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La critica colta dal punto di vista metodologico era relativa allo spazio significativo che gli
scienziati storico sociali prendevano in considerazione nell’analizzare i processi di cambiamento
storico di queste diverse realtà nazionali, sulla base di questa separazione dell’antropologo di
Johannes Fabian chiamava distanziamento spazio-temporale, ossia di allontanare ciò che le
scienze storico-sociali facevano, ossia allontanare parte del mondo (il mondo della tradizione,
dell’arretratezza, del sottosviluppo, codici dell’Ottocento-Novecento), di allontanare
dall’Occidente, una parte del mondo che in realtà era connessa, era stata storicamente connessa
all’Occidente moderno avanzato, sviluppato, capitalistico. Urgeva cogliere queste connessioni, cioè
andare oltre questo distanziamento spazio-temporale.
Il concetto di sistema-mondo cercava di ovviare a questa separazione spazio-temporale di cui le
scienze storico sociali si erano fatte protagoniste. Uno degli studiosi, protagonisti di questa opera di
ripensamento delle categorie del mondo storico-sociale, Andre Gunder Frank, (il grande
problema del dopoguerra era lo sviluppo e sottosviluppo, intese come condizioni dei singoli stati
nazionali riconducibili a dinamiche interne ai singoli stati nazionali) disse che sviluppo e
sottosviluppo non sono realtà separate, sono le due facce della stessa medaglia. Secondo Frank,
quello che viene chiamato sottosviluppo, cioè la povertà di alcune parti del mondo significative, non
è da ricondurre a caratteristiche interne a questi paesi, al fatto che non posseggono alcuni dei tratti
che sono stati patrimonio delle culture (intese in senso lato) di alcuni paesi occidentali, che grazie a
questi loro aspetti peculiari (perché erano più razionali, più universalistici, perché hanno
organizzato la propria vita economica attraverso il mercato invece che attraverso altre forme della
produzione degli scambi, diverse dal mercato, o perché non hanno ancora capito che lo stato
nazionale è la forma più avanzata dell’organizzazione politica, le democrazie soprattutto), non è
dovuto a questo, non è che questi popoli non hanno avuto quello che altri hanno avuto e che ha
permesso loro di diventare moderni e avanzati. Le ragioni dello sviluppo di parte del mondo e del
sottosviluppo dell’altra parte del mondo è l’esito degli stessi processi storici: sono i processi
storici che sin dal XVI secolo hanno messo in connessione queste connessioni storiche che hanno
caratterizzato l’espansione del capitalismo, tendenzialmente su scala mondiale, e dal momento che
il capitalismo è questa dinamica, logica è inevitabilmente gerarchizzante, ha finito col produrre al
tempo stesso sviluppo e sottosviluppo. Per comprendere il sottosviluppo latinoamericano bisogna
guardare le connessioni storicamente esistite sin dal Cinquecento tra America Latina e altre parti del
mondo, Europa in primis. Al tempo stesso, per comprendere lo sviluppo dei paesi più ricchi, non si
può non tenere in conto queste stesse connessioni. Ricchezza e povertà erano i due esiti ineludibili
del funzionamento di un sistema la cui estensione dello spazio era stata da secoli ben più ampia di
quella dei confini politici in un qualsiasi stato nazionale che, come abbiamo visto, era l’unità di
analisi delle scienze storico-sociali.
L’analisi del sistema-mondo si inserisce a questo e pone come suo primo punto la
problematizzazione del tempo e dello spazio rilevanti. Le unità di analisi appropriate non erano
più gli stati nazionali, ma quelle che Wallerstein definisce sistemi-mondo. Lo stato nazione si
prefigura così come una delle tante istituzioni che sono state create o abbandonate nel corso della
storia, come parte di processi di funzionamento di un sistema. Dal punto di vista analitico, non
aveva alcuna priorità rispetto a qualsiasi altra istituzione, cioè quello che le scienze storico-sociali
avevano fatto era dare una priorità analitica ad una istituzione tra le tante che erano state create
nella storia del mondo negli ultimi secoli. L’unità di analisi proposta è un sistema-mondo, che
non è il mondo, non è necessariamente il mondo, anche se storicamente può coincidere con il
mondo, con il sistema mondiale (e ciò è avvenuto), ma che costituisce un mondo in sé e che
quindi si presta a essere uno spazio significativo di riferimento dell’analisi storico-sociale.
I concetti che utilizziamo, queste astrazioni delle quali non possiamo non servirci per dire qualcosa,
cambiano considerevolmente se partiamo, rimanendo alla questione che stiamo affrontando, da una
prospettiva metodologica stato-centrica a una prospettiva metodologica che assume come rilevante
uno spazio più ampio, cambiano completamente.
Sempre in forma sintetica, dietro quella formula di Frank (sviluppo e sottosviluppo sono le due
facce della stessa medaglia) si nasconde, per quanto lui non ne fosse consapevole, c’è un attacco
complessivo che poi matura e si struttura nei decenni successivi contro tutte le dicotomie che erano
state proposte dalla scienza storico-sociale, a partire da quella di tradizione/modernità: se sviluppo
e sottosviluppo sono le due facce della stessa medaglia, nella misura in cui attraverso questi
concetti sto proponendo in modo diverso una versione della grande dicotomia tradizione/modernità,
modernità e tradizione sono le due facce della stessa medaglia. E così come sviluppo e
sottosviluppo vengono create insieme, tradizione e modernità vengono create insieme. Non
c’era tradizione prima della modernità. Chi viveva in quello che a partire dall’Ottocento è stato
definito come mondo tradizionale (che poteva essere la campagna dei paesi occidentali, o il mondo
altro rispetto all’occidente moderno), non si raccontava che stava vivendo in un mondo tradizionale.
Ha cominciato a raccontarsi che stava vivendo in un mondo tradizionale quando qualcun altro ha
cominciato a dire che lui viveva in un mondo tradizionale perché gli altri vivevano in un mondo
moderno. Il concetto di tradizione, come tutti i concetti è un concetto relazionale che assume
significato in relazione ad un altro termine in opposizione al quale spesso viene formulato. Questo
arriva a mettere in discussione tutto il pensiero dicotomizzante occidentale, che se vogliamo
può essere espresso in termini filosofici nel rifiuto del principio di non contraddizione, ossia del
principio del terzo escluso. A può essere al tempo stesso A e non A? noi ragioniamo come se non
fosse possibile, è una cosa al tempo stesso moderna e tradizionale, e invece una cosa può essere al
tempo stesso, se ragioniamo in termini dicotomici siamo spinti a dire, come primo passo, sì, una
cosa può essere al tempo stesso moderna e tradizionale, ma naturalmente è un passo provvisorio in
direzione del superamento della dicotomia, dell’utilità di quelle categorie espresse a partire da un
pensiero dicotomizzante.
Le implicazioni di questo le vedremo man mano che discutiamo delle singole cose.
Il sistema mondo che è lì nel titolo era il sistema mondo moderno, come viene definito da
Wallerstein. L’unità di analisi è un sistema-mondo, uno spazio più ampio rispetto a quello a cui si
era abituati a pensare. Quali sono i confini di questo sistema mondo? Non li ho, per definizione.
Non c’è più il confine dello stato a dirmi che quello è il nostro spazio. Va definito, cioè quando mi
voglio occupare di qualcosa, di una porzione di processo costitutivo, devo pormi il problema
di quale sia lo spazio significativo. Devo definire storicamente, cioè nel tempo, i confini
spaziali, geografici, del sistema-mondo. Come faccio? Ora l’opzione di Wellerstein è
un’opzione per così dire materialistica che l’ha esposto ad abbondanti critiche di economicismo.
Lui parte dal chiedersi che cos’è che costituisce uno spazio. La sua opzione è quella di guardare,
di volta in volta nel corso della storia, all’estensione geografica della divisione del lavoro.
Che cos’è la divisione del lavoro? (risposta di alcune studentesse): ognuno ha un compito ben
preciso, una catena di montaggio, forse il fordismo. Questi sono esempi di una divisione del lavoro.
Oppure Adam Smith, che nell’opera “La ricchezza delle Nazioni” c’è l’analisi sulla divisione del
lavoro interna alla fabbrica, c’era una suddivisione delle diverse fasi per cui a ciascun operaio
parziale viene assegnato un compito preciso. (Risposta professore) Una divisione del lavoro
rimanda al fatto che tra una varietà di individui, che possono essere quelli che abitano una
stessa casa (fino al mondo del suo insieme), c’è una divisione di compiti. Non è che tutti fanno le
stesse cose, ma ciascuno impiega parte del proprio tempo in termini lavorativi per produrre
qualcosa per compiere un processo produttivo più ampio, più complesso. L’attenzione è quindi
alla divisione del lavoro su ampia scala che lega tra di loro processi produttivi collocati in
diverse parti del mondo, che sono però significativamente, e dunque sistemicamente connessi.
Qui parliamo di divisione del lavoro su una scala globale più ampia, non interna alla fabbrica
o all’unità produttiva, ma tra produttori, tra unità produttive. Queste unità produttive formano
delle catene di merci, le global value chain, le catene globali del valore. Questo concetto deriva
dal concetto formulato da Wallerstein e da altri in quegli anni. Una catena di merci è l’insieme dei
processi produttivi che sono legati tra loro perché costituiscono il modo in cui viene costituito
il lavoro, cioè tutte le diverse fasi lavorative necessarie a produrre un certo bene. Si parte dal
prodotto finito e si va all’indietro, ripercorrendo a retroso tutti i passaggi che quel prodotto finito ha
dovuto percorrere quello che è alla fine quando viene messo sul mercato. A partire da un bene finito
ci sarà una divaricazione, perché nel bene finito confluiranno vari componenti che vengono
assemblati, ciascuna della quali ha utilizzato elementi della produzione, che vanno dalle materie
prime necessarie a produrlo, più la forza lavoro necessario a produrre le materie prime, più quello
che è servito a tutti i soggetti coinvolti in questo processo produttivo a sostentarsi. Quindi metto la
mappa del mondo e comincio a segnarmi dove vengono svolte le diverse fasi del processo
produttivo che concorre alla produzione di un determinato bene. Una divisione del lavoro del
sistema mondo non è composta da un’unica catena di merci, ma da tante catene di merci. La
divisione del lavoro complessiva che mi servirà per definire quali sono i confini di questo sistema
mondo, l’avrò quando avrò tracciato, nello spazio del mondo, tutte quelle catene di merci che io
reputo connesse tra di loro. Sono connesse, come parti spaziali di processi produttivi, oppure sono
connesse perché i soggetti sono parte, al tempo stesso, di più catene di merci, fosse anche come
consumatori finali.
In termini generali, dal Cinquecento, questa divisione del lavoro era fatta dall’Europa, varie parti
dell’Europa, anche parti dell’Europa orientale, parti dell’Africa costiera, dell’Africa occidentale e
centrale, dove venivano presi gli schiavi per lavorare nelle piantagioni latino americane. Quindi
abbiamo sin dall’inizio l’unità di analisi: voglio comprendere quello che succede in Europa dal
Cinquecento? Non posso farlo se non tengono conto del fatto che quella zona è inserita in un
sistema più ampio i cui sistemi geografici abbracciano parti dell’Europa, dell’Africa, etc.
L’unità di analisi è il sistema-mondo. Il sistema-mondo moderno, che vedremo è un sistema
mondo capitalistico, è un esempio di sistema storico, di sistema mondo storicamente esistito. Prima
il mondo era diviso in sistemi storici, e ha continuato ad essere diviso in sistemi storici. Secondo
Wallerstein, la forma prevalente assunta dai sistemi storici, cioè quella dominante, negli ultimi
millenni, era stata una forma di sistema storico, di sistema mondo, che lui chiama impero-mondo.
Mentre fa riferimento al sistema-mondo moderno, quello che avuto origine nel XVI secolo, come
economia-mondo. Prima del Neolitico la forma prevalente erano i mini-sistemi. Che cosa distingue
questi sistemi? Anche qui, poiché dal punto di vista fenomenico (uso intenzionalmente questo
termine) all’interno di queste ampie divisioni del lavoro che costituiscono un sistema-mondo, trovo
una varietà di espressioni di qualsiasi cosa. Se io sto ricomponendo la dicotomia tradizione-
modernità, sviluppo-sottosviluppo, che sono le due facce della stessa medaglia, vuol dire che dal
punto di vista fenomenico, io ritroverò nella vita di questo sistema, processi che assumono le
sembianze di qualcosa che io ricondurrei a modernità e di qualcosa che ricondurrei alla tradizione,
qualcosa che ricondurrei all’essere avanzato o all’essere arretrato, al capitalismo o a sistemi storici
pre-capitalistici. Non posso definire un sistema sulla base della presenza di certe caratteristiche
fenomeniche. La tradizione marxista ha identificato il capitalismo con l’esistenza del lavoro
salariato. Il problema è che nelle piantagioni latino americane non c’era il lavoro salariato, c’era la
schiavitù, che per Wallerstein è capitalistica: i rapporti di produzione basati sulla schiavitù sono una
delle tante manifestazioni delle forme di organizzazione del lavoro all’interno di un sistema
capitalistico. Non sono meno capitalistiche del lavoro salariato.
A definire questo sistema è una logica organizzativa che diventa dominante. Mutamento e
continuità, sistema storico. La dimensione sistemica si esprime nel fatto che le azioni storiche col
tempo si strutturano in qualche modo, come i saperi. Da espressioni causali dell’agire, o
semplicemente contingenti dell'operare umano, si trasformano in metodi codificati al punto di
vista del sapere, si traducono in norme di vario genere. Il sistema-mondo moderno è un sistema
capitalistico, secondo Wallesrtein, perché il termine capitalistico conferma il fatto che la
strutturazione dei rapporti sociali all’interno di questo sistema sia espresso nell’imporsi di una
logica organizzativa e nella creazione di istituzioni sociali corrispondenti e funzionali a questa
logica organizzativa, che avevano come obiettivo e che premiavano, che ricompensavano, coloro
che agivano secondo la logica dell’incessante accumulazione di capitale. La dimensione sistemica
si esprime nel fatto che si strutturano una serie di norme che premiamo o ricompensano a
seconda che tu sei orientato o meno verso l’accumulazione di capitale. È così che definiamo il
capitalismo, non perché c’è qualcosa, c’è la democrazia, il lavoro salariato, o una particolare
cultura. Non è quello.
Questo sistema mondo che ha avuto origine nel XVI secolo, con il tempo ha avvertito
l’esigenza di allargarsi, di espandersi geograficamente, così da tirare dentro all’interno della
divisione del lavoro di questo sistema ciclicamente quelle altre parti del mondo che nel Cinquecento
ancora non erano parte e che erano altri sistemi storici. La storia di questo sistema-mondo
moderno è anche la storia della sua espansione, fino a coprire (secondo Wallerstein alla fine
dell’Ottocento) tutto il mondo. Alla fine dell’Ottocento c’è un unico sistema mondo sulla
terra, che è un sistema mondo moderno capitalistico, che ha incorporato dentro di sé tutte le altre
parti del mondo che fino a quel momento erano altri sistemi storici.
Questa è una versione di un’unità di analisi che vada oltre lo stato nazione, non è l’unica.