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DOSIMETRI FOTOGRAFICI

Sono costituiti da piccole lastre fotografiche, simili a quelle impiegate dai dentisti,
contenute in appositi astucci. L’insieme prende il nome di FILM - BADGE.
La radiazione, interagendo con la pellicola, ne provoca l’annerimento, il cui grado viene
poi messo in relazione con l’equivalente di dose.

Pacchetto del film dosimetrico aperto (contiene due pellicole)

1
Astuccio contenente il pacchetto delle pellicole. Visibili gli inserti metallici per la filtro-
analisi
FOTONI E BETA
La pellicola per tali radiazioni è costituita da uno strato di GELATINA (emulsione) nel
quale sono sospesi grani di AGBR depositato su un supporto di TRIACETATO (spessore
200μm) DI CELLULOSA (o poliestere).
Gelatina (nei dosimetri
20  25 μm)

Granuli di alogenuri
d’argento (AgI, AgCl),
nei dosimetri diametro
2  3 μm
~200 μm
Base (triacetato di
cellulosa)
Struttura tipica di una pellicola fotografica

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Lo spessore della gelatina va da qualche μm a qualche centinaia di μm (DOSIMETRI A

INTEGRAZIONE). La gelatina è un composto organico di composizione variabile. La quantità


di cristalli di AGBR dispersi nella gelatina è molto variabile. Per emulsioni di tipo nucleare
(rivelatori a tracce) gli spessori vanno da 4  5 μm a 1,5 mm. Per la dosimetria, lo spessore
tipico è 20  25 μm. Il supporto di cellulosa è necessario perché tale emulsione non è in
grado di auto sostenersi; talvolta viene usato anche il vetro. Lo strato può essere semplice
o doppio (se è spalmato anche il retro del supporto) e i due strati possono essere
differenti. Oltre al AgBr vi possono piccole aggiunte di AgI e AgCl. La geometria è variabile
e nell’emulsione non tutti i grani devono necessariamente avere la le stesse dimensioni.
Molto importante è la stesura dell’emulsione: deve essere uniforme perché la risposta
varia con lo spessore. La lastra può essere utilizzata come integratore, per risalire alla
dose, oppure come rivelatore del singolo evento, sfruttando le tracce lasciate nello
spessore dalle particelle (deve esserci uno spessore sufficiente perché le particelle
dissipino tutte le energie in esso). L’emulsione deve essere particolarmente carica perché
la traccia sia osservabile al microscopio (con grani piccoli, in grandi quantità). In questo
caso i grani sono da 0,3 μm e le emulsioni sono caricate all’80% di bromuro d’argento.
Il loro spessore va da decine di μm fino a 7  8 cm per radiazione cosmica.
Per dosimetria la dimensione tipica dei grani è 2  3 μm (ovvero diametri più grandi e
emulsioni meno cariche di AgBr).

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FENOMENOLOGIA

Grano di AgBr

Particella di impurezza
(solfuro di Ag)

Ioni insterstiziali
di Ag

L’effetto delle radiazioni è quello di trasformare l’argento da ione a metallo. La teoria di


Gurney e Mott è la più accreditata. Per effetto della radiazione si forma un’immagine
latente (poche decine di atomi). Il bromuro di Ag ha una struttura cubica a facce centrate.
La radiazione comunica energia al cristallo, alcuni elettroni sono portati in banda di
conduzione, quindi sono liberi di migrare. Dentro il cristallo sono presenti delle impurità e
difetti. Questi sono trappole per gli elettroni liberi che vengono così catturati. Gli ioni Ag+
(interstiziali) si combinano con tali elettroni e diventano Ag metallico, formando così
l’immagine latente. Questa è formata da pochi atomi ( decine). Alcuni di essi tornano ad
essere Ag+ (fading) nel tempo o per forti esposizioni.

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SVILUPPO DEI FILM
L’emulsione viene messa in un bagno chimico RIDUCENTE (sviluppo in soluzione di
+
idrochinone, C6H4(OH)2, cioè paradifenolo) che riduce Ag a Ag. Dove è presente
l’immagine latente la reazione è catalizzata e procede molto più velocemente. Il tempo e la
temperatura sono parametri fondamentali che devono essere rigorosamente rispettati.
Pertanto, bloccando la reazione –con un LAVAGGIO (H2O + ACIDO ACETICO) dopo un
opportuno tempo di sviluppo, solo gli atomi Ag vicino all’immagine latente sono stati
trasformati in Ag metallico. Se lo sviluppo continua tutto l’Ag si riduce e l’informazione è
persa.

FISSAGGIO
Segue quindi l’operazione di fissaggio. Il film viene messo in un bagno
(iposolfitosodico, Na2S2O3·5H2O) che scioglie il bromuro di argento residuo, lasciando sul
supporto solo Ag metallico. Il tempo non è più un parametro vincolante.
Infine si opera un lavaggio LAVAGGIO FINALE (con tensioattivo, per evitare gocce residue)
e l’asciugatura in flusso d’aria. Il lavaggio deve essere prolungato per togliere ogni residuo
dalla lastra. L’asciugatura è fatta con aria filtrata per evitare che la gelatina, che si è
gonfiata perché è bagnata, inglobi particolato. La temperatura non deve superare i 30°C
perché altrimenti la gelatina si scioglie.
A questo punto l’emulsione è trasparente, con colore dal bianco al grigio se non è stata
impressionata, con zone più o meno scure (fino al nero) dove è stata impressionata
(globalmente il processo intero dura circa 6 min.).

Film sviluppato dopo


un’esposizione del film-
badge a radiazione X.
La parte scura è in
corrispondenza di
finestra, filtro di alluminio
e filtro sottile di Cu.
Nello schema di destra
sono riportate le
caratteristiche dei filtri.

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Bagni chimici in camera oscura

LETTURA
Ora il dosimetro deve essere letto. Si usa uno strumento chiamato DENSITOMETRO

OTTICO: 

Diaframma

D = 1  Solo 1/10 della luce è trasmessa

D = 2  Solo 1/100 della luce è trasmessa

STABILIZZATA Limite lettore: D = 4  5

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Lettura dei dosimetri fotografici

Un fascio di luce collimato e stabile viene inviato sulla lastra fotografica. La luce
trasmessa viene poi letta dalla fotocellula.
Chiamiamo: Co = corrente alla fotocellula quando viene effettuata una lettura a vuoto
sul testimone non irraggiato
C = corrente alla fotocellula quando viene letta una lastra impressionata
C<Co
Si definisce:
C
T  TRASMITTANZA FOTOGRAFICA (<1)
Co
Co I
O   OPACITÀ (>1)
C T
D  lg10 O  DENSITÀ FOTOGRAFICA (>0)

1
D  1  solo della luce è trasmessa
10
1
D  2  solo della luce è trasmessa
100
Il limite del lettore è raggiunto per D = 4  5

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I
i
n
t
e
n
s
i
t
à
d
i
d
o
s
e
 

t
t
e
m
p
o
Esiste un legame tra la densità fotografica D e l’esposizione E  I  t con 
 
Supponiamo di avere grani di AgBr tutti uguali e chiamo “a” la loro sezione. Chiamo
quindi: n = numero di fotoni “giunti” per unità di superficie.
Supponiamo quindi che ogni grano di sia reso sviluppabile se colpito, ovvero a seguito
dell’assorbimento di un fotone.

Può essere dimostrato sotto tali ipotesi che:


N  N0 (1  e an ) con
N0 = numero totale di grani per unità di area
N = numero di grani presenti per unità di superficie resi sviluppabili
a = sezione dei grani
n = fluenza di fotoni (numero di fotoni incisi per unità di area)

Facendo corrispondere a N0 la massima densità Dm e a N la densità D si ottiene:


D
 (1  e an )
D max
Sviluppando in serie l’esponenziale:

 a n a 2n2
(1  e )  1 - 1  an -  ……..
2!
Per piccoli valori di an:
D
 a n
D max
Ma la fluenza n è proporzionale all’esposizione, quindi LA DENSITÀ OTTICA È

PROPORZIONALE ALL’ESPOSIZIONE, come in effetti si riscontra sperimentalmente (PER BASSE

ESPOSIZIONI!).

In realtà il primo tratto della curva D può essere approssimato con una retta, ma per
X
esposizioni superiori ciò non è più vero (TENDE A SATURAZIONE).

8
Se i grani di un’emulsione non sono sufficientemente sensibili perché siano resi
sviluppabili a seguito di una singola interazione, ma richiedono 2, 3, 4 …… interazioni
l’equazione caratteristica della curva sarà:

D 
 1  e an 1  an 
a 2n2
 ...........
an r 1  
D max  2! r  1! 
dove r = numero di interazioni necessarie per rendere il grano sviluppabile.
D
Per r = 2  1  e an (1  an)
D max

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Al variare di r si ottiene una famiglia di curve:

1
r=1

0,5
r=2
r=4 r=8
r=16 ...

a·n

r = 1 è la curva che si trova tipicamente per esposizioni X e γ.

HURTER E DRIFFIELD formalizzarono la relazione tra densità ottica ed esposizione:


(la curva si chiama “caratteristica” o “curva “H - D”)
E
D  γ g a  costante  inerzia
a γ si chiama anche CONTRASTO

D
zona di SOLARIZZAZIONE (ad alte esposizioni Ag
metallico sembra tornare Ag+)
IN QUESTA ZONA NON SI USA LA PELLICOLA

γ , coefficiente
angolare del
tratto lineare

lg E
piede

Grani grossi = γ 
Grani piccoli = γ  (nella curva con assi lineari, i grani piccoli riducono il primo tratto lineare)
Il tratto ideale ove usare la pellicola è quello lineare; in dosimetria si utilizza comunque
anche il tratto non lineare.

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γ dipende in primo luogo dalla composizione dell’emulsione: distribuzione e grandezze
dei grani
Elevata densità  γ elevato RAPIDITÀ (O SENSIBILITÀ) DELLA PELLICOLA: inverso

dell’esposizione necessaria per arrivare ad una


Grani grossi  γ basso
data densità (D = 0,3) possibilmente nel tratto
LINEARE della curva H - D

γ dipende anche dal tempo, dalla temperatura e dalla natura (EFFICACIA) dello sviluppo.
All’aumentare del tempo, γ tende alla saturazione. Non si arriva a saturazione perché
altrimenti si svilupperebbe anche dove non ci sono immagini latenti.

Il γ è indipendente dall’energia della radiazione che ha impressionato la lastra. Le


curve saranno tutte parallele al variare dell’energia:

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I fabbricanti consigliano la coppia tempo - temperatura dello sviluppo per avere un


certo γ ottimale. In realtà si possono ottenere γ diversi, a seconda di tanti parametri, ad
esempio se il bagno è fresco o meno, se di recente produzione o a magazzino da tempo,
ecc.

LATITUDINE DELL’EMULSIONE

E’ l’intervallo di esposizione che può essere compreso nel tratto lineare, espresso in
ordine di grandezza. Normalmente arriva a 3 ORDINI DI GRANDEZZA.
PIÙ ELEVATO È IL CONTRASTO γ, PIÙ È BASSA LA LATITUDINE:

D γ 1  γ 2  L 2  L1

A parità di esposizione e di emulsione, la


γ1 γ2 densità dipende dallo sviluppo e da come è
stata trattata la pellicola

L1
L2 lg E

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Pertanto si ricava la CURVA CARATTERISTICA (curva H-D, HUNTER E DRIFFIELD) per una certa
serie di pellicole sviluppate in un dato bagno di sviluppo. Fissando T e t e cambiando tutte
le volte il bagno, la curva caratteristica non varia molto.
Volendo fare misure qualitative, è meglio costruire la curva sviluppando assieme ai
dosimetri alcune pellicole sottoposte a esposizioni note e differenti. Il numero minimo di
punti di riferimento è 3. Dopo aver letto la densità delle pellicole di riferimento si traccia la
curva caratteristica. Misurate le altre densità (dei dosimetri), tramite la curva caratteristica
si risale alle esposizioni incognite.
Tuttavia ci sono alcuni problemi:
la DENSITÀ dipende dal tipo di radiazione ( β o hν)
e dall’energia della radiazione, ovvero
LA SENSIBILITÀ È FUNZIONE DELL’ENERGIA DELLA RADIAZIONE.

PARTICELLE CARICHE:

α: dà luogo ad una traccia breve, grossa e continua


p: la traccia ha un andamento rettilineo, abbastanza denso, molto più lungo delle α
β: se con E>0,5 MeV danno tracce a puntini che poi diventano continue, rivelano
scattering finale prima di fermarsi

Eβ crescente
A parità di DENSITÀ potremmo
avere esposizioni differenti, infatti la
Emulsione sensibilità cambia per effetto delle
Supporto diverse energie delle radiazioni.

Emulsione

E (Kev)

E’ più tipico con le particelle cariche


utilizzare il CONTEGGIO DI TRACCE per fare dosimetria.

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La dosimetria fotografica per β non è molto affidabile e lascia sempre dubbi. Le
tarature stesse sono difficili. Per esempio, a che distanza fare l’esposizione? Come è lo
spettro energetico dei β utilizzati?
L’impiego principale è per radiazione elettromagnetica.
L’andamento della sensibilità relativa di una pellicola è il seguente:

Srel

15÷50

E (Kev)
40

L’emulsione CESNEF attorno a 40 keV ha un picco di S relativa pari a circa 20. Ciò
significa che a parità di esposizione la densità D sarà 20 volte maggiore per E = 40 keV
rispetto a energie più elevate.
La sensibilità della pellicola viene determinata come il reciproco dell’esposizione
necessaria per ottenere una densità D = 0,3. Il grande vantaggio con i fotoni rispetto la
luce è che la forma della curva caratteristica è indipendente dall’energia; al variare di
questa le curve traslano orizzontalmente.
Se i grani anneriti sono sovrapposti, non si ottiene un oscuramento proporzionale.
Tuttavia si potrebbe “contare” il numero di grani impressionati, in tal caso la curva
caratteristica cambia (curva Ag RIMASTO SULLA LASTRA/ESPOSIZIONE).
L’argento rimasto sulle lastre si può misurare mediante attivazione neutronica, nel caso
di saturazione della pellicola.
Tornando alla curva di sensibilità in funzione dell’energia, il picco di massimo si
presenta a 40 keV, invece dei 20 keV corrispondenti al picco fotoelettrico. Questo è dovuto

all’andamento del rapporto assorbimento in Ag RAD che presenta un massimo proprio a


assorbimento in aria R

40 keV.

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CORREZIONI PER L’ENERGIA

Se è nota l’energia della radiazione, si possono apportare opportune correzioni al


valore misurato di D, correggendo così per l’ENERGIA.
Quando l’energia non è nota si cerca di modificare la curva di sensibilità.
Una tecnica è diminuire il contenuto di Ag nell’emulsione. Questo comporta una
riduzione del picco relativa a valori 3  4, ma diminuisce globalmente la sensibilità del
dosimetro. Pertanto questa tecnica è stata abbandonata. Si è quindi passati al sistema
dello SCINTILLATORE PLASTICO (TESSUTO EQUIVALENTE); ovvero è possibile accoppiare
un’emulsione fotografica con uno scintillatore in grado di impressionarle. Se scelto
opportunamente si può ottenere una compensazione della sensibilità nelle regione delle
basse energie ed ottenere una sensibilità totale circa costante:

S Scint. STOT

Film

E E

Questa tecnica presenta due problemi:


1) E’ necessario disporre di scintillatori aventi sempre le stesse caratteristiche
2) Viene meno la legge della RECIPROCITÀ
Infatti le pellicole integrano una esposizione (o dose) nel tempo, ovvero

Esposizione = f (I,t) con I = intensità dell’irraggiamento


t = tempo di esposizione
la funzione f è lineare:

Esp = I × t

Ciò significa che nella mia pellicola posso ottenere lo stesso annerimento, a parità di
esposizione, al variare dei parametri I e t; la risposta dipende solo dal loro prodotto.
QUESTA RELAZIONE VALE SOLO PER LA RADIAZIONE IONIZZANTE, MA NON VALE PER LA LUCE NEL
VISIBILE e quindi per lo scintillatore, pertanto la relazione lineare vista diviene

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E=I×tp con P  1

Un’altra tecnica prevede l’inserimento di un opportuno filtro metallico tra due pellicole
(Sn, Pb):

Film meno sensibile

Filtro

Film più sensibile

La prima pellicola è meno sensibile, la seconda lo è di più, ma il filtro metallico ha


assorbito in prevalenza alle basse energie. Pertanto le sensibilità della pellicola diventano:
S

2^ Film

1^ Film

E
Sommando le densità fotografiche delle due pellicole si ottiene una risposta all’energia
quasi piatta a partire da energie di 20 - 25 keV:

STOT

Rimane il problema che in tal modo


E (Kev)
20÷25 NON SI DISTINGUE L’ENERGIA, oltre al fatto

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che il dosimetro avrà un lato ANTERIORE e uno POSTERIORE rispetto alla radiazione che
devono essere rispettati. E’ impossibile poi fornire la dose profonda (H(10)), se non è nota
l’energia.
Per ottenere un’informazione sull’energia, si opera generalmente una FILTRO ANALISI

Questa è realizzata sovrapponendo alle pellicole FILTRI DI MATERIALE E/O SPESSORE

DIFFERENTI. Dai rapporti calcolati delle densità ottenute nei diversi CAMPI si ottiene
un’informazione indicativa sull’energia.

Storicamente la prima tecnica di questo tipo utilizzata (in Germania) è il METODO

WAXMANN.

Consiste nell’impiego di 4 FILTRI METALLICI più una finestra:


A) Finestra
B) Cu 0,05 mm 1
C) Cu 0,5 mm 2 A B

D) Cu 1,2 mm 3
N° film
E) Pb 0,8 mm 4
D E C

I filtri sono posti su entrambi i lati della pellicola


e sono sfalsati di 12 mm per determinare da che parte si è avuto l’irraggiamento.

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TIPO FILTRO DENSITÀ DOSE APPARENTE

Finestra A a
1° Cu B b
2° Cu C c
3° Cu D d
4° Pu E e

Le densità vengono convertite in dosi apparenti utilizzando la curva di taratura


(esposizione al Co-60 o Cs-137). Si calcolano poi i rapporti delle dosi apparenti:
Finestra a
R1   1
1 b

1 b
R2   1
2 c

2 c
R3   1
3 d

3 d
R4    1
4 e
Il sistema deve essere tarato, si espongono una serie di pellicole a radiazioni quasi
monocromatiche (fasci X filtrati).
Si trovano così gli andamenti dei rapporti R1…4 in funzione dell’energia:

R1..3 R4

E E

Calcolando R1, R2, R3 per un dosimetro tramite le curve viste risalgo a 3 valori di
energia E1, E2, E3. Se la radiazione è monocromatica: E1 = E2 = E3.

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Se il fascio è policromatico, si trova: E1 < E2 < E3
perché all’aumentare dello spessore del filtro SI INDURISCE IL FASCIO.
Per quanto riguarda il filtro di Pb, l’andamento di R4 è diverso:

R4 Questo è dovuto al diverso andamento dei


coefficienti di interazione µCu e µPb al
variare dell’energia

Non utilizziamo R4 per il calcolo della esposizione.


Abbiamo ottenuto 3 grosse fette di energia media:
E1 E2 E3
Con tali valori entriamo nella curva di sensibilità della pellicola:

Srel
S1
S2

S3

E1 E2 E3 E

(Bisogna dividere le dosi apparenti trovate per le sensibilità ricavate).


Vediamo come si valuta il contributo alla dose totale dovuta a ciascuna “fetta”
energetica.

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Riportiamo il logaritmo delle dosi apparenti in funzione dei 3 spessori dei filtri in rame:

lg dose app.

b
c ex

d ex
d

mm Cu
0,05 0,5 1 1,2

Estrapoliamo a spessore zero i tratti assunti lineari (come se avessi tre componenti
monocromatiche).
Iniziamo dall’energia più alta: E3. Ad essa corrisponde la dose apparente più bassa.
Dividendo la dose ad essa attribuibile per la sensibilità corrispondente a E3, ottengo il
contributo di dose effettiva dovuto all’energia E3:
d estrapolata
d effettiva (E3) =
S3

Passando all’energia E2, procederò nello stesso modo, sottraendo il contributo di dose
apparente già attribuito all’energia 3:
c estrapolata - d estrapolata
d effettiva (E2) =
S2

Infine per l’energia E1 avrò l’ultimo corrispondente:


f  c estrapolata
d effettiva (E1) =
S1

Pertanto:
d estrap. c estrap. - d estrap. f  c estrap.
d effettiva (tutto il fascio) =  
S3 S2 S1

Con tale metodo si può incorrere in errori.

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Se R3, R2 non sono dovuti solo a radiazione dura, ma ad una miscela di dura e più
molle, i rapporti sono falsati, con il rischio di stimare l’energia più bassa dell’effettiva. Ciò
mi porta a valutare S3 più elevata del reale e quindi a SOTTOVALUTARE LA DOSE (sono indotto
a credere che la densità trovata sia elevata a causa dell’elevata sensibilità S).
Posso sfruttare il rapporto R4 che mi dice se c’è o meno una componente dura nel
fascio.

DOSIMETRI CESNEF

Si utilizzano due tipi differenti di astucci:


TIPO X e TIPO γ
X : finestra, 3 filtri WACHSMANN, 1 mm di Cd
γ : finestra, 1 mm di Cd, 1 mm di Sn

Sotto il Cd il massimo della curva S si sposta verso energie più alte e il massimo
E

scende da 29 a 3.1 nell’intorno dei 100 keV. Sotto 65 keV tuttavia S<1.

Il rapporto R = dose apparente sotto FINESTRA è funzione dell’energia


dose apparente sotto Cd

Si può quindi ottenere un’informazione


sull’energia media, ma non si può
dividere il fascio in “fette” energiche.

Per fasci di energia mista questa tecnica induce errori troppo grossi, non essendo le
curve R e S lineari.
E E

In questo caso si usa l’astuccio con i filtri WAXMANN. Quando la sorgente è un tubo a
raggi X, l’energia è sempre attorno a 80 - 100 keV, quindi possono andare bene entrambi
gli astucci. Il Cadmio è fondamentale perché lo spessore di 1mm è completamente OPACO

ai neuroni termici. Per chi lavora solo con X il filtro di Cadmio non servirebbe.
Negli astucci γ è presente anche lo Sn, sotto il suo campo si ha la lettura di dose γ.

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Cd e Sn danno circa la stessa attenuazione verso i γ, ma il Cd cattura i neutroni termici
e emette γ di cattura, che impressionano i film. La dose apparente sotto il campo Cd,
depurata da quella γ valutata sotto il campo Sn, può essere messa in relazione con la
dose da neutroni termici (dividendo per due la dose apparente netta si ottiene la dose da n
termici).

DOSIMETRIA NEUTRONICA CON PELLICOLE

1) NEUTRONI TERMICI
Si sfrutta la tecnica del doppio filtro:
CADMIO-STAGNO (HEARD e JONES)
La dose da neutroni termici sarà data da:
Dose apparente Cd - Dose apparente Sn
Dosenth = REM
F
con F = 2  2,5
e la dose γ:
Dose nth
Dose γ = Dose apparente Sn - RAD IN ARIA 
3
La dose apparente è riferita ai fotoni del Co-60.

2) NEUTRONI INTERMEDI 1eV  2.5105eV


In questo intervallo energetico l’emulsione non riesce a indicare dosi comparabili con i
limiti: i neutronicm2s diviso REM diminuiscono e non ci sono elementi con  abbastanza
grandi.
Una possibilità è moderare i neutroni con materiali a basso numero atomico (grafite,
plastica) e sfruttare poi reazioni termiche su elementi tipo boro, litio, ecc (caricati
nell’emulsione)
3) NEUTRONI VELOCI En>2.5105eV
I neutroni producono particelle di rinculo nelle gelatine e nella base. Questi lasciano
tracce che dopo lo sviluppo sono visibili al microscopio. Il metodo è poco pratico e non è
adatto a misure di routine. Gli svantaggi sono:
1) Le singole tracce per unità di area devono essere viste e contate al microscopio

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2) il conteggio è difficile se la traccia consiste di pochi grani, ovvero per En<0.5 MeV
3) l’individuazione delle tracce è più difficile se è presente un fondo dovuto ai γ
4) il numero di tracce prodotte per unità di area per REM diminuisce al crescere di En
5) l’immagine latente della traccia dei protoni è soggetta ad un significativo FADING.

Per le tracce di protoni si usano le EMULSIONI FOTOGRAFICHE NUCLEARI. 30 - 50m di


1 1
spessore che si ritira a  dopo lo sviluppo (  necessaria correzione per la
3 4
determinazione dell’energia) per la perdita di AgBr nel fissaggio.

AgBr
Rapporto in peso = = 5/1 – Sensibilità: 104 protonicm2 per REM prodotti da
gelatina

neutroni da 1 MeV in emulsione da 50m.


Le emulsioni devono essere calibrate sullo spettro dei neutroni applicati.

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L’impiego di un radiatore idrogenato esterno all’emulsione può compensare la diversa
dipendenza della dose dall’energia poiché solo i protoni che hanno sufficiente energia
tracce
raggiungono l’emulsione (si appiattisce la curva in fusione di En).
cm 2 REM

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