Cultura 31
IL ROMANZO DI VILLALTA
Si chiama Giordano Tedoldi. Ha scritto un libro minaccioso dominato dal male di vivere
PIER MARIO FASANOTTI
l telefono la sua vocina ti sorprende. E quel suono flebile capovolge quanto hai pensato di uno che ha pubblicato un libro con in copertina un giovane borghese rabbioso con tanto di mazza da baseball, davanti ai fari di unauto sportiva. Si scusa, il signor Giordano Tedoldi, classe 1971: Forse lei non mi sente bene, sono in un luogo pubblico. Fissiamo un appuntamento. Ovviamente ai Parioli. Lui abita l, dietro piazza Santiago. E l inizia il suo libro di racconti disperati Io odio John Updike (Fazi, pagg. 280, euro 13,50). Nella quarta di copertina c una frase minacciosa per chi vuole incontrarlo: Sgarbato e presuntuoso, irritante e spietato, Tedoldi non ha una parola buona per nessuno. Firmato Marco Lodoli. Forse si riferisce ai racconti, non alla persona. Si sa: Lodoli abituato alle periferie violente, ai giovani del nulla, a quelli che non imparano. Ci sediamo sulle seggiole di plastica, proprio in un bar di viale
ANTICANNIBALE Giordano Tedoldi autore di Io odio John Updike (Fazi). Perch questo titolo? Perch uno che scrive parole che piacciono a tutti
Ama il quartiere dei fighetti romani e la Ferrari di suo fratello. Ma odia i fascisti, che considera dei burocrati
do da cinque anni. Lui votava Fini. Tra noi cera disistima reciproca. Perch? Aveva uno strano concetto della cultura, la considerava una truffa, un raggiro, una perdita di tempo. Una trappola per ingenui. Insisto sulla famiglia. La mamma, per esempio? Non vado daccordo nemmeno con lei. Per colpa mia. stata una rottura traumatica, ero troppo legato a lei, mi dovevo staccare. Torno
sui fascisti. Tedoldi li considera burocrati. Tempo fa aveva simpatia per Craxi, il malfattore. Finisce di bere il caff: Mai stato fascista, io. Il fascismo un fenomeno vergognoso perch ha avuto una forma ridicola, aveva ambizioni difficili da realizzare. Erano dei cialtroni. Certo, il totalitarismo ha un suo perch... luomo totalmente inadeguato... ci deve essere la nobilt del fine. Poi passa a parlare del suo scrittore preferito, Mishima manco a dirlo. Il Mishima dei kamikaze, quelli che hanno il coraggio della morte... i giapponesi che persero la guerra perch persero il coraggio di morire. Pian piano spiega quel che gli sta sulle scatole: lesaltazione della vita solo in quanto vita, vita come valore massimo, supremo... no, no, io sono per letica del samurai, per il coraggio, per laltruismo che... faccia attenzione... non la solidariet pelosa con cui ci si riempie la bocca. E va avanti, sulla scia di una mia domanda sui kamikaze palestinesi: Eh no, quelli si fan saltare perch vogliono il paradiso con le vergini, pretendono la ricompensa... e poi loro sparano sui civili. I giapponesi invece solo sui militari. Suicidio come valore simbolico. Pare che si stia per infervorare, ma la sua
vocina abbassa il tono, gi piatto, da chiacchierata al bar pariolino: Bisogna recuperare letica militare. Lantimilitarismo della sinistra una gran paccottiglia. E il nazismo? Una catastrofica perversit. Ma qualcosa colse. Il valore dellindividuo. Tiene a dire che qualsiasi forma nostalgica comunque ridicola. Sospira e aggiunge che la democrazia un qualcosa da sopportare. Come diceva Churchill, il regime meno peggiore scartati tutti gli altri. La democrazia il perfetto rifugio degli ipocriti e dei vigliacchi. Ma non indica alternative: tutte gi sperimentate. Basta politica. Tedoldi vive solo, la solitudine se la porta addosso. Racconta delle lunghe ore a leggere e a pensare. Dice che la vita cosa misera. Prende in giro, nei suoi racconti, chi imbocca la scorciatoia dellesaltazione frivola, tipo gli scacchi. Per ammette di amare le tracce di eccezionalit, di gloria. La gloria: Proprio il titolo del romanzo di Giuseppe Berto, uno dei padri della letteratura italiana. I personaggi di Tedoldi sono quelli che non ce la fanno. Disperati? S e no: La disperazione anche la felicit di trovarmi da solo, autentico. In questa condizione mi stac-
co dalla felicit mediocre, arrivo ai punti di rottura. Ha unidea precisa di quel che si deve offrire al lettore: Tutto quello che lo fa andare in crisi, quello che lo disturba e lo sorprende. Come i cosiddetti cannibali, come Aldo Nove e Tommaso Pincio, i sinistrorsi? Le loro prime cose avevano un certo fascino. Poi son diventati di maniera. In letteratura valgono poco, per devo riconoscere che hanno cambiato un modo di intendere la scrittura. Una specie di musica dodecafonica. Sono neoespressionisti. Non mi piace il substrato politico. Come non gli piace Italo Calvino, con quella sua mania di leggerezza, e molti altri, cos poca cosa. E John Updike che sta nel tito-
Gli opposti egoismi di una coppia di fronte alla fecondazione artificiale e le domande a cui non sappiamo dar risposta
da Mondadori (pagg. 216, euro 16,50). La vicenda inizia con un viaggio in macchina, durante la vigilia di un Natale del nostro tempo. Nellabitacolo vi sono un uomo, Gi, e una donna, Marilina. La donna incinta e, proprio mentre la macchina corre sullautostrada che da Trieste porta a Pordenone, le acque si rompono. Luomo accelera per giungere il pi presto possibile allospedale ma un ingorgo, il primo di una serie di intoppi, sviste e smarrimenti, rende quel viaggio pi difficile e lungo di quello che allinizio si sospettava. Un viaggio non voluto, frutto del caso, che permette ai due protagonisti di ricapitolare le loro vite, di riviverle con un sapientissimo montaggio autoriale che porta il lettore per mano attraverso diversi momenti esistenziali. Cos, cominciamo a capire che la situazione non semplice come sembrava, che dietro lapparente naturalit di una gravidanza e di una coppia di insegnanti come tanti, si cela un segreto. Veniamo a sapere che il figlio che Marilina porta in grembo, alla vigilia di Natale, il figlio che probabilmente, visto che la sera incombe, nascer verso la mezzanotte, non il figlio di Gi, diminutivo di Giuseppe, e non nemmeno il figlio di un altro uomo, se per uomo intendiamo una identit precisa: figlio invece di una fecondazione artificiale eterologa. Di un seme donato da qualche ignoto, e segretissimo, donatore. Marilina, prima di conoscere Gi, sulla soglia dei quaranta anni e con la prospettiva di vedere rintoccare per lultima volta il suo orologio biologico, aveva deciso di intraprendere il difficile iter che porta allinseminazione. Esami, dubbi, paure, frustrazioni e una operazione, quasi clandestina, in una clinica della Repubblica Ceca. Gi, che ama Marilina di quellamore tardivo che a volte il regalo pi bello della mezza et, viene a sapere della gravidanza della donna a cose fatte. Non fa in tempo a rallegrarsi della presunta paternit che lei gli spiega tutto. Lui non il padre, o almeno, non il padre biologico. Da questo momento, lidillio dellamore lascia il posto al dramma, o alla vera e proprio tragedia. Due visioni del mondo si scontrano: legoismo maschile e legoismo femminile. Fisicit contro astrazione, matriarcato contro patriarcato, visti proprio nella loro estensione pi incisiva, il possesso legale dei figli. Con due tipi diversi di orgoglio, di dubbio, di messianismo sociale. E anche con due tipi diversi di fede e di speranza. Non di carit, perch di carit in Villalta ce n poca: una virt che tra le sue pagine manca quasi del tutto. Le domande che il libro si pone sono forti: che tipo di societ vogliamo? Che tipo di famiglia vogliamo? Fino a che punto lorgoglio pu travolgerci? Fino a che punto il dubbio pu corrodere la nostra fede e renderci estranei a noi stessi? Fra biologia e cultura, in quale posizione intermedia si situer il nostro bisogno sociale di istituzioni? E come possiamo trovare una mediazione se le due posizioni di partenza, quella maschile e quella femminile, sono cos diverse? Abbiamo di fronte un libro scritto bene, che con sapienza ci introduce in un universo ambiguo, dove non si trovano risposte, ma che ancora una volta mette di fronte a tentazioni secolari. Le spalle contro il muro, siamo costretti a porci le domande che ci costituiscono da sempre e che formano allo stesso tempo la pi recente attualit.
Con i genitori non ha rapporti. Fra gli scrittori apprezza soltanto Mishima e il Berto di La gloria
lo del suo libro? uno che scrive parole, che va bene a tutti. Come Bevilacqua. Lo odio perch piace a mia madre. Il prossimo romanzo, dice, sar un po come Lolita, ma lui non ne lamante, bens il padre. Rapporto intenso e non incestuoso. Il padre, gi. Alla fine spunta fuori, da qualche parte.
PAGINE OTTOCENTESCHE
In Qualcuno ha ucciso il generale di Matteo Collura la storia del comandante dei picciotti Giovanni Corrao
praticarvi con successo il giornalismo. Nella circostanza, il compito chegli si assume la ricostruzionedellesistenzadiuneroegaribaldino, Giovanni Corrao (1822-1863), addirittura un precursore dei Mille, come lo ricorda una lapide, non nella chiesa - che non volle accoglierlo - ma nel chiostro di San Domenico della sua citt, Palermo, che lo aveva affettuosamente soprannominato generale dei picciotti, a sintetizzare il fascino che egli esercitava sui pi giovani. Qualcuno ha ucciso il generale recita il titolo,disentoremrqueziano,delromanzo(Longanesi, pagg. 156, euro 13), dove di relativamente romanzesco c la scenografia delle palermitane catacombe dei Cappuccini: di l viene recuperato, ridotto ormai a mummia, il cadavere di Corrao. Un nipote ne riconosce i resti e si vota alla riabilitazione della memoria di quellavo su cui sceso un oblio iniquo. Ma sbitoalromanzescosottentra lastoria:Collurasi muove bravamente nel triennio1860-63, cuore cronologico della vicenda. Ne deriva un romanzo conciso quanto ricco, problematico, irto di nodi ma deciso nello svolgere la tesi che ad assassinare, nellagosto del 63, quelleroe fedele a Garibaldi (e da Garibaldi quasi temuto per la sua intransigenza) sia stata la mafia, dietro sollecitazione dellAutorit costituita, e nongialtri,oscuri individuicheaCorraocontendevano luso di taluni pozzi dacqua scavati nelle campagne del protagonista. Sospettato senza un motivo della morte dellaltro, e a lui fraterno, precursore dei Mille, Rosolino Pilo; scampato al doloroso episodio dellAspromonte, Corrao nel 1863, con Garibaldi fuori gioco nel suo primo esilio di Caprera, era forse poco pi che un immalinconito ex. Ma i suoi discorsi tuttora da capopopolo,leesortazioniacoronarelincompiutaepo-
pea garibaldina con la conquista di Roma - in Sicilia,terradelnonpiaffidabileCrispi,siscoprivano frattanto consorz ambigui tra Potere emalavita -nonlasciavanotranquillii responsabili della cosa pubblica. Di qui la decisione di eliminare lo scomodo personaggio: un delitto di Stato. Il solito paradigma, dovremmo dire, chiudendo il libro di Collura? Ma la sua dote non risiede solo nella passione della ricerca e nella promozionedellatesirevisionistica.Visono e simpongono parecchie pagine letterariamente felici:penso allescenecorali (louverture col fallito assalto delle masse allUcciardone; la sfilata delle truppe piemontesi, cos diverse da quelle siciliane...), ai bruschi faccia a faccia(CorraoeGaribaldi,CorraoeBixio,Corrao e Crispi...), a frammenti di alta risonanza emotiva, come lincontro delleroe, in Aspromonte,coipastoridirettialsantuariodellaMadonna di Polsi, e poi il riparo che i frati concedono al garibaldino in fuga... Qui sillustra la stoffa del narratore, di un narratore che non sannoia e non annoia i lettori, sicuro com della forza del proprio argomento e del valore dellinchiesta che ce lo attualizza e chiarisce.