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INTRODUZIONE 2

GRANDEZZE DOSIMETRICHE 3

DOSE ASSORBITA 4
ENERGIA TRASFERITA E KERMA 5
EQUILIBRIO DI PARTICELLE SECONDARIE CARICHE 7

CALCOLO DELLA DOSE ASSORBITA 10

MISURA DELLA DOSE ASSORBITA 12

METODI CALORIMETRICI 13
TEORIA DELLA CAVITÀ 13
APPLICAZIONE TEORIA DELLA CAVITÀ: CAMERE A IONIZZAZIONE A CAVITÀ PER LA
MISURA DELLA DOSE ASSORBITA 24

1
INTRODUZIONE

Una radiazione ionizzante che attraversa una porzione di materia


interagisce con gli atomi e i nuclei, cedendo parte della sua energia e provocando
quindi una variazione dell’equilibrio atomico e molecolare della materia. Il
termine stesso –ionizzante- indica che la cessione dell’energia della radiazione
avviene attraverso processi di ionizzazione degli elettroni atomici per via diretta
o indiretta; classicamente, infatti, le radiazioni ionizzanti sono suddivise a
seconda che la ionizzazione indotta nel materiale dipenda dall’interazione con le
particelle della radiazione primaria, o per via indiretta, attraverso la formazione
di particelle secondarie che ionizzano i materiali. Le radiazioni indirettamente
ionizzanti sono tipicamente i fotoni (ma anche i neutroni) che essendo particelle
neutre non interagiscono elettricamente con gli elettroni atomici, ma, attraverso
processi stocastici d’interazione (effetto fotoelettrico, Compton, produzione di
coppie), producono particelle secondarie cariche (elettroni e positroni) che
causano la ionizzazione del materiale investito dalla radiazione. Le radiazioni
direttamente ionizzanti sono costituite da fasci di particelle cariche che
interagiscono direttamente con gli elettroni atomici, cedendo la loro energia in
processi di eccitazione e ionizzazione.

Il punto chiave quindi dell’interazione della materia con una radiazione


ionizzante è la cessione di energia da parte di quest’ultima, che si manifesta in
processi di eccitazione e ionizzazione atomica. Nel caso dell’organismo di esseri
viventi, la misura di questa energia è molto importante ai fini di quantificare il
danno biologico che le radiazioni inducono. La dosimetria (scienza di misura
della dose di energia rilasciata dalla radiazione nella materia) si è sviluppata
parallelamente all’incremento dell’uso di radiazioni in molti campi scientifici e
non. Attualmente le radiazioni ionizzanti sono usate per applicazioni
scientifiche, militari, sanitarie, industriali, agroalimentari, e la diffusione nel
mondo del lavoro dell’esposizione a radiazioni ha condotto alla creazione di

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organi di controllo e monitoraggio, al fine di garantire un corretto utilizzo e una
minima esposizione alle radiazioni. La radioprotezione è una scienza
multidisciplinare, il cui scopo è appunto quello di progettare sistemi normativi e
tecnici per garantire la protezione dalle radiazioni ionizzanti. Uno dei punti
principali è quello della limitazione delle dosi, che può essere esplicato solo
attraverso una corretta dosimetria delle radiazioni. Ecco quindi che la dosimetria
non riguarda più solo le teorie scientifiche sull’interazione radiazione-materia,
ma comprende problematiche pratiche che rendono questo studio
particolarmente interessante e importante.

In questo lavoro si cercherà di dare un’idea di quali siano i principali


problemi che coinvolgono la misura della dose, e di quali teorie siano state
introdotte, in particola re la cosiddetta teoria della cavità.

GRANDEZZE DOSIMETRICHE

Come si è accennato, la grandezza fisica che descrive meglio, dal punto di


vista radiobiologico, l’interazione di una radiazione ionizzante con la materia
biologica, è l’energia. Ai fini della comprensione delle relazioni tra radiazione e
danno biologico non sono, infatti, noti i legami tra il numero di ionizzazioni ed
eccitazioni e gli effetti indotti dalla radiazione e si ricorre quindi all’introduzione
dell’energia persa dalla radiazione nella materia. Legate a questa si definiscono
un insieme di grandezze (dette dosimetriche) che descrivono le varie fasi del
processo di trasferimento dell’energia alla materia; le più importanti, ai fini della
comprensione del problema del calcolo della dose, sono ovviamente la dose e il
KERMA, che saranno introdotti nei seguenti paragrafi.

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Dose Assorbita

La dose assorbita è definita come il rapporto tra l’energia dE ceduta dalla


radiazione in un volumetto di massa dm, e dm:

dE
D=
dm

L’unità di misura della dose assorbita è il joule/kg, definito Gray

1Gy = 1J ⋅ 1Kg −1 .

Il termine dE rappresenta la somma delle energie radianti incidenti nel


volume considerato sottratta dell’energia radiante in uscita dal volume con il
contributo positivo di tutte le energie liberate in processi di trasformazione di
nuclei e particelle elementari (variazioni di massa del sistema).

dE = Rin − Rout + ∑ Q

Essendo il processo di interazione un processo stocastico, si considera il


valore medio della quantità dE. Qualora le dimensioni del volume siano molto
piccole e tali che l’energia rilasciata dalla radiazione al suo interno non sia
statisticamente significativa (con notevoli fluttuazioni), si ricorre ad un settore
della dosimetria, la microdosimetria, per la quale sono definite altre grandezze
dosimetriche.

Si deve prestare attenzione alla quantità dE: essa rappresenta l’energia


spesa in ionizzazioni ed eccitazioni da parte delle particelle primarie del campo
di radiazione e dalle particelle secondarie cariche che esse producono. Se tutte le
particelle secondarie prodotte dal campo primario dissipassero la propria
energia all’interno del volume di massa dm considerato, la dose assorbita sarebbe
pari al flusso di energia del campo di radiazione primario. In realtà i secondari
carichi interagiscono con atomi ed elettroni anche fuori del volume, perché la

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distanza percorsa dalle particelle dipende dall’energia cinetica impartita dai
primari. Allo stesso modo, non tutte le particelle secondarie prodotte nel
volumetto dissipano la propria energia all’interno di questo. La dose assorbita
dipende quindi non solo dal flusso primario di radiazione ma anche dalla
distribuzione energetica dei flussi dei secondari e dalla distribuzione di materia
nell’intorno del volumetto.

Si definisce allora un’altra quantità, detta energia trasferita, che tiene


conto dei diversi meccanismi di cessione energetica da parte della radiazione.

Energia trasferita e KERMA

L’energia trasferita è il rapporto tra l’energia ceduta dal campo primario


agli atomi e molecole (energia di eccitazione e ionizzazione) o trasferita dal
campo primario ai secondari carichi (come energia cinetica) in un piccolo volume
e la massa dm del volumetto:

dE E
Et =
dm

In questa definizione non si tiene conto della dissipazione dell’energia


cinetica da parte dei secondari carichi.

La distinzione tra dose e energia trasferita rispecchia quella nel


meccanismo di cessione dell’energia da parte della radiazione: il fascio primario
può interagire direttamente con gli atomi e molecole provocando ionizzazione o
eccitazione e il fascio primario può interagire con gli elettroni atomici o con il
nucleo, causando la produzione di un fascio di particelle cariche secondarie, con
energia cinetica dipendente da quella del fascio primario, fascio secondario che, a
sua volta, provoca ionizzazioni ed eccitazioni degli atomi del materiale. La
percentuale di energia dissipata per eccitazione “diretta” o per produzione di
secondari carichi, dipende dal tipo di radiazione:

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- le particelle cariche pesanti (protoni, deutoni, alfa, ioni,…)
perdono energia soltanto in collisioni con gli atomi del materiale;
si è soliti distinguere le collisioni prossime (in cui si ha
produzione di elettroni per ionizzazione e mai eccitazione, a
causa dell’elevata differenza di energia tra la particella incidente
e l’elettrone atomico) e collisioni distanti (in cui la particella
interagisce con l’intero atomo con fenomeni di eccitazione o
ionizzazione a seconda dell’energia della particella incidente).
L’energia persa all’interno del volume è pari all’energia trasferita
poiché essa tiene conto della produzione delle particelle
secondarie (in questo caso gli elettroni dei processi di
ionizzazione). La relazione per Et è:

Scoll
Et = ∫ ρ
φ dE

S coll
dove è il potere frenante massico e φ è il flusso primario
ρ

- Le particelle cariche leggere (elettroni e positroni) perdono


energia sia per eccitazione e ionizzazione, per collisione con
atomi e elettroni atomici, sia per irraggiamento. Quest’ultimo non
deve essere considerato ai fini del calcolo dell’energia trasferita
perché in questa si fa riferimento solo alle particelle secondarie
cariche. La formula per l’energia trasferita è la stessa di quella
relativa alle particelle pesanti.

- Per i fotoni, la percentuale di energia persa per ionizzazione ed


eccitazione del fascio primario è molto più piccola rispetto a
quella prodotta dai secondari carichi; l’energia trasferita coincide
quindi con la quantità di energia cinetica ceduta dai fotoni alle
particelle cariche secondarie (fotoelettroni, elettroni Compton,

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elettroni e positroni) all’interno del volumetto, diviso la massa
del volume stesso:

dE k
Et = ≡ KERMA
dm

dE k è la somma delle energie cinetiche iniziali di tutte le

particelle cariche prodotte dal fascio primario nel volume di


massa dm.

Il termine KERMA è l’acronimo delle iniziale delle parole Kinetic


Energy Relesead to the Matter .

Essendo dE k la somma delle energie cinetiche, nel KERMA sono

comprese anche le energie che le particelle cariche secondarie


dissipano non solo in collisioni con gli elettroni atomici e con gli
atomi ma anche sottoforma di radiazione di bremhsstrahlung.

Dal punto di vista applicativo, i campi di radiazione indirettamente


ionizzanti sono quelli più importanti e ci si riferirà in particolare a questi, salvo
dove specificamente indicato.

Equilibrio di particelle secondarie cariche

Il KERMA è una quantità molto importante in dosimetria perché,


nonostante in generale non ci siano facili correlazioni con la dose assorbita, in
una condizione specifica esse coincidono. L’energia trasferita, o più
specificatamente il KERMA, dipende solo dal flusso nel punto considerato
mentre alla dose assorbita contribuiscono i contributi delle particelle secondarie
che dissipano la propria energia all’interno del volumetto e che sono prodotte:

1. all’esterno del volume ma dissipano parte della loro energia


all’interno

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2. all’interno del volume e dissipano tutta l’energia all’interno dello
stesso

3. all’interno del volume e dissipano parte dell’energia all’esterno

1
2 3

Figure 1 – Volumetto di misura e schematizzazione dei percorsi dei secondari carichi

Nel caso in cui i contributi delle particelle secondarie di tipo 1. e 3. siano


uguali, la dose assorbita è dovuta esclusivamente alle perdite di energia
avvenute all’interno del volume di misura e, in tal caso, l’energia trasferita
(KERMA) coincide con la dose assorbita:

D = Et

Questa condizione è detta equilibrio dei secondari carichi (o a volte


equilibrio elettronico, con riferimento ai soli elettroni come secondari carichi).

Il verificarsi delle condizioni di equilibrio elettronico dipendono


dall’energia della radiazione incidente e dalle dimensioni del volume
considerato.

- il volume di misura deve essere immerso in una quantità di


materia di dimensioni non inferiori al percorso massimo dei
secondari carichi: in questo modo i secondari carichi prodotti
all’esterno non possono dissipare la propria energia all’interno

- il flusso di energia del campo di radiazione primario non deve


variare apprezzabilmente su distanze dell’ordine del percorso

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massimo dei secondari carichi. Per ragioni di simmetria, la
dissipazione dell’energia in piccoli volumi all’interno del volume
di misura è la stessa.

L’equilibrio elettronico è facilmente verificato per energie di fotoni non


superiori a 3MeV; il percorso dei secondari carichi dipende, infatti, dall’energia
dei primari (l’energia massima è uguale a quella dei fotoni incidenti) e cresce con
l’energia. Per energie di elettroni pari a 100 keV, il percorso massimo è circa 0,12
mm mentre per elettroni da 10 MeV è di circa 50 mm. Ciò significa creare
spessori per l’equilibrio elettronico superiori a 50 mm e mantenere all’interno un
flusso costante; in pratica per fotoni con energia superiore a 3 MeV è molto
difficile trovare le condizioni per l’equilibrio elettronico.

Il verificarsi della condizione di equilibrio elettronico è molto importante


in dosimetria perché permette di calcolare la dose assorbita a partire dalla misura
del KERMA, una quantità più semplice da calcolare. In realtà anche
l’uguaglianza dose-KERMA in condizioni di equilibrio elettronico non è rigorosa.
La figura rappresenta l’andamento della dose e del KERMA in funzione dello
spessore di materia attraversato da un fascio di fotoni incidenti normalmente:

γ
Dose
Senza perdite per
KERMA irraggiamento

eq
KERMA Con perdite per
irraggiamento
Dose

Spessore attraversato
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Figure 2 – Variazione della dose e del KERMA in funzione dello spessore

Il KERMA, che in assenza di attenuazione del fascio rimane costante,


presenta un andamento costantemente decrescente da un valore iniziale
massimo. Ciò dipende dal fatto che l’energia cinetica impartita ai secondari dai
fotoni incidenti è sempre la stessa, ma il numero delle particelle messe in moto
diminuisce a causa dell’attenuazione della materia. La dose invece presenta
all’inizio un andamento crescente (zona di build-up), legata all’aumento della
produzione dei secondari carichi e una zona decrescente dovuta all’effetto
dell’attenuazione della materia. A rigore, l’equilibrio elettronico si verifica nel
solo punto d’intersezione delle due curve, ma anche per spessori superiori il
KERMA e la dose si mantengono proporzionali. Se le perdite per irraggiamento
dei secondari carichi fossero rilevanti, la dose sarebbe sempre minore del
KERMA perché nel computo della dose non si considerano le perdite per
irraggiamento e non si avrebbe il punto di equilibrio elettronico.

CALCOLO DELLA DOSE ASSORBITA

Dal punto di vista formale il calcolo della dose assorbita in un intorno di


un punto si può ottenere dalla conoscenza del numero di processi di

ionizzazione ed eccitazione per unità di massa e il valore medio dell’energia dε


persa per ciascun processo:

dN
D= dε
dm

Il numero di processi è ricavabile dalla fluenza delle particelle moltiplicata


per la probabilità di interazione per unità di lunghezza (per le particelle cariche
che interagiscono non stocasticamente si può formalmente definire una
probabilità di interazione per unità di percorso). Allora si ha:

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µ(E)
D = ∫φE dε ( E )dE
ρ

dove φ E è la fluenza delle particelle (in funzione dell’energia) e µ (E ) / ρ


rappresenta è il coefficiente massico di attenuazione.

Il calcolo richiede la conoscenza del campo di radiazione, delle sezioni


d’urto dei processi e delle energie spese nelle interazioni.

Nel caso di un flusso di particelle cariche, il calcolo della dose assorbita si


può semplificare considerando il potere frenante massico per collisione e
valutando la quantità di energia cinetica risultante dal processo di ionizzazione
(frazione dell’energia cinetica persa dalla particella interagente che non compare
come energia cinetica della particella dopo l’urto); nell’ipotesi di rallentamento
continuo1, il termine è unitario perché tutta l’energia cinetica ceduta alla materia
si suppone assorbita in quel punto. La dose diventa:

S coll
D = ∫φE dE
ρ

Per quanto concerne un fascio di radiazioni indirettamente ionizzanti, si


devono considerare i flussi di energia delle particelle primarie (Φγ) e il flusso
delle particelle secondarie (elettroni e positroni, φe). Il flusso φe ha una
distribuzione energetica continua, il cui massimo coincide con l’energia dei
fotoni, ma si introdurrà l’ipotesi semplificativa che il fascio di radiazione non
abbia nessuna dipendenza dall’energia.

Il calcolo della dose, come già visto, si può suddividere in due contributi:
il flusso di energia dei fotoni trasferisce energia alle particelle secondarie e la
dissipazione di questa energia da parte dei secondari. Solo in condizioni di

1
Nel modello a rallentamento continuo si suppone che l’energia delle particelle cariche sia ceduta
con un numero molto elevato di processi di interazione elementari, in ognuno dei quali la perdita
di energia è piccolissima. In questo modo l’energia ceduta a ciascun elettrone è così piccola che si
può pensare che tutta l’energia sia trasferita alla particella e assorbita nel medesimo punto. In
pratica si trascura il percorso dei raggi δ

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equilibrio elettronico l’energia trasferita è uguale a quella assorbita nel materiale,
perché il flusso φe dipende anche dal Φγ prodotto in punti lontani. E’ però
possibile descrivere il calcolo della dose conoscendo solo il flusso secondario
anche non in condizioni di equilibrio elettronico: se infatti si è nelle ipotesi di
rallentamento continuo, la dose assorbita in un punto è uguale all’energia
trasferita e si può scrivere

S coll
D = ∫φE dE
ρ

MISURA DELLA DOSE ASSORBITA

Il problema della misura della dose è prima di tutto concettuale: si tratta


infatti di valutare la perdita di energia all’interno di un materiale inserendo uno
strumento di misura nel punto in cui si vuole valutare la dose. La difficoltà è
dovuta al fatto che i materiali sensibili alla dose e con i quali è possibile misurarla
sono diversi dai materiali di interesse dosimetrico, per esempio la dose assorbita
nei tessuti biologici.

Il problema si può risolvere in due modi: da un lato si può studiare


direttamente l’effetto della radiazione sul materiale in studio (per esempio
cellule) e relazionare l’assorbimento di energia all’interno della cellula con una
variazione di una sua grandezza fisica. Questo è quello che accade nei metodi
calorimetrici nei quali si valuta l’innalzamento della temperatura del materiale
irradiato. L’altra tecnica è quella di inserire all’interno del materiale uno
strumento di misura sensibile alla dose (un dosimetro), valutando in quali
condizioni la dose letta corrisponde a quella che avrebbe assorbito il materiale in
assenza del dosimetro.

La descrizione del metodo calorimetrico vuol essere solo un esempio della


misura di una dose assorbita per mezzo di misure di grandezze fisiche che

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dipendono dalla dose; altri esempi sono i processi chimici conseguenti al
passaggio di radiazione come nella formazione dell’immagine latente in una
lastra fotografica o l’ emissione di luce nei dosimetri TLD. Molto spesso la dose è
inoltre ricavata da altre grandezze dosimetriche (come il KERMA e l’esposizione,
che qui non è stata introdotta ma che sostanzialmente coincide con la misura
della ionizzazione in aria), attraverso opportuni fattori di conversione e in
condizioni di equilibrio elettronico. Nel seguito sarà analizzato con maggior
approfondimento la teoria della cavità che rappresenta uno dei metodi principali
per la dosimetria delle radiazioni ionizzanti.

Metodi calorimetrici

L’energia perduta dalla radiazione nel suo passaggio all’interno di un


materiale è dissipata nei processi di eccitazione e ionizzazione seguiti da una
serie complicata di riassestamenti energetici con fenomeni di natura chimica e
chimico-fisica. Il risultato è la produzione di energia termica che, nel caso sia
trascurabile la perdita di energia per dissociazione dei legami chimici, è
direttamente legata all’energia persa dalla radiazione e quindi alla dose
assorbita.

Gli incrementi della temperatura indotti dalla radiazione sono molto


piccoli: la dose di 10-2 Gy provoca un innalzamento pari a 10-6°C e tali variazioni
possono essere rivelate usando termistori (variazioni della resistenza elettrica in
funzione della temperatura).

Questo tipo di misure non è molto utilizzato praticamente; ad esso si


ricorre solo per dosimetria non applicata e nel caso in cui non sia possibile
applicare altre metodologie.

Teoria della cavità

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Per misurare la dose assorbita in un mezzo materiale si dovrebbe praticare
una cavità nel punto di misura, e inserire il materiale dosimetrico al suo interno.
Il materiale può essere un emulsione nucleare, uno scintillatore, un gas,… di cui
si conosca la relazione tra dose assorbita e una qualche proprietà fisica del mezzo
irradiato. Naturalmente se il materiale in cui si vuole calcolare la dose è diverso
dal materiale del dosimetro, l’introduzione di quest’ultimo, in genere,
modificherà la distribuzione energetica e spaziale della radiazione e la dose nel
dosimetro (DG) differirà da quello del materiale in studio (DM). Solo nel caso in
cui i due materiali abbiano la stessa composizione chimica, l’introduzione del
dosimetro non perturberà il campo di radiazione, e la dose misurata coinciderà
con quella che sarebbe stata effettivamente assorbita in assenza del dosimetro. In
realtà la richiesta che i due materiali abbiano la medesima composizione chimica
è eccessiva: è importante che, nell’intervallo di energia della radiazione, i due
mezzi siano equivalenti dal punto di vista dell’interazione con la materia.

In generale per cavità di dimensioni qualsiasi non è possibile determinare


una relazione semplice tra DM e DG e per risalire alla dose DM si deve considerare
un fattore correttivo f

1
DM = DC
f

La determinazione del termine f è lo scopo della cosiddetta teoria della


cavità, introdotta da Bragg e sviluppata da Gray.

Si è soliti suddividere lo studio della teoria della cavità secondo le


dimensioni relative della cavità stessa.

Cavità piccola

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E’ il caso più semplice: è, infatti, anche intuitivo pensare che se le
dimensioni della cavità dove inserire il dosimetro sono piccole, sia anche minore
la perturbazione del campo nell’intorno del punto di misura.

Una cavità piccola soddisfa queste condizioni se :

- le sue dimensioni sono piccole rispetto al percorso dei secondari


carichi2

- le sue dimensioni sono piccole rispetto al libero cammino medio


dei primari

Con queste condizioni è possibile trascurare la perdita di energia del


flusso dei secondari carichi e eventuali processi di interazione all’interno della
cavità dei fotoni. In questo modo il flusso dei secondari carichi, φe , non risulta
modificato con l’introduzione della cavità e alla dose DG contribuiscono solo
particelle secondarie cariche messe in moto all’esterno della cavità (cioè nel
materiale in studio). Nell’ipotesi del rallentamento continuo si ha:

S 
DM = ∫ φ e, M  coll  dE
 ρ M
S 
DG = ∫ φ e, G  coll  dE
 ρ G

Essendo φ e, M ≡ φ e, G si può scrivere che

D M ∫ φ e, M ( S coll / ρ ) M dE
=
DG ∫ φe, M ( S coll / ρ ) G dE
2
La misura del percorso dei secondari carichi si intende effettuata in g / cm 2 ; in questo modo i
fenomeni di interazione della radiazione con materiali diversi di uguale spessore, in g / cm 2 ,
producono approssimativamente lo stesso effetto. Inoltre non si deve tener conto della densità
del materiale

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Dividendo numeratore e denominatore per lo spettro energetico dei
secondari carichi, i termini a secondo membro rappresentano i poteri frenanti
massici mediati sullo spettro di rallentamento delle particelle secondarie.

Ponendo:

∫ φe, M ( S coll / ρ ) M dE ≡ ( S coll / ρ ) M


∫ φe, M dE
∫ φe, M ( S coll / ρ )G dE ≡ ( S coll / ρ ) G
∫ φe, M dE

( S coll / ρ ) M G
≡ SM
( S coll / ρ ) G

Si ha :

1
DM = G
DG
SM

Questa relazione è detta RELAZIONE DI BRAGG-GRAY.

G
La costante S M rappresenta il rapporto tra i poteri frenanti massici nel
materiale e nel mezzo dosimetrico, mediato su tutte le energie dello spettro dei
secondari carichi (essendo il potere frenante massico dipendente dall’energia).

G
Il calcolo di S M è molto complesso, dipendendo dalla fluenza dei
secondari carichi; nel caso più generale in cui le energie degli elettroni messi in
moto dai fotoni siano elevate da causare la formazione di particelle terziarie
(raggi δ), il computo risulta ancora più complicato. In generale non è possibile
G
tabulare dei valori di S M se non in determinate condizioni sperimentali: in

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genere si trascurano i raggi δ e si formula l’ipotesi di rallentamento continuo per
i primari.

Non considerando lo spettro energetico delle particelle secondarie cariche,


i poteri frenanti massici che compaiono nelle formule non sono più valori medi
ma rappresentano i coefficienti di interazione relativi all’energia cinetica dei
secondari (uguale per definizione a quella dei fotoni incidenti: tutta l’energia dei
primari è trasferita ai secondari) e si può scrivere:

DM ( S coll / ρ ) M
= =s
DG ( S coll / ρ ) G

Il punto chiave della teoria della cavità è che essa non deve perturbare il
flusso dei secondari carichi, in modo che l’energia assorbita all’interno della
cavità sia uguale quella assorbita in assenza del dosimetro, trascurando l’energia
assorbita per interazione dei primari. E’ chiaro che le dimensioni della cavità
rappresentano il limite all’applicabilità della relazione di Bragg-Gray perché, se
le dimensioni superano il percorso medio dei secondari carichi, esse perdono una
frazione non trascurabile di energia all’interno della cavità. Le cavità piccole sono
facilmente ottenibili con mezzi gassosi, nei quali il percorso degli elettroni
secondari è dell’ordine di qualche cm (in aria a pressione atmosferica e per
energie dell’ordine del centinaio di keV). All’aumentare dell’energia, cresce il
percorso medio degli elettroni e di conseguenza diminuiscono le possibilità di
creare una cavità piccola. Una cavità può essere resa più piccola rispetto al
percorso dei secondari carichi anche diminuendo la pressione del mezzo
all’interno della cavità.

Le ipotesi citate per la creazione di una cavità piccola devono essere


verificate insieme alla condizione che il fascio primario non vari
apprezzabilmente nel volume della cavità e che sia valida l’ipotesi di
rallentamento continuo dei fotoni. Quest’ultima ipotesi non è in realtà mai valida
poiché si trascura la produzione di elettroni secondari con energie elevate,

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mentre la condizione di costanza del flusso energetico nel volume della cavità è
facilmente risolta ponendo la cavità non in prossimità della sorgente di
radiazione.

Cavità grande

Qualora le dimensioni della cavità non soddisfino le condizioni per l’uso


della relazione di Bragg-Gray, le interazioni dei fotoni nel materiale devono
essere considerate; se le dimensioni sono molto maggiori del percorso dei
secondari carichi, allora la dose assorbita nella cavità è dovuta principalmente a
perdite di energia delle interazioni all’interno del volume.

In queste condizioni (cavità molto grande), la dose assorbita nella cavità è


determinata dal flusso energetico dei fotoni Φγ e, se il fascio è monoenergetico e
si è in condizioni di equilibrio elettronico, si può scrivere:

µ 
DG =  K  Φγ
 ρ G

dove µ K / ρ è il coefficiente massico di trasferimento di energia e Φ è la

fluenza di energia. µ K / ρ dipende dall’energia e, se non si fosse considerato uno


spettro monoenergetico, si dovrebbe calcolare il valore mediato sullo spettro
energetico dei fotoni primari.

Allo stesso modo, nei punti esterni alla cavità, la dose assorbita è
determinata sempre dal flusso dei fotoni primari:

µ 
DM =  K  Φγ
 ρ M

da cui si ricava:

18
(µ K / ρ )M
DM = DG
(µ K / ρ )G

Il fattore correttivo f è quindi in questo caso il rapporto tra i coefficienti di


trasferimento dell’energia nel materiale e nel mezzo che riempie la cavità.

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Cavità intermedia

Nel caso di una cavità di dimensioni intermedie, in cui il percorso dei


secondari è dello stesso ordine delle dimensioni della cavità, la dose assorbita è
dovuta alle perdite di energia degli elettroni messi in moto sia all’interno della
cavità che all’esterno. In questo caso non è facile delineare una relazione tra le
dosi assorbite nei due mezzi; in generale si può comunque affermare che il
passaggio da una cavità piccola (in cui vale la relazione di Bragg-Gray) e una
grande, è continuo e il fattore correttivo f varia progressivamente.

E’ stata trovata una formula per f che esprime la relazione tra il potere
frenante massico e il coefficiente di trasferimento dell’energia:

G
f = dS M + (1 − d ) µ K GM

dove d è un parametro che tiene conto sia dell’attenuazione degli elettroni


sia del percorso medio nella cavità.

In figura è rappresentato l’andamento3 della densità locale di energia


misurata lungo un diametro della cavità, in un volume più piccolo della cavità,
nel caso di una cavità riempita di aria alla pressione atmosferica immerso in uno
spessore di carbonio.

1) 2) 3)

DG DG

DM DM

3L’andamento nell’intorno delle pareti non può essere schematizzato in modo preciso; si è fatta
una linea continua che unisca i due valori di dose per sola chiarezza.

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Figure 1 – Andamento della dose assorbita in un campo di radiazione uniforme nel caso 1) di
cavità grande, 2) cavità piccola, 3) cavità intermedia

Lontano dalle pareti, l’andamento di DG e DM è dato dalle equazioni


espresse precedentemente; la dose all’interno della cavità è maggiore perchè
essendo riempita d’aria essa presenta un numero atomico efficace maggiore del
carbonio. Chiaramente tali differenze dipendono dallo spettro energetico dei
quanti perché le interazioni nella materia dipendono dall’energia della
radiazione incidente.

In prossimità delle pareti l’andamento della densità locale di energia è


complicato perché la dose assorbita dipende anche dai secondari messi in moto
nelle pareti.

Il confronto tra l’andamento della dose assorbita nel caso di una cavità
piccola e una grande permette di visualizzare un diverso rapporto tra le quantità
DG e DM che si rispecchia nel differente fattore correttivo che s’inserisce nei due
casi: nella cavità grande il rapporto dei coefficienti di trasferimento di energia e
nella cavità piccola i poteri frenanti massici.

Cavità omogenea

Le difficoltà legate al calcolo del fattore correttivo f dipendono dalla


differenza nella composizione chimica del mezzo all’interno della cavità e del
materiale di cui si vuol calcolare la dose assorbita. Se i due materiali sono identici
o almeno sono uguali le loro caratteristiche fisiche che descrivono l’interazione
con la radiazione (i materiali in questo caso si dicono equivalenti), allora f = 1 e le
dosi all’interno e all’esterno della cavità coincidono, per qualsiasi dimensione
della cavità.

Il punto importante è che la condizione di equivalenza dipende


dall’energia della radiazione incidente: i poteri frenanti massici e i coefficienti di

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trasferimento dell’energia hanno una dipendenza dall’energia differente e, se si
vuole utilizzare la teoria della cavità senza limitazione nelle sue dimensioni, si
deve tenere conto di questo diverso comportamento. I materiali quindi devono
essere equivalenti sia nel potere frenante massico sia nel coefficiente µK/ρ.

Per i materiali leggeri (l’acqua, l’aria, materiali organici come il muscolo, il


grasso) e per energie non relativistiche i coefficienti S coll / ρ sono tutti molto

simili; per energie elevate, si deve tenere conto dell’effetto della densità in
materiali che pur essendo della stessa composizione chimica hanno densità
diverse.

Il coefficiente di trasferimento dell’energia dipende dall’energia dei fotoni


e quindi dalla modalità di interazione della materia con la radiazione; in genere
si introduce il numero atomico efficace il cui valore dipende dall’effetto che
predomina nell’attenuazione del fascio. Due materiali si dicono equivalenti in un
certo intervallo di energia quando posseggono lo stesso numero atomico efficace.

Le conclusioni sull’uguaglianza della dose assorbita in una cavità


omogenea possono essere rigorosamente tratte dal teorema di Fano.

Teorema di Fano

Il teorema di Fano afferma che in un mezzo di data composizione chimica


esposto a un flusso uniforme di radiazione primaria, il flusso della radiazione
corpuscolare associata è anche uniforme e indipendente sia dalla densità del
materiale che dalle eventuali variazioni da punto a punto.

Una giustificazione qualitativa può essere data considerando un fascio


uniforme e parallelo di fotoni che investe un mezzo la cui densità sia ρ fino a un
certo spessore e ρ/2 nel restante mezzo (il piano di separazione virtuale sia posto
normalmente alla direzione di propagazione del fascio). Si supponga che il fascio
di radiazione corpuscolare sia messo in moto nella stessa direzione dei quanti, e

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che sia lo stesso il percorso medio. Il dimezzarsi della densità nel percorso
provoca un raddoppiamento della lunghezza del percorso medio degli elettroni
e, allo stesso modo, un dimezzarsi della fluenza (il numero di atomi è
dimezzato). Il flusso di particelle secondarie è quindi lo stesso,
indipendentemente dal valore della densità e la dose assorbita è la medesima nei
dei due spessori (che rappresentano materiali diversi, nel caso dell’applicazione
alla teoria della cavità).

Influenza delle pareti della cavità

La teoria della cavità è un utile strumento teorico per capire come sia
possibile calcolare la dose assorbita nel materiale inserendo un dosimetro nel
punto di misura. Nella pratica essa è ampiamente sfruttata nell’utilizzo della
camera a ionizzazione nella misura delle dosi assorbite da un tessuto biologico o
da qualsiasi altro mezzo di interesse. E’ ragionevole quindi pensare che sia
importante descrivere l’influenza delle pareti della cavità, ossia del materiale che
delimita il mezzo dosimetrico all’interno della cavità stessa. In molti casi infatti il
dosimetro può avere pareti di natura diversa dal mezzo rivelatore ed è quindi
interessante studiare come il materiale delle pareti influisce nella misura della
dose.

Si possono innanzi tutto distinguere due casi secondo che lo spessore delle
pareti sia piccolo spessore (pareti sottili), rispetto alla lunghezza del percorso dei
secondari carichi nel materiale costituente le pareti, o grande (pareti spesse).

Se lo spessore delle pareti è modesto rispetto al percorso della radiazione


corpuscolare associata, la loro presenza non interferisce nella forma dello spettro
energetico dei secondari e la dose nella cavità è principalmente dovuta alle
particelle messe in moto all’esterno delle pareti. Se le cavità è piccola è allora
possibile applicare la relazione di Bragg-Gray senza tener conto delle pareti.

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Più interessante è il caso di una cavità con pareti spesse; in questo caso
infatti la dose assorbita dal mezzo rivelatore all’interno della cavità è dovuta ai
secondari carichi messi in moto nel passaggio della radiazione attraverso le
pareti della cavità. Il tipo di materiale con cui si costruiscono le pareti del
dosimetro determina quindi in che mezzo si misura la dose e costruire dosimetri
a cavità con pareti di materiale equivalente a quello biologico, significa misurare
la dose assorbita nei vari tessuti organici, per esempio. Materiali equivalenti ai
tessuti molli dell’organismo umano sono per esempio alcuni gel che presentano
una composizione di miscele e composti equivalenti; per il tessuto osseo è spesso
usato l’alluminio.

Applicazione teoria della cavità: camere a ionizzazione a cavità per la misura


della dose assorbita

La più ampia applicazione della teoria della cavità è quella che concerne
l’uso di una camera a ionizzazione inserita all’interno di un fantoccio che simula
le condizioni di irradiazione di un corpo reale. Si distinguono camere a pareti
spesse e a pareti sottili il cui uso dipende ovviamente dal materiale di cui si vuol
calcolare la dose e dall’energia della radiazione. Per fotoni di energia elevata le
camere a pareti sottili sono le più indicate perché i secondari carichi messi in
moto nel mezzo circostante possono raggiungere la cavità; per la dose in
materiali differenti da quello del fantoccio, si usano camere a pareti spesse
equivalenti al mezzo in studio.

In una camera a ionizzazione il mezzo rivelatore è un gas, la cui


ionizzazione al passaggio della radiazione corpuscolare può essere relazionata
alla dose assorbita. Quest’ultima è infatti ricavata dalla misura del numero di
coppie di ioni prodotte nel gas e, se si indica con JG il numero di coppie di ioni
formate per unità di massa del gas,

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∆n G
JG =
∆ mG

allora l’energia media persa dalla radiazione nel volumetto di gas di


massa ∆mG è data dall’energia media per produrre una coppia di ioni nel gas,

wG , moltiplicata la ionizzazione specifica:

∆E G
DG = = wG J G
∆mG

Per la relazione di Bragg-Gray, la dose assorbita nel materiale in cui è


immersa una cavità piccola che assorbe una dose DG, è:

G −1
DM = ( S M ) wG J G

Se il gas contenuto nella camera è equivalente al materiale all’esterno della


cavità, allora il rapporto dei poteri frenanti massici mediato sullo spettro
energetico dei secondari è pari a 1 e si ha:

D M = wG J G

L’energia media per produrre una coppia di ioni è una quantità pressoché
costante ed è pari a circa 33 eV.

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Bibliografia

- U. Amaldi, Fisica delle Radiazioni,

- M. Pelliccioni, Fondamenti fisici della radioprotezione, Pitagora Editrice


Bologna

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