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LEZIONE 1

Partiamo dalla metà del Quattrocento e arriviamo alla Seconda Guerra Mondiale e forse anche un
po’ oltre.
Il manuale andrà studiato tutto, tranne le prime 46 pagine. Si inizia a pag. 47 con il capitolo “Le
origini della modernità”. Inoltre, bisogna studiare la cartografia che ci presenterà durante il corso,
così come fonti letterarie, iconografiche, video, articoli, ecc.: tutto ciò è parte integrante del corso.
Può chiederci di commentare una certa carta, una citazione che troviamo a lezione, e altro. Sono
materiali che accompagnano ogni singola lezione. L’esame inizia con un argomento a piacere, poi
farà domande e spazia sulle cose che il nostro manuale contiene e sulle cose che ha fatto a lezione.
E infine fa una domanda su uno dei due testi opzionali che dobbiamo studiare. Questi testi ce li
presenterà comunque in corso d’opera. Come possiamo preparare questo esame? Primo consiglio:
seguire regolarmente le lezioni. Avremo a disposizione le registrazioni delle 24 lezioni. La Prof. ci
consiglia di digerirle tutte, impararle con schemi ecc. e dopo aprire il libro.
La prima lezione potremmo intitolarla “Idee e rappresentazioni del nostro oggetto di studio, il
Mediterraneo”. Accanto alla crescita di centri e di istituzioni di ricerca, possiamo notare come oggi
stiano nascendo un po’ ovunque percorsi di formazione aventi al loro oggetto la storia del
Mediterraneo, riviste, master, corsi di laurea, centri di ricerca, ecc. L’aggettivo “mediterraneo”,
secondo la Prof, potrebbe aver influenzato un certo interesse in ognuno di noi. L’etimologia della
parola è abbastanza semplice, è ciò che sta in mezzo alle terre. Adesso ci mostra il PowerPoint della
prima lezione. Per i nostri avi il Mediterraneo era il “mare nostrum”, perché Roma realizza un’unità
politica su queste terre. Quindi, tutto lo spazio che si affaccia sul Mediterraneo si ritrova unificato, e
l’Impero Romano raggiunge la sua massima espansione nell’anno 117, l’anno dell’imperatore
Traiano. La Prof. ci chiede se questo concetto di “mare nostrum” si trova solamente nell’epoca
romana oppure se c’è, nell’era contemporanea, un altro utilizzo di questo concetto. La risposta è che
il recupero della latinità ha una doppia funzione: da una parte stabilisce continuità con l’antico e
quindi si nobilita un’esperienza, ma si legittima anche una vocazione coloniale dell’Italia fascista.
Quindi, “mare nostrum” viene ripreso in un’ottica coloniale in epoca fascista. Ad utilizzare la parola
“Mediterraneo” come sostantivo è un vescovo di Siviglia, Isidoro (630 d. C.), che scrive: “Iste est
Mediterraneus”. Per la prima volta non viene utilizzato come aggettivo. È detto così perché con le
sue acque arriva fino in Oriente, separando Europa, Africa e Asia. Questa era la definizione data da
Isidoro. Nel 711 d. C. gli Arabi superano lo stretto di Gibilterra e danno vita a un regno che durerà
fino al tardo 1400. In piena età illuminista (pensiamo all’Encyclopédie), a mille anni di distanza
dalla definizione di Isidoro, non troviamo una definizione molto diversa. Viene detto che il
Mediterraneo è il vasto mare che si estende tra i continenti e arriva a bagnare l’Asia. Nel suo
libricino, il Professor Giuseppe Galasso scrive che il Mediterraneo è uno spazio ben definito, di
dimensione onesta rispetto a grandi oceani, chiuso tra lo stretto di Gibilterra e i Dardanelli; questa
limitatezza geografica è ampiamente compensata da vicende storiche di una grande importanza da
fare di questo spazio un riferimento centrale e imprescindibile nella storia della civiltà umana. Non
per nulla, alcuni studiosi hanno parlato di un “continente mediterraneo”. Un altro studioso,
Salvatore Bono, nel suo volume “Un altro mediterraneo”, cerca le peculiarità di questo mare.
Secondo lui, gli studiosi hanno individuato vari “Mediterranei”, cioè mari chiusi, come Mar Baltico,
ecc. Ma, secondo lui, il Mediterraneo per eccellenza ha delle caratteristiche tipiche, la cui
complessità non trova confronti nell’intero globo. È il più chiuso e il più differenziato dei mari
mediterranei.
Insistiamo un po’ sulla geografia di questo mare. Il manuale parla della distanza da una costa
all’altra non è mai eccessiva, il clima mai ostile, e quindi determina delle condizioni di socialità
umana diversa da quella delle altre parti del mondo. Quindi ci saranno scambi tra le varie aree che
determineranno una sorta di “comunità mediterranea”, riconoscibile dai tratti del comportamento,
dalla concezione dell’esistenza. Questi scambi commerciali rappresentano anche in età moderna il
senso dell’area mediterranea; un’area di grande comunicazione. Questi scambi non determinano
solo pratiche materiali, merci, ma anche circolazione di uomini, di pratiche mentali e sociali,
credenze, idee, che consentono modalità diffuse di conoscenza e riconoscimento reciproco. In un
celebre passo del "Fedone", per bocca di Socrate, Platone equipara il Mediterraneo a
uno stagno intorno al quale abitiamo come ranocchi.
Un grande storico, Fernand Braudel, la cui opera principale che vediamo è “Il mediterraneo e il
mondo mediterraneo nell’età di Filippo II”. Solo dopo aver descritto la geografia, lo spazio, le
caratteristiche del Mediterraneo, descrive l’unità umana collettiva e poi infine la politica. Il
protagonista di quest’opera non è Filippo II, ma il Mediterraneo. Braudel usa l’espressione “pianura
liquida” per definire il Mediterraneo, per sottolineare le relazioni, gli scambi, le connessioni che,
secondo lui, hanno la meglio sulle distanze e sulle rotture. La figura di Braudel è ancora importante,
e la Prof. si collega al Museo “Mucem” di Marsiglia, il museo delle civiltà dell’Europa e del
Mediterraneo, inaugurato nel 2013, anno in cui Marsiglia è stata inaugurata capitale mondiale della
cultura. Adesso la Prof. ci mostra un video del Museo in questione. La Prof. ci parla appunto di
un’identità braudeliana molto forte proposta dal Museo. Si cerca di seguire i passi di Braudel e
affrontare il Mediterraneo, dal sedicesimo al diciassettesimo secolo, come un personaggio, un
protagonista, di cui si dovrà raccontare una storia scrivendola nella lunga durata. Quindi ci sono
parole molto forti: scambi, contatti, circolazioni. È Un Mediterraneo che è inevitabilmente
contaminazione. Il Prof. Mascilli Migliorini usa la parola “meticciato”, è un Mediterraneo
contaminato, così come lo è anche per la scrittrice algerina Wassyla Tamzali, che è stata vincitrice
del premio mediterraneo per la cultura nel 2009, assegnato dalla Fondazione Mediterraneo, grazie al
suo libro “Une éducation algérienne”. Una donna nasce in una famiglia di nobili algerini, e tutto
cambia quando il padre viene ucciso dal Fronte di Liberazione Nazionale nel 1954 nel corso della
guerra d’Algeria. Non solo la morte del padre, ma la nazionalizzazione delle proprietà della
famiglia, quindi un altro evento che ha un impatto molto forte sulla famiglia. Eppure, nonostante la
difficoltà di conciliare la storia familiare con il nuovo corso della politica Algeria, questa donna
vive grandi speranze e le utopie che accompagnano la costruzione di un nuovo Paese. Racconta
questa gioventù che si spende in utopie, in rivoluzioni, anche se quello causa una delegittimazione
profonda di tutta la storia familiare. Tamzali si rende conto che la nuova Algeria ha fatto piazza
pulita delle stratificazioni sociali e culturali che prima erano alla base del Paese. Nel passato, le città
algerine avevano accolto i rifugiati spagnoli dall’Al-Andalus.
L’idea del mondo mediterraneo “meticciato” emerge anche da un altro capolavoro di questa
letteratura, quello della scrittura nitida e semplice che rivolta tutti gli stereotipi come quello
dell’harem, ossia quello di Fatema Mernissi (“L’harem e l’Occidente”). L’autrice dice che il tratto
caratterizzante dell’harem non è la poligamia, può esserci ma può anche non esserci; il tratto
caratterizzante è la reclusione delle donne, lo spazio recluso e fortemente controllato. È lo spazio in
cui Fatema cresce insieme ai cugini di tutte le età, con i quali inevitabilmente le discussioni sono
continue, soprattutto sull’harem. Arrivo degli americani a Casablanca nel 1942: sono tutti colpiti del
fatto che ci siano i bianchi e i neri. I bimbi ridono perché in Marocco chiunque volesse separare la
gente in base al colore della pelle si sarebbero ribellati tutti. Si chiedono: ma a che scopo separare i
neri dai bianchi? Era un mistero che andava ad aggiungersi agli altri misteri.
Un altro autore importante è il croato Predrag Matvejevic nel suo libro “Breviario mediterraneo” del
1987, libro che è stato definito geniale, imprevedibile. È un libro che si compone di piccole tessere
di poche pagine, che si concludono tutte con la parola “Mediterraneo”. È attentissimo anche alle
culture materiali, e di mostrare un Mediterraneo come uno scenario in cui le diverse culture si sono
intrecciate e dove ognuna di loro ha lasciato le proprie tracce.
Ritornando al video che ci ha mostrato, ossia dell’intervista all’architetto del Museo di Marsiglia, il
Mediterraneo viene visto come “tutto luce”, in contrasto col buio dei Paesi del Nord. È
un’immagine turistica che inizia a farsi avanti nel corso del Settecento, quando l’Italia, e poi anche
la Grecia, diventano mete di eccellenza del viaggio. Sono immagini presenti anche nell’arte e
nell’antropologia.
La Prof. ci mostra un libro “Antropologia delle società mediterranee”, che presuppone che ci sono
dei tratti comuni alle società mediterranee. Ma quali sono questi tratti in antropologia? Il ruolo
intenso della parentela e della famiglia, la natura strumentale dei rapporti amicali, per cui risulta
difficile distinguere fra un’affettività spontanea, genuina, da un’affettività strumentale. La forza
anche di una vita sociale attraverso quartieri (si usa la parola “neighborhood”, vicinato), quindi una
vita sociale intensa a livello di micro-comunità e che si esprime anche in manifestazioni sociali di
tipo quasi teatrali. Ce ne sono altri ancora.
La Prof. chiude la lezione con un piccolo video, un piccolo estratto dal film “Mediterraneo” di G.
Salvatores del 1991, soffermandosi sull’idea di “Mediterraneo” che ne viene fuori. Ci metterà il link
nel gruppo Teams. I soldati del film si rendono conto di essere lì da ben tre anni, si sono persi la
caduta del fascismo. La lezione prossima ci chiederà qual è l’idea di Mediterraneo che emerge.
LEZIONE 2

C’è un’idea del Mediterraneo fuori dalla storia, il tempo del mito. Quindi, è un Mediterraneo
arcaico.
Ritorniamo a noi. Il titolo di oggi potrebbe essere “1453 e dintorni”. Partiamo dal lontano. Dal
Mille con l’impero bizantino.
Questa realtà statuale imperiale nella prima metà del 400.

Dopo 400 anni, l’impero si riduce a una piccola area intorno a Costantinopoli, fino alla caduta dello
stesso, nel 1453. È un impero in stato d’assedio da ogni parte. La Prof. ci mostra un’altra carta in
cui ci sono i progressi, l’espansione dell’Impero bizantino intorno alla città che continua ad avere
un fortissimo valore simbolico.
L’imperatore, a inizio del 400, capisce ciò che sta accadendo e chiede aiuto all’Occidente, sapeva di
avere le ore contate. Uno dei grandi protagonisti uno dei suoi interlocutori è il Papato, e in
particolare Eugenio IV, che dice all’imperatore che poteva aiutarlo ma in cambio di qualcosa: che la
Chiesa ortodossa rinunciasse alla sua autonomia, molto pesante.
Il Papa gioca su questa situazione di difficoltà per chiedere qualcosa di molto forte in cambio.
All’interno di quello che resta dell’impero bizantino, nonostante le difficoltà, nonostante la
situazione difficile, c’è chi preferisce gli Ottomani a Papa Eugenio.
Non è che le cose anche all’interno del contesto imperiale sia così pacifico. Tra le due chiese c’era
una tensione permanente, ma nella prima metà del 400 sembrava che le cose dovessero andare in
modo molto diverso. La Prof. ci mostra una bolla papale, il cui titolo è “Laetentur coeli” 6 luglio
1439 “che i cieli si rallegrino”, che esprime una grande felicità, sottoscritta a Firenze nel 1439 in un
clima estremamente solenne. Questo evento del 400 pesa sulla storia della città.
In questa bolla abbiamo una parte in latino, una è in greco, con tutte le sottoscrizioni. Papa Eugenio
insieme ai cardinali e agli ecclesiastici latini da un lato, nella parte greca la sottoscrizione
dell’imperatore Giovanni VIII Paleologo e tutti i prelati bizantini gli altri bizantini che lo
accompagnano.

Quali sono i punti dogmatico-teologici che separano queste due chiese?


Un primo punto riguarda lo Spirito Santo. A noi questo sembra molto lontano, ma anche le persone
di cultura non elevatissima nel 400-500 litigano per la religione. La religione entra nelle corde e fa
parte quasi della vita quotidiana. Dopodiché, un altro punto è il primato del papa di Roma, e infine
la dottrina del purgatorio.
Per gli orientali, lo Spirito Santo discende unicamente dal Padre per mezzo del Figlio.
Per i latini, procede dalle due persone unite del Padre e del Figlio, il Figlio non è un mezzo, ma lo
spirito santo discende per i latini da ambedue le figure. Questa dottrina si chiama Filioque.
La bolla è conservata nella Biblioteca Mediceo-Laurenziana nel cuore di F.
L’altro punto in questione era questa figura papale plenitudo potestatis, la pienezza del potere
papale che naturalmente gli orientali rifiutano, ma che sembra un accordo venga trovato, in realtà
Il Paleologo torna a Costantinopoli e questo decreto non verrà applicato, però quello è un anno di
speranza. La religione si intreccia aun problema strettamente politico-militare alla politica: il
Paleologo viene a Firenze per cercare di salvare l’impero bizantino, ma non ci riesce. La città resiste
a vari attacchi ma alla fine, quello del 1453, le sarà fatale. Già in quella primavera si comprende che
questo assedio non avrà un domani.
La geografia di Istanbul prima dell’assedio: dietro la Cattedrale di Santa Sofia, l’ippodromo, e da
quelle parto il Sacro Palazzo, palazzo dell’imperatore di Bisanzio, che già era in rovina prima
dell’assedio, già abbandonato. C’è una catena che doveva difendere la città, ma alla metà d’aprile la
flotta turca è come se venisse sollevata sulla collina, trascinata attraverso dei rulli e riesce a
penetrare nel corno d’oro. Quindi, il poco di naviglio che era rimasto bizantino viene distrutto e il
destino della città è segnato. L’ultimo imperatore d’oriente, Costantino XI, viene ucciso in battaglia,
vengono sterminati anche i vebeziani e genovesi che avevano cercato di aiutare Il conquistatore si
chiama Maometto II, ha appena vent’anni e fa di questa città la capitale del suo impero. La Basilica
di Santa Sofia viene convertita in moschea e diventa il centro religioso della capitale.
La Prof. ci parla de Le verità dei vinti: quattro storie mediterranee. Quali sono queste storie? Sono
delle storie che lui scrive dalla parte dei vinti. I primi vinti sono gli abitanti di Costantinopoli prima
della conquista da parte degli Ottomani, 28 maggio 1453. La seconda storia mediterranea è
Alessandria d’Egitto, l’alba del 1° luglio 1798, altro anno chiave della storia mediterranea, l’arrivo
di Napoleone in Egitto. Poi Napoli, lo sbarco dei liberatori… Infine, Algeri, mezzanotte, 10 agosto
1956, l’esplosione di una bomba e l’inizio di una battaglia che sarà a lungo negata ed è la battaglia
di Algeri. La Prof. ci mostra una pagina del libro, in cui la città si riempie di prodigi, una cosa che
caratterizza le società precedenti alla Rivoluzione francese, dal 400 al 600, società che credono nei
prodigi. Bambini che cadono dalla finestra, sopravvivono e vengono attribuite queste cose a dei
miracoli, ecc. Quindi, si parla di prodigi. Il prodigio erano queste fiamme che si riuniscono in cielo
e si abbattono sulla popolazione, corrispondono all’abbandono di Dio. Il prodigio dell’abbandono.
La Prof. ci mostra poi il ritratto di Maometto II che si trova a Londra alla national gallery Il
ritrattista è Gentile Bellini, veneziano, che incontra davvero Maometto II, perché visita la città nel
1479/80 in missione diplomatica.
È senz’altro un passaggio cruciale nella storia del Mediterraneo, gli Ottomani cancellano
letteralmente l’Impero Romano d’Oriente, si installano stabilmente nel mondo Mediterraneo
partcicolarmente orientale ma non solo, estendono la loro influenza sul Mar Nero, mentre molti
intellettuali bizantini si rifugiano in Occidente. Uno dei principali letterati dell’epoca è il cardinale
Bessarione, che scriverà a riguardo. Presa depredata saccheggiata dai abrbari più inumani, dai più
selvagi nemici della fede cristiana, dalle più ferie tra le belve.
Mentre molto pragmaticamente Genova e Venezia e le loro oligarchie mercantili e commerciali
riconoscono il nuovo sultano e ne ottengono dei privilegi, tutto lo spazio europeo è pervaso da una
grande paura ha paura del mondo turco/ottomano. Anche perché Maometto II non si ferma a
Costantinopoli, si estende il suo dominio alla Serbia orientale, al Peloponneso, alla Bosnia,
all’Albania, nonostante la stregua difesa del principe dell’Epiro, che cerca di raccogliere attorno a
sé il mondo albanese che è Giorgio Castriota Scanderbeg, eroe nazionale albanese. Anche a Roma
c’è un monumento di Giorgio C. S., in piazza Albania, dove si celebra l’annessione dell’Albania
all’Italia 1940. Il monumento più recente di Castriota è a Parma, che ci racconta un’altra storia. Il
sindaco di Parma Pizzarotti, ex grillino, dà vita a questa iniziativa della comunità albanese di Parma
e provincia. La storia di Castriota continua ad essere importante per gli albanesi. Il Castriota si lega
anche alla storia del Sud, perché nel 1459 viene in soccorso a Ferrante d’Aragona, impegnato
contro gli Angiò, e in ricompensa gli concede alcuni feudi. La famiglia poi sarà accolta a Napoli e
le sarà riconosciuto la nobiltà e l’importanza che meritava. In Puglia si organizzò una mostra su
Scanderbeg in onore dei 1500 anni dalla sua morte a Lecce.
Facciamo un passo indietro rispetto al 1453, per vedere attraverso una carta chi erano questi
Ottomani e come riescono in un’impresa così importante. Le origini di questa dinastia sono vaghe.
Quello che sappiamo è che il fondatore dovrebbe essere stato Osman I, a inizio Trecento. La povera
Costantinopoli, per adesso salva, è rosa. Un rosso scuro rappresenta il cuore primogenito
dell’Impero ottomano, ed è la penisola anatolica. Poi, l’impero si estende a fine 300 anche ai
Balcani, dove questa carta ci mostra anche la presenza di stati vassalli. Nel 1381 ci fu la conquista
di Adrianopoli, chiamata Edirne all’epoca, dove gli ottomani stabiliscono il loro comando militare.
Il primo grande tentativo di assedio a Costantinopoli muove nel 1394, ma non ce la fanno, hanno
una grave disfatta ma poi i tentativi sono ripetuti, fino a quel fatidico 1453. Una conseguenza forte
della caduta dell’Impero Romano d’Oriente e di Bisanzio, di questo arrivo di intellettuali bizantini
nello spazio occidentale-europeo è la diffusione a macchia d’olio della paura del turco. Qui c’è il
segno che è difficile capirlo con gli occhi di oggi.
Facciamo degli esempi. La paura del turco, Il cambiamento di un assetto generale porta la Francia e
l’Inghilterra a porre fino alla Guerra dei Cento anni. La Francia si avvia a un processo di ad
un’unificazione nazionale che si conclude sotto Carlo VIII (1483-1498). Questo signore nel 1494
arriva in Italia e dà inizio a quella fase definita dagli storici con il nome di guerre d’Italia. Con lui,
proiezione al Mediterraneo della Francia. Carlo VIII si sposa con Anna di Bretagna, figura
importante (scultura a Nantes).
L’Inghilterra entra in periodo di una guerra civile, che si conclude con l’avvento dei Tudor. Anche
in Italia ci sono dei contraccolpi dove ai potentati del momento viene in mente un’idea intelligente:
mettersi d’accordo e raggiungere un equilibrio in uno spazio così frammentato e caratterizzato da
realtà istituzionali. Da una parte ancora assetti repubblicani, dall’altra principati. Nell’Italia
moderna questa co-abitazione di principati e repubbliche perdurerà a lungo. Ci viene in mente
Venezia, ma anche la Repubblica di Genova, e anche la piccola Lucca. Lucca difende strenuamente
durante tutta l’età moderna il suo assetto repubblicano e crolla solo nel 1815. Lucca è l’oggetto
degli studi di un grandissimo storico dell’età moderna, Marino Berengo. Anche Siena è repubblica,
ma lo resterà per poco, perché a metà 500 entra nello spazio mediceo.

35:00
Siamo nel periodo della pace di Lodi. Milano è una minaccia sia nei confronti di Firenze che di
Venezia. Quello italiano è comunque uno spazio estremamente fragile, dove può succedere da un
momento all’altro qualcosa che ribalti questo equilibrio. A metà 400, comunque, Venezia si
prolunga lungo un bel pezzo di Adriatico, un territorio che ancora oggi conserva dei segni
importanti di presenza veneziana. Si delinea la figura di un principe molto importante nato a
Firenze, Lorenzo de’ Medici.
Adesso ci cimentiamo su un video sulla figura di Lorenzo, e di come l’arte si intrecci con il potere,
ovunque, ma senz’altro Firenze fa sul lungo periodo una delle cifre di riconoscimento del suo potere
e della sua immagine. Ospite è un grande storico, Franco Cardini. Il video (che dura 20 minuti) si
chiama: Tempo e la storia – Lo splendore della Firenze dei Medici.

LEZIONE 3

Non c’è distinzione tra frequentante e non frequentante.


La lezione sarà dedicata al tema delle nuove rotte, le nuove esplorazioni geografiche dell’età
moderna del Mediterraneo. Ci mostra una cartina del 1210. E un’altra di metà 400. Ci fa capire una
variazione estremamente importante nello spazio iberico. Sostanzialmente, in un paio di secoli la
diminuzione molto evidente del regno di Granada, e quindi della presenza araba all’interno dello
spazio iberico. Ci presenta un sito dove è possibile cercare cartografie attendibili
(www.legacy.lib....).
Quali sono le caratteristiche spagnole di questa fase: organizzata, regnano cristiani e contengo lo
spazio alla presenza araba o musulmana. Questo confronto militarizzato è in atto dal dodicesimo
secolo. Tra i regni cristiani, quello che mostra una proiezione mediterranea più forte è senz’altro il
Regno d’Aragona. Ci propone un’altra carta presa da Wikipedia. C’è la Corsica e il Ducato di
Atene, controllato dagli Aragonesi. La data importante è il 1282, in cui gli Aragonesi si insediano in
Sicilia, è l’anno dei cosiddetti Vespri siciliani. Vespri perché la ribellione contro gli Angiò, contri i
francesi, esplode all’ora del tramonto. Poi ci ha inserito un dipinto di Francesco Hayez che si
colloca nel momento in cui c’è una rivisitazione in chiave risorgimentale della storia nazionale. Nel
1282 il regno di Napoli diventa un’entità a sé. Altra data è il 1492, in cui Alfonso il Magnanimo, r
d’Aragona, si impadronisce del regno di Napoli e i domini, Napoli e Sicilia, vengono riunificati.
Alfonso fissa la sua sede a Napoli e ottiene all’interno dei domini aragonesi la separazione del
Regno di Napoli dagli altri domini. Nel Regno d’Aragona, Catalogna e in particolare Barcellona si
distinguono per la loro vocazione mercantile. Barcellona è fondamentale negli scambi commerciali
mediterranei, e questa importanza ci è ben segnalata dalla presenza di mercanti e consoli nei
principali porti del Mediterraneo. Già nel Medioevo i consoli hanno una funzione anche di
protezione delle cosiddette “nationes”. Le nationes non sono le nazioni come poi le intenderemo,
ma sono i gruppi di abitanti che hanno una stessa provenienza. Si avvalgono di consoli per
esprimere tutta una serie di necessità e di bisogni nei confronti delle autorità locali. La Catalogna si
distingue per un particolare autonomismo e per l’autorità delle sue cortes. Le cortes sono assemblee
rappresentative territoriali. La Prof. fa un collegamento all’autonomismo di questa zona, ai tratti
culturali forti della Catalogna anche oggi. Nel 2017 c’è stato un referendum della Catalogna.
Secondo i dati forniti dal governo catalano, più del 90% degli abitanti si è espresso per il sì. C’è
stato uno scontro fra Madrid e le autorità catalane. La questione è ancora in stallo. Questa tensione
di lunghissimo periodo della Catalogna con Madrid si esprime anche a livello simbolico e culturale.
La Prof. ci mostra un piccolo video (YouTube: Spagna, la Corte costituzionale boccia il no della
Catalogna alle corride). Dietro questioni apparentemente animaliste, si annidano tensioni politiche
di altro genere. Rispetto all’Aragona, la Castiglia è territorialmente molto più estesa. La Castiglia ha
mangiato un regno che prima era musulmano ridotto a poca cosa a metà 400. Per questo, si parla di
una società fortemente militarizzata. In questo spazio castigliano, la Chiesa ha una particolare forza
e connotazione militante che non ha in nessun altro paese europeo nel sostegno della liberazione dai
mori. C’è un’osmosi fortissima tra la monarchia castigliana e la Chiesa, in funzione militante, in
funzione anti-mori e questo è un tratto di lungo periodo della Chiesa castigliana. Fra 300 e 400 la
Castiglia è una grande produttrice di lana nella parte centro-meridionale e gli allevatori sono riuniti
in una grande organizzazione, la Mesta, e attualmente sono in atto anche processi di valorizzazione
di questo patrimonio culturale.
Una data chiave per la storia spagnola è il 1469, fondamentale. È il matrimonio di un re d’Aragona,
Ferdinando il Cattolico, con Isabella di Castiglia. Questo matrimonio avvia lo spazio iberico di un
processo di riunificazione, anche se questi domini mantengono i loro tratti identitari e anche le loro
caratteristiche istituzionali. Queste sono le caratteristiche degli stati dell’antico regime, antecedenti
alla Rivoluzione francese (compresenza non di uno Stato come lo intendiamo oggi, in cui c’è un
accentramento di competenze; lo Stato dell’antico regime è molto più complesse circa il
frastagliamento delle competenze istituzionali).
Di questa fase iberica molto importante anche è un’altra data: 1478. L’anno in cui Isabella e
Ferdinando ottengono dal Papato il permesso di istituire un Tribunale dell’Inquisizione.
Attivissimo, agisce soprattutto contro i moriscos e i conversos. Quindi, i moriscos sono i
musulmani, i conversos sono gli ebrei convertiti. Agisce per conversioni anche forzate. Lo spazio
iberico è uno spazio dal quale vengono espulse migliaia e migliaia di persone: dalla Spagna almeno
100.000 ebrei. Battesimi forzati, decreti di espulsioni di tuti i mori non convertiti. La Prof. ci mostra
una carta di come dalla Spagna ci sono insediamenti ebraici nello spazio italiano a causa di queste
espulsioni, con la conseguente creazione nelle città italiane di spazi che si chiamano ghetti, con tutte
le loro peculiarità.
Il 1492 è un’altra data importante. L’anno in cui Ferdinando ed Isabella, dopo 12 anni di operazioni
militari, chiudono un’altra importante partita. L’hanno vinta nei confronti del regno musulmano di
Granada. L’Alhambra è il palazzo del regno di Granada. Circa 6.000 musulmani sono espulsi in
Africa. Sarà il Portogallo, autonomo fino alla fine 300, a dare avvio per primo a una politica di
esplorazioni. La figura chiave è il re Enrico il Navigatore, 1433-1460, figura affascinante e
complicata, è un matematico, cosmografo, fondatore della prima scuola navale al mondo. La
capitale, Lisbona, è già una sede commerciale molto importante tra 300 e 400. La Prof. ha messo
una carta che ci mostra questa direzione portoghese da Lisbona a costeggiare l’Africa. La carta ci
mostra le principali rotte delle spedizioni, che portano a una progressiva integrazione economica del
mondo. Costringono la civiltà europea a rivedere le proprie considerazioni geografiche e
antropologiche. È un mondo che si apre, e di cui si hanno gli strumenti per conoscerlo.
La Prof introduce la figura di un bulgaro, Tzvetan Todorov. (1939-2017). Il tema della sua opera
“La conquista dell’America” è più che altro la scoperta che l’io fa dell’altro. La cultura ci crea dei
limiti di cui non abbiamo una consapevolezza nel rapportarci all’altro. Secondo Todorov, Colombo
parla degli uomini che vede solo perché fanno parte del paesaggio. Nel 1493, Colombo in una
lettera parla delle miniere e al tempo stesso degli abitanti. Gli indiani, agli occhi di Colombo, sono
privi di identità culturale, mancano di costumi, di riti, di religione. C’è anche la sua abitudine di
vedere le cose così come gli conviene di vederle, anzi, come sa vederle dice la Prof. Le due cose
però stanno vicine ci dice la Prof. Colombo ha questa difficoltà all’approcciarsi all’altro, non lo
vede. Gli indiani per lui si assomigliano perché sono tutti nudi. Disconoscimento della cultura
indiana. Con queste premesse, dice Todorov, non possiamo aspettarci nei ritratti di Colombo una
vera rappresentazione degli indiani. Colombo ha deciso di ammirare tutto e quindi la struttura
fisica: i corpi erano ben fatti, alti, belli, ma nella realtà non riconosce dignità cultura di quelle
persone, anzi tutt’altro. Colombo non capisce che, come le lingue, anche i valori sono
convenzionali, cioè si meraviglia dell’attenzione che ricevono oggetti per lui di nessun valore.
L’oro non è più prezioso del vetro per loro, ma lo è nel sistema di scambio europeo. Si ha
l’impressione che in questo caso lo stupido sia lui. Per Colombo, un diverso sistema di scambio
equivale a mancanza di sistema. E conclude che gli indiani sono delle bestie. Cosa genera questo
disconoscimento? Un comportamento di superiorità, protettivo. Anche questo paternalismo può
essere una forma a sua volta di disconoscimento intellettuale e culturale.
Torniamo a queste nuove rotte. Enrico il Navigatore. La ricerca dell’oro e degli schiavi è un motore
importantissimo di questa ricerca di nuove rotte. Gioca moltissimo anche il fatto che, a metà 400,
quel Mediterraneo orientale sia bloccato, sotto il controllo ottomano e quindi si cerchi un modo per
bypassare questo spazio e cercare appunto nuove rotte. Colombo, nel 1492, in realtà viaggia verso
ovest ma pensa di incontrare l’Oriente. Scopre un nuovo continente, dà l’avvio ad altri viaggi di
esplorazione, tra i quali ricordiamo quello di Magellano del 1519, che compie per la prima volta
nella storia la circumnavigazione del globo, supera il continente americano dal Sud, dalla terra del
fuoco. Questi viaggi avrebbero dovuto mettere castigliani e portoghesi in contatto con i popoli
dell’Oriente. Quindi, si viaggia verso Ovest e si cerca l’Oriente, e si cerca di bypassare il blocco
dell’impero ottomano in tutta la fascia del mediterraneo orientale. Sul lungo periodo, queste
esplorazioni decretano la supremazia economica e militare del Mediterraneo sul resto d’Europa. È
una supremazia di lungo periodo. Sappiamo quanto sarà lunga la dominazione spagnola in America
del Sud, e portoghese, soprattutto commerciale, lungo queste rotte esplorate.
La Prof. ci mostra un documentario (che guarderemo per 25 minuti), che ci fa capire la concorrenza
tra corti europee (ad arrivare per primi alla conquista di questi luoghi), il ruolo di Venezia e le
spezie, e ci fa riflettere anche su cosa sono le fonti per lo storico (Vasco da Gama, Alberto Angela,
postato da Ulrich).

LEZIONE 4

Possiamo intitolare questa lezione “Guerre d’Italia e ambizioni mediterranee”. Con questa lezione
ritorniamo nello spazio italiano. Metà 400. 1454 Pace di Lodi. Questo momento rappresenta un
punto di equilibrio tra diversi potentati.
Lorenzo de’ Medici muore nel 1492. Era un punto di equilibrio anche se punto di equilibrio un po’
instabile. Giuliano, il fratello, verrà ammazzato in una congiura. Lorenzo ha fatto l’errore politico di
allearsi contro il Papato, che fino alla metà del 500 rimane un attore politico di primo peso nella
vicenda italiana. E non solo italiana ovviamente.
1492. Morte di Lorenzo. Colombo che va ad ovest pensando dir aggiungere l’Oriente. Ma non solo.
In quest’anno cade il baluardo musulmano nello spazio europeo: il regno di Granada. Viene
cancellato da Isabella e Ferdinando dopo una serie di durissime operazioni militari.
L’equilibrio italiano instabile si rompe nel 1494. E anche il 1499 è fondamentale. Questa due date
aprono e chiudono le Guerre d’Italia. Cosa succede? C’è un re francese che vuole entrare in Italia.
C’è un deterioramento dei rapporti fra questi piccoli e grandi potentati italiani. Un personaggio
importante è Ludovico Sforza, il Moro. Egli mobilita il re di Francia Carlo VIII. Sappiamo che
Carlo VIII si sposa con Anna di Bretagna. Allora, Ludovico, un personaggio di difficile governo,
sta reggendo il Ducato di Milano in nome del nipote legittimo (Giangaleazzo Maria). Il nipote viene
fatto sposare ad Isabella d’Aragona. Questi sono matrimoni fatti unicamente per arrivare ad alleanze
politiche. In particolare, questo matrimonio sancisce un’alleanza forte: Milano-Napoli. C’è però un
problema: Ludovico dovrebbe farsi da parte e aprire le porte al nipote, ma non ci pensa neppure.
Isabella inizia a far presente questa strana situazione. Sale la tensione tra Napoli e Milano.
Ludovico si muove temendo qualcosa. Ludovico cerca allora alleati perché teme qualcosa da parte
napoletana. Si allena con Venezia e fa un’alleanza preventiva con la Francia. Carlo VIII arriva in
Italia attraverso una marcia trionfale, con un esercito attrezzato in modo molto diverso da quello dei
potentati italiani. Il suo passaggio ha dei contraccolpi fortissimi su queste città attraversate. A
Firenze vengono cacciati i Medici, accusati di arrendevolezza di fronte alla presenza francese, e per
quattro anni la città sarà governata da un frate domenicano, Girolamo Savonarola, il quale farà una
tremenda fine perché sarà arso vivo in Piazza della Signoria nel 1498. La renderà una sorta di
Gerusalemme, moralizzazione dei costumi molto forte. La Francia, con questo irrompere in Italia,
sta ritrovando un rafforzamento nello spazio mediterraneo. Grossomodo, intorno al 1480, prende
corpo nella corte francese un progetto vago ma suggestivo che è quello di intervenire nello scenario
mediterraneo recuperando addirittura i territori ex bizantini. Tra il 1453 e il 1480 non passano
moltissimi anni. Restaurare il titolo imperiale d’oriente in favore però della casa di Valois. Nel
febbraio 1495, Carlo VIII entra a Napoli, ne rivendica il trono attraverso la figura della nonna
paterna che era un’Angiò. Dice: questa è casa mia, fuori gli Aragonesi! I quali saranno, così,
costretti a spostarsi in Sicilia. Cosa emerge? Debolezza del quadro degli Stati italiani, la forza
dell’esercito di Carlo VIII e soprattutto un’incapacità da parte di questi staterelli italiano a divenire
a degli accordi per prevenire quello che sta accadendo sotto gli occhi di tutti. Arrivato a Napoli,
questa situazione però dà una sorta di scossa a tutti quanti e si forma una lega contro la Francia tra
vari stati italiani, sostenuta ovviamente dalla Spagna, che vede malissimo la perdita del Regno di
Napoli. Carlo VIII vede allora che il clima politico sta rapidamente cambiando: il timore è quello di
rimanere un po’ accerchiato da tutti, quindi repentinamente decide una ripartenza da Napoli. Calata
molto rapida ma altrettanto rapida ripartenza. In sostanza, ai primi del 500: 1504 c’è un trattato che
spartisce la penisola in diverse aree di influenza. La Spagna si mette d’accordo con la Francia: la
Spagna si assicura il Regno di Napoli, la Francia il Ducato di Milano. Quando parliamo di Spagna
parliamo di Ferdinando il Cattolico che vuole fare i conti con quel ramo cadetto aragonese che, fin
dal 1442, aveva ottenuto per il R. di Napoli una sua autonomia. Quindi voleva approfittarsi di
questa situazione e regolare il conto con il ramo cadetto aragonese. Sulla Treccani emerge questo
profilo di Ferdinando il Cattolico: tipicamente aragonese, proprio di Ferdinando d’Aragona fu
l’attività espansiva nel Mediterraneo e soprattutto in Italia, mentre quello di cui andremo a parlare è
di un’anima più castigliana, la politica verso il Maghreb e l’Africa del Nord. In altre parole, Il
Ferdinando aragonese vuole riappropriarsi degli spazi mediterranei e soprattutto quelli italiani,
mentre il Ferdinando castigliano esprime una politica difensiva nei confronti dell’Africa del Nord.
C’è una tregua. 1504. Questo permette agli spagnoli di concentrarsi sulle coste dell’africa del nord,
dove i musulmani, espulsi dallo spazio iberico, minacciano la Spagna. Melilla viene occupata nel
1497 ed è ancora oggi, insieme a Ceuta, territorio spagnolo. Nel 1509 è la volta di Orano, nel 1510
di Tripoli. È una Spagna che si protende in questo primo 500 negli spazi del Maghreb, ma lo fa più
che altro per motivi difensivi, ben diverso quindi dalla Spagna che negli stessi anni fa una politica
verso il nuovo mondo. È una Spagna che mantiene queste due posizioni. Colpisce il fatto che
tutt’oggi Ceuta e Melilla sono ancora uno spazio spagnolo, uno spazio che ancora è in difesa. La
Prof. ci parla di un servizio di Francesca Nava su La7 che vide nel 2014 (Francesca Nava per
“Piazza pulita”, inchiesta su Melilla): ci mostra il video YouTube corrispondente (Melilla. Passano
le merci, muoiono le persone). È una situazione dell’oggi che però ha le sue radici nel primo 500. È
un inferno quella situazione. Ci sono stati un po’ di progressi che la Prof. è lieta di comunicarci (lo
legge dal Fatto Quotidiano del 19 agosto 2020): “la Spagna costruirà il muro anti-migranti più alto
al mondo per sigillare ulteriormente le sue due enclaves in terra marocchina, Ceuta e Melilla, e
annuncia l’intervento come un modello di etica. [..]”. Questo è il grande “progresso” dei diritti
d’umanità. “Enclave”, pronunciato alla francese, significa proprio “chiudere con una chiave” ed è
un terreno che si trova all’interno di una proprietà altrui, un territorio completamente circondato da
territorio appartenente a uno Stato diverso da quello che ha la sovranità su di esso. In questo caso,
sia Ceuta e Melilla sono due enclaves. La Prof. ci consiglia una lettura: “L’ingrata”, di Dina Nayeri.
Iraniana, nata in Iran nel 1979, scappata da bambina dal suo Paese, fa una carriera negli Usa. È un
libro che pone molti problemi su cos’è la narrazione di sé e della propria storia.
Torniamo al nostro 500. La Spagna si sta proiettando con scopi difensivi sullo spazio costiero del
Nordafrica. Approfitta di una pausa nelle Guerre d’Italia per cercare di regolare un po’ i conti con
questi corsari che affollano le zone costiere dell’Africa del nord. La Francia, che ha tentato di
proiettarsi sul Mezzogiorno italiano, a un certo punto se n’è andata e con questi accordi di primo
500 si è dovuta “accontentare” del Ducato di Milano. Venezia ha cercato di estendere il suo
dominio a spese di Milano ma è stata fermata nel 1509 con una battaglia, quella di Agnadello, da
una coalizione di Stati che hanno cercato di fermarla. La prima fase delle Guerre d’Italia si chiude
nel 1516 con la Pace di Noyon, un accordo tra Spagna e Francia che conferma quello che abbiamo
già visto in un accordo precedente: alla Francia il ducato di Milano, il Regno di Napoli spagnolo.
Con la seconda e terza fase delle Guerre d’Italia, che trovano una conclusione nel 1519 con la Pace
di Cateau-Cambrésis, entrano in campo altri protagonisti: Carlo V d’Asburgo su tutti. Lui ha nonni
illustri, Ferdinando d’Aragona e Isabella da una parte, quindi lo spazio iberico, e poi lo spazio
asburgico, Massimiliano d’Asburgo e Maria di borgogna. Una quantità di spazi ereditati molto
ampi. Eredità spagnola, borgognona ed austriaca. Spazio iberico: Castiglia ed Aragona unificate dai
nonni, ciò che è spagnolo dello spazio italiano. È interessante anche quello che gli arriva da Maria
di Borgogna: l’area tra lo spazio francese e quello tedesco, la Franca contea, e i Paesi Bassi
spagnoli, più questo lembo che è l’eredità asburgica. Lo spazio asburgico e del Sacro Romano
Impero, ci siamo soffermati poco. Vediamo su una carta com’era il Sacro romano impero
germanico a metà 400. È una fascia di territorio ampio, ed era ormai tramontato il sogno
universalistico di un impero universale da parte di Federico I e Federico II di Svevia. La cosa
particolare di questa realtà imperiale è che l’imperatore viene eletto. Ci può sembrare bizzarro, ma
ci sono dei grandi elettori laici ed ecclesiastici che si mettono d’accordo, votano per conferire
questa dignità ancora importantissima in questo momento. Nel corso del 400, fra tutti i casati
emergono gli Asburgo, e di fatto si mantiene questa eleggibilità dell’imperatore, però nella realtà
non esce da questo casato che sono gli Asburgo. C’è una procedura elettorale da mettere in atto. La
cosa che ci può sembrare curiosa, pensando comunque ad uno spazio tedesco, è che nel 1519,
quando Massimiliano d’Asburgo muore, c’è un re francese, Francesco I, che cerca di portare gli
elettori dalla sua parte. Quindi, abbiamo visto che la Francia cerca di spingersi in Italia, e con Carlo
VIII c’è la suggestione di recuperare un titolo imperiale perduto, e che gli ottomani hanno steso.
Dopo, Francesco I cerca di manipolare gli elettori per avere lui quel titolo di imperatore. Non gli
riesce, anche perché Carlo V, il nipote di Massimiliano d’Asburgo, ha tanti soldi da mettere per
sostenere la sua causa. Il sogno anche di Carlo si realizza e diventa imperatore. Il problema di
questo grande personaggio è che coltiva un disegno universalistico che era degli imperatori
duecenteschi/trecenteschi. I nemici sono comunque molti. Da una parte la Francia, che sta
contendendo dal 1494 l’egemonia sullo spazio italiano, gli ottomani nell’Europa centro-orientale
ma anche nel Mediterraneo, e poi i principi tedeschi all’interno dello spazio germanico, principi che
hanno aderito alla Riforma protestante e quindi appoggiano Lutero anche con istanze politiche
antimperiali (spesso politica e religione sono estremamente mescolate). Infine, anche spinte
autonomistiche all’interno dello stesso spazio iberico. Carlo V ha tanti problemi quindi da risolvere.
In ogni modo, la guerra nello spazio italiano riprende; un momento chiave è la sconfitta nel 1525
dei francesi a Pavia, e Francesco I re di Francia viene addirittura fatto prigioniero. Papa Clemente
VII, un Medici, in questo contesto fa l’errore di tenere come punto di riferimento i francesi e verrà
punito dolorosamente. 1527: sacco di Roma. Carlo V manda giù questo esercito incredibile che
mette a ferro e fuoco la città. Momento difficilissimo: per i protestanti questo è l’evento considerato
come il castigo divino per la corruzione che affligge Roma. C’è un personaggio che emerge in
questa vicenda: Giovanni Medici. Capitano dell’armata papale, tenta di fermare questo esercito di
lanzichenecchi che viaggia alle volte di Roma. La Prof. ci mostra una clip brevissima di un film che
ama molto, “Il mestiere delle armi”, 2001. In questa clip, Giovanni Medici scrive una lettera in cui
descrive l’esercito nemico che ha di fronte. C’è anche un residuo di una visione ottocentesca e
risorgimentale di G. Medici, visto quasi come un campione di italianità. È sfumata questa cosa nel
film. C’è un’idealizzazione di questo personaggio, l’unico in quel momento che poteva avere la
possibilità di fermare l’armata di lanzichenecchi. Il film fa vedere anche molto chiaramente come
l’azione del papato e di Giovanni Medici si collochi in un contesto di incapacità, da parte dei
principi italiani di agire concordemente per impedire quello che poi accadrà a Roma nel 1527. La
punizione è talmente dura che il papa non può che tornare sui suoi passi e chiudere le guerre d’Italia
nel 1530 con l’incoronazione di Carlo V a Bologna. Quindi inizia una fase che sancisce la presenza
forte di Carlo V nello spazio italiano. Il Ducato di Milano entra nell’orbita spagnola, il Meridione è
sotto controllo spagnolo, la Repubblica di Genova mette le sue flotte a servizio della Spagna. Nel
1535, Carlo V mette a segno un altro colpaccio, che è la conquista di Tunisi. Porta con sé anche un
pittore, Corneliusz Vermeyen, che immortalerà l’impresa.
Assestato un po’ lo spazio italiano, conquistata Tunisi, è un momento in cui Carlo riesce a fermare
gli ottomani, e anche un leggendario ammiraglio della flotta turca, detto il Barbarossa, di cui tanti
luoghi del Mediterraneo e del meridione d’Italia conservano memoria. Questa paura di queste
incursioni costella gli spazi meridionali, esempio: Torre del greco (Catania), Nardo (Lecce), Torre
Lapillo (Porto Cesareo), sono tutti luoghi che avevano la stessa funzione. Queste torri di
avvistamento sono legate a quest’epoca di difesa dagli ottomani e diventano il luogo per qualcosa di
molto diverso. La Prof. ci mostra questo video su YouTube: “Barilla ’99, ‘un mare d’amore’ 60
seconds spot”. Diamo uno sguardo all’archivio storico della Barilla: quanto erano consapevoli
coloro che hanno messo su questa comunicazione di quanto questo spazio rappresentava nei secoli
dell’età moderna? Vediamo come loro descrivono semola un mare d’amore. 1989: dove c’è Barilla
c’è casa. Ci dicono anche che la Torre di Capogalera, Alghero (Sardegna) è il luogo di questo. E poi
descrivono due giovani fidanzati arrivano ad una torre abbandonata a picco sul mare. La pasta viene
messa in una piccola feritoia da cui si vede il mare. Alla Prof. ha colpito molto il fatto che questo
luogo di paura diventa quasi il luogo della sicurezza.
Queste torri di avvistamento sono strumento di difesa di popolazioni dove la paura di queste
incursioni è fortissima. Chiaramente, per Carlo V in gioco c’è il controllo del Mediterraneo
centrale, centrale perché l’altro, quello orientale, è stato già bloccato dall’impero ottomano. La
vittoria degli spagnoli avrebbe senz’altro protetto i domini mediterranei, il successo dei turchi
avrebbe invece mantenuto unite le forze musulmane ed aperto anche una via ad un attacco in forse
contro l’Italia e il Mediterraneo occidentale. È un momento chiave. Appena Carlo mette a segno
questi colpi, come ad esempio la conquista di Tunisi, vediamo che naturalmente la Francia si allea
con l’impero ottomano. Questo è un asse strategico molto forte. È un momento in cui sembra che la
Spagna, che fin dal primo 500 si sta proiettando su questo spazio del Maghreb, si assicuri in qualche
modo il successo. In realtà, nel 1541 c’è il fallimento della spedizione di Carlo contro Algeri e, in
pochissimi anni, quello che è stato conquistato viene perso, a vantaggio del dominio ottomano. Qual
è il problema di Carlo V? Giocare su una molteplicità di fronti. Due si reggono, ma poi a un certo
punto diventano veramente troppi. Appena lui si concentra nello spazio mediterraneo, succede che i
francesi toccano all’attacco su quello italiano, perché non accettano quello che gli accordi del 1530
hanno sancito, cioè una Spagna forte su Napoli e Milano. Questo alla Francia non può andar bene.
Si riapre il conflitto nello spazio italiano nel 1536 e la Francia ha dalla sua parte Solimano il
Magnifico. Nel 1544, una tregua momentanea che permette a Carlo di tornare a concentrarsi sui
protestanti, un problema oramai irrisolvibile almeno dal 1517, anno particolare perché Lutero
affigge le famose tesi. Sarà Carlo che a un certo punto si ritrae da questa pluralità di conflitti nei
quali è immerso, stipulando prima una pace con i principi tedeschi, una sorta di tregua, la pace di
Augusta, e poi rinuncia per sempre al sogno di tener insieme tutto questo grande impero, e lo fa nel
1555-56 dividendo l’impero in due tronconi: la parte asburgica e la parte iberica. Per l’Italia, il
punto in cui le cose si fermano è la pace di Cateau-Cambrésis del 1559, con la quale abbiamo una
semplificazione dello spazio italiano, rispetto al periodo quattrocentesco. L’Italia che esce dalle
guerre d’Italia è un’Italia in cui l’influenza della Spagna, direttamente o indirettamente, è
estremamente forte. Si avvia anche una lunga fase di stabilità che però viene vista dagli storici in
modo molto negativo, come una fase di subordinazione politica, sudditanza dei potentati rispetto
alla Spagna. Quindi è una lunga fase vista come decadenza morale e politica. Da qui, l’uso di un
termine chiamato Risorgimento: risorgere da quello che stiamo dicendo. L’esigenza è quella di
uscire da una situazione di frammentazione e di irrilevanza politica a partire dalla pace di Cateau-
Cambrésis.

LEZIONE 5

Per riassumere quanto detto alla lezione precedente: in gioco in tutto questo periodo delle guerre
d’Italia c’è il controllo di tutta la penisola italiana, e soprattutto del Regno di Napoli, come chiave
d’accesso al controllo del Mediterraneo. Quando Carlo VIII, nel settembre 1494, si dirige verso
l’Italia, la spedizione di Colombo si è conclusa, ma il mar Mediterraneo ha ancora una sua centralità
nella storia politica ed economica globale. Abbiamo guardato Carlo VIII come il portatore di un
progetto suggestivo, di recupero addirittura di quello che era stato l’impero d’oriente, una
riproposizione di un progetto crociato che prende corpo nella corte francese intorno al 1480. La
scorsa volta la Prof. ci ha mostrato la clip “Il mestiere delle armi”, in cui emergeva qualcosa dalla
lettera da parte del comandante dell’esercito papale Giovanni Medici al duca di Urbino. Diceva che
i diversi staterelli italiani non possono avere la meglio sugli eserciti rivali più massicci, e quella di
cui egli parla è l’armata imperiale luterana dei lanzichenecchi che sta calando rovinosamente verso
Roma e che Giovanni Medici cercherà vanamente di fermare. C’è un punto della lettera in cui G.
Medici suggerisce allora di danneggiarli in altre modalità, con piccoli attacchi, dal momento che
riconosceva ormai che fosse un conflitto impari. Quanto a Carlo V, come sappiamo nasce nel 1500,
nel 1519 diventa imperatore (i francesi cercarono di soffiargli il titolo ma invano); con lui le
direttrici di espansione mediterranea sono sostanzialmente 2: Carlo marcia sul meridione d’Italia,
mira al controllo del Regno di Napoli, però non basta, perché il r. di Napoli è un punto di questo
conflitto. Poi, da altre parti preme l’impero ottomano, e Carlo V ha anche questo fronte da
controllare: deve in particolare regolare i conti con la turbolenta Africa del Nord dalla quale
iniziano degli attacchi corsari continui ai danni della Spagna. Abbiamo visto anche come nel primo
500 la Spagna arrivi a controllare luoghi come Ceuta e Melilla sui quali ha ancora un controllo
perché sono ancora enclaves spagnole in territorio altrui, che è quello dello stato marocchino.
1541. Per la storia di Carlo e del Mediterraneo è un altro anno importante, perché fallisce la
riconquista di Algeri, caduta in mano ottomana. A questo punto è bene precisare che la Spagna non
sarà più in grado di elaborare altri tentativi offensivi nel Mediterraneo. La superiorità ottomana sia
sulla parte orientale del Mediterraneo sia su quella centrale possiamo dirla veramente come
indiscussa ora e anche in fase crescente, almeno fino al 1571, la data di una grande battaglia, quella
di Lepanto. Lì abbiamo l’espansione ottomana che conosce un momento di stop.
Torniamo un momento sull’Italia. Carlo V a un certo punto lascia questo suo sogno universalistico,
si rende conto che i fronti da controllare sono troppi, e divide in due parti il suo grande impero. Da
questo momento in poi, dal 1555-56, noi parleremo di Asburgo d’Austria e Asburgo di Spagna
come rami distinti del casato e come territori distinti. Quelli che la prof. ci mostra su una slide
derivante da Wikipedia sono i domini di Filippo II, figlio di Carlo V, nel 1598. Notiamo che lo
spazio iberico è un tutt’uno, e questo giallo si espande là dove non immagineremo di trovarlo,
perché dal 1580 al 1640 abbiamo unione dinastica tra Spagna e Portogallo. Le due corone unite
sotto quella di Filippo II, che approfitta di una crisi dinastica portoghese nel 1580 e riesce ad
annettersi il Portogallo.
Ritorniamo sullo spazio italiano nel 1559 dopo la Pace di Cateau-Cambrésis. Rispetto alla penisola
italiana ai tempi della Pace di Lodi (1454), c’è una specie di semplificazione anche nel numero di
questi stati nella penisola. Pensiamo alla Repubblica di Siena, che prima vedevamo con un colore a
Sé nel Granducato di Toscana, ora invece fa parte dello spazio mediceo. Altro punto: vediamo, da
un punto di vista politico, un quadro complicato. Ci sono ancora delle repubbliche, come Venezia,
Genova, Lucca, altri che invece registrano il consolidamento di dinastie più o meno antiche con
conflitti di precedenza incredibili tra loro. I Medici in Toscana, i Savoia, i Farnese nel Ducato di
Parma, i Gonzaga a Mantova, gli Este a Ferrara, Modena e Reggio. Quando parliamo di quelle
repubbliche, però, dobbiamo tener presente un punto: ci rifacciamo a delle oligarchie, ceti sociali
chiusi. Sono cioè gruppi di governo a base cittadina, ossificati nei loro tratti, cioè repubblica non
deve evocare necessariamente dinamismo sociale. Ci sono, anzi, dei gruppi di famiglie che da
tempo controllano organi e si guardano bene da aprire i ranghi ai nuovi arrivati. Tipico e pragmatico
è il caso della Repubblica di Venezia, dove la cittadinanza si divide in varie parti: c’è una
cittadinanza chiamata inferiore, e i cittadini inferiori sono quelli che arrivano in città e magari non
hanno né arte né parte, devono avere un certo numero di anni di residenza a Venezia (ma le
magistrature sono abbastanza elastiche, spesso guardano alla cittadinanza considerando il progetto
di vita, cioè se quella persona ha l’intenzione di vivere a Venezia, se ha sposato una donna del
luogo, ecc.). Questi sono i cittadini inferiori, che dopo un tot di tempo vissuto nella città chiedono
di essere parificati ai nativi. A cosa serve questo tipo di cittadinanza? Ad avere diritti commerciali
ed economici. È una cittadinanza da spendere nel lavoro e nel commercio. Poi c’è la cittadinanza
originaria. Gli originari sono quelli nati nella città e sono in città da almeno tre generazioni: quelli
che possono provare questo legame antico della loro presenza in città. Con questa cittadinanza si
può arrivare ad avere impieghi importanti nella Repubblica di Venezia. Ma c’è un’altra cittadinanza
che è quella che dà i diritti più esclusivi: quella dei patrizi. Questa è una parte anche minore della
popolazione i cui nomi sono scritti nel cosiddetto libro d’oro. Tutte le città del centro nord hanno
questi libri d’oro, dove le famiglie dell’oligarchia locali può vantare alcuni requisiti ed alcuni
privilegi. Sono i patrizi veneziani che possono aspirare alle cariche più importanti. Questo per dire
che “repubblica” non è assolutamente sinonimo di dinamismo sociale e politico.
La fascia centrale dell’Italia post-Pace di Cateau-Cambrésis è quella di uno stato della Chiesa che è
stato per tutto il tempo delle guerre d’Italia un protagonista attivo e di primo piano. Fra i papi,
ricordiamo Paolo III Farnese, che convoca il Concilio di Trento nel 1545. È un papa abile perché
ricava il Ducato di Parma e Vicenza e lo fa attribuire al figlio Pierluigi Farnese. Da questa carta
vediamo anche come la Spagna controlli Milano (che per alcuni periodi era stata controllata dai
francesi durante le guerre d’Italia ma non ce l’hanno fatta, guerre d’Italia che si chiudono con
Milano e Napoli saldamente nelle mani della Spagna). La Spagna controlla Milano attraverso la
figura di un governatore, mentre Napoli e Sicilia attraverso viceré. Governatore di Milano e i due
viceré dipendono da un consiglio d’Italia che ha sede a Madrid. La politica degli stati italiani dalla
seconda metà del 500 e per tutto il 600 ruota intorno all’alleanza con la Spagna. La Spagna è
sempre per questi stati un po’ un convitato di pietra, in modo particolare la Repubblica di Genova è
uno dei pilastri finanziari del potere spagnolo. La Prof. ci mostra un breve video sulla figura di
Andrea Doria e sul “secolo di genovesi” (Rai cultura, Il Secolo dei Genovesi). La Repubblica di
Genova è un caposaldo nella configurazione delle alleanze spagnole in Italia. Andrea Doria rifiuta
la signoria ma si pone tra i principali aristocratici genovesi. Poi c’è un cugino armatore, quindi è
una grande nobiltà, abbiamo visto il fascino dei palazzi dei Rolli, che ospitavano personalità
importanti della politica europea. Invece, eccentrici sono i duchi di Savoia, che per posizione
geografica giocano sempre su questo ruolo di ago della bilancia tra Francia e Spagna, ma soprattutto
è Venezia che continua a mantenere per tutta l’età moderna una sua affascinante autonomia. Quindi,
converrà anche fare un piccolo passo indietro e concentrarci su questa città.
Venezia sorge tra VI e VII secolo d. C. nel cuore della laguna veneta. Cresce molto nell’XI secolo
aiutando Bisanzio nel conflitto contro i Normanni e ricavandone una serie di privilegi commerciali.
Impianta quindi colonie e scavi commerciali. C’è una data fondamentale nella storia di Venezia che
è il 1204, data importante perché ne esce con territori notevoli, e molte isole dell’Egeo sotto il suo
controllo. L’Adriatico viene un po’ considerato un lago veneziano. I veneziani riescono a gettare le
basi di un impero coloniale marittimo, fondato su una flotta cospicua, potente e sulla concessione
delle colonie in feudo a dei patrizi veneziani. Il dominio veneziano in questo “lago” è impresso sui
monumenti delle città e delle località. La Prof. ci fa vedere un’immagine di Zara, la Porta di
Terraferma. Su una delle porte di accesso della città trionfa il leone di San marco, simbolo della
Repubblica veneta (Zara oggi è città croata). In altre slides, vediamo invece il leone di San Marco
su una porta di Rovigno, ancora in Croazia; in Slovenia vediamo dei palazzi veneziani; a Cipro c’è
il Castello di Famagosta dove anche qui c’è impresso il leone di San Marco. Quindi, la presenza del
leone ci dice che questi luoghi erano parte della Repubblica di Venezia che li amministrava
attraverso suoi rettori. La Prof. ci mostra una carta anteriore alla caduta dell’Impero Romano
d’Oriente, a quel famoso 1453. In verde vediamo i territori veneziani come Creta o chiamata anche
Candia, dal nome della città maggiore, mentre nel 1450 Cipro non è verde, lo diverrà di lì a poco,
quando nel 1489 l’isola viene venduta ai veneziani. Cipro resta veneziana fino alla data della
battaglia di Lepanto, 1571. Questo per capire di quale entità fosse la presenza veneziana nel
Mediterraneo orientale. La Prof. ci mostra un’altra carta affinché possiamo avere idea della rete
ampia di scali veneziani in tutta una serie di città italiane, ma non solo, anche Tripoli, Alessandria
d’Egitto, fino ad arrivare nel Mar Nero, dove i mercanti veneziani hanno una presenza attiva. Qual è
la principale fonte di ricchezza di Venezia? Il commercio marittimo su scala internazionale. I
traffici veneziani i muovono prodotti ampi e diversificati. Dal mondo balcanico si acquistano
metalli preziosi, piombo e rame, nella costa dalmata il sale, vengono riforniti i paesi tedeschi dei
prodotti orientali, ecc. Fino al momento in cui i portoghesi non scoprono nuove rotte, Venezia
controlla anche la maggior parte degli acquisti di spezie, soprattutto il pepe, i profumi, sete,
provenienti dal levante. Viaggiano i veneziani su un’imbarcazione chiamata galea, leggera, rapida,
manovrabile, e possono imbarcare fino a 300 persone. Sono costruite proprio a Venezia, che si fa
vanto di questa flotta potente che può essa stessa costruire e lo fa nell’arsenale di Venezia. Vediamo
l’arsenale ripreso in una veduta di Canaletto del 1730-31, pittore più importante di quest’epoca.
Ritornando alla carta appena vista, notiamo come Venezia non si estende solo nell’Istria, Dalmazia,
Egeo, ma c’è anche una parte di dominio di terraferma e qui Venezia si trova ad avere una
tradizionale antagonista che è Milano. Ci siamo detti che le due città troveranno un equilibrio con la
Pace di Lodi, poi con le guerre d’Italia Venezia riesce ad avanzare, viene fermata nelle sue
ambizioni da una Battaglia che è quella di Agnadello, 1509. Questa battaglia ferma le ambizioni
veneziane. Per quanto riguarda la Repubblica da Mar, come veniva chiamata Venezia, cioè la
repubblica che si affaccia sul mare, concentriamoci solo un momento su Cipro, della quale abbiamo
detto che fu acquistata da Venezia nel 1489, sarà persa nel 1571. Quest’area del Mediterraneo è
ancora un’area molto calda. La Prof. ci mostra la divisone che c’è al momento in Cipro: una parte
turca e una greca. L’isola è divisa in 2 parti dal 1959. La Prof. ci mostra una carta tratta dalla rivista
“Internazionale”, in cui si cerca di far vedere quale sia la zona di mare rivendicata dalla Turchia
intorno a Cipro. Quest’acronimo, ZEE, sta per zona economica esclusiva. La Prof. ci mostra un
video che ci spiega la differenza tra acque territoriali e zona economica esclusiva, e come da questo
Mediterraneo orientale, che diventa il perno, l’origine di tanti altri fenomeni, e la tensione intorno al
suo controllo si siano originate altre tensioni ancora (“Perché è importante per l’Italia dichiarare la
zona economica esclusiva nel Mediterraneo”, video). È un’area di confronto conflittuale, e dal quale
si originano come effetto domino questa corsa degli stati al controllo esclusivo del mare. Questo
video poteva essere inserito quando, nella prima lezione, abbiamo dato una definizione di
Mediterraneo. Dal punto di vista economico, questa riduzione del mare a una sua territorialità
perché è anch’esso luogo di sfruttamento economico e di tensione per il controllo così come lo è il
territorio vero e proprio.
Torniamo un attimo su Creta, o Candia. I veneziani si insediano a Creta nel 1204 e mantengono
saldamente la posizione fino alla fine del 600, poi dovranno capitolare ma non lo faranno senza
lottare per questa isola. È importante capire come l’isola venga organizzata in sesti, così com’è
organizzata Venezia. La città è organizzata in sestieri e, in più, è governata da un rettore veneziano.
Si riproduce sulle colonie quella che è l’organizzazione cittadina di un doge e di un maggior
consiglio, che sono da un punto di vista istituzionale le presenze più importanti veneziane. Il
maggior consiglio è la più ampia delle assemblee della Repubblica di Venezia, ha poteri legislativi,
funzioni di governo e dal 1297, anno della Serrata (chiudere cosa? Gli accessi al potere politico),
l’appartenenza al maggior consiglio è riservata ai patrizi veneziani che hanno compiuto 25 anni. Al
maggior consiglio spetta il compito di eleggere il doge. Il doge è l’unico magistrato veneziano che
mantiene la sua carica a vita, presenzia alle celebrazioni statali, segue un preciso cerimoniale,
incarna Venezia, la repubblica, il suo incarico ha un’importante valenza simbolica. Quindi
organizzazione coloniale su modello dell’organizzazione della città.
La Prof. ci fa vedere una slide che riguarda le guerre turco-veneziane (ma ci dice di stare tranquilli
perché a nessuno chiederà le date di queste guerre!). È interessante però notare alcune cose. È un
confronto continuo dal 400 al 700 tra Venezia e l’impero ottomano per il possesso del Mediterraneo
orientale. Due di queste guerre si collocano in un momento molto preciso: le guerre d’Italia. Quindi
vediamo quanto è riduttivo chiamarle guerre d’Italia: sì, sono guerre per il controllo dell’Italia, su
questo non c’è dubbio, ma alla fine coinvolgono tutta l’Africa del Nord e adesso scopriamo che
coinvolgono anche il Mediterraneo orientale. Quindi, è nell’ambito delle guerre d’Italia che gli
ottomani nel 1537 attaccano l’isola di Corfù dando inizio al terzo dei conflitti con la Serenissima
(1547-1540). Poi, Venezia dovrà siglare una pace e il paradosso è che Venezia si troverà dalla
stessa parte della Spagna anche se gli obbiettivi politici sono ben diversi. La Serenissima stringerà
una pace separata nel 1540. Da questa metà 500 in poi la Repubblica di Venezia dovrà sostenere
contro i turchi costosissime guerre difensive. Quello però che ci importa di sottolineare, come
vedremo benissimo nel video che ci proporrà a breve la Prof., è come Venezia mantenga, nella
penisola italiana tutta ruotante sulla Spagna, una fame di spregiudicatezza del pensiero e anche dei
comportamenti sociali. Un’ultima cosa importante da ricordare: 1645-1669, lunga e costosissima
guerra di Venezia per difendere Creta, con la quale si cerca di difendere uno degli ultimi avamposti
nel mar Egeo. Venezia non ci riesce ma è interessante vedere come questa città, e soprattutto alcuni
patrizi, cerchino di fare la guerra per difendere il predominio veneziano nell’Egeo. Appunto, con
Creta non ce la faranno. Venezia esce da questa guerra con l’onore delle armi, conservando
sull’isola di Creta delle piccole basi navali.
La Prof. ci mostra un video su Venezia, che parte dalla nascita della città e arriva fino al 1866,
quindi si arriva alla terza guerra d’indipendenza. Ricordiamo che anche durante il Risorgimento
Venezia mantiene una valenza simbolica molto importante. Questo ideo ha la peculiarità di
appoggiarsi, da una parte, sull’intervista a storici, in particolare Gherardo Ortalli, ma anche a storici
dell’arte. Dall’altra, verranno immessi sulla scena personaggi diversi, Canaletto compreso, ma
anche due donne, quindi personaggi storici (questo si chiama “living history”, cioè la possibilità di
portare la storia in scena ma di farlo in modo corretto, cioè utilizzando le fonti). Questo video ci dà
la possibilità di vedere aspetti diversi della storia veneziana e non solo. (YouTube: La Storia della
Serenissima – La Repubblica di Venezia). Concludiamo il video dicendo che c’era già all’epoca una
magistratura in favore dei diritti dei minori e anche delle donne. A Firenze, ad esempio, si chiama
magistratura dei Pupilli. Quando c’era un minore in difficoltà, la magistratura inviava il suo
personale che doveva fare l’inventario di tutti i beni. Questo era un po’ un congelamento delle
proprietà, e poi veniva nominato un tutore. Lo stesso per le donne, che possono trovare nelle
magistrature delle città una protezione ai loro diritti. Nel video si fa anche un’importante
correlazione: quella tra posizione sociale e alfabetizzazione. Questa è un’altra cosa che unisce
Venezia a Firenze. Ci sono donne che comunque devono prendere in mano il destino delle loro
famiglie. Nel caso veneziano, i mariti sono fuori per motivi economici, perché fanno i mercanti per
periodi molto lunghi. Nel caso fiorentino, spesso sono in esilio in seguito a lotte di fazione. Il
risultato non cambia: abbiamo donne che devono gestire patrimoni, la famiglia, e quindi devono
saper leggere e scrivere.

LEZIONE 6

“Espansione ottomana dal 1307 al 1566”. Finalmente l’impero ottomano. Finalmente perché ci
stiamo girando intorno da un po’ di lezioni, quindi bene o male lo incontriamo sempre. È con questa
realtà che ci andiamo a misurare. È il caso di tornarci, di ricordare che le fasi iniziali fondative sono
un pochino nebulose. Si cita Otman come fondatore dell’impero a inizio 300. Nel corso di quel
secolo, quello che è un nucleo territoriale, progressivamente si estende fino a toccare anche l’area
balcanica, dove vediamo la presenza di alcuni stati vassalli dell’impero ottomano. È dalla fine del
300 che la minaccia ottomana a Costantinopoli si fa molto seria. Oramai la data della caduta di
questa città la sappiamo a menadito, ma va ribadita per affermare che in questo anno non cessa per
niente l’espansionismo ottomano, anzi si rinvigorisce. Maometto II, il sultano del periodo, ha la
piena consapevolezza dell’impresa compiuta e anche del suo alto valore simbolico, come ci fa
capire l’opera di rinnovamento urbanistico che la città conosce a partire dalla Basilica di Santa
Sofia che diventa moschea dopo tanti secoli di culto cristiano. Uno dei primi atti di Maometto II per
tranquillizzare l’Occidente e le sue paure è stipulare una serie di trattati di pace con Venezia e
Genova, che non vedono altro che l’opportunità di fare questo tipo di trattati di pace, che in
concreto significano opportunità di commerciare a fare scambi internazionali del tutto
pacificamente. Non solo. Il sultano consente alla comunità greca di Istanbul di mantenere il proprio
culto. E questo è un atto simbolico importante. La città nei secoli conserva quindi i tratti di un
pluralismo confessionale. Dal punto di vista politico-territoriale, il progetto che si delinea da
Maometto II fino a Solimano il Magnifico (che muore nel 1566, data da ricordare) è molto chiaro:
la costruzione di un impero mediterraneo, un’egemonia che dal Mediterraneo orientale arrivi
almeno al Mediterraneo centrale. In questo progetto ottomano di egemonia mediterranea, il mondo
balcanico è parte di irrinunciabile costruzione territoriale mediterranea. Abbiamo detto che
l’espansionismo ottomano non si ferma a Costantinopoli, ribattezzata Istanbul, ma Maometto II si
espande anche verso questo mondo balcanico, la Serbia settentrionale, il Peloponneso, la Bosnia,
l’Albania, nonostante la difesa di un personaggio familiare: Giorgio Castriota Scanderbeg, l’eroe
nazionale albanese così caro alle comunità albanesi in Italia soprattutto meridionale. In questo
periodo tardo-quattrocentesco, c’è un episodio molto importante: lo sbarco degli ottomani ad
Otranto nel 1480. Siamo ancora in terra pugliese. A pochissimi chilometri dalla costa albanese.
Questo episodio, questo sbarco è un momento di grande difficoltà per il Regno di Napoli. L’attacco
delle milizie ottomane chiaramente è un momento di paura in cui gli Aragonesi cercano aiuti ma
non arrivano. Quest’attacco finisce in una vera carneficina, molto viva nella memoria degli abitanti
e che fa parte dell’identità stessa della città. La Prof. legge, dal sito del comune di Otranto, come
appunto l’attacco saraceno fu un duro colpo per Otranto e i suoi abitanti. 18.000 ottomani, con 150
navi, si mossero verso la cittadina salentina, con l’intenzione di saccheggiarla e conquistarla. Dopo
un’estenuante resistenza degli otrantini che non volevano arrendersi, i turchi si impossessarono del
borgo, commettendo ogni sorta di crudeltà. 800 uomini coraggiosi, oggi santi, dopo essersi rifiutati
di convertirsi all’Islam, furono decapitati sul colle della Minerva. La prof. ci vuole mostrare un
video (Otranto 11 agosto 1480), che l’ha colpita per l’equilibrio della ricostruzione storica, ed anche
perché, andando a scandagliare le fonti, dice che sostanzialmente solo una fonte ci dice che alla fine
gli otrantini furono messi nella decisione di o convertirsi o morire. Ma, dopo quest’episodio, c’è
quello che è stato costruito sopra anche nel periodo della controriforma cattolica fino a tempi
recentissimi, quando si costruisce una vera e propria memoria, un culto dei martiri di Otranto, culto
che arriva fino alla canonizzazione del 2013 da parte di Papa Francesco e dal fiorire nel corso dei
secoli di una serie di invenzioni e leggende. Fra le invenzioni, una rappresentazione dei martiri di
Otranto, siamo a Napoli nella Chiesa di Santa Caterina a Formiello. C’è un uomo decapitato in
piedi, ed è il primo martire, tal Antonio Primaldo, sembra proprio un’invenzione storia. Antonio
Primaldo sarebbe stato decapitato secondo la leggenda e sarebbe rimasto in piedi fino al momento
in cui l’ultimo dell’800 non fosse stato decapitato. Questa è la leggenda legata ai martiri di Otranto.
Una piega di quest’episodio tutto in senso di religione e di scontro di religioni.
Torniamo alla carta dell’espansione dell’impero ottomano. L’ascesa di Solimano il Magnifico è
dell’anno 1520 (1520-1566). La Prof. ci mostra varie immagini di Solimano in vari ritratti e opere.
Il punto in comune tra Solimano e il suo grande avversario Carlo V. Vediamo anche la coincidenza
delle date: Carlo diventa imperatore nel 1519, l’ascesa di Solimano è del 1520. Si può dire che
ambedue condividono un sogno, un sogno di tipo universalistico relativamente ai loro reciproci
imperi. Carlo è il primo nemico di Solimano, mentre il padre di Solimano, Selim I, si è dovuto
misurare con altri avversari, i mamelucchi egiziani e l’impero persiano. In questa carta che ci
mostra, vediamo attribuiti a Selim I, 1512-1520, questi territori in verde chiaro, mentre il verde
scuro in territorio persiano è attribuibile a Solimano. Di Selim I la Prof. chi chiede di ricordare 3
date: la battaglia di Cialdiran, 1514, con cui i persiani vengono vinti e in qualche modo Selim
stabilizza il confine asiatico. Poi, il 1517, che è la data della conquista della Siria e dell’Egitto. E
infine il 1518, questo è un anno significativo perché il capo di Algeri, il leggendario corsaro
Kaireddin detto “il Barbarossa”, si dichiara vassallo di Selim I. Non solo, ma il sultano lo nomina
anche governatore e, da quel momento in poi, il porto di Algeri diviene la base principale della
corsa turca nel Mediterraneo occidentale. Con questo atto di vassallaggio, l’impero ottomano si
guadagna un importantissimo alleato. La guerra di corsa è fondamentale a tal punto che i corsari
erano organizzati in una corporazione, cioè era un mestiere, ed era anche un motivo di vanto. Il fatto
di legarsi in corporazione ne diventa la forza, lo spirito di corpo e fa vedere come tra queste città
ottomane e quelle europee grandi differenze non ci fossero. Le corporazioni di mestiere erano
presenti in città europee ma anche in città come Algeri. Cos’era una corporazione di mestiere?
Praticamente corporazione o arte riunisce le persone che hanno interesse a regolamentare un
determinato mestiere. Una corporazione o arte, a seconda della città i nomi sono diversi, controlla i
membri corporati. Ha statuti, lo statuto è un regolamento che disciplina il funzionamento di una
corporazione en ne stabilisce l’organigramma interno. Molto spesso, una corporazione di mestiere
nell’Europa moderna prevede anche compiti di assistenza o di sostegno ai corporati. La cosa anche
che possiamo dire è che queste sono realtà urbane, non rurali, e che in genere escludono i forestieri.
La cittadinanza inferiore, quella acquisita dopo un certo numero di anni di residenza in città, serviva
anche per entrare nelle corporazioni. Ce n’erano alcune aperte ai forestieri ma dovevano pagare
tasse d’ingresso molto alte. Era curioso pensare a questa realtà presente non soltanto in città europee
ma anche dell’impero ottomano.
Torniamo al nostro Solimano il Magnifico. Il padre stabilisce i confini in Persia, guarda all’Africa
del Nord, Egitto, Algeri. Il figlio, Solimano, punta ai Balcani e nel 1526 a Mohács sconfigge
l’esercito ungherese. Con questa mossa, ha la possibilità di controllare l’Ungheria meridionale.
Dopo 3 anni, alza il giro, Vienna non è poi così lontana e tenta il primo assedio degli ottomani a
Vienna, anno 1529. Assedio che dura quattro settimane ma Vienna resiste. È il primo assedio a
Vienna, il secondo invece è del 1683. Sono due: 1529 e 1683. Date da ricordare. A un certo punto,
il nostro manuale scrive che è l’inizio di un conflitto tra Asburgo e impero destinato a durare un
secolo e mezzo. Solimano muore nel 1566 in seguito ad una missione militare in Ungheria. La Prof.
ci presenta questo documentario molto interessante (YouTube, Il cuore perduto di Solimano Il
Magnifico). Dietro tutto questo c’è un progetto europeo. È un investimento d’Europa su Peć,
capitale europea come ponte di politica di confronto non facile con la Turchia ma inevitabile. Anche
bella è la valorizzazione di questo luogo di battaglia Mohacs, luogo che viene patrimonizzato,
messo in valore. La messa in valore anche qui comprende una serie di attività anche di tipo
didattico, di living history, dirette agli abitanti del luogo.
Torniamo al nostro Solimano, che fallisce il tentativo di assediare Vienna. Stipula una tregua con
gli Asburgo che gli permette di concentrarsi su Baghdad e l’impero persiano. Nell’arco di questi
anni, è anche un’importante alleanza di Solimano con Francesco I re di Francia. Sono naturalmente
alleati in funzione antispagnola. Solimano aveva già subìto nel 1535 la caduta di Tunisi ad opera
delle truppe di Carlo V, quindi Francia e impero ottomano hanno bisogno l’uno dell’altra. Negli
anni 40 del 500 Solimano riprende a guardare verso i Balcani e nel 1541 l’Ungheria è tutta sotto il
completo controllo ottomano. Il 1541 quindi è un anno difficile per Carlo V, l’Ungheria è persa ma
è persa anche Algeri (ricordiamo la spedizione fallimentare di Carlo V ad Algeri). Sul versante del
Mediterraneo occidentale Solimano appoggia il Barbarossa di Algeri, importantissimo alleato e
finanzia tutta una serie di scorrerie da parte del Barbarossa che toccano vari territori dell’Italia
Mediterraneo, tra cui Procida, Capri, Gaeta. La Prof. ci mostra quindi la locandina della Summer
School di Procida – Breviario di un altro mediterraneo, titolo importante di Matvejevic. Molte di
queste scorrerie hanno una posta in gioco molto alta ed è cioè il controllo del Mediterraneo. Nel
1566, Solimano perde la vita in un ulteriore tentativo di campagna militare nei Balcani e la sua
esperienza di vita si chiude con un bilancio che non si può limitare alle conquiste e di politiche
territoriali. Riesce a pacificare un grande impero, a farne la prima potenza nel mar Mediterraneo e
nel mar Nero. È un impero molto ampio che si estende fino al khanato di Crimea. Ed è anche un
impero molto lungo, 1520-1566, nel corso del quale questo sultano persegue un rinnovamento dello
stato ottomano e ne consolida le basi. Ha al suo fianco un gran visir, Ibrahim Pashà, che sposa la
sorella di Solimano. Il sultano, all’interno dell’impero ottomano, è al vertice di uno stato
centralizzato. Nel caso di Solimano, la successione al padre Selim è stata indolore, più o meno
accettata. Questo è stato un punto di grande debolezza dell’impero ottomano, cioè il momento della
successione, della sostituzione al vertice del potere, un momento delicatissimo e un grave problema
strutturale dell’impero. Lo stesso Selim si era imposto nel 1512 dopo una cruenta lotta di potere.
Cruenta intendiamo proprio lotta di potere che finisce sempre con le morti degli altri pretendenti e
questo capita spesso nella storia dell’impero. Il sultano nomina tutti i dignitari ed emana i
provvedimenti legislativi. Ha una carica religiosa molto forte, rappresenta Allah in terra, protettore
di tutti i luoghi sacri. Risiede ad Istanbul, in quel palazzo che è stato fatto edificare da Maometto II
dopo la presa della città. È il Palazzo di Topkapi la residenza imperiale. Il gran visir che lo affianca
presiede un consiglio imperiale ed è il consiglio che tratta le questioni più importanti nell’impero
ottomano. È un territorio molto vasto diviso in province che sono a inizio 600 almeno 32. Ogni
provincia ha a capo un governatore che è il Beilerbei. Questo governatore ha ampi poteri sulla
provincia ed è anche lui assistito da un consiglio. Dura in carica poco tempo, da 1 a 3 anni. Il
motivo è che si vogliono evitare concentrazioni di potere di tipo prolungato. Circoscrizioni minori
rispetto alle provincie sono i sangiaccati, a capo dei quali vi è un Kadì o un giudice che ha funzioni
varie, non solo giudiziarie ma anche amministrative. All’interno delle forze armate dell’impero
ottomano c’è un corpo, i giannizzeri, istituiti a metà 300. Nel corso del 500 sono ancora 30.000 i
componenti di un corpo che gode di grande reputazione per abilità e disciplina. Come funziona il
sistema di reclutamento di soldati e funzionari? La chiave è una raccolta, in turco chiamata
“devscirme”, sistema che verrà abolito solo a metà 600. In cosa consiste questa raccolta? La pratica
è piuttosto forte, interessa giovani, bambini dai 7 ai 20 anni, soprattutto cristiani di origini umili o
molto umili, prigionieri di guerra ma non solo. Sono forme di reclutamento coatto, niente di
volontario, ma presi e via. Avvengono ogni 3 o 7 anni. Questi giovani prelevati vengono convertiti
all’Islam, addestrati alle armi e dopo vengono fatti conferire o nel corpo dei giannizzeri o in
mansioni amministrative. Questo fa sì che la classe dirigente ottomana è caratterizzata da una
varietà etnica molto forte. Militari e funzionari dell’impero sono esentati dal pagamento delle tasse,
tutte le altre categorie invece no. All’interno dell’impero ottomano ha una particolare importanza un
istituto giuridico che si chiama “timar”, che ci può ricordare il nostro feudalesimo. Il timar è la
concessione da parte del sultano a un privato di riscuotere decime e tasse che gravano su un
territorio, una sorta di appalto alla riscossione di tasse in natura o in denaro. In questo modo, il
sultano retribuisce i suoi più alti funzionari e si assicura che le tasse vengano percepite. Il timariota,
quello che riceve dal sultano il timar, questa concessione, ha precisi obblighi verso il sultano. È un
legame stretto. La cosa che però va messa in risalto e che distingue questo istituto dal nostro feudo e
feudalesimo è che il timariota non può rendere questa concessione ereditaria e trasmetterla, è
patrimonio personale e spesso anche limitata ad un periodo preciso.
È un impero estremamente vasto, ci sono dei territori all’interno dell’impero che godono di una
maggiore autonomia e che si trovano in una posizione di particolare attenzione, possono mantenere
cioè delle proprie istituzioni e tradizioni di governo derivate dal passato. Questo è anche tipico dello
stato di antico regime da parte europea. Se c’è qualcosa che forse accomuna, a parte le corporazioni,
è anche questa complessità della costruzione statuale dove non tutti i luoghi (Toscana, Francia,
Spagna, ecc.) (la Prof. ha perso il filo) …, cioè si mantengono in questo stato di antico regime come
realtà statuali interne istituzionali che hanno capacità e possibilità di mantenere tradizioni
precedenti. In questa posizione di relativa autonomia, di vassallaggio, si trovano Egitto, Moldavia,
Valacchia, Transilvania, ma anche la Crimea. Chiaramente Istanbul è una città enorme, alla fine del
600 sono 700.000 abitanti. Solo il 50% è musulmano di loro. 1/3 sono cristiani, quasi tutti ortodossi.
Il resto è di religione ebraica o altre religioni. Questa natura di Istanbul pluriconfessionale in realtà
è lo specchio di quello che accade in tutto l’impero. È un impero che conta 22 milioni di abitanti in
tutto, sono presenti greci, armeni, berberi, arabi, persiani, curdi, rumeni, ungheresi. In questo
periodo è sbagliato quindi chiamarlo impero turco, perché non dà l’idea per niente di questa
complessità di presenze all’interno dell’impero. Pluralità di nazionalità ma anche delle religioni.
L’Islam è la religione del sultano, della classe dirigente, però ci sono per esempio nei Balcani una
comunità greco-ortodossa molto forte, i cristiani copti, cattolici in Ungheria e anche in Dalmazia, ex
terre della Repubblica di Venezia, e anche comunità ebraiche. L’impero ottomano tollera la
presenza di culti altri nell’impero. Istanbul controlla il traffico con i paesi dell’Europa occidentale,
ma anche i traffici che la uniscono ad altri porti dell’impero. È un grandissimo centro di consumo,
di enormi quantità di grano, che arrivano soprattutto dall’Egitto. I viaggiatori a Istanbul ci
raccontano anche quant’è ricco il mercato del pesce. Dopo la conquista da parte ottomana, la città è
stata interessata da importanti opere di architettura politica e religiosa come la costruzione della
Moschea da parte di Solimano il Magnifico, che riprende in alcuni aspetti la basilica più importante
della città, che è Santa Sofia. Santa Sofia, dal 1453, diventa moschea. Lo resta fino agli anni 30 del
900, quando il padre della Turchia moderna, Kemal Ataturk, la rende un museo. E resta un museo
fino al 2020, dopodiché nell’estate 2020 un decreto del presidente Erdogan l’ha aperta al culto
islamico. Quindi, un luogo simbolico così importante che era diventato museo nel 1935, dal 2020
torna ad essere un luogo di culto islamico. La Prof. ci mostra un’immagine di Erdogan in un
sopralluogo sempre del luglio 2020. Inoltre, la Prof. ci presenta due articoli molto interessanti. Il
primo vuole riflettere su che cosa sta dietro questa decisione di Erdogan. Nella buona sostanza,
ripercorre alcuni elementi storici della storia della basilica e alla fine ci dice che questo atto
simbolico così forte diventa un monito al mondo esterno di tipo politico sulla supremazia della
Turchia. Perché adesso? Qui si ripercorrono alcuni comunicati in cui c’erano una presa di posizione
da parte di Erdogan nel 2019 che pareva invece volersi distaccare, prendere le distanze, da questo
tema. Cos’è successo invece per convincere il presidente a compiere un passo così importante? In
sostanza, la crisi del partito Giustizia e Sviluppo di Erdogan; l’importanza di trovare un tema
unificante e di forte impatto simbolico; l’epidemia del coronavirus e quindi la crisi ancora del
partito; la concorrenza di partiti nazionalisti. Nell’altro articolo si evoca però ancora un altro fattore.
È un articolo (reset – Quel che l’Europa distratta non capisce di Santa Sofia) con passaggi molto
belli, dove a un certo punto si dice che Santa Sofia rappresentava uno spazio sacro per cristiani e
musulmani, per chiunque credesse nel dialogo di incontro tra oriente e occidente, rappresentava un
modello di convivenza. Era un messaggio forte per tutto il Mediterraneo tormentato da guerre anche
nel nome di dio. Quel museo diceva che gli assolutismi dei credenti possono essere superati, lo
spazio poteva assicurare un cammino rispettoso della storia e della sua complessità. Un altro
elemento importante che dice questo articolo è che in gioco c’è anche una sorta di primazia
all’interno del complesso campo delle forze islamiche e soprattutto da parte dell’Europa c’è
l’incapacità di comprendere quello che questo gesto così forte dal punto di vista politico e simbolico
rappresenta.
La Prof. ci mostra un documentario sul massacro di Otranto (Cronache del Rinascimento – Otranto
1480, l’assedio).

LEZIONE 7
Il tema di oggi è un tema complicato ma senz’altro affascinante: la schiavitù nel Mediterraneo in età
moderna, il ruolo delle cosiddette reggenze barbaresche ma anche degli stati cristiani e di alcuni
attori cattolici in questo traffico.
Dobbiamo partire da lontano: La Prof. ci mostra una carta del 1317 e rappresenta l’espansione
territoriale del sultanato mamelucco che controllava Egitto, Siria, Palestina, dove nel Medioevo
erano stati spazzati via almeno a questa data alcuni regni crociati e anche l’Arabia occidentale.
Questi mamelucchi avevano costruito un impero commerciale che aveva alcuni centri
particolarmente importanti. Il Cairo, Alessandria, Beirut. E avevano fondato il loro potere anche sul
ruolo di difesa del sunnismo. Il sunnismo, secondo la Treccani, è la corrente maggioritaria
dell’Islam, che definisce l’ortodossia in opposizione ai dissidenti e in nome del rispetto della
consuetudine approvata da tutti e del modello profetico, cioè la sunna. Se andiamo a vedere la
distribuzione di sunnismo e sciismo su una carta piuttosto recente, vediamo come è largamente
maggioritaria questa grande branca che è il sunnismo, rispetto allo sciismo che ha una chiara
concentrazione nell’Iran e in quella che era la Persia. Quindi, la divisione tra queste due correnti
origina dalla morte del profeta Maometto avvenuta nel 632 d. C. Alla scomparsa di Maometto si
origina subito un grosso scontro sull’eredità politica e religiosa del profeta. Intorno al VII secolo d.
C., questa grande divisione tra queste due grandi anime era già molto ben definita e insanabile. Lo
sciismo è quindi largamente minoritario all’interno dell’Islam, e uno dei suoi nuclei, l’Imamismo,
religione di stato in Persia dal 1502. Sappiamo bene come l’Iran, soprattutto dalla rivoluzione
comunista del 1979, è una roccaforte dello sciismo.
Torniamo all’Egitto mamelucca del Trecento e del Quattrocento. La celebre raccolta di novelle Le
mille e una notte prende corpo in questo contesto dell’Egitto mamelucca, anche se comprende testi
precedenti e di altra derivazione, persiana e indiana soprattutto. Ciò che colpisce è vedere quanto
questa raccolta Le Mille e una notte sia una presenza letteraria viva anche nella cultura odierna. Il
caso che viene in mente è quello di Assia Djebar. È una scrittrice algerina, una cineasta, una figura
molto importante. Ha contato moltissimo anche per i movimenti femministi, come esempio e come
temi trattati. Uno dei suoi libri è Nel cuore della notte algerina, pubblicato in una collana di un
editore fiorentino, Giunti, collana che si chiamava Astrea e pubblicava autrici poco conosciute in
Italia. Il titolo originale del libro però non era questo, ma riguarda Orano. Uno di questi racconti si
chiama La donna fatta a pezzi, e Djebar prende spunto da una storia vera, quella di un’insegnante
algerina che ha il torto di insegnare la lingua francese a scuola. Il contesto in cui matura
quest’uccisione è quello della guerra civile, non la guerra d’indipendenza dai francesi, ma la guerra
civile del 1991 quando vengono annullati i risultati dell’elezioni legislative. Questa insegnante
viene decapitata mentre insieme ai suoi studenti sta leggendo un racconto de Le mille e una notte.
Quindi, vediamo come Le mille e una notte si intrecciano a questa storia che è carne viva della
storia algerina; nel racconto, la testa di questa donna continua a parlare per cercare di concludere la
lezione. È come se questa insegnante uccisa non si faccia una moderna shahrzad, che deve parlare,
deve continuare a raccontare contro la violenza e la paura della morte.
L’altra carta che ci mostra la Prof. ci è già nota, ce l’ha fatta vedere la lezione precedente, e sono le
acquisizioni di Selim, il sultano ottomano padre di Solimano il Magnifico, ai danni dei mamelucchi,
che non reggono di fronte alla potenza militare degli ottomani. Gli anni decisivi del crollo
dell’impero mamelucco sono il 1516 e il 1517.
La Prof. ci mostra una breve intervista di Massimo Campanini, un filosofo, nonché importante
studioso di storia islamica, che cerca di dare ragione della bellezza e dell’importanze del Cairo
all’interno dell’impero mamelucco (Rai cultura, La Cairo dei Mamelucchi, Massimo Campanini).
L’intervista viene fatta nel Festival del Medioevo di Gubbio, che è da qualche anno un’iniziativa
molto bella. Era interessante ascoltare da Campanini come nei mamelucchi in qualche modo il dato
religioso e il dato culturale siano assolutamente intrecciati, e il ruolo del Cairo all’interno di questa
realtà politica e territoriale. Naturalmente, la sconfitta dei mamelucchi da parte di Selim I fece
dell’impero ottomano la prima potenza islamica, e del sultano il protettore delle città sante
dell’Islam. Nella lezione precedente, abbiamo visto qual è la struttura dell’impero ottomano, questa
centralità del sultano, la presenza forte del gran visir dal ruolo importantissimo, un consiglio che è il
divàn, che poi affronta una serie di questioni politiche e amministrative. Questa struttura poi si
riproduce all’interno delle singole province, dove c’è un governatore (il bederbei), affiancato anche
lui da un consiglio. Però, dicevamo di come alcuni territori dell’impero godano di una struttura più
autonoma, dove si riconosce anche le élite precedenti. È il caso dell’Egitto, dove resta al potere una
élite mamelucca che verrà spazzata via solo a inizio 800 da colui che viene considerato il fondatore
dell’Egitto moderno e contemporaneo, Mehmet Ali Pascià. Quindi, l’Africa del Nord nel primo 500
è un insieme di regni vassalli in rapporto di dipendenza dall’impero ottomano. Uno è l’Egitto,
l’altro è Algeri come abbiamo visto la lezione precedenza. Tunisi è stata conquistata da Carlo V,
che ci piazza un sovrano vassallo. Poi comunque è ripersa, quindi ci sono vari passaggi. Nel 1574
anche Tunisi è ottomana. Poi c’è un protettorato ottomano in Tripolitania. La Prof. ci mostra una
carta sopra cui c’è un’espressione, “Novae Barbariae”, e anche nella seconda carta del 1780
raffigurante la parte settentrionale dell’Africa compare la scritta “…Ou de la Barbarie”. Queste
espressioni come barbaria, reggenze, stati barbareschi e altre espressioni un po’ vaghe, sono
utilizzate dagli europei per designare l’Africa del Nord e la popolazione dei berberi, cioè Marocco,
Algeria, Tunisi e Tripolitania. Le cosiddette reggenze barbaresche sono sotto l’autorità dei beilerbei
nominati dal sultano e sono luoghi nei quali hanno trovato rifugio molti Mori cacciati dalla Spagna.
Quindi luogo di rifugio. E sono anche luoghi dai quali si sviluppa quella che è chiamata guerra di
Corsa, sviluppata soprattutto all’interno dalle reggenze barbaresche, ma c’è anche una guerra di
corsa molto meno conosciuta, che lo storico Salvatore Buono chiama guerra taciuta, che è una
guerra di corsa sviluppata da parte cattolica, in modo particolare dai cavalieri di San Giovanni e di
Santo Stefano. Quindi, è una guerra di corsa da una parte e anche dall’alta. Però, mentre da parte
musulmana il fenomeno è ben noto, da parte cattolica è assai meno presente nella coscienza storica
e nel senso comune.
Partiamo dai Cavalieri di San Giovanni, che sono di più antica formazione, perché addirittura hanno
origine nell’XI secolo a Gerusalemme, e hanno origine da attività ospedaliere che i cavalieri
svolgevano in servizio e a tutela dei pellegrini. La data chiave è il 1113, quando vengono
riconosciuti dal papa e diventano una congregazione religiosa autonoma, dotata di beni importanti,
come ospedali, terreni, ecc. sia in terra santa che in Europa. Dall’inizio del 300, l’ordine ha sede
nell’isola di Rodi, vicinissima alle coste della Turchia. Poi, dopo il 1522, Rodi cade dopo mesi di
assedio. I Cavalieri tentano di difenderla ma non ce la fanno: Solimano la conquista. Stiamo
nell’ambito delle Guerre d’Italia, ma più andiamo avanti più ci sembra inadeguato definirle così
perché il loro scenario è veramente mediterraneo, e Rodi è uno di questi episodi. I Cavalieri, a quel
punto, sono senza una base, trattano con l’imperatore Carlo V e, dal 1530, troveranno asilo a Malta.
Malta resta la sede dell’ordine fino all’epoca napoleonica. La Prof. ci mostra nelle slides un
esempio di fortificazione di Rodi, e poi il Palazzo del Gran Maestro a Malta, oggi sede del governo
maltese, edificato dopo il 1570. Invece, nella slide successiva, c’è la sede dell’ordine che oggi è a
Roma, sede dell’ordine dei Cavalieri di Malta dal 1834, una villa magistrale. Al palazzo è riservato
il diritto di extraterritorialità dalla Repubblica italiana. La Prof. ci mostra un articolo di Francesco
Grignetti da La Stampa, in merito alla carica del Gran Maestro dell’Ordine, il supremo capo
dell’Ordine di San Giovanni. Per diventare Gran Maestro, scrive Grignetti, occorre essere cavaliere
cattolicissimo, e non solo: occorre anche, pur restando laici, aver preso i voti di castità, obbedienza,
ed essere cavalieri di onore e devozione. Il prescelto deve provenire dal primo ceto, ossia portare
quarti di nobiltà da almeno 200 anni, sia da parte di madre che di padre. Solo questi cavalieri del
primo ceto hanno diritto di voto, quindi il nobilissimo sovrano ordine alla fine è una partita tra 65
grandi elettori che dovranno poi nominare il Gran Maestro. Quella che può sembrare una disfida
che interessa una congrega fuori dal tempo, è in realtà una questione concreta: chi arriva al vertice
dell’ordine non per forza diventa cardinale, ma governa su circa 3.000 cavalieri, 100.000 volontari,
quasi 1000 ospedali, ambulatori, missioni assistenza nel mondo, su diversi possedimenti e un
bilancio che sfiora i 2 miliardi di euro. E ancora, il Gran Maestro guida un corpo diplomatico che ha
relazioni con 107 Paesi, dispone di un seggio da osservatore alle Nazioni Uniti. Quindi, il Gran
Maestro è la guida di una poderosa ONG in grado di rivaleggiare con la Croce Rossa internazionale.
L’altro articolo dal Sole 24 Ore ci fa il punto sui beni di proprietà dell’ordine. L’ordine di San
Giovanni è anch’esso un protagonista della guerra di corsa; l’altro da parte cattolica è invece un
ordine toscano (La Prof. ci mostra la chiesa di Santo Stefano dei Cavalieri, a Pisa, ordine fondato da
Cosimo I Medici, 1562). Ci ha messo anche una slide del Palazzo della Carovana, sede della Scuola
Normale Superiore di Pisa, un tempo sede dell’Ordine. La Prof. ci mostra il monumento, nella
piazza, dedicato a Cosimo I Medici e dietro di lui lo stemma mediceo sul palazzo. Mentre, la
prossima slide presenta un interno della chiesa di Santo Stefano, con cimeli e bandiere catturate agli
ottomani. Il porto dal quale partivano i Cavalieri di Santo Stefano per le loro missioni (l’Ordine
proteggeva il mediterraneo e soprattutto le cose tirreniche, si voleva rivaleggiare in questo con gli
ottomani) è Livorno. Per darci un’idea, tra il 1543 e il 1642, nell’arco di circa un secolo, dalle navi
toscane vengono catturate circa 14.000 persone. Quindi, anche gli Ordini cattolici fanno la loro
parte. La Prof. ci mostra una slide della Galera della Marina dei Cavalieri di Santo Stefano, situata
nella Galleria delle navi del Museo di Palazzo Poggi, Bologna. La Prof. ci mostra poi un progetto
interessante della Scuola Normale Superiore di Pisa, che si chiama “Gli Stemmi dei Cavalieri”. Si
tratta di un grande palazzo con tutti questi stemmi di coloro entrati nell’Ordine di Santo Stefano
(stemmi.sns.it). Nelle ricerche del sito, possiamo vedere, ad esempio, i Cavalieri che provengono da
Napoli o da qualsiasi altro posto d’Italia. Ci sono anche ovviamente i dati storici.
Dunque, la guerra di corsa ha vari protagonisti, ha anche protagonisti di parte cattolica. Ci sono dei
centri particolarmente importanti per il mercato degli schiavi, considerati una merce. Malta è
proprio uno snodo in tal senso, ma anche Algeri, Tunisi ed Istanbul. Algeri è la base principale della
guerra di corsa turca nel Mediterraneo occidentale. Addirittura, i corsari hanno una loro
corporazione che organizza tutto quanto. E abbiamo anche citato Tamzali che, tra i cimeli di
famiglia, c’era un cimelio corsaro ricevuto da uno dei suoi avi. Facciamo attenzione anche alle
parole, e ricorriamo ancora alla Treccani che ci dice: il corsaro è un operante su autorizzazione a
beneficio di uno Stato. Quindi, i protagonisti della guerra di corsa operano su autorizzazioni,
concessioni. Mentre il pirata è colui che percorre il mare per assalire e depredare a proprio esclusivo
beneficio navi di qualunque nazionalità, contro ogni norma di diritto nazionale e internazionale.
Quindi il corsaro è diverso dal pirata. Anche se poi, nei fatti, non sempre questa distinzione è
chiara. Chi viene catturato, donne, uomini, bambine, è considerato una proprietà, un oggetto. Si
chiamano captivi, dal latino capio, che significa prendere. Il numero di persone coinvolte in questo
traffico non è così facile da individuare, però sono state fatte delle ipotesi da due storici, Robert
Davies, che ha ipotizzato per il 1530-1780 la presenza di più di 1 milione di schiavi in barberia, di
cui 1/4 europeo, quindi cristiani bianchi. Un altro grande storico, Salvatore Bono, ipotizza che la
presenza di schiavi musulmani in Italia dal 1500 ai primi dell’800 non sia stata molto inferiore a
quella degli italiani schiavi nel mondo islamico. Cioè, pari e patta, più o meno i numeri sono quelli.
La differenza è che mentre gli altri sono conosciuti come corsari, quella che è la guerra di corsa da
parte cattolica invece è molto meno conosciuta. Il fenomeno, comunque, della presenza di questi
schiavi è diffuso in tutte le città italiane. Uno studio sugli schiavi a Firenze in età moderna di
Samuela Marconcini, portato avanti attraverso una fonte, una lista di infedeli che chiedevano il
battesimo, conservata presso l’archivio arcivescovile di Firenze. Gli archivi ecclesiastici sono
importantissimi perché non ci raccontano solo storie religiose, ma intanto vi si depositano anche
altri archivi. Marconcini ha studiato questa lista di infedeli che dal 1599 al 1724 richiedono il
battesimo. Sono tutti definiti come turchi, senza distinzioni. Quindi, con il termine turchi nell’Italia
moderna si definiscono i musulmani, non importa se originari o meno in terre sotto il dominio
ottomano. Questi turchi, almeno 300, sono o al servizio di famiglie nobili fiorentina o della stessa
corte dei Medici e provengono da tutte le zone del Mediterraneo, frutto di queste razzie compiute
dall’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano. Il loro battesimo, accompagnato da una dottrina
catechistica, veniva celebrato durante cerimonie solenni per dare maggior rilievo alla conversione,
quindi a Natale, Pasqua, ecc. Si poteva procedere ad un battesimo individuale, ma per dare rilievo
all’iniziativa venivano battezzati anche a decine tutti insieme. Questo è il momento si dà loro anche
un nome nuovo, che nel caso fiorentino attinge all’onomastica fiorentina e toscana (Giovanbattista,
Cosimo, Francesco, e per le femmine Maria, Malia Maddalena, ecc.). Il nome nuovo, ma anche
cognome nuovo garantito dai padrini o madrine, spesso cognomi come Medici, ma anche cognomi
della nobiltà toscana. Il cognome della Prof. anche deriva da una famiglia nobile, Savelli, ma lei
garantisce di non avere questi grossi quarti di nobiltà. Questi cognomi girano, si mutuano, non sono
necessariamente indici di appartenenze nobiliari. Nel caso di questi schiavi convertiti a forza, sono
cognomi che vengono dati dalle famiglie della nobiltà fiorentina. È tutto da dimostrare che il
battesimo significasse per questi schiavi la libertà. C’è un passaggio del Granduca di Toscana a
inizio 600 quando prende atto che era contento del loro battesimo, ma poi dice che restano lo stesso
semplici schiavi. Quindi, facciamo attenzione al significato del battesimo per le vite di queste
persone. Nel mondo islamico, si acquisisce la libertà sposando una persona libera. La legge islamica
permette di corrispondere un salario agli schiavi. Si poteva riacquistare la libertà anche in seguito ad
una trattativa. I barbareschi, ad esempio, dopo le incursioni portavano a casa un paio di cristiani e
quindi chiedevano un riscatto. Diverse erano le confraternite. Sappiamo la differenza tra
confraternita e corporazione. La corporazione era urbana, e il suo scopo era quello di regolamentare
una serie di professioni che ruotavano intorno ad un mestiere. Hanno senz’altro una vita religiosa,
spesso si occupano di assistenza, come quella della Seta a Venezia, proprietaria di immobili dati ai
lavoranti della corporazione. Sono un mondo, che non è solo regolare il mestiere, ma quasi regolare
una società. Diversa è la confraternita, che ha uno scopo religioso, rituale, e non è una realtà solo
urbana, ma anche rituale. Tutto il mondo europeo ma anche il mondo musulmano, è ricco di
confraternite. Alcune di esse, sicuramente Bologna, Napoli, Roma e Palermo, sono attive anche
nell’impegno per la liberazione degli schiavi. Una importantissima è a Napoli, il Monte delle Sette
Opere della Misericordia, in via de tribunali, una delle principali realtà assistenziali a Napoli. Dal
1652 al 1689 ha riscattato 500 persone catturate dai barbareschi, erogando 40.000 ducati. La prof. ci
mostra l’opera che illustra le sette opere della Misericordia, realizzata da Caravaggio per il Monte
fra 1606 e 1607. Poi, ci mostra la descrizione dell’archivio del Pio Monte, un archivio imponente,
descritto nel Polo Digitale di Napoli. La Prof. apre il collegamento col Polo Digitale di Napoli; sulla
sinistra, abbiamo delle sigle, PMM è il Pio Monte della Misericordia. Si clicca su archivio storico e
abbiamo una breve introduzione (*leggere dal sito). Ci interessa sottolineare le confraternite, le
realtà assistenziali, che hanno come scopo anche il riscatto degli schiavi. A questo punto, la Prof.
apre un’intervista a Salvatore Bono, che la Prof. ci prega di seguire con attenzione e di prendere
anche appunti (stoppa dopo una mezz’oretta di video) (YouTube: “Schiavi”, incontro con Salvatore
Bono, 8 marzo 2018). Bono sottolinea che questa precarietà dell’esistenza, chi viveva nelle zone
costiere dell’Italia di quell’epoca, temevano continuamente incursioni e di essere presi. Bono dice
che questo faceva parte di una dimensione di vita, e che non c’era qualcosa dal quale non si poteva
tornare: questa reciprocità innescava una negoziazione che poi ti poteva anche salvare la vita.
Questi americani che arrivano hanno naturalmente un impatto “come se ci prendessero i marziani”
(dice Bono). Una cosa intellettualmente non onesta è tracciare una genealogia diretta fra la guerra di
corsa dell’età moderna e il terrorismo islamico. Questa cosa qui non è accettabile. La guerra di
corsa va inquadrata all’interno di un certo periodo storico mediterraneo, e in un contesto di
reciprocità. Non è possibile fare questo tipo di “sono sempre stati così”. Lo facevamo anche noi,
anche se poi nella cultura popolare si solidifica e si ossifica un’immagine dell’altra sponda del
Mediterranea come un’immagine non di scambio, ma di contrasto irriducibile, sia culturale che
religioso.

LEZIONE 8
Lezione col Prof. Mascilli Migliorini.

LEZIONE 9
Slide sui domini di Filippo II nel 1598.
Abbiamo visto come Carlo V a un certo punto abbandona lo scenario delle guerre italiane, lui stesso
si ritira, siamo intorno al 1555-56, lascia il potere e divide in 2 i suoi immensi domini. Chi ne
beneficia? Da una parte il fratello Ferdinando, imperatore, al quale andrà la parte degli Asburgo
d’Austria, quindi Austria, Regno di Boemia e Ungheria. Dall’altro, i possedimenti spagnoli,
contrassegnati in giallo sulla carta, vanno al figlio Filippo II. Tra cui quindi l’Italia. Filippo è
consapevole che col padre si è chiusa la possibilità di un impero universalistico. Filippo fa la sua
sede vicino a Madrid, un piccolo comune di nome Escorial. Fa costruire qui una reggia che è un
vero e proprio monastero, monumento che dal 1984 è Patrimonio dell’umanità, e dove nel 600
viene allestito un Pantheon che ospita le tombe dei re di Spagna. La prof ci mostra quindi il
monumento funebre di Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona. Filippo dà una forte impronta
castigliana al potere, e alle élites castigliane spettano i compiti di governo più importanti. È un
dominio immenso, circa 50.000.000 di abitanti. Come li governa Filippo II tutti questi domini? Ha
dei Consigli anche a seconda dei domini, e soprattutto tiene fede all’impegno di ristabilire in tutti
questi domini l’unità religiosa, sia dove non c’era e comunque difenderla, attraverso l’Inquisizione
spagnola e la Compagnia di Gesù fondata nel 1540 da Ignazio di Loyola. Questo è un programma
che Carlo ha trasmesso al figlio, come si legge in un passaggio molto chiaro delle istruzioni che
Carlo lascia al figlio. Perché tutti i monarchi lasciano ai fogli istruzioni di come gestire il governo.
La prof. ci mostra quindi la slide delle istruzioni di Carlo al figlio, in cui gli dice che non doveva
mai dimenticarsi di dio, di amare la giustizia e favorire la Santa Inquisizione, garantire che i ministri
amministrino sempre nel migliore dei modi senza corruzione. L’unità del regno, quindi, si tiene
anche attraverso l’unità religiosa come abbiamo visto, non solo politica. La compagnia di Gesù ha
un ruolo importantissimo nell’Europa cattolica, moderna, per l’istruzione delle élites europee. La
prof. ci ricorda sul tema dell’istruzione qualche piccolissimo punto. In nessun Paese europeo, prima
della rivoluzione industriale, esiste un programma pianificato per l’istruzione come noi oggi lo
conosciamo. L’istruzione, per tutta l’età moderna, vede in campo una pluralità di presenza sia
religiose che laiche, precettori privati, scuola comunali anche di quartieri, ordini religiosi,
parrocchie, universitataes, sono diffusi anche i Magistri itineranti. C’è un panorama molto affollato
di personaggi diversi, sia religiosi sia laici. Nei Paesi cattolici, il Concilio di Trento, uno spartiacque
di metà 500, la risposta cattolica alla riforma protestante, stabilisce una cesura nell’istruzione:
aumenta il peso dei Magistri religiosi, diminuisce quello delle scuole laiche che vediamo in pieno
declino. Non solo i gesuiti insistono nell’istruzione, ma anche altri ordini dediti all’insegnamento,
come gli Scolopi, i Barnabiti, i Salesiani. La prof. ci parla anche di alfabetizzazione e
scolarizzazione, che non coincidono. In età moderna, ci possono essere vie all’alfabetizzazione che
non hanno nulla a che fare con la presenza di scuole. Ci fa un esempio: nella Firenze del 400/500 è
molto importante il ruolo delle confraternite, che insegnano ai bambini la lettura. Quello che
importa sottolineare, in un panorama così complicato sull’istruzione nell’età moderna, sono le
novità portate dai gesuiti nel sistema scolastico. Il fatto che, per esempio, le scuole vengono
collocate in edifici che sono destinati solo a questo. Ci sembra scontato ma sono i gesuiti a portare
questa novità, a erigere edifici in modo specifico dedicati all’istruzione. Altra cosa, suddividono gli
studenti per classi di età, e attraggono soprattutto i ceti elevati, che non amano la promiscuità delle
scuole pubbliche. I maestri privati perdurano ben oltre l’età moderna. La prof. ci mostra la slide di
un collegio gesuitico napoletano della Casa del Salvatore, conosciuto come Collegio Massimo.
Vediamo l’acquisto da parte dei gesuiti nel 1554 del Palazzo di Gian Tommaso Carafa, che viene
trasformato subito in collegio. Qui, i gesuiti rimangono fino al 1767, l’età in cui le monarchie si
liberano di questo peso anche ingombrante in cui si apre un’altra fase nella storia dell’istruzione.
L’istruzione delle donne, in tutto questo, non fa una fine proprio allegrissima, per quanto il Concilio
di Trento porti delle novità: scuola cristiane, dove si apprende un po’ di leggere e scrivere, e
soprattutto lo sviluppo di educandati femminili, che in Italia avranno una lunghissima tradizione
almeno fino alla seconda metà dell’800. Si sviluppa soprattutto sapere pratico, ma abbiamo
situazioni differenziate in diverse zone d’Italia. La Prof. ci fa l’esempio di una famiglia fiorentina
molto colta dell’800, i Malenchini Pozzolini. Un’esponente di questa famiglia va maritata ad un
leccese, una grande famiglia di Galatina (LE), e lei inizia a voler corrispondere con la famiglia di
lui, pensa di scrivere alla madre, le sorelle, e questo crea un grande imbarazzo, perché c’è un
divario enorme, nonostante entrambe le famiglie siano di ceto elevato, ma evidentemente
l’appartenenza ad una famiglia e un’altra, e anche ad un territorio o a un altro, implica per le donne
itinerari, dal punto di vista dell’istruzione, completamente diversi. Per le donne, la strada è tutta in
salita e più complicata.
Torniamo a Filippo II. È il pilastro della contro-riforma cattolica. Si avvale di questi Consigli
territoriali. Ad esempio, i domini italiani sono dominati da questo Consiglio con funzioni
territoriali. E poi Consigli che invece hanno competenze tematiche: giustizia, guerra, finanze. È
affiancato anche da segretari personali e una serie di viceré. La grande burocrazia dei domini
proviene dalla nobiltà castigliana, ma Filippo rispetta anche l’individualità dei singoli domini, dei
ceti dirigenti, e si crea una circolazione nell’impero di queste élites imperiali. Dal punto di vista
della politica estera, Filippo II si trova, anche se l’impero non è più ad attenzione universalistica
come quello del padre, a combattere su tanti fronti diversi. Il primo: i corsari protestanti
nell’Atlantico. Perché non ci sono solo i corsari della guerra di corsa delle reggenze barbaresche,
che ci ha portato anche a parlare del tema complicato e affascinante della schiavitù. Una schiavitù
reciproca. Ricordiamo che abbiamo detto che c’è una schiavitù di parte ottomana, in modo
particolare delle reggenze barbaresche, però c’è anche un’attività molto vivace anche da parte
cattolica, in primis da parte dei Cavalieri di Malta, ma anche dall’Ordine di Santo Stefano, ordine
toscano fondato da Cosimo I Medici. Ecco, la Guerra di Corsa avviene non soltanto nello spazio
mediterraneo, ma Filippo ha dei guai anche nello spazio atlantico, dove i corsari sono finanziati
dalla regina d’Inghilterra, Elisabetta I. cosa fanno questi corsari? Assalgono le navi spagnole e
portoghesi, ne danneggiano i traffici, quindi Filippo è in difficoltà nel garantire la sicurezza dei
collegamenti tra la Spagna e i territori americani. Uno dei grandi protagonisti è Sir Francis Drake.
La Prof. ci mostra un suo ritratto del 1580, National Portrait Gallery. Vediamo l’imponenza di
questo personaggio, che appoggia la mano su un mappamondo, è fatto cavaliere ed ammiraglio da
Elisabetta I. La Prof. apre il collegamento al bellissimo lavoro che fanno alla National Portrait
Gallery. È possibile qui fare una ricerca dove, ad esempio, di Sir Francis Drake c’è una piccola
biografia, e poi inizia la serie di opere che fanno riferimento a questo specifico personaggio.
Filippo, di fronte alla forza di questa guerra corsara fortemente voluta da Elisabetta I, non ha molti
strumenti per contrastar questa azione e soprattutto non riesce ad impedire che i corsari inglesi e
l’Inghilterra si salvi a sentimenti indipendentisti che si stanno facendo largo, i Paesi Bassi. Erano
arrivati a Carlo attraverso Maria di Borgogna, la nonna. C’era tutta una zona quindi spagnola che a
un certo punto Filippo II non riesce più a controllare. La Prof. ci mostra una carta che riguarda
L’Unione di Utrecht, del 1579, delle province protestanti e invece la parte meridionale, l’Unione di
Arras, che rimane cattolica e fedele alla Spagna. Nel 1581, le province unite proclamano decaduta
la monarchia spagnola. Si danno un loro governo repubblicano e indipendente. Da questo momento,
la storia di queste province settentrionali avrà una storia diversa da quelle meridionali. Questa
nuova formazione statale nel cuore dell’Europa verrà ufficialmente riconosciuta a metà 600, cioè
alla fine della guerra dei Trent’Anni, 1648. Ma la proclamazione di questa nuova realtà
repubblicana è data 1581. Quindi, una società socialmente dinamica, che coglie tutte le opportunità
che arrivano dalla presenza delle rotte atlantiche e in particolare allo sviluppo del porto di Anversa,
e dove molto rapidamente aveva fatto breccia il calvinismo. La diffusione del calvinismo nel
cattolicissimo impero di Spagna ci dice molto sia dei sentimenti indipendentisti, sia della volontà di
vedere riconosciuta una realtà politica e religiosa. Dall’altro, va anche detto che la diffusione
progressiva di queste istanze contribuisce a un solco profondo tra questa realtà e Filippo II. Filippo
II fa un errore: risponde con intransigenza religiosa. Introduce l’Inquisizione, aumenta le
imposizioni fiscali e manda al governo di queste province così ribelli un personaggio durissima, il
Duca di Alba. Questo produce un unico effetto: rende il divario e la voglia di ribellarsi ancora più
forti. Tra gli episodi più cruenti di questa guerra è il saccheggio di Anversa, da mettere davvero
sullo stesso piano (per la sua violenza) con quello che abbiamo visto di Roma ad opera dei
Lanzichenecchi. La Prof. ci mostra un’immagine molto cruda di un anonimo. È un fatto dal quale
Anversa non riuscirà a risollevarsi.
Fallita la missione del Duca di Alba, il nuovo governatore, Alessandro Farnese, sarà però bravo a
comprendere il divario tra le province del nord e del sud, sul quale si potrà lavorare per garantire
alla Spagna almeno il controllo su quelle meridionali. Infatti, nel 1579, si forma la confederazione
di Arras, e nello stesso anno si forma l’Unione di Utrecht che invece riunisce le province che hanno
scelto il calvinismo e l’indipendenza dalla Spagna. Di queste province fa parte Utrecht, l’Olanda,
Anversa. Luglio 1581: momento del manifesto dell’Aja, in cui gli stati generali delle province
settentrionali dichiarano ufficialmente decaduta la monarchia spagnola. In poco tempo, le province
settentrionali diventano uno dei centri economici più importanti in Europa, un centro di libertà
intellettuale e religiosa. Perché non era facile trovare un luogo all’epoca in Europa in cui esprimere
la propria libertà religiosa. È particolarmente fiorente l’industria tipografica, e ci dice molto del
livello di cultura e di libertà del paese. In Olanda si pubblicano libri che altrove non è possibile
trovare. È una grande sconfitta politica per Filippo II, ma non era finita lì. Un’altra sconfitta politica
dopo questo tragico 1581 arriva nel 1588, dove l’Inghilterra di Elisabetta I dà uno schiaffo
incredibile a Filippo II, quando nel canale della Manica una flotta spagnola almeno di 130 galeoni
che puntava addirittura alla conquista dell’Inghilterra viene annientata dal nemico. Quella che
doveva essere l’Armata invincibile si dimostra invece vincibilissima. Anche qui sorge un problema:
com’è che Filippo II ha un obiettivo così ambizioso e pericoloso? Che cos’ha fatto Elisabetta I,
figlia di Enrico VIII e Anna di Bolena? Intanto, l’abbiamo vista sostenere a spada tratta l’attività
corsara, e questo incide pesantemente sugli interessi della Spagna. Ha sostenuto la lotta
d’indipendenza delle province unite. Ma, molto probabilmente, in questa decisione politica di
partire con questa flotta e andare a cercare di conquistare l’Inghilterra, ha un peso anche la vicenda
tragica di Maria Stuart, regina cattolica della Scozia, processata e uccisa da Elisabetta dopo molti
tentennamenti suoi sulla questione. Ma alla fine la decisione la prende. La tiene imprigionata molti
anni, ma infine nel 1587 Maria viene uccisa. Stava rivendicando il Regno d’Inghilterra in virtù della
nonna. La Prof. ci mostra un piccolo albero genealogico della famiglia inglese. Maria Stuart non va
confusa con Maria Tudor, moglie di Filippo II., regina d’Inghilterra tra 1553 e 1558, con cui
abbiamo un tentativo di restaurazione cattolica. Poi arriva Elisabetta e mette il puntino sulle i. Ma
Maria Stuart non è Maria Tudor. Guardiamo l’albero genealogico. Partiamo da Enrico VIII, uomo
dalle molte mogli, la prima delle quali è un’aragonese, zia di Carlo V. Caterina d’Aragona,
cattolicissima, da cui arriva Maria Stuart, Maria la sanguinaria. Da Anna Bolena, la donna per la
quale Enrico VIII rompe il matrimonio, arriva Elisabetta I. Maria Stuart rivendica il trono
d’Inghilterra grazie alla figura della nonna. È la prima testa coronata decapitata in Europa. Una
monarchia per investitura divina. Una cosa che fa parlare tutte le corti europee. Guardiamo la
coincidenza, 1587. 1588 parte l’impresa poi fallita dell’Invincibile armata. C’è un motivo politico
dietro l’atto di Elisabetta I. Maria Stuart, regina cattolicissima di Scozia, diventa il punto di
riferimento di tutti coloro che complottavano contro Elisabetta I, e che vedevano invece nella Stuart
l’erede legittima. Elisabetta, come il padre, ribadisce la sua scelta anglicana, scelta fatta dal padre
nel 1534, e che decide una rottura con Roma, e la supremazia della monarchia inglese sulla chiesa
nazionale. Da un punto di vista dottrinario, rispetto al dogma cattolico, non ci sono differenze. La
differenza sta tutta nell’atto di supremazia che Enrico VIII promulga, e che contiene una novità
politica dirompente: il re d’Inghilterra ha il diritto di segnare i vescovi della chiesa anglicana, il
potere di scomunica, la responsabilità delle verità di fede. In un Paese dove sono state violentissime
anche le lotte tra i differenti partiti della nobiltà, questo è un atto di politica religiosa ma anche di
centralizzazione pura del potere monarchico. Elisabetta arriva al potere dopo questi pochi anni che
hanno visto il tentativo da parte della sorellastra Maria Tudor 1553-1558 di restaurazione cattolica.
Uno dei primi atti di Elisabetta I, 1559, al potere da1 anno, è di confermare l’atto di supremazia
paterno, confermare cioè il controllo monarchico sulla chiesa nazionale. Torniamo alla
decapitazione di Maria Stuart che desta sconcerto e protesto nelle corti europee. È un susseguirsi di
cronache, di documenti, di poesie, di melodrammi, che hanno una fortuna per tutta l’età moderna e
oltre. La Prof. ci mostra qualcosa (oltre le tragedie di Alfieri e Schiller). Si tratta di Stefan Zweig,
scrittore austriaco e una delle più grandi biografie della Stuarda. Poi tutta una serie di film anche
recentissimi. Un film del 1936 “Mary of Scotland” diretto da J. Ford. La Prof. ci fa sentire il
lamento di Maria Stuarda. Dobbiamo immaginarci un’Europa che fino al 1648 vede le guerre di
religione, quanto venga caricata la vicenda della Stuarda da parte della propaganda cattolica.
Sentiamo un brano, un piccolo pezzettino del lamento di Maria Stuarda. Nel primo verso si parla già
di “sacrilego ministro”, cioè lei è oggetto di un atto sacrilego, una regina cattolica che viene
decapitata. Dice di essere innocente, che non merita di morire, ma è la fede che le dà la forza di
affrontare tutto questo. Dice di essere stata sfidata per invidia (l’invidia di Elisabetta per il potere), e
che è un regno senza fede e senza giustizia, la giustizia viene negata. La Prof. ci fa allora ascoltare
questa esecuzione (G. Carissimi, Lamento di Maria Stuarda).
Abbiamo già visto due disastri politici per Filippo II. Ma c’è un altro scenario che lo impegna
fortemente: il Mediterraneo. Qui, Filippo ha da affrontare ancora un conflitto contro gli ottomani.
Perché qui le scorrerie ai danni delle Spagna non sono finite. Gli anni 50 e primi anni 60 del 500
sono anni di scorrerie continue, e Filippo subisce queste incursioni barbaresche e ottomane. Un
momento di svolta è l’assedio di Malta, 1565. Ricordiamo che dal 1530 hanno sede qui i cavalieri
dell’Ordine di San Giovanni, ordine militare che insieme alle truppe del viceré di Sicilia riescono a
fermare questo tentativo ottomano di assedio e di conquista dell’isola. È un momento senz’altro da
ricordare, perché rappresenta una svolta per il Mediterraneo centrale. Gli ottomani avevano di mira
non solo Malta, ma anche Sicilia, Sardegna, Corsica. Con questo fallimento, quindi, sono costretti
ad arretrare e rientrare nel quadrante orientale del Mediterraneo. E con grandissima rapidità si
volgono verso Cipro. Ricordiamo che Cipro era veneziana. Siamo nell’agosto 1571, quando gli
ottomani iniziano a guardare a Cipro e la costringono alla resa. Intanto, la cristianità, soprattutto
papa Pio V, si sta adoperando per cercare di mettere insieme un fronte unico, perché la resa di Cipro
è un evento importante. Lavora soprattutto su Venezia, che nel 1540 aveva stabilito un’alleanza, era
stata riluttante e misurarsi contro gli ottomani, ma chiaramente vedere Cipro in questa situazione la
convince e quindi anche Venezia si decide. Nel maggio 1571, si costituisce una lega santa antiturca
che nel Golfo di Lepanto, 7 ottobre 1571, Battaglia di Lepanto, distruzione della flotta ottomana.
Data che va impressa per la storia del mediterraneo ma anche culturale di parte cattolica. La
Battaglia è una delle più cruente della storia navale. Le navi da guerra turche sono 230, 208 quelle
cristiane. Gli uomini impegnati nella battaglia sono circa 100.000. l’ultimo grande conflitto tra
flotte, soprattutto galee, avvenuto quindi nelle acque mediterranee. Com’è composta questa flotta?
Una parte cospicua è composta da navi provenienti da Venezia, l’altra metà congiuntamente da
galee dell’impero spagnolo (Napoli, Sicilia,), Stato Pontificio, Genova, i cavalieri di Malta, ma
anche il ducato di Savoia, granducato di Toscana, Urbino, repubblica di Lucca. Ed è quella del 7
febbraio 1571 una vittoria celebratissima dalla chiesa cattolica, che istituisce una festività per
celebrare la vittoria, imputata all’intervento mariano e alla madonna del rosario. In questa seconda
metà del 500 sarà quindi in molte parti d’Europa una serie di eventi a favore della celebrazione
mariana della madonna del rosario. Abbiamo molte opere che celebrano l’evento, la Prof. ci mostra
una slide di paolo Veronese, Venezia. Qui, vediamo Venezia raffigurata come una donna vestita di
bianco introdotta da dei santi al cospetto della vergine. Il favore divino sulla flotta cattolica è messo
in risalto da questi raggi luminosi che dal cielo si irradiano sulla flotta. Ma Lepanto è veramente un
soggetto molto percorso. La Prof. ci mostra il sito della fondazione Federico Zeri. Zeri è stato un
grande storico dell’arte (fondazionezeri.unibo.it). Abbiamo scritto “Lepanto” su “cerca” e ci sono
uscite tutta una serie di opere, di varie epoche, dedicate alla celebrazione della Battaglia di Lepanto.
Tra queste, anche l’opera di un anonimo senese sulle Tavolette di Biccherna, dei registri finanziari e
sopra queste coperte venivano dipinti momenti importanti della storia cittadina o nazionale e
internazionale. Qui è significativo che una copertina di un registro finanziario, quindi un libro usato
per il governo, venga dedicato alla rappresentazione della battaglia di Lepanto. Cosa rappresenta
questa Battaglia nella storia mediterranea quindi? Intanto, blocca l’espansione ottomana. La disfatta
di Malta l’ha allontanato dal Mediterraneo centrale, quella di Lepanto cerca di bloccarlo su quello
orientale. In qualche modo i due contendenti arrivano ad una sorta di stallo. Da una parte sono
bloccati gli ottomani, però da una parte anche la possibilità di riconquista cristiani. Nel 1578,
Filippo II e Murad III siglano un accordo che stabilizza un po’ la situazione. Sono gli anni in cui
Filippo II ha un altro problema da risolvere: i Paesi Bassi. L’assedio di Anversa è del 1576, quindi
vediamo che sicuramente Filippo è spinto ad un accordo con Murad anche perché di là la battaglia
si deve ancora chiudere. Fine dei sogni egemonici quindi da una parte e dall’altra. Quindi,
conseguenza: accentuarsi delle reti politiche e diplomatiche. Accordi con i quali si cerca di
mantenere questo equilibrio più o meno stabile, e caratterizzato da due egemonie: l’impero
ottomano e la Spagna. Il nostro manuale ci dice che è un equilibrio imperfetto, perché l’impero
turco si impone nel mediterraneo con una forza maggiore rispetto a quello spagnolo. Braudel ci
parla di lago ottomano, il manuale ci dice che c’è una visione di un impero con città e luoghi dove
le diverse confessioni riescono a convivere. Tutto questo fa del Mediterraneo ottomano, più
dell’Austria o Russia, la più rilevante forma politica multietnica e multireligiosa. I limiti di questo
lago ottomano sono il mancato controllo delle isole maggiori, Malta, Sicilia e Sardegna spagnole, la
Corsica controllata dalla Repubblica di Genova. Quindi, idea di lago ottomano, idea di una presenza
condivisa, di un equilibrio tra questi due grandi contendenti. La Prof. ci mostra un video breve che
torna su Filippo II ed Elisabetta I. la cosa che piace tanto alla Prof. di questo video è che affronta la
figura di Elisabetta attraverso la ritrattistica di corte, quindi vedere attraverso i ritratti come
Elisabetta percepisce e mostra il proprio potere, ma anche si evolve nella gestione di questo stesso
potere (YouTube: Elisabetta I e Filippo II). E per la Prof. è interessante notare anche come i sudditi
potessero aver subito chiare alcune simbologie. Straordinaria è quella del pellicano, messa nel cuore
della regina, che è un simbolo che evoca la sua capacità di sacrificarsi fino all’ultimo, e anche
quella della purezza, un mito che Elisabetta costruisce nel tempo, quello della regina di ferro,
vergine, tutta votata alla nazione. Chiaramente, è una mitologia che ha un significato politico
preciso, così come la scelta di non accettare tutti i suoi numerosi pretendenti. La scelta anglicana è
una scelta relativamente giovane, 1534, ribadita dalla stessa Inghilterra. È un’Europa dilaniata
ancora dalle guerre di religioni. Quindi, la sua scelta rafforza lo Stato ma garantisce anche
autonomia di scelta politica rispetto alle dinamiche complicate europee.
LEZIONE 10
La scorsa volta siamo arrivati alla Battaglia di Lepanto, 7 ottobre 1571, data ovviamente da
ricordare. Non solo perché è l’ultima grande battaglia navale con le galee e che avviene nello spazio
mediterraneo, ma anche perché in qualche modo è una data importantissima anche per l’Europa
cattolica. È una gravissima sconfitta per l’impero ottomano. C’era già stato un suo richiudersi nel
quadrante orientale dopo il ritirarsi da Malta. Però c’è anche una reazione e dopo pochi anni viene
conquistata Tunisi. Tunisi l’abbiamo vista attaccata da Carlo V nel 1535. Ricordiamo una grande
spedizione, porta con sé un pittore che immortala questi momenti. Poi, dopo una quarantina di anni
i sultani locali dibattono tra questi due diversi domini, spagnolo e ottomano, finché nel 1574 Tunisi
cade e diventa una delle reggenze dell’Africa del nord sotto il protettorato ottomano, con assetti del
tutto simili a quelli di Algeri e Tripoli. Quindi, c’è una reazione ottomana, perché 1571 è Lepanto, e
1574 è la riconquista di Tunisi. Nonostante questa reazione anche militare da parte dell’impero
ottomano, gli storici individuano nel periodo che va dal 1574 alla metà del ‘600 un periodo in cui
sono visibili elementi di crisi, di crepe, all’interno dell’impero ottomano. Queste crepe sono di due
tipi: fattori esterni; interni. Tra i fattori esterni di indebolimento va messa senz’altro la pressione da
parte di potenze rivali, che sono lì a insistere sui confini dell’impero e con le quali i conflitti sono di
lunghissimo periodo. La tensione con la Russia non è certamente una novità del 500 e del 600. La
personalità da citare è quella di Ivan IV il Terribile, perché si proclama zar di tutte le Russie nel
1547. Fa una durissima battaglia contro la nobiltà boiara, e soprattutto si spinge verso il Mar
Caspio. Quindi, di necessità incontra i confini dell’impero ottomano. La Prof. ci mostra una carta.
Ivan IV muore nel 1584, e il 1613 è l’inizio della dinastia dei Romanov, che finirà nel 1917. Questa
carta è utile perché si comprende che c’è un nucleo quattrocentesco, il Principato di Mosca, in rosso
più scuro. Intorno, c’è un rosa accentuato che comprende anche Arcangelo, e sono le diramazioni
dell’espansione tardo-quattrocentesca, primo-cinquecentesca. La parte in giallo è quella di Basilio
III, ma ci interessa quella di Ivan il Terribile violetta più scuro, attraverso cui vediamo che si spinge
verso il Mar Caspio. Il primo conflitto turco-russo è del biennio 1568-1570. Ivan è un personaggio
enorme. La Prof. ci mostra una clip di un film del 1944 di un grande cineasta russo, Sergej
Eisenstein. Questa clip ci dice moltissimo anche dell’immagine di questa corte (YouTube: Ivan il
Terribile di Sergej Eisenstein 1944 – scene in italiano). Era interessante proporre questo suo
riandare alle origini della costruzione dello Stato russo, attraverso questa figura, questi intrighi di
corte. Un personaggio assolutamente affascinante. Lo abbiamo tirato in ballo perché stiamo
parlando di impero ottomano, e di vicini alquanto scomodi per l’impero. Da una parte, la Russia che
si sta allargando verso il Mar Caspio. Poi, la presenza degli Asburgo, coi quali non si interrompe
mai questo tipo di confronto. Lo abbiamo già visto a inizio 500, quando la battaglia di Mohacs nel
1526 stoppa un momento questa penetrazione ottomana. Poi abbiamo visto giù un tentativo fallito
della presa di Vienna nel 1529. E la Prof. ci ha proposto anche un video su questi luoghi che dà
conto sia della compresenza culturale, quindi innesti ottomani così presenti anche nei tessuti urbani,
ma anche di politiche europee volte alla loro valorizzazione. Ora, con gli Asburgo a fine 500,
riprende l’offensiva da parte dell’impero ottomano. L’obiettivo è quello di riuscire a controllare
nuovamente Ungheria, Transilvania e Moldavia. Nel 1606 si arriva ad una Pace, la Pace di
Zsitvatorok. Questo luogo oggi si trova in Slovacchia. E poi la Prof. ci mostra un monumento
commemorativo di questa pace tra Asburgo e impero ottomano nel 1606. È una pace che va a
proibire, sempre all’interno di un equilibrio instabile, nuovi saccheggi ottomani nelle terre del regno
d’Ungheria. Uno stop quindi alle lunghe campagne militari contro gli Asburgo. Intanto, cosa
succede? Quando c’è la Russia da una parte, gli Asburgo dall’altra, ma quando l’impero ottomano
si allunga contro gli Asburgo libera un fronte che è quello persiano. Lo Stato persiano si era
compattato alla fine del 400 attorno alla figura carismatica del sovrano Ismail, fondatore della
dinastia safavide. Ismail fa dello sciismo una religione di Stato, imponendo, a inizio 500, ai Sunniti
la conversione. Di questa duplicità dell’anima islamica tra sciismo e sunnismo abbiamo già
accennato, abbiamo detto che questa frattura si consuma praticamente alla morte del profeta. Gli
sciiti hanno la convenzione che solo i compagni del profeta possano guidare la comunità religiosa.
Mentre, i sunniti ritengono ancora oggi che sia sufficiente una forte convinzione religiosa. Lo
sciismo accentua proprio la dimensione religiosa, quindi non solo guida di una comunità religiosa,
ma qualcosa in più.
Sulla Persia abbiamo detto qualcosa anche quando abbiamo parlato di Selim, il padre di Solimano il
Magnifico. Quando abbiamo detto che va a stabilizzare in quel primo 500 il confine con i persiani,
nel 1514, Battaglia di Cialdiran. Ma quella tra impero ottomano e regno persiano o safavide è una
frontiera sempre difficile, sempre tesa, e il conflitto si riaccenderà nel 1623 per terminare nel 1639.
Anche questa è una data alquanto significativa per l’impero ottomano e per gli equilibri areali di
questa zona, perché Baghdad e il territorio dell’attuale Iraq passavano agli ottomani. La Prof. ci ha
messo 2 carte per rendere più evidente l’importanza di questa cesura del 1639. Vediamo Baghdad,
che passa stabilmente nell’area ottomana. La cosa interessante è anche vedere come questi confini
restino un portato stabile, duraturo. La Prof. ci mostra anche una carta che ci propone i confini
attuali tra Iraq e Iran. Ricordiamo la Rivoluzione Khomeinista del 1979, ma per ritornare alla
difficile frontiera tra Iran e Iraq anche la guerra del 1980-88.
Ritorniamo su un’autrice che la Prof. ci ha ricordato precedentemente, Dina Nayeri, scrittrice
iraniana, e il suo libro “L’ingrata” pubblicato recentemente. I temi sono quelli dell’ospitalità,
dell’accoglienza, ed è un libro assolutamente profondo, che solleva anche tanti interrogativi. Poiché
parlavamo di istruzione delle donne, un tema difficile e di lungo periodo anche nello spazio
europeo, la Prof. ci legge una pagina di questo libro, pag. 32. È una donna che fugge dall’Iran con la
madre, che si è convertita. Si trasferisce negli Stati Uniti, ha un percorso brillantissimo animata dal
sacro fuoco della competizione, dal bisogno di farcela ad ogni costo, finché si rende conto che ha
bisogno di recuperare qualcosa di sé, del suo percorso. È un libro sullo straniamento dell’identità e
sulla continua negoziazione dell’identità. La prof. ci legge una pagina che parla della scuola
islamica. Lei è bambina quando c’è quella guerra che abbiamo visto tra Iran e Iraq. La scuola era
opprimente e spietata, umiliava. C’era un clima oppressivo nella scuola islamica, e si capisce la
durezza di questo periodo.
Torniamo al nostro lontano 600. Mettendo insieme queste cose, il primo conflitto tra impero
ottomano e la Russia, anzi zona Mar Caspio, la ripresa della guerra contro la Persia, e il conflitto
con gli Asburgo d’Austria che trova un punto nella pace del 1606, ecco qui possiamo dire che l’asse
dell’impero ottomano si è spostato dal Mediterraneo alla parte più continentale dell’impero. È un
impero però che dopo il 500 continua in questo sforzo bellico con potenze rivali. Quindi, questi
sono i fattori esterni, la pressione sull’impero ai confini. Ma ci sono anche fattori interni di crisi, che
gli storici tendono a sottolineare fortemente. Il primo è senz’altro l’instabilità del potere centrale.
Quando abbiamo parlato della transizione da Selim e Solimano, ci siamo detti che c’era una
transizione pacifica, senza spargimento di sangue. Non è però questa la regola in questo periodo. Lo
sconfitto della battaglia di Lepanto si chiama Selim II. Dopo di lui arrivano due sultani, e in questo
periodo abbiamo moltissimi gran-visir, una ventina, che si succedono l’uno all’altro molto
rapidamente. Questa successione rapida è una chiara spia di una difficoltà interna, di una instabilità
da parte del potere centrale. Ozman II, questo sultano del primo 600, 1618-1622, lo ricordiamo
perché tenta una riforma del corpo dei giannizzeri. Tenta di turchizzare questo corpo che invece
aveva tutt’altre caratteristiche. I giannizzeri non gradiscono, lo depongono, lo uccidono, 1622. Cosa
ricordiamo di questo corpo anche sulle basi delle lezioni precedenti? Era stato istituito a metà 300,
contava circa 30.000 persone alla fine del 500. E godeva di una grandissima reputazione.
L’abbiamo visto protagonista durante l’assedio di Costantinopoli, abbiamo visto delle
rappresentazioni durante anche l’altra vicenda che è quella dei martiri di Otranto del 1480, ci siamo
detti che è un corpo formato da queste raccolte (scirmè (?)) che avvenivano ogni tot di anni, e che
interessavano i giovani dai 7 ai 20 anni. Erano corpi selezionati e guardie die strema fiducia del
sovrano. La loro vita era una vita esclusivamente militare, non c’era uno spazio altro se non quello
dell’addestramento militare. Il 600, quindi, susseguirsi dei gran-visir, tentativo fallito della riforma
dei giannizzeri, è comunque visto dagli storici come un periodo di crisi per l’impero ottomano.
Pag. 123 del nostro manuale, la Prof. vuole commentarla. Siamo alla metà del 400. La storiografia è
sempre, sia quella che riguarda l’impero ottomano, ma anche la storia dei paesi europei,
particolarmente critica o comunque fino a poco tempo fa lo era, quando figure femminili
lambiscano il potere. C’è sempre una difficoltà storiografica a misurarsi con le donne all’interno
nella corte. Pensiamo al giudizio che è stato dato sulle reggenti di Francia, da Caterina de Medici
che si misura con le guerre di religioni, poi Maria de Medici, ma a tutte le figure delle reggenti.
Cioè, quando una donna gestisce in qualsiasi ruolo formale o informale il potere, questo è visto
come negativo, come un momento di debolezza del potere e che soprattutto apre a minacce
dall’esterno. Quindi, c’è sempre una visione di negatività. Questo tema di donne e potere in età
moderna nello spazio europeo è stato molto rivisitato in tempi moderni. La Prof. ci mostra una slide
in cui ci sono delle opere interessanti, questo di Maria Teresa Guerra Medici, che fa il punto sulle
reggenti, donne che si ritrovano a governare un paese in nome dei propri figli. L’altro è un libro
sulla regina di Francia, di Fanny Cosandey; anche quest’altro, sul tema, “In assenza del re”. E
questo “Le donne Medici nel sistema europeo delle corti”, un convegno bellissimo che si svolse a
Firenze sulle Medici. La Prof. ci legge un passaggio dell’introduzione di quest’ultimo libro, per
capire la complessità di questo tema, del rapporto tra donne e potere. Maria Bellonci ha dedicato
tanti libri, il suo primo libro del 1939 su Lucrezia Borgia, e si imbatte sull’inventario dei gioielli di
Lucrezia Borgia e da lì costruisce una storia meravigliosa. Poi c’è “Rinascimento privato”, dedicato
a Isabella d’Este, una sposa Gonzaga che si trova reggente. C’è un brano dalla Bellonci che la Prof.
ci legge.
Torniamo all’impero ottomano, che si trova con queste difficoltà ai propri confini. La parte russa, la
parte persiana, gli Asburgo. La necessità da parte di un sultano a inizio 500 di riformare il corpo dei
giannizzeri, ma fallisce, non si trova un equilibrio tra questo corpo e il sultano. Tutti questi conflitti,
questa situazione bellica permanente, ha un costo. L’impero ottomano deve ricorrere a vari
espedienti: la venalità delle cariche, il conio di monete di scarso valore, e i militari danno vita a
continue ribellioni per ottenere migliori condizioni economiche. Quindi, nella corte si apre questa
spirale di violenza che finisce nel 1656 con la nomina di un gran visir, che si chiama Mehmet
Köprülü, durante il sultanato di Maometto IV. Con Köprülü si riapre la contesa con gli Asburgo
d’Austria, di nuovo gli ottomani vengono fermati e a questo punto lo sforzo militare si dirige (e
anche qui notiamo questi rapidi cambiamenti di fronte, prima da Malta a Cipro, ora di nuovo) verso
Creta. Ce la ricordiamo perché fa parte almeno dal 200 dell’impero veneziano. La prof. ci aveva
mostrato un’immagine di Creta divisa in sestieri, così come Venezia. Creta è sentita da Venezia
come territorio suo, e per gli ottomani è tutt’altro che facile averla vinta sui veneziani.
Consideriamo che gli ottomani sbarcano a Creta nel 1645, dal 1649 comincia l’assedio alla
principale città cretesi, Candia, e questo assedio dura tantissimi anni fino al 1669. I veneziani fanno
di tutto per non perderla, e si mette in luce in modo particolare un veneziano, Francesco Morosini,
che si distinguerà nella resistenza all’impero ottomano e che riceverà grandissimi onori in patria,
diventa un eroe al quale anche recentemente la città ha reso omaggio. La prof. ci mostra
nuovamente una carta delle lezioni scorse, la carta sull’egemonia veneziana, dove l’accento è su
Cipro che era stata persa nel 1571, motivo per cui Venezia seppure riluttante entrò nella lega contro
l’impero ottomano e diede il suo contributo alla vittoria di Lepanto, e poi appunto Candia, Creta
1204-1669. Il momento da considerare come periodizzante per l’impero ottomano è senz’altro un
anno, il 1683. Sono due i tentativi degli ottomani degli assedi a Vienna: uno è il 1529, fallisce. Il
secondo è del 1683. Quindi, vediamolo ripercorso in un breve filmato che si basa su una
testimonianza boema, e quindi dà ragione di un momento difficilissimo in cui gli Asburgo si
sentono soli, e le truppe di supporto non stanno arrivando. In quel momento, sembra che Vienna
non ce la faccia, sembra che sia stata lasciata da sola. La Prof. ci mostra un filmato (YouTube: 1683
- I turchi alla conquista di Vienna parte 1). È un filmato che ci dà la misura della durezza di questo
momento e anche di come viene percepito come un momento dal quale non si può tornare indietro.
Questo ritardo degli aiuti, per cui Vienna deve difendersi ma le forza non sono pari. A un certo
punto, gli aiuti arrivano, la Lega Santa arriva, è un grande esercito proposto dal papa Innocenzo XI
che unisce l’impero asburgico, la Polonia, Venezia e più tardi anche la Russia. L’assedio degli
ottomani non è più l’assedio di metà 400. A metà 400 abbiamo visto un impero ottomano
all’avanguardia dal punto di vista della tecnologia militare, ora invece non è più così, per esempio
mancano i cannoni di grosso carico per affrontare le fortificazioni di una città che dopo l’assedio del
1529 ha cercato di organizzarsi di fronte a questo pericolo. Dobbiamo ricordarci quindi di questo
1606, di questo 1683 (secondo e ultimo assedio), ma l’altra data da tenere in mente è ahimè quella
del 1699, la pace di Carlowitz, in cui questa situazione tra ottomani e Asburgo trova una sua
definizione. Per rendere chiaro cosa significa in termini di territori, di aree d’influenza, la prof. ci ha
messo una carta che abbiamo già visto all’inizio, questa dell’impero ottomano nel 1683, la data
dell’assedio, ma ci ha messo anche quella del 1699, data della pace di Carlowitz, in cui l’impero
ottomano deve rinunciare una volta per tutte a territori perduti. Deve cedere dei domini alla Polonia,
Austria, Venezia. La zona in rosa della carta, la Morea, viene guadagnata nuovamente da Venezia.
Sull’altra carta notiamo come gli Asburgo si trovano ad esercitare un potere nella zona dell’Europa
centrale e danubiana. Quindi vediamo la differenza tra le due carte, una del 1683, e l’altra del 1699.
La frontiera ottomana arretra, gli Asburgo si allungano verso l’Europa centrale e danubiana. La
pace di Carlowitz, quindi, segna una sconfitta dell’impero ottomano, un arretramento. Dopo questa
data non ci saranno altri tentativi di andare in visita a Vienna, e attraverso Vienna penetrare nello
spazio europeo. È una sconfitta anche di percezione da parte dell’Europa. Prima c’era il mito
dell’invincibilità ottomana e dei giannizzeri, ora questo mito si incrina, gli europei assumono un
atteggiamento diverso verso il governo di Istanbul. A partire dalla fine del 600 in poi avremo una
presenza differente, più forte e più diffusa, e anche l’inizio di un’influenza politica che prima non
vedevamo. È vero che quindi è un declino, un arretramento dei territori, però dobbiamo anche
tenere conto che l’impero ottomano era ancora molto vasto: province arabe dell’Africa del nord;
l’Algeria fino al 1830, poi inizia un’altra storia, una storia francese; la Siria e la Palestina fino alla
Prima Guerra Mondiale. Quindi, crepe senz’altro sì, difficoltà di tenuta del potere centrale, una
pressione da parte di potenze rivali senza dubbio, però abbiamo di fronte un’esperienza statuale
comunque destinata a restare in piedi ancora a lungo. È interessante vedere come la nostra Venezia
riprenda sempre vigore ogni volta che l’impero ottomano si trova in difficoltà. Dopo la perdita di
Creta, per niente digerita, 1669, l’impero ottomano è in difficolta perché il confronto è con gli
Asburgo, Venezia ne approfitta e addirittura ci troviamo di fronte al cannoneggiamento del
Partenone, il segno di un cannone veneziano. Poi, cerca di conquistare Patrasso, Corinto, Atene,
addirittura Morosini, il protagonista di questa nuova epopea veneziana, si guadagna questo grande
epiteto “il Peloponnesiaco”. E abbiamo visto come la pace di Carlowitz riguardi anche Venezia,
perché le viene riconosciuto il possesso della Morea, le isole ionie e la Dalmazia. Con Creta e Cipro
Venezia ci mette una pietra sopra, ma guadagna questi nuovi territori. A Francesco Morosini, nel
2019, a 400 anni dalla nascita, sono stati dedicati una serie di eventi. Ci mostra il sito
francescomorosini.it, cioè si propone un itinerario di Venezia attraverso i luoghi di Morosini, ma
non si offrono moltissimi particolari. È interessante vedere con quale energia questa Repubblica
continui questa sua proiezione sull’Adriatico e oltre approfittando di ogni momento.
La Prof. riprende il video su Venezia, cercando div edere i punti che si erano dipanati su questo
racconto. “Io sono Venezia”, si ricomincia da un resoconto di parte gota, che ci fa vedere come la
città nasca dalle acque, in cui si descrivono questi abitanti della laguna veneziana come già dotati di
una certa reputazione a affidabilità come navigatori. Poi si parla di San Marco, le cui spoglie
trafugate dai mercati e portate a Venezia, diventa l’orgoglio stesso della città. Ricordiamo le slides
in cui c’era il Leone di San Marco in tutti i luoghi sotto il dominio veneziano. Quindi, nel 1000 d.
C. Venezia è ancora parte dell’impero bizantino governata da un duca bizantino, ma acquisisce
sempre più un suo potere, una sua autonomia. Uno dei primi personaggi che appariva in questo
video è il doge Pietro Orseolo del 991 d. C., un dogado importantissimo. Questo doge farà sposare
il figlio a una principessa bizantina, e quindi in questo periodo Venezia inizia a proiettarsi
sull’Adriatico. 1204, quarta crociata, momento chiave, Costantinopoli viene conquistata da un
esercito di crociati e veneziani, e saccheggiata. Venezia ha un ruolo in questo saccheggio ancora
nella concezione del mondo ortodosso una ferita non richiusa. In questa occasione, dall’ippodromo
di Costantinopoli, Venezia porta via questi famosi cavalli che vengono apposti sulla Basilica di San
Marco, simbolo di un potere conquistato, potere che adesso esercita. Poi ricordiamo che entra in
scena una donna, figlia di Marco Polo, morto nel 1324, Fantina Polo. Marco Polo ha lasciato i suoi
averi alle 3 figlie femmine, ma Fantina legge il testamento del padre ma niente da fare, Fantina deve
denunciare alle magistrature veneziane il marito, la famiglia, che si è appropriata indebitamente dei
suoi beni. Questo è un aspetto interessante, come le magistrature cercano di proteggere donne e
minori, mettendo su un sistema a tutela dei beni. Fantina ci mostra un lasciapassare in oro zecchino,
una sorta di passaporto di Marco Polo. C’è una storica che interviene parlando di Fantina, dicendo
che laddove gli uomini erano spesso in mare, fuori patria, si richiedeva alle donne di avere un ruolo
particolare, ma anche cultura sufficiente nel leggere e scrivere per gestire i beni della famiglia in
assenza dei propri mariti. Una situazione simile la troviamo nella Firenze del 400, in cui gli uomini
non erano in viaggio per mare, ma erano direttamente in esilio come oppositori della fazione
dominante dei Medici, quindi le donne rimanevano in città e dovevano avere un elevato grado di
acculturazione. Quindi, riprendiamo un po’ il video a partire dal trentatreesimo minuto. Questo
video piace alla prof. perché abbraccia tante situazioni veneziane, si parte praticamente dal VI/VII
secolo fino a tempi molto recenti. Si mettono in scena figure differenti, dalla figlia di Marco Polo
alla cortigiana del 500, a Canaletto nel 700, ci sono tante cose diverse, però sulla base di documenti
autentici. C’è una ricostruzione storiografica attenta, in cui le voci degli storici si alternano a questi
attori che recitano sulla base di documenti.
PS IL VIDEO SU VENEZIA NON SI TROVA Più, ANCHE LA PARTE CHE ABBIAMO VISTO
NON LA DOBBIAMO CONSIDERARE COME UN ARGOMENTO DI ESAME.

LEZIONE 11
Lepanto. Fino a quel momento abbiamo visto nello spazio mediterraneo principalmente due grandi
realtà politiche: impero ottomano e Spagna. 7 ottobre 1571: raggiungimento di un equilibrio
instabile, l’avvio di un Mediterraneo condiviso. Abbiamo anche visto come l’impero ottomano con
queste guerre di fino 500/metà 600 si sposti sul quadrante orientale e anche verso l’Europa
balcanica. Il 600 è segnato dall’ingresso di nuovi attori politici. Il primo è la Francia. Abbiamo
parlato di Francia in relazione alle guerre d’Italia con Carlo VIII, 1494, e che si chiude con la pace
di Cateau-Cambresis nel 1559. Abbiamo visto Carlo VIII animato da un progetto crociato. La
Francia in tutto questo periodo impiega moltissime energie nello spazio italiano, portatrice di un
progetto di egemonia nel Mediterraneo. Però, se volessimo sintetizzare questa politica dinamica e
attiva, questo grande Stato resta con un pugno di mosche in mano, perché arretra dalla Sicilia, dal
napoletano, dal milanese, dalla Savoia, e perfino dalla Corsica che rientra nel controllo genovese.
La pace di Cateau-Cambresis segna quindi un assetto italiano dominato dalla potenza spagnola, ma
anche il fallimento di un progetto mediterraneo francese. Dopo Cateau Cambresis questa grande
potenza esce dallo spazio politico europeo, dilaniata dalle guerre di religione, che assorbono
completamente le energie francesi. È vero che sono le altre potenze europee ad entrare nello spazio
francese a favore dell’una e dell’altra fazione, quella protestante e quella cattolica, che si
contendono la successione al trono di Francia. Sono decenni pesantissimi in cui la Francia non ha le
energie di proiettarsi né nel Mediterraneo né fuori. Il re Enrico II muore in un torneo cavalleresco,
siamo nel 1559. La Francia resta in mano alla vedova, Caterina de Medici, fiorentina. Caterina
regge il trono in nome del figlio minore, Carlo IX. È un momento difficile perché la Francia del Sud
è penetrata dalle idee della riforma, si riconosce e segue grandi dinastie dell’aristocrazia francese,
come i Coligny e i Borbone, le famiglie dell’aristocrazia protestante, mentre i cattolici sono la
famiglia Guisa, sostenuta dall’esterno, dalla Spagna. I protestanti francesi vengono chiamati
ugonotti, hanno una formazione calvinista, e “ugonotti” parola che viene dal tedesco
“Heidgenossen”, confederati. Caterina de Medici cerca di perseguire un punto di equilibrio tra
questi due partiti. Fa sposare la figlia Margot con il cugino protestante Enrico di Navarra,
sollevando naturalmente ire proteste della fazione cattolica. A pochi giorni dal matrimonio, tra il 23
e il 24 agosto 1572 (focalizziamoci bene: queste guerre di religioni francesi sono avvenute nel 500),
centinaia di cattolici armati dai Guisa attaccano di sorpresa i protestanti. È un attacco atroce, ne
muoiono migliaia: notte conosciuta come “La notte di San Bartolomeo”. La Prof. ci mostra alcune
immagini di Caterina de Medici, come il dipinto di Chimenti, conservato agli Uffizi, “Nozze di
Caterina de Medici con Enrico II di Francia”. Nella prossima slide ci mostra Caterina con il figlio,
c’è anche Margherita, Caterina è già in abiti vedovili (quindi intorno al 1561, due anni dopo la
morte di Enrico II). Poi un altro dipinto, una delle pochissime rappresentazioni della notte di San
Bartolomeo: il pittore è un protestante, Francois Dubois, di lui si sa poco, ma quella notte era lì,
riesce a scampare al massacro, ripara in Svizzera, e il museo cantonale de Beaux-Arts di Losanna
conserva questo dipinto. Questo genere di rappresentazioni è abbastanza complesso perché
all’interno di una stessa rappresentazione non si va a raffigurare un momento specifico dell’evento,
ma momenti diversi dello stesso evento. La Prof. apre il sito del museo perché le è piaciuta molto la
descrizione che si fa del dipinto. La datazione non è precisa, va dal 1572 al 1584, quindi chi
cataloga l’opera mette una forchetta, sicuramente prima il massacro e prima della morte. La
topografia è manipolata, adattata, per mostrare i luoghi principali di questa tragedia. Al centro, la
casa privata di Anne de Laval, davanti alla quale l’ammiraglio dei Coligny è ucciso, poi
defenestrato, decapitato, castrato. Questa era la successione. Ucciso e poi si infieriva. È tutto nella
stessa rappresentazione. Poi ci sono i capi del partito cattolico. La cosa interessante è che sullo
sfondo questa signora vestita di nero è Caterina de Medici, davanti a questi corpi massacrati, e
chiaramente è vista in questo dipinto come l’istigatrice di questo massacro, la responsabile. La terza
immagina che la prof. ci mostra è quella di un film, “La regina Margot” del 1994, dove Virna Lisi
impersonava la regina Caterina de Medici. In “Le donne medici nel sistema europeo delle corti”,
una studiosa parla di Caterina de Medici, evidenziando come già nella prima metà dell’800 Caterina
sia vista come la regina maledetta, la regina nera, accusata addirittura di pratiche di negromanzia, e
mossa da una sete di potere insaziabile di cui sarebbe vittima innocente il figlio Carlo IX. È così che
ce la trasmette anche Alexandre Dumas, che nel 1845 pubblica “La Regina Margot”. Ma il dipinto
di Dubois ci fa comprendere come l’idea di una Caterina de Medici maledetta prenda corpo già
durante il 500. Quell’abito nero vedovile, quel nero, diventa anche qualcos’altro, quindi
negromanzia e sete di potere mai saziata. Queste guerre di religione terminano nel 1594 con
l’ingresso a Parigi di Enrico di Navarra. Enrico, ugonotto, ha abiurato nel 1593 per assicurarsi il
trono. È la fine delle guerre di religione, e nel 1598 noi abbiamo l’Editto di Nantes, raggiungimento
di un equilibrio dopo tutti questi anni di guerre. L’editto trova un modus vivendi tra cattolici e
protestanti, riconoscere la libertà di culto nei territori dove i protestanti si erano installati prima del
1597, dove si trovavano fino al 1597 lì potevano restare e praticare liberamente il loro culto. Non a
Parigi, Parigi è cattolica e viene esclusa da questo culto. Inoltre, viene concesso ai protestanti la
possibilità di accedere alle scuole e alle cariche pubbliche, e il controllo di alcune piazzeforti
armate. La Prof. ci menziona la Rochelle, e ci fa vedere la sua posizione. Quindi, il re Enrico IV,
chiusa la fase delle guerre di religione, riporta la Francia su uno scenario internazionale avviando un
processo dir afforzamento monarchico e di protagonismo coloniale. La Prof. ci fa vedere una carta
che ci mostra come la presenza di insediamenti francesi in Canada, e se si vedono le date ci sono
anche date di questo primo 600, del periodo quindi di Enrico IV che sostiene l’organizzazione di
missioni francesi di colonizzazione in Canada. Di Enrico IV dobbiamo ricordare l’istituzione della
cosiddetta “Paulette” nel 1604. Cos’è? Una tassa che lo Stato percepisce dai detentori degli uffici
pubblici in cambio della facoltà che lo Stato concede di trasmettere questo titolo ai propri eredi.
Quindi, è un processo di vendita di cariche pubbliche attraverso cui si ottengono due principali
risultati: di avere denaro regolare nelle casse statali, e di creare un ceto fedele alla monarchia, la
cosiddetta nobiltà di toga, in contrasto con un’aristocrazia più antica, la nobiltà di spada. Con la
morte di Enrico IV nel 1610, un’altra reggente Medici al trono di Francia: Maria de Medici, che si
trova a reggere il potere in nome del figlio Luigi XIII. Di Maria de Medici la Prof. ci mostra
rapidamente il ciclo commissionato da Maria (la cui figura anche è stata rivalutata dal punto di vista
del patronage artistico, del suo ruolo, queste regine sono state viste per molti anni come negative,
poi ristudiate sotto un altro punto di vista) nel 1621, si trova a Louvre. Nel 1517 è stato ucciso il suo
favorito. Luigi XIII ha ripreso il potere ed è una fase di scontro durissimo col figlio. Maria viene
allontanata da Parigi, confinata in un castello finché nel 1620 non si riconcilia col figlio. E l’anno
dopo commissiona questo grande ciclo che ripercorre alcuni momenti salienti della sua biografia.
La Prof. ci mostra due immagini di questo ciclo: a sinistra la nascita a Firenze, a destra lo sbarco a
Marsiglia della regina. Quindi, è una committenza artistica senz’altro autocelebrativa, ma con la
quale Maria legittima e difende il proprio ruolo di reggente di Francia. Al fianco di Maria de
Medici, almeno nella prima fase, il cardinale di Richelieu con la quale la Francia vive una stagione
di grande protagonismo politico. Siamo negli anni 30 del 600, la Francia torna nello spazio italiano,
perché si estinguono i Gonzaga di Mantova, e la Francia riesce allora a collocare a Mantova un
ramo cadetto dei Gonzaga e filofrancese, i Gonzaga-Nevers. Ne I Promessi Sposi questo conflitto
per la successione mantovana (1628-31, estinzione dinastia mantovana) fa da sfondo a tutto il
romanzo, ed è una delle principali cause della carestia che affligge il milanese e della calata dei
lanzichenecchi che porta la peste nello spazio italiano. Ma non solo. Nel 1635 la Francia entra in un
altro grande conflitto che stava insanguinando l’Europa dal 1618: la guerra dei trent’Anni (1618-
1648). La Prof. non entra troppo nelle dinamiche di questo conflitto, segue il tracciato del nostro
manuale, che molte cose le tocca molto rapidamente. Quella dei trent’anni è una guerra che molti
storici paragonano alla Prima Guerra Mondiale, intanto per l’apparente irrilevanza della questione
scatenante. Nel nostro caso, nella Guerra dei trent’anni, è un evento conosciuto come la
defenestrazione di Praga, tanto che “una defenestrazione di Praga” è diventato un modo di dire nel
linguaggio comune. Inoltre, l’enormità di questa vicenda militare, e infine perché il cuore del
conflitto iniziale è lo spazio dell’Europa centrale. La guerra ha inizio dal fallimento della pace
d’Augusta, 1555, momento in cui Carlo V si avvia a dividere l’impero in due tronconi; poi
parleremo d’Asburgo di Spagna e d’Austria. Carlo cerca di trovare un equilibrio dopo tanti conflitti.
Cosa aveva deciso la pace di Augusta? Che i principi potevano scegliere la confessione religiosa
secondo coscienza, e dal punto di vista dei principi tutto andava bene. I problemi vengono per i
poveri sudditi, perché i loro sudditi hanno l’obbligo di seguire la religione del principe. Cosa
succede se il tuo principe è luterano e tu sei cattolico? Niente, fai le valigie e te ne vai, oppure abiuri
e quindi ti adatti alla situazione. Questo crea uno spazio, però, nel cuore dell’Europa centrale molto
differenziato tra i vari principi. A inizio 600 gli Asburgo, che dal 400 alla fine non mollano la
dignità imperiale, la Francia ha cercato a contenderla ma non ce l’ha fatta; a inizio 600 gli Asburgo
tentano di modificare lo stato di queste cose e promuovono una ricattolicizzazione dello spazio
tedesco. La miccia si accende in Boemia, una delle regioni dell’impero asburgico più inquiete dal
punto di vista religioso (e abbiamo capito che religione e politica stanno quasi sempre insieme). In
Boemia c’è quindi un territorio favorevole a una proiezione indipendentista rispetto agli Asburgo,
questo favorisce la diffusione di idee riformate, che vanno ad incidere sui rapporti con il centro
cattolico rappresentato dall’imperatore di Asburgo. Allora, 2 rappresentanti dell’impero asburgico,
nel 1618, vengono buttati giù dalla finestra. Ciò provoca subito una reazione da parte dell’impero
asburgico, perché chiaramente è un atto di insubordinazione da parte dei boemi. Accade che, quella
che poteva essere una questione risolta dentro all’impero tra centro e periferia, tra Asburgo e boemi,
diventa in pochissimi anni una guerra generale. Entra in campo la Spagna, gli Asburgo di Spagna si
mettono dalla parte degli Asburgo d’Austria; la Svezia e la Danimarca si schierano coi protestanti, e
come abbiamo detto sopra la Francia. Siamo nel 1635. La Francia sostiene i protestanti in funzione
anti-Asburgo, mentre a casa sua non li apprezza per niente, anzi, nello spazio francese Richelieu
cerca di togliere ai protestanti tutte le piazze forti concesse da Enrico IV con l’editto di Nantes.
Dobbiamo riflettere su un punto: non necessariamente la politica che si fa a casa propria è la stessa
che si fa fuori confine. È sempre buona regola distinguere e separare gli scenari. La Francia nella
guerra dei 30 anni sostiene i protestanti in funzione antiasburgica, in casa invece è esattamente
l’opposto. Questa guerra si chiude nel 1648 con la pace di Vestfalia. La Prof. ci mostra una carta un
po’ sommaria, però ci è utile. Quali sono i significati di questa pace? Si conferma l’impossibilità di
una restaurazione cattolica, però nello stesso tempo conferma del fatto che i sudditi sono obbligati a
seguire la religione dei propri principi. Il sistema asburgico complessivamente si indebolisce,
perché ormai ricordiamo che il 1648 con la pace di Vestfalia viene riconosciuta l’indipendenza delle
province unite. Una questione che era cominciata negli anni 70/80 del 500, come il saccheggio di
Anversa, da un punto di vista politico trova soluzione nel 1648. La Francia ottiene il possesso di
alcuni vescovati, quindi esce rafforzata dal conflitto. Quindi viene da pensare: 30 anni di una lunga
durissima per poi tornare al nastro di partenza. Sostanzialmente, a quello che già la pace di Augusta
nel 1555 aveva stabilito. Sulla carta dobbiamo però guardare all’espansione dell’impero asburgico,
che è una grande realtà complessa, in cui convivono tante lingue, religioni, tradizioni diverse. Gli
Asburgo riescono a creare una realtà statele solida, che di lì a poco è destinata a un nuovo confronto
con l’impero ottomano. Anzi, viene proprio percepita nel sistema politico europeo come l’unico in
grado di arginare un nemico che comunque fa ancora paura. Non a caso, vediamo un imperatore
Asburgo, Leopoldo I, 1685-1705, in armatura in una foto. Lo spazio asburgico viene considerato lo
spazio della cristianità. Vienna riesce a resistere all’assedio del 1683 all’ultimo assedio che patisce
a causa dei tentativi ottomani. Con la pace di Carlowitz nel 1699, che chiude questo ulteriore
confronto, gli Asburgo controlleranno uno spazio proiettato ancora di più verso i Balcani.
Torniamo alla Francia, per dire come Vestfalia rappresenti un successo. Dopo tanti anni in cui
questo grande Paese è stato chiuso in sé stesso a causa delle guerre di religioni, l’ingresso nella
guerra dei 30 anni a fianco dei protestanti con importanti acquisizioni territoriali, riporta la Francia
sullo scenario europeo. Vestfalia chiude la guerra ma tra Francia e Spagna le cose vanno avanti fino
al 1659, quando la Francia acquisirà altri territori dalla Spagna con la pace dei Pirenei, soprattutto la
zona dov’è la città di Perpignan e una parte della Catalogna del nord. La prof. ci ha messo due carte.
La prof. ci mostra anche una raffigurazione artistica di Francia e Spagna, i protagonisti della pace
dei Pirenei. Sono Luigi XIV e Filippo IV d’Asburgo. Luigi XIV è figlio di Luigi XIII e della regina
Anna d’Austria. Ha un regno lunghissimo, è nato nel 1638, viene incoronato nel 1654 (NON CI
CHIEDE LA DATA DI NASCITA, CI CHIEDE DI COLLOCARLO, DI PARLARE DELLA SUA
POLITICA, ALCUNE DATE VANNO INQUADRATE, PERO LA DATA DI NASCITA NO).
Cresce sotto la tutela della madre e del cardinale Mazzarino, fino alla morte di quest’ultimo nel
1661. A quel punto, mette il puntino sulla i, e si guarda bene dal mettere nuovi ministri, dicendo la
famosa frase “L’etat c’est moi”, lo stato sono io, dice quindi basta alle tutele, basta ai primi ministri
ingombranti. Questa è una frase breve ma che sintetizza il tutto. Istituisce consigli con funzioni
specifiche, tra questi il Consiglio degli Affari, che è un organo che a sua volta ha tre ministri: il
sovrintendente alle finanze, il ministro della guerra e il segretario degli affari esteri. La figura
chiave di questo Consiglio è il ministro delle finanze, Jean-Baptiste Colbert. Un’altra figura che nel
periodo di Luigi prende forza sono questi sovrintendenti, quasi governatori delle province, che
hanno funzioni amministrative e di controllo. La reggia di Versailles è la raffigurazione più nota ed
efficace dell’assolutismo di Luigi XIV. A Versailles la grande nobiltà francese è ridotta quasi a un
ruolo di parata, addomesticata da rituali di corte, che un film dedicato alla figura di Maria
Antonietta, chiamato “Marie Antoinette”. Nel film, Maria Antonietta è un po’ una figura appiattita,
frivola, semplificata. Però la cosa di quel film che è efficace è farci capire cos’era una ritualità,
vivere a corte, la codificazione di una ritualità che ha al centro il re e la regina, e i conflitti che si
aprono intorno a questa ritualità. La Prof. ci mostra anche la locandina di un altro film degli anni 60
“Presa del potere da parte di Luigi XIV”. Afferma il suo potere assolutistico, e pieno controllo delle
pratiche di potere. La clip invece che la ha trovato per darci conti di una ritualità che si sviluppa
intorno a Luigi XIV, che scatena un po’ di competizione negli altri sovrani europei, è un film che si
intitola “Vatel” (2000), che si ispira a una storia vera, di un maestro di cerimonie, che si chiamava
Francois Vatel. Vatel era incaricato di dare vita a un grandissimo banchetto per celebrare la
riappacificazione di Luigi XIV con il principe di Condel. È una pacificazione importante da un
punto di vista politico, perché Luigi XIV avrà una politica estera aggressiva di grande espansione
francese nel mediterraneo. Quindi, questa pacificazione si colloca nel momento in cui Luigi si
appresta a lanciare la sua sfida per l’egemonia europea. La cosa però della clip che voleva mostrarci
è come intorno a questo evento si crei l’allestimento dei cosiddetti apparati effimeri, ossia i modi di
architetture effimere, giochi effimeri, che rendono lo spazio diverso, sontuoso, ma destinati dopo
quell’evento a scomparire (YouTube: Vatel, diretto da Rolan Joffé, 2000). La cosa di questi
apparati effimeri che venivano allestiti, era una cosa che contraddistingue tutta l’Europa di antico
regime, non solo la Francia. Era una cosa comune in caso di matrimoni, o dell’arrivo di personaggi
importanti. C’era una rappresentazione del potere anche attraverso queste apparecchiature quindi.
La storia di Vatel è drammatica, il film si conclude col suo suicidio, perché ritiene di aver fallito
l’obiettivo quando una fornitura di pesce arriva in ritardo non consentendogli di creare il banchetto
come avrebbe immaginato. È una ritualità, una gerarchia, stritolante nei confronti dell’individuo.
La politica di centralizzazione di Luigi XIV avviene anche a livello religioso. Nel 1685 l’editto di
Nantes viene revocato, e da quel momento inizia un periodo di persecuzione dei protestanti francesi
che va anche oltre Luigi XIV. Sono molte migliaia gli ugonotti che cercano rifugio nelle terre
protestanti del mondo, soprattutto nelle province unite. La prof. ci mostra una slide, che riguarda un
progetto, e riguarda come la storia diventa oggetto di pratiche di patrimonializzazione europea.
Questo è un itinerario (NON CI CHIEDE DI APRIRLO), però è un progetto di valorizzazione di
itinerari ugonotti, un progetto internazionale di 2.000 km che vuole ripercorrere i luoghi percorsi
dagli ugonotti durante il loro esilio. È proprio interessante vedere questo processo di
patrimonializzazione di itinerari storici anche dell’età moderna. Chi può lascia la Francia, altri non
ce la fanno e vengono imprigionati prima. È ciò che accade ad una donna, Marie Durand, costretta
ad un’interminabile prigionia all’interno della Torre di Costanza. La prof. ci mostra la foto di questa
torre. Poi ci mostra il paesino dove nasce Marie Durand, una donna qualsiasi, 1711-1776. Marie ha
un solo torto: è protestante e suo fratello è un pastore protestante. La sua storia è stata trattata da
alcune donne valdesi. La prof. ci mostra un piccolissimo brano di Toti Rochat in “Storia delle
Donne”, che ci ricorda cosa sia il movimento valdese e la presenza di un nucleo forte valdese.
Queste donne protestanti valdesi, a un certo punto della loro storia, iniziano a ragionare su di sé, da
dove venivano, cosa le distingueva dalle cattoliche, e iniziano interminabili riunioni tra loro,
interessate a capire la loro genealogia. Vanno alla ricerca di altre donne che nella storia possono
essere all’origine della loro realtà di donne protestanti. La prof. ci mostra la slide del Museo delle
Donne valdesi di Angrogna, mentre nella slide successiva vediamo dove è situato questo comune.
Nel Museo ci sono dei pannelli dove c’è la storia di alcune donne, come Anna Trapner e Marie
Durand. Marie Durand nasce nel 1711. È un piccolo paesino nelle Arteche, ha solo otto anni quando
viene scoperta un’assemblea protestante, a cui seguono arresti. La sua casa viene distrutta, la madre
arrestata e scompare, di lei non si saprà più nulla. Pierre, fratello pastore protestante, lascia la
famiglia e si dà alla clandestinità. Poi verrà arrestato e condotto al patibolo. La nostra Marie invece
viene presa e rinchiusa nella Torre di Costanza. Al momento dell’arresto, ha 19 anni, 1720. Esce
dalla torre 38 anni più tardi nel 1768, un tempo infinito. Ma Maria ha lasciato tanti documenti,
tantissime lettere, e una lista di 84 donne che negli anni si sono avvicendate in questa torre. Le
detenute vivono tutte in un grande vano rotondo, senza vita privata, quindi è necessaria una vita di
gruppo e una comunità regolata in ogni suo aspetto (questo è quello che ci raccontano le lettere di
Marie). Ciò che permette alle ugonotte di sopravvivere anni e anni in questo spazio di reclusione è
la loro capacità di saper trovare un senso alla loro reclusione. Marie e le amiche interpretano questa
prigionia come un segno del disegno divino, una vocazione pari a quella di altri ugonotti che
stavano sfidando la morte tutti i giorni per praticare l’evangelo. Quindi dovevano resistere, non
abiurare, ma anche non lasciarsi morire nell’apatia. Maria riesce ad avere anche un ruolo fra le
compagne, mantiene i rapporti con l’esterno, carcerieri, parenti, altri ugonotti in esilio. Ama la
scrittura, diventa la corrispondente ufficiale di questo gruppo di prigioniere. Sarà tra le ultime ad
uscire dalla torre nel 1767, si ritira a vivere nella vecchia casa di paterna insieme ad un’amica, e
ospiteranno un vecchio ugonotto rimasto solo e malato, che per 32 anni aveva remato nelle galere
francesi. Una storia di prigionia riesce dunque a diventare una storia di resistenza, e di grande
solidarietà femminile, nella quale le donne valdesi di oggi trovano un esempio da seguire.
La politica estera di Luigi. Abbiamo detto che è una storia aggressiva, e che ha degli aspetti di
politica mediterranea. Il primo atto di questa politica è la realizzazione, a partire dal 1663, di questo
canale, il Canal de Deux Mers (la prof. ci mostra la slide), anche questo volto ad una valorizzazione
turistica. 15 anni di lavoro, 12.000 operai impiegati a scavare un tracciato di 240 km. La prof. ci
mostra anche il tracciato di questo canale: una larghezza media di 15, 20 metri, che avrebbe dovuto,
nel disegno di Luigi XIV e del suo ministro Colbert, evitare la circumnavigazione della penisola
iberica. Fa risparmiare tempo e sottrae soprattutto alla Spagna la posizione chiave del controllo
della rotta atlantico-mediterranea. Si evita quindi lo spazio iberico. L’impulso che questo canale
riesce a dare alle costruzioni navali è forte, e nel giro di pochissimi anni la Francia diventa la terza
potenza mercantile nell’Oceano Atlantico, la prima marineria commerciale ma anche militare nello
spazio mediterraneo. Alla fine degli anni 60, Luigi apre una partita importante (SU QUESTO IL
MANUALE NON LE è SEMBRATO MOLTO CHIARO). La politica di Luigi XIV punta ad
espandere i confini della Francia. Questo è molto chiaro. La prof. ci mostra una carta circa tutte le
piazzeforti, tutte le fortificazioni costruite da Luigi, e le acquisizioni territoriali. Questa politica di
espansione va a rompere le scatole a due soggetti politici: la Spagna, perché Luigi punta ai famosi
Paesi Bassi spagnoli, quelli che erano rimasti cattolici e fedeli alla Spagna. Punta a quelli perché la
Spagna è già indebolita, quindi i suoi territori sono diventati nuovamente appetibili. L’altro soggetto
sono le province unite, che poi si ritrovano questo ingombrantissimo vicino di casa, appunto Luigi
XIV. Nel 1665 muore Filippo IV d’Asburgo, Luigi prende a pretesto il fatto che la Spagna non gli
avrebbe pagato alcune somme in seguito alla Pace dei Pirenei del 1659, e si prepara ad invadere i
Paesi Bassi spagnoli. Si accorda prima segretamente con l’Inghilterra, perché il sovrano inglese non
si opponga all’annessione francese dei Paesi Bassi spagnoli, e quindi acquisisce nel 1668 12 città
dei Paesi Bassi, occupa il ducato di Lorena e si prepara all’offensiva contro le province unite. Gli
olandesi a quel punto riesco abilmente a formare una grande alleanza antifrancese, che comprende
anche l’Inghilterra che all’inizio sta buona, ma poi capisce che forse non era conveniente starsene
buona. Questa alleanza riesce a bloccare il disegno espansionistico di Luigi XIV. Questa guerra
franco-olandese inizia nel 1672 e si conclude nel 1678 con la Pace di Nimega. Le province unite
escono indenni da questa guerra, anzi escono con il prestigio di essere riuscite a mettere insieme
una coalizione contro Luigi. Ottengono anche grande successo, perché qui c’è una guerra
commerciale tra Francia e Olanda, e riescono a fare in modo che la Francia rinunci ad applicare le
tariffe doganali introdotte da Colbert, che proteggevano i prodotti francesi e danneggiavano la
marineria di guerra e commerciale olandese. Chi finanzia questa guerra è principalmente la Spagna,
che perde la Fiandra marittima, i Paesi Bassi spagnoli e la Franca contea a vantaggio della Francia.
Nell’ambito di questa guerra, avviene un episodio mediterraneo che ci interessa: nel 1674 avviene a
Messina una rivolta contro gli spagnoli, che in quel momento sono in difficoltà e impegnati in un
altro scenario. Messina è un grande mercato di schiavi e soprattutto un grande centro di
esportazione di seta prodotta nell’isola. In funzione antispagnola, in questo momento la Spagna è
alleata con l’Olanda contro la Francia, ecco le navi francesi che nel 1675 arrivano alle Eolie,
sbarcano a Messina, poi a Palermo in un periodo breve sembra delinearsi una supremazia francese
sul Mediterraneo centro-occidentale. È un episodio circoscritto, collocabile in questa guerra, poi la
Spagna con la pace di Nimega si vede riassegnare la Sicilia, però interessante era che la Francia
intervenga in questo scenario mediterraneo e, nonostante la pace di Nimega segni uno stop, non si
fermi per niente in questo progetto di ambizione mediterranea. Di lì a poco ‘è un episodio di crisi
tra la Francia e l’Algeria, un legame che diventa più forte nel corso dell’800. Però, già adesso i
rapporti sono stretti. C’è un episodio di crisi, si arriva ad un’apertura di ostilità, e nel 1682 Algeri
subisce violenti bombardamenti da parte della flotta francese. Di lì a poco, Algeri deve firmare un
trattato di pace con la Francia. Ma Algeri non è la sola città a subire i bombardamenti di Luigi XIV,
un’altra città è Genova, nel 1684. Genova para a duro prezzo il fatto di non aver interrotto i suoi
rapporti privilegiati con la Spagna. È possibile che Luigi XIV abbia in mente però non soltanto il
bombardamento di Genova e la conquista della Repubblica con territori annessi, ma anche poi
chissà cosa. La prof. ci mostra un video molto breve girato dal Museo del Mare di Genova (Galata
Museo del Mare – Genova – Storie dal Galata – Episodio 9 – Il bombardamento di Genova).
LEZIONE 12
Per quanto riguarda la storia inglese, siamo rimasti sostanzialmente alla fine del 500. Questa fase in
cui l’Inghilterra, questo personaggio affascinante di Elisabetta I. l’abbiamo vista in quel ritratto
dove appare col padre Enrico VIII, ma lei è di lato, perché è l’ultima in quel momento in
successione. Fino ad arrivare a questi ritratti di primo 600 in cui assume quasi un’aura fuori dal
tempo, di divinità, la regina sempre giovane. E quell’altro ritratto di questo pellicano che è simbolo
di una regina sempre disponibile per la nazione. Quindi, l’Inghilterra di Elisabetta I che prende a
ceffoni Filippo II di Spagna sia col sostegno che dà alle province unite, sia con la batosta
all’invincibile armata che si rivelò vincibilissima. Sul piano commerciale l’Inghilterra, pur
politicamente schierata con le province unite, si ritrova anche in concorrenza con le stesse. Si
costituisce una compagnia commerciale del levante, che si impossessa di merci che sfuggivano al
controllo olandese. Questi grandi compagnie commerciali si formano oltre che in Inghilterra anche
in Olanda e poi Francia. Agiscono con il pieno sostegno politico ed economico dei governi di
riferimento, che sostengono queste grandi compagnie commerciali riconoscendo loro privilegi e
delle privative riguardo allo sfruttamento e al commercio delle colonie e con le colonie.
Il nostro manuale fa solo un brevissimo cenno alla rivoluzione inglese, la Prof. trova che qualcosa
seppur a grandi pennellate dobbiamo saperlo. Nel 1603 Elisabetta I muore senza eredi. Lei non si
sposa, è piena di pretendenti, la regina vergine. Ci sono motivi pelitici per cui in un’Europa
politicamente connotata fra Francia, Spagna, non sposarsi significa per Elisabetta difendere
l’autonomia politica del Paese e della nazione. A questo punto, il parlamento chiede a Giacomo I
Stuart, il figlio di Maria Stuart, la regina decapitata nel 1587. Giacomo unisce, nel 1603, le corone
di Scozia e Inghilterra. Quindi, questo significa che c’è un re. Sì, bene, però è un’unione personale:
i due stati cioè mantengono i loro parlamenti e si riconoscono nell’unica monarchia, cosa ben
diversa dal dire ci si unisce con un unico parlamento. Giacomo è cattolico, non per niente figlio
della campionessa nella propaganda del pensiero cattolico. Però, per motivi politici, deve sostenere
l’anglicanesimo. Riprendono in vigore correnti cattoliche, ma è presente anche una chiesa
protestante e bassa dal punto di vista sociale, i puritani, che aspirano ad un modello di chiesa
diversa, non accettano la mediazione dell’episcopato, maturano sentimenti anche di tipo
antiassolutistico. Quindi, c’è una scelta anglicana, però correnti che guardano ancora il
cattolicesimo e individuano nel re un alleato, e poi ci sono gli scozzesi, anche loro un mondo
completamente a sé, perché dal 1560 si è sviluppata la cosiddetta chiesa presbiteriana, di ispirazione
calvinista e che ha alla base della propria organizzazione gli anziani o presbiteri. Su questo rapporto
tra Scozia e Inghilterra la Prof. ci mostra due brevissimi video. Il primo: (YouTube: Scozia e
Inghilterra, una lunga storia di conflitti). La prof. stoppa un attimo il video e ci dice che, quindi, una
cosa è l’unione personale attraverso un monarca, altra cosa è l’unione dei due paesi che arriva un
secolo dopo, nel 1707. Poi riprende il video. Invece, poi (commenta la parte finale del video), il
partito nazionale scozzese ha perso nel 2014 il referendum sull’indipendenza. Quindi, ricordiamo:
unione personale delle corone di Scozie e di Inghilterra nel 1601, unione dei due paesi 1707; poi
altra data che si cita nel video è la ricostruzione del parlamento scozzese, ma la cosa interessante è
culturalmente e politicamente il permanere di spinte autonomistiche in Scozia. Il secondo video è
sull’influenza di Brexit e Covid-19 su questo sostrato culturale e politico profondo indipendentista
(secondo video: Euronews, Scozia: Brexit e Covid-19 rafforzano le spinte indipendentiste).
Possiamo quindi sentire il respiro storico lungo di certe questioni. Abbiamo ascoltato uno storico,
una conservatrice alla biblioteca nazionale scozzese, però certe date, certi eventi, la storia entra
proprio nel patrimonio delle persone e anche dei gruppi sociali. È una cosa viva con la quale si
dialoga continuamente. E quello è un contesto delicato, in cui Brexit e Covid entrano anche a
complicare il quadro di rapporti mai semplici tra Scozia e Inghilterra. Da un punto di vista religioso,
c’è un Paese che nel primo 600 ha fatto una scelta anglicana, c’è una Scozia che sta da un’altra
parte (presbiteriana), c’è una realtà fatta dai puritani che hanno idee anti-assolutiste e quindi
innescano altri tipi di dinamiche di messa in discussione profonda degli assetti istituzionali. In
questo panorama complesso e ricco dal punto di vista religioso, si alzano anche voci femminili, tra
cui Anna Trapner. Vediamo una sua opera: The Cry of a Stone. Riprende il vangelo di Luca. Anna
nasce da un maestro d’ascia, un carpentiere navale, e l’11 gennaio 1653 è una data particolare, in
cui Lord Cromwell scioglie il Parlamento e accetta il titolo di Lord protettore d’Inghilterra. Lei
arriva con altri al parlamento inglese, e lì al di là di ogni sua intenzione comincia a pregare, a
cantare. Inizia a mezzogiorno e, quando alle 11 di sera arriva stremata, il custode le offre un letto a
casa sua. Poi tutti si raccolgono attorno al letto di questa donna che predica, parla in trans, e le
amiche del museo valdese di Angrogna dicono che predicare, parlare in trans, era una forma di
espressione che in quegli anni scandiva gli avvenimenti politici e militari. E Trapner avrà una
grande risonanza: il suo scritto viene ripubblicato varie volte ed Anna qui parla di come Dio parli
attraverso di lei. Una donna che predica nello spazio pubblico è un oggetto di meraviglia, come un
mostro. Lei però dice di essere una donna come le altre. Lei predica, grida, profetizza. Nelle sue
visioni, entrano personalità della vita politica. Segue in sogno Cromwell nelle sue battaglie, ma
quando scioglie il parlamento non esita a denunciarne l’abuso di potere. È una donna che parla, che
scrive, profetizza in un momento densissimo di eventi politici e religiosi. Come si spiega la profezia
femminile? Tanto più è nullo lo strumento attraverso cui passa la parola di dio, tanto più grande
appare quello stesso dio che attraverso di lei sta parlando. Anche le donne sono interessate da
questo momento religioso così fertile.
Giacomo I. 1603. Lui persegue un progetto assolutistico. Si apre un braccio di ferro tra lui e il
parlamento, che è deciso in tutto a difendere il proprio ruolo su materia fiscale e finanziaria. Questo
caratterizza l’Inghilterra e che non troviamo in altri paesi europei. E cosa fa Giacomo per rendersi
più semplice la vita politicamente? Non convoca il parlamento, e così lui pensa di risolvere. Evita lo
scontro, ma è un grande problema dal punto di vista delle risorse. Con il successore, Carlo I, il figlio
(1625-1649), la situazione non migliora per niente. Le difficoltà finanziare della corona sono così
forte che nel 1629 Carlo I deve convocare il parlamento. Sarà sciolto nuovamente l’anno dopo, e
l’inizio della guerra civile è nel momento in cui Carlo tenta di imporre la liturgia anglicana. A quel
punto, la Scozia, nel 1638, decide di muovere guerra al re. Fare la guerra costa, sempre. Per cui,
Carlo ha bisogno di soldi, ha bisogno del parlamento, che però lo accusa sempre di più di una deriva
assolutistica. Non si trova l’accordo, e vedremo come emerga la figura di Cromwell, che riesce ad
organizzare una New Model Army, quindi scontro diretto tra parlamento e monarchia, che porta nel
1649 alla decapitazione di Carlo I Stuart. È la seconda decapitazione di un sovrano. Ed è ancora uno
Stuart. Caduta la testa di Carlo I Stuart, naturalmente tutto il potere si concentra in Cromwell.
Questa grande figura. Ci interessa la sua politica estera e in particolare quella commerciale. Nel
1651, Cromwell interviene in modo forte a difesa del commercio marittimo inglese. Cioè, promulga
il Navigation Act. Intanto, è un regolamento commerciale che va oltre il discorso delle compagnie
con monopoli, privilegi. Siamo oltre. È un regolamento commerciale nazionale che subordina le
colonie al parlamento. Con questo atto, in pratica, lo Stato svolge un ruolo dominante
nell’organizzazione del commercio con le colonie. Questo atto rende altissima la tensione con le
province unite, che si sentono danneggiate perché si vedono obbligate da questo Navigation Act a
non trasportare più le merci con la marineria commerciale olandese nei porti inglesi. In sostanza,
Cromwell fa sì che sono le navi britanniche possano arrivare nei porti inglesi. Questo naturalmente
esclude tutte le marinerie commerciali, e soprattutto la flotta delle province unite. Ne nasce una
guerra tra 1652 e 1654, che vedrà però soccombere le province unite che saranno costrette ad
accettare questo atto. Questi anni centrali del 600 sono quindi anni di un confronto duro tra
Inghilterra e province unite. L’Inghilterra cambierà nemica invece negli anni 70 del 600, quando il
nemico diventa Luigi XIV di Francia. Riprendiamo queste vicende della rivoluzione inglese
attraverso questo bel video (YouTube: La prima rivoluzione inglese). Capiamo qui la complicata
personalità di Cromwell, che comunque parte da un certo ceto sociale, un’impostazione religiosa
radicale, antiassolutistica, e però la fine è difficile da digerire. Come dice quello storico, la
rivoluzione è più facile iniziarla che finirla, perché addirittura questa sacralità di questa sorta di
incoronazione (nomina a lord protettore), ma ancora peggio come retaggio di una impostazione
monarchica è la trasmissione della carica al figlio. Poi, la cosa non andrà avanti, torna uno Stuart.
Riusciamo a capire il rapporto degli inglesi con questa controversa figura. Questo è un momento
molto delicato della storia inglese e anche assai poco noto, altro problema da capire: perché lo
sentiamo così poco vicino rispetto alla Rivoluzione francese e la sua eredità?

LEZIONE 13
Lezione col Prof. Paolo Calcagno. Ci mostra il suo libro “Fraudum – Contrabbandi e illeciti
doganali nel Mediterraneo”. Ci presenta i risultati di una ricerca che ha svolto, e che è stata poi
pubblicata in questo suo libro. Cercherà di contemplare le fonti, fondamentali per capire come
lavora lo storico, in questo caso per capire come si arriva a parlare di illeciti. Cerca di affermarsi
sull’aspetto più impressionistico della questione. Nella sinossi scrive che vuole provare a fare al
lettore quella crociera insolita, cioè che ci porta a capire il lato oscuro del Mediterraneo, i
contrabbandi, le frodi doganali, gli illeciti. E quindi studiare una parte che generalmente viene
nascosta, e che non dobbiamo considerare come una parte avulsa dall’economia della società reale,
bensì come una parte altrettanto importante dell’economia della società. Sono due facce della stessa
medaglia che vanno viste insieme. Non c’è una parte di attività marittime che si svolgono
regolarmente e che sono diverse da quelle che si svolgono irregolarmente. Infatti, in realtà, sono le
stesse attività, ma svolte con modalità diverse, e sono gli stessi operatori che le svolgono sia in
modo regolare che irregolare. Cita “Il frontalino della filza”, è uno dei frontalini della serie
Fraudum. Questa è una serie archivistica del fondo del banco di San Giorgio. I grandi fondi
archivistici sono formati da serie. Le serie sono dei gruppi organici di documenti che riguardano
una determinata materia. In questo caso, la serie Fraudum racchiude gli incartamenti processuali del
Tribunale del Banco di San Giorgio per punire reati di frode e di contrabbando. E sono documenti
che ha studiato per il suo libro, e che ha messo in comparazione con altri documenti sempre
giudiziari di altri tribunali, di altre città portuali nel Mediterraneo. Li ha messi insieme e ha cercato
di studiare la dimensione dell’illecito nel Mediterraneo dell’età moderna, soprattutto del 700. E,
appunto, queste fonti le ha studiate e il libro nasce dall’osservazione di questo frontalino del 1713.
“Fradum”, “delle frodi”, genitivo plurale. Cioè, incartamenti processuali che riguardano frodi e
contrabbandi, reati alle dogane. Che nel caso di Genova erano giudicate dal tribunale di san
Giorgio, perché il banco di san Giorgio era l’ente che aveva giurisdizione sulle dogane. Mentre
negli altri porti del Mediterraneo chiaramente facevano capo ad altre istituzioni.
Definiamo i fenomeni. “Frodi doganali” e “contrabbando” non sono la stessa cosa. E, soprattutto, la
frode doganale e il contrabbando non esauriscono la molteplicità di illeciti che si possono studiare
nelle fonti dell’età moderna in relazione agli spazi marittimi. La frode doganale è la truffa alla
dogana configurata come il mancato pagamento del dazio o della gabella su un determinato carico
di merci. Per cui, arriva la nave nel porto e prova a non pagare il dazio. Oppure, può truffare la
dogana denunciando una quantità minore del carico, andando così a provocare un danno erariale per
la dogana. Ma, sostanzialmente, provando a omettere tutto il suo carico o parte di esso. Il
contrabbando, invece, è un altro tipo di frode, di illecito, legato allo sbarco e imbarco (commercio
sia entrata che uscita) di merci interdette per ragioni contingenti o la cui circolazione è sottoposta a
specifiche regolamentazioni. Ad esempio, in tempi di guerra, il commercio di determinati beni
(armi, ecc.) sono interdetti in certe direzioni, e chiaramente chi fa quel tipo di commercio
contraddicendo i bandi delle autorità pubbliche che lo vietano realizza un contrabbando. Infatti,
“contrabbando” significa proprio andare contro la legge. È legato a un commercio di beni interdetti.
Oppure, beni soggetti a delle regolamentazioni. Per cui, noi sappiamo che in ancien regime i beni
alimentari erano soggetti agli uffici annonari. L’annona era l’ufficio che gestiva
l’approvvigionamento di beni essenziali delle città. Chiaramente, quei beni sono soggetti a delle
regolamentazioni, quindi devono affluire nei magazzini di questi uffici annonari. Tutti quei carichi
di quei precisi beni che non vengono commercializzati all’interno degli uffici annonari, il cui
traffico esula dal controllo degli uffici annonari, è considerato contrabbando. Chi commercia questi
beni al di fuori di queste regolamentazioni è autore di un contrabbando. I
l mondo marittimo è anche contraddistinto da tanti altri illeciti, che ci permettono di studiare le
economie marittime attraverso le contravvenzioni, cioè quei fenomeni di illecito, azioni in cui gli
operatori commerciali infrangono un regolamento, e compiendo quell’atto ci dicono molte cose.
Quali sono queste altre forme di illecito da cui vediamo trasparire l’universo della gente di mare? Ci
mostra la slide apposita: i procurati naufragi, le infrazioni ai regolamenti di sanità, l’uso di bandiere
ombra, la cosiddetta cioè navigazione mascherata. Ad esempio, il capitano di una nave può
provocare un finto naufragio per intascarsi i soldi del finanziamento. La “denuncia d’avaria”, la
denuncia che si faceva nel porto in cui si denunciava il danno all’imbarcazione o al carico. Quindi,
la tentazione c’era di fare questi illeciti. Lo sappiamo quando confrontiamo le denunce d’avaria con
i processi giudiziari. Perché, in alcuni casi, queste denunce erano fasulle e quindi venivano portate
davanti ai tribunali. Oppure le infrazioni ai regolamenti di sanità. Siamo in un’epoca in cui i porti
vivono con l’ossessione delle epidemie, e hanno delle restrizioni per impedire che l’agente patogeno
della principale epidemia dell’epoca, la peste, entrasse nelle città portuali. La più grande epidemia
di peste che visse Napoli nel 1656 è un’epidemia che arriva via mare dalla penisola iberica e che
arriva attraverso la Sardegna nei porti di Napoli, Roma e Genova. La seconda ondata pandemica
nello spazio italiano dopo quella manzoniana degli anni 30 che colpirà soprattutto l’Italia del
Centro-Nord.
Dai fascicoli processuali degli operatori che infrangono i regolamenti di sanità noi abbiamo molte
informazioni sull’agire della gente di mare. Così abbiamo molte informazioni di quei processi in cui
vengono giudicati patroni, capitani, che hanno inalberato bandiere diverse da quelle del loro stato di
appartenenza. Viaggiare con bandiera mascherata, ad esempio per motivi di protezione. Inalberare
la bandiera della Francia o dell’Inghilterra nell’Europa mediterranea del 700, per esempio,
permetteva di non essere attaccati dai corsari barbareschi. Oppure, si alberava la bandiera di uno
Stato neutrale in tempo di guerra, perché permetteva di fare traffici commerciali. Nel momento in
cui i belligeranti sono sottoposti alla cattura da parte dei corsari nemici, le navi che viaggiano con
bandiera neutrale possono fare comunque commerci. La bandiera ombra si può anche usare per fare
meglio frodi e contrabbandi. In alcuni porti, alcune bandiere non erano sottoposte a controllo.
Quindi, se una nave fosse entrata in un porto con una determinata bandiera non sarebbe stata
controllata e quindi avrebbe potuto fare meglio frodi e contrabbandi. Nel 700 esplode ad esempio
l’uso della bandiera pontificia, molto spesso non controllata. Dipende però da porto a porto. In
alcuni porti i controlli sono più serrati, su altri meno. Il console genovese di Nizza si lamenta in una
sua lettera di metà 700 del fatto che continuavano ad entrare nel porto di Nizza delle imbarcazioni
chiaramente di equipaggi liguri, li sentiva anche parlare, capiva che erano liguri, ma hanno bandiera
romana, e quindi non pagano la quota consolare per la funzione di rappresentanza nei vari porti di
antico regime. Erano dei sorti di diplomatici e dovevano essere pagati.
Gli storici da tempo hanno capito che questa dimensione dell’illecito è molto importante. Uno
storico spagnolo, Carlos Martinez Shaw, nel 1987 dice che l’illecito è un convitato di pietra nella
storia del commercio, talmente importante che è imprescindibile. È un lato oscuro ma è comunque
una tipologia degli scambi regolari. C’è una bella frase di un’altra storica, Silvia Marzagalli, che
dice che la frode è una modalità particolare dello scambio. Ma non dobbiamo pensare a due cose
distinte, sono la stessa cosa ma studiate dalla prospettiva diversa. E infine, un grande studioso di
storia moderna, Paolo Preto, ci ricordava l’importanza del Mediterraneo irregolare, che cioè non è
fatto solo di traffici, pesca, navigazione, ma anche di attività irregolari.
Il Prof. vuole mostrarci delle storie in giro per il Mediterraneo. La sua crociera insolita, come la
definisce nel suo libro, parte da Nizza. Nizza, un porto sabaudo nell’epoca moderna, viene
conquistata appunto dai Savoia nel XIV secolo e poi rimane sabaudo in tutto il corso dell’ancien
regime. Non è un porto francese ma sabaudo in questo periodo. Ed è un porto particolare, fin dal
tardo Medioevo viene introdotto qui un dritto, un dazio, che si calcola al 2% sul valore dei carichi,
per cui tutte le imbarcazioni che transitano al largo di Nizza-Villafranca (Nizza era un polo portuale
insieme a Villafranca, non ha un proprio porto fino alla metà del 700) dovevano pagare in base a
questo dazio introdotto dal tardo Medioevo e poi ancora in uso in età moderna, il 2% del valore dei
loro carichi. Tutte le navi che transitavano qui. Ovviamente, questo tipo di norma diede luogo a
moltissime frodi di ogni tipo. Erano molti gli operatori che provavano a sottrarsi a questo
pagamento. Per l’esazione di questo dritto, agiva un’imbarcazione, un bastimento armato, che in
realtà aveva una duplice finalità: fare azione di difesa delle coste del mare contro i corsari
barbareschi, ma veleggiava anche per accertare che le imbarcazioni si fermassero per andare a
pagare il dritto. In realtà, il dritto era stato imposto proprio per pagare questo bastimento per fare
azioni di pattugliamenti anti-corsari. Poi, col tempo, questa funzione era venuta un po’ meno e si
era concentrato soprattutto nel controllo di natura fiscale. Gli operatori si lamentavano perché
dovevano pagare ancora questo dazio nonostante non fosse più assicurato quel servizio iniziale.
Il tribunale del consolato del Mare di Nizza. Vediamo, attraverso le carte giudiziarie del consolato,
gli operatori che hanno infranto la norma del pagamento di quel dritto. Troviamo le modalità degli
illeciti. Come si frodava, come si provava a truffare la dogana di Nizza. Vediamo le principali
modalità, tecniche, quali: provavano a passare di notte sperando di non essere visti dal guardacoste,
oppure si ricorreva alle “scuse”, delle dichiarazioni per le quali una volta raggiunti dal bastimento
gli operatori marittimi dicevano di non essersi fermati perché inseguiti dai corsari o perché le
condizioni meteo-marine erano sfavorevoli e quindi ciò non gli aveva permesso di avvicinarsi alla
costa. Queste scuse erano a volte capziose.
Poi c’è un’altra norma legata alla normalizzazione di porto franco. C’è anche un discorso della
concorrenza tra i porti del mediterraneo attraverso la politica del porto franco. Il porto franco
prevedeva delle franchigie doganali per le navi che arrivano nel porto con carichi di merci, e che
hanno la possibilità di tenere il carico in quel porto senza pagare le imposte. Nella regolamentazione
di porto franco che riguarda Nizza, il primo editto di porto franco a Nizza viene emanato a inizio
600, il secondo a metà 700. In questi regolamenti di porto franco, era previsto per Nizza che se si
sbarcavano le merci a terra e si tenessero esposte le merci per 8 giorni, non si doveva pagare il dazio
per 2%. Questo per favorire lo scalo nizzardo, perché più merci si fermavano più c’erano la
possibilità di commerciarle. Questo però dava adito a delle frodi, perché le merci erano sì esposte,
ma con dei prezzi sbalorditivi, proprio perché così non venissero acquistate. Si parla di vere e
proprie esposizioni simulate, al termine delle quali il patrono tornava in mare e arrivava col carico
di merci nel porto dove era diretto. Poi ci sono anche qui usi di bandiere ombra, perché nel corso
del 700 alcune potenze stringono accordi con il duca di Savoia, oramai re di Sardegna, e liberano le
loro marinerie dal pagamento del dazio. Le grandi potenze del nord scendono a patti con la corte di
Torino, contrattano attraverso pagamenti di abbonamenti, e così liberano gli operatori marittimi che
navigano con la bandiera dei loro stati dal pagamento del dritto. Questo genera una corsa all’utilizzo
della bandiera inglese, francese, olandese, per non pagare il diritto di Villafranca. A volte il dritto
del 2% era pagato attraverso accomodamenti. Molte comunità liguri, ad esempio, scendono a patti
col consolato del mare di Nizza pagando degli abbonamenti. Le autorità sabaude di Nizza non sono
sempre così ligie nel riscuotere precisamente il 2% di tutti i carichi. Piuttosto che ricevere un
introito certo, scendono anche a patto con singoli operatori.
Le frodi doganali e i contrabbandi sono legati principalmente agli arrivi di navi in determinati porti,
o sbarchi lungo le coste, che prevedano la penetrazione nel territorio di merci che eludono i
controlli doganali. Questo implica il problema degli spazi. Dove avvengono queste frodi? Noi
siamo propensi ad associare il contrabbando o la frode alla spiaggia, perché l’età napoleonica
sancisce l’idea di porto come ganglio principale dei controlli marittimi. Il fatto quindi che il porto è
controllato genera automaticamente che sia la spiaggia il luogo in cui si svolgono i contrabbandi. Il
contrabbando è legato allo sbarco clandestino di notte in luogo poco presidiato. I cosiddetti “deserti
costieri”, punteggiati da piccoli approdi o fatti di coste, di spiagge dove appunto scaricare la merce
diventa complicato. È nei porti che si movimenta gran parte della merce, e bisogna quindi
riscontrare qui i traffici illeciti. E qui il tipo di frode più comune è la filtrazione, che avviene
attraverso questa modalità: far passare nell’area doganale i carichi però a piccole dosi, poco alla
volta. È un’introduzione in città di piccole quantità di merci, e questo trasporto lo fanno gli attori
più disparati, anche le donne, che godevano del fatto di essere poco controllate, o altri segmenti
della società, come gli ecclesiastici, i soldati, gli schiavi delle galee. Persone che sono sottoposte a
specifiche giurisdizioni e per questo a volte provano ad approfittare della loro particolarità per
svolgere questa filtrazione. Si vede nei grandi porti. Nei luoghi meno presidiati, invece, l’illecito è
soprattutto il classico sbarco nel momento in cui nessuno vede, e si sfrutta il fatto che i deserti
costieri dove non ci sono porti sono meno presidiati, e quindi è più facile realizzare queste attività.
A volte, questi sbarchi sono organizzati dai grandi porti e poi realizzati in spazi non presidiati. Con
la frequenza con cui le donne venivano utilizzate in queste attività, il banco di San Giorgio a
Genova, ad esempio, arriva negli anni 30 del 700 a organizzare un corpo di poliziotte donne, che
poteva fare i controlli sui corpi delle donne che svolgevano queste attività illegali.
Un tipo di illecito che invece ha a che fare con i deserti costieri e non coi grandi porti è quello che
riguarda lo spazio delle Bocche di Bonifacio, tra la Sardegna e la Corsica, e i traffici che si
svolgono qui sono di contrabbando. Questo perché in Sardegna le operazioni doganali dovevano
essere svolte solo in alcuni porti autorizzati, e questo aveva un costo, quindi questo alimentava il
contrabbando, per cui le merci venivano in realtà commercializzare al di fuori dei porti autorizzati. I
pastori sardi facevano convergere in questi luoghi poco presidiati delle coste dove avevano le loro
capanne i prodotti dell’allevamento e dell’agricoltura dell’isola, che venivano caricati dalle gondole
bonificiane fino alle coste sarde. Tutto al di fuori dei controlli doganali. Sappiamo queste cose
grazie a quelle squadre di imbarcazioni, che i Savoia nel 700 (proprietari ormai della Sardegna)
mobilitano per controllare questo spazio acqueo. Quindi, quando queste frodi venivano scoperte,
veniva portata la denuncia al Tribunale. Grazie alle fonti giudiziarie sappiamo i dettagli di questo
traffico di contrabbando. Questo ci fa ricordare che le informazioni le sappiamo attraverso il filtro
degli apparati repressivi. Sono i poliziotti, i guardacoste, che sorprendendo gli illeciti permettono
oggi allo storico di avere notizie di queste pratiche.
Livorno. È assolutamente eccentrico come caso. Livorno città tollerante coi frodatori. In realtà, non
è come a Genova o Cagliari o Venezia o Palermo dove appunto il livello dei controlli è molto alto e
naturalmente si prova a limitare il più possibile le frodi e i contrabbandi perché provocano dei danni
all’erario. La linea tenuta a Livorno dai Granduchi di Toscana era completamente diversa. Il Prof. ci
mostra delle massime del governo livornese del 700. I granduchi volevano farne una sorta di “free
port”, dove non si controllavano le navi, e che anzi proliferava grazie proprio al contrabbando.
Cioè, il contrabbando è quindi proprio una delle ragioni per la crescita del porto di Livorno. Un
porto che nasce per decisione politica alla fine del 500 con delle disposizioni che servono per far
crescere questo porto, le cosiddette leggi livornine. È una sorta di creazione dal nulla, in realtà il
grande porto toscano medievale era Pisa. Livorno diventa il grande porto della toscana prima
medicea e poi lorenese. È un porto che quindi si vuole cercare di far crescere, e per fare ciò le
autorità decidono di non controllare le navi, così facendo si invitavano gli operatori a far uso del
porto. Questa politica si inserisce nella conflittualità tra porti, che passa attraverso delle politiche di
porto franco, in cui sicuramente i granduchi di Toscana primeggiano con Livorno, proprio perché il
lassismo è la parola d’ordine con la quale le autorità operano sul territorio. Il prof. ci racconta un
caso di un patrono di imbarcazione che, nei primi anni del 700, entra nel porto di Livorno e non
paga tutti i dritti consolari. È un’imbarcazione napoletana che ha bandiera imperiale (con la guerra
di successione spagnola è finita sotto il governo d’Austria). Il console imperiale si lamenta con la
dogana, e le comunità mercantili chiedono alle autorità di non perseguirlo, perché se si sapesse che
chi fa degli illeciti viene perseguito, gli operatori abbandonerebbero il porto di Livorno in favore di
altri porti. Meglio continuare col lassismo perché questo è il vero successo di Livorno. Chi finisce
nelle grinfie dei pochissimi controlli del porto di Livorno? I navicellai, quei piccoli operatori tra le
grandi navi, che operano anche nella navigazione fluviale, si chiamano così appunto dal fatto che
poi navigano anche lungo il canale che poi attraverso l’Arno porta nell’interno della Toscana.
Questi navicellai sono spesso inquisiti perché non volendo colpire i grandi mercanti si va a colpire
quelle piccole quantità di merci traghettate da questi navicellai.
Abbiamo parlato prevalentemente del 700 perché è un secolo in cui studiare queste cose più facile,
si hanno più fonti e migliori, perché il 700 è un secolo di crescita demografica, della domanda, e
quindi anche della navigazione commerciale. Si parla della rivoluzione dei consumi. E c’è una
prima globalizzazione dei mercati, se vogliamo. Aumenta la domanda, aumenta la navigazione e di
conseguenza anche la dimensione illecita. C’è un’altra ragione. Le fonti sono quelle dei tribunali,
altrimenti gli illeciti non li possiamo conoscere. Li scopriamo solo quando sono stati repressi. E nel
700 i tribunali funzionano meglio, le forze di polizia sono disposte sul territorio in modo più
capillare. Come diceva Sbriccoli, un famoso studioso della storia giudiziaria, molto spesso i
tribunali non sono il riflesso di una società fraudolenta, ma di tribunali che funzionano bene. Stiamo
attenti a non cadere nella trappola di concludere che aumenta la devianza del corpo sociale, ma
probabilmente invece la spiegazione va ricondotta ad un affinamento degli strumenti di controllo.
La Prof. dice che, per quanto riguarda questa politica di allentamento dei granduchi medici a
Livorno, questa è una politica intelligente, voluta. Non è che loro si comportano così solo sul piano
commerciale, ma anche dal punto di vista religioso. Non è che tutti questi mercanti che approdano a
Livorno sono cattolici, tutt’altro. E quindi li vediamo intelligentemente plastici di fronte al
problema. Alla prof. sembra tutto incredibilmente vicino. Abbiamo visto insieme questa presenza
spagnola in Africa settentrionale, queste enclaves. E abbiamo visto un servizio dove e Melilla e
Ceuta le donne si caricano di merci e passano queste cose. Non ci serve un paradigma vittimario.
Non ci serve la visione vittimaria, non ci fa capire la storia. Queste donne, al pari di altre categorie,
si mettono in gioco e utilizzano la loro stessa fragilità come risorsa per portare le merci e sperare di
superare i controlli. Altra cosa su cui si sofferma la Prof. per superare schemi mentali, è il fatto che
gli operatori giocano su più tavoli. In certe situazioni seguono le regole, in altre no. Questo ci serve
tanto per capire come ci dobbiamo porre di fronte all’essere umano in tutte le sue capacità di essere
elastico e plastico nelle situazioni. Infine, la Prof. parla delle fonti giudiziarie. È vero che bisogna
stare attenti e maneggiarle con cura, perché la stessa scrittura di una carta non è mica fatta dalle
signore che si infiltrano con le merci o da tutti i personaggi che abbiamo visto. È fatta dallo stesso
apparato repressivo. Ciò nonostante, questo tipo di fonte è quella che ti consente di catturare
schegge di vita delle persone che altrimenti non potresti mai cogliere. Forse, quella signora che
porta le merci la troviamo in un archivio parrocchiale, e lì forse saremo fortunati. La fonte
giudiziaria è l’unico squarcio di vita su una persona che altrimenti sta fuori.
Il prof. dice che effettivamente c’è una società silente e rimane nelle fonti d’archivio. A volte, i
cognomi delle donne vengono declinati al femminile, perché c’è una parte di società che è silente e
quindi la troviamo solamente quando abbiamo a che fare con la giustizia. Il ruolo delle donne è
molto importante, inoltre, da studiare nelle società marittime. Nell’ovvia assenza dell’uomo, per la
pesca, commerci o guerre, ci sono intere comunità dove la donna ha grandi funzioni, nella gestione
del patrimonio, nell’educazione dei figli, ecc. Quindi, protagonismo delle donne in questi contesti.
La prof. aggiunge che c’era sempre il timore, nei porti, di dover controllare che qualcosa attraverso
un’imbarcazione arrivi. Il quadro patogeno alla fine è strutturale: ci sono delle fluttuazioni, ma il
senso di pericolo è permanente. E poi leggendo le carte si leggono scoppi di effervescenza collettiva
immotivati, che non si riescono a comprendere.
E il prof. dice anche la dimensione della violenza. Gli spazi virtuali hanno questa caratteristica
intrinseca della violenza. Il controllo legato al fisco, alla sanità, ecc. fa scaturire una conflittualità
fortissima tra gli operatori e coloro che assicurano questi controlli, e spesso ci sono quindi queste
violenze. Costante tensione sociale che rimane controllata in maniera molto difficile e che è sempre
pronta ad esplodere. E che trova le tracce in altri tribunali ma sempre in fonti giudiziarie. Un’altra
cosa importante è la dimensione dell’accettazione della frode da parte della società. C’è
un’accettazione forte, perché i contrabbandieri mettono sul mercato beni a prezzo minore, e quindi
la gente li vede positivamente.

LEZIONE 14
Molto brevemente rivediamo ciò che abbiamo detto sulla rivoluzione inglese, le date, ecc.
1603: morte di Elisabetta I
1603-1625: regno di Giacomo I Stuart
1625-1649: regno di Carlo I Stuart, che si conclude con la sua decapitazione
1653: Oliver Cromwell Lord Protettore
1660-1685: restaurazione degli Stuart con Carlo II
1688: Gloriosa Rivoluzione: Maria Stuart e Guglielmo di Orange
Cosa ci interessa soprattutto che venga messo in evidenza? La dipendenza della monarchia dal
parlamento per questioni fiscali e finanziarie. Non c’è una situazione fra le varie monarchie europee
che possa essere comparata a questa dialettica monarchia-parlamento che stiamo vedendo nel 600
inglese. Altro punto che ci interessa particolarmente: la capacità del parlamento inglese di
governare le successioni dinastiche. Fallita l’esperienza di Cromwell nel 1667, è il parlamento che
si fa attore della restaurazione degli Stuart. Idem nel 1688 quando Giacomo II li fa arrabbiare e
quindi rioffrono una corona a Maria Stuart e Guglielmo d’Orange. Tutti questi passaggi servono per
ridefinire i poteri del parlamento nei confronti della monarchia. Il parlamento del 1688 è molto più
forte del parlamento elisabettiano o anche degli Stuart Giacomo e Carlo.
Decapitazione del re nel 1649. Come viene giustificata? Come quella di Maria Stuart nel 1587.
Ossia la presenza del re è un pericolo. Quindi, se si vuole proteggere lo stato quella testa del re deve
saltare. Altre questioni aperte dalla questione rivoluzione inglese, quella scozzese e quella irlandese.
Abbiamo visto come la Scozia abbia un ruolo da protagonista nella rivoluzione inglese. È dalla
Scozia che parte nel 1638 l’attacco alla corona per questioni religiose intrecciate, come sempre, a
questioni politiche e ad istanze indipendentiste. Questo indipendentismo scozzese è ancora così
presente e complicato dalle faccende del Brexit e covid-19. Abbiamo visto anche l’Irlanda, che
patisce questa dominazione inglese e dove Cromwell si macchia di massacri e repressioni. Una
domanda viene spontanea: questa difficoltà di rapporto che arriva alla decapitazione di un re, perché
non l’abbiamo vista nel periodo elisabettiano? Non è che Elisabetta facesse una politica estera così
pacifica e tranquilla. Finanzia i corsari, le province unite, sconfigge un’invincibile armata.
Elisabetta è scaltra, politicamente avvertita, il non sposarsi, crea il mito della regina vergine. C’è
qualcosa in più in questo suo rispetto del parlamento. La madre è Anna Bolena. Come fa Elisabetta
a dire le parole che Carlo I dice a Cromwell quando dice che è re per diritto divino? Come fa
Elisabetta, se nel quadro all’inizio era messa di lato, non era accettata? È come se avesse un difetto
di origine rispetto ad altre monarchie europee. Non dimentichiamo che Enrico VIII per sposare
Anna rompe con la chiesa, parte da questa scelta anglicana di controllo sulla chiesa nazionale.
Elisabetta non può avere questa postura che hanno gli Stuart nei confronti del parlamento. Questa
sua esaltazione nella ritrattistica, un viso fuori dal tempo, la regina che è la nazione, è tutta lei la
nazione. È come se questa ritrattistica potrebbe anche essere interpretata come una compensazione
di questo deficit di origine. Sono suggestioni ma di certo Elisabetta non può avere il rapporto col
parlamento che avranno gli Stuart. Altra storia, altra dignità regia, altra posizione. E chiaramente
c’entra anche l’intelligenza politica di Elisabetta, che fa difetto a Carlo I, che in quel momento
sembra non capire la situazione in cui si trova.
La proiezione di politica estera dell’Inghilterra. 1651: atto di navigazione di Cromwell. Si approva
un regolamento commerciale che subordina le colonie al parlamento, e stabilisce il monopolio della
marina inglese sui traffici coloniali. Questo atto così aggressivo rende forte la tensione con le
province unite, che si sentono economicamente danneggiate, perché il provvedimento obbliga a
trasportare le merci nei porti inglesi unicamente con navi britanniche. Questo esclude le province
unite, con le quali ci sarà una guerra, 1652-1654. Poi dovranno accettare questo atto, confermato
anche negli anni futuri. Queste guerre anglo-olandesi saranno combattute fino agli anni 70 del 600,
quando si affaccia un altro pericolo, Luigi XIV. Queste guerre anglo-olandesi sono combattute
dall’Inghilterra perché si vuole rafforzare l’indipendenza inglese dalle marinerie delle province
unite e soprattutto conquistare il commercio dell’Estremo Oriente dove le province unite sono
fortissime. Questo Paese nasce da una guerra durissima contro la Spagna di Filippo II. Abbiamo
visto anche un’immagine straziante del saccheggio di Anversa del 1576. Questo paese viene
riconosciuto dal punto di vista politico solo nel 1648, alla fine della guerra dei 30 anni. Le province
unite, subito dopo la guerra, a fine 500, erano state capaci addirittura di doppiare il famoso capo di
Buona Speranza, ripercorrendo le orme dei navigatori portoghesi. Perché lo fanno? Sappiamo che
dal 1580 al 1640 il Portogallo è controllato dalla Spagna. I due paesi seguono lo stesso destino, e
Filippo II che verso le province unite non ha particolare simpatia, vieta alle navi delle province
unite di attraccare negli scali portoghesi. Quindi cercano la strada per raggiungere i prodotti
orientali che arrivano ad Amsterdam. Molto rapidamente le province unite diventano una forte
potenza commerciale, mettono insieme una flotta mercantile molto forte e sono un po’ ovunque,
Baltico, estremo Oriente, porti del Mediterraneo. A metà 600 possiamo dire che la Compagnia delle
Inde Orientali è la presenza europea più significativa in Asia. I mercanti olandesi hanno occupato le
Molucche, e buona parte dell’arcipelago indonesiano. Però, in questo 600 l’Inghilterra sta
consolidando le basi per un superamento delle province unite. Dell’atto di navigazione abbiamo
detto. Ma molto aggressiva è la politica di Cromwell verso il Portogallo, dove nel 1640 era stata
restaurata la dinastia dei Braganza. Vediamo anche qui la debolezza della Spagna. Nel 1580
approfitta di una crisi di successione ed entra. Nel 1640 non ce la fa più a governare questo
processo. Quindi, i due paesi riprendono una strada separata. Nel 1654 il Portogallo è costretto ad
aprire al commercio inglese. Poi, nel 1662, Carlo II Stuart sposa Caterina di Braganza, la figlia di
Giovanni IV, re di Portogallo. Il legame tra questi due Paesi si stringe ulteriormente e si consoliderà
ancor più nel 1703, con quello che si chiama Accordo di Lord Methuen, grazie al quale l’Inghilterra
acquisisce il privilegio di acquistare i vini portoghesi a prezzi concorrenziali, e di esportare
liberamente in Portogallo e Brasile tessuti di provenienza inglese. Accordi commerciali che rendono
l’Inghilterra ancora più forte dal punto di vista del controllo di queste rotte così importanti.
Nel corso del 600, l’Inghilterra è protagonista anche delle rotte mediterranee. Controlla il
commercio tra stati italiani ed Europa del nord, infastidisce Venezia occupando mercati prima
veneziani, stipula dei trattati con le reggenze barbaresche. Prodotti che attraverso l’Inghilterra
entrano nel Mediterraneo: grano, scarso nel Mediterraneo. Quindi dal mondo nordico, da Amburgo
e Danzica, arrivano i cereali, tessuti. Pepe, zucchero, tabacco dalle colonie, questi generi di
riesportazioni coloniali. Nella penisola italiana questi prodotti fanno scalo a Livorno. Le navi
inglesi scaricano questi prodotti a Livorno, poi proseguono verso sud-est, la Puglia e le isole
ioniche, e in questo momento le navi sono semi vuote e si caricano qui con merci di ritorno (olio
d’oliva, ma ciò che dà moltissimo guadagno è l’uva passa, che viene caricata a Zante, Cefalonia,
Itaca, in Morea). E quindi ritornano queste navi a Livorno, dove il carico viene completato con altre
merci italiane. Altre merci che poi vengono caricate dagli inglesi nei porti mediterranei (lana dai
porti spagnoli, vino italiano, cavalli di razza in Marocco, ecc.). Livorno, quindi, è uno scalo
importantissimo per gli inglesi, uno scalo di intermediazione. Uno sviluppo facilitato anche da una
scelta politica dai granduchi di Toscana: neutralità di fronte ai conflitti dello spazio mediterraneo ed
europeo, fattore determinante per comprendere lo sviluppo di Livorno.
Anche nel corso del 700 Livorno mantiene il suo ruolo di centro commerciale e logistico, dove si
concentrano le rotte della maggior parte del naviglio inglese. Questa città è particolarissima. In
Toscana c’è sempre questa lotta di genealogia tra città, chi è stata fondata prima, ecc. Livorno no,
ha una storia recentissima, nel 300-400 era solo un insieme di case con non più di 200 abitanti. Nel
1572 cominciano i lavori per il porto, vengono espropriati terreni privati e di ecclesiastici per la
costruzione della città. Nel 1590 questo processo conosce un’accelerazione con il granduca
Ferdinando I, che emana una serie di provvedimenti che si chiamano populazionistici. Sono una
serie di bandi in successione che servono per attrarre popolazione in questa città dove non c’era
niente. Il primo bando è rivolto ai greci, esperti marinai. Il secondo bando è sempre del 1590 ed è
diretto ad artigiani forestieri, legnaioli, pescatori, fabbri, marinai. Non hanno bisogno di contadini,
ma di tutte queste professionalità utili per far nascere un porto. Il terzo bando del 1591 è un invito ai
mercanti potentini e levantini a venire in questa città. Vediamo il documento molto noto, la
Livornina. Come fanno ad attrarre le persone? Concedono a mercanti ebrei e non cattolici privilegi
economici, agevolazioni doganali e il diritto di professare la propria religione con la protezione
dell’Inquisizione. E Livorno è una città fondata senza vescovo, importante perché invece nelle città
di antico regime dell’età moderna essere una città è un riconoscimento che spesso si sposa con la
presenza di una diocesi. Livorno no, la si fa città senza vescovo, ma non casualmente. Era bene che
non ci fosse un grosso controllo. Questo bando, quindi, richiama a Livorno i mercanti che hanno
una religione non cattolica, e salvaguardia l’insediamento di ebrei, anglicani, luterani, protestanti,
ecc. una città che nasce pluriconfessionale. La neutralità è importante, ma si chiude un occhio su
tante cose. Il controllo è molto allentato, idem da un punto di vista religioso. Con le pratiche della
diplomazia e della dissimulazione. Agli ebrei viene riconosciuto il diritto di avere una sinagoga.
Agli armeni legati alla chiesa romana si dà la possibilità di costruire una loro chiesa. Questo non si
poteva fare coi tedeschi luterani e con i protestanti olandesi. Che si faceva allora? Spesso il pastore
era presente come precettore dei figli del console. E la casa stessa del console era il luogo di culto.
Tutti lo sapevano ma si faceva finta di niente. Il console aveva spesso anche questa funzione:
mascherato da precettore del figlio c’era il pastore della sua comunità. Livorno da poco più di 200
abitanti nel 400, nel 1590 sono ancora pochi, 500, ma nel 1642 fa già 12.00 abitanti. Il 10% è
costituito da minoranze religiose, che possono professare liberamente i propri culti. Hanno propri
consoli gli inglesi, i francesi, i genovesi, i veneziani, gli spagnoli. I consoli trattano coi poteri locali
a vantaggio delle nationes (plurale di natio), che rappresentavano. Attenzione alle parole: in antico
regime nelle società moderne “nazione” non è quello cui pensiamo oggi. Vediamo sull’accademia
della Crusca online il dizionario del 1612: la parola “natio” è la generazione di uomini nati in una
medesima provincia o città. Livorno è stata definita come un frammento di cosmopolitismo
mediterraneo e mercantile ai confini della Toscana principesca. La Prof. ci mostra un’immagine di
un’associazione culturale, Associazione Culturale Livorno delle Nazioni, molto attiva. Fa vedere la
distribuzione nello spazio urbano di luoghi di sepoltura a-cattolici. Grazie a quest’associazione c’è
la possibilità di conoscerli un po’ meglio. Vediamo un’immagine dal cimitero inglese, un’altra dal
cimitero ebraico, un’altra ancora dal cimitero greco-ortodosso. Nel 1676, Livorno è dichiarata porto
franco. Livorno fa da modello per altri porti. La prof. ci legge la definizione di porto franco dal
Dictionaire Universel del 1750, e viene definito come un porto dove l’accesso è libero per tutti i
mercanti di qualsiasi nazione, per scaricare le merci, ritirarle se non riuscivano a venderle, senza
pagare dritti di entrata o uscita. Nel caso di Livorno, su richiesta di comunità mercantili, vengono
aboliti tutti i dazi di entrata e uscita e istituita un’unica tassa detta “stallaggio sul deposito delle
merci”. Il tema del porto franco è molto complesso. Il porto franco va a qualificare la città da un
punto di vista ideale e culturale. Diventa un altro elemento positivo dell’immagine della città.
Questo Mediterraneo del 600. L’Inghilterra è una presenza commerciale solida. L’Olanda è
comunque presente, anche se l’Inghilterra ha posto le basi per un superamento. Ma il tardo-Seicento
vede entrate come protagonista anche la Francia di Luigi XIV. Navi francesi sbarcano nelle Eolie,
arrivano a Messina e Palermo. Luigi XIV bombarda Algeri, poi Genova. L’azione di Luigi XIV
rende evidente che i domini spagnoli sono diventati una realtà fortemente contendibile, fragile. E lo
diventeranno ancora di più quando il 1° novembre del 1700 muore l’ultimo Asburgo di Spagna,
Carlo II d’Asburgo. Finiscono con lui gli Asburgo di Spagna. Un autore, Spagnoletti, lavora molto
sul tema della crisi dinastica e scrive che l’estinzione della famiglia regnante è un momento di crisi
istituzionale profonda. Spesso viene meno la ragione d’essere di uno Stato, la sua coesione,
l’identità dei suoi gruppi dirigenti, e ciò che unisce sudditi e governanti. Se pensiamo all’Inghilterra
nel corso del 600, questa cosa non ci sembra vera. C’è un Parlamento protagonista assoluto che
governa quelli che Spagnoletti definisce momenti di profonda crisi istituzionali. In Spagna non
accade niente del genere, è un Paese che non ha la forza per governare questo processo. E la politica
di Luigi XIV ci fa capire che sono lì come sparvieri su una realtà statale che è pronta ad essere
attaccata.
Carlo II d’Asburgo muore. Ricordiamo cos’è la Spagna. Non stiamo parlando solo della penisola
iberica, dove il portogallo era per fatti suoi e gravitava dal 1640 verso l’Inghilterra. La spagna
intendiamo anche i domini nello spazio italiano, ma anche lo spazio coloniale. Quando si parla di
una crisi di successione in Spagna è un affare di grande dimensione. Carlo II aveva fatto un
testamento: suo erede legittimo di tutti i domini era Filippo di Borbone, duca d’Angiò. Chi era? Il
nipote di Luigi XIV, che cerca di sostenere questa candidatura. Luigi XIV dice non abbiamo
l’intenzione di unire corone di Francia e Spagna. Filippo idem. Sennò era troppo. Vediamo quant’è
importante un equilibrio seppure instabile. Qualcuno ha creduto alle promesse di Luigi XIV? La
risposta viene da sé. Aveva un passato estremamente dinamico alle spalle per essere in grado di fare
promesse a qualcuno, nessuno gli dà credito, non gli danno credito gli Asburgo di Austria, neanche
l’Inghilterra e le province unite. Filippo di Borbone non può diventare re di Spagna, perché la
minaccia delle due corone unite è troppo forte. Il più ostile di tutti a quest’idea è l’imperatore
d’Austria, Leopoldo I, e dice l’eredità spagnola spetta a noi, al figlio arciduca Carlo d’Asburgo.
Due contendenti: Asburgo d’Austria e dal lato il candidato filofrancese. Filippo non sente ragioni, si
insedia a Madrid. Anche Carlo d’Austria è acclamato come re di Spagna. Gli inglesi occupano
Gibilterra nel 1704, che la Spagna mai riuscirà a riconquistare. Per cui, la Prof ci mostra questo
video: (YouTube, Gibilterra- La contesa infinita). Vediamo c’è interessante questa persistenza di
lungo periodo che diventa anche interessi concreti, abbiamo sentito parlare di diritti di pesca. C’è
questa occupazione da parte degli inglesi, poi tutto si risolve per via di una morte, quella del fratello
dell’arciduca Carlo d’Asburgo, il contendente di Filippo, che diventa imperatore, perché il fratello
muore. A quel punto, diventato imperatore, esce da questa candidatura. Se è impensabile una
Spagna insieme alla Francia, è altrettanto impensabile quel sogno universalistico di Carlo, per cui la
Spagna insieme a tutti i domini austriaci. Questo risolve tutta la faccenda. Con la pace di Utrecht e
di Rastatt è un biennio, 1713-14. Quindi, guerra di successione spagnola, la prima, 1701-1713/14.
Con queste paci Filippo, nipote di Luigi XIV, viene riconosciuto sovrano di Spagna. Mentre firma i
trattati giura che rinuncerà per sempre alla corona di Francia, e dà inizio, Filippo di Borbone, alla
nuova dinastia dei Borbone di Spagna. Luigi XIV deve riconoscere tutto questo, confermare che le
due dinastie saranno per sempre separate. I vantaggi di questa prima guerra di successione spagnola
sono per gli Asburgo d’Austria: guadagnano i Paesi Bassi spagnoli, ma vediamo un capovolgimento
velocissimo sullo spazio italiano. Con la prima guerra di successione c’è un cambiamento profondo
degli equilibri italiani. La Spagna arretra, in Italia passano agli Asburgo d’Austria Lombardia,
Mantova, regno di Napoli e Sardegna. Poi ecco i Savoia, che hanno fatto una politica sempre
all’ombra della Francia, e invece ora compiono una svolta antifrancese e saranno premiati. Dal 1714
al 1720 i Savoia non saranno solo in Sicilia, ma premiati col titolo regio.
L’Inghilterra ha conquistato una posizione importantissima nel Mediterraneo, una posizione di
snodo anche di Gibilterra tra Mediterraneo ed Atlantico. E parte da qui per costruire una politica di
controllo sempre più forte delle grandi isole, o controllo diretto o indiretto. La Sicilia, la baia di
Cagliari, Messina e il golfo di Napoli diventano luoghi strategici molto importanti per il commercio
inglese. Quella inglese nel Mediterraneo è una supremazia che durerà circa due secoli a partire
appunto dalla prima guerra di successione.
Ripetiamo i punti cronologici della prima guerra di successione. 1700 morte Carlo II d’Asburgo.
1701-1714 guerra di successione che alla fine, per quanto riguarda lo spazio italiano, porta un
rivolgimento fortissimo e, per quanto riguarda la posizione inglese nel Mediterraneo, un
rafforzamento che è premessa di una penetrazione ancora più forte nel corso del secolo.
La prof. riprende il video su Venezia. Al minuto ’33. E ci fermiamo ora al min 1h ’02 min.

LEZIONE 15
La prof. inizia mostrandoci una slide di Carlo II d’Asburgo, l’ultimo degli Asburgo di Spagna che
semplicemente vi riassume le date di queste tre guerre di successione. Vanno imparate.
1701-1714: guerra di successione spagnola
1733-1738: guerra di successione polacca
1740-1748: guerra di successione austriaca
I fattori scatenanti di questi tre conflitti: motivi dinastici. 1700: morte dell’ultimo Asburgo di
Spagna, Carlo II; 1733: mancato accordo sulla successione al regno di Polonia; 1740: non si trova
l’accordo sulla Prammatica Sanzione (solenne documento che Carlo VI ha cercato di far digerire
alle altre potenze) alla morte dell’imperatore Carlo VI, ultimo Asburgo d’Austria.
La Prammatica Sanzione era un documento solenne, una costituzione imperiale che Carlo VI
approva nel 1713. Il timore diffuso in questo momento di dinastie che si estinguono o che sono
vicinissime all’estinzione; Carlo VI ha un figlio maschio ma teme per le sorti dell’impero, e
dichiara che gli Stati dell’impero sarebbero rimasti uniti e indivisibili, e che soprattutto la
successione a questi Stati doveva essere riconosciuta anche alle figlie femmine, qualora i maschi
fossero venuti a mancare. Questa è la Prammatica Sanzione, un po’ al cuore della terza guerra di
successione, quella austriaca.
Un’interpretazione di queste guerre. Si tratta davvero di guerre dinastiche? Perché questa oramai dal
caso inglese ci siamo allenati a vedere che dietro un problema dinastico ce ne sono molti altri, che
riguardano gli assetti di un Paese, la sua capacità di far fronte a questi momenti pericolosi. La prof.
ci propone un passaggio presente in un manuale di storia moderna: queste guerre di successione dal
1715 in poi possono essere anche interpretate come guerre in cui aree forti da un punto di vista
politico si contendono aree invece dal punto di vista politico deboli, perché caratterizzate da una
forte frammentazione politica.
Ricordiamo alcune date relative alla prima guerra di successione: i contendenti sono
sostanzialmente Francia contro gli Asburgo d’Austria. Carlo II muore, lascia questo testamento e
designa erede il nipote di Luigi XIV, che non era esattamente il più amato della compagnia. Subito
gli si contrappongono gli Asburgo d’Austria con l’arciduca Carlo.
Gibilterra, presidio e porta sul Mediterraneo, occupazione inglese nel 1704. E Gibilterra lì rimane.
Assedio di Torino nel 1706, perché i Savoia cambiano casacca, e quindi Torino paga questo
cambiamento di fronte.
L’anno in cui tutto si risolve è il 1711, perché muore Giuseppe I, fratello dell’arciduca Carlo, che
quindi era il contendente di Filippo di Borbone per il trono spagnolo. Una volta morto Giuseppe, è
Carlo che deve diventare imperatore d’Asburgo, rinunciando così alla corona spagnola. Perché
altrimenti diventava un po’ troppo, non è più nella posizione di avanzare pretese. Il concetto chiave
era l’equilibrio tra le potenze, concetto vago ma molto presente nel dibattito pubblico.
Si arriva quindi al biennio di trattati di pace, 1713-14. Gli Asburgo, quindi, escono da una fase di
confronto anche duro con l’impero ottomano, al momento hanno resistito all’assedio del 1684, e la
Pace di Carlowitz ha portato gli Asburgo a proiettarsi ancora di più nello spazio balcanico e quindi
al controllo dello spazio ungherese. L’impero asburgico ha chiuso il fronte orientale, allora è in
grado di aprirne un altro in Occidente per la guerra di successione spagnola. La spagna, a livello di
domini, in questo momento è un boccone territoriale molto ghiotto.
La Pof ci mostra due passaggi chiave in questa vicenda: occupazione inglese della rocca di
Gibilterra, che gli Spagnoli nel 700 cercheranno invano di riconquistare, e fu un momento
fondamentale nel quadro degli equilibri mediterranei di lungo periodo, e diede modo ai coalizzati di
assicurarsi un accesso facile al Mare Interno. Quindi, questo episodio della guerra di successione
spagnola è in chiave di storia mediterranea particolarmente significativo.
Il secondo passaggio: dopo l’occupazione di Gibilterra e Minorca, entrambe riconosciute dal trattato
di Utrecht alla fine della guerra di successione spagnola che per l’Inghilterra fu principalmente una
guerra commerciale, oramai questa aveva messo piede fortemente nel Mediterraneo, e nella lotta
per il dominio del Mare Interno cercò di controllare anche in maniera indiretta le grandi isole, o
stabilendovi potenze alleate come in Sicilia e in Sardegna, e facendo leva sugli elementi locali come
in Corsica.
La prima guerra di successione porta cambiamenti fortissimi nello spazio italiano, che appunto è
politicamente molto frammentato, ed è dal 1559 contraddistinto dall’essere in gran parte sotto
l’influenza spagnola. Poi è vero che la Toscana in certi momenti si volge a fine 500 e primi 600 alla
Francia, abbiamo l’estinzione a Mantova dei Gonzaga negli anni 30 del 600, e lì a un certo punto la
Francia torna sullo scacchiere internazionale e porta i Gonzaga-Nevers. Ma questo non cambia
niente, sono episodi ma l’impressione generale è che è la Spagna che per larga parte della storia
moderna è la potenza principale nello spazio italiano. Con la prima guerra di successione cambia
tutto. Passano agli Asburgo d’Austria la Lombardia, Mantova, il regno di Napoli e la Sardegna. E
guardiamo dove vanno a finire i Savoia: acquisiscono la Sicilia e il titolo regio. Un premio
ricchissimo, perché a un certo punto hanno voltato le spalle alla Francia e di questo premiati. Di
cosa? Anzitutto della Sicilia. Ma anche il titolo regio, e questo li pone in una posizione diversa
rispetto alle altre dinastie. Il protagonista è Vittorio Amedeo II, che esce da questa sudditanza dalla
Francia e acquisisce il titolo regio. Quindi, i Savoia sono re di Sicilia dal 1714 al 1720. Poi nel 1720
ancora un altro cambiamento di scenario.
Ma focalizziamoci sulla fine della prima guerra di successione. Anche qui riprendiamo un
passaggio sulla Spagna ereditata da Filippo V. una Spagna demoralizzata, lo stato delle
comunicazioni deboli, c’è molto lavoro da fare per Filippo e ci prova con tutta una serie di riforme
che toccano vari aspetti: il riordino delle finanze e del sistema fiscale, riduzione delle tasse ai ceti
popolari, abolizione di privilegi dei ceti differenziati. Chi è il modello di Filippo V quando pensa a
un rafforzamento della monarchia in chiave assolutistica? Non può che essere Luigi XIV, il modello
generale di assolutismo monarchico. Il sostegno dato anche all’agricoltura e alle manifatture, e la
riorganizzazione dell’esercito e della marina. Filippo V alla fine si vede riconosciuto come re di
Spagna, i trattati contemplano un punto: lui rinuncia un giorno alla riunificazione delle due corone
Spagna e Francia, la deve sottoscrivere e si impegna in tal senso. Però, la perdita degli spazi italiani
pesa. Quindi, la riorganizzazione dell’esercito è anche in vista di una messa in discussione di ciò
che i trattati del giorno prima avevano stabilito. Chi interpreta benissimo questo spirito di rivincita è
la moglie di Filippo V, Elisabetta Farnese. Un matrimonio combinato dal cardinale Alberoni molto
abilmente, ed è il secondo matrimonio di Filippo V. Elisabetta guarda allo spazio italiano. Sa che i
suoi figli Carlo e Filippo sono esclusi dalla successione al trono spagnolo ma cerca di riunire le due
cose: da una parte un recupero di posizione spagnola nello spazio italiano, dall’altra cerca di dare
un’adeguata sistemazione ai figli. Raggiungere 2 obiettivi. Passa pochissimo tempo dalla fine della
prima guerra di successione e di nuovo lo spazio europeo e quello mediterraneo si trovano
nuovamente in guerra: l’esercito spagnolo attacca la Sardegna e poi la Sicilia. Cerca di recuperare
quello che ha perso. La Spagna riceve subito uno stop da parte di una quadruplice alleanza. Tutti
insieme, Inghilterra, Francia, Province Unite e Impero, che impediscono la conquista e riportano la
Spagna ai trattati precedenti. C’è un punto importante però. La Spagna si deve arrendere e okay.
Però c’è uno scambio: la Sicilia torna all’Austria, la Sardegna è assegnata ai Savoia. Gli anni in cui
i Savoia sono re di Sicilia sono solo 6: 1714-1720. Nel 1720 i Savoia acquisiscono la Sardegna che
entra in modo stabile e per tutto il 700 e fino al regno d’Italia nell’orbita politica e culturale dei
Savoia. La prof. ci mostra un video realizzato dai Musei civici di Piacenza e si focalizza sul
personaggio di Elisabetta Farnese. Le è piaciuto perché a un certo punto fa vedere Elisabetta come
tutte le donne delle corti europee, portatrici di logiche dinastiche anche contrapposte. Da una parte
sono chiamate ad essere parte di una corte nuova, quella del marito. Dall’altra, però, portano con sé
eredità culturali e politiche della corte da cui provengono, e quindi le loro logiche e i loro interessi
personali (Elisabetta – l’ultima dei Farnese). La prof. si sofferma soprattutto su questo saluto alla
propria corte, un momento importante. Quello che una principessa porta con sé dalla corte di
provenienza è sempre oggetto di una negoziazione: non sempre può portare le proprie dame ecc.; è
un passaggio che non ha solo un significato economico, ma anche quello del proprio entourage di
provenienza è oggetto di una negoziazione molto attenta. Quindi questo personaggio interpreta le
esigenze di una Spagna ormai ferita anche da questa guerra di successione, ma interpreta benissimo
anche le esigenze del proprio casato di provenienza, e di dare una giusta collocazione ai figli.
Abbiamo il periodo savoiardo in Sicilia, ma abbiamo anche un periodo napoletano contrassegnato
dalla presenza asburgica. Già dal 1707 gli Asburgo sono a Napoli. Non è il periodo più noto o
studiato, si chiuderà nel 1734. Gli Asburgo governano attraverso un viceré. Contrassegnano un
periodo abbastanza attivo, nel senso che commercialmente è denso di trattati commerciali con
l’impero ottomano, reggenze barbaresche, Spagna. Una cosa importante è la riforma della fiscalità
dei comuni nel 1729 e la giunta per la numerazione dei fuochi nel 1732. Quindi, si procede anche
nella tradizione asburgica a cercare un controllo maggiore del territorio da un punto di vista fiscale
e dei censimenti che vengono attuati. Per trattare di questo periodo, la prof. si è imbattuta nel
progetto “Cerimoniali”, che ci mostra brevemente (www.progettocerimoniali.org). È un progetto
che ha interessato una documentazione di corte. Per ogni periodo hanno dedicato un volume ai
cerimoniali. La prof. ha provato ad aprire il cerimoniale del vice regno austriaco di Napoli.
Utilizzano questa fonte particolare che sono i libri di etichetta, che ci raccontano tutto quello che è il
cerimoniale della corte.
Torniamo agli Asburgo, che quindi escono da questa fase tardo seicentesca/primi 700 ed escono
bene da un punto di vista geopolitico. Con la pace di Carlowitz hanno la meglio sugli ottomani, si
proiettano sui Balcani, conquistano l’Ungheria, la Slavonia (zona orientale della Croazia). Li
abbiamo visti entrare con questa pace nel commercio mediterraneo. E si sono rafforzati con la prima
guerra di successione. Si proiettano quindi anche nello spazio mediterraneo. Istituiscono consolati
commerciali a Tunisi, Tripoli, Algeri. Rafforzano il loro commercio nell’Adriatico, e tutto ciò
avviene a spesa di Venezia, che vede ora davvero una forte flessione, una perdita di posizione nei
confronti dei comuni marittimi istriani. Vediamo una slide, una carta, sulle acquisizioni territoriali
degli Asburgo, contrassegnate da una data (fine 600-primi 700). Quindi, Venezia perde e ne viene
avvantaggiata Trieste, dichiarata porto franco nel 1719. Dotata di una flotta mercantile, di una
marina da guerra, la città si sviluppa in modo rapidissimo nel 700, vede arrivare anche mercanti di
diversa nazionalità. È nel 700 che la città acquisisce questo timbro cosmopolita che le resta anche
per il periodo successivo. La prof. ci mostra un video della Trieste asburgica, un luogo bellissimo
che è il castello di Miramare; è un po’ il segno del legame della città con la dinastia (YouTube:
Museo storico del castello di Miramare). Siamo in un periodo successivo, però sembrava giusto
avere l’idea del legame di questa città con la dinastia. Vediamo un’altra slide su Trieste in un
periodo più contemporaneo: addirittura il 1954, l’anno in cui Trieste torna all’Italia dopo una serie
di passaggi. Viene annessa al regno d’Italia dopo il trattato di Rapallo del 1920. Patirà nel ’43
l’occupazione nazista, poi viene liberata dall’esercito jugoslavo e con gli accordi di pace dopo la 2
guerra mondiale viene dichiarata territorio libero sotto il controllo militare angloamericano. Ed è
che gli accordi del 53 che Trieste torna all’Italia. Vediamo questo momento attraverso archivi che
sono quelli dell’Istituto Luce di Cinecittà. è uno degli archivi più ricchi al mondo e continua ad
incrementarsi per divenire la memoria audiovisiva del 900 italiano e dell’area mediterranea.
Cerchiamo qui un esempio di archivio cinematografico di Trieste del 1954, “Trieste sei nostra”
(Archivio Luce – Trieste all’Italia). È il 700 il secolo di questa città, poi rimane in orbita asburgica e
poi contesa in tempi più contemporanei.

Con la prima guerra di successione, le guerre non sono affatto finite. Una seconda guerra di
successione si apre nel 1733 e riguarda i destini della Polonia. È una monarchia elettiva, quindi il re
viene eletto da un’assemblea di nobili, e il loro regolamento vuole che il veto di uno solo possa
bloccare tutti. Questo rende la faccenda di difficile governabilità. In questo momento, la spaccatura
è di nuovo tra Francia da una parte e l’impero asburgico dall’altra. Luigi XV, siccome Luigi XIV
muore nel 1715, sostiene le ragioni del suocero, Stanislao Leszczyński, che viene eletto a grande
maggioranza. Naturalmente, la Francia ha un obiettivo: crearsi nel cuore dell’Europa centrale un
alleato forte in funzione antiasburgica. L’impero sostiene invece l’elettore di Sassonia, che ha già
riconosciuto la Prammatica Sanzione. Perché questa costituzione imperiale del 1713, con cui Carlo
VI dice i miei territori resteranno indivisibili e se vengono a mancare i maschi subentrano le
femmine, è la grande questione che fa da sfondo alla politica asburgica di questo periodo. Abbiamo
di nuovo Francia contro Asburgo. Gli alleati francesi, nello spazio italiano, seconda guerra di
successione 1733-1738, sono il Piemonte e la Spagna. Perché? Perché naturalmente pensano di
poter trarre vantaggio sugli Asburgo, che hanno acquisito postazioni nella prima guerra di
successione. Lo scenario è complicato e continuamente mobile. Di nuovo adesso vediamo un
Piemonte filofrancese. L’esito di questa guerra. Nuovi rivolgimenti ancora nello spazio italiano.
Stanislao L. deve rinunciare alla Polonia, ma viene ricompensato col Ducato di Lorena, a patto che
muore Stanislao e la Lorena torna alla Francia. Però i duchi di Lorena non erano contenti. Vengono
compensanti di questa perdita della Lorena con il granducato di Toscana, quindi arriva in terra
toscana una dinastia estranea. Già l’arrivo di questa corte che non sa niente di questa terra è un
passaggio traumatico, dove però si è estinta la dinastia dei Medici. I lorenesi arrivano al posto dei
Medici. C’è un cambiamento anche nella parte meridionale italiana, dove l’Austria cede Napoli
(acquisita nella prima guerra di successione), la Sicilia (la aveva da poco, 1720) e lo stato dei
Presidi (staterello nel territorio toscano, sempre stato controllato dagli spagnoli) a Carlo di Borbone,
il figlio di Elisabetta Farnese. Vediamo quanti cambiamenti nell’arco di qualche decina di anni.

(!) Riassumiamoli. Prima guerra di successione, 1701-1713/14. Passano agli Asburgo d’Austria
Lombardia, Mantova, Napoli, Sardegna. I Savoia in Sicilia, ma ci restano pochissimo, perché poi la
Sicilia torna all’Austria e la Sardegna ai Savoia. Ma queste posizioni guadagnate dagli Asburgo
d’Austria in Italia sono destinate a flettersi con la seconda guerra di successione, 1733-1738, in cui
di nuovo un cambiamento di sorti. In modo rocambolesco, Francesco di Lorena arriva in Toscana,
compensato dalla perdita del ducato di Lorena che va a Stanislao L. ma in prospettiva diventa
francese. L’Austria cede Napoli, Sicilia, stato dei Presidi a Carlo di Borbone figlio di Elisabetta
Farnese. L’Austria resta col ducato di Parma e Lombardia. L’Austria perde molto. Perché? Cosa
importa in questo momento all’imperatore Carlo VI? Lui cede ma si aspetta che questo cedimento
significhi da parte delle potenze europee il rispetto della Prammatica Sanzione. È un cedimento che
ha un valore di tipo politico-strategico. Sbagliato. Sbagliatissimo. Perché non riesce ad evitare
un’altra guerra. Però, questa flessione ha questo scopo qui, di facilitare da parte delle altre potenze
europee il riconoscimento della Prammatica Sanzione del 1713.
Il cambiamento nello spazio italiano è fortissimo, in pochi anni cambiano le dinastie di riferimento,
e arrivano dinastie completamente nuove. I lorenesi in Toscana e i Borbone a Napoli e Sicilia. È
importante sottolineare l’irrilevanza politica degli stati italiani. La loro storia qui è drammatica. Nel
caso della Toscana, è evidente dalla fine del 600 che i Medici non riusciranno ad assicurare una
discendenza, e allora fanno delle cose terribili. Per esempio, il granduca Cosimo III, nel 1709, fa
praticamente cedere la porpora cardinalizia al fratello Francesco Maria, lo fa sposare con una
principessa (dalla differenza di età cosmica), il matrimonio non sarà neanche mai consumato. Sulle
corti aleggia questa tensione. E c’è un momento in cui Cosimo III cerca di assicurare la successione
alla figlia, ma non riesce. È una storia che passa sopra le teste di queste dinastie che non riescono,
non hanno la forza, per governare questi momenti di crisi. È il caso toscano, dove arriva Francesco
Stefano di Lorena, instituendo in Toscana alcuni consigli. La Toscana entra nell’orbita asburgica.
Mentre il regno meridionale con Carlo di Borbone assume una dignità nuova: stato indipendente e
sovrano. È una situazione nuova, di autonomia da parte di Carlo. L’edificazione di una reggia come
quella di Caserta è proprio il simbolo politico di una ritrovata autonomia e dignità del regno. La
reggia viene completata nel 1759 quando Carlo di Borbone lascia Napoli per andare a Madrid. La
prof. ci mostra una parte del sito della reggia di Caserta, dedicata alle presenze femminili, “Storie di
donne nella costruzione di un regno”. Ascoltiamo la moglie di Carlo di Borbone, Maria Amalia, che
lascerà il suo cuore a Napoli. Troviamo un breve profilo biografico, e un podcast (da sentire).

Le guerre di successione non sono finite qui. Dopo la prima e la seconda, arriva anche quello che
Carlo VI mai avrebbe voluto vedere, da parte di una potenza emergente come la Prussia. Federico II
di Prussia non accetta la Prammatica Sanzione e occupa nel 1740 una regione che si chiama Slesia.
Contro l’impero si schierano come da tradizione Francia e Spagna. In tutto questo, i Borbone di
Napoli, regno autonomo ma in qualche modo gemmato dalla corona spagnola, cercano di mantenere
la neutralità. Non ci riusciranno. Ma adesso dobbiamo focalizzarci sulla politica degli inglesi. Gli
inglesi sono entrati a Gibilterra, a Minorca, si preparano ad un’influenza sempre più forte nel
Mediterraneo. Da parte degli Asburgo, avere il controllo dello spazio italiano così dentro il cuore
del Mediterraneo, significava ovviamente avere bisogno dell’Inghilterra in funzione antispagnola.
La Spagna è la stessa che nel 1720 sbarca in Sicilia e Sardegna. Durante la guerra di successione
austriaca, la Gran Bretagna è ancora con gli Asburgo per difendere i loro domini italiani, ed
impedire un’espansione della Spagna. È un’alleanza che negli anni 30 del 700 si fa ancora più forte,
e che si manifesta anche durante la guerra di successione austriaca, quando la Gran Bretagna cerca
di difendere gli Asburgo. In realtà, non è solo difesa, è proprio prendere le parti di Carlo di
Borbone. Vediamo un’immagine di Carlo nella Battaglia di Velletri (Reggia di Caserta), nella quale
Carlo riesce a difendere il trono, e quindi ad impedire di essere nuovamente disarcionato.
Esiti della tre guerra di successione. L’Austria un nuovo arretramento, cede Parma al fratello
cadetto di Carlo, Filippo, secondo figlio di Elisabetta. Il tutto si chiude con la pace di Aquisgrana
(1748), quando l’Austria si vede riconosciuta finalmente la Prammatica Sanzione, e Maria Teresa
d’Asburgo potrà diventare imperatrice.

LEZIONE 16
Guerra di successione austriaca. È originata dalla mancata accettazione della Prammatica Sanzione,
con cui Carlo VI d’Asburgo cerca di tutelare il casato, assicurandolo anche alle figlie femmine.
Abbiamo visto come in questa guerra i Borbone di Napoli, che sono visti come una filiazione dei
Borbone di Spagna, cercano di mantenere la neutralità finché l’Inghilterra non entra pesantemente
in gioco al fianco degli Asburgo per modificare gli equilibri di questo regno mediterraneo. Carlo di
Borbone è salvato. L’Inghilterra è vicina agli Asburgo nella guerra di successione austriaca, quando
il trono di Carlo era in pericolo, finché la battaglia di Velletri ridefinisce la situazione e Carlo si
assicura il trono da questo duplice attacco degli Asburgo e degli inglesi.
Da un punto di vista dei cambiamenti nello spazio italiano, senz’altro la seconda guerra e anche la
prima sono più importanti. Perché nella prima l’elemento che segna la rottura con la pace di Cateau-
Cambresis è la fine dell’egemonia indiscussa spagnola in Italia, anche sella Spagna cerca di
rimettere tutto in discussione non riuscendoci. Nella seconda guerra di successione, invece, per
quanto riguarda il meridione italiano, vi è la costruzione di uno stato indipendente governato da
Carlo di Borbone, figlio di Elisabetta Farnese, dinastia completamente nuovo; e poi arrivano i
Lorena che sostituiscono i Medici nel granducato di Toscana. È importante ricordarci come Carlo di
Borbone riesce a difendere l’autonomia del regno e a rispondere a questo attacco congiunto da parte
inglese e asburgica.
Arriviamo alla pace di Aquisgrana, che sostanzialmente vede il riconoscimento di Maria Teresa
d’Asburgo, quindi della Prammatica Sanzione. Ma come episodio importante, c’è la cessione
dell’area della Slesia alla Prussia, potenza che sta diventando egemone, ed è quella che ha sferrato
l’attacco agli Asburgo d’Austria una volta che Carlo VI è morto. La politica di Carlo VI al 1713 è
stata quella di cercare continuità dinastica. Non ce la fa con la Prussia. Ed è la Prussia che poi va ad
occupare la Slesia.

La prof. ci mostra la slide del brano di uno storico, Michael Henderson, e ci fa vedere quanto in
queste guerre di successione, in questo momento della storia europea, la parola “equilibrio” sia
molto presente nel linguaggio pubblico. Alla metà del secolo, scrive Henderson, tutti concordavano
che un equilibrio delle forze esisteva da diverse generazioni, e che questo equilibrio salvaguardasse
la pace, la libertà dell’Europa e perfino l’esistenza dei suoi stati minori. Perciò doveva essere
l’azione costruttiva di ogni governo. Il trattato di Utrecht, ad esempio, aveva come principali
obiettivi la pace europea attraverso l’equilibrio delle forze. Anche se poi, continua Henderson, cosa
significa equilibrio tra stati? In base a quali parametri definiamo uno stato più forte dell’altro?
Spesso si cadeva quindi in definizioni piuttosto vaghe.

La prof. poi ci mostra una carta al momento della pace di Aquisgrana. Europa 1748. Proviamo a
capirci qualcosa. I domini dei Borbone di Spagna vengono messi su questa carta tutti insieme con
quelli dei Borbone di Francia. Perché sappiamo che il “fondatore” dei Borbone è stato Enrico IV di
Navarra a fine 500 in Francia, poi arriva come sappiamo il pronipote Filippo V. Ma con Utrecht
come sappiamo ci si impegnava a mantenere le due corone ben distinte e separate. In questa carta
però vanno nello stesso colore, ed è un po’ azzardato. Lo stesso vale per i Borbone di Napoli. È una
semplificazione. I Paesi Bassi, in alto, ricordiamo la divisione tra Paesi Bassi e province unite. Le
province unite che dal secondo 500 erano indipendenti e calvinisti, la parte inferiore invece cattolica
e resterà agli spagnoli fino alla prima guerra di successione, poi questa parte diventa asburgica. La
parte marroncina, cioè i domini asburgici, c’è l’Ungheria, l’arciducato d’Austria, la Toscana (perché
la Toscana viene data a Francesco Stefano duca di Lorena, ma è lo sposo di Maria Teresa d’Austria)
e la Lombardia. Poi c’è l’aria del sacro romano impero germanico, realtà statuale complessa. La
Slesia, acquisizione di Federico II di Prussia con la guerra di successione austriaca. Vediamo una
definizione dal dizionario di Storia Treccani, che ci fa vedere come sia anche difficile definirlo: una
confederazione sotto la presidenza elettiva degli Asburgo d’Austria. Allora, noi sappiamo che gli
Asburgo d’Austria controllano il titolo imperiale dal secondo 400. Abbiamo visto che Carlo V si
ritrova come concorrente il re di Francia, ma quest’ultimo non la spunta. Il titolo continua a
rimanere in zona asburgica. Ma diventa un titolo di primus interpares nei rapporti dei membri di
questa confederazione. Abbiamo già parlato di Vestfalia come la pace che chiude la Guerra dei
trent’anni. Una devastazione nell’area italiana ma soprattutto nell’Europa centrale, per poi tornare
alla pace di augusta di un secolo primo. Questa pace va ricordata però anche come un fallimento da
parte degli Asburgo di ricattolicizzare l’impero dopo le divisioni della riforma protestante. Ma va
anche ricordata perché questi stati, principati, staterelli, alla fine acquisiscono ancora più
indipendenza dall’imperatore che formalmente dovrebbe almeno esercitare una sorta di controllo o
di tutela. La prof. ci mostra una slide che matte paura: se la ingrandiamo notiamo la varietà delle
componenti istituzionali, perché il mondo del sacro romano impero è un mondo davvero complesso
dal punto di vista istituzionale. C’è una parte di dominio asburgico diretto, che sta dentro i confini
del sacro romano impero, nel quale stanno tante altre realtà, città con privilegi, principati
ecclesiastici, principati laici. Ma gli Asburgo controllano dalla fine del 600 il regno di Ungheria che
però non è parte del sacro romano impero. Questo regno è stato caratterizzato con questi 3
imperatori, da Leopoldo I che ha resistito all’assedio di Vienna; poi Carlo VI che ha combattuto con
la nobiltà ungherese indipendentista, fino a quando nel 1712 ottiene la corona d’Ungheria.
Naturalmente, tutto ciò ha un prezzo: una bella fetta di indipendenza che in antico regima si
sostanzia di privilegi economici e fiscali. L’anno dopo, nel 1713, Carlo si preoccupa con la
Prammatica Sanzione che i suoi regni devono essere indivisibili. Quella cartina impossibile alla fine
ci introduce un tema enorme: cosa significa la parola “stato” in antico regime. Il termine “stato”
deriva dal latino “status”, che significa condizione. E se ne parla con Machiavelli a inizio 500, e si
indicano al sovrano gli strumenti per crescere lo stato suo, non si parla di una comunità politica, ma
della condizione del principe, “status”. Il passaggio di status come condizione a Stato come
comunità politica fu lenta e graduale. Di pari passi con l’altrettanto lenta e graduale affermazione
dei princìpi che oggi consideriamo costitutivi dello stato: la territorialità dell’obbligazione politica e
l’impersonalità ed universalità del comando politico. Partiamo dalla territorialità, vuol dire che
abbiamo di fronte una comunità politica istituzionale, se c’è un provvedimento questo vale per tutto
il territorio nazionale. Impersonalità significa anche che non ci sono delle zone franche. Lo Stato
cinquecentesco è tutta un’altra cosa. La statualità di antico regime è piena di interstizi dove si
annidano gerarchie e privilegi. Non è niente dello Stato che conosciamo oggi. Gli Stati di 600 e
gran parte del 700 erano diversi da questi Stati territoriali ed impersonali. Ogni regione aveva i
propri ordinamenti, leggi, moneta. Gerarchia. L’età moderna si differenzia per delle leggi chiamate
suntuarie, le leggi che stabiliscono come ci si poteva vestire, ornare, e lì si vede benissimo che è una
società organizzata per ceti e per privilegi cetuali.

Torniamo nello spazio italiano. Immaginiamoci un essere umano che a fine 600 parte e torna a metà
700. Trova grandi cambiamenti. La maggior parte degli stati italiani alla pace di Aquisgrana è
soggetta a dinastia diversa. Milano è passata agli austriaci, gli Asburgo sono riusciti a difendere la
postazione. Non sono riusciti a sud, ma hanno difeso la Lombardia. E Mantova, dove si erano estinti
i Gonzaga-Nevers. E Parma e Piacenza. E notiamo come Elisabetta Farnese riesce a piazzare
entrambi i figli: uno al regno di Napoli, Carlo Borbone, e l’altro appunto a Parma e Piacenza,
Filippo. Poi, il granducato di Toscana è andato ai Lorena, e la Sardegna ai Savoia. Continuità a
Modena (ancora sotto gli Este), e questi stati repubblicani, queste lunghe persistenze, sembrano
quasi fuori dal tempo, ancora lì a rappresentare un modello istituzionale di tipo diverso, Venezia,
Genova e Lucca. Poi, i Savoia naturalmente, che a partire dalla prima guerra di successione si
sganciano da Luigi XIV, hanno sopportato l’assedio di Torino, ma hanno guadagnato un titolo
regio. Questi sono tutti i cambiamenti di uno spazio italiano che è dentro un grande contesto
europeo segnato da un fenomeno che è quello del despotismo illuminato. Esso è un governo di un
principe, che si avvale di un potere assoluto (monarchia assoluta), per mettere in atto una politica di
riforme volta sì a migliorare le condizioni di vita dei sudditi, ma anche per ottenere dai propri Stati
risorse diverse. Sono quindi spesso riforme volte anche a rendere più produttivi da un punto di vista
economico questi Stati. Storicamente, l’assolutismo illuminato si sviluppa in alcuni Paesi d’Europa
tra anni 40 e 80 del 700, favorito dal vasto movimento culturale, che si chiama Illuminismo
francese, e che dalla Francia si irradia e permea fortemente i ceti dirigenti anche dello spazio
italiano. I sovrani che più si identificarono con questa ideologia furono Federico II, Maria Teresa
d’Austria, Giuseppe II d’Asburgo, uno dei numerosi figli di Maria Teresa e Francesco Stefano di
Lorena; Caterina II di Russia, ed alcuni sovrani di stati italiani.

Federico II di Prussia. Protagonista della terza guerra di successione. Ha guadagnato la Slesia.


Federico II compone 121 suonate di flauto e clavicembalo. Quello che ci interessa è che Federico II
non è ricordato per questo ovviamente dagli storici, ma per le riforme, la visione di potere
assolutistica nell’ambito del despotismo illuminato. Ma la prof. voleva farci notare la complessità di
questi sovrani, di questi despoti illuminati. RaiPlayRadio nella descrizione ci dice che è un sovrano
che legge, annota i testi, si confronta con la letteratura, e lo stesso farà in Toscano Pietro Leopoldo
d’Asburgo Lorena. Sono sovrani che hanno delle biblioteche, i libri vengono annotati, letti, discussi
con un ceto dirigente che si confronta col sovrano. Federico II è uno dei grandi protagonisti di
questo periodo.
Con Federico II vediamo anche una slide dal titolo “le basi per un capovolgimento di alleanze”. La
slide è criptica. Cosa significa? Abbiamo visto da tradizione la Francia contro gli Asburgo. Le
guerre di successione questo ci hanno raccontato. Dalla prima all’ultima. Però, questa inimicizia
non contempla la presenza di una Prussia che si fa invadente nel corso del 700. Alla fine, la Prussia
diventa quindi un soggetto politico ingombrante e pericoloso, e questo pone le basi per un
capovolgimento di alleanze, e un riavvicinamento tra Francia e Asburgo. È una presenza
nell’Europa centrale che diventa sempre più insidiosa per gli Asburgo, dove Maria Teresa però ha
vinto la guerra di successione, che si vede riconosciuta i suoi diritti.
Vediamo qualche data: 1736, Maria Teresa sposa Francesco Stefano duca di Lorena (dando inizio
alla dinastia degli Asburgo-Lorena); 1740: sale al trono alla morte del padre e nomina subito come
co-reggente il marito; 1745: Francesco Stefano imperatore; 1765: alla morte di Francesco Stefano, è
il figlio Giuseppe II che diventa imperatore. Di Maria Teresa la prof. ci fa vedere un ritratto noto di
lei con tutta la famiglia, i figli, dove v’è lei e il marito. Il figlio più grande è Giuseppe II, futuro
imperatore. E poi c’è quello più piccolo che è Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena, che alla morte
del padre arriva in Toscana. La prof. ci apre il link del ritratto nel sito degli Uffizi, del 1756,
Palazzo Pitti, pittore: Martin van Meytens. Si conoscono tre versioni sempre dello stesso pittore.
Questa a Palazzo Pitti, grande palazzo fiorentino dove aveva sede la dinastia, è l’ultima e presenta
la famiglia al completo. Quindi queste tre versioni variano a seconda dei figli che erano tantissimi.
Le tele differiscono quindi solo nella quantità di bambini. Poi ci sono i canini che ruzzano e alle
loro spalle gli obelischi del castello di Schoenbrunn.
La prof. ci mostra un passaggio delle istruzioni di Maria Teresa ai figli. I genitori sovrani daranno
sempre delle istruzioni ai figli sia se questi diventano a loro volta sovrani ma anche principesse.
Maria Teresa scrive “I nostri errori non sono mai lievi, portano con sé molte conseguenze, e un
grande debito di cui dobbiamo rendere conto a Dio”. Questo dà il senso di una concezione non
sacrale della sovranità, ma anche un senso di responsabilità connesso all’impegno di governo. È una
grande novità di questo periodo. Dei compiti di governo fanno parte anche i viaggi, le visite, le
ispezioni, accompagnai da puntuali resoconti. Pietro Leopoldo Asburgo Lorena è in movimento
continuo nel territorio toscano per conoscerlo. Collaborazione stretta con un ceto dirigente di alto
profilo. Quindi, cambia il senso della sovranità e cosa significa un impegno di governo. Tema della
pubblica felicità e del benessere dei sudditi.
La prof. ci parla della lettera di Maria Teresa alla figlia Maria Carolina, appena proclamata regina di
Napoli, moglie di Ferdinando IV. La religione è sempre considerata un collante del regno, una
garanzia di moralità e comunque permea fortemente i profili di questi sovrani. C’è uno sguardo di
genere, da donna a donna, le dice di non essere altera soprattutto con gli uomini. Deve circondarsi
di cristiani, essere clemente. Si deve proteggere dalle persone delle sue età, sarebbe meglio che le
preferisse ma non prestargli fiducia, divertirsi con loro senza prestare fiducia a quello che dicono.
Un altro passaggio: lì disponi di una bella biblioteca, forse hai fortuna, insegnerai al re la passione
della lettura (c’era da lavorarci). Un altro obbligo importante è l’elemosina: in considerazione delle
tue entrate, sarebbe opportuno che tu dessi al padre confessore cento fiorini al mese per i poveri.
Questa del padre confessore è una figura molto presente nelle corti. Il loro compito non si limita
all’ambito religioso, ma anche diplomatici. Quindi, la biblioteca, le preghiere, le virtù, l’elemosina.
Poi c’è un punto che potrebbe essere oggetto della nostra discussione. Ecco cosa dice Maria Teresa
alla figlia sugli ordini di governo. Immischiati negli affari solo tanto quanto lo desideri il re.
Un’altra madre spingerebbe a farti provare un peso maggiore, ma lei conosce bene il dispiacere che
gli affari comportano. Come se le dicesse, tu vai in una corte, questi sono i tuoi compiti, limitati a
fare quello che ti sarà concesso, ma non provare a prenderti questo spazio da sola. Questa non è la
stessa cosa che abbiamo trovato nel 600 e che la granduchessa Medici Cristina di Lorena dice alla
principessa mantovana in quel contesto di paure e di estinzione dinastica e della guerra. Cristina alla
figlia dice tutta un’altra cosa. Cristina di Lorena, allevata nella corte di Caterina Medici, insegna
alla figlia i trucchi, la dissimulazione, per avere un vero ruolo politico a corte. Maria Teresa alla
figlia, in sostanza, non le dice questo, bensì di avere un ruolo altro, di accontentarsi di quello che il
marito le riserverà a livello di spazi di governo.

Spazio italiano. Arrivo di nuove dinastie negli anni 30. Interesse, attenzione ed entusiasmo
all’arrivo di Carlo di Borbone. Sapendo che arriva gente nuova, il ceto dirigente locale inizia a
pensare che dei cambiamenti siano possibili. Alcuni sono rimasti tradizionalmente alle vecchie
dinastie, ma ci sono anche persone che pensano che l’arrivo di una dinastia nuova possa
rappresentare una chance. E scrivono progetti di riforma nell’attesa di poter essere presi in
considerazione. Quindi, cambio di dinastie, progettualità, dinamismo nuovo. Quali sono questi
ambiti di riforme negli stati italiani? Sistema fiscale, agricoltura, commercio (liberalizzazioni,
abolizioni dogane interne, …), corporazioni perché verranno a un certo punto viste come qualcosa
che blocca lo sviluppo del lavoro e del commercio e quindi abolite, confraternite che verranno viste
come un retaggio di pratiche religiose del passato dalle quali ci si deve liberare, istruzione, istituti
religiosi. Questi sovrani anche nello spazio italiano si fanno portatori di un’altra idea di sovranità.
Obiettivi delle riforme: efficienza dello Stato, sistema fiscale più equo attraverso adozione di
catasti, circolazione dei beni, controllo dello Stato sulla Chiesa (giurisdizione). Vediamo la
definizione della parola catasto. Fare un catasto significa andare a conoscere il territorio, chi lo
abita, di chi sono i beni immobili, descriverli, parlare della produttività di questi beni; si fa un
catasto ai fini di un prelievo fiscale. Quindi, nel XVIII secolo iniziò la redazione di nuovi catasti
estesi all’intero territorio dello Stato. In Italia, interessò i maggiori Stati a partire dal regno di
Napoli e culminò col catasto realizzato in Lombardia sotto gli austriaci nel 1760. Significa quindi
sapere di dover affrontare un’opposizione fortissima. Quindi, questa è una parola importante per
capire il riformismo nello spazio italiano settecentesco. Un’altra parola chiave è giurisdizionalismo,
cioè mettere in atto delle politiche che hanno alla base la convinzione che nei rapporti fra stato e
chiesa lo stato deve sottomettere alla propria giurisdizione quella ecclesiastica. Quindi, separazione
dei due poteri, sottomissione della giurisdizione ecclesiastica a quella laica. Queste pratiche
giurisdizionaliste, in pratica, si sostanziano in tassazione delle terre ecclesiastiche, chiusura dei
conventi (in Toscana e Lombardia, ad esempio, a favore di educandati femminili), beni quindi
sottratti e usati per altre cose, espulsione dei Gesuiti (significato simbolico di appropriazione di
spazi allo stato e quindi alla sfera laica), abolizione della censura ecclesiastica, controlli della
nomina di vescovi, interventi sul numero delle festività religiose.
I luoghi italiani delle riforme: regno di Napoli. Anche con Carlo di Borbone abbiamo un modello
assolutistico tipico del padre Filippo V. Quindi, abbiamo: consolidamento dell’autorità monarchica
con la riduzione dei privilegi degli ecclesiastici e dei feudatari; ricostruzione della flotta militare;
trattati di commercio e navigazione per cercare di rafforzare l’economia del regno.
Dal 1759: Bernardo Tanucci. Una figura di consigliere toscano che Carlo di Borbone conosce a
Pisa, uomo coltissimo che dopo il 1759, quando Carlo torna in Spagna, diventa la figura politica di
riferimento a Napoli.
In Lombardia abbiamo un’esperienza di Giuseppe II estremamente radicale. Si è poi scontrato
anche con la madre su tanti punti. Nel 1781 l’emanazione della patente generale di tolleranza, che
consente a calvinisti, luterani, greci ortodossi di integrarsi nella vita della monarchia asburgica; e
poi come ha fatto la madre interventi nel campo della scuola e dell’università; la riforma della
giustizia (Codice penale del 1787, che viene pubblicato anche in Toscana l’anno prima, e che la
regione toscana ha ancora a riferimento culturale profondo).
La festa odierna della regione toscana è proprio il 30 novembre, giorno per celebrare il Codice
penale di Pietro Leopoldo Asburgo Lorena. Il codice è ispirato alla celebre opera di Cesare
Beccaria, Dei delitti e delle pene, 1764. Questo testo, favorevole all’abolizione della pena di morte
e della tortura, circolò moltissimo. Cos’è la pena per Beccaria? Ci sembra molto vicino, ci dice che
quanto più la pena sarà vicina al delitto commesso, essa sarà tanto più giusta e tanto più utile. Per
lui, il carcere è la semplice custodia del cittadino nell’attesa di essere giudicato colpevole, quindi
questa penosa attesa deve durare il minor tempo possibile, e deve essere meno dura possibile.

C’è una partecipazione italiana al dibattito europeo. C’è un contesto europeo anche di scambi
epistolari molto intensi tra intellettuali, in cui i testi francesi circolano, sono tradotti. Indubbia
egemonia francese, con queste grandi imprese come l’Enciclopedie ecc. Però c’è anche un
contributo italiano a questo movimento più vasto. Come Beccaria.
Si può puntare quindi su un’opinione pubblica favorevole alle riforme. Si può contare su un
consenso. Da qui, le riviste, le traduzioni, la diffusione di salotti, tipico di questo periodo
settecentesco, dove anche le donne hanno un loro ruolo.

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