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Ieri abbiamo visto la sistematica del codice del consumo che è diviso in 6 parti.
Saranno oggetto del pre esame la prima e la seconda parte, mentre nel programma dell’esame
finale si avrà la terza parte.
Passiamo all’analisi sistematica delle prime norme del codice del consumo.
Siamo nella parte prima dedicata alle “disposizioni generali” che inizia con il titolo primo che indica
le finalità e l’oggetto.
Ieri abbiamo illustrato che questa norma è fondamentale per cogliere la sistematica della
gerarchia delle fonti nell’ordinamento italiano, nella materia del diritto del consumo e per
collocare sistematicamente in questa gerarchia delle fonti il codice del consumo.
Infatti questo codice si pone dentro questa gerarchia, nel rispetto della costituzione, in conformità
dei principi e trattati istitutivi della comunità europee, del trattato dell’Ue e della normativa
comunitaria, con particolare riferimento all’art.153, nonché dei trattati internazionali.
Questa è la collocazione sistematica del nostro codice del consumo, ha lo stesso valore di fonte
primaria interna del codice civile, ma qui la sistematica delle fonti è ben più articolata e complessa
Quale è la finalità di questo codice? È una finalità diretta ma si collega ad una finalità più ampia
perseguita non solo dal codice e fonti interne ma perseguita dalle fonti unionali dei trattati al
diritto dell’ue.
“Il presente codice armonizza e riordina le normative concernenti i processi di acquisto e consumo”:
ha una finalità diretta, come tecnica di redazione delle norme, di introdurre una fonte organica
che metta mano armonizzandone discipline diverse che si sono succedute e sovrapposte e ne
riordina (sistema in maniera organica) la dislocazione/ ubicazione all’interno di una fonte e le
collega attraverso criteri di ordine logico e giuridico che sono stati poi declinati nelle 6 parti del
codice stesso.
Si è discussa la natura giuridica di questa fonte, infatti è dubbio se si tratti di un codice (come
testualmente si dice) e di che tipo di codice oppure di un testo unico.
È dubbio se si tratti di un codice tradizionale, oppure di nuova generazione, o ancora codice
speciale o settoriale a seconda che si individui nel CC il modello generale o tradizionale con il quale
si collega. Abbiamo infatti visto che ci sono delle norme di raccordo sistematico tra cod consumo e
codice civile: artt. 1469bis codice civile e art.38 del codice del consumo.
Vi è anche la tesi del testo unico, cioè semplice riordino del materiale normativo preesistente.
In realtà l’opinione, ancorché controversa, che tende ad affermarsi è quella di una codificazione di
nuova generazione speciale che si pone come fonte intermedia tra le codificazioni generali, testi
unici e leggi speciali.
Questi codici hanno un elemento di differenza e innovatività: non sono norme totalmente nuove,
non esprimono un momento fondativo originale, ma pur riordinando norme e materiale
precedente introducono in più punti delle evidenti novità.
In ogni caso si deve considerare che questo codice ha più volte subito processi di novellazione per
rimanere conforme alle norme di matrice europea di cui è diretta derivazione.
Quale è dunque la finalità di più ampio respiro? “al fine di assicurare un elevato livello di tutela dei
consumatori e degli utenti”.
Questa finalità non è proprio esclusiva del cod. consumo né delle fonti legislative interne italiani
ma è la finalità generale e comune a tutte le fonti europee a tutela dei consumatori.
Si vuole introdurre un livello di protezione più elevato rispetto a quello garantito dalle norme del
Codice civile, dalle norme di derivazione 800 ispirate al principio di libertà e formale tra i soggetti
contraenti
Questa elevazione del livello di tutela è la declinazione di quell’obbiettivo caratteristico del diritto
diseguale, che il testo di Vettori più volte richiama essere l’elemento qualificante dal punto di vista
funzionale di questo diritto.
Si tratta di un diritto dichiaratamente a favore dei consumatore indirizzato ad elevarne il livello di
protezione rispetto sia all’altro contraente forte (che invece va contenuto) ma anche rispetto allo
statuto ordinario generale dei soggetti contenuto all’interno del Codice civile.
Questi diritti sono chiamati “diritti fondamentali” però in un’accezione diversa rispetto a quella dei
diritti costituzionalmente garantiti nel ns ordinamento, non sempre infatti coincidono e non
sempre hanno la stessa protezione.
All’interno del codice del consumo essere considerati diritti fondamentali significa che sono diritti
caratteristici propri di tutti i Consumatori, integrano cioè quello statuto nuovo di protezione dei
consumatori che è enunciato programmaticamente attraverso questa elencazione.
Elencazione che, come abbiamo visto, è per un verso già contenuta all’art.153 del trattato
istitutivo della CEE e per altri versi è richiamato anche in altre norme del trattato e delle norme di
direttive e regolamenti.
Questa elencazione non è dunque originale del nostro codice del consumo ma prima vi erano già
state fonti interne che hanno recepito normative comunitarie.
È importante però che sia la prima norma, subito dopo l’indicazione degli obbiettivi e dell’ambito
applicativo, che costruisce il nucleo principale del codice del consumo.
Sono diritti fondamentali comuni a tutti i consumatori che hanno una protezione non solo
garantita in base agli strumenti privatistici ma anche attraverso strumenti di tutela pubblicistici
che ne garantiscono l’effettività.
Non si tratta solo dunque di diritti la cui protezione viene promossa individualmente in sede
giudiziale, dopo la lesione eventuale dello stesso diritto da parte dello stesso consumatore, ma si
tratta di diritti che sono promossi anche in via preventiva, collettiva, associativa davanti a soggetti
diversi come autorità amministrativa, davanti ad organismi di autocomposizione (vedremo codici
di autocondotta) , organismi stragiudiziali di composizione delle controversie (pensate alle
alternative dispute resolutions o online – che oggi trovano compiuta declinazione a livelli europeo
e livello nazionale).
Non sono diritti totalmente indisponibili -> offrono uno statuto rafforzato ma non sottratto
all’autonomia delle parti e dunque all’autonomia del consumatore.
Da questo punto di vista si scontrano due atteggiamenti nei confronti del consumatore:
• L’altro orientamento invece pur riconoscendo la debolezza ritiene che questi principi e
tutele, debbano in base al principio di eguaglianza in senso sostanziale rimuovere gli
ostacoli che impediscono al consumatore sul piano economico il pieno sviluppo della sua
personalità, il pieno esercizio della sua autonomia.
Quindi si parte da una situazione di strutturale inferiorità e asimmetria ma attraverso il
diritto diseguale si riallineano le posizioni e si deve consentire al consumatore l’esercizio
della sua autonomia.
È chiaro che questi due orientamenti si devono poi confrontare con la ricostruzione delle singole
disposizioni.
Ritenere che il consumatore non possa rinunciare ai suoi diritti e dunque ritenere che i diritti dei
consumatori siano irrinunciabili e che sia nulla l’eventuale pattuizione derogatoria che escluda o
limiti questi diritti, indica un forte limite all’autonomia in senso peggiorativo.
Sono invece da ammettere, perché coerenti con le finalità di elevarne il livello di tutela e di
garantirne il ruolo di agenti economici sul mercato, quegli accordi che derogano in senso
migliorativo alla disciplina legale sia essa quella fissata come soglia minima inderogabile a livello
europeo sia essa fissata eventualmente a livello nazionale.
È coerente con l’esercizio dell’autonomia del consumatore e dei rapporti di consumo che le parti si
possano accordare nel senso di migliorare la competitività, un’attrattività realizzata attraverso
condizioni più favorevole per il consumatore, attraverso un ampliamento dei diritti in via
convenzionale rispetto alla conformazione fissata dalle fonti eteronome.
“I diritti dei consumatori sono riconosciuti e garantiti”: l’espressione riconosciuti potrebbe far
pensare che questi diritti pre esistano, come se fossero una sorta di diritto naturale ma in realtà il
legislatore vuole dire qui che i diritti devono essere all’interno del ns ordinamento (siccome hanno
questa base di copertura nel diritto dell’UE e diritto nazionale non possono essere neppure dal
legislatore esclusi, abrogati). Si tratta di una normativa di protezione anche rispetto al legislatore
nazionale.
Devono essere riconosciuti ma devono anche essere garantiti, devono cioè essere rispettati e i
consumatori devono avere l’effettività delle posizioni giuridiche fissati in questi limiti.
Si legge poi “diritti e interessi”: siamo abituati a considerare i diritti come qualificazione soggettiva
(diritti soggettivi) in una posizione meritevole di protezione che scaturisce dalle relazioni che
sorreggono i sottostanti interessi.
Questa è una lettura ma in realtà si ritiene che l’appiglio venga ritrovato nel fatto che il diritto dei
consumatori , in quanto diritto del mercato, veda il consumatore essenzialmente come agente
economico e quindi la relazione tra professionista e consumatore come una relazione economica
commerciale.
Questo significa che la posizione e gli interessi tutelati del consumatori sono tendenzialmente
posizioni di carattere economico patrimoniale e ciò spesso viene esplicitamente dichiarato nelle
fonti europee ma anche nazionali.
Però i diritti in questo senso separati dagli interessi serve per evidenziare come vi è una posizione
di aspetti personali del consumatore che non hanno una diretta connotazione economica.
Si tratta dunque di una tutela del consumatore che è sia patrimoniale economica nella sua
dinamica del mercato ma anche in quanto persona fisica, una tutela che non concerne la sua
posizione non patrimoniale ed economica e dunque legata alla sua posizione esistenziale.
Questo emerge per esempio dal risarcimento dai danni da vacanza rovinata: c’è una dimensione
personale che non ha una diretta ricaduta o valutazione economica-
Ciò viene anche confermato anche dalla circostanza che l’elencazione dei diritti fondamentali si
soffermerà sulla salute, educazione, partecipazione democratica libera e consapevole alle
associazioni.
Si tratta dunque di una dimensione trasversale: economica ma anche personale.
È importante considerare i consumatori collettivamente perché solo così possono scattare dei
meccanismi di tutela preventivi collettivi e associativi che sono maggiormente incisi per garantire
l’interesse di tutti i consumatori e di ciascuno di essi.
Ferma la possibilità di intervenire sulla lesione e violazione a protezione del singolo individuale
consumatore (stessa dinamica che accade per tutti i soggetti dell’ordinamento), si introduce la
possibilità di questa tutela rafforzata che passa attraverso le dimensioni collettive e associative.
“Consumatori e utenti”-> si tratta di due sinonimi in realtà, ma se si voglioni distinguere dal punto
di vista lessicale:
• Consumatore – acquirente finale del bene
• Utente – acquirente finale del servizio.
La disciplina dei consumatori è trasversale per differenti settori è per beni e servizi, ma in alcuni
casi si distinguono le discipline dei beni da quelle dei servizi per cui ricorre questa distinzione.
Quando si parla di codice del consumo si intende consumatore nell’accezione più ampia. Se invece
si va a distinguere la posizione di un consumatore di un determinato servizio/ prodotto si utilizza
l‘espressione utente.
“Ne è promossa la tutela”: l’utilizzo dell’espressione promossa indica delle politiche attive che non
si limitano alla dimensione reattiva in rispetto della garanzia di tutela come reazione ad una
lesione.
La promozione è un’attività preliminare che tendenzialmente svolgono soggetti che hanno come
finalità la tutela dei consumatori (pensate PA, autorità, associazioni), soggetti dunque che
istituzionalmente hanno lo scopo di promuovere, favorire, realizzare le condizioni necessarie
affinché questi individui consumatori siano riconosciuti e garantiti, non si limita dunque in maniera
statica all’attuazione dei diritti perché spesso mancano le condizioni, si devono far conoscere,
sensibilizzare, formare, educare il sistema affinché questi diritti possano essere esercitati.
I diritti dei consumatori spesso risultano solo sulla carta e dunque non vengono esercitati, non
tanto per colpa dei consumatori ma perché non sono realizzate le politiche attive di promozione e
sostegno dei diritti dei consumatori.
Esattamente dunque come accade nel mercato del lavoro: promuovere e sostenere le condizioni
dei lavoratori.
Pensate anche le politiche attive in un settore diverso come quello delle discriminazioni, in cui non
ci si limita ad intervenire sulla lesione in maniera reattiva attraverso la sanzione, ma si promuove
la conoscenza e consapevolezza, si adottano dunque misure a favore dell’innalzamento di questa
protezione.
“Promossa la tutela in sede nazionale e locale”: l’Ue lo fa a livello unionale del mercato interno e il
codice e le fonti interne dovrebbero fare la stessa cosa a livello nazionale ma anche locale.
Attenti perché possono esserci differenze sensibili in quanto i mercati sono diversi e i contesti
sono diversi, ci sono inerzie diverse.
Questo è un altro fattore, perché pur essendo norma europea rimane comunque una norma
nazionale applicabile in Italia, proprio perché abbiamo diverse condizioni avremmo una diversa
applicazione ed effettività di questi diritti.
In contesti dinamici, sensibili e strutturati, attenti alla tutela del consumatore i diritti hanno un
grado maggiore di effettività.
In contesti che sono invece arretrati, chiusi e non sviluppati questa stessa norma e questi stessi
diritti rimangono sulla carta.
Questa stessa dinamica si ripropone a livello nazionale italiano, le associazioni nel contesto italiano
regionale hanno difficoltà perché non sono conosciute, non hanno sede, non hanno
rappresentanti o non promuovono delle iniziative.
“Anche in forma collettiva e associativa”: questa attività di promozione esce dalla dinamica
individuale e passa attraverso formazioni sociali.
Riprendiamo gli articoli della nostra Costituzione e in particolare art.2 che prevede che siano
tutelati sia come singoli sia nelle formazioni sociali in cui si sviluppa la loro personalità
I singoli che qui sono i consumatori persone fisiche hanno bisogno di un’azione sinergica, di un
sopporto realizzato attraverso delle organizzazioni.
Il consumatore individuale è molto debole, ha bisogno di azioni di promozione e difesa
collettive/associative ed è una peculiarità rispetto al codice civile e i diritti dei singoli contraenti.
“Sono favorite le iniziative rivolte a perseguire tali finalità”: dunque una legislazione di incentivo
anche economico per le associazioni dei consumatori, per coloro che intendono impegnarsi per
favorire tali diritti. Le finalità qui citate sono quelle citate dall’art.1.
“Anche attraverso la disciplina dei rapporti attraverso la disciplina dei rapporti fra le associazioni
dei consumatori e degli utenti e delle PA”: è previsto espressamente una partecipazione in tanti
procedimenti pubblici delle associazioni dei consumatori che contribuiscono a scrivere delle regole
o a controllarne la corretta applicazione o a monitorarne la qualità. Come se fosse un interlocutore
che dialoga con l’amministrazione pubblica e con le associazioni di categoria per promuovere la
tutela di questi diritti.
Quindi spesso si hanno dei protocolli, accordi, delle carte di servizio e codici di comportamento
che fissano delle regole a protezione dei consumatori che possono essere più altre rispetto al
minimo fissato dalla legge
“Ai consumatori e agli utenti sono riconosciuti come fondamentali questi diritti”.
Il testo del Vettori insiste parecchio sulla distinzione tra diritti e principi.
Il diritti soggettivo è la posizione id vantaggio riconosciuta e garantita dall’ordinamento a
protezione dei soggetti deboli consumatori, esprimono dunque una pretesa (diritto di credito)
qualificata nei confronti di una controparte (qui professionisti). Pretesa che è azionabile in via
individuale, collettiva associativa preventiva o successiva a seconda dei contest giudiziali o
stragiudiziali
Il principio in realtà esprime il valore e dunque la meritevolezza di protezione di quella posizione
ma non arriva a precisarla/definirla/con formarla giuridicamente come una pretesa esercitabile
con un det contenuto nei confronti di un det soggetto.
Allora il principio esprime un valore da realizzare ma per poterlo realizzare occorre che sia
tradotto in un diritto e quindi occorre un’opera interpretativa che riconduca quel principio a
singoli diritti e quindi a contenuto determinati, a pretese azionabili e quindi a tutele determinate.
Ciò si realizza attraverso una fitta trama di norme.
Se vi ricordate, dopo l’art. 2 e le definizioni iniziano le singole discipline, il Vettore le chiama “le
norme”, norme che concretizzano i principi e i diritti e individuano le tutele.
Ma perché non sono stati indicati solo diritti immediatamente azionabili? Il legislatore usa spesso
formule aperte.
Il dialogo tra le corti è appunto quell’attività interpretativa che concretizza queste formule
applicandole nei casi concreti ai consumatori attraverso la sussunzione in diritti e anche attraverso
l’attivazione di tutele.
È importante quindi conoscere non solo le norme ma altrettanto l’interpretazione.
Un’interpretazione che è un dialogo tra le corti europee deve considerare sia i tribunali nazionali
dei singoli stati dell’Ue (che certe volte offrono soluzioni innovative), sia delle corti europee che
spesso fissano un’interpretazione uniforme che arriva poi a livello nazionale.
Si parla poi di diritto ad una corretta pubblicità: spesso informazione e pubblicità si confondono, si
tratta sempre di trasferimento di conoscenze.
La differenza risiede nel fatto che l’informazione indica sia il dato che deve essere portato a
conoscenza del consumatore sia il procedimento di trasferimento di questa conoscenza.
La pubblicità è in realtà un procedimento di trasferimento della conoscenza che però certe volte
viene intesa in un’accezione più precisa.
Infatti dare un informazione o pubblicare un informazione può assumere significati diversi perché
la pubblicità significa rendere pubblico alla generalità dei consociati mentre l’informazione e
comunicazione può essere anche individuale, tra i contraenti.
La pubblicità in un’altra accezione è una pubblicità commerciale che in realtà consiste in un
trasferimento al pubblico della conoscenza di dati ma con una dichiarata finalità di orientamento
della scelta del consumatore verso il compimento di det atti.
La pubblicità trasferisce delle informazioni ma con la finalità dichiarata di spingere sostenere e
promuovere la scelta commerciale del consumatore per acquistare quel det bene e servizio.
Nello stesso senso si deve intendere la lettera c-bis il diritto all’esercizio delle pratiche commerciali
secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà.
L’esercizio delle pratiche commerciali è una disciplina trasversale che indica una pluralità di
comportamenti tenuti dal professionista nella fase che precede l’interazione dei consumatori che
si caratterizza per la finalità di orientare le scelte commerciali dei consumatori su mercato.
Questa disciplina dell’UE sulle pratiche commerciali è fondamentale perché parte dalla
considerazione che impone al professionista uno statuto, una regola di comportamento
improntata a canoni generali che possono essere pretesi dai consumatori:
• principio di buona fede
• principio di correttezza
• principio di lealtà.
Non è facile ricostruire il significato di questi principi che sono ampi, aperti ed elastici. Si deve però
cogliere lo sforzo fatto dal legislatore italiano all’interno del codice del consumo per dare un
ordine sistematico e fare una catalogazione di diritti fondamentali per soggetti deboli –
consumatori.
Pensate ad una persona del secolo scorso che non conosce le dinamiche del ns mercato libero e
concorrenziale. Senza un processo di educazione non conosce il nostro mercato, non sa che ci
sono piu operatori, più offerte e non sa di avere diritto ad uno statuto rafforzato di protezione in
quanto consumatore.
Chi deve dare questa educazione al consumo? Le Pa fanno delle campagne informative che sono
educative, di sensibilizzazione per dare ai consumatori questa consapevolezza.
Viene fatto anche dalle associazioni dei consumatori che promuovono campagne di informazioni e
materiali informativi e li distribuiscono.
La materia del consumo certe volte però si pratica prima di conoscerla, anche i minorenni ormai
hanno la possibilità di interagire anche se non sono educati.
Il consumatore per poter essere agente economico razionale deve essere educato.
Anche l’educazione si pone prima della fase dell’informazione e della fase della pubblicità.
“Erogazione dei servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza”-> anche nei servizi
pubblici si pone un problema di tutela dei consumatori, non è solo la posizione di consumatore
quella di un soggetto privato nei confronti di una controparte economica privata ma è in realtà è
un soggetto persona fisica che ha anche rapporti con soggetti pubblici e che può pretendere che i
servizi pubblici siano erogati secondo standard di qualità ed efficienza.
Anche questa dinamica è importante: certe volte il singolo utente dei servizi pubblici si sente
smarrito e frustrato perché il servizio non c’è oppure non è soddisfacente/ di qualità. Ebbene
probabilmente l‘intervento dei singoli è insufficiente, ma per poter incidere sul comportamento
dell’erogatore pubblico dei servizi pubblici è necessario un’azione sinergica realizzata attraverso
l’associazione dei consumatori.
Vedete dunque come un po’ si libera dalla dimensione del soggetto individuale solo davanti alla
legge e nelle mani della controparte professionista, ma si crea tutto un contesto di promozione e
sostegno dei diritti fondamentali dei consumatori in ambito sia pubblico che privato.
Art.3 – definizioni.
Ogni fonte normativa comunitaria esordisce fissando definizioni, parole chiave di significato
giuridico perchè spesso sono le stesse parole utilizzate nel lessico nazionale con significati diversi
per cui si devono armonizzare il linguaggio e attribuire alle stesse parole un preciso significato che
può non considerare con quello che tali parole all’interno. (vedi ad esempio conciliazione, clausola
vessatoria codice etc) .
Si hanno dunque all’interno dello stesso ord giuridico la convivenza di più significati per stessi
termini giuridici.
Abbiamo fatto l’esempio delle clausole vessatorie: se parliamo di quelle del 1341 c.2 sono clausole
vessatorie nazionale, ma se parliamo di clausole vessatorie nell’accezione europea – clausole
abusive – artt. 133 e ss del cod del consumo, la parola è la stessa ma il significato e la disciplina è
diversa e ciò è indice della varietà della nostra società.
“Ai fini del presente codice, se non diversamente previsto si intende per..”
Qui vengono fornite le definizioni base delle parole chiave di portata generale. Sono definizioni
generali o comuni, cioè definizioni che trovano applicazione all’interno del Codice del consumo e
più in generale nella disciplina in materia di consumo in mancanza di altre o diverse definizioni.
Questo perché su alcuni concetti abbiamo una sola definizione ma ce ne possono essere altri con
piu definizioni.
Esempio: la definizione di consumatore contenuta all.art.3 c.1 lettera a è una definizione generale,
ma non l‘unica all’interno del codice del consumo, ce ne sono infatti altre che sono speciali perché
diverse, per ambito di applicazione, per contenuto.
Si pone allora il problema di capire che rapporto esista tra le definizioni contenute all'interno del
codice civile e quelle del codice del consumo.
L'art.3 cod consumo contiene le definizioni generali che hanno portata generale e che trovano
applicazione ove non espressamente derogate per specifici ambiti applicativi.
Questa formula iniziale “ai fini del presente codice ove non diversamente previsto” significa che
possono essere previste altre definizioni speciali dentro e fuori del codice civile, e quindi le
definizioni di cui all'art.3 hanno portato a generale e se ve ne sono altre residuale.
Vedremo successivamente che nell'ambito della disciplina delle informazioni e nell'ambito della
disciplina delle pratiche commerciali scorrette vi sono altre definizioni di consumatori per cui tali
definizioni di consumatore in quel preciso ambito applicativo deroga a questa generale.
In altri casi c'è una sola definizione che quindi ha portata generale.
La definizione di consumatore si basa su due elementi: il primo costituito dalla natura fisica del
soggetto e il secondo costituito dalla estraneità nel compimento dell'atto rispetto all'attività
lavorativa.
Si pone l'accento vedete sullo scopo, sulla finalità dell’atto e dato che questo non è finalizzato a
svolgere l'attività lavorativa ed è dunque estraneo emerge il fatto che il consumatore non abbia le
informazioni, non sia sperto del settore, non abbia un adeguato potere contrattuale rispetto a un
soggetto forte che è il professionista che, invece, all'opposto compie l'atto nell'ambito della sua
attività lavorativa.
La norma non parla di attività lavorativa bensì di attività professionale -> si tratta di un problema
terminologico perché l'attività professionale da noi è l'attività libero professionale dei
professionisti intellettuali. In realtà la parola professionale deriva dall'inglese e francese e significa
“esperto” inteso come chi svolge quella attività con continuità.
Quindi rientrano in tale concetto anche i soggetti economici, non solo i liberi professionisti e gli
imprenditori, ma tutti coloro i quali svolgono una determinata attività in maniera continuativa.
Sono state introdotte alcune declinazioni che erano comprese nel concetto di professionalità
come imprenditorialità commercial, l'attività imprenditoriale di impresa nell'attività commerciale
o nell'attività artigianale e professionale.
Quindi se noi intendiamo “professionale” nell'accezione ampia vengono ricomprese tutte le
attività economiche e quelle libero professionale .
Il soggetto consumatore è un acquirente di beni o servizi che si colloca nel segmento finale del
mercato al dettaglio e acquista beni e servizi per soddisfare un bisogno per uno scopo che non è
lavorativo professionale ma è personale (può essere alimentare, vestiario, di distrazione, evasione
come le vacanze).
In questo senso la definizione è molto rigorosa e vedremo che si è, su più fronti, cercato di
rafforzarla per quanto riguarda il limite della persona fisica. Si infatti è cercato di estenderla anche
a soggetti enti magari enti piccoli come condomini, associazioni, piccole società, comitati ma non
si è riusciti quantomeno dal punto di vista normativo in Italia e neppure in Europa perché è
prevalsa questa interpretazione sul dato persona fisica più rigorosa.
Si è cercato di realizzare anche un'altra forzatura in situazioni abbastanza ibride, cioe di uno scopo
che è sia personale ma per certi versi anche lavorativo.
Passiamo ora definizione di professionista: “una persona fisica o giuridica che agisce nell'esercizio
della propria attività imprenditoriale commerciale, artigianale o professionale ovvero un suo
intermediario”
Anche sono presenti due elementi come per il consumatore:
• Primo elemento riguarda la natura del soggetto: qui è testualmente precisato che può
trattarsi sia di una persona fisica che di una persona giuridica.
Il linguaggio non è molto rigoroso, la definizione è più aperta rispetto a quella del
consumatore perché non è circoscritta alle sole persone fisiche e ciò fa si che tutti i
soggetti, quindi anche gli enti, possano essere professionisti ma non devono essere
necessariamente persone giuridiche infatti possono essere anche enti non personificati.
Si pone tra l’altro il problema se possano essere professionisti anche enti pubblici e la
risposta è positiva perché vedremo che nella Direttiva era previsto anche l'attività svolta da
soggetti pubblici. Qui questa delimitazione o non precisazione non è stata riproposta ma si
ritiene che l'accezione dei consumatori sia ampia e riguardi sia privati che pubblici.
La nozione di professionista è una nozione aperta che si applica tendenzialmente, come quella del
consumatore, in tutti i settori.
Passiamo ora all’ambito della disciplina delle pratiche commerciali scorrette in cui troviamo
un'altra definizione all’art. 18: “ai fini del presente titolo per consumatore si intende qualsiasi
persona fisica che nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo agisce per fini che non
rientrano nella sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale”.
Questa è l'altra definizione speciale.
Ancora: “per professionista si intende qualsiasi persona fisica o giuridica che nelle pratiche
commerciali oggetto del presente titolo agisce nel quadro della sua attività commerciale
industriale artigianale o professionale o chiunque agisce in nome intermediario in conto o per
conto dello stesso”.
Vi ho mostrato queste definizioni per farvi vedere la dialettica tra la definizione genere del
consumatore o professionista di cui all'art. 3 e le definizioni speciali che si trovano anche
all’interno codice del consumo.
O ancora vediamo l’art. 137: “Presso il Ministero dello Sviluppo economico che è istituito l’elenco
delle associazioni dei consumatori degli utenti rappresentativi a livello nazionale. L'iscrizione
nell'elenco è subordinata al possesso da comprovare con la presentazione di documentazione
conforme alle prescrizioni e alle procedure stabilite del decreto del ministero dello sviluppo
economico dei presenti i requisiti:
• avvenuta costituzione per atto pubblico o scrittura privata autenticata da almeno tre anni
• possesso di uno statuto che sancisca un ordinamento a base democratica e preveda come
scopo esclusivo la tutela dei consumatori degli utenti senza fini di lucro.”
Vedete dunque che le associazioni dei consumatori sono delle organizzazioni sottoposte ad un
controllo pubblico in quanto controllate dal ministero della sviluppo economico, son costituite per
atto pubblico, che hanno come scopo esclusivo la tutela dei consumatori e che hanno determinati
elementi organizzativi compresa la base democratica di organizzazione.
Torniamo al nostro art.3, ci sono altre definizioni quella di produttore, quella di prodotto e anche
di codice, ancora una volta si tratta di definizioni generali e speciali.
Ora mi soffermo su alcune problematiche che si sono poste proprio con riferimento alla
definizione dei rapporti tra professionisti e consumatori.
La prima questione attiene alla circostanza se si possa superare, nella protezione del consumatore,
la definizione di persona fisica. Nel Vettori si dice che vi è una pluralità di opinioni.
La norma è chiara, rigorosa e segue una accezione formale “ il consumatore è solo una persona
fisica”, vi è però un orientamento in dottrina e in giurisprudenza In Italia e in altri paesi che tende
ad estendere la nozione di consumatore fuori dai limiti della fisicità del soggetto e quindi anche
agli enti -> in particolare agli enti di dimensioni piccole con una capacità organizzativa inferiore che
non svolgono un'attività economica (pensate a un'associazione di volontariato, comitato, piccola
organizzazione condominiale). Questi soggetti non svolgono attività lavorativa ma acquistano beni
e servizi in una posizione di debolezza analoga a quella della persona fisica acquirente finale del
bene o servizio.
Chi vuole estendere la definizione di consumatore fino a ricomprendere piccoli enti, lo fa perché
ravvisa una situazione di debolezza, di asimmetria di posizioni rispetto al professionista analoga a
quella che si ravvisa per le persone fisiche.
Questo orientamento che viene sostenuto in dottrina e da certa giurisprudenza di merito (giudici
di pace prevalentemente e qualche tribunale) è però contrastata dalla Corte costituzionale
italiana, Corte di Cassazione, Corte di giustizia europea che invece ritengono che per ragioni di
certezza la nozione di consumatore non può essere ampliata fino a ricomprendere soggetti diversi
dalle persone fisiche.
Questo è un parametro oggettivo di immediata individuazione che consente di delimitare l'ambito
applicativo della disciplina del consumo e fissa una regola uniforme all'interno dell'intera Unione
europea, tant'è vero che le norme europee e le norme nazionali che devono essere conformi da
quelle europee mantengono la definizione di consumatore ancorata alla fisicità del soggetto.
Ci si è poi chiesti se quando si acquista un bene o un servizio per uno scopo promiscuo o misto (sia
per finalità extra lavorative che lavorative - l'acquisto di un'automobile che viene utilizzato sia per
andare a fare sport ma anche per andare al lavoro), se il soggetto che ha acquistato quel bene o
servizio debba essere considerato consumatore e dunque ha la protezione dei diritti fondamentali
e questo statuto oppure se debba essere considerato professionista che dunque non può invocare
questa protezione.
Si tratta di un fenomeno frequentissimo, pensate all’acquisto di un telefonino che viene usato sia
per finalità personali familiari ma anche professionali.
Sul punto si sono sviluppati tre orientamenti:
1. Primo orientamento minoritario ritiene che se la persona fisica acquista il bene per scopo
promiscuo, dato che c'è anche lo scopo personale la persona fisica deve essere considerata
alla stregua di un consumatore è una tesi minoritaria.
2. Un'altra tesi dice invece che in tutti i casi in cui ci sia uno scopo promiscuo, siccome c'è
seppure in parte lo scopo professionale, il soggetto non possa mai essere considerato
consumatore.
3. C’è poi una tesi intermedia, che è stata elaborata non solo dalla dottrina e dalla
giurisprudenza ma anche riprese in alcune fonti normative europee e nazionali, che pone
l'accento su una valutazione di prevalenza. Questo orientamento ritiene che si debba
vedere qual è lo scopo in concreto prevalente.
Faccio un esempio: io sono un tassista, acquisto un automobile per l'esercizio dell'attività
di tassista, ma uso questa vettura anche per finalità personali/ familiari. In questo caso lo
scopo professionale è assolutamente prevalente per cui sono considerato professionista.
Se invece viene ribaltata la prospettiva e risulta prevalente lo scopo personale e familiare,
è ovvio che lo scopo professionale è assolutamente marginale e allora il soggetto persona
fisica deve essere considerato un consumatore.
Si pone anche un altro problema: come si fa verifica la prevalenza o la non prevalenza di uno
scopo rispetto all'altro?
Non è sufficiente quello che dichiara la parte (per esempio il regime fiscale che viene sfruttato è
ritenuto non decisivo) ma bisogna svolgere un'analisi funzionale oggettiva tenendo conto della
natura del bene o servizio acquistato e della natura dell'attività svolta dal soggetto stesso.
Attenti che si sono però presentate altre questioni come ad esempio l'acquisto di un bene in
previsione dello svolgimento di un'attività da parte di un soggetto che ancora non la svolge.
Esempio classico che viene fatto è quello dello studente di giurisprudenza che acquista una
cartella per svolgere l’attività professionale di avvocato ma non ancora laureato.
Questo soggetto deve essere considerato professionista o consumatore?
La giurisprudenza ritiene che non sia necessario l’inizio dell’attività professionale se c’è questo
collegamento.