buchi che regole complete. Lo sforzo degli interpreti qual è?

Lo sforzo degli interpreti è quello di cercare di ricondurre queste fattispecie contrattuali ad altri tipi
contrattuali, disciplinati dal codice, per poter poi applicare la relativa disciplina. Questo è uno sforzo che la
dottrina ha provato a fare anche con riferimento al conto corrente bancario, per esempio definendo il conto
corrente bancario come un contratto misto che si caratterizza per una componente di natura creditizia, e per
una componente di natura gestoria. In realtà, questa ricostruzione, non è una ricostruzione che può essere
accolta, non è una ricostruzione che convince. Perché non convince?

Non convince perché intanto questa componente creditizia, qual è la componente creditizia che dovrebbe
caratterizzare il rapporto?

La componente creditizia che dovrebbe caratterizzare il rapporto è la costituzione della disponibilità iniziale
sul conto. Indubbiamente il conto è destinato ad accogliere delle somme già dall'inizio, quando avete aperto
un conto corrente bancario, avrete versato una somma iniziale sul conto, costituendo la disponibilità iniziale.

Questa, secondo alcuni, dovrebbe essere la componente creditizia del rapporto.

In realtà però, questo aspetto del rapporto non è essenziale, cioè non attiene all'essenza del contratto, nel
senso che nulla vieta che un rapporto di conto corrente, e quindi un contratto di questo tipo, possa essere
stipulato anche se il cliente non versi alcuna somma di denaro e neppure la banca mette a disposizione sul
conto una somma di denaro iniziale.

Quindi può essere anche aperto un conto a zero, teoricamente questo è possibile, il contratto in un caso del
genere sarebbe immediatamente valido ed efficace, quindi potrebbe svolgere la sua funzione, è chiaro che
per poter effettuare operazioni di pagamento, sarebbe necessario quel punto creare la provvista. Ma queste
vicende sono vicende concettualmente, giuridicamente distinte rispetto al momento della stipulazione del
contratto, che è valido ed efficace indipendentemente dalla costituzione della disponibilità iniziale sul conto.

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Questa componente creditizia del contratto è evidentemente superfluo.

Così possiamo replicare lo stesso concetto per la componente gestoria.

è che le banche di regola non sono disponibili a offrire servizi di cassa a soggetti che non stipulano contratti
di conto corrente, a soggetti con i quali non è in essere un rapporto di conto corrente, ma dal punto di vista
concettuale giuridico, la componente gestoria è comunque un evento distinto rispetto al contratto di conto
corrente, che è valido ed efficace anche qui anche in assenza di quella componente gestoria, cioè, nulla vieta
per esempio che il cliente rinuncia farsi rilasciare carte di pagamento, nulla vieta che il cliente non dia alla
banca ordini di pagamento, magari utilizzi il conto esclusivamente per accreditare le somme dello stipendio.
Il conto corrente, il contratto in questione, sarebbe valido ed efficace anche privo della sua componente
gestoria.

è chiaro che questa ricostruzione pure presenti in dottrina non è una ricostruzione che può essere condivisa.
Siamo di fronte ad un contratto che ha una natura specifica, ha una funzione particolare, che non è
riconducibile ad altri schemi contrattuali noti.

Questa è la tesi preferibile che è per esempio la tesi avanzata e sostenuta da questo studioso, Ferro-Luzzi, che
è lo studioso più importante di diritto bancario che abbiamo avuto in Italia. Quando parliamo di apertura di
un conto magari, volgarmente, comunemente, nell'accezione che gli diamo quotidianamente, facciamo
riferimento alla stipulazione del contratto, ma in realtà l'apertura di un conto, dal punto di vista tecnico
giuridico, è un qualcosa di diverso, perché consiste nell’appostazione da parte della banca, nell'ambito delle
proprie scritture contabili di una partita, cioè di un conto, intestato ad un determinato cliente.

Il conto è destinato ad accogliere tutte le annotazioni che la banca effettua in relazione alle operazioni
compiute con quel determinato cliente, possono essere ovviamente sia operazioni di addebito, che operazioni
di accredito.

L'apertura del conto, quindi, non coincide concettualmente con la stipulazione del contratto, ma rispetto alla
stipulazione del contratto potremmo dire, rientra nella fase esecutiva del rapporto. Quindi prima si stipula il
contratto, e in esecuzione della stipulazione di quel contratto, la banca apre un conto, poi i due momenti
possono essere anche contestuali, quindi fondamentalmente il cliente dal punto di vista concreto non se ne
accorge neppure, ma dal punto di vista concettuale-giuridico, questi due momenti sono da tenere distinti.

Per la stipulazione del contratto, quali regole valgono?

Siamo di fronte ad un contratto che deve essere stipulato per iscritto, una copia deve essere consegnata al
cliente, deve prevedere le condizioni economiche, secondo diciamo la disciplina della trasparenza bancaria.
L'apertura del conto poi, può essere accompagnata anche dal rilascio di un carnet di assegni, che il cliente
deve custodire con cura e con il quale può emettere degli ordini di pagamento attraverso l'emissione degli
assegni, deve anche depositare la propria firma, è il caso di rilascio di carnet di assegni in banca, firma che
prende il nome di specimen e che consente la banca di controllare l'autenticità della firma di traenza, poi
successivamente apposta sugli assegni, ogni volta che il cliente dovesse mettere degli assegni per realizzare
operazioni di pagamento.

Una volta aperto il conto, tutti i movimenti che derivano dalle operazioni svolte tra banca e cliente, sono
regolati mediante scritturazioni contabili.

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Scritturazioni contabili che modificano il saldo disponibile, quindi gli addebiti possono essere dovuti alle
causali più disparate, quindi prelevamenti in contanti, pagamento di assegni bancari, bonifici effettuati a
favore di terzi. Cosa comportano?

Comportano la riduzione del credito disponibile. Gli accrediti anch’essi dovuti a diverse causali, quindi, il
versamento in contanti, rimesse di terzi sul conto corrente del correntista in questione. Cosa comportano?

Comportano un incremento del credito disponibile, e quindi si parla per l’appunto, in questo caso di
accreditamenti.

Affinché la banca possa procedere ad effettuare questi addebitamenti o accreditamenti, deve chiaramente
sussistere un fatto che vi ha titolo alla banca per effettuare l'annotazione.

Quindi questo fatto è rappresentato dal venire ad esistenza di un credito liquido ed esigibile della banca verso
il cliente, ovvero del cliente verso la banca.

è chiaro che se il credito liquido ed esigibile, è della banca verso il cliente, avremo una annotazione a favore
della banca, quindi un addebitamento per il cliente.

Se il credito liquido ed esigibile fosse del cliente nei confronti della banca, avremo un’annotazione a favore
del cliente sotto forma di accredito.

L'annotazione sul conto corrente bancario svolge la stessa funzione del pagamento regolarmente effettuato
con il versamento di una somma di moneta legale.

Quindi estingue il titolo da cui si origina l'annotazione, come se il cliente stesse pagando attraverso moneta
legale, quindi da ciò ricaviamo che nel conto corrente bancario, il saldo non è un fenomeno periodico, cioè
che si realizza scadenze predeterminate, ma è un fenomeno in continua formazione, perché ogni annotazione
effettuata in conto modifica il saldo che diventa un fenomeno ricorrente e ciclico.

Mentre nel caso del conto corrente civilistico, solo periodicamente il saldo viene a determinarsi per effetto
delle compensazioni che avvengono semestralmente, trimestralmente o annualmente, a seconda dei vari
periodi.

Fino ad ora abbiamo sempre parlato di saldo, con riferimento ad una particolare accensione dello stesso, cioè
abbiamo parlato di saldo nell’accezione di saldo disponibile, in realtà, questo saldo disponibile si fonda su
una regola in base alla quale le somme versate in contanti, o accreditate sul conto sono immediatamente
disponibili per il cliente, nel momento in cui la banca ha ricevuto il relativo importo e restano disponibili fino
a quando il cliente non le preleva, questa è la regola della immediata disponibilità.

Questa regola dell’immediata disponibilità delle somme accreditate in conto però subisce delle eccezioni,
almeno un'eccezione significativa, per tutte quelle operazioni che comportano per la banca una successiva
attività di incasso.

Il caso tipico è quello in cui il cliente non versi denaro contante, bensì assegni bancari o circolari, perché in
questi casi, ovviamente, le norme bancarie uniformi prevedono che a fronte del versamento di assegni,
l'importo relativo a questi assegni, sia accreditato in conto corrente, con riserva di verifica da parte della
banca e con la clausola salvo buon fine, il che vuol dire che il correntista non può disporre di queste somme
prima che la banca, dopo un certo numero di giorni indicati in contratto, ne abbia conseguito l'incasso, cioè
abbia incassato gli assegni per conto del cliente. Perché effettivamente c'è il rischio, ci potrebbe essere il
rischio che questi assegni siano per esempio, scoperti, nel caso degli assegni bancari. Oppure anche falsi, nel
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caso degli assegni circolari, e proprio per distinguere l’immediata disponibilità delle somme dal momento in
cui le stesse vengono accreditate, la prassi bancaria ha coniato tre tipi di saldo:

Il saldo contabile è effettivamente quello che si determina, nel momento in cui, la banca effettua le
annotazioni in conto, ed è un saldo che per la banca non genera alcun problema, non genera problemi di
sorta. Nel momento in cui ipotizziamo, per esempio, il cliente dovesse versare un assegno in banca, la banca
potrebbe modificare il saldo contabile effettuando l’annotazione a credito del cliente in conto.

Il saldo disponibile, invece, indica l’ammontare giornaliero del credito di cui il cliente può disporre, quindi la
somma che effettivamente può prelevare, e questo saldo disponibile invece, nel caso del versamento di
assegni bancari o circolari, è successivo, cioè si determina in un momento successivo rispetto al saldo
contabile.

Infine, abbiamo il saldo per valute, questo saldo per valute rileva ai fini del conteggio degli interessi e quindi
è relativo al momento, a partire dal quale la banca inizia a conteggiare gli interessi, a credito del cliente
ovviamente se il saldo è positivo, a debito del cliente se il saldo è negativo.

Quindi, quello che appare sul conto corrente, per essere più precisi nell'estratto conto, possiamo individuare
che, in realtà, esiste un saldo contabile, che si determina a seguito della annotazione in conto delle somme di
denaro, ed esiste anche un saldo disponibile che può essere difforme dal saldo contabile, a seconda delle
operazioni che il cliente ha effettuato e che invece quello su cui si fonda la teoria dell’immediata
disponibilità.

Perché c'è una differenza anche con il saldo per valute?

Perché chiaramente, il saldo per valute, di regola è anticipato rispetto al saldo disponibile, perché la banca,
chiaramente non assume un grande rischio nel conteggiare gli interessi su un conto corrente positivo, se
quelle somme effettivamente non sono ancora disponibili.

Perché nel caso in cui, l'attività di incasso degli assegni non dovesse andare a buon fine, la banca potrebbe
comunque stornare quelle somme, e quindi di fatto, non renderle disponibili, quindi evitando che il cliente
possa prelevare sia le stesse, sia gli interessi nel frattempo maturati. è poco rischioso per la banca riconoscere
che una determinata somma produrrà interessi che poi verosimilmente non saranno comunque corrisposti in
futuro qualora l'attività di incasso degli assegni dovesse andare a buon fine, mentre è molto rischioso
riconoscere immediatamente la disponibilità perché ciò potrebbe comportare al cliente la possibilità di
prelevare le somme e per la banca, quindi, la difficoltà poi di recuperare le stesse.

Fino a poco tempo fa, poi, le norme bancarie uniformi prevedevano un fenomeno particolare che era
collegato a il conteggio degli interessi, perché chiaramente in base alla disciplina che dei contratti bancari, il
tasso degli interessi, che chiaramente rappresentano la principale condizione economica di un conto corrente,
devono essere indicati in contratto, su un conto corrente, teoricamente, sono così configurabili, sia interessi
passivi per la banca, cioè a favore del cliente, che sono quegli interessi che la banca paga quando il conto
corrente ha un saldo positivo, sia interessi attivi a favore della banca, che si determinano, maturano, quando
il conto corrente invece va in rosso, ipotizzando che ci sia un affidamento, quindi il cliente possa utilizzare
somme anche al di là di quelle disponibili sul conto.

è chiaro che di regola gli interessi attivi per la banca hanno un tasso che è maggiore di quello degli interessi
passivi, perché la banca ovviamente svolge un’attività a scopo di lucro, e quindi lucra un po' su tutte le
operazioni bancarie poste in essere anche sui conti correnti.

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Ma oltre a questo, fino a poco tempo fa, le norme bancarie uniformi poi prevedevano un fenomeno, che
prende il nome di anatocismo, col quale, le banche in realtà, lucravano ancor di più sui conti correnti bancari.

Perché questo fenomeno dell'anatocismo, prevedeva un regime di capitalizzazione degli interessi, sia quelli
addebito del cliente, sia quelli potremmo dire a credito del cliente, differente dal punto di vista temporale,
perché gli interessi a debito del cliente venivano capitalizzati trimestralmente, mentre gli interessi a credito
del cliente, con un tasso più basso, venivano capitalizzati annualmente.

Che cosa significa capitalizzare gli interessi?

Capitalizzare gli interessi, significa, fondamentalmente, che gli interessi a scadenze periodiche, quindi
trimestralmente, annualmente, a seconda dei punti di vista, venivano addebitati o accreditati in conto a
seconda che fossero interessi a debito del cliente, o a credito del cliente, e accorpati alla sorte capitale, cioè
alla somma disponibile sul conto, ovvero alla somma a debito del cliente nei confronti della banca, in caso di
conto corrente in rosso.

Nel momento in cui vengono accorpati alla sorte capitale, è chiaro che per il periodo successivo, quindi per il
trimestre successivo, per l'anno successivo, anche gli interessi producono a loro volta ulteriori interessi,
questo è il fenomeno dell'anatocismo.

Gli interessi non vengono pagati una volta che sono maturati, ma vengono annotati anch’essi in conto, dal
momento in cui vengono annotati in conto, perdono la loro autonomia rispetto al capitale che li ha generati, e
se perdono la loro autonomia rispetto al capitale che li ha generati, nel periodo successivo assieme alla sorte
capitale genereranno nuovi interessi. Questo fenomeno che chiamiamo anatocismo, e che letteralmente
significa “di nuovo interessi” è un'espressione che deriva dal greco, “ana” significa “di nuovo” e “tocos”
significa “interesse”, quindi “di nuovo interessi”.

è chiaro che attraverso questo meccanismo di diversa capitalizzazione degli interessi, generano un profitto
ulteriore a favore delle banche, fino a quando la cassazione, è intervenuta nel 1999 e pronunciando la nullità
della clausola anatocistica, perché evidentemente è posta in essere in violazione di una norma del codice
civile, e costringendo il legislatore a intervenire nell’ambito del testo unico bancario inserendo una norma,
l’articolo 120 comma secondo, che prevede che, nei rapporti di conto corrente deve essere assicurata nei
confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi, sia debitori e sia creditori, e in più
si dice che gli interessi debitori maturati non possono produrre interessi ulteriori e devono essere calcolati
esclusivamente sulla sorte capitale.

Quindi per effetto di questa modifica, il testo unico bancario è venuto definitivamente meno un fenomeno in
cui, in passato le banche, di frequente ricorrevano per lucrare nei confronti della clientela.

Il conto corrente, ed è nella prassi non così raro, può essere intestato a più persone, tant'è che si può parlare
di conto corrente cointestato.

In questo caso la disciplina del conto corrente cointestato la ricaviamo dall'articolo 1854 che non a caso è
una norma dedicata alle operazioni bancarie in conto corrente, questa norma ci dice che nel caso di conto
corrente cointestato, è possibile che vi sia per i cointestatari del conto, prevista la facoltà di operare sia
congiuntamente, che disgiuntamente.

Quindi parleremo di conto cointestato a firma disgiunta, e conto cointestato a firma congiunta.

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Nel primo caso, quindi a firma disgiunta, gli intestatari del conto sono considerati nei confronti della banca
creditori in solido del saldo attivo, e debitore in solido del saldo passivo. Cosa vuol dire essere creditore in
solido del saldo attivo?

Significa essere creditori per l’intero. Debitori in solido del saldo passivo, vuol dire che se il conto corrente è
in rosso, ha un saldo negativo, la banca può chiedere il rientro integrale a ciascuno dei due cointestatari del
conto. Quindi può rivolgersi indifferentemente a uno dei due e chiedere di versare l’intero importo
corrispondente al saldo negativo.

Se invece il conto corrente cointestato e a intestazione congiunta oppure a firma congiunta, in questo caso la
disciplina fa una distinzione, gli atti di disposizione, cioè di utilizzo delle somme disponibili devono
provenire da tutti i cointestatari, congiuntamente.

Invece, gli atti con i quali si crea la disponibilità sul conto, cioè i versamenti, possono essere fatti anche
separatamente, perché chiaramente in questo caso sono atti che accrescono il saldo disponibile e quindi non
si creano problemi per la banca.

Un soggetto può avere anche due rapporti di conto corrente sulla stessa banca, e nel caso di questo tipo i
rapporti di conto corrente restano tra loro distinti e autonomi, quindi la banca di volta in volta dovrà operare
sul conto sul quale il cliente gli ha impartito l’ordine di pagamento, tuttavia se un rapporto, un conto presenta
un saldo attivo per il cliente, ed un altro, un saldo passivo per il cliente, i relativi saldi si compensano
reciprocamente.

Per esempio, se un cliente dovesse andare sul conto a prelevare una somma di denaro ma su un altro conto ha
un saldo passivo nei confronti della banca, la banca li potrà eccepire la compensazione tra i due saldi
impedendo chiaramente al cliente il prelievo delle somme disponibili.

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I DEPOSITI BANCARI
17 marzo 2021

Quando parliamo di chiusura del conto corrente, dobbiamo precisare che questa chiusura del conto corrente
può assumere due significati diversi, può essere utilizzata questa espressione con due eccezioni diverse, e
cioè, la chiusura periodica del conto corrente e la chiusura definitiva del conto corrente.

Indubbiamente l'ipotesi più problematica dal punto di vista concettuale è quella della chiusura periodica.

Nel corso dello svolgimento di un rapporto di conto corrente bancario, alla base delle annotazioni che
vengono effettuate in conto, sia addebito che a credito del cliente, vi sono dei rapporti di debito e di credito
tra le parti, cioè tra il cliente e la banca. Questi rapporti di debito e di credito sono estranei al rapporto di
conto corrente in sé, cioè, se la banca effettua un'annotazione a debito del cliente, perché per esempio, il
cliente effettua un prelievo di denaro, il prelievo di denaro è un fatto che genera un debito del cliente nei
confronti della banca che è indipendente dall'esistenza del conto corrente.

è un fatto che si determina non in relazione alla sussistenza di un rapporto di conto corrente ma
semplicemente perché il cliente decide di prelevare una somma di denaro.

Allo stesso modo, ipotizziamo che il cliente decida di impartire un ordine di pagamento alla banca, dando un
ordine di bonifico a favore di un terzo. Anche in questo caso, la banca effettua un'annotazione a debito, il
titolo che la sorregge però, cioè per l'ordine di pagamento impartito dal cliente alla banca estraneo alla
sussistenza di un rapporto di conto corrente. Quindi questo rapporto di debito e giustifica l'annotazione, ma
lo stesso potremmo dire per i rapporti creditori, sono estranei in sé alla sussistenza di un rapporto di conto
corrente.

Vi sono però invece delle annotazioni a credito e a debito che si generano, si determinano in virtù di rapporti
di debito e di credito, che nascono solo perché vi è in essere un rapporto di conto corrente. Se non ci fosse un
rapporto di conto corrente, questi rapporti di credito e di debito non sorgerebbero neppure, e non vi sarebbe
esigenza quindi di procedere all'annotazione in conto.

Quali sono questi rapporti di debito e di credito che nascono solo perché in vita un contratto di conto
corrente?

Per esempio, gli interessi, che possono essere attivi e passivi a seconda del saldo, quindi se non ci sarà un
contratto di conto corrente non avremo la determinazione, l’insorgere degli interessi, e poi tutte le spese
variamente articolate, possono essere commissioni, possono essere spese di tenuta conto, di invio degli
estratti conto e così via.

Anche le spese dipendono dal fatto che sussiste, esiste un rapporto di conto corrente, se non ci fosse un
rapporto di conto corrente non ci sarebbero chiaramente le spese.
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Anche queste somme, quindi interessi, spese, commissioni, vengono rese liquidi ed esigibili attraverso
l'annotazione in conto. Quindi lo stesso meccanismo del conto corrente, dell'annotazione in conto, vale per
queste somme che trovano il loro titolo proprio nell'esistenza di un rapporto di conto corrente.

Quindi anche questi crediti, e questi debiti, a seconda della prospettiva, vengono regolate attraverso
l’annotazione in conto. In che momento?

Questo è il punto centrale, a scadenze periodiche e predeterminate. Quindi, non quotidianamente ma a


determinate scadenze. Quando parliamo di chiusura periodica del conto intendiamo far riferimento al termine
previsto nel contratto, al quale queste somme, interessi, spese, commissioni, diventano liquidi ed esigibili
cioè vengono annotate in conto e dunque pagate e regolate attraverso il meccanismo della annotazione in
conto.

La scadenza periodica può essere trimestrale, può essere semestrale, può essere annuale, dipende da quello
che è previsto, chiaramente nel contratto di conto corrente.

Il tema inscindibilmente connesso a questo della chiusura periodica del conto corrente è quello delle
comunicazioni periodiche alla clientela. C'è una norma che riguarda per l'appunto la trasparenza post
contrattuale, cioè quegli adempimenti che la banca deve effettuare nei confronti della clientela dopo la
stipulazione del contratto, nella fase esecutiva dello stesso.

Tra questi, il principale adempimento è previsto dall'articolo 119 e consiste nell'effettuare azione di
comunicazioni periodiche alla clientela.

Ai sensi di questa norma, le banche in tutti i contratti di durata bancari, e ricordiamo che i contratti bancari
sono sempre contratti di durata, non sono mai contratti che si esauriscono con l'effettuazione di una singola
prestazione ma durano nel tempo, molte volte sono addirittura contratti stipulati a tempo indeterminato.

Le banche, nei contratti di durata devono fornire al cliente, in forma scritta o mediante altro supporto
durevole, quindi anche mediante email o mettendo a disposizione del cliente la comunicazione in un'apposita
sezione del suo homebanking, come fanno attualmente le banche, una comunicazione chiara in merito allo
svolgimento del rapporto, e devono fornire questa comunicazione chiara in merito allo svolgimento del
rapporto sia alla scadenza del contratto, però il più delle volte siamo di fronte a contratti stipulati a tempo
indeterminato, questo vale per esempio per il conto corrente bancario, e comunque dice la norma almeno una
volta all'anno.

Quindi anche se non c'è una scadenza, almeno una volta all'anno la banca deve procedere a effettuare questa
comunicazione chiara in merito allo svolgimento del rapporto.

Quindi siamo di fronte ad un obbligo di trasparenza, di informativa, di disclosure se vogliamo utilizzare


l'espressione anglosassone, che si realizza nella fase esecutiva post contrattuale che non riguarda né la fase
delle trattative e né la fase di stipulazione del contratto.

Questa regola dell'articolo 119 tub riguarda in genere i contratti bancari, ma è chiaro che essa assume una
valenza particolare con riferimento proprio al contratto di conto corrente bancario. Perché nel caso del conto
corrente bancario, è chiaro che la comunicazione periodica per eccellenza che la banca fornisce al cliente è
rappresentato dall’estratto conto. L’estratto conto rappresenta sia il saldo del conto alla data di riferimento,
cioè al momento della chiusura periodica del conto, sia la dinamica del conto durante il periodo di
riferimento, cioè durante il periodo che va dalla chiusura del conto alla chiusura precedente del conto.

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Ovviamente, siccome l’estratto conto viene inviato in riferimento alla data di chiusura periodica del conto,
tiene anche quelle annotazioni che trovano la loro causa nell’esistenza stessa di un rapporto di conto
corrente, cioè interessi, commissioni e spese che vengono resi liquidi ed esigibili a scadenze periodiche
coincidenti con la chiusura periodica del conto.

Nel caso del conto corrente bancario, la norma precisa che il cliente ha diritto di essere informato con
periodicità almeno annuale, può esigere però il cliente che l'estratto conto gli venga inviato con una
periodicità più breve, che può essere semestrale, trimestrale, o mensile. Dalla chiusura periodica del conto
corrente dobbiamo, poi invece distinguere la chiusura definitiva del conto corrente.

La chiusura definitiva del conto corrente comporta o implica l'estinzione del contratto di conto corrente
bancario, quindi la fine del rapporto contrattuale.

Siccome però, il contratto di conto corrente bancario di regola è un contratto stipulato a tempo indeterminato,
si estingue attraverso il recesso di una delle parti del rapporto.

Quindi il conto corrente bancario di regola non ha una scadenza, il rapporto si estingue solo quando una delle
due parti, la banca o il cliente esercitano il diritto di recesso.

Questo diritto di recesso comporta lo scioglimento del contratto e a seguito dello scioglimento del contratto
abbiamo la chiusura definitiva del conto, che tecnicamente può essere concepita in maniera analoga
all'apertura del conto, seppur ovviamente attraverso una visuale contrapposta, cioè chiusura del conto
significa eliminazione dalle scritture contabili della banca della partita del conto intestato al cliente.

Il contratto di conto corrente bancario rappresenta il contratto di base in qualunque rapporto tra banca e
cliente che assuma un carattere duraturo nel tempo, ma dal punto di vista qualificatorio, il conto corrente
bancario, in realtà, non è qualificabile né come una operazione passiva di raccolta del risparmio, né come
operazione attiva di erogazione del credito.

Vi sono invece dei contratti bancari che invece si collocano a pieno titolo nell'ambito di questa dicotomia che
caratterizza l'attività bancaria, cioè nell'ambito della dicotomia tra operazioni di raccolta e operazioni di
erogazione del credito.

Il primo di questi contratti da esaminare, ed è anche il primo contratto disciplinato dal Codice civile nel capo
XVII dedicato ai contratti bancari è per l’appunto il deposito bancario.

Per comprendere lo schema di base del deposito bancario, dobbiamo un attimo richiamare la definizione di
attività bancaria che si poggia su due fasi, due momenti dell'attività.

Una prima fase è quella della raccolta del risparmio tra il pubblico, e la seconda fase che è quella di
erogazione o esercizio del credito. Questo ce lo diceva l'articolo 10 del testo unico bancario. La norma
successiva, cioè l'articolo 11, da una definizione di raccolta di risparmio e precisa che costituisce raccolta di
risparmio, la raccolta del risparmio è, in particolare, per l’articolo 11, l’acquisizione di fondi con obbligo di
rimborso, sia sotto forma di depositi sia sotto altra forma.

Da questo articolo 11 del tub ricaviamo nell'ambito dell'attività bancaria, l'acquisizione di fondi con obbligo
di rimborso, cioè l'attività di raccolta del risparmio, può assumere diverse forme. La forma paradigmatica,
cioè il contratto che per eccellenza la banca utilizza per realizzare questa attività di raccolta è il deposito di
denaro.

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Fermo restando che non è l'unica forma di raccolta che la banca può utilizzare, perché per esempio, la banca
potrebbe anche emettere un prestito obbligazionario per raccogliere il risparmio presso il pubblico dei
risparmiatori.

Del deposito abbiamo innanzitutto una definizione, l’articolo 1834 del Codice civile, questa norma recita:
“nei depositi di una somma di denaro presso una banca, questa ne acquista la proprietà ed è obbligata a
restituirla nella stessa specie monetaria, alla scadenza del termine convenuto ovvero a richiesta del
depositante, con l'osservanza del periodo di preavviso stabilito dalle parti o dagli usi”.

Da questa norma definitoria ricaviamo che nell'ambito dei depositi è possibile effettuare una distinzione di
base tra il deposito cosiddetto vincolato, in cui la restituzione della somma è effettuata dalla banca alla
scadenza del termine convenuto, e deposito libero, se la restituzione avviene, come dice la norma, a richiesta
del depositante, c'è pure in dottrina si distinguono queste due ipotesi, parlando nel primo caso, di deposito a
tempo, perché c’è un termine convenuto che deve scadere per poter esigere la restituzione della somma di
denaro. Nel secondo caso, si parla invece di deposito a vista, cioè a semplice richiesta del depositante, ferma
l'esistenza di un preavviso che le parti possono concordare, la banca è tenuta a restituire le somme di denaro.

Non c'è dubbio che sulla base di questa norma definitoria che abbiamo richiamato, il deposito bancario si
scriva a pieno titolo nello schema della raccolta del risparmio, cioè nello schema dell’acquisizione di fondi
con obbligo di rimborso.

Perché da un lato abbiamo l'acquisizione dei fondi, in particolare l'acquisizione dei fondi nel deposito
bancario si realizza attraverso l'acquisto della proprietà del denaro da parte della banca nei confronti del
cliente depositante. Vi è poi l’altro elemento, quello dell’obbligo di rimborso, perché la banca si obbliga a
restituire la stessa quantità di specie monetaria ricevuta in deposito, il che manifesta quell’obbligo di
rimborso cui fa riferimento l'articolo 11 nel definire per l'appunto la raccolta del risparmio.

Il deposito bancario rappresenta per le banche, la principale operazione passiva.

è molto importante che la banca acquisti la proprietà della somma di denaro una somma perché quella
somma di denaro serve alla banca a creare la provvista per poter svolgere poi le operazioni attive di
erogazione del credito. Quindi la banca si assicura la proprietà, e la disponibilità monetaria che le serve per
poter esercitare il credito.

Questo incide poi anche sulla qualificazione del contratto in questione, nel nostro Codice civile esiste anche
un contratto di deposito che potremmo chiamare ordinario, generale. Secondo la definizione, il contratto di
deposito è il contratto con il quale una parte riceve dall'altra una cosa mobile, con l'obbligo di custodirla e
restituirla in natura.

Quando si usa questo contratto di deposito? Un esempio di contratto di deposito?

Per esempio, il deposito di bagagli è un contratto di deposito, chiaramente non ci poniamo il problema di
qualificarlo quando andiamo a utilizzarlo per le nostre diciamo vacanze, però è effettivamente un contratto di
deposito.

Quindi effettivamente lì c'è un depositario, che si obbliga di custodire il nostro bagaglio e di restituirlo a una
determinata scadenza, ovvero a richiesta del depositante.

Nell’ambito di questo deposito in generale, poi c’è una fattispecie particolare che prende il nome di deposito
irregolare, cioè l’articolo 1782 del Codice civile.

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Questo deposito irregolare, si ha nel caso in cui il deposito ha per oggetto una quantità di denaro o di altre
cose fungibili (* sono cose che non possono essere individuate in maniera specifica ma solo nel genere,
come per esempio le merci).

L’articolo 1782 dice che se il deposito ha per oggetto una quantità di denaro di altre cose fungibili, con
facoltà per il depositario di servirsene questi, cioè il depositario, acquista la proprietà del denaro e delle altre
cose fungibili, ed è tenuto a restituirne altrettante della stessa specie e qualità.

Secondo una parte della dottrina ma soprattutto secondo la giurisprudenza, il deposito bancario, andrebbe
ricondotto alla fattispecie del deposito irregolare.

In effetti, come il deposito irregolare, il deposito bancario ha ad oggetto una quantità di denaro, e il
depositario ha facoltà di servirsi di questa quantità di denaro depositata.

Il depositario è chiaramente la banca, mentre il depositante è il cliente.

Tuttavia, vi sono delle particolarità che rendono questa qualificazione del deposito bancario come deposito
irregolare, da prendere sempre in maniera un po’ sfumata, attenta sostanzialmente, non in maniera acritica.
Quali sono queste particolarità?

Intanto la particolare natura del soggetto depositario, mentre nel deposito irregolare il depositario potrebbe
essere un qualunque soggetto, persona fisica o giuridica, nel caso del deposito bancario, in quanto contratto
bancario, non c'è dubbio che il depositario è necessariamente una banca. e questa è la prima peculiarità.

In secondo luogo, particolare è il passaggio della proprietà del denaro, perché nel deposito irregolare il
passaggio del denaro, della proprietà del denaro, dal depositante al depositario deriva dal consenso del
depositante, perché la norma dice che è prevista la facoltà per il depositario di servirsene. Quindi vuol dire
che il depositante deve acconsentire a che il depositario acquisti la proprietà, cioè abbia la facoltà di servirsi
del denaro e a quel punto acquisti la proprietà dello stesso.

Nel deposito bancario invece, il passaggio della proprietà del denaro dal depositante al depositario, non deve
essere convenuto in contratto, cioè le parti non si devono mettere d'accordo e inserire un'espressa clausola di
questo tipo in contratto, perché in realtà il passaggio della proprietà deriva, potremmo dire, è insito
nell’essenza stessa di questo contratto, ed è giustificato proprio in virtù della particolare natura dell'attività
bancaria.

La banca deve necessariamente acquistare la proprietà del denaro, perché altrimenti non ha a disposizione la
provvista per poter esercitare le operazioni attive.

Siamo di fronte, nel caso di deposito bancario, a un contratto oneroso, oneroso chiaramente per la banca, e
anche questa è una prospettiva rovesciata rispetto al contratto di deposito generale del Codice civile.

Pensate al deposito di bagagli, il depositante soddisfa un proprio interesse nel depositare il bene, l’interesse è
che ci sia un qualcuno, che è il depositario che custodisca il bene, lo conservi e poi glielo restituisca dopo un
certo periodo di tempo, quando ne ha chiaramente bisogno.

Nel deposito bancario la prospettiva si rovescia, qui il denaro serve alla banca per poter esercitare le proprie
operazioni attive, per erogare il credito e quindi è la banca che paga il corrispettivo nei confronti del cliente
depositante, anche se ovviamente a titolo di interessi, anche se ovviamente gli interessi fatto sono
particolarmente bassi.

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Di fronte a questo schema, il tentativo di ricondurre il deposito bancario a deposito irregolare e le perplessità
che questa operazione interpretativa solleva, c'è stata un'altra tesi che si è sviluppata in dottrina che però non
è neppure questa appagante, che ha cercato di ricostruire il deposito bancario, non tanto come un sottotipo di
deposito irregolare, quanto come sotto tipo di mutuo, perché si dice in effetti che la funzione del contratto è
una funzione creditizia nei confronti della banca.

Nel mutuo abbiamo due soggetti: il mutuante è quello che presta il denaro, il mutuatario è quello che riceve
il denaro e si obbliga a restituirlo a determinate scadenze.

Se volessimo fare un’assimilazione tra deposito bancario e mutuo, dovremmo intenderci su chi è il mutuante
e chi è il mutuatario. Nel deposito bancario chi sarebbe mutuante?

Il depositante, quindi sarebbe una prospettiva rovesciata rispetto a quella che consuetamente utilizziamo per
il mutuo, dove la banca che è mutuante.

C’è una parte della dottrina che dice che si tratta di un mutuo, in cui il mutuante è chi deposita il denaro, cioè
il cliente della banca e il mutuatario è la banca che si obbliga a restituire il denaro a determinate scadenze.

Cos'è che non convince di questa ricostruzione?

Innanzitutto, che le somme depositate, nel caso del deposito bancario, possono essere esigibili a vista.
Abbiamo detto che esiste, anzi, è una delle forme principali di deposito, il deposito libero, a vista, in cui il
cliente può chiedere la restituzione delle somme quando lo ritiene opportuno, e la banca deve essere pronta a
restituire le somme al cliente.

Nel mutuo, invece, un termine fissato in contratto per la restituzione delle somme è essenziale, quindi non vi
può essere un mutuo in cui il mutuante, colui che ha prestato le somme, esiga a vista la restituzione delle
somme prestate. Perché ciò obbligherebbe in effetti il mutuatario a tenere quelle somme a disposizione del
mutuante, perché in ogni momento, il mutuante potrebbe chiedere la restituzione delle stesse.

Questo la banca lo può fare, ma è chiaro che la banca non tiene a disposizione dei depositanti l'intero
ammontare dei depositi che vengono effettuati dai clienti, fa una stima di quelle che potrebbero essere le
richieste di restituzione quotidiane e mantiene il livello di disponibilità a quello che effettivamente serve per
venire incontro a queste richieste, non è ipotizzabile, eccetto casi di crisi di sistemi che ho di default della
banca, che i clienti vadano simultaneamente tutti insieme presso lo sportello a chiedere la restituzione dei
propri fondi. Quindi, siamo di fronte a due fattispecie contrattuali diverse, d'altro canto non è un caso che il
deposito bancario e il mutuo siano due fattispecie contrattuali disciplinate entrambe dal Codice civile, seppur
con due funzioni e in due posizioni diverse del Codice civile.

Quindi questa assimilazione, evidentemente, non è convincente.

Qual è la conclusione di questo discorso?

Il deposito bancario, deve essere anch'esso inteso come un contratto bancario tipico, che si caratterizza per il
necessario intervento della banca, in qualità di depositario che si caratterizza per il fatto che questo contratto
è prestato dalla banca nell'ambito dell'esercizio della sua attività bancaria tipica, di raccolta del risparmio, e
che non può essere quindi, così ricondotto ad altre figure contrattuali, sebbene abbia delle similitudini sul
piano strutturale con altre figure contrattuali, quali per esempio: il deposito irregolare ma anche il mutuo.

Questo implica che è possibile applicare delle norme che troviamo nell'ambito del deposito irregolare,
ovvero delle norme che troviamo nell'ambito della disciplina del mutuo, ma se volessimo applicare quelle
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norme al deposito bancario, dovremo pur sempre ricorrere al procedimento analogico, cioè non possiamo
applicare direttamente quelle norme, ma dobbiamo valutare volta per volta se singole norme sono
compatibili con lo schema del deposito bancario e con le regole dettate in materia di deposito bancario, e
possono allora essere utilizzate per colmare le lacune della disciplina in materia di deposito bancario, che
chiaramente, è una disciplina piuttosto scarna, cioè le regole del codice civile sul deposito bancario sono
numericamente molto contenute, andiamo dall’articolo 1834 all’articolo 1838. Quindi fondamentalmente
abbiamo cinque norme di cui una, peraltro, l'articolo 1837 è stato anche abrogato, resta fermo che
chiaramente al deposito bancario oltre alle norme del Codice civile previste per il contratto in questione, oltre
alle norme richiamate in materia di mutuo e deposito irregolare, vanno applicate anche le norme generali per
i contratti bancari, in particolare la disciplina della trasparenza.

Nel deposito bancario, la banca acquista la proprietà della somma di denaro ricevuta in deposito e si obbliga
restituirla nella stessa specie monetaria o alla scadenza del termine convenuto, se il deposito è la forma del
deposito vincolato o a tempo, o dietro richiesta del depositante se il deposito, nella forma del deposito libero
o a vista.

Il contratto di deposito bancario, quindi, presuppone che il depositante una volta depositata la somma di
denaro, diventi creditore della banca, e vanti un credito, per l'appunto, alla restituzione della somma di
denaro.

Come tutti i contratti bancari, vale anche per il deposito bancario, il rilievo che siamo di fronte a un contratto
per adesione.

Che significa contratto per adesione?

La banca predispone un modulo contrattuale che è una proposta contrattuale a tutti gli effetti e il cliente
l'accetta, questo vale per tutti i contratti bancari, vale anche per il deposito, quindi, è il cliente che sottoscrive
il modulo standardizzato predisposto dalla banca.

Il deposito bancario, questa un'altra peculiarità di questo contratto, è un contratto reale.

Che vuol dire che un contratto reale?

I contratti reali sono quelli che si perfezionano con la consegna del bene o della cosa oggetto del contratto.
Quindi nel caso del deposito, il deposito si perfeziona nel momento in cui il cliente ha consegnato la somma
di denaro alla banca. Prima di quel momento il contratto non è concluso e non è efficace, indipendentemente
dalla sottoscrizione del modulo contrattuale. Con lo schema del contratto di deposito bancario, il cliente
vanta un credito nei confronti della banca alla restituzione delle somme depositate, essendo il cliente
creditore nei confronti della banca avrà anche diritto ad ottenere il pagamento degli interessi.

Che abbia diritto al pagamento degli interessi in realtà lo possiamo anche ricavare dalla disciplina del mutuo,
che è applicabile al deposito bancario anche per via del rinvio alla disciplina del mutuo che fa la norma in
materia di deposito irregolare, cioè questa norma l'articolo 1815 in tema di mutuo che dice: salvo diversa
volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante”.

Secondo lo schema che abbiamo definito, il mutuatario è la banca, il mutuante è il cliente, quindi il
mutuatario, cioè la banca, deve corrispondere gli interessi al cliente.

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Il deposito bancario trova applicazione la disciplina della trasparenza bancaria contenuta negli articoli 115 e
seguenti del TUB, in particolare trova applicazione l'articolo 117 che disciplina il contratto, che prevede che
il tasso di interesse, le altre condizioni economiche, devono risultare dal contratto di deposito.

Il tasso di interesse è oggi modesto per i depositi bancari, sicuramente un po' più alto nell'ipotesi di depositi
vincolati, perché in quel caso la banca ha una possibilità di organizzarsi, disporre delle somme maggiori
perché può, per l'appunto, programmare la restituzione della somma ad una determinata scadenza, cosa che
non può fare invece nel caso di depositi liberi. In ogni caso il tasso di interesse non può essere inferiore a
quello predeterminato in via generale per quella determinata categoria di operazioni passive, cioè non può
essere inferiore a quello pubblicizzato per le stesse operazioni prima della stipulazione del contratto, perché
qualora ci fosse un tasso di interesse applicato, inferiore, trattandosi di un tasso di interesse a credito per il
cliente attivo, se fosse calcolato un tasso di interesse più basso di quello pubblicizzato precedentemente dalla
banca, dovremmo applicare il meccanismo sanzionatorio che è contemplato dall'articolo 117 del TUB.

Che cosa accadrebbe?

Si applica il tasso di interesse dei buoni ordinari del tesoro (BOT) emessi nei dodici mesi precedenti, ma
quale? Il tasso più alto o il tasso più basso dell’emissione dei BOT?

Si applica il tasso più alto perché per la banca è un'operazione passiva, quindi la banca deve essere
sanzionata a pagare di più.

L'altra classificazione che possiamo ricavare dalle norme del Codice civile in materia di depositi bancari è
quella tra depositi semplici detti anche depositi ordinari, depositi in conto corrente e depositi a risparmio.

Il deposito semplice è uno schema abbastanza elementare, quindi il deposito, la somma depositata, si
costituisce con un unico versamento da parte del cliente depositante e si estingue, questo deposito, con
un'unica restituzione di denaro depositato di regola a un determinato termine di scadenza. Significa che se il
deposito segue lo schema del deposito semplice, non è possibile per il cliente alimentare la somma depositata
con successivi versamenti, né è possibile per il cliente prelevare parzialmente la somma depositata, ma deve
necessariamente attendere la scadenza per estinguere il deposito prelevando l'intera somma. L'esempio che si
fa in materia di depositi semplici, può essere in realtà di due tipi, o i certificati di deposito oppure i buoni
fruttiferi. Anche il buono fruttifero postale è una forma fondamentalmente di deposito semplice. La funzione
che in parte realizza questa tipologia di deposito è anche una funzione di custodia del denaro nell'interesse
del cliente, unito a una seppur minima forma di remunerazione rappresentata dagli interessi cui il cliente ha
diritto. Esiste invece lo schema, sicuramente uno schema più evoluto di deposito, che è quello del deposito in
conto corrente, ricordiamo la norma, cioè l'articolo 1852 sulle operazioni bancarie in conto corrente, ci dice
che qualora il deposito, l'apertura di credito, o altre operazioni bancarie siano regolate in conto corrente, il
correntista può disporre in qualsiasi momento delle somme risultanti a suo credito. Quindi esiste uno schema
in base al quale il deposito può essere regolato nella forma tecnica del conto corrente, però parlare di
deposito bancario in conto corrente come autonoma fattispecie contrattuale, in realtà oggi non ha più senso,
perché quando il deposito è regolato nella forma tecnica del conto corrente, il deposito è di fatto assorbito in
un altro contratto cioè il conto corrente bancario.

Rispetto al conto corrente bancario di corrispondenza, che cos'è il deposito? Cosa rappresenta il deposito?

Rappresenta la modalità attraverso cui il cliente costituisce la disponibilità iniziale sul conto corrente
bancario. Questo non significa che quella disciplina prevista per le operazioni bancarie in conto corrente non
possa comunque applicarsi anche al conto corrente bancario sul quale si innesta, per l'appunto, un rapporto di
deposito attraverso la costituzione dell’iniziale disponibilità sul conto.
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Se il deposito è in conto corrente qual è la differenza rispetto al deposito semplice?

La differenza è che chiaramente l'operatività sulla somma depositata diventa a tutti gli effetti quella tipica del
conto corrente bancario, ciò significa che il cliente può non solo effettuare prelevamenti parziali e versamenti
successivi di denaro sul conto, ma può anche operare sulla somma depositata attraverso le tecniche tipiche
del conto corrente: giroconti, bonifici e più in generale emettendo, impartendo ordini di pagamento, ovvero
anche attraverso l'utilizzo delle carte di pagamento, qualora accompagnino il conto e anche operando per
mezzo degli assegni.

Il terzo schema, o la terza tipologia di deposito è quella del deposito a risparmio.

Nel deposito a risparmio, il depositante tende ad accumulare nel tempo un determinato capitale, perché nel
deposito a risparmio il depositante può effettuare, dopo il versamento iniziale della somma di denaro,
successivi versamenti e può anche prelevare parzialmente le somme depositate. Ci sono però due peculiarità
che distinguono il deposito a risparmio rispetto al deposito in conto corrente, dove abbiamo detto che
l'operatività, il cliente sulla somma depositata è piena.

I versamenti e i prelevamenti se il deposito è un deposito a risparmio possono essere fatti solo in denaro
contante, e questa è la prima peculiarità, la seconda peculiarità, è che i versamenti e i prelevamenti possono
essere fatti solo presso la sede della banca ove è stato costituito il rapporto. Ce lo dice l'articolo 1834 comma
secondo.

Qual è la sede della banca ove è stato costituito il rapporto?

è la filiale presso la quale il cliente, originariamente, ha depositato la somma di denaro stipulando il contratto
di deposito. Questa regola è espressione del cosiddetto principio di localizzazione dei rapporti bancari.

Quindi, sostanzialmente, questo principio da rilevanza a un'esigenza organizzativa della banca di collegare
materialmente, istituire uno stretto legame tra il rapporto di deposito e lo stabilimento dove la somma
effettivamente è stata depositata.

La norma qui parla di sede della banca, ma non dobbiamo intenderla come riferita alla sede legale. Di regola
quando si parla di sede di una società, si fa riferimento alla sede legale, ma chiaramente in questo contesto
non siamo di fronte alla sede legale, bensì alla filiale o la succursale della banca presso cui il rapporto è stato
costituito, il cosiddetto sportello bancario. Abbiamo tre tipologie di deposito:

1. Deposito semplice;

2. Deposito in conto corrente;

3. Deposito a risparmio.

Il deposito in conto corrente è in realtà assorbito nell'ambito del conto corrente bancario, quindi come
autonoma fattispecie contrattuale, in realtà, oggi perde parte del proprio significato.

I depositi a risparmio poi, hanno un altro elemento che li caratterizza, che è peculiare del deposito a
risparmio, e cioè il fatto che i depositi a risparmio sono caratterizzati da un apposito documento, che è il
cosiddetto il libretto di deposito a risparmio, nel quale devono essere annotate tutte le operazioni. Quali sono
le operazioni?

Le operazioni sono i versamenti e i prelevamenti di somme di denaro.


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Questo libretto si dice che ha un penetrante valore probatorio, perché le annotazioni sul libretto costituiscono
la prova dell'avvenuto deposito del denaro e anche delle successive operazioni di versamento e prelievo, cioè
costituiscono la prova dell'esistenza e dello svolgimento di quelle operazioni nel corso del rapporto. Questo
significa valore probatorio. L'articolo 1835 comma 2, afferma in particolare, che le annotazioni sul libretto
firmate dall'impiegato della banca che appare addetto al servizio, fanno piena prova nei rapporti fra banca e
depositante. E si aggiunge che è nullo ogni patto contrario.

Da questa regola dell'articolo 1835 comma secondo, nel quale si dice che le annotazioni sul libretto firmate
dall'impiegato della banca appare addetto al servizio, fanno piena prova nei rapporti fra banca e depositante.
Sta a significare che la banca e il depositante, per contestare le annotazioni contenute sul libretto, non
possono avvalersi di altri mezzi di prova, per esempio non possono avvalersi della prova cosiddetta
“testimoniale”.

Il cliente non potrebbe dire, il fatto che non risulta la somma depositata sul libretto può essere confutato
attraverso un testimone che era presente con me in banca nel momento in cui ho depositato la somma di
denaro.

Non è ammissibile, perché in realtà le annotazioni sul libretto fanno piena prova.

La banca dal canto suo non potrà eccepire che una somma che risulta versata, annotata sul libretto, non risulti
poi dalle proprie scritture contabili. Anche questa sarebbe una eccezione non ammissibile, proprio perché
abbiamo detto che le annotazioni sul libretto fanno piena prova.

In più questa norma fa applicazione del principio dell'apparenza del diritto, perché dice che le annotazioni
sul libretto fanno piena prova se sono firmate dall'impiegato della banca che appare addetto al servizio.
Quindi, il cliente, una volta che si reca in banca effettua il versamento e ottiene la sottoscrizione
dell'annotazione da parte della persona che si trova dietro lo sportello, non ha l'onere di verificare che quella
persona effettivamente sia impiegato della banca, abbia poteri di rappresentanza della banca.

Perché nel momento in cui è collocata all'interno dei locali dietro lo sportello e si occupa delle attività
bancaria appare addetto al servizio, e a questo punto l'annotazione assume efficacia probatoria.

Circa le caratteristiche di questi libretti di deposito a risparmio, possiamo dire che secondo l'impostazione del
Codice civile, i libretti di deposito al risparmio possono assumere tre forme:

- Libretti di deposito nominativi;

- Nominativi pagabili al portatore;

- Al portatore.

Tuttavia, questi libretti al portatore, già a partire dal 2011, sostanzialmente, hanno incontrato l'avversione del
legislatore. Perché pongono, effettivamente, dei problemi sul fronte del possibile riciclaggio del denaro,
perché fondamentalmente non identifica il depositante.

Il decreto-legge numero 201 del 2011, il cosiddetto decreto Salva Italia, ha stabilito che i libretti di deposito
al portatore, (poi è stato convertito in legge sempre nello stesso mese del 2011 a dicembre 2011) dovessero
avere solo un saldo inferiore a € 1.000, e quindi non fosse più possibile aprire libretti di deposito al portatore
per un importo pari o superiore a € 1.000.

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I libretti ancora in circolazione che avevano un saldo superiore a € 1.000 dovevano essere estinti, ovvero
ridotti, entro il 31 marzo del 2012.

Già a partire dal 2012 la rilevanza dei libretti al portatore era stata drasticamente ridimensionata.
Quell’intervento, tra l’altro il 2011, il decreto salva-Italia, aveva corrispondentemente limitato anche
l'utilizzo del denaro contante, sempre a € 1.000.

Quindi non a caso le due limitazioni erano state introdotte contestualmente, perché avevano lo stesso effetto
in termini di pericolosità su possibili utilizzazioni ai fini di riciclaggio del denaro. La legge di stabilità del
2016 poi era tornata parzialmente indietro, perché aveva innalzato la soglia di utilizzo del denaro contante da
€ 1.000 a € 3.000 era il governo Renzi allora in carica, tuttavia non aveva modificato la disciplina dei limiti
all'utilizzo dei depositi al portatore, dei libretti di deposito al portatore che rimaneva fissata a € 1.000.

L'ultimo colpo, quello definitivo alla esistenza di questi libretti di deposito al portatore è intervenuto con
l'emanazione del decreto legislativo numero 90 del 2017, che ha previsto che a partire da luglio dello stesso
anno del 2017 fosse ammessa solo le emissioni di libretti di deposito nominativi e quelle esistenti dovevano
essere estinti entro il 31 dicembre 2018. Quindi, effettivamente, a partire dal 31 dicembre 2018 i libretti al
portatore non esistono più. Perché c'è questa avversione del legislatore nei confronti dei libretti al portatore?

Perché dobbiamo considerare che le regole che legittimano ad effettuare i prelevamenti, sono diverse a
seconda della natura del libretto. Nei libretti al portatore l'articolo 1836 primo comma, dice che la banca che
senza dolo o colpa grave adempie la prestazione nei confronti del possessore, quindi del portatore del
libretto, è liberata anche se questi non è il depositante. Quindi, il possesso in sede di libretto legittima alla
riscossione e le somme depositate, senza che la banca debba controllare la corrispondenza tra portatore del
libretto e il soggetto che ha stipulato il contratto di deposito a monte, cioè il depositante.

La giurisprudenza nel corso degli anni ha quantomeno cercato un po' di temperare questa regola, di smussare
se vogliamo, la rigidità, imponendo quantomeno alle banche l'obbligo e il dovere, di identificare quantomeno
il soggetto portatore del libretto, fermo restando ovviamente che il possesso legittima alla riscossione delle
somme, però almeno la banca dovrebbe, secondo la giurisprudenza, dovrebbe identificare, quindi farsi
rilasciare un documento, esibire un documento e segnarsi gli estremi del documento del soggetto che si reca
in banca per prelevare le somme di denaro.

Nel caso dei libretti al portatore il rischio che sfugga la possibilità di tracciare la titolarità delle somme di
denaro è una possibilità tutt'altro che remota. Quindi è difficile tenere sotto controllo gli spostamenti del
denaro in capo a determinati soggetti.

Nei libretti nominativi, i prelevamenti, invece, ci dice il Codice civile, possono essere effettuati solo
dall'intestatario del libretto o da un suo rappresentante debitamente legittimato. Quindi la banca deve
accertare che colui che esibisce il libretto è l'intestatario del libretto stesso, e non è liberata se paga a persona
diversa dall'intestatario del libretto.

Nei libretti nominativi pagabili al portatore, il possesso del libretto anche se intestato ad una determinata
persona, abilita di per sé il portatore a ottenere la restituzione delle somme depositate, dice l'articolo 1836
che la banca è liberata se paga senza dolo o colpa grave all’esibitore, anche se questi non è depositante.

Nei libretti nominativi al portatore siamo pur sempre di fronte a libretti intestati a una determinata persona
nei quali però, c’è una clausola pagabile al portatore che legittima il portatore a ottenere la restituzione delle
somme, fermo restando che anche qui non è revocabile in dubbio, secondo la giurisprudenza che la banca
debba comunque accertare l’identità del soggetto che esibisce il libretto.
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Anche se c’è un libretto nominativo invero, quindi diciamo, la seconda ipotesi che abbiamo considerato, è
possibile che l'intestatario del libretto si faccia sostituire per prelevare le somme di denaro, ma a questo fine
deve designare con un'apposita procura, un soggetto che lo rappresenti, che funga da rappresentante, sia
quindi debitamente legittimato a riscuotere le somme di denaro.

Se il libretto è nominativo pagabile al portatore, invece, non c'è bisogno volta per volta di rilasciare una
apposita procura ma è sufficiente che l'intestatario del libretto inserisca sul libretto stesso la clausola
“pagabile al portatore”, che una volta per tutte legittima il possessore del libretto a adempiere, a ricevere,
sostanzialmente, la prestazione da parte della banca, quindi a prelevare le somme di denaro.

Ci si è chiesto se libretti di deposito al risparmio possono essere qualificati come titoli di credito, però non
c'è dubbio che i libretti nominativi non sono titoli di credito, perché i titoli di credito sono dei documenti che
incorporano un diritto di credito destinati a circolare.

Nel momento in cui i libretti nominativi non circolano, perché sono intestati ad una determinata persona,
quindi questa persona non può trasferire il libretto ad un'altra persona, i libretti nominativi non sono titoli di
credito, quindi sono dei semplici documenti di legittimazione mediante quali l'intestatario del documento, del
libretto, si legittima ad ottenere la prestazione indicata, cioè da poter prelevare le somme di denaro.

Invece si discuteva, ma la questione ormai ha poco senso vista la scomparsa dei libretti al portatore, sul fatto
che potessero essere qualificati come titoli di credito i libretti al portatore.

Diciamo che la tesi positiva, che considera i libretti al portatore come titoli di credito era prevalente in
giurisprudenza, perché in effetti, il libretto al portatore consente di trasferire il credito che il depositante
vanta nei confronti della banca, senza osservare la disciplina tradizionale che è quella della cessione del
credito prevista in diritto privato, ma sfruttando invece una modalità più snella che è quella dei titoli di
credito per i quali, in caso di titoli di credito al portatore, vale la regola semplice della consegna.

Quindi, il credito verso la banca si trasferisce mediante la semplice consegna del libretto, da Tizio a Caio.

Questo discorso oggi perde direi significato alla luce del fatto che, i libretti di deposito al portatore non
esistono più.

In realtà, il deposito di titoli in amministrazione lo troviamo disciplinato nel Codice civile all'articolo 1838,
quindi all'interno della sezione prima del capo XVII dedicato ai depositi bancari. Quindi, potrebbe essere un
po' automatico pensare che il deposito di titoli in amministrazione sia una forma di deposito bancario, in
realtà non è così, nel deposito di titoli in amministrazione, oggetto del deposito non è denaro ma sono per
l'appunto titoli o valori. Per titoli intendiamo dire strumenti finanziari.

Il cliente deposita i propri strumenti finanziari in banca e la banca si obbliga a custodirli, nonché ad assumere
l'incarico di provvedere all'esercizio di tutti i diritti inerenti a questi strumenti finanziari.

Esempio: nel caso in cui tizio sia titolare di un certo numero di azioni di una società quotata e decide di
depositare in banca l’azione, ricorre a questo schema del deposito di titoli in amministrazione, la banca
chiaramente dovrà custodire le azioni ma assumerà anche la veste di mandatario per l'amministrazione di
queste azioni ricevute in deposito.

Dovrà, quindi, esercitare una serie di atti, che sono atti di amministrazione in relazione alle medesime azioni.
Per esempio, se si tratterà di incassare dividendi, la banca dovrà farlo per conto del cliente, se si tratterà di
versare dei decimi ancora dovuti sui titoli azionari, quindi completare i conferimenti che non sono stati

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completati, la banca potrà effettuare questi atti per conto del cliente. C'è poi una differenza tra atti di
riscossione di normale tutela dei diritti e altri atti di amministrazione, il deposito di titoli in amministrazione
è un contratto che assorbe più una funzione di custodia nell'interesse del cliente, che una funzione invece
creditizia nell'interesse della banca, che invece è lo schema che segue il deposito bancario. Quindi è un
contratto che pur disciplinato all'interno della sezione dedicata ai depositi bancari, in realtà, se ne differenzia
per natura.

L’APERTURA DI CREDITO BANCARIA


18 marzo 2021

Quando si parla di fido bancario o affidamento, è un'altra espressione che si utilizza, rappresenta per
l'appunto l'impegno della banca a mettere a disposizione del cliente una somma di denaro. Tuttavia, c'è anche
sostanzialmente una accezione, concezione più moderna di fido bancario, più attuale, che più in generale fa
riferimento non solo alle operazioni creditizie, non fa riferimento solo alle operazioni creditizie in senso
stretto, ma fa riferimento, più in generale, a qualsiasi attività di rischio che la banca pone in essere nei
confronti di determinati clienti. Ogni volta che la banca svolge un'attività che presenta dei profili di rischio,
si rientra all'interno del concetto di fido bancario, nel senso che la banca dovrà seguire un determinato iter
procedimentale, fatto di fasi che si collegano l'uno all'altra e che conducono la banca a fare delle valutazioni
relative al cliente prima di effettuare l'operazione. Quindi, esempio banale, anche se la banca volesse in
ipotesi acquisire una partecipazione azionaria in una determinata società o volesse sottoscrivere delle
obbligazioni emesse da una determinata società, dovrebbe svolgere quella che si chiama “l'istruttoria di
fido”.

Perché queste operazioni comportano l'assunzione di un rischio per la banca, che quindi dovrà valutare
adeguatamente quali sono le caratteristiche della società che emette l'azione, di cui si vuole acquisire una
partecipazione azionaria, ovvero le obbligazioni, di altri titoli. Anche quando effettua operazioni che non
sono propriamente operazioni creditizie, ma comportano comunque l'assunzione di un rischio, la banca,
evidentemente deve seguire questo iter procedimentale che caratterizza l'affidamento, il concetto di
affidamento o di fido bancario. è certo, in ogni caso, che l'area della concessione del credito sub specie di
mutuo, di apertura di credito, di anticipazione bancaria, o di altri contratti tipici di erogazione del credito
rappresentano la parte chiaramente più rilevante dell'area del fido.

Detto che l'esercizio del credito, in senso stretto, in senso tipico, rappresenta solo il profilo creditizio del fido
bancario ma non esaurisce questo fenomeno.

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In che cosa consiste l'attività' di affidamento di un determinato cliente nella forma tipica dell’esercizio del
credito?

Consiste nel seguire un procedimento, in cui ciascuna fase, diciamo le tre fasi fondamentali di questo
procedimento, a loro volta, sono fasi procedimentalizzate.

Cioè seguono una serie di atti, impongono il dover seguire una serie di atti tra di loro collegati e
consequenziali.

La prima fase è la fase probabilmente più delicata, perché comporta l'assunzione della decisione di concedere
il fido ad un determinato cliente, cioè di affidare un determinato cliente. Se la banca non svolge
adeguatamente la fase di analisi, di decisione sul se un cliente è meritevole di essere affidato, è chiaro che
aumenta il rischio dell’attività bancaria.

Il rischio dell’attività bancaria può evidentemente, avere dei riflessi poi sui risparmiatori e sulla collettività.
Non è un caso che oggi c’è una regolamentazione che impone alla banca di dotarsi di requisiti patrimoniali,
cioè di immobilizzare risorse patrimoniali sempre più alte, sempre maggiori all’aumentare del profilo di
rischio dell’attività svolta.

Più gli affidamenti sono rischiosi, effettuati senza adeguata valutazione del merito creditizio, dei clienti più
la banca deve immobilizzare le risorse patrimoniali per eventualmente far fronte al rischio di inadempimento
poi di questi clienti, ed evitare che quel rischio si ripercuota sui risparmiatori e sulla collettività in genere.

Questa fase così delicata di decisione della concessione di fido inizia con una domanda di affidamento, che
chiaramente è il cliente, diciamo potenziale cliente affidato, che rivolge alla banca. Di regola questa fase
inizia presso la periferia della banca, cioè presso la filiale, la succursale dove si reca il cliente bisognoso di
credito che fa la domanda.

Alla domanda segue un periodo, una procedura di cui la banca effettua quella che nel senso tecnico si chiama
“istruttoria di fido”.

Solo attraverso un’adeguata istruttoria di fido, e cioè una valutazione adeguata, della capacità del cliente di
rimborsare a scadenze i propri impegni consente alla banca di ridurre al massimo il rischio economico
derivante dalla possibile insolvenza del cliente, bisogna tener conto che questa attività di istruttoria fido,
nell’ambito del profilo centrale cioè la valutazione del merito creditizio del cliente, è una fase essenziale
dalla quale non si può prescindere neppure in presenza di garanzie, la banca è sempre meno interessata al
profilo della garanzia che eventualmente il cliente affidato può fornirle, è sempre più interessata invece ad
effettuare quella valutazione del merito creditizio, perché quella valutazione e quindi il profilo di rischio del
cliente che viene affidato, si ripercuote poi sulla dotazione patrimoniale che la banca è obbligata a
mantenere.

Quindi più risorse di patrimonio la banca deve immobilizzare e meno risorse ha a disposizione per fare
un'attività, cioè per investire o svolgere l'attività di erogazione del credito. Questa attività istruttoria è
materialmente compiuta alla periferia della banca, cioè da un addetto allo sportello, dove il cliente
eventualmente ha un rapporto di conto corrente.

Nel caso in cui questa fase dovesse avere esito positivo, allora l'addetto della banca poi sottoporrà la pratica
all'organo competente che dovrà decidere.

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L’organo competente è un organo centrale della banca, centralizzato e con una ovviamente proposta
favorevole all'affidamento.

Quindi l'addetto propone l'affidamento all'organo centrale, e l'organo centrale delibera.

Una volta liberata abbiamo la fase successiva di attuazione di tale decisione, nella fase di attuazione della
decisione di concedere credito, banca e cliente devono fondamentalmente concludere il contratto, stipulare il
contratto. Il meccanismo è chiaramente sempre quello dell'incontro delle due volontà delle parti contrattuali,
però, come abbiamo più volte ricordato, il meccanismo di conclusione, di perfezionamento del contratto in
ambiente bancario si fonda sul meccanismo del contratto per adesione.

Di fatto quella della banca è una proposta contrattuale che il cliente può accettare sottoscrivendo un modulo.
Ovviamente, in questa fase di attuazione della decisione e perfezionamento del contratto, devono essere
osservate anche le norme generali destinate ad applicarsi sotto il profilo della trasparenza dei rapporti
bancari, quindi il principio di redazione del contratto in forma scritta, il principio di completezza del
contratto, il principio di non scostamento delle condizioni economiche rispetto a quelle pubblicizzate, il
principio di eventuale integrazione del contratto qualora dovessero mancare alcune clausole e così via. Solo
dopo il perfezionamento del contratto il cliente poi assume, acquisisce nei confronti della banca, il diritto a
una determinata disponibilità di moneta, ovviamente il contratto mediante il quale si eroga il credito può
essere diverso a seconda della tipologia prescelta, quindi può trattarsi di un mutuo, può trattarsi di
un’apertura di credito, può trattarsi di un’anticipazione bancaria, di uno sconto bancario, di una forma di
credito al consumo e così via.

Terza ed ultima fase è quella in cui si procede all’utilizzo del fido.

Questa fase però potrebbe indurre a pensare effettivamente che il cliente utilizza la somma di denaro che la
banca gli ha concesso in prestito, in realtà è una fase che potremmo definire eventuale, perché in alcune
tipologie contrattuali, come per esempio l'apertura di credito di non è certo che il cliente affidato, utilizzi
concretamente le somme che la banca sia obbligata a mettergli a disposizione. Quindi, quando parliamo di
utilizzo del fido, dobbiamo considerare che tecnicamente, questo utilizzo può assumere diverse forme e
avvenire in diversi modi.

Il modo più tradizionale è quello in cui la banca effettua un prestito proprio a favore del cliente e quindi,
materialmente, il cliente acquisisce le somme che la banca gli ha concesso in prestito. Questo, in particolare,
è lo schema il mutuo.

Quando si stipula un contratto di mutuo, effettivamente la banca eroga il credito, nel senso che presta una
somma di denaro al cliente, il cliente acquisisce maturando materialmente queste somme di denaro che poi
utilizza per i propri bisogni. Diversamente esiste un'altra modalità di utilizzo, che è quella invece che passa
per il compimento di singoli atti di utilizzazione delle somme che la banca si è obbligata a tenere a
disposizione del cliente. Questo è lo schema invece che si segue nel caso dell'apertura di credito, qui
effettivamente non è detto che il cliente utilizzi materialmente le somme, il cliente sa di poter contare su un
certo ammontare di denaro che la banca gli tiene a disposizione, ma poi può decidere liberamente se
prelevare materialmente quelle somme e utilizzarle a seconda dei propri bisogni. Ci sono poi delle forme di
utilizzo del fido, dove sono ancora più particolari, per esempio, il caso in cui dei terzi, diciamo, dei creditori
del cliente affidato escutono delle garanzie che la banca ha concesso in favore del cliente affidato.

Quindi l'altra ipotesi è che per esempio il cliente si sia fatto rilasciare dalla banca una fideiussione, una
garanzia, e quindi a fronte dell'inadempimento di questo cliente al proprio debito, la banca viene chiamata in
causa in qualità di garante, quindi il terzo creditore del cliente affidato escute la garanzia bancaria, cioè
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agisce nei confronti della banca in qualità di fideiussore. Questo è una modalità di utilizzo del fido ancora
più particolare, così come vi sono delle modalità indubbiamente particolari che sono le operazioni di sconto,
in cui effettivamente la banca concede una liquidità al cliente anticipandogli degli importi di crediti non
ancora scaduti. I contratti in cui la componente di erogazione del credito assume una forma, una natura
ancora più specifica e particolare.

Non c'è dubbio che da un lato se osserviamo, empiricamente, quello che fa la banca nell'ambito dell'attività
di erogazione del credito, allora dovremmo dire che la più comune operazione attiva delle banche nei
confronti dei privati è indubbiamente il mutuo, questo proprio è un dato empirico sul quale non abbiamo
dubbi, se un privato si reca in banca per ottenere il credito, la forma che di regola viene utilizzata è il mutuo.

Se andiamo a vedere il capo XVII, in cui vengono riciclati i contratti bancari, ci rendiamo conto che in
questo capo XVII manca, per l'appunto, il mutuo.

Cioè il muto non è regolamentato, il mutuo in realtà è regolamentato nel capo XV, quindi le norme di
riferimento sono gli articoli 1813 e seguenti fino all'articolo 1822, questo perché il mutuo non è un contratto
riservato alle banche nell'esercizio della loro attività tipica.

Il mutuo può essere stipulato anche tra due soggetti privati, la definizione dell’articolo 1813 ci dice che: “il
mutuo è il contratto con il quale una parte consegna all'altra una determinata quantità di denaro o di altre
cose fungibili e l'altra parte si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità”. Quindi, a
rigore il mutuo non ha neppure necessariamente ad oggetto denaro. Quindi il mutuo potrebbe anche avere ad
oggetto altre cose fungibili come delle merci o dei titoli, per esempio.

Detto questo sull'essenza del mutuo, cioè che non è necessariamente un contratto bancario, che non ha
necessariamente ad oggetto denaro, che non è necessariamente stipulato da una banca, non c'è dubbio che
questo contratto lo conosciamo nella prassi perché è stipulato dalle banche nell'esercizio della loro attività
bancaria e ad oggetto denaro.

Tra l’altro il mutuo, pur essendo un contratto che va tenuto distinto dagli altri contratti bancari, ha comunque
degli elementi in comune con i contratti bancari, lo possiamo ricavare anche dalla collocazione della
disciplina del mutuo, è vero che si trova al di fuori del capo XVII dedicato ai contratti bancari, ma è anche
vero che è collocata questa disciplina, alla fine del capo XV articoli dal 1813 al 1822, che è il capo che
precede il contratto di conto corrente civilistico, che è contenuto nel capo XVI, quindi non a caso il nostro
legislatore lo ha collocato vicino ai contratti bancari e soprattutto in posizione contigua al conto corrente
civilistico.

Tra l'altro, l'esame questa tipologia contrattuale di mutuo ci serve anche poi per comprendere le specificità di
altri contratti bancari, questa volta di erogazione del credito, come per esempio l'apertura di credito dove vi è
una differenza evidente che vale la pena essere rimarcata sotto il profilo dell'utilizzo, della forma di utilizzo
del denaro del fido concesso.

La parte che consegna una determinata quantità di denaro all'altra prende il nome di mutuante, mentre la
parte che acquista la proprietà del denaro e si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità,
quindi potremmo dire, la stessa quantità di denaro prende il nome di mutuatario. Se vogliamo rovesciare i
termini della struttura del contratto, possiamo anche dire che il mutuo è il contratto nel quale una persona
ricevuta una somma di denaro, quindi il mutuatario, assume l'obbligo di restituire la stessa quantità di denaro
nei confronti del soggetto dal quale l’ha ricevuta, che prende il nome di mutuante.

Il mutuo, in ogni caso, è un contratto reale, cioè si perfeziona con la consegna del denaro.
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Quindi affinché il contratto sia validamente concluso ed efficace non basta la stipulazione del contratto, ma è
necessario che la banca eroghi la somma del denaro al cliente.

Con la consegna del denaro il mutuatario ne acquista la proprietà e anche questo è un elemento necessario
nel mutuo, perché la somma di denaro deve poter essere impiegata liberamente dal mutuatario per le proprie
esigenze. Quindi il mutuatario deve avere la possibilità di contare non solo sulla disponibilità ma anche sulla
proprietà di quella somma di denaro, di regola il mutuo viene richiesto dai privati per poter finanziare
operazioni di acquisto immobiliare, quindi particolarmente importante avere a disposizione la somma di
denaro e poterla impiegare nell'acquisto dell’immobile.

Il mutuo si presume un contratto stipulato a titolo oneroso, ai sensi dell'articolo 1815 a meno che non emerga
una diversa volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere al mutuante gli interessi il cui mancato
pagamento legittima il mutuante a chiedere la risoluzione del contratto.

Quindi non solo c’è un obbligo di corrispondere gli interessi, ma questo obbligo è talmente tanto rilevante
che la sua violazione comporta la risoluzione del contratto, quindi costituisce un grave inadempimento da
parte del mutuatario nei confronti del mutuante.

Ovviamente, l'articolo 1815 aggiunge che se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono
dovuti interessi.

La Banca d’Italia annualmente determina il tasso soglia ai fini dell'usura facendo una rilevazione
fondamentalmente statistica, quel tasso soglia vincola le banche a non eccedere nella fissazione dei tassi di
interesse, altrimenti la clausola sarebbe nulla e il mutuatario non dovrebbe pagare alcunché a titolo di
interesse. è poi frequente, diciamo la disciplina lo prevede come una possibilità all'articolo 1819 ma direi che
nella prassi è la regola, che per la restituzione della somma presa a mutuo, concessa mutuo si preveda una
restituzione rateale. In tal caso, se il mutuatario non adempie all'obbligo di pagare anche una sola rata, il
mutuante può chiedere che gli venga restituita l'intera somma di denaro.

Ci sono poi alcuni schemi, che in senso ampio rientrano nella fattispecie di mutuo, ma sono dei sottotipi di
mutuo particolari, tra di essi abbiamo all'articolo 1822, la cosiddetta “promessa di mutuo”.

Qual è la peculiarità? La peculiarità è che siamo di fronte ad una particolare forma di mutuo che si
caratterizza per essere un contratto consensuale non reale.

La promessa di mutuo è un contratto che prescinde dalla consegna del denaro, nel quale vi è un soggetto che
promette di dare a mutuo una determinata somma di denaro, quindi nella promessa di mutuo il mutuante si
obbliga a consegnare una somma di denaro al mutuatario. Chi ha promesso di dare a mutuo, dice l'articolo
1822, può poi rifiutare l'adempimento della sua obbligazione, quindi quando a verificarsi del termine di
scadenza può rifiutare effettivamente di erogare il denaro se le condizioni patrimoniali dell'altro contraente,
cioè del mutuatario, sono divenute tali da rendere notevolmente difficile la restituzione, e non gli sono
offerte idonee garanzie.

Ci sono poi nella prassi particolari contratti di mutuo che assorbono sempre una funzione creditizia ma che si
discostano per alcuni elementi dallo schema civilistico, quello tradizionale di base del mutuo, tra di essi vale
la pena per esempio ricordare il credito fondiario detto anche mutuo fondiario, che è disciplinato nel testo
unico bancario dagli articoli 38 e seguenti, ha per oggetto la concessione da parte di banche di finanziamenti
a medio-lungo termine che siano garantiti da ipoteca di primo grado su immobili, e lo schema a cui si ricorre
di regola per finanziare l'acquisto di immobili, in cui vi è sempre una garanzia di primo grado concesso

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sull’immobile a favore della banca che serve per l'appunto a garantire l'ipotesi in cui il cliente non dovesse
risultare inadempiente rispetto alle rate del mutuo.

Va ricordato il cosiddetto mutuo di scopo, siamo di fronte sempre ad un contratto consensuale con il quale un
finanziatore si obbliga a provvedere mezzi finanziari a favore di un'altra parte cioè di un soggetto finanziato,
l'ulteriore particolarità del mutuo di scopo sta nel fatto che come dice il termine stesso, il soggetto finanziato
si impegna non solo a restituire le somme versate che ha utilizzato, naturalmente a corrispondere anche gli
interessi, ma si obbliga anche a destinare queste somme ad una specifica finalità, per esempio di solito il
mutuo di scopo viene effettuato nell'ambito del settore pubblico quando si vuole concedere un finanziamento
a una, ipotizziamo, società partecipata che debba realizzare una determinata opera o abbia ricevuto un
appalto e debba realizzare l'opera prevista nell'appalto.

Se poi il soggetto diventa inadempiente rispetto a questa specifica finalità, la conseguenza è che si può avere
la risoluzione del contratto.

Con il decreto-legge numero 7 del 2007, convertito poi nella legge numero 40 del 2007 che prende il nome
di portabilità del mutuo.

Con quest'espressione, “portabilità del mutuo” si intende la facoltà per il mutuatario di rimborsare
anticipatamente a una banca la somma erogata, facendo subentrare al mutuante un nuovo finanziatore come
terzo surrogato.

Qual è la ratio? Lo scopo per il quale è stata introdotta questa norma sulla portabilità del mutuo?

La ratio, la scopo è consentire ai mutuatari di sostituire la banca mutuante con una nuova banca mutuante,
quando effettivamente riescono ad ottenere sul mercato delle condizioni economiche più favorevoli. Lo
scopo è far subentrare al vecchio e finanziatore un nuovo finanziatore che subentra in qualità di terzo
surrogato.

C'è già nel nostro diritto privato un istituto che realizza in generale questa esigenza, che si chiama per
l'appunto “surrogazione” ed è disciplinata dagli articoli 1201 e seguenti del Codice civile. Secondo la
surrogazione quindi, il debitore può sempre sostituire il proprio creditore iniziale, senza necessità del
consenso del creditore iniziale previo pagamento del debito. Quindi se il debitore estingue il proprio debito
nei confronti del creditore iniziale, può far subentrare al creditore iniziale, un terzo surrogato.

L’istituto della portabilità dei mutui bancari introduce, in ambiente bancario questo istituto della
surrogazione, potremmo dire che lo rende anche più fruibile.

Consente al debitore, che qui è mutuatario la persona che ha ricevuto una somma in prestito a titolo di
mutuo, di sostituire più facilmente l'istituto che ha erogato il mutuo con un nuovo istituto, chiaramente, è
verosimilmente a condizioni economiche più favorevoli e tutto ciò dovrebbe nell'ottica del legislatore, in
effetti è così, garantire una maggiore concorrenza sul mercato dei mutui da parte delle banche, perché
effettivamente la banca ha la possibilità di subentrare a un vecchio istituto finanziatore, sostituendosi ad esso
e acquisendo così un nuovo cliente.

Qual è il vantaggio che offre questa norma sulla portabilità dei mutui?

Il vantaggio è che nonostante si sostituisca l'originario finanziatore con un nuovo finanziatore in qualità di
terzo surrogato, consente di mantenere viva l'ipoteca che originariamente era stata costituita.

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Prima che venisse introdotto l'istituto della portabilità del mutuo, questo procedimento, era un procedimento
più difficile perché effettivamente il cliente, il mutuatario avrebbe dovuto cancellare la vecchia garanzia e
attivarne una nuova in capo al nuovo soggetto finanziatore, questo comporta ovviamente l'aumento delle
formalità e l'aumento dei costi, perché la cancellazione, la costituzione delle ipoteche comporta il
sostenimento di costi notarili.

Invece, con l'istituto della portabilità del mutuo la garanzia viene semplicemente trasferita dal vecchio
finanziatore in capo al nuovo finanziatore e ovviamente tutto ciò rende l'operazione di surrogazione più
snella, dal momento che la garanzia ipotecaria, nel caso del mutuo, c'è sempre.

Ora questo istituto della portabilità del mutuo è stato poi successivamente trasfuso all'interno del Testo
Unico Bancario (TUB) nell' Articolo 120 quater. Oggi, questo articolo 120 quater dice che la portabilità del
mutuo è possibile anche se il credito non è esigibile o è stato pattuito un termine a favore del creditore,
perché il creditore teoricamente in contratto di mutuo ha interesse a che la restituzione della somma venga
dilazionata nel tempo, perché così lucra sugli interessi. Quindi potrebbe prevedere in contratto un termine a
favore del creditore, prima del quale, sostanzialmente, la restituzione non è esigibile e quindi nel frattempo
decorrono gli interessi. Anche se ci fosse un termine, ovvero il credito non fosse esigibile per qualche
motivo, il cliente avrebbe la possibilità di ricorrere alla portabilità del mutuo.

L’articolo 120-quater prevede la nullità di ogni patto di clausola contrattuale con il quale si renda più
oneroso, comunque si impedisca al debitore l'esercizio della facoltà di surrogazione, per esempio, un
eventuale clausola che preveda una penale per il cliente che vuole procedere alla surroga della vecchia banca
finanziatrice con una nuova banca finanziatrice.

L’apertura di credito bancario è una operazione creditizia, quindi attiva delle banche particolarmente diffusa,
però, è innanzitutto un’operazione creditizia fondamentalmente a breve termine, questo è il primo elemento
da rimarcare, ed è fondamentalmente un'operazione creditizia che si rivolge nei confronti delle imprese, di
fatto l'apertura di credito è un contratto a cui ricorrono gli imprenditori.

Esistono aperture di credito stipulate anche a favore dei creditori proprio la natura in questo contratto,
l'essenza del contratto si presta fondamentalmente per essere impiegato per lo più nei confronti delle
imprese.

Questo è un contratto bancario a tutti gli effetti, lo troviamo nell'ambito del capo XVII, in particolare le
norme di riferimento sono gli articoli 1842 e seguenti, sono solo quattro norme, gli articoli dal 1842 fino all'
articolo 1845.

La prima di esse ci dà la nozione di apertura di credito, che è il contratto con il quale la banca si obbliga a
tenere a disposizione dell'altra parte una somma di denaro, per un dato periodo di tempo, o a tempo
indeterminato. Quindi se volessimo inquadrare l'essenza di questo contratto, dovremmo dire che, a differenza
del mutuo, non v'è l'effettivo godimento di una somma di denaro da parte del cliente affidato, ma
esclusivamente la concessione a suo favore della disponibilità di una determinata quantità di moneta.

L’affidato sa di poter contare su una determinata linea di credito, su una determinata somma di denaro, e di
poterla poi liberamente utilizzare nel momento dell'effettivo bisogno.

Con il contratto di apertura di credito, il cliente assume il diritto di pretendere in tutto o in parte la somma di
denaro che la banca si obbliga a tenergli a disposizione.

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Di fronte diciamo a questo schema diventa difficile avallare, a cogliere quei tentativi dottrinali che hanno
tentato di ricondurre l'apertura di credito ad altri contratti tipizzati dal nostro Codice civile, e direi che
fondamentalmente è evidente quella che è la differenza con il mutuo. L'apertura di credito è un contratto
consensuale, quindi si perfeziona al momento della stipulazione del contratto, indipendentemente dalla
consegna del denaro, che può anche non avvenire, perché è il cliente che a seconda delle proprie esigenze,
utilizza in tutto o in parte la somma messa a disposizione.

Il mutuo invece è chiaramente un contratto reale che si perfeziona nel momento dell'effettiva d'azione della
somma di denaro, sull'effettiva consegna del denaro.

Rispetto al mutuo e nulla questio sulle specificità, quindi sulla peculiarità dell’apertura di credito.

Tuttavia, la dottrina si è per esempio interrogata sulla possibilità di ricondurre l'apertura di credito alla
fattispecie della promessa di mutuo, che è un contratto che si differenzia dal mutuo proprio per la sua natura
consensuale.

Qual è però il motivo per il quale anche questo tentativo è destinato concettualmente a fallire?

Il motivo va identificato nel fatto che con l'apertura di credito, la banca si obbliga tenere a disposizione del
cliente una determinata somma di denaro, già con la stipula del contratto, quindi nel momento in cui
effettivamente poi il cliente volesse utilizzare quella somma di denaro non sarebbe necessaria una ulteriore
manifestazione di volontà da parte della banca. La banca si è già obbligata a monte, il cliente può prelevare,
ha un diritto potestativo a prelevare, cioè che non è sindacabile dall'altra parte, che non è condizionato ad
alcunché a prelevare, utilizzare quella somma di denaro se e quando lo ritiene opportuno.

Non è promessa di mutuo, fondamentalmente perché nella promessa di mutuo invece, è vero che a monte un
soggetto che è il promittente mutuante si impegna a concedere una somma di denaro a favore del promissario
mutuatario, ma è anche vero che in base alla regola dell'articolo 1822, il mutuante puoi può rifiutare
l'adempimento della prestazione se le condizioni economiche del mutuatario dovessero venire a peggiorare
in maniera significativa. Significa che effettivamente è richiesta una nuova manifestazione di volontà poi al
momento dell'erogazione della somma di denaro.

Questi tentativi sono destinati ad essere frustrati, cioè rimanere dei tentativi non perseguibili, mentre
dobbiamo valorizzare la specificità di questa tipologia contrattuale e soprattutto mettendo in evidenza,
sottolineando, quella che è la peculiare funzione di questo contratto.

Il cliente è libero di utilizzare in tutto in parte il credito che gli è stato concesso, se e quando lo ritiene
opportuno, e questo è il reale, l'effettivo vantaggio di questa tipologia contrattuale rispetto al mutuo, perché a
seconda dell'utilizzo della somma di denaro, cambia l'onerosità del contratto, in quanto gli interessi, che
rappresentano la principale voce di remunerazione, sono dovuti e calcolati, non sull'intera somma messa a
disposizione, quindi sul fido concesso al cliente, ma solo sulle somme utilizzate.

Chiaro che c’è la differenza col mutuo, gli interessi sul mutuo si pagano sull'intera somma, perché l'intera
somma viene erogata già da principio, sull'apertura di credito gli interessi si pagano solo sulla somma
utilizzata con la differenza che la somma utilizzata, chiaramente, non è detto che corrisponde all'intera
somma messa a disposizione.

Tuttavia, siccome le banche devono effettivamente lucrare nelle loro attività, nel tempo hanno affiancato alla
previsione degli interessi, una commissione, che un tempo era chiamata commissione di massimo scoperto, e
che veniva calcolata dalle banche sull'importo massimo del credito utilizzato in un determinato periodo.

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Quindi su un massimo della somma utilizzata nell'ambito del fido le banche oltre agli interessi che venivano
calcolati sulle somme volta per volta utilizzate, applicava un’ulteriore commissione che veniva espressa
quindi frazione percentuale del saldo contabile debitore massimo che si verificava in un determinato periodo.

L'apertura di credito da sempre è stata caratterizzata da due voci di costo a carico del cliente volte a
remunerare l'attività bancaria, gli interessi e la commissione.

Tuttavia, questa commissione di massimo scoperto è stata molto chiacchierata nel corso del tempo perché
effettivamente ha rappresentato, se vogliamo, un modo per le banche per porre in essere abusi più o meno
gravi a carico della clientela, perché veniva determinata in maniera variabile da banca a banca spesso non era
precisato adeguatamente nel contratto come questa commissione fosse calcolata, e in ogni caso andava a
danno del cliente.

Tant'è che prima la giurisprudenza, poi legislatore, sono intervenuti su questo profilo.

La giurisprudenza ha per lungo tempo dichiarato nulle le commissioni di massimo scoperto inserite nei
contratti di apertura di credito, facendo leva sulla mancanza di trasparenza, perché erano commissioni
strutturate in maniera un po' scura.

Fino a che questo è diventato effettivamente un problema significativo vista la diffusione di queste clausole
che avevano, tanto da indurre il legislatore ad intervenire, lo ha fatto nel 2011 introducendo all'interno del
testo unico bancario un nuovo articolo, il 117 bis che è rubricato “remunerazione degli affidamenti e degli
sconfinamenti”.

Questo primo comma dell'articolo 117 bis dice che i contratti di apertura di credito possono prevedere, quali
unici oneri a carico del cliente, una commissione onnicomprensiva, detta anche commissione di affidamento,
che è calcolata in maniera proporzionale rispetto alla somma messa a disposizione del cliente e alla durata
dell'affidamento, e un tasso di interesse debitore sulle somme prelevate.

Già si può nutrire qualche perplessità sul fatto che questa commissione si chiama commissione
onnicomprensiva, però in realtà si affianca agli interessi, che rappresentano un'altra componente della
remunerazione del contratto per la banca e costo per il cliente, si affianca anche a un'altra commissione che
l’articolo 117 prevede.

Tuttavia, la commissione onnicomprensiva viene comunque calcolata in maniera proporzionale rispetto alla
somma messa a disposizione del cliente, non rispetto a quella effettivamente utilizzata, quindi sembrerebbe
che questo articolo 117 bis abbia peggiorato la situazione dei clienti rispetto alla commissione di massimo
scoperto, che comunque veniva calcolato in percentuale sul massimo scoperto che il cliente avesse raggiunto
in un determinato periodo di tempo. Questa sensazione però non è corretta, perché l'articolo 117 fissa in via
legislativa il tetto massimo di questa commissione e quindi evita che la stessa possa essere determinata in
una soglia pregiudizievole per il cliente, l'ammontare di questa commissione non può superare lo 0,5% per
trimestre, della somma messa a disposizione del cliente. Questa è la regola fissata dall'articolo 117 bis.

La commissione onnicomprensiva in realtà dovrebbe comprendere tutto, però a fronte di sconfinamenti, cioè
a fronte del caso in cui il cliente utilizzi una somma superiore al limite del fido messo a disposizione, i
contratti di apertura di credito possono prevedere quali unici oneri a carico del cliente, una commissione di
istruttoria veloce determinata in misura fissa ed espressa in valore assoluto. Quindi c'è un ulteriore
commissione che va ha ulteriormente remunerare la banca e a gravare sul cliente in termini di costi e oneri,
nei casi in cui il cliente vada oltre il fido. Quindi ipotizziamo un’apertura di credito €10.000 il cliente prelevi
somme, ovviamente con il consenso della banca per €12.000 o €15000 quindi, l'ammontare dello
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sconfinamento che è pari a € 2000 o €5000, a seconda delle ipotesi che abbiamo fatto per essere calcolata
quest'ulteriore commissione di istruttoria veloce.

Se ci dovessero essere in contratto clausole diverse da quelle che abbiamo delineato per la determinazione
della remunerazione del contratto di apertura di credito, queste clausole sarebbero nulle.

Il Codice civile sull’apertura di credito intanto allude meglio a una distinzione, classificazione. Un'apertura
di credito semplice da un lato, e un'apertura di credito in conto corrente dall'altro.

L'apertura di credito semplice è uno schema molto elementare, in cui l’accreditato, fermo restando che la
banca mette a disposizione del cliente una determinata somma di denaro, dopodiché l’affidato, l’accreditato
può prelevare questa somma di denaro in una o più tranche, ma non può ripristinare la disponibilità con
successivi versamenti.

Ciò significa che una volta che ha prelevato l'intera somma che la banca gli aveva messo a disposizione il
contratto viene a estinguersi, è una forma di apertura di credito prevista dal Codice civile ma che la prassi di
fatto non conosce.

La prassi bancaria conosce solo lo schema del conto corrente di corrispondenza con il contratto di conto
corrente bancario sul quale si innesta un'apertura di credito collegata e lo schema prende il nome di apertura
di credito in conto corrente.

Il vantaggio è che non solo il cliente può utilizzare la somma messa a disposizione in una più tranche ma può
ripristinare la disponibilità della somma con successivi versamenti e quindi può alternare versamenti e
prelevamenti a seconda delle sue effettive disponibilità per garantirsi comunque una linea di credito sulla
quale poter fare affidamento.

Questa è l'unica forma che effettivamente appare confacente a un'attività imprenditoriale, perché
l'imprenditore non ha sempre le stesse disponibilità di denaro e anche le stesse necessità ma queste variano
con lo svolgersi delle attività di impresa, quindi deve avere la possibilità l'imprenditore in maniera elastica di
gestire questa sua linea di fido.

Chiaramente se l'apertura di credito si innesta su un conto corrente bancario di corrispondenza, a questo


punto la possibilità di utilizzare quella somma di denaro per altro non è solo limitata all'utilizzo mediante
denaro contante quindi versamenti e prelevamenti di denaro Ma si estende la possibilità del di utilizzare
l'operatività classica del conto corrente bancario di poter operare mediante denaro contante, quindi
versamenti e prelevamenti di denaro, ma si estende alla possibilità di utilizzare l’operatività classica del
conto corrente bancario, di poter operare mediante assegni, bonifici, giroconti e così via.

In particolare, nell’apertura di credito in conto corrente l'articolo 1843 prevede che gli atti di utilizzazione
della somma messa a disposizione del cliente siano quelli propri, le forme d'uso. La norma dice se non è
convenuto altrimenti l'accreditato può utilizzare in uno più volte il credito, secondo le forme di uso e poi con
successivi versamenti ripristinare la sua disponibilità.

Quali sono le forme d’uso?

è chiaro che è un'espressione generica, il Codice civile la utilizzava proprio per non vincolare le parti anche
in considerazione della possibile evoluzione della prassi, e quindi oggi, quando si parla di forme d'uso si fa
riferimento a tutte quelle possibilità di utilizzo che vigono nel contesto operativo di un conto corrente
bancario.

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Potremmo dire quindi, che non c'è alcuna differenza nell'utilizzo della disponibilità creata sul conto corrente
bancario a seconda che questa disponibilità sia creata mediante un'apertura di credito concessa dalla banca,
ovvero il deposito effettuato dal cliente, dal punto di vista dell'utilizzazione il discorso è lo stesso. Se queste
operazioni girano su un conto corrente bancario le possibilità di utilizzazione sono quelle proprie del conto
corrente bancario. Operatività sicuramente in denaro contante, operatività attraverso l'emissione, la
riscossione di assegni bancari, operatività mediante ordini di pagamento, che possono essere impartiti,
ovvero ricevuti dalla banca. L’altra particolarità è che l'apertura di credito può essere anche allo scoperto,
quindi può essere una forma di erogazione del credito che è solo eventualmente assistita dalle garanzie. La
garanzia può esserci ma può anche non esserci.

Se è concessa a monte una garanzia che esiste l'apertura di credito, l'articolo 1844 ci dice che questa garanzia
si intende data per tutta la durata dell'apertura di credito, e quindi non si estingue se l’accreditato cessa di
essere debitore della banca.

Cosa vuol dire?

Ipotizziamo che la banca abbia concesso a Tizio un'apertura di credito pari a €10.000 e Tizio abbia così
costituito una garanzia personale, cioè Caio abbia prestato una fideiussione per €10.000 a favore della banca
per garantire Tizio. Dopodiché Tizio preleva questi €10.000 li utilizza, li rimborsa, quindi restituisce alla
banca €10000 ripristinando la linea di credito e cessando di essere debitore della banca.

La garanzia concessa da Caio a monte resta ferma, valida anche se tizio non è più debitore della banca.

Fino alla scadenza del contratto è sempre possibile che il cliente affidato prelevi nuovamente le somme di
denaro, dato che può alternare versamenti e prelevamenti fino alla scadenza del contratto nei limiti della
linea di fido, addirittura in alcuni casi può anche sconfinare.

Quindi è chiaro che la banca deve mantenere in essere garanzia fino al momento in cui il contratto è efficace,
è valido, fino alla scadenza del termine previsto se c'è, perché l'apertura di credito può anche essere a tempo
indeterminato.

L'ulteriore regola che pone questo articolo 1844 è che se le garanzie diventano insufficienti rispetto al credito
concesso non a quello utilizzato, per esempio la garanzia è rappresentata da una concessione di titoli in
pegno, questi titoli vengono a deprezzarsi, quindi non sono più commisurati al valore del credito concesso, a
questo punto la banca può chiedere un supplemento di garanzia o la sostituzione del garante se si tratta di una
garanzia personale concessa a titolo di fideiussione. In mancanza di supplemento di garanzia di sostituzione
del garante, la banca può a sua scelta ridurre proporzionalmente il credito concesso o recedere dal contratto.

L'aspetto più delicato e problematico della disciplina dell'apertura di credito è il profilo del possibile recesso
della banca dal contratto di apertura di credito disciplinato dall'articolo 1845 del Codice civile. è un profilo
dedicato e problematico perché l'apertura di credito di regola è un contratto al quale si rivolgono gli
imprenditori, se è un contratto al quale di regola si rivolgono gli imprenditori è evidente che il recesso della
banca può arrecare pregiudizio all'imprenditore perché all'improvviso, fa venir meno all'imprenditore della
disponibilità di una somma di denaro sulla quale questi fa affidamento per l'esercizio della propria attività
d'impresa, e quindi il fatto di venir meno, il fatto di non poter più contare su questa somma di denaro, può
chiaramente comportare gravi conseguenze nell'esercizio dell'attività di impresa. Tuttavia, la disciplina che
prevede l’articolo 1845 per il recesso della banca è una disciplina tutto sommato, abbastanza equilibrata, che
distingue fra apertura di credito tempo determinato e apertura di credito a tempo indeterminato.

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Se l’apertura di credito è a tempo determinato quindi c'è una scadenza alla quale il contratto si scioglie e il
cliente deve restituire alla banca la somma che ha utilizzato, allora il recesso, quindi la possibilità per la
banca di sciogliersi dal vincolo contrattuale prima della scadenza, può essere esercitato solo se sussistono a
giusta causa, altrimenti la banca deve attendere alla scadenza del contratto. Che cosa comporta il recesso?

Il recesso comporta, sempre se sussiste una giusta causa, la sospensione immediata dell’ulteriore utilizzo del
credito, quindi il cliente non può continuare ad utilizzare la somma messa a disposizione, e la concessione di
un termine di almeno 15 giorni affinché il cliente possa procedere alla restituzione delle somme utilizzate.
Questa è la previsione per l'apertura di credito a tempo determinato.

Se l'apertura di credito è a tempo indeterminato invece per la banca è previsto un recesso libero, che si
chiama anche il recesso ad nutum che significa “senza giusta causa”, senza giustificato motivo. La banca
deve però dare un preavviso al cliente, affinché questo possa fondamentalmente organizzarsi, quindi magari
trovare un'altra banca che è disposta a concedere la linea di credito e questo preavviso è fissato per legge in
15 giorni.

Durante questi 15 giorni il cliente può comunque se ne ha necessità, continuate ad utilizzare la somma messa
a disposizione dalla banca e alla scadenza di 15 giorni di preavviso dovrà a quel punto immediatamente
restituire alla banca le somme utilizzate.

Questo impianto normativo delineato dal Codice civile è abbastanza equilibrato, distingue due ipotesi, il
cliente è adeguatamente tutelato da questo impianto normativo. Il problema è che questa norma prevista dal
Codice civile, in realtà, nella prassi non si applica perché è derogata in maniera vistosa dalle cosiddette
norme bancarie uniformi, nella versione oggi delle condizioni generali relative al rapporto banca - cliente,
che poi vengono inserite in contratto e derogano quindi alla disciplina prevista per articolo 1845.

Deroga in senso peggiorativo nei confronti del cliente, primo punto: scompare ogni distinzione fra apertura
di credito a tempo indeterminato e apertura di credito a tempo determinato. La banca può recedere
liberamente, in ogni tempo, senza alcuna motivazione. Sia se l'apertura di credito a tempo indeterminato, sia
se l'apertura di credito a tempo determinato, il recesso è libero in ogni tempo e senza alcuna motivazione.

Cosa accade se la banca recede? Il recesso sospende immediatamente l’utilizzo del credito.

L’altra previsione non certo favorevole per la clientela, il termine per restituire le somme utilizzate è ridotto
drasticamente, a uno o due giorni, secondo le versioni più aggiornate dei contratti. Quindi di fatto questa
normativa uniforme, queste clausole contrattuali standardizzate, consentono alla banca di interrompere
immediatamente l'esercizio del credito ogni qualvolta lo ritenga opportuno, e di rientrare immediatamente
nelle somme che aveva messo a disposizione del cliente.

Queste clausole contrattuali devono ritenersi valide ed efficaci, come ha reagito la giurisprudenza di fronte
alla previsione di queste clausole contrattuali?

Secondo due orientamenti:

Un primo orientamento è quello in realtà che segue una parte della dottrina ma non la giurisprudenza, non ci
sono molte sentenze che seguono questa strada, dice che in realtà, l’articolo 1845 è una norma inderogabile.

Se è una norma inderogabile perché posta a presidio di interessi generali, non può essere derogata in via
convenzionale, cioè nel contratto e quindi le clausole che prevedono una disciplina difforme da quella legale
devono considerarsi invalide.

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Diversa è invece la posizione seguita dalla giurisprudenza, che è anche probabilmente più convincente.
Siccome si tratta pur sempre di un contratto e di clausole che sono rivolte solamente a tutelare gli interessi
delle parti, quindi che trascendono interessi generali, in realtà si deve ritenere che anche la previsione
dell'articolo 1845 sia una previsione comunque derogabile. Tuttavia questo non significa che in concreto non
ci si debba interrogare non tanto quindi in generale sull'ammissibilità della clausola, quanto sull'utilizzo che
in concreto se ne fa, e quindi qualora l'imprenditore dovesse subire dei danni per effetto del recesso
esercitato dalla banca senza preavviso, senza una giusta causa e della richiesta di rientro immediato delle
somme utilizzate, il cliente imprenditore potrà agire in responsabilità nei confronti della banca chiedendo il
risarcimento dei danni, che il giudice dovrà accertare sulla base delle circostanze concrete. Intanto valutare
se la banca ha agito secondo i principi di correttezza e buona fede che sono principi generali nell'esecuzione
di un qualunque contratto e poi valutare effettivamente la situazione concreta, cioè verificare se quella era
l’unica linea di credito su cui l’imprenditore poteva fare affidamento, verificare se effettivamente non ci sono
motivazioni per l’esercizio del diritto di recesso, verificare se il diritto di recesso sia stato esercitato senza
alcun preavviso, verificare se effettivamente è stato chiesto al cliente di rientrare immediatamente nelle
somme che ha utilizzato, verificare se effettivamente il cliente ha subito dei danni nella propria attività
d’impresa.

Se queste verifiche dovessero essere positive, pur nella validità in generale della clausola contrattuale il
giudice potrebbe pronunciare il risarcimento dei danni nei confronti del cliente affidato.

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