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il Giornale Mercoled 22 marzo 2006

Cultura 31
IL ROMANZO DI VILLALTA

Si chiama Giordano Tedoldi. Ha scritto un libro minaccioso dominato dal male di vivere
PIER MARIO FASANOTTI

Un bimbo in provetta mette il lettore con le spalle al muro


ALBERTO GARLINI
el vangelo di Matteo, Cristo deve difendersi dalle tre tentazioni del deserto: dopo un digiuno di quaranta giorni e quaranta notti, viene avvicinato dal diavolo che lo sfida a sfamarsi trasformando le pietre in pani, a buttarsi dal pinnacolo del tempio perch gli angeli lo salvino, a prosternarsi di fronte a lui per conquistare tutti i regni del mondo. Dostoevskij nel commentare questo celebre episodio biblico nellaltrettanto celebre episodio del grande inquisitore nei Fratelli Karamazov ebbe a scrivere: Credi tu che tutta la sapienza riunita sulla terra potrebbe immaginare qualcosa di appena somigliante, per potenza e profondit, a quelle tre tentazioni?... Perch in queste tre tentazioni come condensata e profetizzata tutta la storia ulteriore dellumanit e sono indicate le tre forme nelle quali convergeranno poi tutte le insolubili e tradizionali contraddizioni della natura umana nel mondo intero.... Queste insolubili contraddizioni sono facili da estrapolare dallepisodio biblico: sono il messianismo sociale, il dubbio e lorgoglio. Sono il ribaltamento quasi meccanico delle tre virt teologali: fede, speranza e carit. Da duemila anni ci dibattiamo allinterno di quelle tre domande, a volte rifiutiamo la tentazione, a volte vi soggiacciamo. I romanzi, spesso, servono per formulare meglio quella profezia, per incistare lattualit nel solco antico. Ecco che veniamo a Vita della mia vita, ultimo romanzo dello scrittore pordenonese Gian Mario Villalta, pubblicato da poco pi di una settimana

l telefono la sua vocina ti sorprende. E quel suono flebile capovolge quanto hai pensato di uno che ha pubblicato un libro con in copertina un giovane borghese rabbioso con tanto di mazza da baseball, davanti ai fari di unauto sportiva. Si scusa, il signor Giordano Tedoldi, classe 1971: Forse lei non mi sente bene, sono in un luogo pubblico. Fissiamo un appuntamento. Ovviamente ai Parioli. Lui abita l, dietro piazza Santiago. E l inizia il suo libro di racconti disperati Io odio John Updike (Fazi, pagg. 280, euro 13,50). Nella quarta di copertina c una frase minacciosa per chi vuole incontrarlo: Sgarbato e presuntuoso, irritante e spietato, Tedoldi non ha una parola buona per nessuno. Firmato Marco Lodoli. Forse si riferisce ai racconti, non alla persona. Si sa: Lodoli abituato alle periferie violente, ai giovani del nulla, a quelli che non imparano. Ci sediamo sulle seggiole di plastica, proprio in un bar di viale

ANTICANNIBALE Giordano Tedoldi autore di Io odio John Updike (Fazi). Perch questo titolo? Perch uno che scrive parole che piacciono a tutti

Il pariolino disperato che teme la felicit


Parioli e lui dice subito che quel quartiere da fighetti gli piace, anche se stato tanto sputtanato o considerato un posto di morti. Dice di viverci bene, pi che in via Aurelia, dove nato, pi che in centro (zona via del Babbuino). Esile, delicato, un po sospettoso ma senza irritare chi lo vuol conoscere. Non un macho tuttomuscoli con fervori da spaccavetrine, uno che se lo spingi va a terra o ti chiede scusa (forse). Ma proprio lui che di notte va in garage, sale su una Ferrari Maranello grigia e vaga per le strade romane, come si legge nelle prime pagine del suo libro, scritto in prima persona? proprio lui che sventola il dubbio se amare sia sbirciare la strafica che siede con lui in macchina oppure fissare il cruscotto luminoso e ascoltare il rombo del motore? Con automatico puntiglio cronistico gli chiedo se davvero ha la Ferrari. Sorride: di mio fratello, lunico della famiglia col quale ho rapporti. Si occupa di computer, ha fondato una societ, fino a qualche tempo fa lavoravo con lui, poi mi sono stufato, volevo solo leggere e scrivere. Se non usa il bolide canna da fucile, guida la Smart, che per lui uno schifo di macchina, una scatoletta. Dove per non fa salire le ragazzine svuotate danima. La magnifica lotta che lamore non roba da Smart, il contrario dellessere ambizioso: E se non sei ambizioso, rischi di essere felice, e allora tutto finisce. Ecco il pariolino disperato. Che voter Berlusconi, se andr al seggio. Non i fascisti? Sorride sornione e accenna al padre: Era architetto. Mi spiace, dico. Ma lui capisce: No, no, devessere ancora vivo, solo che lho sempre avuto in antipatia e non lo ve-

Ama il quartiere dei fighetti romani e la Ferrari di suo fratello. Ma odia i fascisti, che considera dei burocrati
do da cinque anni. Lui votava Fini. Tra noi cera disistima reciproca. Perch? Aveva uno strano concetto della cultura, la considerava una truffa, un raggiro, una perdita di tempo. Una trappola per ingenui. Insisto sulla famiglia. La mamma, per esempio? Non vado daccordo nemmeno con lei. Per colpa mia. stata una rottura traumatica, ero troppo legato a lei, mi dovevo staccare. Torno

sui fascisti. Tedoldi li considera burocrati. Tempo fa aveva simpatia per Craxi, il malfattore. Finisce di bere il caff: Mai stato fascista, io. Il fascismo un fenomeno vergognoso perch ha avuto una forma ridicola, aveva ambizioni difficili da realizzare. Erano dei cialtroni. Certo, il totalitarismo ha un suo perch... luomo totalmente inadeguato... ci deve essere la nobilt del fine. Poi passa a parlare del suo scrittore preferito, Mishima manco a dirlo. Il Mishima dei kamikaze, quelli che hanno il coraggio della morte... i giapponesi che persero la guerra perch persero il coraggio di morire. Pian piano spiega quel che gli sta sulle scatole: lesaltazione della vita solo in quanto vita, vita come valore massimo, supremo... no, no, io sono per letica del samurai, per il coraggio, per laltruismo che... faccia attenzione... non la solidariet pelosa con cui ci si riempie la bocca. E va avanti, sulla scia di una mia domanda sui kamikaze palestinesi: Eh no, quelli si fan saltare perch vogliono il paradiso con le vergini, pretendono la ricompensa... e poi loro sparano sui civili. I giapponesi invece solo sui militari. Suicidio come valore simbolico. Pare che si stia per infervorare, ma la sua

vocina abbassa il tono, gi piatto, da chiacchierata al bar pariolino: Bisogna recuperare letica militare. Lantimilitarismo della sinistra una gran paccottiglia. E il nazismo? Una catastrofica perversit. Ma qualcosa colse. Il valore dellindividuo. Tiene a dire che qualsiasi forma nostalgica comunque ridicola. Sospira e aggiunge che la democrazia un qualcosa da sopportare. Come diceva Churchill, il regime meno peggiore scartati tutti gli altri. La democrazia il perfetto rifugio degli ipocriti e dei vigliacchi. Ma non indica alternative: tutte gi sperimentate. Basta politica. Tedoldi vive solo, la solitudine se la porta addosso. Racconta delle lunghe ore a leggere e a pensare. Dice che la vita cosa misera. Prende in giro, nei suoi racconti, chi imbocca la scorciatoia dellesaltazione frivola, tipo gli scacchi. Per ammette di amare le tracce di eccezionalit, di gloria. La gloria: Proprio il titolo del romanzo di Giuseppe Berto, uno dei padri della letteratura italiana. I personaggi di Tedoldi sono quelli che non ce la fanno. Disperati? S e no: La disperazione anche la felicit di trovarmi da solo, autentico. In questa condizione mi stac-

co dalla felicit mediocre, arrivo ai punti di rottura. Ha unidea precisa di quel che si deve offrire al lettore: Tutto quello che lo fa andare in crisi, quello che lo disturba e lo sorprende. Come i cosiddetti cannibali, come Aldo Nove e Tommaso Pincio, i sinistrorsi? Le loro prime cose avevano un certo fascino. Poi son diventati di maniera. In letteratura valgono poco, per devo riconoscere che hanno cambiato un modo di intendere la scrittura. Una specie di musica dodecafonica. Sono neoespressionisti. Non mi piace il substrato politico. Come non gli piace Italo Calvino, con quella sua mania di leggerezza, e molti altri, cos poca cosa. E John Updike che sta nel tito-

DUBBIO E ORGOGLIO Lo scrittore Gian Mario Villalta

Gli opposti egoismi di una coppia di fronte alla fecondazione artificiale e le domande a cui non sappiamo dar risposta
da Mondadori (pagg. 216, euro 16,50). La vicenda inizia con un viaggio in macchina, durante la vigilia di un Natale del nostro tempo. Nellabitacolo vi sono un uomo, Gi, e una donna, Marilina. La donna incinta e, proprio mentre la macchina corre sullautostrada che da Trieste porta a Pordenone, le acque si rompono. Luomo accelera per giungere il pi presto possibile allospedale ma un ingorgo, il primo di una serie di intoppi, sviste e smarrimenti, rende quel viaggio pi difficile e lungo di quello che allinizio si sospettava. Un viaggio non voluto, frutto del caso, che permette ai due protagonisti di ricapitolare le loro vite, di riviverle con un sapientissimo montaggio autoriale che porta il lettore per mano attraverso diversi momenti esistenziali. Cos, cominciamo a capire che la situazione non semplice come sembrava, che dietro lapparente naturalit di una gravidanza e di una coppia di insegnanti come tanti, si cela un segreto. Veniamo a sapere che il figlio che Marilina porta in grembo, alla vigilia di Natale, il figlio che probabilmente, visto che la sera incombe, nascer verso la mezzanotte, non il figlio di Gi, diminutivo di Giuseppe, e non nemmeno il figlio di un altro uomo, se per uomo intendiamo una identit precisa: figlio invece di una fecondazione artificiale eterologa. Di un seme donato da qualche ignoto, e segretissimo, donatore. Marilina, prima di conoscere Gi, sulla soglia dei quaranta anni e con la prospettiva di vedere rintoccare per lultima volta il suo orologio biologico, aveva deciso di intraprendere il difficile iter che porta allinseminazione. Esami, dubbi, paure, frustrazioni e una operazione, quasi clandestina, in una clinica della Repubblica Ceca. Gi, che ama Marilina di quellamore tardivo che a volte il regalo pi bello della mezza et, viene a sapere della gravidanza della donna a cose fatte. Non fa in tempo a rallegrarsi della presunta paternit che lei gli spiega tutto. Lui non il padre, o almeno, non il padre biologico. Da questo momento, lidillio dellamore lascia il posto al dramma, o alla vera e proprio tragedia. Due visioni del mondo si scontrano: legoismo maschile e legoismo femminile. Fisicit contro astrazione, matriarcato contro patriarcato, visti proprio nella loro estensione pi incisiva, il possesso legale dei figli. Con due tipi diversi di orgoglio, di dubbio, di messianismo sociale. E anche con due tipi diversi di fede e di speranza. Non di carit, perch di carit in Villalta ce n poca: una virt che tra le sue pagine manca quasi del tutto. Le domande che il libro si pone sono forti: che tipo di societ vogliamo? Che tipo di famiglia vogliamo? Fino a che punto lorgoglio pu travolgerci? Fino a che punto il dubbio pu corrodere la nostra fede e renderci estranei a noi stessi? Fra biologia e cultura, in quale posizione intermedia si situer il nostro bisogno sociale di istituzioni? E come possiamo trovare una mediazione se le due posizioni di partenza, quella maschile e quella femminile, sono cos diverse? Abbiamo di fronte un libro scritto bene, che con sapienza ci introduce in un universo ambiguo, dove non si trovano risposte, ma che ancora una volta mette di fronte a tentazioni secolari. Le spalle contro il muro, siamo costretti a porci le domande che ci costituiscono da sempre e che formano allo stesso tempo la pi recente attualit.

Con i genitori non ha rapporti. Fra gli scrittori apprezza soltanto Mishima e il Berto di La gloria
lo del suo libro? uno che scrive parole, che va bene a tutti. Come Bevilacqua. Lo odio perch piace a mia madre. Il prossimo romanzo, dice, sar un po come Lolita, ma lui non ne lamante, bens il padre. Rapporto intenso e non incestuoso. Il padre, gi. Alla fine spunta fuori, da qualche parte.

PAGINE OTTOCENTESCHE

Un delitto di Stato nella Sicilia in camicia rossa


SILVIO RAMAT
in dallesordio (Associazione indigenti, 1979), Matteo Collura si prometteva narratore di vena saggistica. Pi tardi, e ancora nel recente In Sicilia (2004), i suoi libriditaglio saggisticosarebberoapparsisorretti e confortati da un genuino estro narrativo. Una coessenzialit di registri che non occultai propriiascendenti,da ManzoniaPirandelloaSciascia:alquale ultimoColluraapertamente devoto, come dimostra nellintensa biografia dedicatagli e in un Alfabeto eretico dove, dellautore del Giorno della civetta estrae una serie di vocaboli chiave (in ci imitando lo Sciascia di Alfabeto pirandelliano). Sonomaestriincliniasviluppareilgenerenarrativo come uninchiesta e che, se scelgono a materiadiromanzoeventiarchiviatineisolenni scaffali della Storia, per meglio valutarli e, spesso, per seminare dubbi sullipocrisia delle versioni ufficiali. Isola e continente - cio contenitore - dineguagliata capienza, la Sicilia sollecita da sempre le ricognizioni di Collura, nato sessantanni fa ad Agrigento ma salito presto a Milano a

In Qualcuno ha ucciso il generale di Matteo Collura la storia del comandante dei picciotti Giovanni Corrao
praticarvi con successo il giornalismo. Nella circostanza, il compito chegli si assume la ricostruzionedellesistenzadiuneroegaribaldino, Giovanni Corrao (1822-1863), addirittura un precursore dei Mille, come lo ricorda una lapide, non nella chiesa - che non volle accoglierlo - ma nel chiostro di San Domenico della sua citt, Palermo, che lo aveva affettuosamente soprannominato generale dei picciotti, a sintetizzare il fascino che egli esercitava sui pi giovani. Qualcuno ha ucciso il generale recita il titolo,disentoremrqueziano,delromanzo(Longanesi, pagg. 156, euro 13), dove di relativamente romanzesco c la scenografia delle palermitane catacombe dei Cappuccini: di l viene recuperato, ridotto ormai a mummia, il cadavere di Corrao. Un nipote ne riconosce i resti e si vota alla riabilitazione della memoria di quellavo su cui sceso un oblio iniquo. Ma sbitoalromanzescosottentra lastoria:Collurasi muove bravamente nel triennio1860-63, cuore cronologico della vicenda. Ne deriva un romanzo conciso quanto ricco, problematico, irto di nodi ma deciso nello svolgere la tesi che ad assassinare, nellagosto del 63, quelleroe fedele a Garibaldi (e da Garibaldi quasi temuto per la sua intransigenza) sia stata la mafia, dietro sollecitazione dellAutorit costituita, e nongialtri,oscuri individuicheaCorraocontendevano luso di taluni pozzi dacqua scavati nelle campagne del protagonista. Sospettato senza un motivo della morte dellaltro, e a lui fraterno, precursore dei Mille, Rosolino Pilo; scampato al doloroso episodio dellAspromonte, Corrao nel 1863, con Garibaldi fuori gioco nel suo primo esilio di Caprera, era forse poco pi che un immalinconito ex. Ma i suoi discorsi tuttora da capopopolo,leesortazioniacoronarelincompiutaepo-

pea garibaldina con la conquista di Roma - in Sicilia,terradelnonpiaffidabileCrispi,siscoprivano frattanto consorz ambigui tra Potere emalavita -nonlasciavanotranquillii responsabili della cosa pubblica. Di qui la decisione di eliminare lo scomodo personaggio: un delitto di Stato. Il solito paradigma, dovremmo dire, chiudendo il libro di Collura? Ma la sua dote non risiede solo nella passione della ricerca e nella promozionedellatesirevisionistica.Visono e simpongono parecchie pagine letterariamente felici:penso allescenecorali (louverture col fallito assalto delle masse allUcciardone; la sfilata delle truppe piemontesi, cos diverse da quelle siciliane...), ai bruschi faccia a faccia(CorraoeGaribaldi,CorraoeBixio,Corrao e Crispi...), a frammenti di alta risonanza emotiva, come lincontro delleroe, in Aspromonte,coipastoridirettialsantuariodellaMadonna di Polsi, e poi il riparo che i frati concedono al garibaldino in fuga... Qui sillustra la stoffa del narratore, di un narratore che non sannoia e non annoia i lettori, sicuro com della forza del proprio argomento e del valore dellinchiesta che ce lo attualizza e chiarisce.

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