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Scritture di migranti

Emigrazione, immigrazione ed esilio sono stati da sempre fonte di creatività letteraria.


Ogni essere umano, che si sposta o che è costretto a spostarsi da uno spazio, da una storia, da
una società, da una lingua a un’altra, si ricostruisce un contesto sociale per ridare dignità alla
sua esistenza o per attuare il suo progetto di vita. Questa operazione di intensa creatività
esistenziale sfocia a volte nella scrittura. Per il Novecento europeo emigrazione,
immigrazione ed esilio vanno annoverati tra gli impulsi che hanno concorso in modo decisivo
al rinnovamento delle letterature nazionali.
Quando parliamo di migrazione ci riferiamo, quindi, a due tipi di movimento: quello di
emigrazione, cioè di abbandono del paese d'origine e quello di immigrazione, cioè l'ingresso e
l'insediamento, in un paese o in una regione, di persone provenienti da altri paesi o regioni e
la ricostruzione, quindi, del progetto di vita all’interno di uno spazio, di una storia, di una
società e di una lingua diversa da quella di appartenenza.
Sin dalla seconda metà dell’Ottocento e fino alla fine della seconda guerra mondiale, la
vita sociale dell’Europa occidentale è stata segnata da emigrazioni, aggressioni coloniali in
Africa e Asia e da flussi di esuli politici. Nella seconda metà del Novecento, l’Europa stessa è
stata trasformata in terra d’immigrazione da parte degli ex colonizzati e da altri flussi
d’immigrazione, che si presentano come estremamente eterogenei. Nell’arco di questi 150
anni si è verificata un’interazione costante tra flussi migratori e letteratura.

Verga e la partenza di 'Ntoni


Autori come Giovanni Verga e Luigi Pirandello hanno trattato le conflittualità o il progetto di
vita che spinge alla partenza, cioè all’emigrazione. A iniziare è stato Verga facendo vivere al
suo ’Ntoni Malavoglia (1881) i conflitti e i progetti che preparano l’emigrazione. Leggiamo, a
tal proposito, un estratto dal capitolo XI de I Malavoglia, che descrive il momento precedente
alla partenza di 'Ntoni.
I Malavoglia, Cap. XI

Le vicine venivano ad una ad una a salutare compare ’Ntoni, e poi stettero ad


aspettarlo sulla strada per vederlo partire. Egli indugiava col fagotto sulle spalle, e
le scarpe in mano, come all’ultimo momento gli fossero venute meno il cuore e le
gambe tutt’a un tratto. E guardava di qua e di là per stamparsi la casa e il paese,
ogni cosa in mente, e aveva la faccia sconvolta come gli altri. Il nonno prese il suo
bastone per accompagnarlo sino alla città, e la Mena in un cantuccio piangeva
cheta cheta. - Via! diceva ’Ntoni, orsù, via! Vado per tornare alla fin fine! e sono
tornato un’altra volta da soldato. - Poi, dopo ch’ebbe baciata Mena e la Lia, e
salutate le comari, si mosse per andarsene, e Mena gli corse dietro colle braccia
aperte singhiozzando ad alta voce, quasi fuori di sé, e dicendogli: - Ora che dirà la
mamma? ora che dirà la mamma? - Come se la mamma avesse potuto vedere e
parlare. Ma ripeteva quello che le era rimasto più fitto nella mente, quando ’Ntoni
aveva detto un’altra volta di voler andarsene, e aveva vista la mamma piangere
ogni notte, che all’indomani trovava il lenzuolo tutto fradicio, nel rifare il letto.

- Addio, ’Ntoni! gli gridò dietro Alessi facendosi coraggio, come il fratello era già
lontano; e allora la Lia cominciò a strillare. - Così se n’è andato mio padre, disse
infine la Nunziata, la quale era rimasta sulla porta.

’Ntoni si voltò prima di scantonare dalla strada del Nero, cogli occhi lagrimosi
anche lui, e fece un saluto colla mano. Mena allora chiuse l’uscio, e andò a sedersi
in un angolo insieme alla Lia, la quale piangeva a voce alta. - Ora ne manca un
altro della casa! disse lei. E se fossimo nella casa del nespolo parrebbe vuota
come una chiesa.

Come se ne andavano ad uno ad uno tutti quelli che le volevano bene, ella si
sentiva davvero un pesce fuori dell’acqua. E la Nunziata, là presente, colle sue
piccine in collo, tornava a dire: - Così se ne è andato mio padre.

Verga fa stipulare un patto tra ’Ntoni e sua madre, la Longa, per definire i tempi della
partenza di ’Ntoni. Egli potrà andare via, solo dopo la morte della madre, e quindi prima della
chiusura del capitolo XI. Per liberare il figlio dalla sua insofferenza la Longa si infetta di
colera per morire improvvisamente e per permettere al figlio di andare a realizzare il suo
progetto di vita lontano da Trezza. Nel testo proposto 'Ntoni sta per partire: ora che la madre è
morta, può farlo. Il dolore di chi resta è anche il suo: 'Ntoni aveva la faccia sconvolta come gli
altri, mentre guardava per l'ultima volta il suo paese e la sua casa.
Pirandello e la novella "L'altro figlio"
Sarà Pirandello a soffermarsi sul dolore di chi resta, nel suo racconto "L'altro figlio",
pubblicato nel 1905 e compreso nella raccolta "Novelle per un anno" e successivamente
adattato dallo stesso Pirandello a opera teatrale in atto unico nel 1925. La novella è raccontata
dal punto di vista di chi rimane in Sicilia: «tutta la pietà è per chi parte e per chi resta niente»,
spiega Ninfarosa, uno dei personaggi femminili del racconto.
La trama: "L'altro figlio" racconta la storia di Mariagrazia, una povera vecchia che
vive di elemosina nel paesino di Farnia. La donna ha due figli, emigrati in America
quattordici anni prima, che sembrano essersi dimenticati di lei, non essendo mai tornati a casa
e non avendole scritto mai una lettera.  Mariagrazia vive nel loro ricordo e nella speranza di
rivederli e cerca in tutti i modi di mettersi in contatto con loro: ogni volta che qualche abitante
di Farnia sta per emigrare in America, la donna si fa scrivere una lettera dove li prega di
tornare a casa o almeno di mandarle qualche soldo. Per questa sua fissazione nei confronti dei
due figli evidentemente ingrati e senza cuore, Mariagrazia viene schernita dalle vicine di casa
e anche da Ninfarosa, la giovane che invece di scrivere per lei l'ennesima lettera, riporta sul
foglio un mucchio di scarabocchi. Grazie al giovane medico del paese, Mariagrazia scopre la
beffa di Ninfarosa e, disperata, chiede aiuto all'uomo. Interessato alla sua storia, il medico
scopre che la vecchia ha anche un altro figlio, Rocco Trupìa, che le vuole bene e vorrebbe
prendersi cura di lei, ma che è stato sempre rifiutato. Quando il dottore chiede spiegazioni,
Mariagrazia racconta che anni prima, alcuni banditi messi in libertà dopo lo sbarco di
Garibaldi in Sicilia, andavano in giro per i paesi a rapire gli uomini e anche suo marito era
stato preso. Riuscito a fuggire l'uomo era rimasto nascosto per qualche giorno, ma poi aveva
dovuto tornare a lavorare nei campi ed era stato rapito di nuovo. Mariagrazia si era messa alla
ricerca del loro rifugio e li aveva visti giocare a palla con le teste degli uomini che avevano
ammazzato. Tenuta prigioniera per mesi da uno della banda, Mariagrazia era stata violentata
e, rimasta incinta, aveva dato alla luce Rocco che però, somigliante in tutto e per tutto al
padre, non poteva non ricordarle l'orrore che aveva dovuto subire e per questo non era mai
riuscita a considerarlo davvero figlio suo.

Il breve, ma denso testo di Pirandello unisce con maestria il microcosmo della vita
familiare e il macrocosmo della storia italiana postunitaria e dà voce alla storia di una donna
illetterata. Per Pirandello l'emigrazione è causa di una pazzia incurabile, ma anche esperienza
che riconosce la resistenza di fronte alle assurdità della vita. Nell'ultima scena, Mariagrazia,
ancora aggrappata alla sua folle illusione di rimettersi in contatto con i figli, chiede al dottore
di scrivere per conto suo una lettera ai figli emigrati; così la storia finisce in maniera
significativa con l'inizio di una lettera che Mariagrazia comincia ancora una volta a dettare:
«Cari figli…». L'emigrazione appare dunque come conseguenza delle ineguaglianze prodotte
dall'unificazione dell'Italia ed è ritratta come scomparsa e lutto, che non prevede ritorni, ma
lascia solo la consolazione del segno scritto (le lettere).

Ritorni…
L’ultimo risultato dell’interazione tra immigrazione e letteratura è costituito da un
riflusso innovativo a vantaggio della letteratura di appartenenza, che è ovviamente possibile
quando alcuni degli autori migranti decidono di scrivere nella lingua della loro appartenenza
culturale, come nel caso di Giuseppe Ungaretti, che, figlio di emigrati e uomo cosmopolita,
sceglie di scrivere in italiano.

Focus su immigrazione e informazione al giorno d'oggi


È opinione comune che i mass media contribuiscano spesso a diffondere un’immagine
distorta del fenomeno migratorio. A tal proposito è stato analizzato un articolo di giornale
che pare non presentare in maniera adeguata la presenza straniera in Campania: il 14 febbraio
2017, il giornale online L’Occhio di Salerno pubblica un articolo dal titolo Immigrazione in
Campania e a Salerno: gli ultimi dati e le statistiche degli anni scorsi. Il titolo è preceduto
dall’etichetta, sottolineata e scritta in stampato maiuscolo, INCHIESTA e il primo rigo
dell’articolo fornisce un dato quantitativo: «Sono 136.215  gli immigrati sbarcati (o rinvenuti
a terra) sulle coste italiane e presenti nelle strutture temporanee sull’intera penisola.». È
chiaro che il taglio scelto dal giornalista è di tipo documentaristico e, dunque, il lettore è
portato ad assimilare le notizie come oggettive. Eppure la visione del giornale è parziale,
perché, se da un lato fornisce dati numerici documentati, dall’altro non li contestualizza,
contribuendo a una deformazione della realtà: intitolare l’articolo L’immigrazione in
Campania e parlare poi solo di sbarchi, vuol dire far credere al lettore che l’unica forma di
immigrazione sia quella emergenziale. «La Campania, stando sempre a tali dati, è
la terza regione in Italia per numero di migranti: sono 14.402. Di cui 13.049 in strutture
temporanee e 1.353 nella rete Sprar (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e
Rifugiati).»: anche in questo caso non viene specificata a quale categoria di migranti ci si riferisce,
lasciando intendere che il numero di migranti riportato sia quello generale. Il dato fornito è, però,
ancora una volta, tutt’altro che generale: subito dopo si parla di «strutture temporanee e rete SPRAR»,
il che porta, di nuovo, a dedurre erroneamente che l’unico flusso migratorio sia rappresentato dai
richiedenti asilo, rifugiati e destinatari di protezione sussidiaria. Inoltre, il lettore comune non è in
grado di intendere fino in fondo la portata delle cifre, se non può confrontarle tra loro: se il giornale
avesse rapportato ai 14.402 migranti giunti in emergenza in Campania, i 288 mila totali, di cui oltre
198 mila residenti e 90 mila non residenti, sia regolari che irregolari (E. De Filippo - S. Strozza p. 17),
allora la percezione sarebbe stata sicuramente diversa e di certo più vicina a un dato di realtà. C’è da
dire che prima della fine, l’articolo, in effetti, fornisce una tabella che ha la buona volontà di
contestualizzare i dati statistici e precisarli, fornendo i numeri di tutto il territorio italiano,
regione per regione: ancora una volta si parla di totale immigrati presenti sul territorio
regione, purtroppo però, di nuovo, si fa rientrare in questo totale soltanto tre categorie:
immigrati presenti nelle strutture temporanee; immigrati presenti nei centri di prima
accoglienza; posti SPRAR occupati. Questo articolo, autodefinitosi di inchiesta, è l’esempio
di come anche fornendo dati quantitativi, si può realizzare una notizia parziale.

L'articolo può essere visualizzato a questo link: http://www.occhiodisalerno.it/immigrazione-


campania-salerno-gli-ultimi-dati-le-statistiche-degli-anni-scorsi/

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