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Introduzione corso - che cos’è lo stato d’eccezione

Lo stato di eccezione è un concetto che ha una sua storia nella filosofia politica occidentale.

Stato d’eccezione è un conio novecentesco, in particolare lo ritroviamo per la prima volta nella Costituzione di
Weimar nell’articolo 48, che lo regola.

Lo stato d’eccezione ha a che fare con la necessità, che non ha legge, poiché non è prevedibile, e quando c’è
uno stato di necessità, non è possibile applicare le consuete indicazioni di legge.

Se la necessità ha però come suo statuto la possibilità di sfuggire alla legge, torna il doppio livello legge
politica, dello Stato, e legge generale, intesa in senso metafisico, come ordinamento del reale e diviene chiaro
che la tentazione e la tendenza a dichiarare un certo stato di necessità è comprensibilmente forte, perché chi
dichiara lo stato di necessità può derogare la legge.

Lo stato di necessità può essere applicato a molte cose, come l’emergenza climatica, un attacco terroristico,
una crisi economica, una pandemia.

Lo stato di necessità, in quanto fugge da costrizioni e vincoli di legge, ha e promette un grande potenziale
remunerativo (che dà profitto) a chi riesce a convincere una comunità, una persona, una cittadinanza che sia
davanti a uno stato di eccezione, perché può essere derogata la legge. Una volta derogata la legge, si
sostituisce un altro corso d’azione. Si adottano corsi d’azione tali da risultare efficaci in quella situazione.
Abbiamo nuove regole che sospendono o limitano un certo diritto, ma questo è funzionale a intraprendere
corsi d’azione che la legge non avrebbe consentito.

Lo stato d’eccezione ha il suo conio nella Costituzione di Weimar entrata in vigore nel 1919 e che durerà fino
all’avvento del nazismo.
Questa Costituzione è fondamentale per vari motivi: anzitutto perché è la prima costituzione pienamente
democratica della storia dell’umanità, è una costituzione liberal-democratica.
La Costituzione di Weimar viene accusata di aver spianato la strada al nazismo e questo assunto ha la base
nell’articolo 48, che crea la possibilità di sospendere determinati diritti in casi di grave crisi della Repubblica, e
cioè di dichiarare lo stato di eccezione, che si può generalmente definire come una situazione di fatto tale per
cui non è possibile rispettare le norme di legge politiche vigenti.

Lo stato d’eccezione viene discusso tra vari teorici, in particolare da Schmitt.


Schmitt dà un'interpretazione del concetto di stato d’eccezione e ci costruisce sopra un nuovo concetto di
sovranità: sovrano è chi decide sullo stato d’eccezione.
Teologia politica (1922) è una delle più importanti teorizzazioni di Schmitt dello stato d’eccezione, in particolare
è un’interpretazione cristiana dello stato di eccezione per cui ha ottenuto molta fama. Se però non si considera
questo testo, negli articoli più prossimi a un commentario in cui Schmitt parla dell’articolo 48, pare che Schmitt
abbia un’idea diversa rispetto a ciò che vi è in Teologia politica.
Troviamo in Schmitt due inquadramenti, due modi diversi di inquadrare lo stato d’eccezione:
1) radical-rivoluzionario, visibile in Teologia politica
2) prudente: visibile in altri testi

Santi Romano inquadrerà la nozione di stato d’eccezione in un altro modo.

Niccolò Machiavelli non ha mai parlato di stato d’eccezione, in Machiavelli infatti non c’è né il concetto né le
precondizioni per cui si desse qualcosa come lo stato d’eccezione. Machiavelli però è colui che si è
concentrato maggiormente sulla categoria della necessità, che ha inquadrato in un modo nuovo la politica
priva di legge. Machiavelli si è chiesto cosa sia la politica, l’esistenza collettiva delle persone quando non è
possibile rifarsi a una legge, come ci si può comportare senza parametri di riferimento, come si conduce un
principato quando non ci si può rifare a una legge esistente, o quando la legge non funziona più.

Per Machiavelli, come per Schmitt e Romano, quando non c’è una norma il criterio che può orientare è quello
dell’efficacia.
Possiamo dire che il nostro corso d’azione è risultato felicemente scelto, posto in essere, quando risulta
efficace, ed efficace in base a degli obiettivi. Quando non ci si può rifare a una legge, bisogna trovarne un
sostituto che però garantisca gli stessi obiettivi della legge, e cioè in primis quello di tenere insieme la
comunità politica.

Interessante è l’etimologia di decisione a cui si rifà Schmitt per il suo concetto di decisionismo, e cioè quella
per cui decidere vuol dire staccare, tagliare via qualcosa da qualcos’altro, che se rimanesse insieme al resto
del corpo non permetterebbe alla comunità di seguire le norme. Quando si decide si taglia via una parte la cui
ricomprensione non rende possibile seguire le norme di legge.

Nel caso in cui bisognasse mantenere la purezza della razza germanica, dovrebbero essere tagliate vie tutte
le persone che non rientrano in questa, in modo da rendere pura la comunità. Schmitt alla domanda su cosa si
fa quando certe persone si identificano indistanziabilmente con certi atti, risponde facendo un obiezione alla
risposta democratica, e cioè quella per cui si distinguono atti e non persone. Schmitt però fa notare che questa
risposta democratica perde parte del suo prestigio nel momento in cui si esclude la possibilità di persone che
siano talmente legate a certi atti da non potersi concepire come separate da quegli atti, che qualcuno vieta.

Ma per Schmitt una decisione non è mai interamente giustificabile, nel senso che c’è un momento positivo,
che non si può giustificare se non per il fatto che a un certo punto serve una decisione. Chi l’ha presa non è in
grado di dimostrarne la piena legittimità di fronte a chi dissente.

Di fronte all’assenza di leggi, l’unico parametro è l’efficacia, la quale consegue dalla decisione. La decisione è
ultimativa e deve essere di una sola entità. Non è possibile che si cominci a dividere il potere decisionale in
queste circostanze tra più realtà istituzionali. Il soggetto a cui viene chiesto di superare quella condizione di
necessità, è il governo, l’esecutivo.
Machiavelli e Schmitt illuminano la radicalità della situazione: non si tratta di un organo quando si ha a che
fare con la situazione di necessità, ma di una persona sola. Lo stato di necessità si supera affidandosi ad una
persona che non è parte dell’ordinamento (secondo Schmitt).

Per Machiavelli il principato si distingue dalle repubbliche perché il primo ha il tratto caratteristico di essere
retto da una sola persona, le seconde invece sono assetti politici governati da più di una persona. Il principato
è retto da una sola persona perché per una decisione ultimativa ne occorre una sola in quanto se ce ne sono
di più si potrebbero creare conflitti che non si possono permettere durante lo stato di eccezione.
Nel principato quindi vige il personalismo, che prevede che un’iniziativa non possa che essere presa che da
una sola persona.

Niccolò Machiavelli, Carl Schmitt e Santi Romano sono degli autori che durante la propria esistenza hanno
incontrato l’autorità politica in modo problematico.

Machiavelli scrive il Principe in un periodo molto travagliato della storia dell'Italia e soprattutto di Firenze, dove
l’autore ha vissuto. Machiavelli viene costretto alle dimissioni per il ritorno a Firenze dei Medici. La Repubblica
fiorentina aveva due cancellerie, la prima che si occupava dei rapporti con gli altri Stati, la seconda che si
occupava degli affari interni e della guerra, e che aveva a che fare anche con rivolte interne e tentativi di
rovesciare il potere. Machiavelli prima delle dimissioni era segretario della seconda cancelleria.
Machiavelli inoltre viene costretto all’esilio, e a quel punto tenta di riavvicinarsi alla corte dei Medici, infatti il
Principe è un’opera dedicata a uno dei Medici.
Quando però i Medici cadono e torna la Repubblica, Machiavelli verrà emarginato per il suo tentativo di
riavvicinarsi alla corte dei Medici.

Schmitt è un giurista, cattolico e conservatore. Cerca di indirizzare la Germania verso un approdo


conservatore con una certa coerenza fino alla crisi della Repubblica di Weimar. Schmitt caldeggia la messa in
stallo del partito comunista e del partito nazionalsocialista come estremi rivoluzionari che devono essere
dichiarati fuorilegge,e afferma nel 1932 che queste due compagini erano le due minacce alla sopravvivenza
della Repubblica di Weimar, e richiamandosi all’articolo 48, richiede di dichiarare fuorilegge i due partiti.
A Schmitt, prima che Hindenburg decidesse di dare l’incarico a Hitler il 31/1/1933 di cancelliere e di formare il
governo, era stato dato il compito di estendere un decreto legge che dichiarava fuorilegge quei partiti.
Nonostante questa avversione per il partito nazista, quando Hitler prende il potere, Schmitt si convince e
aderisce al partito.
Cade vittima di conflitti interni delle associazioni naziste e in questo modo perde popolarità.
Dopo aver ricevuto il divieto di insegnamento, nel 1985 muore.

Romano è un giurista religioso ed è presidente del consiglio di stato per nomina diretta di Mussolini. Prenderà
decisioni importanti, come quando dichiarerà legale l’istituzione del grande consiglio del fascismo come era
giunto lo statuto albertino.

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