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Facoltà di Teologia di Lugano

Anno accademico 2021-2022

Summa theologiae III qq. 1-2:


convenienza dell’Incarnazione e unione ipostatica

Seminario:
La Cristologia di san Tommaso d’Aquino nella “Summa theologiae”

Studente Professore
Maciej Grądzki Prof. Dr. Manfred Hauke
Indice

Introduzione ............................................................................................................................. 3
1. Argomento 1 - La convenienza dell’Incarnazione ............................................................ 5
1.1. Articolo 1 - Se era conveniente che Dio si incarnasse ................................................... 5
1.2. Articolo 2 – Se per la redenzione del genere umano fosse necessaria l’incarnazione del
Verbo di Dio ................................................................................................................... 6
1.3. Articolo 3 – Se Dio si sarebbe incarnato anche se l’uomo non avesse peccato............. 8
1.4. Articolo 4 – Se Dio si era incarnato per rimediare più ai peccati attuali che al peccato
originale........................................................................................................................ 10
1.5. Articolo 5 – Se era conveniente che Dio si incarnasse agli inizi del genere umano.... 11
1.6. Articolo 6 – Se l’incarnazione dovrebbe essere differita alla fine del mondo ............. 13
2. Argomento 2 – Il modo dell’unione del Verbo Incarnato .............................................. 15
2.1. Articolo 1 – Se l’unione del Verbo Incarnato sia avvenuta in una sola natura ............ 15
2.2. Articolo 2 – Se nel Verbo Incarnato l’unione sia avvenuta nella persona ................... 17
2.3. Articolo 3 – Se l’unione del Verbo Incarnato sia avvenuta nel supposito o ipostasi... 18
2.4. Articolo 4 – Se la persona di Cristo sia composta ....................................................... 20
2.5. Articolo 5 – Se in Cristo si sia attuata l’unione tra l’anima e il corpo ......................... 21
2.6. Articolo 6 – Se la natura umana sia stata unita al Verbo accidentalmente .................. 22
2.7. Articolo 7 – Se l’unione della natura divina con l’umana sia qualcosa di creato ........ 24
2.8. Articolo 8 – Se l’unione e l’assunzione siano la stessa cosa ....................................... 25
2.9. Articolo 9 – Se l’unione delle due nature sia la massima delle unioni ........................ 26
2.10. Articolo 10 – Se l’unione dell’incarnazione sia avvenuta mediante la grazia ............. 28
2.11. Articolo 11 – Se l’unione dell’incarnazione sia stata meritata .................................... 29
2.12. Articolo 12 – Se la grazia dell’unione sia stata naturale per l’umanità di Cristo ........ 30
Bibliografia ............................................................................................................................. 32

2
Introduzione

San Tommaso dedica 59 questioni al mistero di Gesù Cristo. Tutto il discorso è diviso
in due sezioni: il mistero dell’Incarnazione, nel quale Dio si è fatto uomo per la nostra
salvezza e le azioni e sofferenze del Salvatore1.
Questa presentazione tratta della prima e seconda questione, cioè convenienza
dell’Incarnazione e unione ipostatica.
In coerenza con la filosofia greca, secondo la quale la natura viene prima delle azioni,
prima della vita e della morte e risurrezione di Cristo si pone una domanda
fondamentale: chi è Gesù Cristo per l’intelligenza umana di un credente cristiano?
Bisogna quindi riflettere sulla struttura ontologica del Salvatore, la sua condizione
divina e la sua condizione umana nell’unita della persona.
Il mistero dell’Incarnazione è solo accessibile alla fede, la quale senza dubbio deve
essere articolata in categorie e discorsi razionali. Il discorso deve però procedere dentro
un orizzonte già determinato: rivelazione interpretata dentro la tradizione viva della
Chiesa e confessata con i simboli conciliari2.
Tre osservazioni possono servire per leggere le questioni dedicate a Gesù Cristo. Prima:
Dio tiene l’iniziativa. In questo contesto è molto significativa la prima questione sulla
convenienza dell’Incarnazione. San Tommaso proclama, come già fatto nel suo trattato
sulla Trinità, che il Padre invia il Figlio, cioè Dio, che è carità, viene davanti agli
uomini, si inchina al favore dell’uomo prima che questi lo cerchi. É il movimento
dell’agape, come viene espresso in tutta la rivelazione. Non bisogna dimenticare questa
prospettiva per discernere il posto che occupa nella riflessione cristologica di San
Tommaso l’economia o condotta di Dio manifestata nei suoi interventi storici3.
Secondo: bisogna tenere presente l’integrità umana di Cristo. Anche se San Tommaso
opta per la tradizione alessandrina, non cade nella tentazione di attenuare e volatilizzare
l’umano in favore del divino. La verità e integrità umana del Verbo Incarnato è una tesi
fondamentale di queste questioni. L’Incarnazione significa che Dio si é fatto
pienamente uomo, questa confessione è un articolo centrale della fede cristiana4.

1
Cfr. J. ESPEJA PARDO, Introducción a las cuestiones 1-59 in: Suma de Teología, V, Biblioteca de autores
cristianos, Madrid 1994, 47.
2
Cfr. Ivi, 51.
3
Cfr. Ivi, 51.
4
Cfr. Ivi, 52.
Terzo: dobbiamo tenere presente, che la riflessione di San Tommaso sull’Incarnazione é
una delle più complete riflessioni teologiche su questo tema5. Lo studio di San
Tommaso si muove dentro il credo del Concilio di Calcedonia. Conoscendo bene le
dichiarazioni del concilio e le controversie sorte su questo tema, San Tommaso si situa
con straordinario equilibrio dentro le classiche tendenze delle scuole alessandrina e
antiochena, salvaguardando la verità di ognuna ed evitando le loro posizioni erronee.
Tutta la sua riflessione è determinata per la fede: il Verbo si é fatto uomo per la nostra
salvezza6. É Dio che con amore gratuito, si inchina in favore dell’uomo e l’umanità che
si perfeziona rispondendo liberamente a questo amore, sono due coordinate permanenti,
le quali San Tommaso articola nella sua riflessione teologica7.

5
Cfr. Ivi, 53.
6
Cfr. Ivi, 52.
7
Cfr. Ivi, 53.

4
1. Argomento 1 - La convenienza dell’Incarnazione

1.1.Articolo 1 - Se era conveniente che Dio si incarnasse

Ci sono autori, i quali cominciano le loro esposizioni con la domanda se l’Incarnazione


è affatto possibile. San Tommaso sicuramente giudicherebbe questo modo di procedere
come un segno della mancanza del senso teologico8.
San Tommaso conferma la convenienza dell’incarnazione, seguendo le parole della
lettera di Paolo ai Romani ‘Le perfezioni invisibili di Dio possono essere contemplate
con l’intelletto nelle opere da lui compiute’ (Rm 1,20). È conveniente che le realtà
visibili mostrino quelle divine invisibili. Il mistero dell’incarnazione quindi rivela la
bontà, la sapienza, la giustizia e la potenza di Dio9.
La convenienza dell’incarnazione viene dimostrata nel modo seguente: ad ogni cosa
conviene ciò che è conforme alla sua natura. La natura di Dio è la bontà stessa e
suprema. La bontà per sua natura tende a comunicarsi; di conseguenza a Dio che è la
somma bontà si addice di comunicarsi nel modo più perfetto possibile. Questo avviene
esattamente quando Dio si è fatto uomo in Gesù Cristo10.
La prima obiezione riguarda il cambiamento in Dio. Dio è lo stesso bene in essenza ed è
anche immateriale, per questo può sembrare non conveniente il fatto che Lui si sia unito
alla carne11. Rispondendo a questa obiezione San Tommaso conferma che
l’incarnazione non è accaduta per qualche cambiamento nell’eterno ed infinito stato di
Dio, ma in quanto Lui unì a sé la creatura. È quindi proprio della creatura essere
mutevole. Allo stesso modo, come era conveniente che la creatura, che non esisteva
prima, venisse creata, così era conveniente, che non essendo da prima unita a Dio, più
tardi si unisse a Lui12.
La seconda obiezione riguarda la non convenienza dell’unione delle cose infinitamente
distanti. La carne umana è composta mentre Dio è semplicissimo13. Anche se l’unione
con Dio non si addiceva alla carne umana in forza della sua natura, si addice ciò

8
Cfr. S. RAMIREZ, Introducción a las cuestiones 1 y 2 in: Suma Teológica, XI, Biblioteca de autores
cristianos, Madrid 1960, 21.
9
Cfr. Sum. Theol., III, q. 1, a. 1, s. c.
10
Cfr. Ivi, co.
11
Cfr. Ivi, arg. 1.
12
Cfr. Ivi, ad 1.
13
Cfr. Ivi, arg. 2.

5
nonostante a Dio per l’infinita perfezione della sua bontà; Lui ha unito a sé la carne per
la salvezza dell’uomo14.
Nella terza obiezione viene richiamato il fatto, che fra corpo e spirito purissimo esiste
una differenza così grande come fra peccato e la somma bontà. Dio non potrebbe
assumere il peccato, perciò non potrebbe neanche assumere la carne15. Indubbiamente
Dio non potrebbe assumere il male della colpa, potrebbe però assumere la natura creata,
mutevole, corporea e passibile. Bisogna quindi tener conto della seguente
differenziazione: similmente, come Dio aveva creato gli esseri mutabili, essendo Lui
stesso immutabile in funzione della sua bontà, così le pene furono introdotte dalla
giustizia di Dio per la sua gloria. Le colpe al contrario vengono commesse con
l’abbandono delle norme della sapienza divina e dell’ordine della divina bontà.
Nella quarta obiezione si richiama il fatto, che non si può costringere in termini minimi
chi supera ogni misura, quindi non sarebbe giusto, che nel piccolo corpo di un bimbo si
nasconda colui al quale non basta l’universo. San Tommaso risponde a questa obiezione
con le parole di Sant’Agostino: “La dottrina cristiana non insegna che Dio, calandosi
nella carne umana, ha abbandonato o perduto il governo dell‘universo, oppure lo ha
come ristretto in quel minuscolo corpo: questa è l‘immaginazione di uomini capaci di
pensare solo alle realtà̀ materiali. Ora, Dio è grande non per la mole, ma per la potenza:
quindi la sua grandezza, raccogliendosi nelle piccole cose, non ne sente disagio” 16.

1.2. Articolo 2 – Se per la redenzione del genere umano fosse necessaria


l’incarnazione del Verbo di Dio

Per la salvezza umana era necessario che Dio si incarnasse, perché è necessario per la
salvezza umana, ciò che libera dalla perdizione il genere umano, secondo le parole del
vangelo di Giovanni: ‘Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito,
perché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna’ (Gv 3,16) 17.
San Tommaso spiega, che il mezzo può essere necessario a un certo fine in due modi.
Nel senso che senza di esso non si può ottenere il fine, oppure nel senso che il mezzo
agevola il raggiungimento del fine. L’incarnazione era necessaria per questo secondo

14
Cfr. Ivi, ad 2.
15
Cfr. Ivi, arg. 3.
16
Cfr. Ivi, ad 4.
17
Cfr. Sum. Theol., III, q. 1, a. 2, s. c.

6
senso. A Dio, per la sua onnipotenza, non mancavano altri modi, ma non ce n’era uno
più conveniente per salvare l’uomo.
Tale convenienza si rivela nel crescere dell’uomo a fare il bene. Primo: l’incarnazione
dona più sicurezza alla stessa fede, perché l’uomo crede nelle parole di Dio stesso.
Secondo: la speranza trova nell’incarnazione il suo stimolo più efficace. Terzo:
nell’incarnazione anche la carità trova il suo massimo sostegno. Quarto: con
l’incarnazione Dio stesso si è fatto nostro modello da seguire nelle opere. Quinto: dona
all’uomo la piena partecipazione alla divinità, che è la vera beatitudine dell’uomo, come
scrive Sant’Agostino: ‘Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventasse Dio’.
L’incarnazione era anche necessaria per allontanare l’uomo dal male. Primo: insegna
all’uomo di non soccombere al demonio. Secondo: l’incarnazione aiuta l’uomo ad
accorgersi della dignità della natura umana e così a non macchiarla con il peccato.
Terzo: distoglie l’uomo da ogni presunzione mostrandogli che la grazia, che ha ricevuto
in Cristo, non è preceduta da alcun merito suo. Quarto: l’incarnazione dimostra l’umiltà
di Dio che può guarire la superbia dell’uomo, il più grave impedimento per la sua
adesione a Dio. Quinto: l’incarnazione libera l’uomo dalla schiavitù. Nessun uomo,
anche se fosse puro, poteva soddisfare il debito del peccato per tutto il genere umano;
per di più, Dio non doveva soddisfarlo. Per questo era necessario che Gesù Cristo fosse
perfettamente Dio e uomo.
San Tommaso aggiunge ancora che indubbiamente ci sono altri innumerevoli vantaggi
derivanti dall’incarnazione che però non sono comprensibili alla ragione umana18.
Le seguenti sono obiezioni menzionate nella Somma Teologica. Nella prima obiezione
viene detto che il Verbo Divino, essendo Dio ed assumendo la carne umana, non è
diventato più potente; quindi, anche se ha salvato la natura umana con l’incarnazione, lo
poteva fare anche senza assumere la carne19. Sono stati già menzionati i due tipi di
necessità; questa obiezione si fonda sul primo tipo di necessità, quello cioè di un mezzo
necessario per ottenere l’effetto20.
La seconda obiezione riguarda la soddisfazione. Può sembrare che per la guarigione
della natura umana, sarebbe sufficiente la soddisfazione da parte dell’uomo. Dio non
può dunque esigere più di quanto è possibile per l’uomo; quindi, potrebbe accettare per

18
Cfr. Ivi, co.
19
Cfr. Ivi, arg. 1.
20
Cfr. Ivi, ad 1.

7
soddisfazione per peccato l’atto contrario dell’uomo21. San Tommaso spiega che la
soddisfazione può essere considerata sufficiente in due modi. Primo: è sufficiente la
soddisfazione che compensa la colpa commessa. Nessun uomo sarebbe in grado di
soddisfare in quel modo, perché il peccato ha danneggiato la sua natura e nessun bene
fatto dall’uomo sarebbe sufficiente a soddisfare il danno subito dalla natura. Questo
bene fatto dall’uomo non potrebbe neanche essere una perfetta soddisfazione, perché il
peccato contro Dio acquista una certa infinità a motivo della infinità di Dio. Per la
soddisfazione è sufficiente e quindi indispensabile che l’azione del riparatore abbia
un’efficacia infinita, il che può essere fatto solo dall’uomo-Dio22.
Nella terza obiezione viene detto, che la salvezza dell’uomo dipende dal suo rispetto
verso Dio; questo nasce e cresce negli uomini in seguito alla considerazione della
assoluta trascendenza di Dio e della sua lontananza dai sensi umani. L’incarnazione
avrebbe quindi diminuito il rispetto per Dio23. San Tommaso risponde che il rispetto
verso Dio cresce nella misura in cui Dio viene conosciuto dall’uomo. L’incarnazione fa
conoscere Dio all’uomo e di conseguenza fa crescere il suo rispetto verso Dio24.

1.3.Articolo 3 – Se Dio si sarebbe incarnato anche se l’uomo non avesse peccato

Nel primo momento San Tommaso rispondendo a questa domanda fa sua la risposta di
Sant’Agostino che interpretando il versetto del vangelo di Luca (Lc 19,10) “Il Figlio
dell’Uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”, dichiara che se l’uomo
non avesse peccato, Dio non si sarebbe incarnato25.
In seguito, San Tommaso dice, che ci sono in proposito opinioni diverse e spiega che
poiché si tratta di una realtà che dipende solo dalla volontà divina e quindi supera ciò
che è dovuto alle creature, non può essere comprensibile all’uomo se non attraverso la
Sacra Scrittura. Come dice Tommaso nella Sacra Scrittura come motivo
dell’Incarnazione viene posto il peccato del primo uomo. Perciò è meglio dire, secondo
San Tommaso, che se non ci fosse peccato non ci sarebbe stata l’incarnazione. San

21
Cfr. Ivi, arg. 2.
22
Cfr. Ivi, ad 2.
23
Cfr. Ivi, arg. 3.
24
Cfr. Ivi, ad 3.
25
Cfr. Sum. Theol., III, q. 1, a. 3, s. c.

8
Tommaso riafferma dunque, che la potenza di Dio non è rinchiusa in questi termini e
che Dio si sarebbe potuto incarnare anche se non ci fosse stato il peccato26.
La prima obiezione ricorda che oltre alla liberazione dal peccato ci sono da considerare
molte altre cause; quindi, Dio si sarebbe incarnato anche se l’uomo non avesse
peccato27. San Tommaso risponde, che poiché l’uomo a causa del peccato era caduto al
livello delle realtà materiali, cioè carnali, Dio ha deciso di salvarlo anche attraverso la
realtà materiale, quindi assumendo la carne28.
La seconda obiezione ricorda il fatto che portare al compimento le sue opere e
manifestarsi in qualche effetto infinito appartiene all’onnipotenza divina. Bisogna però
tener presente, che nessuna creatura può causare un effetto infinito, essendo limitata per
sua natura. L’incarnazione sembra essere l’unica opera di Dio nella quale si manifesta
un effetto infinito della sua potenza, perché unisce le due realtà infinitamente distinte tra
di loro, cioè Dio e uomo29. San Tommaso risponde che già il fatto di creare le cose dal
nulla dimostra l’onnipotenza di Dio; inoltre, al compimento dell’universo basta che le
cose siano ordinate naturalmente a Dio come a loro fine30.
La terza obiezione richiama il fatto, che certamente la natura umana non è diventata più
capace di ricevere la grazia dopo la caduta nel peccato. Se quindi poteva ricevere la
grazia dell’incarnazione dopo il peccato, lo poteva anche prima e quindi si poteva
incarnare anche senza il peccato, perché Dio non avrebbe negato alla natura umana un
bene di cui essa era capace31. San Tommaso risponde che nella natura umana si
riscontrano due capacità. La capacità che viene sempre soddisfatta da Dio è quella al
livello della sua potenza naturale; Dio provvede a ciascuna cosa secondo le sue capacità
naturali. Nell’obiezione si parla però della capacità a livello della potenza divina, a cui
ogni creatura obbedisce al primo cenno. «Ora Dio non asseconda sempre tale capacità
della creatura, altrimenti egli non potrebbe fare nelle cose se non ciò che fa, il che è
falso»32. Dio però permette il male per trarne un bene maggiore, nulla quindi impedisce
che la natura umana dopo il peccato sia stata innalzata a un livello superiore33.

26
Cfr. Ivi, co.
27
Cfr. Ivi, arg. 1.
28
Cfr. Ivi, ad 1.
29
Cfr. Ivi, arg. 2.
30
Cfr. Ivi, ad 2.
31
Cfr. Ivi, arg. 3.
32
Sum. Theol., III, q. 1, a. 3, ad 3.
33
Cfr. Ivi, ad 3.

9
La quarta obiezione afferma che la predestinazione divina è eterna e perché di Cristo era
stato detto da San Paolo (Rm 1, 4) che era predestinato quale Figlio di Dio,
l’incarnazione doveva accadere indipendentemente dal peccato dell’uomo, perché lo
esigeva la predestinazione divina34. San Tommaso ricorda che la predestinazione
presuppone la previsione del futuro. Dio quindi prevedendo il peccato predestinò
l’incarnazione come suo rimedio35.
Nella quinta ed ultima obiezione viene detto, che l’incarnazione era stata rivelata al
primo uomo, il quale però non poteva prevedere la sua caduta36. San Tommaso afferma
che nulla impedisce che si riveli un effetto a chi non ha avuto la rivelazione della causa.
Il mistero dell’incarnazione poté dunque essere rivelato al primo uomo senza che lui
fosse consapevole della sua futura caduta37.

1.4.Articolo 4 – Se Dio si era incarnato per rimediare più ai peccati attuali che
al peccato originale

San Tommaso ritiene, che quanto più grande è il peccato, tanto più la sua distruzione ha
motivato la venuta di Cristo. Viene affermato, che in un certo senso il peccato attuale è
più grande del peccato originale essendo più volontario. In altro senso, quello della
estensione, il peccato originale che ha contagiato tutto il genere umano è più grande di
qualsiasi peccato attuale, che è proprio di una persona38. Richiamando quindi la frase
del vangelo di Giovanni «Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del
mondo» (Gv 3,19), San Tommaso ritiene, che Cristo è venuto principalmente a togliere
il peccato originale39.
La prima obiezione ricorda che Dio si è incarnato per la salvezza dell’uomo.
Logicamente il peccato più grande più ostacola la salvezza. Il peccato attuale è più
grave del peccato originale, al quale è annessa una pena minima, secondo le parole di
Sant’Agostino40. San Tommaso risponde, che questa argomentazione si basa sulla

34
Cfr. Ivi, arg. 4.
35
Cfr. Ivi, ad 4.
36
Cfr. Ivi, arg. 5.
37
Cfr. Ivi, ad 5.
38
Cfr. Sum. Theol., III, q. 1, a. 4, co.
39
Cfr. Ivi, s. c.
40
Cfr. Ivi, arg. 1.

10
grandezza intensiva del peccato; bisogna però tenere più conto della grandezza
estensiva, come già è stato spiegato prima41.
Nella seconda obiezione viene detto che Cristo per la soddisfazione dei peccati ha
sofferto la pena dei sensi, ma non la pena del danno, perché non ha mai perso la visione
o la beatitudine divina. Dunque, il peccato originale non merita la pena del senso, ma
solo la pena del danno42. San Tommaso risponde che nella sanzione futura al peccato
originale non è riservata la pena del senso, ma le vanno attribuite le pene sensibili, che
l’uomo soffre in questa vita, come la fame, la sete, la morte etc. Cristo allora per dare
una soddisfazione adeguata per il peccato originale ha voluto soffrire i dolori sensibili,
proprio per distruggere in se stesso la morte e le altre sofferenze43.
La terza obiezione richiama le parole di San Paolo ‘Mi ha amato e ha dato se stesso per
me’ (Gal 2,20). Peccati propri dell’uomo sono quelli attuali, perché il peccato originale
è un peccato comune. L’uomo dovrebbe quindi essere convinto che Cristo è venuto per
redimere i suoi peccati attuali44. San Tommaso risponde, citando Crisostomo, che
l’apostolo Paolo voleva indicare che Cristo si è sacrificato per lui come per tutti. Il
dovere di attribuire a sé i benefici di Cristo non significa dover negare i benefici fatti
agli altri; per questo non si esclude che Cristo è venuto più per distruggere il peccato di
tutta la natura che i peccati personali45.

1.5. Articolo 5 – Se era conveniente che Dio si incarnasse agli inizi del genere
umano

L’incarnazione avendo per scopo la guarigione del genere umano, non era conveniente
all’inizio del genere umano, ancora prima della caduta. Qui vengono citate le
corrispondenti parole di Gesù stesso: ‘Non sono i sani, che hanno bisogno del medico,
ma i malati’ (Mt 9,12).
Non sarebbe neanche conveniente che Dio si fosse incarnato subito dopo la caduta
dell’uomo. L’uomo doveva essere liberato in modo tale che, subendo l’umiliazione,

41
Cfr. Ivi, ad 1.
42
Cfr. Ivi, arg. 2.
43
Cfr. Ivi, ad 2.
44
Cfr. Ivi, arg. 3.
45
Cfr. Ivi, ad 3.

11
avrebbe riconosciuto di aver bisogno del liberatore, per il fatto che il peccato proveniva
dalla superbia.
Inoltre, citando le parole di San Paolo: “Il primo uomo, tratto dalla terra, è di terra, il
secondo uomo viene dal cielo” (1 Cor 15,46) San Tommaso ricorda, che il progresso nel
bene deve essere ordinato, quindi esige di procedere dall’imperfetto al perfetto.
Per di più, la dignità del Verbo Incarnato, il quale viene nella pienezza del tempo (Gal
4,4) per la sua grandezza esigeva di essere preceduto da tanti messaggeri.
L’incarnazione non poteva neanche succedere alla fine dei tempi, affinché il fervore
della fede non si intiepidisse per la lunghezza del tempo di attesa46.
La prima obiezione richiama l’infinito amore di Dio. L’amore non tarda a venire in
soccorso; la causa dell’incarnazione è l’amore, per questo l’incarnazione non dovrebbe
essere rimandata nel tempo47. San Tommaso risponde, che l’amore sceglie il momento
opportuno per il suo intervento. L’incarnazione non è avvenuta all’inizio della storia
dell’uomo, perché l’uomo non la disprezzasse per superbia, non avendo ancora preso
coscienza della propria debolezza48.
La seconda obiezione ritiene che se Cristo fosse venuto nella carne all’inizio della
storia, sarebbero di più i salvati, perché molti nel corso della storia si sarebbero perduti
per l’ignoranza di Dio49. Nella risposta San Tommaso richiama l’insegnamento di
Sant’Agostino, il quale dice, che Cristo per la sua venuta ha scelto il momento in cui
sarebbero vissuti i futuri credenti. Tutto dipende da Dio, il quale sa chi avrebbe creduto
e chi no. Lui stesso soccorre a quelli che vuole secondo il suo sempre giusto giudizio.
L’uomo è dunque sempre tenuto a credere nella divina misericordia e giustizia50.
Nella terza obiezione viene ritenuto, che nel piano della grazia esiste lo stesso ordine
che nel piano della natura. Come la natura parte dalle cose perfette, così anche il piano
della grazia doveva essere perfetto dall’inizio51. San Tommaso risponde che
«l’imperfezione della natura umana è preceduta dall’eterna perfezione di Dio, ma
precede il raggiungimento della perfezione sua propria, che consiste nell’unione con
Lui»52.

46
Cfr. Sum. Theol., III, q. 1, a. 5, co.
47
Cfr. Ivi, arg. 1.
48
Cfr. Ivi, ad 1.
49
Cfr. Ivi, arg. 2.
50
Cfr. Ivi, ad 2.
51
Cfr. Ivi, arg. 3.
52
Sum. Theol., III, q. 1, a. 5, ad 3.

12
1.6. Articolo 6 – Se l’incarnazione dovrebbe essere differita alla fine del mondo

San Tommaso afferma che né l’inizio, né la fine del mondo erano momenti opportuni
per l’incarnazione. In primo luogo, lo dimostra il fatto stesso della unione fra la natura
divina e quella umana. «L’imperfezione precede nel tempo la perfezione in quella realtà
che da imperfetta diviene perfetta; ma nel soggetto che è causa efficiente della
perfezione il perfetto precede cronologicamente l’imperfetto; nell’incarnazione questi
due momenti si incontrano»53. La natura umana ha raggiunto la sua perfezione
nell’incarnazione, perciò quella non doveva accadere all’inizio della storia umana.
D’altra parte, l’incarnazione è il fonte della perfezione dell’uomo, la sua causa
efficiente, quindi non doveva neanche essere rimandata alla fine del mondo.
In secondo luogo, lo dimostra l’effetto dell’incarnazione quindi la salvezza umana.
Cristo è venuto nel momento opportuno, cioè nel momento in cui sapeva, che gli uomini
erano bisognosi di aiuto e che lo avrebbero accolto con gratitudine. Se questo favore
fosse stato rimandato alla fine del mondo, sarebbero spariti dalla terra la conoscenza di
Dio e le opere giuste.
In terzo luogo, il rinvio non sarebbe adatto a dimostrare la potenza di Dio, la quale ha in
questo modo salvato gli uomini in diversi modi: non solo con la fede di quelli che
attendevano la venuta di Cristo, ma anche con la fede nel Cristo presente e Cristo già
venuto54.
La prima obiezione cita il salmo 91, «La mia vecchiaia sarà ricolma di misericordia». Il
tempo dell’incarnazione è il grado massimo della misericordia. Intendendo per
vecchiaia gli ultimi tempi si può dedurre, che l’incarnazione doveva accadere alla fine
del mondo55. Rispondendo a questa obiezione San Tommaso dice, che questa
interpretazione si riferisce alla misericordia che conduce alla gloria. Se si vuole però
riferirla alla misericordia concessa all’uomo con l’incarnazione di Cristo, bisogna
considerare con Sant’Agostino, che il tempo dell’incarnazione può essere uguagliato
alla giovinezza dell’umanità e nello stesso tempo alla sua vecchiaia. Il corpo non può

53
Sum. Theol., III, q. 1, a. 6, co.
54
Cfr. Ivi, co.
55
Cfr. Ivi, arg. 1.

13
essere contemporaneamente giovane e vecchio, ma l’anima sì. Giovane per lo zelo e la
prontezza e vecchia per la serietà56.
La seconda obiezione ricorda che la natura umana ha raggiunto la sua perfezione
nell’unione con il Verbo e che il più perfetto dovrebbe apparire alla fine dei tempi,
perché in una stessa cosa la perfezione viene dopo l’imperfezione57. San Tommaso
risponde, che l’incarnazione deve essere considerata anche come la causa della
perfezione della natura umana58.
Secondo la terza obiezione per la salvezza dell’umanità basterebbe un’unica venuta di
Cristo, quella alla fine dei tempi59. San Tommaso risponde citando Crisostomo, il quale
dice, che la prima venuta di Cristo era per rimettere i peccati, la seconda invece per
giudicare. Se non ci fosse la prima tutti sarebbero perduti60.

56
Cfr. Ivi, ad 1.
57
Cfr. Ivi, arg. 2.
58
Cfr. Ivi, ad 2.
59
Cfr. Ivi, arg. 3.
60
Cfr. Ivi, ad 3.

14
2. Argomento 2 – Il modo dell’unione del Verbo Incarnato

L’argomento dedicato all’Unione Ipostatica si divide in tre parti. La prima parte tratta
dell’unione del Verbo divino con la natura in se stessa. Nella seconda parte si considera
l’unione da parte della persona, che ha preso la natura umana, unendosela a se, e nella
terza, da parte della stessa natura unita61.

2.1. Articolo 1 – Se l’unione del Verbo Incarnato sia avvenuta in una sola
natura

Ricordano il Concilio di Calcedonia San Tommaso afferma che l’unione non è avvenuta
nella natura62.
San Tommaso specifica che si parla della natura in quanto significa l’essenza o la
quiddità della specie. Intendendo la natura in questo modo, diventa impossibile che
l’unione del Verbo Incarnato si sia realizzata in questa.
Due o più cose possono diventare una in tre modi.
Primo, da due cose perfette che restano identiche. In questo caso la forma dell’unione
può essere solo una disposizione, l’ordine o la figura. Questo modo è inaccettabile per
l’incarnazione. Primo, perché sarebbe solo accidentale, non sostanziale. Secondo, da
tale unione non risulta un’unità in senso assoluto, ma solo sotto un certo aspetto. Terzo,
poiché tale forma non deriva dalla natura, ma piuttosto dall’arte, per esempio la forma
di un edificio.
Secondo, una natura può essere il risultato di due cose complete, ma trasmutate.
L’incarnazione però al modo di combinazione è inammissibile. Primo, perché la natura
divina esclude qualsiasi modificazione. Secondo, perché il corpo composto non ha la
specie di nessuno dei componenti. Cristo non sarebbe né della natura del Padre, né della
madre. Terzo, la combinazione fra la due cose troppo distanti è impossibile, la più
debole si perde nell’altra.
Terzo, «un’unica natura potrebbe risultare da cose non trasmutate, ma imperfette: cioè
come l’uomo dall’anima e dal corpo, oppure dal complesso delle sue membra»63.
Neanche questo può essere detto del mistero dell’incarnazione. Primo, perché le nature
divina e umana sono perfette nel loro ordine. Secondo, queste due nature non possono

61
Cfr. RAMIREZ, Introducción a las cuestiones 1 y 2, p. 91.
62
Cfr. Sum. Theol., III, q. 2, a. 1, s. c.
63
Sum. Theol., III, q. 2, a. 1, co.

15
unirsi come le parti quantitative di un tutto, per esempio come le membra del corpo,
perché la natura divina è immateriale. Non possono neanche unirsi come la forma e la
materia, poiché la natura divina non può essere forma di nessuna cosa. «Oltretutto poi
ne seguirebbe che la specie costituita da tale unione sarebbe comunicabile a più
individui, per cui ci potrebbero essere più Cristi»64. Terzo, con la unione accaduta in tale
modo, Cristo non sarebbe né di natura umana né di natura divina65.
In una delle obiezioni viene detto che nella unione fra Dio e uomo si crea una unica
natura, similmente di quando l’anima e il corpo si uniscono e creano la natura umana66.
San Tommaso risponde spiegando che dall’unione dell’anima con il corpo nasce
nell’uomo una duplice unità, quella di natura e di persona. L’unità di natura nasce
quindi in quanto l’anima si unisce al corpo come sua forma e perfezione, così che ne
risulta una sola natura. Questo aspetto del paragone non può essere applicato
all’incarnazione, perché la natura divina non può avere la forma di un corpo. L’aspetto
applicabile del paragone è invece il seguente: l’unità della persona risulta dal fatto che è
uno solo a sussistere in carne e anima, cioè l’unico Cristo sussiste nella natura divina e
in quella umana67.
Un'altra obiezione riporta l’usanza di denominare una natura in base all’altra; questo
succede nel caso di Cristo, quando viene detto che la natura divina si è incarnata e che
la natura umana è stata deificata. Una tale denominazione non è usata quando le due
nature non subiscono una trasformazione reciproca68. San Tommaso risponde, che la
natura divina viene detta incarnata giustamente perché si è unita alla carne, non perché
si è cambiata in carne. Lo stesso vale per la carne, la quale viene detta deificata non per
una mutazione, ma per l’unione con il Verbo. Deificazione della carne significa che
questa è diventata la carne del Verbo divino, non che è diventata Dio69.

64
Sum. Theol., III, q. 2, a. 1, co.
65
Cfr. Sum. Theol., III, q. 2, a. 1, co.
66
Cfr. Ivi, arg. 2.
67
Cfr. Ivi, ad 2.
68
Cfr. Ivi, arg. 3.
69
Cfr. Ivi, ad 3.

16
2.2. Articolo 2 – Se nel Verbo Incarnato l’unione sia avvenuta nella persona

San Tommaso afferma che come il Verbo ha la natura umana unita a sé, senza però che
appartenga alla sua natura divina, ne consegue che l’incarnazione si è attuata nella
persona del Verbo e non nella natura70.
Bisogna tener presente che il significato delle parole persona e natura è differente. La
natura significa l’essenza specifica espressa dalla definizione. Se l’essenza specifica
esistesse da sola senza nessuna aggiunta, non ci sarebbe bisogno di distinguere la natura
dal supposito della natura. In alcune realtà sussistenti si trovano gli accidenti, che non
appartengono alla natura specifica. Questo appare evidente negli esseri composti da
materia e forma. Nel caso di Dio il supposito e la natura non si distinguono tra loro
realmente, ma solo secondo i nostri concetti. Questo accade quando una realtà non
possiede proprietà distinte dalla specie o dalla natura71. «Tutto ciò che si trova in una
persona, sia che appartenga alla sua natura, sia che non vi appartenga, è unito ad essa
nella persona; se dunque la natura umana non è unita al Verbo di Dio nella persona, non
gli è unita in alcun modo»72.
Nella prima obiezione viene detto, che se in Dio la persona non è distinta dalla natura e
la unione non è avvenuta nella natura, non è avvenuta neanche nella persona73. San
Tommaso risponde che anche se in Dio la natura e la persona non sono realmente
distinte, per il fatto che la natura umana è unita al Verbo in modo che il Verbo sussista
in essa senza che venga aggiunto qualcosa alla sua natura, ne segue che l’unione è
avvenuta nella persona e non nella natura74.
La seconda obiezione afferma che la personalità implica dignità. Dato quindi che la
natura umana possiede nell’uomo la propria personalità, tanto più la deve possedere in
Cristo, perché la natura umana non può avere in Cristo meno dignità che in noi75. San
Tommaso risponde, che una maggiore dignità proviene dall’esistere in un ente superiore
a sé più che dall’esistere per se stessi. La natura umana sussistendo nell’uomo per sé
stessa ha la sua propria personalità, in Cristo invece esiste nella persona del Verbo e
perciò la natura umana è più nobile in Cristo che in noi76.

70
Cfr. Sum. Theol., III, q. 2, a. 2, s. c.
71
Cfr. Ivi, co.
72
Sum. Theol., III, q. 2, a. 2, co.
73
Cfr. Sum. Theol., III, q. 2, a. 2, arg. 1.
74
Cfr. Ivi, ad 2.
75
Cfr. Ivi, arg. 2.
76
Cfr. Ivi, ad 2.

17
La terza obiezione ricorda la definizione della persona secondo la quale questa è una
sostanza individuale di natura razionale. Visto che il Verbo di Dio ha assunto una natura
umana individuale la natura di Cristo ha la sua personalità e per questo l’unione non
poteva essere avvenuta nella persona77. San Tommaso nella sua risposta a questa
obiezione dice, che «il Verbo di Dio non assunse la natura umana universale, bensì una
natura individuale; altrimenti ognuno sarebbe il Verbo di Dio come lo è Cristo»78.
Bisogna anche tenere presente che non ogni individuo di ordine sostanziale, anche se
razionale, ha il carattere di persona, ma solo l’individuo che esiste per sé (per esempio
la mano, pur essendo una parte individuale, non è tuttavia una persona, poiché non
esiste per sé, ma in un essere più perfetto, ciò nel suo tutto). «Sebbene quindi la natura
umana di Cristo sia un individuo di ordine sostanziale, in quanto tuttavia non esiste per
sé, ma in una individualità superiore, cioè nella persona del Verbo, conseguentemente
non possiede una personalità propria»79.

2.3. Articolo 3 – Se l’unione del Verbo Incarnato sia avvenuta nel supposito o
ipostasi

San Tommaso afferma, che è sbagliato porre in Cristo due ipostasi o due suppositi,
oppure negare che l’incarnazione sia avvenuta nell’unità dell’ipostasi o supposito80.
San Tommaso spiega che è anche sbagliata l’opinione di alcuni secondo la quale in
Cristo ci sarebbe solo una persona, ma tuttavia un’ipostasi divina e un’altra umana, così
che l’unione implicasse unità di persona, ma non di ipostasi. Questa tesi è sbagliata per
tre motivi. Primo, perché la persona, essendo una sostanza individuale di natura
razionale, aggiunge all’ipostasi la qualificazione della natura. Per questo attribuire
un’ipostasi alla natura umana in Cristo è lo stesso che attribuirle una persona propria.
San Tommaso ricorda in seguito la pronunciazione del V Concilio di Costantinopoli il
quale dichiara, che con l’incarnazione la Trinità non ha ricevuto un’altra persona o una
sussistenza, perché Cristo è una persona sola. Nel secondo argomento San Tommaso
ricorda la dichiarazione del Concilio di Efeso secondo la quale è sbagliato dividere in
Cristo dopo l’incarnazione le sussistenze, le quali sarebbero unite solo nella dignità e

77
Cfr. Sum. Theol., III, q. 2, a. 2, arg. 3.
78
Sum. Theol., III, q. 2, a. 2, ad 3.
79
Ibidem
80
Cfr. Sum. Theol., III, q. 2, a. 3, s. c.

18
non nell’unione naturale. La spiegazione segue nel modo seguente: «supposto che la
persona aggiunga all’ipostasi un elemento valido per l’unione, esso non sarebbe altro
che una proprietà riguardante la dignità propria della persona, essendo questa definita da
alcuni come un’ipostasi il cui carattere distintivo è la dignità»81.
Nel terzo argomento San Tommaso dice, che solo all’ipostasi si attribuiscono le
operazioni, le proprietà naturali e tutte le cose che spettano alla natura in concreto. Per
tale motivo l’uomo viene detto supposito, in quanto stabilisce per così dire la base di
tutte le cose che sono proprie dell’uomo. «Se dunque ci fosse in Cristo un’altra ipostasi
oltre all’ipostasi del Verbo, ne conseguirebbe che ciò che è proprio della natura umana
[…] si sarebbe compiuto in un soggetto distinto dal Verbo»82. Anche questo errore,
come ricorda San Tommaso è stato condannato dal Concilio di Efeso83.
Per sostenere la tesi che l’unione del Verbo Incarnato non sia avvenuta nell’ipostasi,
nella prima obiezione vengono richiamate le parole di Sant’Agostino, il quale dice che
ambedue le sostanze, la divina e l’umana, sono l’unico Figlio di Dio, ma si
differenziano fra loro perché una è il Verbo e altra l’uomo. Vengono citate anche le
parole di papa Leone: «Una delle due risplende per i miracoli, l’altra soccombe alle
ingiurie». Quindi nell’incarnazione non ci sarebbe unità di supposito, perché tutte le
cose che si contrappongono differiscono come suppositi84. San Tommaso risponde che
«nelle creature un’alterazione accidentale può compiersi in una medesima ipostasi,
perché questa può accogliere diversi accidenti rimanendo numericamente la stessa; non
accade però fra le realtà create, che una cosa, rimanendo numericamente la stessa, possa
sussistere in essenze o nature diverse»85. Così come nelle creature l’alterazione non
significa diversità di suppositi, ma solo diversità di forme accidentali, analogicamente le
diversità in Cristo non significano diversità di ipostasi, ma di nature86.
Nella seconda obiezione viene detto, che l’ipostasi è una sostanza particolare; in Cristo
ci sono però altre sostanze particolari come il corpo, l’anima e il loro composto. Quindi
in Cristo ci sarebbe un’altra ipostasi oltre a questa del Verbo87. San Tommaso risponde
che la sostanza particolare non sempre può essere chiamata ipostasi, ma solo in quanto è
nella sua completezza. La natura umana in Cristo, anche essendo una sostanza

81
Sum. Theol., III, q. 2, a. 3, co.
82
Ibidem
83
Cfr. Sum. Theol., III, q. 2, a. 3, co.
84
Cfr. Ivi, arg. 1.
85
Sum. Theol., III, q. 2, a. 3, ad 1.
86
Cfr. Sum. Theol., III, q. 2, a. 3, ad 1.
87
Cfr. Ivi, arg. 2.

19
particolare, tuttavia facendo parte di un essere completo, cioè di Cristo in quanto Dio e
uomo, non può dirsi ipostasi, ma si dice ipostasi quel tutto completo di cui fa parte88.
Nella terza obiezione viene detto, che l’ipostasi del Verbo non è compresa in nessuna
specie, mentre Cristo è compreso nella specie umana; di conseguenza in Cristo ci deve
essere un’ipostasi umana89. San Tommaso risponde che Cristo appartiene alla specie
umana, non per l’ipostasi, ma per la natura assunta. Anche le cose create vengono
classificate in una specie non in ragione della loro individualità, ma in ragione della loro
natura90.

2.4. Articolo 4 – Se la persona di Cristo sia composta

San Tommaso conferma, che in Gesù Cristo conosciamo due nature, ma solo una
ipostasi composta di entrambe. Vista per se stessa, l’ipostasi di Cristo è assolutamente
semplice, come anche la natura del Verbo. Vista invece nella sua caratteristica di
persona o ipostasi, cioè quella di sussistere in una determinata natura, la persona di
Cristo sussiste in due nature. In Cristo c’è quindi un solo soggetto sussistente, ma due
ragioni di sussistenza, per questo si conferma, che la sua persona è composta in
riferimento a questo essere unico sussistente in due nature91.
Una delle obiezioni prova a mostrare la impossibilità della esistenza di due nature in
Cristo dicendo che ogni composto è costituito delle parti e poiché ogni parte è qualcosa
di imperfetto, la natura divina non può essere una parte92. San Tommaso risponde, che
le due nature compongono la persona di Cristo non come parti, ma come addenti: ciò,
infatti, in cui due cose convengono può dirsi composto di esse93.
Un’altra obiezione dice che ogni composto è omogeno con le sue parti; allora, se in
Cristo c’è un composto risultante delle due nature, esso non sarà una persona, ma una
natura94. San Tommaso risponde che la regola che ogni composto sia omogeno con le
sue parti non vale sempre, ma solo per il composto di parti continue95.

88
Cfr. Ivi, ad 2.
89
Cfr. Ivi, arg. 3.
90
Cfr. Ivi, ad 3.
91
Cfr. Sum. Theol., III, q. 2, a. 4, co.
92
Cfr. Ivi, arg. 2.
93
Cfr. Ivi, ad 3.
94
Cfr. Ivi, arg. 3.
95
Cfr. Ivi, ad 3.

20
2.5. Articolo 5 – Se in Cristo si sia attuata l’unione tra l’anima e il corpo

San Tommaso conferma che in Cristo ci fu l’unione dell’anima e del corpo, perché il
Corpo di Cristo viene detto animato; il che non vale se non per l’unione con l’anima.
Cristo appartiene alla specie umana; è chiamato uomo nello stesso senso degli altri
uomini96. La specie umana esige che l’anima si unisca al corpo, poiché la forma
costituisce la specie attuando la materia97.
Nella prima obiezione viene detto che se l’anima in Cristo fosse connessa con il corpo,
questo creerebbe un nuova ipostasi98. San Tommaso risponde che infatti negli uomini
anima e corpo si uniscono e così costituiscono una persona. In essi si uniscono per
esistere di per sé. In Cristo invece si uniscono per aggiungersi a un soggetto superiore,
che sussiste nella natura da essi composta. Così in Cristo l’unione fra anima e corpo non
crea una nuova ipostasi, ma si aggiunge alla ipostasi già esistente. Questo non significa
che in Cristo l’unione fra anima e corpo sia meno forte che in altri uomini99.
Nella seconda obiezione vengono citate le parole del Damasceno il quale dice che in
Cristo non si trova una specie comune. L’unione tra anima e corpo costituisce la natura
della specie umana; quindi, in Cristo non ci potrebbe essere l’unione di anima e
corpo100. Nella risposta San Tommaso spiega che le parole del Damasceno possono
essere intese in due modi. Il primo modo fa riferimento alla natura umana. La natura
umana si presenta come una specie comune in quanto è astratta da ogni individuo nella
contemplazione, o in quanto si trova in tutti gli individui, ma non in quanto viene
considerata in un determinato individuo. Cristo allora ha assunto la realtà stessa della
natura umana e non solo così come essa è nella considerazione mentale. È anche
impossibile che Cristo abbia assunto la natura umana come è in tutti gli individui della
specie umana, poiché in tal caso avrebbe assunto tutti gli uomini. In conclusione, si
deve affermare che Cristo ha realmente assunto la natura umana, senza però, che questa
costituisca un individuo, nel senso di una ipostasi di quella natura, distinto dalla persona
del Figlio di Dio101.
Il secondo modo nel quale si può intendere la frase del Damasceno fa riferimento
all’unione delle due nature, divina e umana, per mostrare che questa non ha come

96
Cfr. Sum. Theol., III, q. 2, a. 5, s. c.
97
Cfr. Ivi, co.
98
Cfr. Ivi, arg. 1.
99
Cfr. Ivi, ad 1.
100
Cfr. Ivi, arg. 2.
101
Cfr. Ivi, ad 2.

21
risultato un nuovo composto che sarebbe comune, e quindi predicabile di molti
individui. Questo per dire, che non ci sarà un altro Cristo.
La terza obiezione ricorda che l’anima si unisce al corpo per vivificarlo; in Cristo c’era
invece lo stesso Verbo Divino che lo poteva vivificare102. San Tommaso risponde che
nella vita corporale si possono trovare due principi. Il primo è la causa efficiente e in
questo senso il Verbo di Dio è il principio di ogni vita. Il secondo è il principio formale.
Ogni cosa esiste per la sua forma, così il corpo vive in virtù dell’anima. In questo senso
il corpo di Cristo non poteva ricevere la vita dal Verbo, non potendo questi essere la
forma di un corpo103.

2.6. Articolo 6 – Se la natura umana sia stata unita al Verbo accidentalmente

San Tommaso afferma che la natura umana non è unita a Cristo accidentalmente. Gli
attributi accidentali non esprimono qualcosa di sostanziale, ma la quantità, qualità o
altre modalità. Se la natura umana fosse in Cristo solo qualcosa di accidentale non gli si
attribuirebbe qualcosa di sostanziale e questo negherebbe la verità della fede, che Cristo
era vero Dio e vero uomo104. San Tommaso ricorda che riguardo al mistero dell’unione
delle due nature in Cristo sono sorte diverse eresie. Una di queste è l’eresia di Eutiche e
Dioscoro, secondo i quali da due nature se ne sarebbe costituita una sola. L’altra eresia
fu quella di Nestorio e di Teodoreto di Mopsuestia, secondo i quali in Cristo esistevano
due persone, quella del Figlio di Dio e quella del figlio dell’uomo. Alcuni altri
ritenevano che in Cristo ci fosse una persona, ma due ipostasi. Altri ancora, dicevano
che l’anima di Cristo non era unita al suo corpo, ma che queste due parti, separate l’una
dall’altra, si trovavano unite accidentalmente al Verbo. Come ricorda San Tommaso la
fede cattolica non dice che l’unione di Dio e dell’uomo è avvenuta nell’essenza o
natura, né che è avvenuta in un modo accidentale, me che è avvenuta secondo la
sussistenza o ipostasi105.
La prima obiezione cita le parole di San Paolo della lettera ai Filippesi (Fil 2,7),
secondo cui il Figlio di Dio fu riconosciuto uomo nell’abito. Come l’abito è una cosa

102
Cfr. Ivi, arg. 3.
103
Cfr. Ivi, ad 3.
104
Cfr. Sum. Theol., III, q. 2, a. 6, s. c.
105
Cfr. Ivi, co.

22
accidentale, così la natura umana fu unita al Figlio di Dio accidentalmente106. San
Tommaso risponde che la natura umana è paragonata in Cristo a un abito, non come
l’unione accidentale, ma perché il Verbo è reso visibile dalla natura umana come
l’uomo dal vestito107.
La seconda obiezione dice che tutto quello che si aggiunge a un ente che possiede la sua
completezza deve essere accidentale. Per il fatto che la natura umana si unì al Figlio di
Dio, che aveva il suo essere perfetto nel tempo, si uni a lui accidentalmente108. San
Tommaso risponde che ciò che si aggiunge a un ente non è accidentale quando viene a
far parte della comunione di quell’essere completo. Indubbiamente il Verbo di Dio
aveva il suo essere completo come ipostasi da tutta l’eternità, ma nel tempo gli si è
aggiunta la natura umana, la quale è stata assunta dal Verbo a condividere l’essere non
quanto alla sua natura, come il corpo riceve l’essere dell’anima, ma quanto all’ipostasi o
persona. Per questo la natura umana non è unita al Figlio di Dio in modo accidentale109.
La terza obiezione dice che l’unione è accidentale per il fatto che la natura umana non
appartiene alla natura divina del Figlio di Dio, proprio perché l’unione non si è
compiuta nella natura. Ciò che non appartiene alla natura o essenza di una cosa è un
accidente110. San Tommaso nella sua risposta ricorda che l’accidente si contrappone alla
sostanza. La sostanza ha un doppio significato, quello di essenza o natura e quello di
supposito o ipostasi. L’unione è avvenuta nell’ipostasi, quindi anche se non è avvenuta
nella natura non è accidentale111.
La quarta obiezione dice che la natura umana era in Cristo lo strumento della divinità e
tutti gli strumenti si uniscono accidentalmente alla causa principale112. San Tommaso
risponde, che certamente lo strumento non fa parte dell’ipostasi di chi lo adopera, però
nulla impedisce che si adoperi come lo strumento anche qualcosa che fa parte
dell’ipostasi, come il corpo umano o le sue membra113.

106
Cfr. Ivi, arg. 1.
107
Cfr. Ivi, ad 1.
108
Cfr. Ivi, arg. 2.
109
Cfr. Ivi, ad 2.
110
Cfr. Ivi, arg. 3.
111
Cfr. Ivi, ad 3.
112
Cfr. Ivi, arg. 4.
113
Cfr. Ivi, ad 4.

23
2.7. Articolo 7 – Se l’unione della natura divina con l’umana sia qualcosa di
creato

San Tommaso risponde a questa domanda dicendo che tutto ciò che comincia ad
esistere in un momento determinato del tempo è stato creato. L’unione delle nature
divina e umana ha cominciato l’esistenza in un determinato momento, quindi è creata114.
L’unione di cui si parla compare come una relazione fra le nature divina e umana, le
quali si incontrano in una persona del Figlio di Dio. Tutte le relazioni fra Dio e la
creazione sono reali nella creazione, perché cominciano ad esistere in essa a causa di un
mutamento, che accade nella creazione. In Dio non sono invece una realtà, ma hanno
carattere di un concetto, perché quando accadono, in Dio non si svolge nessun
cambiamento. Bisogna quindi confermare, che l’unione di cui si parla non è una cosa in
Dio, ma solo concettualmente esprime una relazione, la quale realmente ha cominciato
ad esserci nella natura umana di Cristo, quindi in qualcosa di creato. È quindi giusto
dire che l’unione delle nature è creata115.
Nella prima obiezione viene detto che in Dio non può esserci niente di creato. L’unione
è invece in Dio, quindi non può essere qualcosa di creato116. San Tommaso risponde che
l’unione non è in Dio realmente, ma solo secondo il nostro modo di pensare. Si può dire
infatti, che Dio si è unito alla creatura, in quanto la creatura è stata unita a Lui, senza
nessun cambiamento in Dio117.
La seconda obiezione richiama il fatto che il termine dell’unione è l’ipostasi o la
persona divina, alla quale si è unita la natura umana. Visto che di ogni cosa conta
soprattutto il fine, l’unione va giudicata secondo ciò che conviene all’ipostasi divina, e
questa non è creata. Quindi neanche l’unione stessa può essere creata118. San Tommaso
risponde che la specie della relazione dipende dal suo termine, ma il suo essere dipende
dal soggetto a cui inerisce. Poiché l’unione esiste realmente solo nella natura creata, ne
segue che essa ha una esistenza creata119.
La terza obiezione ricorda che la causa è sempre superiore all’effetto. Visto che Cristo
come l’uomo è detto creatore a causa dell’unione, l’unione stessa, che deve identificarsi

114
Cfr. Sum. Theol., III, q. 2, a. 7, s. c.
115
Cfr. Ivi, co.
116
Cfr. Ivi, arg. 1.
117
Cfr. Ivi, ad 1.
118
Cfr. Ivi, arg. 2.
119
Cfr. Ivi, ad 2.

24
col Creatore, non può essere qualcosa di creato120. San Tommaso risponde che l’uomo
in Cristo è Dio a causa dell’unione in quanto fa parte dell’ipostasi divina. Questo non
significa che l’unione stessa sia il Creatore o Dio, poiché l’unione stessa riguarda più
l’esistenza della relazione che la sua specificazione121.

2.8. Articolo 8 – Se l’unione e l’assunzione siano la stessa cosa

San Tommaso afferma che la natura divina può dirsi unita, ma non può dirsi assunta122.
L’unione significa la relazione tra le nature umana e divina, in quanto confluiscono in
una sola persona. Ogni relazione è un risultato del cambiamento, il quale da parte sua
richiede un’azione e passività. Qui appare la prima differenza fra l’unione e
l’assunzione. L’unione è una relazione, l’assunzione è un’azione di chi assume e la
passività di chi è stato assunto. Da qui appare la seconda differenza. L’unione è un
processo terminato, mentre il termine assunzione esprime il carattere di questo processo.
Chi si unisce a qualcosa è unito con essa, però di chi assume non si può dire che è
assunto. È quindi giusto dire che il Figlio di Dio, che unisce a sé la natura umana, è
l’uomo, perché la natura umana come appartenente al termine dell’assunzione
all’ipostasi divina, viene espressa con il nome uomo. Considerata invece in maniera
astratta, la natura umana viene indicata come assunta, però non si può dire che il Figlio
di Dio è la natura umana.
Così si vede anche la terza differenza. Si può dire, indifferentemente, che la natura
umana è stata unita alla divina, o la divina alla umana. Non si può però dire che la
natura divina è stata assunta dalla umana, ma al contrario l’umana dalla divina. La
relazione non si riferisce in modi diversi ai suoi termini, mentre l’azione e la passione si
riferiscono diversamente all’agente, al paziente e ai diversi termini. Come si vede
l’assunzione indica distintamente il termine di partenza e quello di arrivo. Assumere
significa trarre a se; la parola unione, invece non esprime queste differenze123.
Nella prima obiezione viene detto che sembra che l’unione e l’assunzione non
differiscano tra loro, perché le relazioni, come anche i movimenti, prendono la specie

120
Cfr. Ivi, arg. 3.
121
Cfr. Ivi, ad 3.
122
Cfr. Sum. Theol., III, q. 2, a. 8, s. c.
123
Cfr. Ivi, co.

25
dal loro termine. Il termine dell’assunzione e dell’unione è unico ed è l’ipostasi
divina124. San Tommaso nella sua risposta ricorda che l’unione e l’assunzione rispetto al
termine hanno un diverso rapporto125.
Nella seconda obiezione viene espressa la tesi che nell’incarnazione la stessa persona
unisce ed assume, e la stessa natura viene unita e assunta126. San Tommaso risponde che
le espressioni che unisce e che assume non sono identiche. Ogni persona che assume
unisce, ma non al contrario. Per esempio, la persona del Padre ha unito la natura umana
al Figlio, ma non a se, per cui si dice che unisce, ma non che assume. Ed ancora, la
natura divina può dirsi unita, ma non assunta127.
Nella terza obiezione viene detto che l’unione è differente dall’incarnazione. L’unione
denota una connessione, ma non il termine. L’incarnazione invece diversamente precisa
il termine dell’unione. Neanche la parola assunzione esprime il termine dell’unione,
quindi sono la stessa cosa128. San Tommaso risponde che il termine assunzione indica
colui che assume. Il termine incarnazione invece indica la realtà assunta, cioè la carne o
la natura umana. Perciò questi termini differiscono concettualmente129.

2.9. Articolo 9 – Se l’unione delle due nature sia la massima delle unioni

Citando le parole di Sant’Agostino, ‘l’uomo è più nel Figlio, che il Figlio nel Padre’ San
Tommaso afferma che l’unione dell’incarnazione è maggiore dell’unità dell’essenza
divina, perciò l’unione dell’incarnazione indica la massima unità130. L’unione è una
connessione di più cose in una. «L’unione dell’incarnazione può essere considerata
sotto due aspetti, o dalla parte delle cose che si uniscono, o dalla parte di ciò in cui si
uniscono»131. Essendo massima l’unità della persona divina nella quale le due nature si
uniscono, sotto il secondo aspetto l’incarnazione ha il primato sulle altre unioni. Tale
primato invece non esiste dalla parte delle nature che vengono a unirsi132. Più tardi,
verso la fine dell’articolo San Tommaso dice che è falso che l’unione dell’incarnazione

124
Cfr. Ivi, arg. 1.
125
Cfr. Ivi, ad 1.
126
Cfr. Ivi, arg. 2.
127
Cfr. Ivi, ad 2.
128
Cfr. Ivi, arg. 3.
129
Cfr. Ivi, ad 3.
130
Cfr. Sum. Theol., III, q. 2, a. 9, s. c.
131
Sum. Theol., III, q. 2, a. 9, co.
132
Cfr. Ibidem

26
sia maggiore dell’unità naturale tra le persone divine. La natura umana è nel Figlio
molto meno di quanto questi sia nel Padre. Sotto un certo aspetto però l’uomo si trova
nel Figlio più che il Figlio nel Padre, in quanto cioè in Cristo l’uomo e il Figlio di Dio
sono un medesimo supposito, mentre i suppositi del Padre e del Figlio sono distinti133.
La prima obiezione ritiene che l’unità delle cose unite sia minore dell’unità di ciò che è
uno di natura. Si può vedere soprattutto nell’unità numerica, che nel creato esiste
qualcosa che possiede unità in modo assoluto134. San Tommaso risponde che l’unità
della persona divina è comunque maggiore, perché è un’unità per sé sussistente, non
ricevuta in un soggetto per partecipazione. Non gli si attribuisce il concetto di parte, il
quale invece si attribuisce all’unità numerica, facente parte del numero135. Rispetto
all’unità della persona, l’unione dell’incarnazione supera l’unità numerica. Non la
supera invece dalla parte della natura umana, la quale non è l’unità stessa della persona
divina, ma è soltanto unita ad essa136.
Nella seconda obiezione viene detto, che l’unione è tanto minore quanto più si
differenziano fra di loro le cose che vengono unite. Le realtà unite nell’incarnazione,
cioè le nature divina e umana, distano al massimo; quindi, la loro unione deve essere
minima137. San Tommaso risponde che questo argomento vale quanto alle nature unite,
non quanto alla persona nella quale si è compiuta l’unione138.
La terza obiezione ricorda, che l’unione fra anima e corpo nell’uomo crea l’unita della
persona e della natura, mentre l’unione fra la natura divina e umana in Cristo crea solo
l’unità della persona. Quindi l’unità dell’anima e corpo deve essere maggiore dell’unità
delle due nature in Cristo139. San Tommaso risponde che l’unità della persona divina è
più perfetta, sia della persona che della natura nell’uomo140.

133
Cfr. Sum. Theol., III, q. 2, a. 9, ad 4.
134
Cfr. Ivi, arg. 1.
135
Cfr. Sum. Theol., III, q. 2, a. 9, arg. 1. Questa frase in testo originale suona cosi: Perciò non può avere
funzione di parte, come l’unita numerica, che è parte del numero e che viene attribuita alle realtà
numerate.
136
Cfr. Sum. Theol., III, q. 2, a. 9, ad 1.
137
Cfr. Ivi, arg. 2.
138
Cfr. Ivi, ad 2.
139
Cfr. Ivi, arg. 3.
140
Cfr. Ivi, ad 3.

27
2.10. Articolo 10 – Se l’unione dell’incarnazione sia avvenuta mediante la
grazia

San Tommaso afferma, che l’unione dell’incarnazione si è compiuta mediante la


grazia141. La grazia significa anzitutto la stessa volontà di Dio che dona gratuitamente, e
in secondo luogo lo stesso dono gratuito di Dio. Elevazione verso Dio supera le
possibilità della natura umana. Questa elevazione, dunque, può compiersi in due modi.
Primo, per atto con il quale l’uomo conosce e ama Dio. Secondo, mediante l’essere
personale, il quale è proprio di Cristo, in cui la natura umana fu fatta parte della persona
del Figlio di Dio. Si può dire che l’incarnazione è avvenuta per la grazia, se per grazia si
intende la stessa volontà di Dio in quanto fa qualcosa gratuitamente. In modo simile
avviene anche l’unione dei santi con Dio nella conoscenza e nell’amore. Se per grazia si
intende lo stesso dono gratuito di Dio anche il fatto stesso dell’unione della natura
umana con la persona divina può dirsi in certo qual modo grazia, in quanto si è avverato
senza preparazione di meriti. Comunque, questa unione è avvenuta senza che ci sia una
grazia abituale che faccia da mezzo per tale unione142.
Nella prima obiezione viene ricordato che la grazia è un accidente. L’unione non poteva
quindi avvenire mediante la grazia, perché l’unione stessa non è accidentale143. San
Tommaso risponde che la grazia concede all’uomo una certa somiglianza con Dio.
Nell’incarnazione la natura umana non è stata fatta simile a quella divina, ma è stata
congiunta con la stessa natura divina nella persona del Figlio. Come dice San Tommaso,
una realtà in se stessa vale più di una sua immagine partecipata144.
La seconda obiezione, citando le parole di San Paolo, secondo le quali in Cristo abita
corporalmente tutta la pienezza della divinità (Col 2,9), ricorda che il soggetto della
grazia è l’anima. L’unione non poteva quindi avvenire mediante la grazia145. San
Tommaso risponde che la grazia o il dono gratuito di Dio che consiste nell’unione con
la persona divina, spetta a tutta la natura umana, composta di anima e corpo. Si può
quindi dire che la pienezza della divinità abita corporalmente, poiché la natura divina è
unita all’anima e anche al corpo146.

141
Cfr. Sum. Theol., III, q. 2, a. 10, s. c.
142
Cfr. Ivi, co.
143
Cfr. Ivi, arg. 1.
144
Cfr. Ivi, ad 1.
145
Cfr. Ivi, arg. 2.
146
Cfr. Ivi, ad 2.

28
Nella terza obiezione viene ricordato che ogni santo si unisce a Dio mediante la grazia.
Se quindi l’unione dell’incarnazione è avvenuta mediante la grazia, sarebbe anche
accettabile nominare i santi dei147. San Tommaso risponde che l’unione
dell’incarnazione non si è compiuta solo in virtù della grazia abituale come negli altri
santi, ma secondo la sussistenza, o la persona148.

2.11. Articolo 11 – Se l’unione dell’incarnazione sia stata meritata

San Tommaso afferma, che la generazione di Cristo non è preceduta di nessun merito.
Secondo la fede cristiana, Cristo non fu all’inizio soltanto un uomo, che in seguito, con
la buona condotta diventò Figlio di Dio (come diceva Fotino), ma fu veramente Figlio
di Dio sin dall’inizio della sua concezione, non avendo altra ipostasi che quella del
Figlio di Dio. Nessuna sua opera poteva meritare questa unione, perché ogni sua opera
era posteriore all’unione. Per di più nessuna opera di nessun altro uomo potrebbe
meritare tale unione. Primo, perché le opere meritorie hanno come fine la felicità, che è
il premio della virtù, e si realizza nel godimento di Dio. L’incarnazione supera l’unione
dell’uomo con Dio perché si è realizzata nell’essere personale e quindi non può
dipendere da merito. Secondo la grazia è la causa del merito, quindi non può essere il
suo effetto. L’incarnazione, essendo la causa della grazia, non può essere l’effetto del
merito. Terzo, l’incarnazione rinnova tutta l’umanità. Nessun uomo potrebbe meritare la
grazia di rinnovamento di tutta l’umanità.
Tuttavia, visto che Dio esaudisce le preghiere di coloro che gli obbediscono, esiste un
certo collegamento fra i meriti dei santi padri e l’incarnazione149.
Una delle obiezioni afferma, che i santi patriarchi hanno meritato la salvezza, quindi
hanno dovuto meritare anche la causa della salvezza, quindi l’incarnazione150. San
Tommaso risponde che è falsa la tesi secondo la quale tutto quello che dà la possibilità
di ricevere il premio deve essere meritato. Esistono le realtà indispensabili per ricevere

147
Cfr. Ivi, arg. 3.
148
Cfr. Sum. Theol., III, q. 2, a. 10, ad 3.
149
Cfr. Sum. Theol., III, q. 2, a. 11, co.
150
Cfr. Ivi, arg. 2.

29
il premio, ma anche insieme sono presupposte al merito: come la bontà di Dio, la sua
grazia e la natura stessa dell’uomo. L’incarnazione è un presupposto del merito151.
Un'altra obiezione ricorda che della Vergine Maria si dice che meritò di portare il
Signore di tutti; ciò che avviene con l’incarnazione152. San Tommaso risponde dicendo
che la Vergine Maria, a causa della grazia a lei concessa, ha aggiunto santità così da
poter essere degnamente madre di Dio; il che però non vuole dire che meritò
l’incarnazione153.

2.12. Articolo 12 – Se la grazia dell’unione sia stata naturale per l’umanità


di Cristo

Rispondendo a questa domanda San Tommaso spiega che il termine ‘naturale’ può
significare due cose. Primo: è naturale ciò che deriva solo dai principi essenziali. Poi, si
dice anche ‘naturale’ per ciò che l’uomo possiede fin dalla nascita. La grazia di Cristo,
sia quella dell’unione, sia quella abituale, non è naturale nel senso che è causata in lui
dai principi della natura umana. Nonostante ciò, si può chiamare naturale in quanto
causata nella sua natura umana dalla sua natura divina. Tutte due le grazie sono naturali
in quanto Lui le possiede fin dalla sua nascita154.
La prima obiezione ricorda, che tutto prende il suo nome dal suo termine. La grazia
dell’unione di Cristo deve chiamarsi personale piuttosto che naturale, perché si è
effettuata nella persona, non nella natura155. San Tommaso risponde che l’unione è però
causata dalla natura divina, la quale è veramente la natura di Cristo, e per di più spetta a
Cristo fin dal primo istante della nascita156.
Nella seconda obiezione viene detto che l’unione non può essere naturale per Cristo, per
il fatto che la grazia si contrappone alla natura, così come i doni di Dio si
contrappongono ai doni naturali che derivano dalle cose stesse. Tra le cose che si
contrappongono non può esserci scambio di denominazione157. San Tommaso risponde
che i termini ‘grazia’ e ‘naturale’ descrivono l’unione secondo diversi punti di vista.

151
Cfr. Ivi, ad 2.
152
Cfr. Ivi, arg. 3.
153
Cfr. Sum. Theol., III, q. 2, a. 11, ad 3.
154
Cfr. Sum. Theol., III, q. 2, a. 12, co.
155
Cfr. Ivi, arg. 1.
156
Cfr. Ivi, ad 1.
157
Cfr. Ivi, arg. 2.

30
L’unione è chiamata grazia, perché non risulta da un merito. È naturale, perché si
realizza nell’umanità di Cristo fin dalla nascita in virtù della natura divina158.
Nella terza obiezione viene detto che la grazia dell’unione non può essere naturale per
Cristo né secondo la sua natura divina, perché così si potrebbe estendere ad altre
persone, né secondo la natura umana, perché così si estenderebbe a tutti gli uomini, che
sono della stessa natura159. San Tommaso risponde che la grazia dell’unione in Cristo
non è naturale, come qualcosa derivante dalla natura umana, e per questo non riguarda
tutti gli uomini. La grazia è però naturale per la sua natura umana generata in un modo
unico. Cristo fu dunque concepito dallo Spirito Santo in modo tale che uno stesso
soggetto fosse Figlio naturale di Dio e dell’uomo. La grazia è anche naturale riguardo
alla sua natura divina, perché questo è il principio attivo di questa grazia. Inoltre,
compete a tutta la Trinità di essere principio attivo di questa grazia160.

158
Cfr. Ivi, ad 2.
159
Cfr. Ivi, arg. 3.
160
Cfr. Ivi, ad 3.

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Bibliografia

Fonti:

Summa theologiae III qq. 1-2

Letteratura critica:

ESPEJA PARDO J., Introducción a las cuestiones 1-59 in: Suma de Teología, V,
Biblioteca de autores cristianos, Madrid 1994, 47-53.

RAMIREZ S., Introducción a las cuestiones 1 y 2 in: Suma Teológica, XI, Biblioteca de
autores cristianos, Madrid 1960, 14-67. 91-165.

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