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ALTRI TIPI DI RIVELATORI A INTEGRAZIONE

Rivelatori a esoelettroni
L'effetto sfruttato è simile alla termoluminescenza: si ha emissione di elettroni in banda
di conduzione da trappole tramite riscaldamento. Gli elettroni a bassa energia sono
rilasciati da un sottile strato superficiale (se rilasciati più in profondità non arrivano alla
superficie) e possono essere rivelati con contatori proporzionali, moltiplicatori d’elettroni e,
per alte esposizioni, da camere a ionizzazione.
La curva di emissione degli elettroni in funzione della temperatura è caratterizzata da
numerosi picchi. Nel BeO questi picchi sono spostati rispetto quelli della
termoluminescenza, in modo che è possibile separare le misure di esoelettroni e di
termoluminescenza. Questo è importante perché l'emissione di esoelettroni è il risultato di
cambiamenti indotti dalla radiazione sulla superficie, mentre la termoluminescenza è
considerata un fenomeno di volume. Ciò consente di fare valutazione di dose profonda e
di dose superficiale. Il numero di elettroni emessi è funzione della dose assorbita, ma le
interferenze ambientali e le complicate tecniche di valutazione ne impediscono l'impiego in
applicazioni dosimetriche. I dosimetri a esoelettroni sembrano promettenti per la
dosimetria β.

Dosimetri ad attivazione
Nella dosimetria da neutroni una tecnica importante è basata sulle razioni nucleari
indotte da neutroni nei materiali con produzione di nuclei radioattivi.
Si risale al flusso di neutroni integrato, e quindi alla dose, misurando la concentrazione
di radionuclidi attivati dai neutroni. Sfruttando l'attivazione con nth e con n veloci in
corrispondenza dei picchi di risonanza della sezione d’urto di assorbimento, è possibile
conoscere il flusso integrato per gruppi di energia.

Rivelatori a tracce
Esistono materiali nei quali le particelle cariche pesanti provocano un danno
nell'attraversarli che si manifesta come una traccia lungo il percorso della particella.
Questi materiali sono: la mica (silicati di Al e metalli alcalini) e altri cristalli inorganici,
vetri e materie plastiche.

Rivelatori in policarbonato (CR39) per misure di radon.

Cap. 4 altri strumenti 1


Membrana LR115 per misure di radon

Cap. 4 altri strumenti 2


Immagine al microscopio ottico delle tracce su CR39

La traccia nelle sostanze cristalline può essere spiegata come un'alta concentrazione di
difetti del reticolo cristallino lungo il percorso delle particelle. Un pre-requisito (condizione)
per la creazione della traccia è che la perdita di energia delle particelle cariche superi un

Cap. 4 altri strumenti 3


mg
valore di soglia di circa 15 MeV per . Da ciò ne consegue che solo particelle con un
cm 2
numero di massa A>30 formano traccia.
Le tracce nei film plastici sono prevalentemente causate dal danno radiolitico della
radiazione provocato lungo la traccia degli elettroni δ a bassa energia. In questo caso si
mg
può avere la formazione di traccia per perdite d’energia di circa 4 MeV per , così che
cm 2
anche particelle α e ioni leggeri possono essere rivelati. Esistono rivelatori plastici molto
mg
sensibili nei quali si ha formazione di tracce per meno di 1 MeV per e che quindi
cm 2
possono registrare i protoni. Tali rivelatori sono in polidietilene – glicol – bis –
allilcarbonato (CR-39).
Le regioni con difetti nel reticolo o i polimeri con legami chimici rotti sono caratterizzati
da una grande energia libera e sono pertanto chimicamente molto reattivi. Le regioni
danneggiate lungo la traccia della particella sono pertanto attaccate preferibilmente da
aggressivi chimici: dopo un opportuno tempo di trattamento chimico si sono sviluppate
tracce microscopiche che sono visibili con microscopio ottico.
Trattamento chimico di dosimetri a tracce
Materiale Soluzione chimica T (°C)
6N NaOH 50
Nitrato di cellulosa
30% KOH 60
Triacetato di cellulosa 30% KOH 70
(t-cellit, triafol t) 25g NaOH + 20g KOH + 4,5g K MnO4 + 90g H2O 50
Acetato di cellulosa
20% KOH 60
butirato (triafol b)
6N NaOH 70
Policarbonato
30% KOH 60
(makrofol, lexan)
15g KOH + 45g H2O+ 40g C2H2OH 70
Polietilene tereftalato
30% KOH 70
(melinex - O)
Polidietilene - glicol - bis 6N KOH 70
allilcarbonato (CR-39) 6N NaOH 70
Microscope glass 5% HF 23
Yokota glass 28% NaOH 70
Mica 40% HF 23
Tectite 48% HF 23
Il tempo d’aggressione dipende dai materiali, si va da 30' a 6h. Per la mica è di 24 ore,
mentre per i vetri di pochi minuti. Il numero di tracce per unità d’area è proporzionale al
numero di particelle incidenti per unità d’area (fluenza di particelle) e può essere usato per
studiare campi di radiazioni di particelle cariche.
Questi dosimetri sono molto utilizzati per la dosimetria da neutroni, accoppiandoli con
un radiatore fatto di materiale fissile e sfruttando i frammenti di fissione per generare
tracce (mica). La densità di tracce è proporzionale alla fluenza di neutroni. Analogamente
si possono usare radiatori di Litio o Boro, sfruttando le particelle α generate nella reazione
(n,α). Il grande vantaggio rispetto ad altri dosimetri per neutroni è che questi sono
completamente insensibili ai gamma. Si ottengono efficienze di rivelazione prossime al
100% con la mica e alcuni film plastici, attorno al 30-40% con i vetri.
Si possono costruire dosimetri per neutroni termici o veloci variando i fissili usati:

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nth  U-235 oppure Pu-239 (si può sfruttare anche la reazione (n,α) su 6 Li 10B )
nv  Th-232 oppure Np-237 oppure U-238
Utilizzando il CR-39, invece, si sfruttano le tracce da protoni di rinculo. La sensibilità in
funzione dell'energia dei neutroni è riportata in figura:

Andamento della risposta di un dosimetro a tracce in CR-39, in funzione dell’energia E dei neutroni incidenti.
s
In ordinata è riportata la quantità m  (risposta in fluenza) cioè il rapporto tra la densità di tracce e la

fluenza della radiazione incidente.
Sono stati messi a punto attacchi elettrochimici (campi elettrici ad alta frequenza) e
tecniche di lettura automatiche, come lo spark counting (solo per rivelatori con tracce
passanti, come l’ LR-115). Per film con elevata densità di tracce, si fa la lettura tramite
trasmissione ottica.
I dosimetri a tracce sono molto utilizzati per la misura del radon in aria. Vengono chiusi
in una bustina permeabile ai gas, ma non ai solidi. Così solo il Rn (ma non i figli) viene a
contatto con il film (entra per diffusione).
Esempio: dosimetro per Rn. Contiene due fogli del materiale organico sensibile LR-115,
avvolti in un foglio di Mylar (sottile foglio in materiale plastico rivestito da uno strato di
alluminio) e contenuti in un involucro in polietilene. Il Mylar ha la duplice funzione di
mantenere in condizioni di equipotenziale i film, evitando l’accumulo di cariche
elettrostatiche e quindi l’insorgenza di campi elettrici (grazie allo strato di alluminio
conduttore), e di ridurre l’energia delle particelle α degradandola a 2,5-3,5 MeV, in modo
da massimizzare il LET. L’involucro in polietilene permette solo al Rn (che ha tempo di
dimezzamento 3,8 d) di permeare all’interno, mentre il toron (che ha tempo di
dimezzamento 55 s) decade prima di riuscire ad attraversare lo spessore di parete.

Camere a ionizzazione a elettreti


Vengono utilizzate soprattutto per le misure di contaminazione del Rn in aria.
Funzionano come una CI, ma l'elettrodo è sostituito da un elettrete, che consiste in un
disco di materiale isolante (PTFE) caricato elettrostaticamente a circa 700 V (il campo di
impiego va da circa 750 V a circa 200 V).
L'elettrete produce un campo elettrico, pertanto non serve alimentazione esterna. Gli
ioni creati dalla radiazione nel gas della camera si muovono verso l'elettrete compensando
la carica superficiale. L'effetto misurabile è la diminuzione del potenziale dell'elettrete.

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Sotto un certo potenziale, l'elettrete non è più utilizzabile (non è garantita la saturazione) e
va sostituito.

Camera standard per elettreti, due elettreti e relativo lettore

Cap. 4 altri strumenti 6


RIVELATORI A SCINTILLAZIONE
Quando la radiazione interagisce con un mezzo si hanno sia eccitazioni, sia
ionizzazioni. In certe condizioni il mezzo emette luce. Questo fenomeno può essere
sfruttato per rivelare la radiazione. Gli impulsi di luce (scintille) vengono convogliati dallo
scintillatore al dispositivo sensibile alle luci (tubo fotomoltiplicatore, fotodiodo) tramite
contatti ottici o guide di luce (rigide o fibre ottiche).
Gli scintillatori possono essere:
 Solidi: inorganici (cristalli come NaI, CsI, LiI, ZnS drogati con opportuni attivatori) e
organici (antracene, PVT)
 Liquidi: solventi organici (toluene, xilene, pseudocumene)
 Gassosi: gas nobili (argon, azoto)
Devono essere trasparenti alla propria luce di fluorescenza e il processo di
eccitazione/diseccitazione deve essere rapido (non vanno bene i materiali fosforescenti!)
Il tubo fotomoltiplicatore (PMT)
Un PMT è costituito da:
 Fotocatodo (costruito con vetro al cerio a basso lavoro d’estrazione)
 Elettrodi focalizzatori
 Dinodi
Gli elettroni liberati al fotocatodo dalla luce incidente vengono moltiplicati dai dinodi in
tensione con un guadagno totale pari a 105  109 (dipende dalla tensione applicata). Il
processo di moltiplicazione ha una durata di circa 10-9 s con fluttuazioni di 10-10 s.

Scintillatore NaI portatile per misure di intensità di dose e spettrometria su campi gamma.

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Dettaglio del display durante spettrometria

Sonde a CsI accoppiati con fotodiodi

Scintillatore plastico per misura di intensità di dose (H*(10))

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Analizzatore Quantulus per conteggio in scintillazione liquida

Dettaglio del vano campioni (vials)

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Vassoio porta vials

Camera per conteggio in scintillazione gassosa

Dettaglio della finestra in quarzo per il tubo fotomoltiplicatore


Cap. 4 altri strumenti 10
Schema di tubo fotomoltiplicatore.

Fenomenologia degli scintillatori


Per i cristalli inorganici, il fenomeno è spiegato con il modello a bande di energia. La
presenza del drogante crea centri di luminescenza che si trovano tra la banda di valenza e
quella di conduzione; la transizione tra stato eccitato e quello fondamentale può avvenire
con emissione di luce. La variazione del drogaggio del cristallo permette di ottenere
lunghezze d’onda d’emissione diverse, a seconda che l'accoppiamento sia con un PMT
piuttosto che con un fotodiodo.
Per gli organici, le proprietà scintillanti sono determinate dai doppi legami coniugati
nelle molecole e dai processi di trasferimento d’energia tra le molecole.
La diseccitazione dello scintillatore, e quindi la conseguente emissione di luce, è
caratterizzata da una costante di decadimento τ che può variare da alcuni ns a migliaia di
ns. La luce emessa è uno spettro continuo, caratterizzato da un valore di λmax in
corrispondenza del quale avviene la massima emissione.
Per analogia con la ionizzazione di un gas possiamo dire che per uno scintillatore di
densità ρs e volume Vs l'intensità di dose è:
WL  N L  n° quanti luminosi prodotti nell'unità di tempo
D  NL
 s VS WL = energia media necessaria per creare un quanto
20eV
WL (energia media necessaria a creare un quanto di luce o fotone) è pari a circa
h
per cristalli di CsI. A differenza di W nei gas, WL non è costante ma dipende dalla densità

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di ionizzazione delle particelle cariche o dei secondari. Si verificano processi di quenching
per alte densità di ionizzazione: in questi casi solo una ridotta frazione d’energia è
convertita in luminescenza.
L'energia E di una particella o fotone è parzialmente ( E ass  E ) o totalmente ( E ass  E )
assorbita nello scintillatore. La frazione assorbita dipende dalle proprietà della radiazione,
da quelle dello scintillatore e dalla geometria d’irraggiamento. Lo scintillatore converte E ass
in energia di luce fluorescente con probabilità ηsz (resa di fluorescenza). Il numero di fotoni
emessi è dato da
Energia assorbita 
N sz  resa    sz  E ass 
energia singolo fotone emesso (h ) ch
Il fotone sarà trasferito al fotocatodo con probabilità  LT ; i fotoelettroni vengono emessi
con efficienza  pc (la sensibilità del PMT deve essere piccata su λmax); solo la frazione  ET
di fotoelettroni verrà trasferita al primo dinodo dagli elettrodi focalizzatori; su un dinodo
vengono mediamente rilasciati δ elettroni secondari per ogni elettrone incidente. Avendo
m dinodi, l'amplificazione totale sarà M   m .
La carica totale raccolta all'anodo sarà perciò
 sz max
Q  E ass   LT   pc   ET  M  e
hc
Poiché Q  E ass , i rivelatori a scintillazione che operano in modalità di impulso sono
adatti per spettrometria della radiazione ionizzante. Non sono adatti a misure di dose
assorbita perché WL non è costante, né per stime di H perché la sensibilità varia con Eγ.
Comparati con i rivelatori a ionizzazione di gas, gli scintillatori hanno un'alta efficienza
per radiazione ad alta energia e maggiore risoluzione temporale. Per quest'ultima ragione
vengono spesso usati per conteggio di particelle e fotoni.
 Stima del fattore δ (n° medio elettroni secondari prodotti al dinodo per ogni elettrone
incidente).
Supponiamo che il guadagno totale sia M  10 7 , e di avere 10 dinodi.
Allora
M   m  10 7   10    (10 7 ) 10  10 0.7  5,01
1

Oppure (che è equivalente)


ln 10 7
ln 10 7  ln  10  ln  
10
ln 107
 e 10
5
ln 10 7
Se il tubo è invece composto da 14 dinodi si ha per esempio   e 14
 3.
La carica raccolta all'anodo Q viene poi trasformata in segnale di tensione da un
preamplificatore di carica

Cap. 4 altri strumenti 12


C

Q
Vout 
C

Il PMT permette di ottenere guadagni molto alti ( 10 5  10 9 ), mentre con i fotodiodi non si
raggiungono guadagni maggiori di 10 4 (fotodiodi a valanga) e si hanno superfici sensibili
minori.
Il PMT deve essere schermato da campi magnetici e da radiazioni; inoltre, PMT e
fotodiodi non devono essere esposti alla luce durante il funzionamento, pena la loro
distruzione. Anche durante lo stoccaggio devono stare al buio.
MCA (Multi – Channel Analyzer)
Il segnale in tensione in uscita dal PMT viene normalmente inviato ad un modulo
elettronico MCA. Esso è sostanzialmente un convertitore analogico – digitale: l’ampiezza
di ogni impulso in ingresso viene convertita in un livello discreto e memorizzata. Un MCA
può avere da 512 a circa 16000 (o più) livelli di quantizzazione (“canali”) del segnale in
ingresso; è chiaro che maggiore è il numero di canali e migliore è la risoluzione.
Conteggiando il numero di impulsi rilevati per ogni canale, dato che ogni canale
corrisponde ad una diversa ampiezza dell’impulso e quindi ad una diversa energia della
radiazione, è possibile misurare lo spettro della radiazione incidente.
Di solito, uno strumento conMCA portatile è corredato di una piccola sorgente di
radionuclide nota, per effettuare una taratura prima dell’uso; spesso è dotato anche di un
software di calcolo che permette di risalire dallo spettro alla dose in tessuto. Gli MCA sono
poco adatti a funzionare con ratei di conteggio molto elevati, perché il convertitore
analogico – digitale lavora con costanti di tempo dell’ordine dei μs e quindi impulsi più
ravvicinati non possono essere distinti, venendo conteggiati come impulsi dovuti a
interazioni singole (e quindi il conteggio sottostima il numero reale di fotoni).
Un altro tipo di problema presente in caso di ratei elevati è dovuto al fatto che ogni
evento di scintillazione rivelato crea di fatto una corrente all’interno del PMT; questo causa
un abbassamento di tensione che a sua volta diminuisce il guadagno del tubo; quindi un
successivo evento troppo ravvicinato temporalmente al primo produrrà un segnale in
uscita di ampiezza minore di quella attesa, e si osserverà uno spettro degradato verso
energie minori di quelle reali.

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Schermata di uno spettro gamma da scintillatore inorganico

Scintillatori per neutroni


É possibile utilizzare scintillatori per la rivelazione di neutroni veloci. Gli scintillatori per
neutroni sono liquidi a base di idrocarburi, quindi composti ricchi di idrogeno. Ciò che
provoca la scintillazione e quindi viene rivelato infatti non è direttamente il neutrone
incidente, ma i protoni di rinculo che esso mette in movimento nell’interazione con i nuclei
di idrogeno del composto.
Il conteggio di neutroni tramite scintillatori presenta il problema di riuscire a distinguere
gli impulsi di luce generati dai neutroni (quelli che interessa rivelare) da quelli causati da
eventuali campi di radiazione γ contemporaneamente presenti. La discriminazione dei due
segnali può essere effettuata grazie al fatto che gli impulsi dovuti ai γ e ai neutroni hanno
andamento temporale diverso. Si usa quindi una catena elettronica composta, a monte del
MCA, da un modulo Constant Fraction e da un TAC (Time to Amplitude Converter).

Andamento temporale degli


impulsi originati da raggi γ e
da neutroni. Gli impulsi
originati da neutroni hanno
tempi di discesa maggiori.
In ascissa è riportato il tempo,
in ordinata l’ampiezza del
segnale, cioè una tensione.

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Nel modulo Constant Fraction, all’ingresso del segnale si fanno partire due altri segnali,
attenuati in percentuale differente, per esempio 70% e 50%. Quando il segnale originale
arriva al massimo, i due segnali attenuati vengono mantenuti costanti nel tempo al valore
raggiunto. Il segnale di input, tornando a scendere, incontrerà le due tracce costanti in
istanti differenti t1 e t2.

Funzionamento del
modulo Constant
Fraction.

Nei due istanti t1 e t2 il modulo Constant Fraction emette in output due segnali logici che
costituiscono l’ingresso del successivo modulo TAC, che consente di avere un segnale in
tensione proporzionale al tempo intercorso tra i due segnali logici, e quindi al tempo di
discesa del segnale originale.
L’uscita del TAC viene quindi inviata al successivo modulo MCA; esso visualizzerà due
picchi: un picco spostato verso l’origine, dovuto alla radiazione γ (che ha tempi di discesa
dell’impulso veloci, quindi ampiezza del segnale TAC ridotta) e un altro picco spostato a
destra, dovuto ai neutroni (tempi di discesa lenti, e quindi ampiezza del segnale TAC
maggiore). Se interessa effettuare un conteggio dei neutroni, quindi, è sufficiente prendere
in considerazione i soli segnali che cadono nel picco di destra.
Questo metodo, se pure riesce a discriminare la radiazione γ da quella neutronica e
quindi è efficace per effettuare conteggi, è assai meno buono per effettuare spettrometrie
dei neutroni. Infatti, poiché ciò che induce la scintillazione sono i protoni di rinculo, ciò che
si riesce a misurare direttamente è lo spettro energetico di questi ultimi. Risalire da questo
allo spettro dei neutroni incidenti richiede l’uso di algoritmi di calcolo complessi (tecniche di
deconvoluzione), che portano ad avere risultati con ridotta risoluzione energetica.
Contatto ottico
Il contatto ottico è necessario per massimizzare la raccolta di fotoni al fotocatodo. Infatti
i cristalli hanno un indice di rifrazione piuttosto alto (in genere superiore a quello del vetro),
quindi i fotoni incidenti la superficie di rifrazione cristallo/aria con un angolo superiore
all'angolo limite vengono riflessi invece di essere rifratti.

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Interfaccia tra scintillatore e mezzo circostante, con n0>n1. θc è l’angolo limite; il raggio 1 viene rifratto e
trasmesso, il raggio 2 (con incidenza θ>θc) viene riflesso.
Vediamo quanto vale l'angolo limite θc: si applica la legge di Snell, che mette in
relazione i seni degli angoli d’incidenza e di rifrazione con gli indici di rifrazione stessi:
sen  n 1  sen  n 2
In corrispondenza dell'angolo limite
n1 n
  90  sen   1  sen  L  1    L  arc sen 2
n2 n1
1
Per NaI n  1.85 , per l'aria n  1 ; allora  L ( Na I )  arc sen
  L  36
1.85
É possibile aumentare l'angolo limite interponendo tra scintillatore e fotocatodo un
materiale trasparente, con indice di rifrazione maggiore di 1 e capace di aderire alle due
superfici dello scintillatore e del tubo, eliminando le sacche d’aria che potrebbero rimanere
in caso di un non perfetto contatto. Di solito si impiegano fogli di elastomero oppure del
grasso siliconico, con indice di rifrazione n  1,5 (questo porta l’angolo limite a valori
 L  60 ).

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