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Racconti del parentado e del paese

QUELL’ANTICA RAGAZZA
Titolo
Il titolo indica la condizione di Argentina: il mondo della campagna è un mondo primitivo, in cui regna
l’assoluta libertà dei costumi per cui ognuno può fare liberamente ciò che vuole senza preoccuparsi delle
conseguenze di ciò che si fa. Ci riporta ad una dimensione barbara e primitiva alla quale Fenoglio aspira: le
forze primitive che governano il mondo, tra cui il sesso, il desiderio fisico, il tradimento sono una presenza
costante e fondamentale.
Incipit
L’incipit non cambia modalità rispetto ai racconti resistenziali: medias res (<<quel giorno Marziano
tornando dal forno vide sull’aia una ragazza mai vista prima>>). Il lettore non riesce a comprendere subito
di cosa si parla. Fenoglio presenta minime località, singole cascine e fa fatica a capire le relazioni tra i
personaggi presenti all’interno della vicenda.
La protagonista è Argentina, nipote del mezzadro, che raduna intorno a sé tutti i lavoratori della zona, tra
cui Marziano, figlio del fattore del mezzadro della cascina del Pavaglione.

 Si collega alla Malora, perché Agostino è il servitore del Pavaglione. È verosimile che lo scrittore
stesse già scrivendo La Malora mentre ancora lavorava a I 23 giorni. Infatti, questo racconto è o:
-un residuo del successivo romanzo La Malora
-primo nucleo dal quale nascerà la vicenda della Malora.
Ci sono quindi degli incroci evidenti tra questo racconto ed il romanzo che uscirà due anni dopo di
Fenoglio.
 Ci sono anche differenze: il mezzadro del Pavaglione viene chiamato Matteo, mentre all’interno
della Malora lo stesso personaggio verrà chiamato Tobia. È difficile dire se Fenoglio abbia cambiato
idea o se per una scelta deliberata abbia preferito cambiare i nomi per evitare la sovrapponibilità
tra i due testi. È più la prima perché spesso cambia i nomi ai personaggi: strategia di carattere
editoriale e stava preparando la strada per l’opera successiva.
Contenuto
L’antica ragazza è Argentina, venuta sulle colline delle Langhe in vacanza per l’estate: <<Si chiamava
Argentina e doveva essere venuta al Nano in licenza>>.

 La “vacanza” viene chiamata “licenza”: forma dialettale. Fenoglio non usa mai il dialetto in maniera
diretta (neppure nella Malora in cui la presenza del dialetto è più significativa). Egli fa dei calchi di
traduzione, cioè inventa in italiano forme ed espressioni che riproducono il dialetto oppure quando
ciò non è possibile “italianizza” forme dialettali (come nel caso di vacanza-licenza). Invece,
nell’incipit di Ettore va al lavoro viene detto <<sulla tavola della cucina c’era una bottiglietta di
linimento>>, in cui il “lenimento” è un alleggerimento di sofferenza. In dialetto è un unguento dato
per curare dolori fisici ( prende una parola italiana esistente e le attribuisce un significato
dialettale).
Era stata mandata al collegio delle Rosine di Torino (<<dove l’aveva fatta ricoverare la pietà del padrone
dopo che i suoi erano morti sotto il carro ribaltato>>) e quanto torna in campagna, in cui l’ambiente è più
“libero”, non ha le coordinate culturali necessarie per muoversi all’interno di quell’ambiente: ha avuto
un’educazione rigida e limitante nei rapporti con l’altro sesso; in campagna, invece, comincia ad avere
rapporti sessuali con tutti i ragazzi della zona liberamente. È addirittura lei stessa ad invitarli a offrirsi a lei:
è definita <<ragazza infernata>> (dialetto), perché è proprio portata a soddisfare le fantasie sessuali dei
ragazzi.
I parenti presso i quali la ragazza è ospite appena vengono a sapere quello che ha combinato la cacciano;
così come le famiglie dei dintorni da un lato sono contenti che i figli possono conoscere l’esperienza del
sesso (<<è stato un buono sfogo per i nostri maschi>>), dall’altro l’abitudine a uno stile di vita erotico
minaccia di mettere in discussione i valori fondanti della società contadina, in particolare il lavoro e il
risparmio (<<hanno preso il vizio>>).
Piacere e lavoro
Il mondo della campagna è un mondo in cui convergono:

 la forza degli istinti


 etica fondata sul sacrificio e lavoro.
Le due forze vengono presentate in contrasto: due tensioni che danno origine a una situazione di precario
equilibrio: Baldino avrebbe la possibilità di godere delle grazie di Argentina ma è timido e non ha il coraggio
di farlo, si tira indietro; dopo si renderà conto che Argentina ha già avuto un sacco di amanti ma quando
capisce questo soffre nel vedere i figli di Matteo che hanno la possibilità di divertirsi quando lui è costretto
al lavoro (<<l’indomani della notte di Marziano ci patii a lavorare come mai prima. Non vedevo l’ora che
tramontasse. È che avevo deciso che quella >>).
Tensione dialettica amore-sesso-lavoro
L’importanza dell’istinto sessuale emerge con evidenza nel finale del racconto: Argentina viene portata via
coperta con uno scialle quasi a nascondere la vergogna della quale si è macchiata e quando la vedova
passava tutti gli uomini alzano la schiena, quindi smettono di lavorare, per guardarla.
Il vento
Collegamento con La Malora: <<Calò finalmente il sole e dopo cena aggirai la casa e andai a sedermi sul
tronco a ridosso del muro che dava sulla terra>>: è ovvio che il muro di una casa dà sulla terra
(=appezzamento di terra coltivata), la parte di dietro che non dà sull’aia. Ciò che vuole intendere è che
l’uomo è continuamente minacciato dal buio (si può notare anche da come tiene la ragazza quando la
porta nel bosco: <<io tenendola stretta per un braccio come se ad ogni momento dovesse scapparmi nel buio
e dal buio ridermi>>), dalla notte. È continuamente colpito dagli elementi della natura: <<Lì aspettai che
annerisse, poi mi alzai e mi mossi quel tanto che bastava per arrivare a vedere una finestra illuminata del
Nano>>. L’immagine del vento, in questo caso “nero”, è un’immagine cara per Fenoglio: suggerisce l’idea
che nel buio della notte il vento colpisce il paesaggio circostante con particolare violenza ma diventa anche
simbolo della condizione dell’uomo sulle colline delle Langhe e più in generale della vita, l’uomo che è
minacciato dal buio, dalla morte e colpito dalla violenza degli elementi della natura.

 Vento nero è uno dei titoli che Fenoglio voleva dare alla Malora.
 La stessa immagine ritorna nel Partigiano Johnny.
L’ACQUA VERDE
Il contadino che si suicida è Eugenio Tarulla, che fu aiutante di Paco nel commercio di bestiame. Nel 1936
scese da Feisoglio ad Alba con l’apparente intenzione di cercavi un lavoro fisso. Ma dopo una settimana si
annegò nel Tanaro.
Tema
È un racconto breve ed ellittico che tratta il tema del suicidio. L’interesse di Fenoglio è concentrato
sull’incontro con la morte: in questo caso la morte è ricercata, cioè è l’uomo che ha scelto di morire. È
l’immagine di una vita segnata dalla sofferenza e dal male, di fronte a questo cede rinunciando a lottare e
scegliendo la morte.

 Altre volte la morte è imminente e subita.


 Il modo di rappresentare la morte si collega Un altro muro.
Incipit
Il lettore non capisce subito cosa sta avvenendo e di chi sta parlando: <<Era venuto al fiume nell’ora di
mezzogiorno, e non c’era nessuno sul fiume>>.
Itinerario di arrivo alla morte
Vi è un contadino che vive ad Alba ed è estremamente attento ai dettagli della natura (da questo dettaglio
si capisce che non è un cittadino). Anche nel momento in cui decide di suicidarsi prima si ferma a guardare
un uccellino, descritto nei minimi dettagli, e si chiede a quale specie ornitologica appartenga, vorrebbe
saperlo e si propone di chiedere a un amico, Vittorio, che si intende di ciò (<<L’aveva preso una incredibile
curiosità di saperne la razza, si disse persino che se fosse tornato in città avrebbe potuto descriverlo al suo
compaesano Vittorio che se ne intendeva e così saperne il nome>>). Si fermò a guardare l’uccellino per
lungo tempo e per tutto il tempo lo osservò con il sorriso.
Anche in questo caso l’uomo, che vorrebbe suicidarsi, vorrebbe dimenticare tutti i legami con la vita:
vorrebbe godersi quegli ultimi momenti concedendosi a dei piaceri che gli sono sempre stati negati. Si
compra due bottigliette di aranciata, anche le sigarette.

 Siamo nell’Italia del dopoguerra, quindi per un poveraccio le due bottiglie rappresentano un piccolo
lusso (anche se per noi è una cosa banale) così come le sigarette.
Prima di suicidarsi vorrebbe concedersi dei lussi che la vita gli ha sempre negato ma persino queste piccole
gioie gli vengono negate: l’aranciata l’aveva finita subito, perché altrimenti sarebbe diventata calda e
disgustosa (anche perché <<lui non credeva che ci avrebbe messo tanto a far la cosa>>); anche le sigarette
diventano spiacevoli perché sono troppo dolci e addirittura lo fanno star male perché è abituato a fumare
le nazionali senza filtro, queste invece gli impastano la bocca e sente un sapore spiacevole e abbandona il
pacchetto senza neanche averlo finito.
La morte
Vi è un uomo che sta per morire ma c’è qualcosa che lo tiene attaccato alla vita (<< era già un pezzo che
stava lì seduto sotto il pioppo.. Perché non l’aveva già fatto?>>): un poveraccio che ha condotto una vita di
privazioni ma che nonostante tutto è curioso di sapere. È proprio il personaggio che va da solo incontro alla
morte: <<ma lui in città non ci tornava. Addio Vittorio>>, perché in città si sentiva fuori posto e senza
identità (infatti, si suicida sulla sponda opposta alla città e continuava ad allontanarsi da essa).
Anche in questo caso, come in Un altro muro, la morte è associata all’eccesso di luce: il protagonista
sceglie di suicidarsi in una giornata di piena estate e rimane accecato dal sole.

 Come all’interno dei racconti di argomento partigiano.


Come in Un altro muro, il protagonista cerca di razionalizzare il proprio gesto: studia nei minimi dettagli
l’aspetto del Tanaro per evitare il rischio di non morire, di arrivare vicinissimo alla morte e non morire;
prova un senso di vertigine (<<si sentiva una vertigine nel cervello>>) e di sbigottimento, che nasce proprio
per quella situazione (<<vide come se la terra scappasse contro corrente>>). Ne studia la lunghezza fino al
tratto finale in cui lui l’avrebbe fatta finita, punto in cui l’acqua variava di colore. <<Le correnti erano
grigioferro e gli specchi d’acqua (una sorta di lago) fonda color verde>>, studiò la corrente più vicina e il
punto in cui l’acqua maggiormente si raccoglieva.

 Quindi guarda la vegetazione e i diversi riflessi colorati dell’acqua. Da questi dettagli si capisce che il
personaggio non è albese ma un contadino che si è trasferito in città. Altro tema: deurbamento,
ossia la gente che lascia le campagne per trasferirsi in città e lavorare per esempio nelle industrie
cittadine (come la Ferrero). Nei racconti degli ultimi anni sarà affrontato questo tema in maniera
diretta e con implicazioni di carattere sociale.
Per far la prova lancia una pietra proprio per vedere il punto in cui cade. L’acqua era calda, ma più in fondo
lo sarebbe stata di meno, e fargli compagnia c’erano delle mosche. Raccoglieva delle pietre portandosele
all’altezza del seno e per il tanto peso non riusciva neanche più a star dritto. <<Arrivò tutto curvo dove più
forte era la corrente che portava all’acqua verde>>.
Pietà
Il personaggio è miserevole ma aperto e disponibile verso gli altri: tema della pietà.

 Tema già incontrato nei racconti partigiani.


Anche nell’ultimo momento della sua vita pensa agli altri: <<Nella tasca il pacchetto delle sigarette..Lo
estrasse e fece per lanciarlo nel fiume. Ma frenò la mano. “È ancora quasi pieno, a qualcuno farà piacere
trovarlo, lo troverà uno di quei disgraziati che vengono qui per legna marcia>>, cioè ha a disposizione un
pacchetto di sigaretta da signori, ed anche se a lui non sono piaciute ci può essere gente a cui potrebbero
piacere. Prima pensa di buttarle ma poi decide di metterle su una pietra in modo che si vedano: cerca di
rendere meno terribile la vita degli altri, dato che per lui è stata tremenda e angosciosa.
Infine, prima di suicidarsi pensa ai suoi genitori: se davvero sono lì in cielo pensa a quanto debbano soffrire
per lui e pronuncia una preghiera per loro: <<Padre e Madre, dove che siete, non so se mi vedete, ma se mi
vedete non copritevi gli occhi. Non è colpa vostra, ve lo dico io, non è colpa vostra! Non è colpa di
nessuno>>. Non è sicuro che ci sia l’aldilà e non è sicuro che dopo essersi suicidato ci sia un paradiso. Il
suicida pensa ai suoi cari e si preoccupa di dire ai suoi genitori, già morti, che non hanno alcuna
responsabilità.
Il male non deriva dalla colpa di qualcuno: è il destino, è la condizione umana in sé ad essere negativa e
ad essere colpita da quel “vento nero”. Quindi, i personaggi di Fenoglio vengono quindi presentati come
innocenti, che non hanno nessuna responsabilità e che non vogliono attribuire la colpa a nessuno. È un
peccato originale ma senza colpa, che deriva da una sorte malvagia che si accanisce contro gli uomini
PIOGGIA E LA SPOSA
La trama è ridotta ai minimi termini ma Fenoglio riesce a far passare in maniera completa la sua visione
della vita.
Impostazione narrativa
Il bambino in vacanza, ospite della zia, viene portato a un pranzo di nozze e viene descritto lo spostamento
sotto la pioggia per raggiungere la casa dove avrà luogo il pranzo di nozze. Il narratore di questa storia è un
narratore adulto che racconta le cose che gli sono capitate quando era bambino: la vicenda è collocata in
maniera precisa dal punto di vista temporale perché è il narratore stesso che dice che quello che sta
raccontando gli è capitato quando aveva appena 7 anni, <<io, un bambino di allora sette anni>> (non ci dice
quanti anni ha quando scrive ma capiamo che è passato un lungo lasso di tempo: <<pioggia e la sposa: non
altro che questo mi risorse dalla memoria il giorno ormai lontano>>); inoltre, la zia, protagonista del
racconto, quando il narratore scrive è già morta.
Fenoglio sottolinea, non esplicitamente ma richiedendo la partecipazione del lettore, un doppio punto di
vista, quello dell’adulto e quello del bambino.

 Molti dei suoi racconti sono costruiti cosi: vicende avvenute nell’età dell’infanzia o della giovinezza
ma narrate quando il narratore è ormai un adulto, che ha vissuto parte della sua vita facendone
esperienza e che riesce a guardare ancora con lo sguardo vergine di un bambino. Questa è la
dimostrazione di come Fenoglio non sia un narratore neorealista perché non racconta le cose in
maniera diretta (come un narratore neorealista), anzi le distanzia doppiamente: l’adulto che guarda
la condizione dell’infanzia e il bambino che deforma gli eventi che vengono raccontati.
In questo modo si assicura di poter dare un giudizio obiettivo, una comprensione profonda delle vicende
raccontate (carattere dell’uomo adulto): l’uomo adulto ha già vissuto una parte della propria vita e sa dare
una valutazione su quello che gli è capitato; invece, lo sguardo vergine del bambino che guarda alla vita
con l’occhio della novità, della sorpresa, stupore (tipica dello sguardo infantile).
Da un lato la ragione, la consapevolezza; dall’altro lo stupore e la deformazione tipica dello sguardo
bambino
Contenuto
<<Fu la peggiore alzata di tutti i secoli della mia infanzia>>: inizio straordinario, apparentemente banale, in
cui vi è contemporaneamente lo sguardo del bambino, che trova insopportabile essere buttato giù dal letto
per andare a fare una cosa che non gli interessa, e la consapevolezza dell’uomo adulto, che si rende conto
che quello che nell’infanzia sembrava di un’infinita durata era in realtà un tempo estremamente breve.

 Iperbole e sottile ironia: mantiene lo stupore e la meraviglia, ma anche ironizza l’ingenuità del
bambino.
 La parola “alzata” è particolare, perché conferisce al carattere dell’infanzia una dimensione mitica e
straordinaria.
<<Non c’è risveglio peggiore di questo per un bambino che non abbia davanti a sé una sua festa o un bel
viaggio promesso>>: il bambino attende una situazione felice, in realtà si trova di fronte ad una situazione
spiacevole (anche se la festa c’è, ma è di nozze e non lo riguarda). Quella mattina la zia non gli lava la faccia
forse perché è inutile, visto che si laverà proprio con la pioggia.
 Passaggio da un bambino che tutto ignora del mondo, ad un’aspettativa di gioia a una delusione.

La delusione è data nel momento in cui il cugino-prete esprime una consapevolezza dolorosa e sofferente
della vita: <<la sua faccia era tale che ancora oggi è la prima cosa che mi viene in mente quando debbo
pensare a nausea maligna>>. Il cugino prova un sentimento di nausea perchè sa già che il mondo è segnato
dal male e sapere che sua madre lo obbligherà ad andare a quel pranzo gli genera nausea. Il bambino la
intuisce perché è esplicita nel suo volto (consapevolezza dell’adulto), ma il bambino neanche è contento
perché vorrebbe fare qualcosa di più divertente.

 La nausea è il sentimento dell’orrore dell’esistere, l’essere intrappolato e limitato in una condizione


di vita che lui non accetta.
La nausea viene qualificata come “maligna”: il cugino è consapevole del male della vita che lo porta a
scontrarsi con tutte le persone che gli stanno intorno, anche con chi è innocente, fa cose sgradevoli sia nei
confronti della madre, che lo sta obbligando a prendere i voti come prete, sia nei confronti del bambino,
che non ha nessuna responsabilità ma lo tratta comunque male.

 Di fronte alla nausea dell’esistere la risposta del cugino è conflittuale nei confronti delle altre
persone: non cerca la pietà, ma sceglie la malignità.
La zia guarda <<ora al cielo ora in terra>>. Come tutte le donne rappresentate da Fenoglio, la zia è una
donna religiosa che guarda al cielo attendendo un segnale che non arriverà mai perché non vi è nessuna
differenza tra cielo e terra: sono entrambi segnati dal male. È un dettaglio inutile dal punto di vista
narrativo ma che istituisce un raccordo tra il cielo e la terra: non c’è nessuna differenza tra quello che
capita in cielo e quello che capita in terra, poiché essi sono uguali.

 Gli elementi che li caratterizzano sono quelli dei racconti cosmogonici: insiste sul cielo, l’acqua, la
terra, aspetti elementari della vita e legati a una dimensione originaria.
<<La pioggia battente mi costringeva a testa in giù e mi prese una vertigine per tutta quell’acqua che mi
passava grassa e pur rapida tra le gambe>>: il bambino scopre il male del mondo e determina in lui un
sentimento di vertigine e sbigottimento. Egli accetta con pazienza ciò che succede, perché l’unica
possibilità che ha è chinare il capo in segno di sopportazione di una volontà a cui non ci si può ribellare
(<<ed io assentii chinando il capo>>).

 È lo stesso sentimento presente in L’acqua verde prima del suicidio.


Il posto in cui si dirigono si chiama Cadilù, che secondo il bambino era un nome barbaro (<<trovai barbaro il
nome di quel posto sconosciuto come così barbari più non ho trovato i nomi d’altri posti barbaramente
chiamati>>): presentata come una casa isolata sulla collina; nella realtà è una fazione che comprende
diverse case e una chiesetta. Tuttavia Cadilù in dialetto significa “casa dei lupi”, nome che si adatta
perfettamente a questo luogo.

 Fenoglio d’estate andava in vacanza a San Benedetto a partire dall’età di 11 anni, esperienza
significativa per i suoi racconti. Conosceva bene quei luoghi e ne deforma i nomi.
Inoltre, Fenoglio farà due incontri significativi: il maestro Cerrato, che diventerà la sua guida per le
Langhe, e Eugenio Corsini, professore di letteratura cristiana antica e poi di letteratura greca.
<<Scoccò il primo fulmine, così immediato e secco che noi tre ristemmo come davanti a un improvviso atto
di guerra>>: a questo punto il temporale scoppia in tutta la sua violenza, non c’è più solo la pioggia ma
interviene anche un fulmine che sembra una dichiarazione di guerra.
 I fulmini sono quelli che Giove lancia sugli uomini per punirli (vedremo che poi Fenoglio citerà
Giove). Quindi sono il segno di un destino di sofferenza che un dio ostile ha determinato nei
confronti della condizione umana.
<<Dal margine del bosco guardando giù alla valle si vedeva Belbo straripare, l’acqua scavalcava la proda
come serpenti l’orlo del loro cesto>>.

 La similitudine del fiume che sembra un serpente sembra richiamare due tradizioni:
-tradizione biblica: il peccato originale, ossia il serpente che nel giardino dell’eden tenta Adamo ed
Eva condannandoli ad un destino di sofferenza e dolore (è ciò che sta scoprendo il bambino: la vita
non è come vorrebbe, ma è costretto a piegare la testa in certe situazioni)
-tradizione greca ed egizia: i serpenti sono l’espressione del caos iniziale, della indifferenziazione
del mondo.
Il bambino è terrorizzato dai fulmini e ha paura (<<finii col tremare senza sosta>>); la zia propone al figlio
una preghiera affinché i fulmini siano allontanati dalla loro testa, quindi allontanare la collera di dio che
minaccia di colpirli. Però, il figlio, non credendo in dio, dice che non serve a nulla; alla fine l’avrà comunque
vinta la zia perché il figlio pronuncerà delle rogazioni. Ma nessuno credeva nel buon effetto di quella
preghiera e alla fine la zia dice che, se il fulmine non li ha presi, è merito di “questo innocente”, ossia il
bambino, perché è convinta che gli innocenti vengano sempre salvati (motivo per cui anche in quel
momento non sono stati colpiti).
Arrivano di fronte la collina di Cadilù e il paesaggio suscita nel bambino il pensiero dell’ostilità della natura:
<<Quelle colline hanno un aspetto ostile anche quando c’è il sole>>, il bambino vede che la casa dove
dovevano andare sembra portare su di sé i segni della violenza della natura, è bassa e annerita dalle
intemperie, il vento minaccia di scoperchiare il tetto della casa: rimanda a una condizione iniziale dominata
dal male.

 Quest’immagine della casa di Cadilù viene recuperata quasi identica nell’ultima opera che Fenoglio
scrive e che intendeva pubblicare ma che non pubblica perché muore. I passaggi migrano da
un’opera all’altra anche quando l’opera è già stata pubblicata, tipico modo di procedere di
Fenoglio.
In questa casa il bambino ha l’infatuazione per una bambina. È un elemento significativo: di fronte alla
drammaticità della vita non ci si può rassegnare. Egli si presenta agli occhi della bambina come un bimbo di
città, vestito appunto da cittadino e completamente fradicio per la pioggia, con un cappellaccio da prete
che gli copre gli occhi. Questo è motivo di ilarità per la bambina e il bambino prova il suo primo senso di
delusione e vergogna nei confronti dei rapporti sociali.

 Solo in questo momento la scena viene guardata dal punto di vista della bambina.
 Tema della vergogna: presente anche in Quell’antica ragazza e nella Malora. La vergogna non è
una conseguenza della colpa: il bambino non ha fatto nulla di male, ma come nella filosofia di
Sartre deriva dal fatto che il bambino è condizionato dal mondo esterno. L’individuo è quindi
ridotto ad oggetto: vuole essere soggetto libero, ma è imprigionato nei meccanismi del mondo e
ridotto ad oggetto, bloccato in una situazione che non sente propria; non è come lui vorrebbe
essere. L’unica possibilità dell’uomo è affidarsi a Dio per capire ciò che è bene e ciò che è male.
La pioggia
La zia guarda in alto per capire se il temporale sta per finire e perché cerca di captare un segnale dal cielo.
La pioggia porta con sé una duplice simbologia:

 il dissolvimento (=morte)
 forza necessaria (=fa crescere la vita, perchè senza acqua non cresce nulla).
Fenoglio sembra far prevalere il primo aspetto, in realtà è presente anche l’altro aspetto ossia uno
sciogliersi necessario per portare avanti la vita.
La pioggia è intimamente collegata con la sposa, nonostante quest’ultima appaia pochissimo nel racconto,
non dice una parola e non viene neppure rappresentata. La sposa sembra non contare nulla, in opposizione
alla pioggia che invece è sempre presente.
Il viaggio
Il racconto è incentrato sul viaggio: una minima camminata diventa degna di essere paragonata a un
viaggio. Vi sono forme ed espressioni di carattere superlativo, ne fa un uso quasi ossessivo (passa
inosservato se non si è attenti), che sottolineano l’eccezionalità della situazione rappresentata: una
passeggiata diventa una situazione memorabile e un temporale estivo diventa il diluvio universale.

 Dilatazione iperbolica trasformata in senso mitico in un’odissea.


Figure tipiche
La zia è una tipica donna fenogliana: donna volitiva, religiosa, apparentemente debole ma dotata di una
energia capace di controllare tutti quelli che stanno attorno a lei (non solo il narratore-bambino anche le
persone adulte, come il cugino che si è fatto prete obbedendo alla volontà della madre anche se non era
credente). È come se la zia fosse una sorta di Dio la cui volontà non può essere violata (infatti, quando parla
la zia viene utilizzato l’imperativo). <<Io debbo ancora incontrare nel mondo il suo eguale in fatto di forza
d’imperio e di immutabile coscienza del maggior valore dei propri pensieri e sentimenti a confronto di quelli
altrui>>.
Invece, il cugino fa parte dei vecchi di Fenoglio: senza lavoro, è maligno, non credente.
Sono contrapposte anche qui la figura della madre, donna religiosa e pronta a comandare, e del padre,
uomo mite e incline agli eccessi, con una visione edonistica della vita ed è privo di fede religiosa.
IL GORGO
Il protagonista è un bambino che appartiene a una famiglia perseguitata dalla sventura (come quella di
Agostino). Ha appena 9 anni, non ha esperienza della vita e non ha strumenti di tipo razionale per capire
come vanno le cose del mondo. Eppure capisce lo stesso, nonostante sia <<l’ultimo>>, in quanto la
comprensione del mondo non deriva dalla ragione e dalla riflessione intellettuale, ma è istintivo e si affina
nell’osservazione della vita.
Capitano delle sventure che si accaniscono con sistematicità, che inducono a pensare che ci sia un destino
ostile: il fratello, Eugenio, è via per la guerra in Abissinia (nominata anche in Un giorno di fuoco), di cui non
si ha alcuna notizia; la sorella Penultima si ammala, ma nessuno riesce a capire che malattia abbia. La
madre, donna tipica religiosa, per cercare di sistemare la situazione prega tutte le sere, ma la sorella
continua a stare male (anzi sta sempre peggio).

 Come nella Malora, la figura della vittima è associata ad una dimensione cristologica
(<<lamentandosi sempre come un’agnella>>).
 Il male si accanisce sulle vittime innocenti e il tentativo della preghiera come risposta.
A questo punto il capofamiglia decide di suicidarsi, perché tutto va malissimo, Dio non è con loro. Il padre
non lascia indizi, parla con la solita voce; eppure il bambino intuisce oscuramente che c’è qualcosa che non
va (<<non so come, ma io capii a volo>>).

 Struttura della Malora, ma la differenza è il <<non so come>>: Agostino poco per volta ha imparato
a capire alcune cose, perché l’esperienza gliele ha insegnate; in questo caso, l’ultimo intuisce ma
non sa come, perché non è una comprensione che passa attraverso una vicenda di formazione
(come Agostino, appunto).
Capisce che è inutile mettersi a urlare (<<non diedi l’allarme>>) e coinvolgere tutta la famiglia. Il bambino si
propone di salvare il padre (<<come se sapessi che lo avrei salvato solo se facessi tutto da me>>) e lo inizia a
seguire. La loro casa si trova in alto nella collina e scendono giù a Belbo, movimento di discesa (fino alle
soglie della morte), al quale alla fine segue un movimento di salita (<<tornammo su>>).

 Stessa costruzione spaziale della Malora.


Il padre vuole spedire il bambino a casa (<<mi disse di tornarmene a casa, con una voce rauca ma di scarso
comando>>), ma ostinatamente gli va dietro e non ha nemmeno il coraggio di guardarlo in faccia perché si
vergogna di vederlo come “nudo” (<<non mi sentivo di alzargli gli occhi in faccia, per la vergogna di
vederlo come nudo>>), perché il bambino attraverso il padre ha scoperto il male.

 Come Adamo ed Eva che, dopo aver mangiato il frutto della conoscenza, si sono resi conto di essere
nudi. La scoperta del male porta con sé l’idea della debolezza esistenziale e la vergogna di aver
scoperto che il male è nel mondo. Inoltre, l’acqua del gorgo sembra un serpente, ossia l’immagine
della tentazione di cedere a quel male.
Di fronte all’imminenza della morte il bambino ha un istinto di ribellione e di disperazione (<<allargai il
petto per urlare>> come nella Malora). La presenza del bambino fa sì che il padre non si suicidi e si obblighi
al lavoro. Quindi, trova nel lavoro la forza antitetica che lo salva dall’abbandonare la famiglia. Il padre
sembra ancora ubriaco (il suicidio è l’equivalenza di un’ubriacatura).
 Il gorgo è simbolicamente e concretamente una delle scelte incombenti sul personaggio, già
presente in L’acqua verde e Superino.
La salvezza passa attraverso il recupero della famiglia e si conclude con il ritorno a un ordine più naturale
delle cose. Sintetizza con una grande efficacia la parabola della Malora, con la novità dell’importanza
dell’ultimo e l’incomprensione non razionale della vita.
Inversione dei ruoli
I bambini cresciuti a fianco dei genitori sono fragili in senso psichiatrico, o che attraversano momenti di
grande sofferenza psicologica, vengono costretti a una progressione traumatica che li costringe a prendersi
cura del genitore sofferente, come se ne fossero lo psichiatra o il genitore. Il bambino viene esposto con
brutalità a difficoltà a cui non è pronto per la sua tenera età e viene sottratto alla protezione da parte del
genitore. Infatti, Fenoglio descrive la vicenda sottolineando più volte come tra tutti componenti della
famiglia, il più piccolo dei fratelli sembri l’unico ad aver sufficientemente lungimiranza da intuire che il
padre, dicendo di “voler scendere al Belbo”, in realtà intende dire di buttarsi nell’acqua.
Il padre di solito rappresenta autorità, protezione, guida, resta nel racconto solo un forte vincolo affettivo,
quasi rafforzato nel figlio dalla percezione di un’estrema debolezza e incapacità di far presa sugli eventi.
Appare dapprima rabbioso (<<mostrarmelo come si fa con le bestie feroci>>), poi assorbito (<<le voltò tutte,
ma con una lentezza infinita, come se sognasse>>), infine risolto (<<gli vidi la faccia che aveva tutte le volte
che rincasava da una festa con una sbronza fina>>). Fenoglio usa lo sguardo del bambino per raccontarci di
un climax interiore del padre, che procede dall’avvento suicida, fino al suo discioglimento: climax che
possiamo intuire dalla profonda connessione tra il padre e il figlio.
SUPERINO
È probabile che se Superino faceva parte del progetto del Paese e Fenoglio volesse collegarlo alla storia di
mancato annegamento.
Trama
Superino è un ragazzo di San Benedetto, figlio illegittimo tra il prete del paese e la maestra. Il prete
organizza di tenere nascosta la cosa, la maestra va in congedo, Superino nasce e viene affidato ad un
abitante del paese, Filippo, che non ha figli, è anticlericale. Superino viene a sapere casualmente della cosa
durante una lite, ormai adolescente, nell’osteria di paese e disgustato si suicida buttandosi in un gorgo.
Scelta del nome
Superino è un nome inesistente per chiamare un bambino, ma è stato scelto da Filippo, padre fittizio,
contro l’intenzione del parroco (che avrebbe voluto un nome cristiano). Dunque, il nome riflette il carattere
anticonformista, libertino e polemico nei confronti del cristianesimo del padre; inoltre, è contraddittorio,
che già riflette il destino del ragazzo. Emerge da un lato l’idea di una eccezionalità e grandezza ( super-), e
per metà racconto appare davvero così, dotato sia sul piano intellettuale che sul piano sociale, tratta da
pari a pari gli uomini del paese, tratta le donne in maniera spregiudicata. Appare essere la figura di un
predestinato al successo nell’ambito della lotta per la vita. Però, dall’altro questa idea di superiorità è
contraddetta dal suffisso finale (-ino), che dà una forte limitazione e sembra quasi bambinesco.
Idea di un’eccezionalità che non si realizza in maniera compiuta, ma si traduce in debolezza
Struttura narrativa
La trama, oltre che sul nome del personaggio, si riflette sulla struttura del racconto. Non c’è
consequenzialità dal punto di vista cronologico e compattezza dal punto di vista delle vicende che vengono
raccontate (alla fine della seconda sezione comincia <<l’altro episodio riguarda la vecchia maestra>>:
attacco di una seconda parte del racconto).

 Questo è l’unico caso a non essere costruito come gli racconti, ossia con una struttura compatta e
lineare, come nel Giorno di fuoco e Ma il mio amore è Paco.
Inoltre, è l’unico racconto in cui esiste una qualche forma di suspence: ricerca un effetto sorpresa, infatti il
punto della vicenda (la relazione tra il prete e la maestra, il trucco per nascondere questa relazione) ci
viene raccontato alla fine. Allo stesso tempo non viene sovvertito in maniera totale l’ordine cronologico:
comincia con il bambino che va a San Benedetto a vedere la tomba del suo amico Superino, ma la morte
viene raccontata a metà del racconto.
I genitori
I primi quattro blocchi sono dedicati alle 4 figure: il padre adottivo (Filippo), la madre adottiva (Teresa), il
padre reale (il prete), la madre reale (la maestra). Ai primi due viene dedicato molto meno spazio rispetto
ai secondi due.
La descrizione di Filippo e di Teresa è diretta e oggettiva: prima l’aspetto fisico, poi caratteristiche
psicologiche (stampo ottocentesco). Questa coppia di genitori è tipicamente fenogliana: uomo
spregiudicato, ozioso e vagabondo; la donna era la meno visibile delle donne e non va nemmeno in chiesa
(<<tutti sapevano che faceva le sue devozioni in casa>>). Il lettore è portato a ritenere che Superino sia
figlio di questi due.
 Anche questa è una cosa rara, perché Fenoglio non descrive mai i suoi personaggi, ma li fa
conoscere al lettore attraverso le azioni e gli abiti che indossano.
Nel prete e nella maestra si trovano fusi quei due modelli antitetici che Fenoglio di solito distribuisce tra
personaggi diversi (come Giulia e Paco): il prete è sciatto e trascurato; la maestra, apparentemente devota,
fa strane pratiche religiose al limite del lecito e va a letto con il prete. È come se quei due sangui si fossero
mescolati insieme e l’effetto che ha generato è dirompente perché quando Superino scopre di avere due
genitori così preferisce suicidarsi.
Narratore e Superino
Dopo la prima parte, la famiglia ufficiale, veniamo trasportati all’interno della relazione che si istituisce tra
il narratore, il solito bambino in vacanza a San Benedetto, e Superino. Si istituisce tra loro un legame
profondo, di completamento reciproco e oppositivo. Più o meno hanno la stessa età: il narratore ha 12
anni, Superino ha un anno in più e i capelli rossi del padre (certezza del lettore che Superino sia figlio di
Filippo).
 I capelli rossi assumono un carattere simbolico, perché tradizionalmente caratterizzano il ribelle,
l’anticonformista (ricordiamo Rosso Malpelo).
I due ragazzi sono diversi sia dal punto di vista fisico che dell’indole: Superino è energico e vigoroso,
nell’organismo del paese si trova a suo agio ed è alla pari anche con le persone anziane (forse non lo
maltrattano perché sanno che non si trova nella sua naturale famiglia), è anticlericale; il narratore è il suo
opposto, debole fisicamente e psicologicamente, appare essere destinato alla sconfitta.
 L’impressione è di trovarsi di fronte ad una coppia canonica: vincitore e sconfitto all’interno della
lotta per la vita.
 La narrazione contiene elementi autobiografici, ma per molti aspetti fittizi. Fenoglio era alto,
robusto e con passo deciso; il suo alter ego bambino è debole, destinato già in partenza ad essere
sconfitto (<<in nessun momento della vita sarei stato favorito nella carne>>).
Fin dall’inizio vediamo che c’è un rapporto ambiguo e complesso tra Superino e il prete. Superino è quello
che sparla di più il prete, che è in realtà suo padre: apparentemente un vincitore, invece un vinto.
Destino di Superino
È capitata ai due personaggi un’infinità di cose (iperbole). Fenoglio quando descrive un’esperienza di tipo
psicologico non la descrive mai in maniera diretta, ma attraverso l’oggettivazione (<<potrei raccontare
un’infinità di cose capitate a me e Superino in quella lunghissima estate (doppia, tripla di quelle che vennero
poi>>): gli eventi dell’infanzia sembrano i più lunghi e da anziani subisce un’accelerazione ancora maggiore.
 Dimensione mitica e favolosa.
Tra l’infinità di storie memorabili che il narratore potrebbe narrare riguardo la vacanza sceglie solo due
fatti cruciali per il destino di Superino: <<due fatti che hanno più precisa e diretta connessione con quello
che doveva essere il destino di lui>>.

 Il lettore viene avvertito che deve prestare attenzione a questi due eventi.
I due episodi hanno per protagonisti il prete e la maestra. Insiste sulla relazione di tipo psicologico che
esiste tra Superino, da una parte, e il prete e la maestra, dall’altra  entrambi i rapporti presentano più o
meno le stesse caratteristiche.

 Primo episodio: Superino e il prete


I due ragazzi vanno in giro per i campi di grano (<<stoppie>>), in cui vi sono mucchi di covoni di grano
accatastati (<<biche>>). Questi sembrano <<segni totemici>> che si collega alla dimensione ancestrale e
atavica della vita sulle langhe.

 Insiste sulla dimensione paesana vista come un mondo primitivo.


Il narratore e Superino hanno preso della potassa con l’acqua, infiammabile ed esplosiva, e giocano a fare
le esplosioni lungo la riva del fiume. Il far scoppiare la potassa viene vissuto con un’emozione intensa,
perché ha il gusto del proibito e violento. <<Io già trattenevo il respiro, non tanto per l’attesa dello scoppio
quanto perché quella scena mi dava ogni volta una stranissima idea di autoesecuzione>>, cioè trovarsi a
faccia a faccia con la morte. Lungo la riva vedono l’acqua del gorgo (elemento allusivo al suicidio) è
<<variegata come la pelle dei serpenti>>, <<perfettamente immobile>> (come in Dante) e <<le radici e i rami
sommersi si agitavano come anime del purgatorio>>. Inoltre, Superino ricorda che in quello stesso gorgo si
sono annegati due abitanti di San Benedetto.

 Dimensione di tipo diabolico e suggestione di tipo funebre, in riferimento a quello che verrà
raccontato dopo.
Mentre sono lì arriva il prete che li sorprende.
 Nesso con il Paese (alla fine del primo capitolo) che suscita nel prete un senso di ripugnanza che
viene dilatata all’interno di Superino: <<vestiva la tonaca sbottonata sul corpo nudo e portava, sulla
spalla, un parasole di cotone giallo, in testa una berretta sbiadita dalla polvere di infinite estati e
attraverso la sbottonatura gli si scopriva il petto e fradicio di sudore>>. Evidente segno di una
parentela che ci fa immaginare che Superino facesse parte del Paese.
Il prete li sgrida severamente, in particolare con Superino mostra “affetto” e predilezione, perché ritiene
che il ragazzo sia così intelligente che non si può sprecare riducendosi alla stregua di tutti gli altri ragazzini
del paese (<<non vuoi proprio distinguerti dagli altri? Sei proprio come tutta l’altra marmaglia di langa?>>).
È chiaro il compiacimento del padre.
A questo atteggiamento si accompagna una conflittualità e un’insofferenza evidente che esiste tra i due
personaggi: Superino non sopporta il prete e il prete non sopporta le ribellioni di Superino. Ciò carica la
narrazione di una complessità di tipo psicologico: il figlio ripudiato ed è il padre che lo ha ripudiato 
meccanismi operanti prima della consapevolezza (il prete sa che Superino è suo figlio, Superino non lo sa).

 Secondo episodio: Superino e la maestra


La descrizione della casa della maestra è uno dei pezzi di bravura di Fenoglio: <<la casa emanava un puzzo
di muffa e topi di cui non ho più annusato l’uguale>>. La maestra lo sgrida continuamente, lo chiama
<<testaccia rossa>>, perché chiaramente fa fatica a sopportare questo figlio illecito.
Anche qui inconsciamente c’è qualcosa che agisce in Superino. Ricordiamo che all’inizio del racconto ha
detto il narratore che Superino non si fa insultare da nessuno, mentre di fronte agli insulti della maestra
china la testa e scappa con il secchio (<<Superino, che avevo visto tener testa ai più violenti uomini della
valle, non solo non reagì, ma chinò subito la testa e fuggì col secchio che orribilmente cigolava>>).
 Il secchio nel mondo greco è legato al mondo infernale, come i secchi delle Danaidi. Suggestioni di
morte.
Conclusione della vacanza
Il narratore, poi, si presenta nell’atto di doversi congedare sia da Superino che da San Benedetto, perché
sono finite le vacanze. Si ferma a guardare San Benedetto dalla conca sottostante, Passo della Bossola.
 Nesso con Un giorno di fuoco quando alla sera il narratore provava nostalgia per Alba. Stessa
situazione e stesso luogo (Passo della Bossola), stesse immagini (il fumo che si leva dalle case), la
<<conca>> di San Benedetto.
Però, c’è un rovesciamento dei termini: in Superino casa sua è San Benedetto, Alba è l’esilio. Processo di
acquisizione delle radici: il ragazzo torna ad una dimensione primogenia, vede il mondo delle origini e
trova il senso di appartenenza.

 Ecco perché Alba in tutta produzione di argomento langarolo viene presentata negativamente; nei
racconti partigiani è la Gerusalemme celeste.
 L’immagine del guardare il fumo che si leva dalle case richiama l’atteggiamento di Titiro che deve
lasciare la propria casa (Bucolica I di Virgilio).
La fine di Superino
Il narratore non torna per due anni a San Benedetto. Ci ritorna nel 37’ per la sepoltura del ziastro. La
situazione è di tipo funebre: presenza della nebbia, che dà un senso di oppressione non solo alle persone,
ma anche gli animali che si nascondono quasi a cercare protezione.
Il ragazzino va nell’osteria di Menemio Canonica (cambiamento dei nomi: Placido è il vero nome) e chiede
di Superino. Menemio risponde: <<è a due tombe di distanza dalla fossa in cui abbiamo calato tuo zio>>,
dandogli così la notizia della morte. <<Era un destino scritto>> quello di Superino messo in relazione con la
natura: quando sta per iniziare una partita di pallone elastico si mette a piovere (<<il cielo si annerì e il sole
fu ingoiato>>, <<certe nubi nere come l’anima di Giuda>>) e non si può più giocare. Menemio sottolinea
che su Superino gravava un progetto terribile (all’inizio il ragazzino non capisce perché gli fornisce dettagli
sul tempo atmosferico, infatti dice: <<ma che c’entra tutto questo con la fine di Superino>>). Dato che il
tempo si era fatto brutto, Superino invece di giocare a pallone gioca a carte con il guardiacaccia,
rappresentato con caratteri cattivi (quasi da film americano). I due cominciano a litigare, perchè il
guardiacaccia bara e non vuole ammetterlo (viene accusato di “aver rinnegato”, cioè stanno giocando ad
un gioco in cui è previsto l’obbligo di risposta al seme: se io gioco cuori, il mio avversario deve giocare pure
una carta di cuori; se l’avversario si tiene quella carta per dopo è in vantaggio). Superino gli chiede di
mostrare le carte e il guardiacaccia si rifiuta. E così il guardiacaccia, essendosi preso anche degli insulti, gli
urlò: <<Figlio del prete!>>. È il forestiero quello che rompe l’equilibrio del paese: <<Nessuno si mosse, tutti
annichiliti dall’azione del guardiacaccia che, quasi un forestiero e per una discussione sul gioco, non si era
peritato di sputare quello che essi, compaesani di Superino, si tenevano in gola da più di quindici anni>>.

 È qui che si inserisce la dimensione paesana: in 13 anni nessuno in paese ha mai permesso che
Superino venisse a sapere che fosse un figlio illegittimo: omertà diffusa e protettiva, tutti hanno
voluto evitargli quel trauma. Infatti, Fenoglio usa la parola “forestiero” come a opporre il mondo
chiuso del paese, con i suoi difetti e la profonda umanità, con quello che c’è fuori.
Superino capisce di fronte a quel silenzio che le parole del guardiacaccia non sono una bugia. Allora scappa,
si diresse verso Belbo e caso vuole che quel giorno Filippo era andato via e non può bloccarlo. Gli altri
abitanti sottovalutano la cosa (<<figuriamoci se quel ragazzo va a cercare il gorgo>>). In realtà, si suicida:
<<Superino l’aveva fatto di notte, certo non resistendo alla vergogna di esser figlio del prete e di quella
maestra, per non sopportarsi più addosso quella carne e quel fiato, per castigare a suo modo quella impunita
unione schifosa>>.

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