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FISICA TECNICA AMBIENTALE

Prof. Ing. Giuliano Cammarata

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ELEMENTI DI ILLUMINOTECNICA

CAPITOLO 16

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La luce
Nel 1672 Isaac Newton nella sua lettera Philosophical Transactions espose le proprie
idee circa la natura dei colori scaturite da circa dieci anni di esperienza mediante l'utilizzo di
prismi ottici. Egli fece in modo che un raggio di luce incidesse obliquamente su una faccia di
un prisma triangolare di vetro: il raggio veniva rifratto una prima volta quando penetrava nel
vetro ed una seconda volta nella stessa direzione, quando ne usciva da un'altra faccia del
prisma verificando l'effettiva differente inclinazione tra raggio incidente e raggio rifratto.
Sempre con tale esperimento ci si accorse che il raggio luminoso che fuoriusciva dal prisma
colpendo una superficie bianca formava una striscia di vari colori, che vanno dal rosso al
viola, anziché una luce bianca.

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L'occhio umano
L'occhio umano é rappresentato in sezione dalla seguente figura. Il funzionamento é simile a quello di
una macchina fotografica avente una lente ad apertura variabile ed il fuoco costituito dalla fovea. Il
cristallino funge da vera e propria lente ad apertura variabile. In corrispondenza della zona foveale si
hanno le terminazioni nervose della retina formate da sensori luminosi (vedi sezione) fotopici (coni) e
da sensori scotopici (bastoncelli).

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Visione Fotopica e Scotopica
Quando le condizione
luminose sono sufficienti
(vedi tabella) si ha la
possibilità di distinguere i
colori e la visione mediante
i coni é detta Fotopica, per
contro in condizioni di
scarsa luminosità si ha una
visione in bianco e nero
(con i soli bastoncelli) e la
visione si dice Scotopica.
Tipi di visione livelli di illuminamento Luminanze (cd/m2)
(lux)
10 5  10 10 6  3

Fotopica
10  5x10  3 3  10  2

Mesopica
5x10  3  5x10  6 10 5  10

Scotopica

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Curve di visibilità
L'intervallo di visibilità dell'occhio umano medio é compreso fra 380 nm e 780 nm. All'interno
di questo intervallo si hanno i colori fondamentali che sono: viola , cian, blu, verde, giallo,
arancione, rosso. La visibilità (intesa come possibilità di visione e quindi come effetto
sensitivo per i nostri occhi) varia secondo le curve riportate in figura: la prima per la visione
fotopica e la seconda (in tratteggio) per la visione scotopica. Lo spostamento verso sinistra
(cioè verso frequenze inferiori) del massimo di visibilità (normalmente in corrispondenza
della luce giallo-verde a 550 nm) fa sì che il rosso non sia più visibile (effetto Purkinje).

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Tipi di emissione luminose
Il tipo di distribuzione spettrale
dipende dalla sorgente luminosa.
Si hanno tre tipologie ricorrenti:
- 1° Distribuzione continua: tipica
delle sorgenti che emettono
radiazioni luminose per effetto
termico (ad esempio, filamenti delle
lampade ad incandescenza);
- 2° Distribuzione discreta a
righe: tipica dell'emissione nelle
lampade a scarica nei gas (a
luminescenza, ad Hg, Na, Ar,...).
Le righe sono corrispondenti ai salti
quantici dei livelli elettronici dello
elemento utilizzato in questo tipo di
lampade);
- 3° Distribuzione normale del
corpo nero: si tratta di una
distribuzione ideale relativa ad un
corpo ideale (il corpo nero). Nella
realtà anche i corpi grigi emettono
una distribuzione continua
omotetica a quella del corpo nero
secondo l'emissività .
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Grandezze Illuminotecniche
La luce è caratterizzata da onde
w
elettromagnetiche aventi lunghezza d’onda 
compresa fra 0,38 e 0,78 m. Dal punto di
vista fisico non si hanno difficoltà a
caratterizzare queste onde con le
grandezze radiative oggettive già viste
nello studio dell’Irraggiamento. Ciò che ora
interessa è caratterizzare il comportamento
fisico delle onde luminose tenendo conto
della visione dell’occhio umano medio e
quindi di introdurre nuove grandezze
soggettive.
Definiamo flusso luminoso il flusso
radiativo visibile (quindi con lunghezze
d’onda comprese fra 380 e 780 nm). Per
caratterizzare la visibilità delle onde
radiative dobbiamo filtrarle secondo la
curva di visibilità assoluta dell’occhio Lunghezza d'onda 
umano medio.
Tutte le grandezze illuminotecniche partono
da questa osservazione e pertanto esse
K ( ) w   d 
780 nm
differiscono da quelle energetiche 
380 nm
(oggettive) perché sono grandezze
soggettive cioè riferite all’uomo.
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Definizione delle Grandezze Illuminotecniche
Le grandezze fotometriche fondamentali sono le seguenti:
FLUSSO LUMINOSO
ILLUMINAMENTO
K (  ) w   d  ,
780 nm
 Lumen d
380 nm
E= Lux
che in funzione della visibilità relativa si può scrivere: dA
Combinando le precedenti relazioni si ha:
v (  ) w   d  ,
780 nm
  683 Lumen
380 nm
d 1 cos 
INTENSITA' LUMINOSA E= cos   I
d r 2 r2
d
I= Candele RADIANZA LUMINANZA
d
Risulta quindi: d dI

dE
R Lux sul bianco L=
dAcos d  cos 
Nit ( cd / m ²)
1 W dA
1 cd=K max ( )
683 sr e risulta anche:
da cui:
R  rE
cd  sr  lm
K max  683 con r fattore di riflessione
W
della superfice. Inoltre risulta,
per corpi uniformemente diffondenti:
R L
da cui risulta:
rE
L=

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Intensità Luminosa, I
L’intensità luminosa è data dalla relazione:
d
I
d
L'unità è la Candela definita come l'intensità di una
sorgente luminosa emessa nell'angolo solido di 1 sr, di
=555 nm e di potenza pari a 1/683 W. Dalla precedente
  I  d
e si ottiene che il flusso luminoso vale:
ove l'angolo solido è dato da:
 z
dA cos 
d 
r2
Per i corpi lambertiani che emettono in un semispazio
secondo la legge del coseno è:
I  I 0 cos 
 z

Id  2I 0 z0
 2
sin  cos d  I 0

  I 0
Per le sorgenti puntiformi che emettono uniformemente
in tutto l'angolo solido 4 si ha:
I  I 0 per qualunque angolo

z z
 = Id  I 0 d  4I 0

0
4

  4I 0
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Luminanza, L
La Luminanza è definita come rapporto fra
l'intensità luminosa in una data direzione  e
la superficie della sorgente apparente in
quella direzione:
d I
L 
dS cos d S cos 

L'unità di misura è il Nit=Cd/m2. E' ancora in


uso lo Stilb=Cd/cm2

L 
LM Cd OP  Stilb 
LM Cd OP  10 4

Nm Q 2
Nit
N cm Q2
Nit

Per i corpi lambertiani si ha che la luminanza


non dipende dalla direzione  :
I   I 0 cos  e quindi:
I I 0 cos 
L 
S cos  S cos 
I0
L
S
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Illuminamento, E
L'Illuminamento in un punto è definito dalla
relazione:
d ricevuto
EP 
dAricevente

e con riferimento alla disposizione della sorgente


rispetto al punto:
da cos j
d ricevuto d d R2
EP     I
dAricevente d dA dA
cos j
EP  I
R2
se vi sono più sorgenti luminose si applica il
principio di sovrapposizione degli effetti per cui si
ha:
cos j1 cos j2
E P  E P1  E P2  I1  I 2
R 21 R2 2

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Relazioni fra Luminanza e Illuminamento
E' opportuno osservare che la luminanza si riferisce alla superficie
apparente della sorgente emittente mentre l'Illuminamento si
riferisce alla superficie ricevente il flusso luminoso.
Per superfici trasparenti si ha:
 emesso   incidente
essendo  emesso  I 0
per superfici lambertiane
 incidente I
  0 ossia
A S
E = L da cui:
E
L=

Per superfici riflettenti si ha:
 emesso   incidente
essendo  emesso  I 0
per superfici lambertiane
 incidente I
  0 ossia
A S
E = L da cui:
E
L=

Il termine rE è la radianza della superficie A ed è misurata in lux sul
bianco ( Lux s.b.)
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Costruzione del solido fotometrico: Banco Fotometrico
Il Banco fotometrico è costruito come in figura
sottostante. A sinistra si ha una lampada campione
(della quale è nota l’intensità I1) e a destra una
lampada da esaminare.
Il carrello mobile porta un dispositivo ottico che
presenta l'illuminazione prodotta da entrambi i lati dalle
due lampade.
Si sposta il carrello fino a quando gli illuminamenti
sono eguali sulle due facciate e quindi vale la relazione
(per direzioni normali):
I1 I2
E 
d12 d 22
Allora nota I1 e le distanze d1 e d2 si calcola:
d12
I 2  I1 2
d2
Ripetendo il calcolo per diverse direzioni si ha la
costruzione della curva fotometrica di figura.
Ruotando la lampada attorno allo zoccolo di montaggio
e ripetendo per varie angolazioni si può avere la
costruzione del solido fotometrico.

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Il Luxometro
Per misurare l'Illuminamento si utilizza una cellula fotovoltaica che genera una corrente in
funzione della radiazione incidente. Un filtro sovrapposto alla cellula rende la risposta di
questa simile alla curva di visibilità relativa e quindi la misura dell'irraggiamento (oggettivo)
totale può rendersi proporzionale all'illuminamento (soggettivo).

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Calcolo del Flusso con il Metodo IEC
L'angolo solido di una zona sferica compresa fra 
ed  +d  vale:

z z
  d


  d
d  2 sin d  2 cos  )  cos(  d

b g
Per un solido fotometrico avente simmetria di
rotazione si può calcolare il flusso luminoso
suddividendo la sfera in quattro zone corrispondenti
agli angoli (IEC N.52/1982):
 3
, ,  , 2
2 2

Il flusso  , ricordando quanto sopra scritto, vale:


 z
0
2  
b
Id   I   2  I [ cos  )  cos(  d ]
 0  0
g
Di solito il flusso emesso nelle quattro regioni IEC
viene espresso in termini percentuali rispetto al
flusso emesso nel 2p sr ed indicato rispettivamente
con:

FC1, FC2, FC3, FC4


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Illuminamento fra superfici estese
Sia la S1 emittente ed S2 ricevente. L'Illuminamento
in P vale:
z dS1 cos 
E P  L1 d 0S cos j  L1 z
S1
d2
cos j

Il flusso emesso da S1 che raggiunge S2 risulta:


12  zS2
E p dS 2  L1 z
S1
dS1 cos 
d 2
S2
z
cos j dS 2

e quindi anche, moltiplicando e dividendo per pS1:


L OP
12  S L M
1
MNS
1 1
1
z
S1
dS1 cos 
d2 z
S2
cos j dS 2
PQ
Il termine in parentesi è il fattore di vista fra S1 ed
S2:
F12 
1
S1 S
dS1 cos 
d2 S
z
cos j dS 2
1
z
2

per cui: 12  L1S1 F12


Ricordando che per corpi lambertiani la radianza è
R=pL si ha:
 S
E2  12  R1 1 F12
S2 S2
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Illuminamento in un punto da superficie estesa
Dalle definizioni di Luminanza ed Illuminamento:
dI dI cos j
L , dE P   2
dS cos  d
combinando insieme si ha:

FG dS cos  IJ  L cos j  d
dE P  L cos j
H d K 2 0 S

Il termine in parentesi è l'angolo solido entro il quale


l'oggetto vede la sorgente:
dS cos  FG IJ
d 0S 
d2 H K
Allora se L=costante segue:
EP  L z
0 S
cos j  d 0S

che è la relazione per il calcolo dell'Illuminamento in un


punto P dovuto ad una sorgente estesa S e di luminanza
costante L.

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Elementi caratterizzanti il colore
Il colore è una qualità degli oggetti ma è anche una funzione della luce che li illumina.
Ogni corpo ha un fattore di assorbimento, di riflessione e di trasmissione variabile con la
lunghezza d'onda.
Ne consegue che se lo si illumina con una luce bianca (che è la somma di tutte le
componenti cromatiche visibili) allora il corpo riflette una radiazione che dipende dalle
proprie caratteristiche.
Se, ad esempio, il corpo non assorbe la lunghezza d'onda corrispondente al verde ma
assorbe tutte le altre allora la luce riflessa è verde e noi attribuiremo il colore verde al
corpo.
Se, però, la luce illuminante è solo monocromatica e di colore giallo allora il corpo non può
apparire verde perché il verde non è presente nella radiazione originaria; esso appare, in
questo caso, nero.
Il colore si caratterizza per le seguenti tre qualità:
Tono o Tinta: é dato dalla lunghezza d'onda dominante e quindi individua il colore
fondamentale con cui viene visto un oggetto;
-Purezza o Saturazione: é la vivacità del colore che quindi si differenzia dalla visione del
grigio;
-- Luminanza o Luminosità: esprime l'intensità luminosa nella direzione della visione.

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Il Colore
La norma UNI 10530 al punto 4.1.4 così definisce il colore: Il colore è un attributo della luce che
contribuisce all'osservazione ed alla percezione dell'ambiente. Tra gli attributi della luce esso è
notoriamente il più utile per identificare rapidamente e agevolmente gli oggetti situati nello spazio di
lavoro. La percezione e la discriminazione dei colori variano nelle diverse zone della retina; la capacità di
discernere i colori è massima nella zona centrale della retina ed aumenta con l'illuminamento, almeno entro
un limitato intervallo di valori. La qualità di resa di colore di una sorgente luminosa è determinata dalla
composizione spettrale della luce emessa in rapporto alle caratteristiche spettrali della luce del giorno. Va
fatta quindi una distinzione tra il colore come sensazione e il colore come lunghezza d'onda. La luce infatti
non è colorata, ma è capace di generare, a seconda della lunghezza d'onda, le sensazioni della luminosità e
del colore quando stimola gli occhi e un sistema nervoso dotati di particolare recettività. Un colore può
essere ottenuto dalla mescolanza di tre colori diversi definiti come primari; in questo caso si parla di sintesi
additiva. Dalla sintesi additiva dei colori primari (blu+verde+rosso) si ottiene il colore bianco. Dai tre colori
fondamentali si derivano altri tre colori detti secondari o complementari: il giallo è complementare al blu; il
Magenta è complementare del verde; il ciano è complementare del rosso. Tali coppie di colore per sintesi
sottrattiva producono il nero, per cui un colore può essere ottenuto sottraendo alla luce una parte dei suoi
componenti.

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Componenti Cromatiche Fondamentali
La Colorimetria si fonda sulle leggi
Grassmann:
- Se si sommano tre sorgenti di colore
diverso si ottiene un nuovo colore che
non é distinguibile dai componenti;
- Se ciascuna sorgente viene variata di
intensità anche il colore risultante varia
la sua intensità e colore.
Il CIE ha stabilito di scegliere tre
componenti cromatiche fittizie aventi
l’andamento dato in figura e con i valori
frequenziali dati in tabella.

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Coordinate Tricromatiche
Considerata la grandezza di stimolo f() (di solito L o R) si hanno tre coordinate
cromatiche:
X  cos t  f   x    d 

Y  cos t  f    y    d 

X  cos t  f   z    d 

In forma discreta si possono sostituire gli integrali per ottenere le relazioni:


X  cos t  f   x    

Y  cos t  f    y    

Z  cos t  f   z    
che in forma normalizzata divengono:
x  X /X Y  Z
y  Y /X Y  Z
z  Z /X Y  Z

Pertanto, poiché x+y+z=1, è sufficiente conoscere il valore di due coordinate normalizzate.


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Il Triangolo del Colore
Ponendo in ascissa x e in ordinata y si ha la
rappresentazione di figura nella quale si possono
fare le seguenti osservazioni:
-il centro del diagramma, detto triangolo del colore,
ha coordinate 0.33, 0.33, 0.33 ed è detto
illuminante bianco;

C
ol
or
-Lungo la linea esterna si hanno le onde

ipu
rif
on
elettromagnetiche pure corrispondenti ai colori

da
m
en
fondamentali (rosso, arancione, giallo, verde,

t
al
i
cyan, blu, viola); Lin
ee
gui
da
-La zona triangolare fra il centro e i due vertici di per
la TC
base è detta zona delle porpore e indica colori la C

cui lunghezza d’onda fondamentale non esiste e Planck's


Loci

che possono essere costruiti solamente mediante


tecniche di tricromia sottrattiva;
-Il luogo dei punti di emissione di un corpo nero al
variare della temperatura è detta Planck’s loci
(vedi dopo); i segmenti trasversali riportano le e
por
temperature di emissione. le por
a del
Zon
-Il triangolo con lati bianchi indica la zona
riproducibile con tricromia additiva RGB (Red,
Green, Blue) utilizzata per i video dei computer e
per le stampanti.
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Planck's loci
Se la funzione di stimolo è costituita dalla radiazione del 780 nm
corpo nero (Legge di Planck) allora possiamo calcolare le X  w(  )  X (  )  d 
380 nm
coordinate cromatiche per varie temperature di emissione
780 nm
mediante i passaggi indicati a fianco. Il risultato dei calcoli Y  w(  )  Y (  )  d 
380 nm
porta a tracciare la curva (ben visibile in basso a destra del
780 nm
triangolo del colore) detta Planck's Loci che rappresenta il Z w(  )  Z (  )  d 
luogo delle coordinate cromatiche relative alle emissioni del 380 nm

corpo nero. Per gli emettitori radiativi (ad esempio per il


filamento di una lampada) si suole indicare il colore di
ove la w(  ) è data dall'equazione di Planck:
emissione mediante la temperatura del corpo nero
corrispondente:
TEMPERATURA DAL COLORE (TC) C1 W
w(  )  ( )
Il sole, ad esempio, ha una temperatura dal colore di circa  cT2  m
6000 K, mentre il filamento di una lampadina normale ha   e  1
5

una TC di circa 2200 K e quello di una lampada allo iodio ha  


una TC di circa 2500 K. Per i corpi non radiativi (ad esempio
le lampade a luminescenza) si indica la ove le costanti c1 e c 2 valgono:
TEMPERATURA DEL COLORE CORRELATA (TCC)
come la temperatura del corpo nero che più si avvicina
come tinta al colore desiderato. Nel triangolo del colore si c1  3.742  108 , c2  1.439  104
hanno alcune linee guida che aiutano ad individuare la
temperatura corrispondente. Per le lampade a luminescenza
si parla di TCC variabile da 2800 K a 6500 K. In quest'ultimo
caso si ha una luce bluastra.
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Caratteristiche delle Lampade
Le lampade sono apparecchi che producono radiazioni visibili. Se ne hanno diverse tipologie:
- ad incandescenza, le più antiche;
- a scarica nei gas che si classificano anche in: ad arco e a luminescenza, ad induzione.
Le caratteristiche principali di una lampada sono:
- l'efficienza luminosa data dal rapporto fra il flusso luminoso emesso e la potenza elettrica impegnata
(lm/W);
- la resa cromatica, cioè la capacità di rendere fedelmente i colori. Questa caratteristica si esprime con
un punteggio da 1 a 100 rispetto ad una lampada campione di alta resa.
- la durata, espressa in ore, data dal tempo di vita media (cioè del tempo nel quale il 50% delle lampade
dello stesso tipo e dello stesso costruttore si rompono).
- la temperatura dal colore correlata che è la temperatura del corpo nero che più si avvicina al tono
puro.
Le lampade ad incandescenza hanno uno spettro radiativo (cioè la distribuzione della potenza luminosa
in funzione della lunghezza d'onda) continuo e di solito presente in tutte le lunghezze d'onda visibili. La
resa cromatica delle lampade ad incandescenza è in genere buona anche se la luce emessa è giallo-
rossastra. Le lampade a scarica nei gas hanno spettri a righe corrispondenti ai livelli elettronici eccitati. In
alcuni casi il numero di righe è molto limitato e pertanto la luce emessa è quasi monocromatica (ad
esempio le lampade al sodio) e quindi la resa cromatica è spesso insufficiente (Ra<50).
Per migliorare la resa cromatica si usa miscelare le lampade a scarica nei gas con lampade ad
incandescenza. In questo modo nello spettro di emissione si ha anche la componente continua delle
lampada ad incandescenza e la resa cromatica migliora sensibilmente. Nel prosieguo si esamineranno
varie tipologie di spettri per lampade a scarica nei gas normali e miscelate.
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Lampade ad incandescenza
Queste lampade sono le più antiche: un filamento di tungsteno attorcigliato in doppia elica è
portato alla temperatura di circa 2000 K ed emette una luce giallo-rossastra. Sono oggi
costruite in tre tipologie: GLS, REFLECTOR ed ALOGENE.

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Lampade ad incandescenza Alogene
Nelle lampade ad incandescenza del tipo alogene si
pone all'interno delle lampade dello iodio che si
associa al tungsteno depositato sul bulbo (più freddo)
e, per convezione termica, lo riporta sul filamento
(caldo) dove, ad alta temperatura si dissocia.
Il ciclo dello iodio é dato a fianco. Il vantaggio che si
ottiene è duplice: da un lato lo iodio, mediante il suo
ciclo di associazione-dissociazione, ricostituisce il
filamento di tungsteno che man mano si
assottiglierebbe per sublimazione, dall'altro, proprio per
questa nuova possibilità di ripristinare il tungsteno
sublimato, è possibile aumentare la temperatura del
filamento in modo da innescare la reazione di
dissociazione (a 2800 K).
Questo secondo effetto porta ad una maggiore
temperatura del colore (TC), ad una maggiore
radiazione visibile (lo spettro si sposta verso la zona
del visibile) e quindi l'efficienza luminosa di queste
lampade è più elevata rispetto alle lampade normali
raggiungendo anche 25 lm/W.

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Lampade ad incandescenza: Caratteristiche
Nella seguente tabella si hanno alcune proprietà delle lampade ad incandescenza.
Dalla tabella è possibile calcolare il flusso luminoso nota l'efficienza luminosa e la
potenza elettrica assorbita mediante la relazione:

   W

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Lampade a luminescenza
In queste lampade si ha una scarica a valanga per effetto degli urti elastici ed anelastici che
elettroni ed ioni di segno opposto subiscono nell'accelerazione fra gli elettrodi. La curva
caratteristica é data in figura. Queste lampade necessitano di un reattore di stabilizzazione
e di uno starter per l'avviamento.

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Lampade a Luminescenza: Caratteristiche
Le lampade a luminescenza hanno
solitamente spettri a righe ed emettono
luce non per effetto della temperatura del
filamento ma per luminescenza, cioè per
emissione di radiazione elettromagnetica
degli atomi dei fosfòri (sali di fosforo) che
rivestono i tubi di vetro esterni. Pertanto
la temperatura dal colore correlata (TCC)
può essere molto elevata a causa della
notevole presenza di radiazioni di
lunghezza d’onda corrispondente al blue.
In tabella si hanno le TCC, la resa
cromatica Ra, e il flusso luminoso per le
principali potenze elettriche impegnate.
Si hanno indicazioni sia per i tubi di 1°
generazione (tubi da 38 mm di diametro)
che di 2° generazione (tubi da 26 mm di
diametro) per i maggiori costruttori.

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Confronto fra diverse tipologie di Lampade
Lampada Efficienza Temperatura di Resa cromatica Durata media
luminosa colore % ore
lm/W K

Incandescenza a filamento 10-17 2500 100 1000

Alogena 20-25 3190 100 1500-2000

Fluorescente bianco freddo 65-100 6500 62-98 5000

Fluorescente bianco caldo 62-96 3000 52-95 5000

Vapori di mercurio alta 70-83 5710 50-70 8-10000


pressione

Vapori di mercurio con 75-80 3720 60-80 5000


alogenuri

Sodio bassa pressione 80-200 < 20 8-10000

Sodio alta pressione 30-120 2500 30-80 6000

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Lampade a luminescenza: Spettri di emissione

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Lampade a luminescenza: Spettri di emissione
Lampade a vapore di sodio Lampade fluorescenti a bulbo

Lampade agli alogenuri metallici ad alta pressione Lampade a luce miscelata

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La fase progettuale del benessere visivo
La fase progettuale dovrà sempre essere preceduta da uno studio dettagliato dello spazio
fisico e delle caratteristiche funzionali ad esso connesse, indispensabili per la definizione,
in termini di prestazioni, dell’ambiente luminoso e degli indici significativi per la sua
valutazione, ed in particolare dovrà prendere in considerazione quanto segue:

- la corretta dimensione degli ambienti;


 le finitura, colore e caratteristiche di riflessione delle superfici;
 le dimensioni e caratteristiche di trasmissione delle superfici vetrate;
 la dimensione e caratterizzazione di eventuali schermi;
 la definizione delle classi di utenza;
 la definizione delle attività svolte nell’ambiente;
- il profilo di occupazione dell’ambiente.

In base alle superiori premesse la progettazione degli interni non deve mirare
esclusivamente al raggiungimento di un illuminamento uniforme del piano di lavoro e quindi
dell’ambiente, ma deve garantire una corretta visibilità del compito visivo dipendente dal
contrasto percepito dall’operatore, dallo stato di adattamento dell’operatore, dalla presenza
di fenomeni di abbagliamento e di riflessione, da eventuali ostruzioni e dalla procedura di
svolgimento del compito visivo
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Caratteristiche principali
Le lampade sono raramente utilizzate nude. Esse vengono inserite in opportuni apparecchi
illuminanti che hanno lo scopo di modificare (anche sensibilmente) le caratteristiche
illuminotecniche delle stesse lampade.
Ogni lampada è caratterizzata dal solido fotometrico (cioè dalla distribuzione spaziale dei
vettori intensità luminosa).
I corpi illuminanti modificano proprio il solido fotometrico delle lampade in modo da
soddisfare le esigenze progettuali per l'impiantistica illuminotecnica.
Ad esempio possono direzionare il flusso luminoso solo in una direzione e con una
modesta dispersione angolare (fari, proiettori), ovvero possono direzionare il flusso
luminoso in più direzioni con limiti angolari precisi (ad esempio i corpi illuminanti per
illuminazione stradale hanno angoli di emissione limite fissati dalle norme, detti angoli di
cut-off). I corpi illuminanti possono ospitare più di una lampada e possono anche filtrare la
radiazione emessa mediante opportuni schermi filtranti.
I corpi illuminanti possono avere o non lenti direzionali e in alcuni casi (vedi le lampade
scialitiche utilizzate negli ospedali) si hanno vetri stratificati a curvatura multipla per ridurre
lo spazio occupato.
In pratica gli apparecchi illuminanti adeguano le lampade alle esigenze dell’illuminazione.
Ciò che non può essere modificata è la natura dello spettro luminoso (continuo per le
lampade ad incandescenza e a righe per le lampade a luminescenza) e di questo si deve
tenere conto nella progettazione degli impianti di illuminazione.
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Tipologia di diffusori
I diffusori o corpi illuminanti
modificano il solido fotometrico delle
lampade che ospitano. Di solito essi
orientano il flusso:
-prevalentemente verso il basso;
-prevalentemente verso l’alto;
-in entrambe le direzioni.
In corrispondenza del tipo di solido
fotometrico si hanno tre tipologie di
illuminazione:
-illuminazione diretta;
-illuminazione indiretta o diffusa;
-illuminazione semidiretta o semi
indiretta.
Nelle figura a lato si possono vedere
le percentuali di flusso orientato nella
varie direzioni al variare del corpo
illuminante.

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Criteri di progetto
Lo scopo di un impianto di illuminazione a luce artificiale è di consentire la visione confortevole in
assenza di luce naturale. Si hanno essenzialmente due tipologie di impianti:
- impianti di illuminazione per interni;
- impianti di illuminazione per esterni.
Per il progetto degli impianti di illuminazione per interni si possono seguire vari criteri, ciascuno
caratterizzato da complessità e precisione variabili.
Fra i metodi più semplici si segnala quello del fattore di utilizzazione. Si tratta di un metodo globale
con il quale si può calcolare il flusso totale necessario per l'illuminamento di progetto. Esso si basa su
dati semiempirici sotto forma di tabelle.
Dopo la progettazione di massima occorre sempre effettuare una verifica di uniformità
dell'illuminamento ad esempio utilizzando, per sorgenti supposte puntiformi, la relazione:

I  cos 
E
R2

I  cos3 
E
H2
con H altezza di montaggio

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Metodo dell'Illuminamento di progetto
Seguendo il criterio dell'illuminamento, si assegna un valore di illuminamento da realizzare in
funzione del compito visivo desiderato. Nella seguente tabella si hanno i valori minimo,
medio e massimo consigliati per i vari compiti visivi. La fase preliminare del progetto di un
impianto illuminotecnico consiste proprio nel selezionare il valore dello illuminamento di
progetto secondo la tabella riportata.

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Metodo del Fattore di Utilizzazione
Per il dimensionamento di un impianto di illuminazione a luce artificiale si può utilizzare il
metodo del fattore di utilizzazione (u) con il quale, almeno per ambienti regolari, si determina
il flusso totale emesso dalle lampade mediante la relazione:

u u
o

ove Fu è il flusso utile sul piano di lavoro e F0 è il flusso (incognito) emesso dal corpo
illuminante, Ft è il flusso totale emesso dall'apparecchio illuminante che tiene conto anche
del deprezzamento. Em è il valore di progetto dell'illuminamento medio, d è il fattore di
deprezzamento (>1) del corpo illuminante. Il fattore di utilizzazione dipende dai fattori di
riflessione del soffitto e delle pareti, dal solido fotometrico del corpo illuminante e dal tipo di
lampade utilizzate (ad incandescenza o a scarica nei gas) e dalla forma geometrica del
locale mediante l'indice del locale:

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Calcolo del Fattore di Utilizzazione
Il fattore di utilizzazione, u, è definito dal rapporto:
u
u
o
ove Fu è il flusso utile sul piano di lavoro e F0 è il flusso totale (incognito) emesso dal corpo
illuminante. Questa relazione contiene due incognite: u e F0 per cui va intesa come
equazione di definizione di u.
Se si desidera calcolare F0 occorre prima calcolare u mediante opportune tabelle (vedi nel
prosieguo) nelle quali occorre conoscere:
- il tipo di apparecchio illuminante;
- il tipo di lampada (ad incandescenza o a luminescenza);
- il fattore di riflessione del soffitto;
- il fattore di riflessione delle pareti;
- l'indice del locale, come già definito.
Per valori intermedi dei fattori di riflessione occorre interpolare fra i valori noti.
Ottenuto u si può calcolare F0 come già indicato in precedenza.

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Tabelle per il calcolo del fattore di utilizzazione

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Algoritmo di calcolo per il progetto
Per il progetto di un impianto di illuminazione a luce artificiale
mediante il metodo del fattore di utilizzazione si hanno le fasi:
- scelta del valore dell'illuminamento, E, sul piano di lavoro in
funzione del compito visivo desiderato (vedi tabella guida);
- calcolo del flusso utile sul piano di lavoro Fu=E B H, ove B ed
H sono le dimensioni del piano di lavoro;
- scelta del tipo di lampada (ad incandescenza o a scarica nei
gas) e del tipo di apparecchio illuminante e quindi del tipo di
solido fotometrico complessivo e del fattore di deprezzamento
d;
- calcolo dell'indice del locale B  Hmediante la relazione (hu è

l'altezza utile): i
h  BH u b g
- determinazione del fattore di utilizzazione utilizzando le
apposite tabelle mediante l'indice del locale e i fattori di
riflessione del soffitto e delle pareti (in corrispondenza del tipo
di corpo illuminante); E  B H
 
- calcolo del flusso emesso dal corpo d
u illuminante Ft mediante la
t

relazione:

- verifica del fattore diI  cos 3



uniformità (Emax/Emin<1.5)
E la relazione:
dell'illuminamento utilizzando 2
h u

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Illuminazione naturale diurna
Il flusso luminoso totale che
raggiunge un punto di una
superficie all'interno di un
ambiente è il risultato di tre
contributi, vedi Figura:
a. il flusso che arriva sul punto
direttamente dal cielo (componente
cielo);
b. il flusso che arriva sul punto per
effetto di riflessioni da parte di
superfici poste all'esterno
(componente riflessa esterna);
c. il flusso che arriva sul punto per
effetto di riflessioni da parte di
superfici poste all'interno
(componente riflessa interna).
Vedremo come calcolare queste
componenti utilizzando un metodo
semplificato proposto dal BRS.

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Metodo del Fattore di Illuminazione diurna
La verifica dell'illuminazione diurna consiste nel calcolare, in percentuale, il valore dell'illuminamento
diurno in un punto rispetto a quello provocato dal cielo coperto.
Si definiscono due tipi di cielo:
- cielo internazionale
- cielo uniforme standard.
Nel primo caso la luminanza varia secondo la relazione:
1  2 sin 
B  B0
3
ove B0 è la luminanza del cielo allo zenith e a l'angolo di elevazione del punto del cielo considerato
rispetto all'orizzonte. Nel secondo caso la luminanza del cielo si suppone costante, qualunque sia
l'angolo considerato. In questo caso l'illuminamento prodotto si considera pari a 5000 lux.
Detto DF il dayligth factor, definito come rapporto fra l'illuminamento in un punto interno e quello del
cielo coperto, questo è dato dalla somma di tre fattori:
DF= SC + CRE + CRI
ove:
SC è la componente cielo;
CRE è il componente di riflessione esterno;
CRI è il componente di riflessione interno.
Ciascuno di questi fattori è sempre inteso in termini percentuali rispetto all'illuminazione con cielo
coperto. Per una buona illuminazione diurna deve essere DF>4.

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Calcolo della Componente cielo e CRE
I riferimenti per il calcolo di SC e SF sono dati in figura.
Se è presente l'ostruzione esterna allora si calcola la Componente di riflessione
esterna, CRE, utilizzando ancora le due tabelle già descritte per SC e SF ed
individuando CRE mediante B/d e a (angolo di ostruzione).
Il CRE va sommato a SC (o SF a seconda del cielo considerato).

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Calcolo della Componente cielo SC
La componente cielo, SC, è definita come rapporto percentuale fra l'illuminamento dovuto
ad una apertura sul punto desiderato per effetto della radiazione solare diffusa e
l'illuminamento ottenuto con cielo internazionale.
Se il riferimento è il cielo standard a luminanza costante si definisce allo stesso modo il
fattore cielo, SF.
Entrambi i componenti dipendono dal tipo di cielo considerato (internazionale o standard) dai
rapporti B/d e H/d fra la base della semiapertura e la distanza del punto P (valutata
normalmente alla finestra) e fra l'altezza dell'apertura e la medesima distanza.
Il metodo BRS per il calcolo del DF fornisce due tabelle (una per ciascun tipo di cielo) che
fornisce SC o SF in funzione dei due rapporti B/d e H/d.
Qualora il vetro considerato sia doppio è bene ridurre del 15% il valore individuato nelle
tabelle.
Se l'apertura ha un'ostruzione esterna che limita l'illuminamento solare allora si applica lo
stesso metodo una volta per tutta la finestra ottenendo SC1 ed una seconda volta per la
parte di finestra oscurata ottenendo SC2. Il valore finale è dato dalla differenza:

SC= SC1 - SC2

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Calcolo della Componente cielo Uniforme

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Calcolo della Componente cielo Internazionale

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Componente di Riflessione Interna - CRI
La componente di riflessione interna,
CRI, è definita, sempre in termini
percentuali, come rapporto
dell'illuminamento prodotto dalle
riflessioni interne della luce diurna su una
superficie e l'illuminamento del cielo
coperto (internazionale o standard).
Essa dipende dai fattori di riflessione del
pavimento, rp, e delle pareti, rw, e dal
rapporto fra superficie vetrata e
superficie del pavimento o anche della
percentuale di superficie vetrata rispetto
a quella del pavimento.
Il metodo BRS fornisce una tabella nella
quale, mediante i suddetti parametri, si
individua CRI (valore minimo).
Nell'ultima riga in basso si ha un fattore
di correzione che deve essere applicato
al valore sopra individuato per ottenere il
valore medio nella stanza.
CRI va sommato alle altre componenti
(SC e CRE) per ottenere il DF.

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Algoritmo di calcolo per il DF
Il calcolo del DF può essere schematizzato nelle seguenti fasi:
DF= SC + CRE + CRI
SC - si calcolano i rapporti B/d ed H/d della semifinestra e, scelto il tipo di cielo (Internazionale o
Standard), si legge nella tabella corrispondente il valore di SC.
CRE - nel caso di presenza di ostruzione esterna si calcola SC sottraendo dal valore per la finestra
intera quello relativo alla ostruzione. Quindi si calcola, sempre con la medesima tabella, il valore di
CRE utilizzando il rapporto B/d e l'angolo a con il quale il punto di verifica P sottende l'ostruzione.
CRI - si utilizza un'apposita tabella nella quale occorre conoscere il fattori di riflessione del pavimento
e delle pareti e il rapporto fra superficie vetrata e quella del pavimento (o anche in valore percentuale).

Calcolo del DF per lucernari


Nel caso di lucernari (illuminamento dall'alto) si trascura CRE e si calcola SC mediante la relazione:
Avetro
SC   u 100
Apavimento
ove u è funzione della pendenza del vetro secondo la tabella:
Angolo inclinazione del lucernario u
30° 0,30
60° 0,20
90° 0,15
Per l'illuminazione dall'alto la CRI si calcola con una nuova tabella nella quale, oltre ai parametri sopra
indicati, entra anche la pendenza della apertura.

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Il Principio della semisfera unitaria
Il principio della sfera unitaria (molto usato Si definisce Luminanza il rapporto:
nelle applicazioni) dice che l'illuminamento 
prodotto da una superficie in un punto P L Acos
con  flusso luminoso, A cos  area apparente
giacente sul piano orizzontale è equivalente ed  l'angolo solido. Risulta anche:
a quello prodotto da un elemento dS giacente I  cos  
sulla sfera di raggio unitario avente centro in E ove l'intensità I è data da I 
R 2

P e che vede con lo stesso angolo solido la
Combinando le due relazioni si ha:
superficie illuminante. Tale illuminamento è
( L  A  cos  )  cos 
proporzionale anche alla proiezione sul piano
orizzontale della superficie dS intercetta sulla E I
A parità di angolo solido si ha
R2
sfera. La dimostrazione è immediata come
I  L  A  cos   L  A'
qui di seguito indicato.
ove A' è la proiezione dell'area A sulla semisfera
 di raggio unitario. Ne segue che l'illuminamento E vale:
L  A ' cos 
E .
R2
Si osserva che A'cos è la proiezione di A' sul piano
orizzontale interno alla semisfera.

Detta A'' questa proiezione è:
L  A ''
E  L  A '' essendo R=1.
R2

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