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DIBATTITI

Esiste una comunit scientica per la sociologia italiana?


di MARCO SANTORO

La sociologia essa stessa un fenomeno sociale e quindi pu essere studiata come tale (Hughes 2010, 329). Intellectual life is rst of all conict and disagreement (Collins 1999, 1).

1. La scienza come comunit e la scienza della comunit Ci sono due questioni chiaramente iscritte nel titolo di questo articolo1: a) La sociologia italiana una comunit? Chiamer questo il problema della organizzazione sociale della sociologia italiana. b) La sociologia italiana scientica? questo invece il problema dello statuto intellettuale della sociologia italiana. Si noti: si pu essere comunit senza fare scienza, ma non si pu fare scienza senza che ci sia anche una qualche comunit. Cos almeno ci diceva Kuhn. Ma non forse davvero cos, anzi pare non sia cos per i sociologi della scienza e della conoscenza
1 Articolo che una versione rivista e abbreviata di una relazione presentata e discussa al seminario Ruolo della sociologia e professione del sociologo, organizzato dalla Rassegna Italiana di Sociologia, e tenutosi allUniversit di Milano-Bicocca, il 1 ottobre 2010. Ringrazio i molti amici e colleghi che hanno letto la precedente versione e/o che sono intervenuti durante il seminario, dandomi preziosi feedback di cui non sempre ho saputo tenere conto: Salvatore La Mendola, Maurizio Pisati, Mario Diani, Costanzo Ranci, Matteo Bortolini, Emanuela Mora, Paolo Volont, Alessandro Cavalli, Filippo Barbera, nonch le mie due discussant ufciali, Delia Baldassarri e Loredana Sciolla. Grazie anche a Paul DiMaggio, Omar Lizardo e Gabriel Abend. Ma soprattutto grazie al comitato editoriale della RIS per avermi dato lopportunit di scrivere liberamente su questi temi, e a Mario Cardano per avermi spronato a farlo in momenti di pigrizia.

RASSEGNA ITALIANA DI SOCIOLOGIA / a. LII, n. 2, aprile-giugno 2011

Marco Santoro

post-kuhniani, e a noi contemporanei: nessuno fa scienza da solo, certo, la scienza un fatto squisitamente sociale e collettivo, ma ci sono storicamente diverse organizzazioni sociali della scienza, e si pu fare scienza anche senza comunit, o magari su basi che proprio comunitarie non sono. Il problema sapere quando queste basi non comunitarie o addirittura anticomunitarie diventano incompatibili con la scienza che poi un gioco sociale, un modo di fare cose che segue certe regole e che richiede pertanto il soddisfacimento di alcuni requisiti per poter esserci. Su questo, che chiaramente un nodo cruciale, mi soffermer pi avanti. Ma dico subito che io pi che di comunit preferisco parlare, con Pierre Bourdieu, di campi e nel caso specico di campo scientico. E parlare di campo scientico invece che di comunit scientica, come ha notato il sociologo francese, signica [appunto] rompere con lidea che gli scienziati formino un gruppo unitario, se non omogeneo (Bourdieu 2003, 62). Come afferma in modo sintetico ed efcace una delle epigra che aprono il presente articolo, la vita intellettuale, inclusa quella che si svolge entro i conni della scienza, fatta di conitti e disaccordi (cfr. Collins 1999). Questo non vuol dire che ci sia solo conitto, e mai cooperazione, o che gli scienziati non agiscano mai come se fossero in una comunit. Ma la questione : a quali condizioni questo accade? Cio quali condizioni devono soddisfarsi perch un campo intellettuale possa in modo credibile presentarsi come comunit scientica? Questi sono gli interrogativi cui cercher di dare qualche plausibile risposta nelle pagine che seguono, con le debite spiegazioni e illustrazioni, tratte dalla mia frequentazione di questo campo, e dalla mia osservazione partecipe alla sua vita, in varie sedi e luoghi2. La maggior parte delle peculiarit e delle carat2 Due altri interrogativi, a ben vedere, sono impliciti nel titolo, per come io lo leggo, che seppure forse meno importanti, o apparentemente meno centrali, meriterebbero qualche attenzione: c posto in Italia per una comunit che sia scientica di sociologi? il problema, che potremmo dire ecologico, della localizzazione in un certo territorio o ambito spaziale, che inevitabilmente trasgura in quello che possiamo chiamare il problema istituzionale, cio della organizzazione sociale pi ampia in cui la disciplina si trova a operare in questo spazio geograco e politico-istituzionale chiamato Italia (insomma, due problemi distinti ma connessi: la dimensione spaziale e la base istituzionale, sia nel sistema accademico-universitario che in quello editoriale e mediatico). E inne, quarto e ultimo interrogativo, che ugualmente leggo nel titolo sebbene non necessariamente nelle intenzioni di chi quel titolo ha suggerito: esiste qualcosa come una sociologia italiana? Lo chiamerei il problema della identit locale della sociologia italiana. Per ragioni di spazio, questi interrogativi discussi nella relazione originaria

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teristiche, cos come molti dei paradossi e delle logiche pi o meno perverse di cui discuter sono stati dunque da me esperiti personalmente o raccolti attraverso testimonianze di colleghi, orali e scritte, pubbliche e private. Le cose che dir, i fatti che esporr, sono peraltro indiscutibilmente noti a tutti i colleghi che abbiano un po di familiarit con il campo professionale3. Non pretendo che tutti condividano la mia lettura di questi fatti anche molto noti, ma credo sia difcile mettere in dubbio che i fatti di cui parler esistano per quanto anche su questi si possa, come su tutto, imbastire un discorso sociologico che insiste sulla costruzione e sul gioco delle prospettive, ecc. sino ad arrivare al fatidico la realt non esiste che limite ultimo di ogni discorso che si voglia anche solo vagamente scientico. Per quanto mi riguarda, la realt sociale esiste, come esistono per anche diversi modi di vederla e di intenderla, e persino di viverla, di esperirla, e di comunicarla. Il che non vuol dire che non creda si possa argomentare a favore di un particolare modo di concepire e vivere quella data realt, favorendolo perch istituzionalmente pi adeguato non solo al compito che chi opera in quella stessa realt dice di preggersi, ma anche perch pi consono alla stessa denizione istituzionale di quella realt per come essa venuta costruendosi e legittimandosi in quattro secoli ormai di storia moderna dei saperi e delle discipline. Concluder la mia discussione con un evidente cambio di registro, da (pi) analitico a (pi) normativo con qualche suggerimento o meglio qualche modesta proposta per rimediare o tentare di rimediare alle (molte) debolezze e ai (molti) mali che la mia analisi, o la mia lettura, avr fatto emergere, a anco dei (meno numerosi, temo) punti di forza, che sono poi gli appigli su cui fare leva per uscire dalla crisi professionale in cui, come sociologi italiani, ci troviamo. Crisi che evidentemente penso ci sia, e penso sia anche seria.
da cui questo articolo nasce non verranno qui affrontati, e sono rimandati ad un lavoro di prossima pubblicazione. 3 Scrivendo di questioni che riguardano la mia professione e disciplina, sarebbe naif pretendere una qualche forma di sguardo olimpico e disinteressato, e sostenere che il punto di vista da cui scriver sia esente dal condizionamento della mia posizione nel campo sociologico nazionale. Nonostante le mie maggiori frequentazioni con una specica sezione di quel campo (larea cosiddetta MiTo, di cui dir), ci tengo per ad avvertire il lettore che la mia formazione e parte della mia carriera sono passate anche per lUniversit Cattolica, e che la mia partecipazione al campo sociologico si intrecciata per alcuni anni con quella, professionale, nel campo della storiograa

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Prima di iniziare, vorrei per sgomberare il campo da quattro ipotesi che vengono talvolta avanzate per spiegare, in qualche modo nendo per sminuirla se non azzerarla, la situazione di crisi in cui si trova la sociologia italiana. La prima insiste sulla crescita impetuosa che la professione ha conosciuto negli ultimi due-tre decenni. Basti dire che da 50 (tra ordinari e incaricati) presenti nel 1967 si era saliti a 350 nel 1987, per arrivare ventanni dopo, cio oggi (situazione al 31 dicembre 2010) a 1067 docenti (tra ordinari, straordinari, associati, e ricercatori) cui potrebbero aggiungersi 206 assegnisti di ricerca (fonte: Miur). Che la crescita ci sia stata, e che essa sia stata ingente (+ 200% in ventanni, con una media del 10% annuo) fuori discussione, che essa possa spiegare i problemi di cui dir per poco probabile, essendo questa crescita conseguenza in primis delle politiche e strategie di reclutamento stesse della professione, e come tale effetto pi che causa delle sue logiche di funzionamento. Per quanto vi siano signicativi rapporti tra dinamiche demograche di una professione e andamento del suo status professionale, attribuire allespansione demograca della disciplina la ragione della sua crisi quanto meno azzardato, e suona a scappatoia buona innanzitutto per assolvere la professione stessa con i suoi membri (in particolare quelli che controllano gli accessi) dalle loro responsabilit. La seconda ipotesi esplicativa rimanda alla presunta debolezza epistemologica della disciplina (che si manifesterebbe, secondo la teoria di volta in volta privilegiata, nella continua frammentazione delle tradizioni e delle scuole, e nella difcolt di produrre conoscenza certa e utilizzabile in termini di policies e di governance). A questa ipotesi talvolta collegata una terza, che insiste sulla naturale corrispondenza tra il microcosmo della disciplina sociologica e le peculiarit storiche della vita politica nazionale (consociativismo, trasformismo, clientelismo, ecc.). Nessuna di queste due ultime ipotesi appare tuttavia convincente. La prima si basa su un argomento troppo generale, oltre che di per s discutibile, perch possa evocarsi a spiegare le peculiarit del campo sociologico italiano: se debolezza epistemologica c, questa vale per ogni campo nazionale. La seconda, pi che una spiegazione, evidenzia una parte del problema da spiegare, e cio: come mai il campo sociologico italiano cos eteronomo, in particolare rispetto al campo politico, e che conseguenze ha questa eteronomia per la vita intellettuale

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della disciplina nel nostro paese4. Un quarto argomento che viene avanzato da quanti non credono nella crisi della disciplina la forte presenza pubblica di sociologi, sulle pagine dei quotidiani soprattutto: in altre parole, la forza di quella incarnazione della disciplina che Burawoy (2005) ha recentemente chiamato (sulla scorta peraltro di altri studiosi) sociologia pubblica. vero che in Italia, come in altri paesi europei, i sociologi sono molto presenti nel dibattito pubblico, molto pi ad esempio che negli Stati Uniti dove anzi la presenza pubblica della sociologia particolarmente debole (Ritzer 2006). Come ho sostenuto altrove (Santoro 2007), per, la sociologia pubblica pu essere poco, ed essere anzi controproducente, se alle spalle non ha una solida sociologia professionale5. Ed questa che a me pare sia particolarmente fragile in Italia. 2. La grande anomalia della sociologia in Italia Inizio dunque dalla prima questione: esiste una comunit di sociologi in Italia? La mia risposta ambivalente, come ambivalente o meglio polisemico il concetto di comunit (cfr. per una recente rassegna e ricostruzione analitica, Brint 2001): non esiste una comunit se con questo termine intendiamo uno spazio condiviso di relazioni e interazioni sociali frequenti e
4 Lo stretto legame tra sociologia e politica stato enfatizzato anche nellultima seria indagine sociologica sullo stato della sociologia italiana del secondo dopoguerra: cfr. Pinto (1980), e per un signicativo precedente, Balbo et al. (1975). Questo legame, nelle sue molteplici colorazioni e sfumature, stato al centro di uno dei pochi dibattiti che hanno segnato la disciplina in Italia negli ultimi anni, quello intorno al libro di Marzio Barbagli su criminalit e immigrazione: vedi in particolare Melossi (2010), che conclude proprio chiedendosi non tanto come ha fatto Barbagli a commettere nel suo lavoro pionieristico errori di analisi (cosa sempre possibile) ma perch ci abbia messo cos tanto la comunit sociologica a rilevarlo. Paradossalmente, questo dibattito si svolto quasi interamente allinterno di una delle aree del campo sociologico nazionale (quello riferito alla componente del MiTo, cfr. infra) che si proclama, o si pretende, meno inciata nel suo funzionamento dallintrusione di logiche politiche e/o partitiche. 5 Parlare di sociologia pubblica vuol dire introdurre la questione dei pubblici del sociologo, e delle fonti dei suoi riconoscimenti materiali e simbolici, che non sono necessariamente i suoi pari anche se sarebbe bene per la disciplina che lo fossero. Sul tema ha scritto cose interessanti Raymond Boudon (1981). una pista promettente, che per non seguir in questo testo, concentrandomi appunto su ci che avviene tra pari. La sociologia francese appare comunque molto pi sensibile di quella italiana alle possibili incrinature della propria identit professionale: vedi ad esempio la forte reazione provocata dal cosiddetto affair Tessier (cfr. Lahire 2007).

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continuative, magari anche calde; non esiste una comunit se con questo intendiamo uno spazio condivido di valori e ideali, inclusi ideali e valori di eccellenza (comunit in senso parsonsiano o forse ancora meglio habermasiano); ma esiste una comunit se con questo intendiamo uno spazio condiviso di pratiche in un certo ambiente istituzionale: pratiche per che, ahim o meglio ahinoi, niscono per negare o compromettere appunto lo spazio comunitario inteso in senso relazionale, da un lato, e quello ideale-normativo dallaltro. Mi spiego. La sociologia ri-nasce in Italia (notate che insisto su questa idea di ri-nascita, assumendo che la sociologia abbia una lunga storia nel nostro paese che il fascismo non ha affatto interrotto ma ha anzi, per molti versi, potenziato, dando ad essa base istituzionale6) negli anni Cinquanta intorno a due poli principali segnati dalla congiuntura politica dellepoca, postfascista e fortemente condizionata dai risvolti locali della Guerra fredda: un polo cattolico, legato alla Dc e quindi al governo nazionale, e un polo laico o meglio di sinistra, legato a Pci e Psi e quindi ad una serie di governi locali e a organizzazioni categoriali (sindacati in primis). Un giorno qualcuno far nalmente una storia seria di questa genesi (cui fa qualche interessante cenno il recente contributo di Pierpaolo Donati su Il Mulino [AA.VV. 2010]), per ora limitiamoci a ricordarci che cos stato e che questa distinzione originaria non mai venuta meno, dico mai da allora: sono quindi 60 anni che la sociologia italiana funziona come comunit divisa postfascista e insieme da guerra fredda anche dopo che questultima venuta meno a livello globale. Se poi si pensa che la divisione originaria divenuta, nei primi anni Ottanta, una tripartizione, allora si capisce in che senso la comunit dei sociologi possa compromettersi e non esserci. Ma procediamo in modo pi analitico, per quanto possibile su una materia cos inda e su cui si hanno ben pochi dati. Guardiamo come si presenta oggi, fenomenologicamente, il campo nazionale della sociologia (uso il termine campo nel senso di
6 Mi sono soffermato su questo punto nella relazione milanese citata. Qui mi limito a notare che questa tesi radicalmente opposta a quella prevalente, diffusa in anni immediatamente postfascisti ed entrata nel senso comune della sociologia nazionale, e basata su una intenzionale e pervicace (ancorch politicamente comprensibile) negazione dellopera intellettuale e imprenditoriale di alcuni studiosi molto attivi negli anni del regime, tra cui Corrado Gini. Rimando per dettagli il lettore, oltre che a quella relazione, a Santoro (2011).

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Bourdieu, come detto: uno spazio sociale strutturato, composto di individui e organizzazioni che si relazionano in modo pi o meno continuativo, spesso conggendo per il controllo di qualcosa, o anche che non si relazionano: anche i buchi strutturali hanno effetti e signicano qualcosa): a) il campo sociologico articolato in cosiddette componenti al momento tre appunto7 che hanno acquisito piena legittimit e accettazione entro lassociazione nazionale dei sociologi accademici, lAssociazione Italiana di Sociologia, fondata nel 19828. Queste componenti sono mutuamente esclusive, nel senso che non si pu visibilmente appartenere a pi di una componente alla volta. Il campo non si esaurisce nelle componenti, perch non tutti partecipano alla vita di una componente e perch non tutti i sociologi sono associati allAIS, che delle componenti ormai quasi ufciale associazione di rappresentanza. Anzi, molti dei pi accreditati e rispettati e riconosciuti sociologi italiani NON sono iscritti allAIS anche se magari lo sono stati in passato e talvolta rifuggono dalle componenti intesi come organizzazioni con una vita associativa e uno staff, anche se poi molti di questi che non sono soci e che non amano le componenti partecipano, in modo pi o meno diretto, e contribuiscono allesistenza delle componenti stesse in occasione delle procedure concorsuali. Perch le componenti gestiscono di fatto, e ancor prima regolano, la gestione delle procedure concorsuali, inclusa la selezione di chi deve entrare nella professione e di chi deve fare carriera. Il fatto che molti dei pi reputati sociologi NON sia iscritto allAIS, fatto di per s signicativo e grave, non viene tematizzato come tale, ma ricondotto normalmente a idiosincrasie personali. Non risultano attacchi o scontri epocali tra sociologi che preferiscono stare in disparte, e che implicitamente delegittimano lAIS, e le compo7 Che le componenti siano due o tre fa una certa differenza, come ogni lettore di Simmel sa: per uno sviluppo dellanalisi simmeliana della triade come forma elementare di vita sociale, in cui sempre imminente lalleanza di due contro il terzo, vedi Caplow (1969). 8 Una prova molto empirica, ma anche molto visibile se non tangibile, del riconoscimento istituzionale da parte della professione si avuta al recente congresso annuale AIS (Milano, settembre 2010), alla cui reception campeggiavano cartelli con istruzioni su luogo e orario delle riunioni appunto di componente, naturalmente un cartello per ogni componente. Sulla vicenda che ha condotto alla nascita dellAIS, e sui suoi primi anni di vita, vedi Balbo et al. (1975), Scaglia (2007) e, con interessanti notizie sui retroscena, Martinotti (2010).

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nenti o lAIS che funziona di fatto come una federazione di componenti anche se non escludo che ci siano state talvolta occasioni di tensione e conitto, apparentemente senza grande risultati, allinterno dellAIS anche delle componenti ad opera di singoli sociologi, che magari hanno poi lasciato lassociazione; b) ogni componente ha di fatto le sue riviste (la RIS non fa eccezione, anche se si apprezza lo sforzo di aprirsi ad una delle altre due componenti, anche in virt dellambivalenza sul punto delleditore Mulino, che nasce da una commistione di mondo laico liberal-socialista e mondo cattolico di sinistra), con scarsi o nulli legami tra comitati direttivi e poca sovrapposizione tra autori: chi pubblica nella rivista A facile che pubblichi in quella C ma anche che non pubblichi nella rivista B, dove A e C sono riviste della componente 1 e B una rivista della componente 2. Conseguenza immediata: non c una gerarchia condivisa di riviste (nel senso di un consenso sulla collocazione ad esempio della RIS, come lAJS o lASR negli Stati Uniti, come la pi importante e rinomata delle riviste italiane) ma tante gerarchie quante componenti, almeno; c) ogni componente ha le sue case editrici elettive (anche se qui c qualche essibilit in pi, data dalle esigenze di mercato direi), il che rende difcile stabilire una gerarchia condivisa di editori, per quanto alcuni siano generalmente riconosciuti come pi prestigiosi di altri (soprattutto quando si riesca a pubblicare per loro); d) ogni componente ha le sue gerarchie sociali e intellettuali, i suoi leader intellettuali ed organizzativi, i suoi seguiti (e dunque le sue code concorsuali); questo pu dar la parvenza di unanalogia stretta tra componenti e scuole, analogia che infatti viene spesso rivendicata: bene sgomberare il campo da questa forma surrettizia di legittimazione intellettuale; le componenti non sono scuole: non sono scuole di pensiero perch non c un qualche pensiero che accomuna i membri delle singole componenti (in ogni componente dato trovare pi scuole di pensiero, e le pi note scuole di pensiero sociologico, cos come le varie tradizioni intellettuali [cfr. Collins 1994]), tagliano trasversalmente le componenti), e non sono nemmeno, a ben vedere, scuole di attivit (ci sono attivit di ricerca che, per fortuna, vengono condotte in modo trasversale alle componenti, ad es. nei Prin, e ci sono molti gruppi di lavoro allinterno della stessa componente, che non lavorano insieme), per quanto questa

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sia gi una caratterizzazione pi felice9. La stessa componente cattolica, che delle tre quella che pi pretende allo statuto di una scuola di pensiero, con tanto di maestro fondatore, leader intellettuali, leader organizzativi, seguaci e manifesto politicointellettuale, si traduce in pratica nelladozione di una pluralit di approcci teorici (dalla teoria dei sistemi alletnometodologia, dalla sociologia relazionale nelle sue varie forme sino a varianti contemporanee di marxismo o comunque di sociologia critica), di metodi di ricerca (dallintervista biograca alla survey sino alletnograa), oltre che di oggetti. La dimensione intellettuale della struttura associativa decisamente meno signicativa di quella organizzativa e di mobilitazione delle risorse per lazione collettiva e per la pressione sul campo accademico; e) ci sono tuttavia, spesso, specializzazioni intellettuali, cio una distribuzione delle sub discipline che segue i conni delle componenti: cos lo studio delle disuguaglianze e della politica, ma anche del mondo economico, e dei movimenti sociali, sono specialit del polo laico, quello dei fenomeni culturali e mediatici un cavallo di battaglia di cattolici e anche dei terzi, che sono forti per soprattutto sulla metodologia; f) ogni componente rivendica pubblicamente (ma in privato la questione si complica, con ammissioni di demerito, e riconoscimenti di primati ad altre componenti) di essere la migliore almeno per qualcosa (ogni componete sceglie il qualcosa che conta sulla base dei suoi punti di forza). Il polo laico che si venuto chiamando MiTo pretende di essere il meglio intellettualmente, ed vero che qui si trova da sempre la sociologia nazionale con maggior riconoscimento internazionale; il polo cattolico pensa di essere il meglio dal punto di vista del signicato etico e spirituale della sua proposta intellettuale (con un impatto internazionale per molto pi limitato, e dalla base metodologica pi precaria) ma anche, credo di poter dire, da quello della sua capacit di raccogliere fondi per fare ricerca e da quello della sua capacit di costruire gruppi stabili, tra cui uno che di fatto organizza il polo cattolico nel suo insieme, cio la SPe10; il terzo un
9 Traggo la distinzione tra scuole di pensiero e scuole di attivit da Gilmore (1987), che riconosce nelle seconde dei raggruppamenti di intellettuali, o artisti, basati non su presunte afnit concettuali o estetiche, ma sulleffettiva condivisione di convenzioni di lavoro e sulla costruzione di reti sociali nalizzate alla realizzazione pratica di progetti. 10 La componente cattolica, organizzata nella c.d. SPe (associazione Sociologia per la Persona) anche lunica a pretendere apertamente, proprio in quanto componente, di

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po pi difcile da qualicare essendo nato per scorporo e per differenza, ed essendosi sviluppato un po in modo contingente mano a mano che nel polo laico si creavano fratture spesso personali, ma sembrerebbe che il suo punto di forza stia nella capacit di mobilitazione e di controllo gerarchico anche senza una organizzazione formale, nonch in una certa predisposizione storica allapprofondimento metodologico. Gli effetti di questa articolazione sono notevoli anche se non sufcientemente compresi, mi pare: stare in una componente non vuol dire solo stare in una certa coda e (spesso) in una certa sede, o anche frequentare di preferenza un certo insieme di colleghi, ma anche pubblicare e quindi leggere certe riviste a scapito di altre, e privilegiare certi temi invece di altri. Soprattutto, signica in linea di principio seguire criteri di rilevanza, norme di presentazione (nella scrittura ad esempio) e persino concezioni di valore intellettuale non solo diversi ma per certi versi incommensurabili, in termini non troppo diversi da quanto si potuto costatare attraverso una dettagliata analisi comparativa della produzione sociologica lungo il conne tra Stati Uniti e Messico (Abend 2006)11: solo che qui la distinzione tra stili di pensiero non segue visibili conni nazionali, ma sono interni alla stessa comunit nazionale, e risultano offuscati dalla informalit delle appartenenze e delle afferenze. La comunicazione scientica tra le componenti ne risulta fortemente menomata, e questo, insisto sul punto, riguarda tutte le componenti (in sostanza: anche il MiTo, cio chi sta nella sua area, perde qualcosa a non leggere mai libri di Franco Angeli
avere un progetto culturale-intellettuale, e una missione da compiere: vedi Gruppo SPe (2007). Questa pretesa morale ed intellettuale condivisa non implica tuttavia omogeneit di vedute n unicit paradigmatica. Sulla gura di Achille Ardig, che ha acquisito una sorta di esistenza mistica entro la componente svolgendo il ruolo di referente del mito fondativo della medesima in quanto organizzazione, vedi almeno Cipolla et al. (2009). Ovviamente la sociologia cattolica ha in Italia radici molto pi profonde, che passano per Luigi Sturzo e giungono a Giuseppe Toniolo, economista e sociologo dellateneo pisano a cavallo tra Otto e Novecento. 11 Mettendo a confronto due campioni di articoli tratti da quattro riviste sociologiche scelti tra le principali in ciascun paese, Abend (2006) ha mostrato come le pretese di verit e scienticit dei sociologi statunitensi e messicani sono fondate su basi epistemologiche alternative, che si manifestano in differenze nel ruolo assegnato alle teorie e ancor prima nella denizione di cosa sia teoria, nel grado di legittimit riconosciuto alla soggettivit e al punto di vista soggettivo, nellimportanza attribuita al principio di neutralit etica. Curiosamente, tra i fattori che Abend analizza per rendere conto di queste differenze non c la diversa base religiosa delle due comunit sociologiche.

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o a consultare Studi di Sociologia o lInternational Review of Sociology, rivista internazionale di sociologia che ha sede e base in Italia, a Roma, ed gestita in gran parte da sociologi italiani pur essendo organo ufciale di un organizzazione internazionale come lInstitute International de Sociologie, la prima organizzazione professionale di sociologi, fondata ne 1893 da Rene Worms e presieduta per anni dal citato Gini che lha lasciata in eredit alla Sapienza). Questo disturbo di comunicazione ha conseguenze di non lieve conto sulla stessa produzione scientica dei sociologi italiani. E non solo perch si perdono a volte pezzi di conoscenza o informazioni. Un primo effetto problematico la segmentazione della produzione scientica secondo logiche che chiamerei eteronome, non generate n spiegate dalloggetto di studio ma riconducibili allappartenenza ad un certo gruppo, a iniziare dalla componente. Tipicamente, chi in Italia studia il tema X (politica, media, sviluppo locale, ecc.) lo fa anche meccanicamente seguendo certi canoni di metodo e certi assunti losoci, quelli invalsi nel suo gruppo di riferimento che coincide con la componente o un suo segmento, a scapito di altri possibili nel senso debole di approcci altri che esistono gi nella letteratura internazionale, non in quello forte di approcci altri perch ancora da inventare. Cos, anche i riferimento teorici maggiori sono spesso distribuiti secondo logiche di componente: Bourdieu va forte nella terza componente e malissimo nel MiTo, dove predominano Boudon o Goldthorpe; Bauman sembra oggi tirare molto tra i cattolici, un tempo fedelissimi di Parsons e poi di Luhmann, ecc. Poich per le componenti non sono scuole di pensiero, qualcuno dei grandi teorici ha successo in pi di una componente come accedeva per Parsons e come adesso per Boltanski (che in quanto cattolico piace a certi cattolici e in quanto sociologo critico piace ad alcuni del MiTo). Paradossalmente, nella distorsione comunicativa, pu accadere che qualcuno pensi di avere inventato qualcosa che altrove gi si dice e si pratica. Con leffetto ridicolo o patetico di presentarsi come un innovatore quando si nel migliore dei casi un non troppo consapevole epigono. E cos passando tra laltro informazioni distorte se non sbagliate ai propri studenti o allievi. E insieme passando, cio facendosi passare (nel senso del passing), per ci che non si , cio come originale teorico sociale. Ma questo non ancora tutto. Un secondo effetto che, associandosi nella mente del sociologo medio il tal tema al tale approccio e anche, bisogna dirlo,

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al tale risultato (cio al tale prodotto nale), ne consegue che ci sono temi che vengono considerati entro ciascuna componente come di serie A (quelli che coltivano) e altri come di serie B o C (quelli che non coltivano); il meccanismo anche di distinzione nel senso di Bourdieu (1979), cio di modi, spesso non consapevoli ma guidati dalla logica del campo, di perseguire strategie di differenziazione e di costruzione della propria identit per differenza da altri, considerati minori o inferiori Quel che peggio, ogni componente ha, o meglio pratica non chiaro sino a che punto credendoci o facendoci i propri standard di eccellenza o merito (basati su altrettanti criteri e metodi di valutazione12), per cui le gerarchie nel gruppo A tipicamente non sono condivise dal gruppo B, studiosi che nella componente A sono considerati scarsi possono essere considerati in quella B validi, e viceversala cosa si applica anche ai vertici, si intende, e quindi la confusione dei meriti investe il centro decisionale di ciascun gruppo. Con effetti delegittimanti facili da immaginare, non solo tra gruppi ma anche allinterno di ciascun gruppo. Detto questo, e rilevate le tante fonti di tensione e anzi di spaccatura, occorre per fare chiarezza. Cosa centra questo con la scienza? Siamo sicuri che queste differenze incidano sulla produzione scientica in termini deleteri? Non occorre, in effetti, che ci sia un gruppo omogeneo perch si dia, perch si faccia scienza. Come ci ricorda Collins, che ha costruito su questa idea unintera teoria del cambiamento intellettuale applicandola a pi di due millenni di storia della losoa occidentale e orientale, la produzione intellettuale e quella scientica non farebbe eccezione presuppone anzi conitto e disaccordo, competizione di idee e visioni, confronto anche aspro tra scuole. I conitti intellettuali sono anche conitti fra interpretazioni del mondo, e fra diverse concezioni del bene. La stessa opposizione alla peer review non di per s segno di carente cultura scientica. Anche in posti molto pi scienticizzati dellItalia (i
12 Cos, la richiesta di introdurre la valutazione peer review secondo standard internazionali avanzata da un sociologo milanese di area MiTo allultima assemblea dei soci AIS, settembre 2010 pu provocare non solo una bocciatura della proposta ma anche un movimento dopinione pi generale contrario allistituto stesso della peer-review (con manifestazioni di dissenso cos argomentate: Montesquieu ha scritto le sue pagine sulla divisione dei poteri che hanno segnato una svolta epocale nella cultura occidentale e del mondo senza passare sotto la peer review).

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famigerati paesi anglosassoni che un candidato alla presidenza AIS di questanno ha pubblicamente bollato, in assemblea, come falsi e imbroglioni) la peer review considerata da tempo strumento non privo di difetti, e ci sono iniziative per eliminarlo o meglio per qualicarlo e ammorbidirlo, o temperarlo con altri criteri13. La stessa rivista Sociologica stata recentemente incensata sul New York Times proprio come esempio di rivista che pur non adottando in modo rigido procedure di peer-review offre per quanto di pi avanzato si possa in termini di dibattito intellettuale. Le critiche alla peer review sono ormai tante quante le dichiarazioni in suo favore. Eppure, la sensazione che non sia per questo, non sia cio con queste motivazioni intellettuali che i sociologi italiani, molti sociologi italiani, disdegnano o cercano di boicottare la peer review, la sensazione che sia per carenza di spirito di confronto e per una dura a morire concezione del lavoro intellettuale come radicato nel solipsismo della cattedra o dello studio, molto forte. Almeno a giudicare dallosservazione di chi sono i principali oppositori di questa procedura, e di chi sono invece i sostenitori. Ma, ripeto, non il conitto come tale ad ostacolare la produzione intellettuale e scientica, quanto il fatto che questo conitto non verta quasi mai sulle idee o sui paradigmi o sui modelli, ma quasi sempre sul controllo di risorse organizzative (i posti) ed economiche (i nanziamenti) e forse gli spazi di esposizione mediatica. Le riviste che come abbiamo detto sono organiche a qualche componente, di fatto quando non ufcialmente non sono che molto raramente sede di dibattito e di confronto, e quando lo sono spesso non fra esponenti di componenti diverse, ma allinterno della medesima componente (normalmente una delle tre, quella diciamo meno strutturata paradigmaticamente e pi lasca anche organizzativamente)14. Dove quindi i sociologi italiani fanno comunit perch a conti fatti io credo che ci sia una comunit sociologica italiana, nel senso di una comunit di pratiche? A me pare che lo facciano nel pensarsi parte integrante di un sistema perverso, cio di un sistema che segue la seguente logica: dato che la socio13 Si veda su questo il simposio organizzato da Sociologica (3/2010) a partire da Lamont (2009), con contributi di sociologi di diversi paesi e specializzazioni disciplinari, inclusa la stessa Lamont. 14 Torna qui a proposito, ancora, il riferimento al dibattito sul libro di Barbagli, citato in altra nota.

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logia in Italia fatta cos e cos, allora ci comportiamo cos e cos per non essere penalizzaticol risultato che alla ne tutti si comportano allo stesso modo cio seguendo una logica che non universalista e non meritocratica (un caso da manuale di quello che Paul DiMaggio e Woody Powell hanno chiamato isomorsmo istituzionale [DiMaggio e Powell 1983]), con danno non di tutti ch questo non possibile dire (qualcuno ha il suo tornaconto, evidentemente), ma della sociologia come disciplina credibile, e quindi danno in termini della sua reputazione, o per usare ancora Bourdieu, del suo capitale simbolico, creando un decit sia rispetto alle altre discipline (scienza politica, economia, e anche storiograa, indubbiamente in Italia pi prestigiose), sia rispetto alle altre sociologie nazionali non a tutte, certo, ma a molte di quelle dei paesi occidentali in cui la sociologia come disciplina nata (Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, persino Paesi Bassi e Scandinavi). Quello che accade allAIS o nella generalit dei concorsi cosa nota: anche se poco edicante e a rischio di offendere qualcuno ricordo che: a) i presidenti dellAIS non sono normalmente le punte avanzate della ricerca n i sociologi pi reputati a livello internazionale (cos ci dicono le pi accreditate fonti che permettono di misurare limpact factor)15; molti di questi ultimi anzi evitano lAIS da tempo o si limitano a frequentare speciche sezioni lasciando cos il campo a chi disposto a fare il lavoro sporco, e che trovano in quel lavoro la propria legittimit (sul concetto di lavoro sporco vedi infra). b) I concorsi non sono che raramente (qualche volta lo sono e sarebbe interessante studiare quando lo sono, come e perch) procedure per la selezione dei migliori ma nella migliore delle ipotesi assegnazione ex post di posti la cui titolarit pre-decisa sulla base di una logica spartitoria, con nessuna seria attenzione a ci che accade nella procedura e spesso distorsioni anche nella valutazione di titoli e pubblicazioni, sino al caso limite della violazione di legge (un concorso per associato nel campo della sociologia politica attualmente sotto processo). Quel che peggio che in qualche caso non si tratta neppure di distorsioni ma di applicazione di standard di valutazione sui generis, invalsi
15 Ringrazio Mario Diani per avermi trasmesso i dati nominativi delle sue ricerche sul punto (cfr. Diani 2008).

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come modi di fare e giudicare comuni e comunemente accettati nella singola componente. Le distorsioni io insisto su questo punto non sono appannaggio di una componente, anche se di certo in alcune componenti sono pi frequenti, ma sono diffuse ovunque nel campo sociologico italiano. Il meccanismo isomorco rende molto difcile sfuggire alla logica istituzionale che venuta perfezionandosi in decenni di applicazione delle norme, e di aggiramento o manipolazione delle norme medesime. Come che sia, dal punto di vista del concorrente a ogni concorso si fa il conto non con gli altri concorrenti iscritti (cercando di essere alla ne il migliore, per titoli pubblicazioni e eventuali esami) ma con i concorrenti delle altre componenti che hanno il loro posto nella loro specica coda, e che possono anche valere la met di te ma se nella loro coda sono in testa e se la loro componente risulta vincitrice nei rapporti di alleanze e/o di forza, allora il posto va allaltro e non a te, non solo con le beffe ma anche col danno perch poi bisogna pur argomentare questa graduatoria e allora dai con aggettivi del tipo non ancora pronto, acerbo, ecc aggettivi che al di l del caso singolo, pi o meno spiacevole, hanno poi leffetto combinato di rendere poco credibili in genere i giudizi che i sociologi si danno lun laltro, anche quando questi giudizi dovrebbero essere alla base della comunit professionale: es. giudizi sul valore di una proposta editoriale, di un articolo sottoposto a peer-review, di un progetto di ricerca, ecc. (non entro nel merito delle ricerche nanziate dal Miur, non essendo mai stato in un panel giudicante non so cosa succede, ma certo dai risultati sembra di poter dire che anche qui vige la logica della spartizione; sono invece stato in panel europei e so per certo che l si valuta a prescindere da posizioni istituzionali acquisite o da criteri di appartenenza). Ci sono dunque tante comunit? S e no s, se si intende per comunit lesistenza generica di un sostrato sociale (e noi c dubbio che in Italia la sociologia non la facciano degli individui ma dei gruppi), no se si intende per comunit un certo tipo di organizzazione sociale diciamo non conittuale e paritaria come la comunit dei pari, ma ancora s se per comunit si intende, alla Tonnies, una comunit che sia di sangue e/o di vicinato e/o di destino politicoanzi, la sociologia italiana si pu dire pecca per eccesso di comunitnon tanto di sangue (bench non manchino casi di trasmissione ereditaria, che sarebbe sociologicamente

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interessante analizzare ma che qui non posso permettermi di fare) quanto di parentela spirituale (comparatico) e vicinatopoca mobilit geograca, solidariet forte in gruppi ristretti e stabili, legami di clientela inclusa quella forma tipicamente accademica di clientela o meglio patronato che la cattedra istituzione che in alcune sedi universitarie e in alcune componenti ancora molto sentita e molto inuente16con tanto di baronati ancora ben radicati (soprattutto in alcune componenti, dove si usa ancora lappellativo professore anche tra colleghi pari grado per designare il boss di turno, normalmente non molto dotato di capitale scientico ma forte di capitale sociale e politico). La cattedra non poi che una istanza di un fenomeno pi generale, e cio lidea che non tanto i posti sici, quanto le posizioni di status, siano delle propriet personali di chi le occupa (una forma come tante di patrimonialismo), e che chi le occupa ha quindi diritto di proteggerle da possibili sde da parte di altrida qui la scelta di colleghi non competitivi da parte di coloro che hanno posizioni di status elevato e che hanno, e nella misura in cui ce lhanno, potere di reclutamento. Questo comprensibile, e potenzialmente diffuso ovunque, ma in altri sistemi (non solo americano o inglese) controbilanciato da un altro interesse, quello di essere, di fare ricerca, di insegnare in una organizzazione prestigiosa. Il prestigio dellistituzione si riette infatti in quello individuale, e il singolo ha interesse a reclutare studiosi stimati. Questo accade, si badi, anche in Italia: ma funziona solo quando il boss davvero uno studioso altamente stimato, consapevole della propria fama, e non timoroso di essere fatto fuori dal primo contendente. Quanti sociologi ci sono in Italia che si sentono in questa condizione? Che si sentono cio cos forti della propria scienza e reputazione da potersi permettere il lusso di allievi molto bravi e colleghi (di dipartimento ad esempio) di prima grandezza? Risultato: ogni piccolo boss si circonda di medie personalit scientiche, che a loro volta si circondano, per lo stesso meccanismo, di personalit a loro inferiore, cio mediocrisino allultimo. Quanti ultimi di questo tipo ci siano in giro nelle la dei sociologi italiani, studiosi senza arte n parte,
16 Queste forme di patrimonialismo accademico ovviamente non sono circoscritte al campo sociologico, come ben documentano tra gli altri Simone (2000) e Perrotti (2007).

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che non sanno e non leggono, che non scrivono e se scrivono si sarebbe desiderato non lo facessero, persino pericolosi come docenti per la loro ignoranza, non so e non voglio sapere. Temo non pochiin qualche caso, e questo pi grave, qualcuno di questi che sarebbero ultimi scienticamente (oggetto di scherno tra colleghi, persino tra allievi, spessissimo tra lettori delle loro cose) sono per in posizione di controllocon effetti sulla selezione e il reclutamento che non si fatica a intuire. Everett Hughes, il sociologo americano citato in apertura, allievo di Robert E. Park e maestro tra gli altri di Howard S. Becker e di Erving Goffman, ha elaborato in un articolo celebre la nozione di lavoro sporco, connettendolo a quello di brava gente (cfr. Hughes 2010, 97-110): lavoro sporco quel lavoro che la brava gente, la gente comune, perbene o che si crede e si vede tale, non vuole fare, ma che ha interesse che altri faccia, su preciso mandato non sempre esplicitato a dire il vero. Credo che questa coppia di concetti possa applicarsi con protto al nostro caso: come spesso accaduto nella storia (Hughes fa lesempio estremo delle SS naziste, ma abile nel mostrare i tanti nessi che portavano da questa setta radicale al mondo sociale della gente comune, della gente per bene, della brava gente) il lavoro sporco stato delegato dai bravi sociologi a soggetti che ne hanno poi approttato, e si sono sentiti investiti di una missione oltre che di un potere di controllo. Finendo per controllare coloro che gli avevano concesso la licenza. Ma il punto che Hughes evidenzia che anche la brava gente corresponsabile del male fatto da chi fa il lavoro sporco. Una delle domande che Hughes pone : come si reclutano i candidati per questi lavori sporchi? Io prendo spunto da questa domanda per chiedere se in sociologia, in quella italiana, non si sia creata una particolare condizione per cui chi disposto a fare il lavoro sporco ha trovato in questa disciplina unapertura insolita, e un terreno insolitamente fertile di coltura, e di sviluppo della sua perversione. 3. La credibilit scientica della sociologia in Italia Questo ci sospinge con forza al punto 2) quello dello statuto intellettuale, e in particolare della scienticit della sociologia italiana. Io non sono uno che crede nella scienza con la S

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maiuscola, non credo che la sociologia potr mai essere quella scienza dura che alcuni vagheggiano, e neppure mi dispiaccio per questo limite (non mi trovo male in una disciplina terza fra scienza e letteratura, come ha scritto Wolfgang Lepenies [2000] in un bel libro di qualche anno fa che dovremmo periodicamente rileggere), ma questo non vuol dire che non pensi (come non pensa certamente Lepenies e molti altri che non pensano alla sociologia come Scienza) che ci siano modi e modi di praticare questa scienza debole, alcuni pi sensati e fondati di altri, modi soprattutto pi controllati e controllabili, e anche per questo pi in linea con alcuni degli standard acquisiti nella comunit internazionale, e in particolare quella che opera nei comparti pi consolidati e stimati e che fanno la storia della disciplina (che per quel che io vedo sono quasi sempre, oggi, negli Stati Uniti e in alcune universit americane in particolare, senza con ci negare che anche altrove in alcuni momenti e luoghi si siano fatte buone cose e si possa ancora fare ottima ricercaes. a Parigi, a Manchester, a Oxford, ma anche a Rotterdam o a Barcellona). In Italia si a lungo dibattuto sulla scienticit dei metodi qualitativi. Si pensi a quanto inchiostro si sparso e quante parole si sono detteper arrivare alla conclusione, ma dopo un bel po, che si pu fare ricerca ottima anche senza modelli loglineari o tavole di mobilit. Pensate se invece di tutti quei dibattiti e di quelle opposizioni, che nascevano spesso da una vecchia formazione (magari oltre oceano) non pi aggiornata e altrettanto spesso dalla difesa delle proprie competenze acquisite, si fosse fatta ricerca, si fossero messi allopera gli strumenti di ricerca di cui tanto si discuteva politicamentePoi a un certo punto scoppiata la moda delletnograa, e tutti a fare etnograa come se questa tecnica molto speciale fosse alla portata di tutti. In breve, leffetto moda in Italia molto accentuato: i temi, i metodi, i riferimenti teorici, si scelgono spesso perch cos fan tutti. Abbiamo centinaia di tesi di dottorato su fenomeni migratori, tutte uguali o quasi, di portata limitata, iperdescrittive, senza alcuna pretesa di portare contributi originalie intanto nessun sociologo che studia seriamente istituzioni cruciali come la televisione, gli asili e le scuole elementari, e aggiungo (so che qualcuno rider) i festival di Sanremo. Anche i teorici di grido si trovano spesso intrappolati in questo schema: pu mancare Bauman nei riferimenti bibliograci di un libro o di una tesi

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uscita dal giro dei cattolici? Pu mancare Boudon in una tesi fatta a Torino? Peccato che Boudon sia uno studioso di sicuro valore ma anche molto provinciale, che non ha mai avuto un impatto signicativo nel mondo angloamericano, e che rimasto ovunque un fenomeno di nicchia, tranne che in Italiacol risultato che molte delle cose fatte in Italia negli anni Ottanta e Novanta invece di confrontarsi con temi e questioni allordine del giorno nella letteratura che pi conta, insistono a discutere questioni e le risolvono con strumenti concettuali che non hanno circolazione altrove, rendendo difcile la circolazione degli studi fatti in Italia. Non dico che non si possono e anzi non si debbano leggere e anche tradurre autori minori o comunque che non segnano il dibattito, anzi, ma questo non deve avvenire a scapito di autori pi inuenti. Eppure, in Italia si continuato a leggere e tradurre Boudon quando da un pezzo negli Usa e in Gran Bretagna si leggeva e traduceva Bourdieu, che di Boudon per molti versi lantitesi (cfr. Santoro 2009). Si pensi ancora, visto che ho citato Bourdieu, ad un concetto come quello di capitale sociale: a un certo punto labbiamo scoperto (tramite Putnam prima che Coleman, non certo tramite Bourdieu che pure laveva concepito e usato prima di entrambi) e tutto diventato capitale sociale. Che ci fosse anche un capitale culturale nessuno era interessato a saperlo. Per la network analysis, che lo strumento analitico che davvero pu rendere quel concetto operativo, (quasi) nessuno la studia, (quasi) nessuno la pratica (nemmeno quelli ce dicono di farlo); peraltro, la matematica tra i sociologi italiani merce rarissima, come ben sanno i pochissimi sociologi matematici, a cui difcilmente si aprono le pagine delle riviste italiane (anche della RIS, temo). Come si spiega questo fenomeno di moda? Vari meccanismi sono allopera: uno la logica della cattedra (si studia quel che studia il capo e nel modo in cui lo fa il capo), un altro la riduzione di complessit (facile riferirsi a due o tre concetti/ autori di riferimento invece che andare a cercarsi i concetti e i teorici che pi si attagliano ai nostri interessi di ricerca), un altro la ridotta comunicazione tra studiosi di cui si detto e anzi il formarsi di nicchie protette dove tutti fanno la stessa cosa e non si rischiano incomprensioni n solitudinie poi perch la moda non che la conseguenza della mancanza di originalit e di idee. Che il vero problema. Non infatti tanto la pervasivit di fenomeni di moda intellettuale espressione

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di quella che chiamerei leteronomia della ricerca italiana la conseguenza peggiore dellorganizzazione sociale della disciplina nel nostro paese. Effetto maggiore e per me pi temibile che questa organizzazione sociale non offre condizioni favorevoli alla creativit intellettuale, che implica impegno e investimento, e che presuppone non solo talento ma anche un ambiente che consenta al talento di emergere, di coltivarsi e di riprodursi. Intanto ci sono dubbi che i talenti in Italia (ma forse anche altrove: cfr. ad esempio Halliday 1992, 21-22) scelgano la sociologia. Ma ammettiamo che la scelgano e che ci sia nella sociologia talento come in altre discipline e in misura tale da fare massa critica. A quel punto cosa succede? Non ci sono standard condivisi, non ci sono garanzie di nessun genere che lavorare bene, scrivere bei libri, pubblicare articoli solidi in riviste prestigiose, verr premiato, non ci sono incentivi allo sviluppo del senso critico e della originalit. Anzi, ci sono disincentivi. I maestri, quando ci sono, si sentono non come i pari (come avviene nelle comunit scientiche che funzionano) ma come dei superiori, e quando non si sentono tali nel loro intimo, per non sentirsi da meno dei loro colleghi o di quello che credono i loro colleghi siano fanno la parte dei superiori, agendo in modo da mettere al proprio posto gli allieviche spesso sono prescelti per la loro disponibilit a farsi mettere a posto (in tutti i sensi). Quando lallievo critica il maestro, o agisce in modo indipendente dal maestro, scattano le sanzioni: conosciamo tutti casi di allievi che sono stati puniti, pur meritevoli, con mancate vittorie concorsuali, o con ostruzionismi di vario genere (il repertorio ampio), incluso un certo terrorismo sociologico. Ora queste cose non che non ci siano anche altrove, ma in Italia ci sono in una misura tale da farne non deviazioni rispetto ad una norma ma la norma. Il meccanismo mentale della cattedra e della deferenza accademica dominante, e si insinua per anche in un contesto come detto non di grandi e reputati studiosi che possono persino stimolare la discussione interna ma di piccoli e medi accademici che non possono permettersi la critica pena il crollo del loro piccolissimo impero. Si insinua, come dir, anche in un contesto spaziale, territoriale, circoscritto, con poche possibilit di fuga, e come tale eccezionalmente vincolante. Insomma, in questa comunit che poi un campo di battaglia su cui si esercitano e si confrontano segmenti (componenti) in competizione non per il diritto di dire la verit,

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come dice Bourdieu, e neppure per la legittimazione di teorie e idee (Lamont 1987; Collins 1999), ma pressoch solo per il controllo delle posizioni di potere in termini di posti e di accesso a risorse nanziarie e aggiungo a questo punto di esposizione mediatica, a rimetterci proprio lo studioso che insegue e persegue la ricerca come vocazione, che ha scelto di essere sociologo per la sociologia, e che non della sociologia ma per la sociologia vive. In questo campo cos strutturato, diviso in consorterie accademiche prive di sostanziali basi culturaliintellettuali, consorterie che di fatto controllano la gestione dei posti e quindi il reclutamento, non si stimola la competizione tra progetti o programmi intellettuali, n loriginalit, n lo scambio di idee. Anzi, in un certo senso la si frena, la si condiziona, la si riduce a farsa, o nella migliore delle ipotesi a occasione per battaglie di altro genere. Troppa gerarchia troppo legata a posizioni acquisite che spesso valgono pi per il tempo trascorso (effetto anzianit) che per il merito. Distinzioni nettissime non tra idee e produzione intellettuale, cio tra diversi livelli di qualit ed eccellenza in materia di idee e ricerca, ma tra posizioni accademiche di tipo burocratico (I fascia, II fascia, III fascia, confermati e non confermati, assegnisti, precari vari). Sostenere, come pure qualcuno ha fatto17, che le componenti sono equivalenti funzionali del sistema dei partiti, che siano quindi cinghia di trasmissione tra una presunta base ed una lite, che aiutino e garantiscano laccesso democratico alla produzione intellettuale, signica travisare il signicato che la democrazia pu avere nel campo scientico. La scienza non democratica, e le risorse non si distribuiscono a pioggia: il campo scientico fortemente gerarchizzato, segnato da marcate disuguaglianze, da una distribuzione delle risorse piramidale: non solo le risorse economiche, ma anche quelle simboliche: il riconoscimento per denizione limitato, e il suo valore tanto pi elevato quanto pi raro. Limportanza del riconoscimento, dello status, del prestigio, come fattori motivazionale nel campo scientico stato accertato da tempo, non solo in studi sul funzionamento del mercato accademico (Caplow e McGee 1958) ma anche in quelli sul funzionamento delle comunit scientiche
17 Cos lamico Paolo Volont, intervenendo nel forum, avviato da Guido Martinotti nel febbraio 2010 sul portale del sito della Treccani, appunto sul tema della scomparsa della sociologia in Italia.

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(cfr. Hagstrom 1975). Il particolare, il principio del dono stato identicato da Hagstrom come cruciale nel gioco delle relazioni che costituiscono le comunit scientiche: dono di articoli alle riviste, dono di estratti e di libri ai colleghi, doni dei risultati delle proprie ricerche alla comunit circostante, al pubblico. Che ricambia(no) con il riconoscimento. Ma cosa c di pi lontano da questa donazione de proprio tempo, del proprio lavoro e del proprio sapere del sistema di scambi, di alleanze strategiche, di mercanteggiamenti, che governa le relazioni tra le componenti, e allinterno delle componenti, spesso, i rapporti tra i singoli capi locali? Si badi, anche il dono una forma di scambio, anche il dono instaura rapporti di potere (Bourdieu [1995] sul punto molto esplicito), ma il dono funziona appunto come dono nel momento in cui questo rapporto di potere viene eufemizzato, viene mascherato, non viene affermato come tale, e si ha quindi la sensazione che importante in quanto fondatrice di solidariet non autoritative di partecipare da pari ad un gioco che trascende i singoli, e i loro personali interessi, contribuendo alla produzione del sapere, e quindi di un bene pubblico. 4. Una crisi che importa superare Come rimediare alla situazione critica sopra tratteggiata che nasce da peculiarit insieme organizzative e culturali, e da una storia complessa che ancora fa sentire i suoi effetti senza ricorrere alle tradizionali opzioni individuali di exit (lasciare lItalia, o lasciare la disciplina)? Una possibile strada che io vedo valorizzare davvero la nostra storia intellettuale, la nostra tradizione, il nostro contributo specico alla disciplina, studiando quindi seriamente e possibilmente usando nella ricerca i vari Pareto, Mosca, Ferrero, Gramsci, persino Gini, e proporsi allestero anche come eredi di questi studiosi anche, ho detto e sottolineo, perch sarebbe deleterio pensarsi solo come eredi di padri fondatori (vale sempre la pena ricordarsi del motto di Alfred Whitehead: una scienza che non sa dimenticare i propri padri, ecc.); e studiare anche istituzioni, oggetti, temi della storia italiana, che in nostra latitanza vengono studiati intanto procuamente (saccheggiati?) dai sociologi americani e fatte oggetto di studi anche celebri che in Italia a volte neppure vengono letti (penso ad esempio

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ai lavori di John Padgett sulla Firenze rinascimentale, ma altri esempi potrebbero farsi). Unaltra strada, non incompatibile con la prima, incoraggiare a fare ricerca metodica, seria, su cose, su oggetti concreti, su problemi sociali specici, e non a teorizzare per il gusto di teorizzare (senza averne necessariamente il talento): pochi lo sanno fare e il rischio quello di avere articoli e libri inutili oltre che brutti. In Italia a detta di molti, e io tra questi si teorizza moltissimo, con risultati meno che mediocri, per lo pi, e comprensibilmente visto che la teoria non certo appannaggio di tutti. Una terza strada che quella presa dalla rivista Sociologica. Italian Journal of Sociology online, fondata nel 2007 su iniziativa di un gruppo di sociologi di 35-45 anni privi di forti legami di scuola e/o componente, ma con un signicativo orientamento cosmopolita valorizzare la posizione strategica dellItalia nel campo intellettuale globale: con la sua collocazione mediterranea, con la sua vicinanza alla Francia da un lato e alla Germania dallaltro, con la sua storia di relazioni culturali con luna e con laltra, con la sua appartenenza storica al mondo occidentale sotto legemonia americana, con la sua storia di migrazioni intellettuali (si pensi a Gino Germani, che molti considerano il fondatore della sociologia argentina), la sociologia italiana ha le risorse per fungere da cerniera, e insieme da laboratorio, per la fondazione di una autentica sociologia globale. Si tratta qui di lavorare per la sprovincializzazione della sociologia italiana contribuendo al contempo alla provincializzazione, cio alla maturazione di una sua presa di coscienza di essere essa stessa provincia in una economia culturale ormai globale, di quella anglo-americana (cfr. Burawoy 2005), puntando sulla costruzione di una rete di scambi e confronti intellettuali tra paesi e tradizioni nazionali e/o (sub)continentali18. Ci sono poi strade pi difcoltose da percorrere, ma comunque praticabili e da incoraggiare, anche perch da queste strade che in ogni caso dovremo passare per conseguire quella

18 Tra le altre innovazioni istituzionali che vanno in questo senso vorrei qui citare almeno la fondazione, nel 2008, di STS-Italia, associazione che riunisce gli ormai anche in Italia numerosi studiosi di scienza e tecnologia, e che pubblica tra laltro, dal 2010, la rivista Tecnoscienza. Se avessi spazio, mi soffermerei sul carattere di effettiva novit che questa organizzazione riveste, in termini di indifferenza alle componenti e internazionalizzazione delle sue attivit, in una situazione di sostanziale indipendenza istituzionale e nanziaria dal sistema accademico.

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normalit che propria di ogni comunit scientica realmente funzionante: selezionare nei concorsi giovani studiosi e quindi futuri colleghi che non abbiano come merito principale quello di essere ossequiosi e disponibili (quante strutture della personalit di questo tipo vediamo tra i sociologi italiani!) ma che siano interessati, anche contro il proprio interesse di carriera, e a costo quindi di rompere con il maestro o boss di turno, alla ricerca e allo scambio di idee (al di l degli steccati articiali) e allinnovazione questo vuol dire, dal punto di vista di chi ha gi acquisito status professionale, non avere a disposizione portaborse, vero, ma vuol dire anche avere colleghi interessanti, stimolanti, e che lasciano ben sperare per il futuro della disciplina; non accettare, e quindi ostacolare e, se ci sono le condizioni, anche denunciare, pratiche concorsuali che non solo ledono il senso di giustizia se non proprio la legalit, ma anche il senso del nostro lavoro, di quel che facciamo come sociologipremiare gente brava vuol dire selezionare bravi e interessanti interlocutori nei nostri dipartimenti e tra i nostri lettori e tra i nostri colleghi di ricerca, che contribuiscono allaumento del prestigio dei dipartimenti o delle facolt in cui operiamo e della disciplina in cui lavoriamo e che rappresentiamo, e quindi al nostro prestigio in quanto membri di quel dipartimento, di quella facolt e di quella disciplina; delegittimare le componenti, svuotarle di senso, mostrare indifferenza alle sue logiche, contrastarle quando ci vengono imposte o anche solo proposte, denunciarle nei suoi effetti perversi e nelle sue forme devianti, anche a costo di scatenare un conitto intra-professionale; questo probabilmente vuol dire ripensare radicalmente lAssociazione attuale, o vuol dire organizzarne una nuova ponendosi in posizione competitiva con quella vecchia e per molti versi malata. Non una cosa impossibile, anzi ci sono precedenti: accaduto tra gli antropologi nostrani, che oggi hanno due associazioni professionali, ma accaduto qualcosa di simile negli Stati Uniti nel 1935: in quel caso, a dire il vero, non si trattato di fare una nuova associazione (lASA nata in realt ai primi del Novecento, anche se con altro nome), ma una nuova rivista ufciale (lASR) che facesse concorrenza alla vecchia (che era lAJS) e spezzasse il monopolio professionale/ disciplinare di Chicago (su questo conitto vedi Lengermann 1979). Personalmente direi anche: fare una nuova associazione

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non con pezzi della vecchia, che evidentemente hanno accettato questo sfacelo e hanno pi o meno direttamente contribuito a produrlo, ma valorizzare al massimo chi si tenuto fuori e non ha scambi o favori pregressi da onorare. Belle parole, belle cose, dir qualcuno, ma come realizzarle? Ecco il mio appello, il mio invito, il mio suggerimento: il pi importante di tutti, quello con cui voglio concludere questo mio articolo-intervento. linvito ad avere coraggio di agire anche scontrandosi duramente con colleghi affezionati al presente e di fatto attratti da questa incredibile corrente suicidogena che sta segnando la sociologia in Italia. Il coraggio la premessa di quella che io vedo come la sola condizione per uscire da questa situazione critica: lintransigenza. Faccio dunque mio lappello appassionato lanciato quattro decenni fa da Alessandro Pizzorno (recentemente ripreso con altri ni da Rositi [2010]) per un pensiero scientico intransigente, che lungi dallessere naturale a una scienza cos aperta, e curiosa e proteiforme e inerme, come la sociologia, come scrive ottimisticamente Rositi, al contrario lorizzonte culturale, e perci articiale e sempre precario, e sempre bisognoso di nuova linfa vitale, e di difesa, entro cui dobbiamo sforzarci di agire:
sappiamo di aver bisogno di una indagine che deve essere portata avanti con intransigenza, anche quando avversari, o compagni, si interrompono, e ogni uditorio concreto, storicamente determinato, appare mancare, e resta solo la speranza, senza prova, in un ideale uditorio universalmente umano (Pizzorno 1972, xx).

Alla speranza di questo uditorio ideale e universale, speranza che temo non sia oggi cos diffusa e solida come forse era negli anni in cui sono state scritte e ancor prima pronunciate queste parole, si pu ancora fare afdamento a patto che la si integri e sostenga con quello che chiamerei il coraggio dellintransigenza. La sociologia fatta da uomini e donne in carne ed ossa, da persone capaci di riessivit e di scelta, seppure entro certi vincoli da loro non necessariamente scelti. E sono le persone che fanno la sociologia come ogni altro fenomeno sociale (in effetti, non c bisogno di aderire a qualche associazione di sociologi cattolici per accettare questa idea, iscritta in gran parte della tradizione sociologica). Le personalit non possono dunque essere indifferenti allo sguardo sociologico. Non per

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niente Weber ha identicato nel carisma una delle forze motrici della storia. Di carisma nella sociologia italiana, tra i sociologi italiani, se ne vede poco, mi pare (meno che in altre discipline, per lo meno). Ma il carisma come dote eccezionale del singolo non esaurisce il concetto. C anche un carisma istituzionale, un carisma collettivo, di gruppo che non solo quello della Chiesa. W.E.B. Du Bois, grande sociologo nero negato a lungo dai sociologi bianchi americani (ma non da Weber, che lo aveva conosciuto e lo stimava e lo segnalava allattenzione dei sociologi tedeschi che credevano nella disuguaglianza delle razze e nellinferiorit naturale dei neri) identicava in un Talented Tenth, in un decimo talentuoso, la forza sociale cui delegare il lavoro per lemancipazione della comunit nera (Du Bois 2010). Una tipica espressione di elitismo, si dir, da parte del solito pensatore radicale pronto ad abbracciare, come in effetti Du Bois far, il marxismo di ispirazione leninista. Ma sarebbe curioso che proprio noi sociologi italiani ci scoprissimo cos restii e recalcitranti a riconoscere limportanza delle lites nella storia non solo politica ma anche intellettuale proprio noi, naturali allievi se non tardi epigoni di Pareto, Mosca, Michels, Gramsci, e persino Gini. Poco importa che abbiamo cercato di spazzare via il ricordo e il magistero di questi maestri, dimenticandoci presto di loro e consegnandone leredit spirituale agli storici del pensiero e ai loso politici. Lelitismo non solo nella nostra tradizione culturale, ma anche ci per cui la sociologia italiana ricordata nel mondo (cfr. Levine 1995). Soprattutto, lelitismo parte integrante della scienza come ideale regolativo e istituzionale, ci cui la nostra sociologia dichiara a viva voce di ispirarsi, non solo nel campo laico ma anche in quello cattolico. Negare lelitismo in nome della scienza, e soprattutto della sua presunta democraticit, come pure qualche volta qualcuno fa, non ci porta molto lontano. Come gi accennato, la scienza non affatto democratica nel suo funzionamento interno, anche se lo nelle modalit di comunicazione e trasmissione dei saperi. La scienza unistituzione democratica ma in un senso molto limitato, e cio nel senso che tutti, a prescindere dalle loro condizioni sociali di esistenza ma non del loro merito, possono contribuirvi e riceverne tutti gli onori e i meriti del caso. Ma appunto per questo la scienza meno democratica che meritocratica, per sua natura gerarchica e gerarchizzante: ci sono i grandi e i mediocri, ci sono gli

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innovatori e i seguaci, ci sono coloro che restano nella storia e quelli di cui non ci si accorge, scienticamente parlando, neppure in vita. a un necessariamente limitato nucleo di eletti, trasversali rispetto al sistema delle tre componenti, consapevoli e eri della propria vocazione e dellimportanza della propria disciplina e professione, con un riconoscimento intellettuale da parte di altri eletti non solo locali, e collocati strategicamente nel sistema globale della disciplina, che io afdo a questo punto, al punto a cui siamo arrivati, il compito per nulla semplice di tentare luscita da questa situazione di emergenza critica che sta seriamente minando non solo la reputazione della sociologia italiana allestero e nel nostro paese, specie fuori dalla disciplina, ma anche la struttura delle motivazioni di molti sociologi italiani che nel loro paese lavorano, per scelta o per necessit. al loro eroismo, oltre che alla loro intelligenza, che mi appello. Ma anche e soprattutto al loro coraggio e alla loro, questa soprattutto, intransigenza, che mi afdo. Richiamarsi a pochi eletti per una rifondazione della sociologia italiana non signica ovviamente non riconoscere alcun ruolo agli altri, che sono poi per denizione la grande maggioranza: da tutti noi, dal nostro quotidiano sospetto e sdegno per pratiche poco consone alla nostra professione (o vocazione), dalla nostra vigilanza rispetto a ci che viene fatto nelle commissioni concorsuali e in ogni altro luogo dove si decidono ingressi avanzamenti e riconoscimenti, dal nostro non dare per scontato ma rimettere in discussione condotte e modelli di azione poco funzionali al benessere di quella comunit di ricercatori che dovrebbe costituire il principale se non unico gruppo di riferimento del sociologo in quanto scienziato o uomo (o donna) di conoscenza, condotte e modelli da sin troppo tempo invalsi e ormai istituzionalizzatisi, come tali sottratti al nostro pensiero critico e quindi accettati in modo automatico, che dipender il successo di qualunque iniziativa di rifondazione, e con questo il futuro della nostra (e nostra anche perch operante e radicata in questo angolo di mondo) disciplina e professione. Lincentivo per mettere in atto simili condotte virtuose non va cercato molto lontano, ed anzi gi con noi: nella scommessa di un ambiente di lavoro pi confortevole e stimolante, in cui condividere pratiche e risultati di ricerca con colleghi che si stimano e il cui giudizio intellettuale conti, e da cui possiamo aspettarci di imparare sempre qualcosa. Che ci che il tropo di una comunit scientica neanche troppo implicitamente sottende.

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COMMENTI ARNALDO BAGNASCO La crisi della sociologia italiana avvertita da tempo dai sociologi, ma oggi in modo pi pressante. Sono stati attacchi dallesterno a dare una accelerata. Con due tipi di reazioni: di difesa nei confronti di pregiudizi o incomprensioni del lavoro dei sociologi; al tempo stesso, di maggiore consapevolezza delle proprie debolezze, e del fatto che venuto davvero il momento di fare i conti in casa: dobbiamo ccarci bene in testa che nessuno ci far pi sconti o aperture di credito senza nuovi riscontri sulla qualit di quanto facciamo. necessario vagliare e combinare le due reazioni: molto buon lavoro stato fatto, ma vero che le promesse di conoscenza e di buona amministrazione del campo disciplinare non sono state mantenute come si sarebbe potuto e dovuto. Questa la prospettiva assunta da molti intervenuti nella discussione degli ultimi mesi. Una attenzione particolare meritano le posizioni dei giovani, fra i quali comprendo una generazione intermedia: evidente che nella vicenda delle reazioni di oggi presente anche una questione generazionale, dalle molte sfumature; liniziativa dei giovani per spingere verso luscita dalla crisi dunque decisiva, e va sostenuta con apertura di credito e generosit, perch in modi diversi comporta per loro rischi, e perch se no ad oggi i sociologi delle generazioni precedenti non sono riusciti, quando ci hanno provato, a migliorare lo stato di cose, non ci riusciranno oggi loro da soli. Marco Santoro, che fa parte di una generazione intermedia, con un posto di rilievo in questa per capacit professionale, ci propone una tavola di discussione bene organizzata, che attira lattenzione su molti temi effettivamente importanti, per se stessi e per i loro intrecci. Dato il poco spazio, elenco solo qualche reazione alla lettura. Lascio a chi legge di provare a vedere come quanto dico si riverbera sulle quattro domande che strutturano larticolo. La mappa proposta di magagne, di loro radici e ramicazioni, purtroppo in gran parte attendibile: richiama tutti al rigore e a farsene carico. Le mie osservazioni sono dal lato di possibili punti sui quali fare leva, e fa bene Santoro a sottolineare che questo rende necessario riettere su cosa possa essere qualit sociologica, che si tratta di ricominciare da qui. Comincer guardando la sociologia dallesterno. Osservare questioni e pratiche lungo le frontiere serve per capire bene le nostre, interne responsabilit, come anche nostre possibilit. Ha ragione Santoro: latteggiamento di fondo deve essere di non andare in cerca di autoassoluzioni evocando condizioni esterne; queste, tuttavia, non vanno neppure espunte: semplicemente dobbiamo trovare loro un posto. Per fare un esempio: vero che non dobbiamo caricare la crisi su una debolezza

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epistemologica della disciplina; se debolezza epistemologica c, questo dovrebbe valere per ogni campo nazionale; ma forse proprio cos: non si discute altrove sulla sociologia che veramente conta o sulla sua funzione pubblica? Non si tentano tipologie per trovare la legittimit di generi diversi di sociologia? Non hanno difcolt i dipartimenti di sociologia in giro per il mondo? Naturalmente ci si deve poi chiedere se da noi le cose non vadano peggio: sarebbe per pi facile discutere sulla nostra debolezza differenziale se ci confrontassimo con un ambiente scientico generale pi consolidato. Comunque sia, utile partecipare a questa discussione internazionale. Qui per vorrei parlare del rapporto con altri campi disciplinari. Parto dallosservazione banale (da vericare) che noi sociologi siamo citati da economisti, scienziati politici, antropologi, loso o storici meno di quanto noi citiamo loro nei nostri lavori. Naturalmente questa pu essere una conferma della nostra debolezza: si vede che gli altri non trovano granch di interessante e afdabile, cos come i sociologi trovano invece allesterno sostegni ai quali aggrapparsi. In parte, le cose stanno in effetti cos; ma questa appunto solo una parte, forse minore, della storia, ed un fatto che ci sono settori della sociologia pi e meno toccati dallo scambio ineguale. Il punto che la questione ha a che fare anche con la natura, la storia, il percorso performativo della sociologia in confronto ad altri campi disciplinari. Ha a che fare con la prima, e pi evidente nostra specicit. La sociologia compare sulla scena con pretese ciclopiche: fondare una scienza della societ (Comte, Marx). Impresa impossibile, tanto pi che, allepoca, scienze sociali specializzate occupavano gi il campo (leconomia, per cominciare) e questo sempre pi avverr successivamente. Che fare allora della sociologia? Non essendo possibile una scienza unica, si n per coltivare una scienza generale della societ, vale a dire delle relazioni e interazioni sociali in generale. In altre parole: rester ai molti rivoli della sociologia lidea che sia possibile fare il mestiere in apparenza un po equivoco, ma in sostanza prezioso, di gettare ponti fra chi ha scelto di separare e coltivare un suo campo analitico ristretto; di criticare i modelli sviluppati da altri, cercando di introdurre in questi maggiore spessore sociale, per cos dire; di provare a costruire paradigmi sintetici capaci di fare ordine e permettere di confrontarsi. Le difcolt e le promesse teoriche della sociologia si trovano in queste mosse con cui ha provato ad accreditarsi. In condizioni del genere non si pu scherzare, non ammesso niente che possa anche da lontano somigliare a disinvoltura: da sempre siamo sorvegliati a vista. poi anche vero che ci sono modi diversi per percorrere la strada. Se le cose stanno grosso modo cos, diventa allora chiaro che frequentare oltre il conne disciplinare naturale, anzi necessario per il ricercatore sociale che provi a fare il suo mestiere, e che lopportunit o la scelta di questa pratica questo la ragione per cui ne parlo

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una parte rilevante (nascosta) della spiegazione della presenza di settori o ambienti che con pi facilit sono riusciti a mantenere certi standard professionali e, al contrario di quanto a prima vista potrebbe apparire, anche ad avere idee pi chiare sulla propria identit. I sociologi sanno bene, dai tempi di Simmel, che lesperienza del diverso nella citt induce un acuto senso della propria individualit. Il corollario di quanto detto dunque che un criterio importante per riconoscere e coltivare buona sociologia starebbe nella capacit di farsi ascoltare e nella pratica di interazione con chi lavora in altri campi disciplinari (ci che qualcosa di pi di semplice accumulazione di capitale simbolico, per usare lespressione di un autore caro a Santoro). Non posso sviluppare questa ipotesi, ma mi sento di sostenerla suggerendo di guardare alla sociologia economica. Non perch sia un campo nel quale ravvisare particolari qualit o meriti, ma semplicemente perch un po lo conosco. Molta ricerca su economia e societ stata fatta confrontandosi criticamente con economisti, assumendo loro conclusioni e aggiungendo le nostre, con linguaggi elaborati in modo da intendersi, magari facendo ricerca insieme. La continua interazione con economisti, politologi, giuristi, storici stato il progetto di una rivista come Stato e Mercato, un progetto tenuto insieme, possiamo dirlo, dai sociologi. Il terreno che lo ha reso possibile la new political economy comparata, che propriamente non o non solo sociologia economica; ma praticandola, si tornati anche a riettere sullo specico di questa: il volume di Carlo Trigilia dedicato a storia e sistematica della sociologia economica, nato in quel contesto, stato tradotto in inglese e francese. Non con tutte le specie di economisti siamo riusciti a parlare, e ha ragione Antonio Mutti quando dice che dobbiamo ora capire bene altre tendenze teoriche, appropriarci di pi dei loro strumenti tecnici, se vorremo entrare in discussione; le difcolt tecniche maggiori si presenteranno per la sociologia della nanza, ma il lavoro pu continuare. Ho limpressione che la sociologia economica abbia mantenuto standard internazionali non trascurabili, insieme a un certo controllo della selezione di professionalit interna, e penso che questo sia dovuto allaver praticato la vocazione della sociologia che dicevo. Voglio per accennare almeno solo a un altro esempio di sociologia secondo la vocazione, fuori dalla sociologia economica, che raggiunge risultati di ottima qualit. Lo si trova in libreria in questi giorni, nel volume degli Annali Feltrinelli coordinato da Pizzorno. il bel saggio della sociologa del diritto Maria Rosaria Ferrarese che presenta un paradigma per la denizione e lanalisi della governance, concetto sfuggente e spesso usato in modo solo allusivo. Nel paradigma sono riprese, criticate e sistematizzate denizioni, linee di ricerca, problemi aperti, conoscenze acquisite, che derivano dalla lettura incrociata del lavoro di molte discipline. Ho il sospetto che solo un sociologo poteva accettare,

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con successo, la sda di un tale paradigma, essendo riconosciuto un interlocutore attendibile. Se poi vogliamo sostenere la vocazione di cui si detto nella prospettiva della teoria sociologica: di fronte ai rischi di oggi e ai limiti della scienza diventata problema, non il sociologo Beck a segnalare la necessit di specialisti della connessione, in grado di garantire controlli e spazi di autocorrezione, una attivit in cui facile vedere in prima linea sociologi? E non rispecchia anche la vocazione Coleman quando, nel suo indirizzo allAmerican Sociological Society, sostiene che i sociologi possono e devono diventare capaci di contribuire al disegno dellorganizzazione sociale del futuro, ci che richiede teoria sociale diretta a questo scopo? Mi sembrava necessario sottolineare un punto nora trascurato nella discussione, strategico dal lato anche delle opportunit. Sar ora telegraco, ma insister dal lato delle opportunit. Perch credo che limpietoso, radicale, necessario quadro fornito da Santoro segni il punto limite di tale tipo di critica: dora in poi necessaria pi analisi differenziale, capacit di distinguere in modo preciso e sottile. Sono molto daccordo con Santoro che sia necessario in cerca di radici solide riprendere la storia della sociologia italiana, ma aggiungo anche la storia della ricerca dal dopoguerra a oggi. Sul periodo classico c molto da scavare per riallacciare li, in molti sensi. C poi un momento di cerniera fra epoca classica (internazionale) e sociologia italiana in via di ricostruzione, che richiede attenzione, perch non dobbiamo davvero svalutare il lavoro di allora: tutto sommato in pochi anni si resero disponibili tradotti e introdotti i principali testi dei fondatori della disciplina. Continuo a essere ammirato da come questo fu fatto nelle condizioni di allora, in funzione proprio di denizione della sociologia in un contesto che era stato e continuava a essere ostile, per molte ragioni. Per questo bisogner avere molta attenzione nel ricostruire i dibattiti e le scelte di quel tempo, e il nesso che si stabiliva con la tradizione. Cera una voragine da riempire per ricollegarsi al mondo. Poi sono cominciate le magagne, ma sono portato a pensare che se alcune di queste forse erano, per cos dire, nel manico, la gran parte sono intervenute per strada, arrivando da rivoli diversi, in modi non diversi da quelli di altre discipline. In ogni modo, i sociologi sempre pi numerosi hanno fatto ricerca in Italia e sullItalia. cruciale ricostruire un periodo di ricerche ormai lungo. Non si tratta di dare voti, di fare i buoni e i cattivi, la cattiva ricerca va semplicemente dimenticata; piuttosto si tratta di vedere criticamente cosa in termini di metodi e risultati siamo riusciti a cumulare, e anche riconoscere limiti non superati, e di farlo fuori dai vincoli di scuola o componente, con una impresa collettiva di vaglio e discussione. Ricordo che se ne era parlato con Giovanni Evangelisti al Mulino, e ne era nata una

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collana, un primo tentativo del genere, intitolata Ricerca sociologica e teoria sociale in Italia: Mutti si era incaricato di seguirla, e aveva pubblicato un volume sulla sociologia economica, al quale ne erano seguiti altri; di Biorcio sulla sociologia politica, di Jedlowski e Leccardi sulla sociologia della vita quotidiana, di Ranci sul Welfare. Ripartire da cose del genere mi sembrerebbe una buona idea, da attivare in modo meno minimalista, vale a dire accompagnata e orientata da discussioni e seminari in grado di chiarire i criteri e le vie di valutazione, come occasione per discutere lo stato della disciplina. Questo un lavoro da giovani, che troveranno sostegno fra i pi vecchi, se non coltiveranno la retorica della rottamazione. Continuo a pensare che molto buon lavoro stato fatto, e che dal gioco di frontiera di cui dicevo anche altre discipline hanno gi guadagnato frequentandoci. Compiti particolari, che richiedono energie nuove, spettano alle riviste, pi agili dei libri. Una capacit di sguardo sul mondo a 360 gradi, in tempo reale, richiede agilit editoriale, e lesperienza di Sociologica mostra come una rivista elettronica si presti a questo scopo: di nuovo, esistono molti giovani, gi con reti allestero, in grado di sviluppare queste nuove possibilit, che introducono aria fresca. Unultima osservazione. necessario superare le componenti, anche se ovvio che aggregazioni si formino, utili purch quanto pi possibile orientate a coltivare una cifra teorica, che resista alle mode, coltivata nel confronto, e capace di mutare solo in conseguenza di sue necessit intrinseche, di rispondenza a risultati di ricerca. Possiamo cominciare a chiarirci le idee da questo punto di vista. E per cominciare bisogna evitare le caricature, nel senso etimologico di ritratti caricati, dotati di efcacia polemica, ma poi facilmente fuorvianti. Faccio un esempio. Dire che Bauman non pu mancare in un libro di cattolici, Boudon in una tesi a Torino, un modo provocatorio per cominciare a riettere, ma ovvio che le cose sono un po pi complicate. Cos, vero che Boudon stato letto con interesse a Torino, ma questo seguendo un lungo lo rosso che da Merton, con passaggi intermedi, arriva a lui, a Coleman, a Goldthorpe, sino a quelli che oggi si conviene di chiamare sociologi analitici. E mai prendendo troppo sul serio o in esclusiva questi autori, perch nellambiente era viva la tradizione marxista, la sociologia delle variabili che origina in Durkheim, il Weber di Pietro Rossi che lavorava ai anchi, la losoa di Bobbio. Cos, per quanto si riusciti, si proprio cercato qui, con alterne fortune, lo spazio della sociologia in quanto tale. Senza volere, forse, Santoro ha portato lattenzione non su una componente, ma su un ambiente, se non una scuola, indicando una direzione giusta di discussione.

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DELIA BALDASSARRI1 Lintervento di Marco Santoro mi ha particolarmente colpito e non tanto per il tono, ma per loggetto. Per ci di cui ha deciso di occuparsi, e ci che ha lasciato sullo sfondo. Di fronte alla domanda: Esiste una comunit scientica per la sociologia italiana? io mi sarei aspettata di leggere una riessione centrata sui due seguenti aspetti: 1) se, ed eventualmente come, la comunit dei sociologi sia capace di distinguersi, per contributo sostantivo e rigore metodologico, nello studio della societ italiana; e 2) se sia possibile pensare in termini di una sociologia italiana caratterizzata da tratti distintivi propri, o sia invece necessario riconoscere la nostra subalternit rispetto alla sociologia americana/britannica, francese, e tedesca. Prendo tuttavia atto dellagenda che Marco Santoro ha deciso per il suo intervento, e mi limiter per gran parte a discutere degli aspetti da lui affrontati. Condo nel fatto che la sua scelta di concentrarsi sullaspetto propriamente organizzativo della disciplina e di denunciare alcune storture del sistema accademico italiano, e della sociologia in particolare, risponda a unesigenza condivisa da altri colleghi nella disciplina. Per biograa ed esperienza personale, non ho voce in capitolo per valutare la veridicit del quadro da lui descritto, ma di certo il suo racconto congruente con unimmagine alquanto diffusa dei meccanismi corporativi che guidano la sociologia italiana. In termini generali, il sistema descritto da Santoro pu essere interpretato come un sistema di allocazione delle risorse. Per risorse intendo posizioni accademiche le cattedre , fondi di ricerca, e opportunit di pubblicazione, da cui gli individui derivano reputazione, prestigio, e status sociale. Nel quadro qui delineato, il sistema italiano di tipo consociativo, tende a premiare fedelt e appartenenza a scapito delle capacit individuali e lallocazione delle risorse basata su logiche di spartizione. Sullo sfondo, e in contrapposizione, spesso con riferimento allorganizzazione disciplinare statunitense, si accenna a un sistema alternativo, di tipo meritocratico, in cui si tende a valorizzare la qualit e creativit degli individui e della loro produzione scientica, e dove le risorse sono allocate secondo meccanismi competitivi. Mentre nella sua descrizione Santoro tende a identicare la sociologia italiana con il modello consociativo, e lascia intuire che la sociologia americana e a tratti quella di altre nazioni europee siano vicine al modello meritocratico, io suggerirei di considerare questi due modelli come idealtipi weberiani, che mai si realizzano completamen1 Una versione preliminare di questo commento allintervento di Marco Santoro stata presentata nel contesto del seminario organizzato dalla Rassegna Italiana di Sociologia Ruolo della sociologia e professione del sociologo, tenutosi nellottobre 2010 allUniversit di Milano-Bicocca.

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te, e di ripensare al confronto tra le due realt in termini relativi. Si tratta, cio, di una questione di proporzioni. Nel caso italiano, le dinamiche consociative tendono a prevalere su criteri di merito. Nel caso statunitense, tendono a prevalere i meccanismi meritocratici, senza per escludere che, anche in questo contesto, gli attori si conformino talvolta a logiche di scambio. Tuttavia, pensare in termini di idealtipi pu essere utile. Nel suo intervento, Santoro d per scontato che un sistema meritocratico sia preferibile rispetto a uno consociativo. Questo un atteggiamento radicato nellethos delle culture occidentali e capitaliste, che tuttavia da buoni sociologi va discusso, chiedendosi: 1) per quali ragioni storiche alcuni contesti accademici niscono per cristallizzarsi attorno a soluzioni consociative mentre altri sono organizzati secondo principi maggiormente meritocratici; e 2) per quale ragione dovremmo optare per un sistema che premi il merito, piuttosto che uno che premi la fedelt? Seppur io non abbia una risposta esaustiva a queste domande, provo a proporre una chiave di lettura. Lidea centrale che nei sistemi meritocratici la distribuzione delle risorse , almeno in parte, esogena, e quindi non pienamente controllabile da parte dei recipienti di tali risorse. Questo, a mio avviso, rende pi difcile laffermarsi di logiche di scambio e clientelari e invece facilita laffermarsi di principi di accountability. A sostegno di questa idea mi permetto di elencare alcuni esempi di pratiche che, nel sistema americano, favoriscono laffermarsi di criteri di merito. 1) Innanzitutto non possibile essere assunti come Assistant Professor (lequivalente come titolo del ricercatore italiano) nel dipartimento da cui si ricevuto il proprio titolo di dottorato (Ph.D.)2. Questa semplice regola, che per chi la pratica appare naturale quanto il tab dellincesto, rende il rapporto dottorando-docente molto pi orientato alla produzione scientica piuttosto che a uno scambio clientelare di protezione e deferenza. Il dottorando, infatti, sa che dovr essere assunto da unistituzione diversa da quella nella quale studia e che i servigi extracurricolari da lui prestati nel corso del dottorato non gli saranno di grande aiuto sul mercato del lavoro (un vero e proprio job-market, seppur con le sue rigidit). In tale mercato, infatti, il candidato sar valutato sulla base della qualit del suo lavoro, della sua capacit di attrarre fondi di ricerca, e di accrescere, attraverso la sua produzione scientica e visibilit pubblica, la reputazione (ranking) del dipartimento.

2 Inoltre, anche alquanto inusuale accedere ad un dottorato nella stessa Universit dove ci si laureati.

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2) Simili considerazioni possono essere fatte rispetto ai criteri di avanzamento di carriera, tra cui quello importante del conferimento della tenure (che equivale al passaggio da ricercatore a professore associato). Oltre ad un processo di valutazione interno al dipartimento, gli Assistant Professor sono giudicati da una commissione interdisciplinare la cui decisione fortemente inuenzata dal giudizio espresso in review letters scritte da 10-15 docenti esperti nel campo del candidato ma esterni al suo dipartimento. Si noti quindi come la promozione sia in larga parte determinata da istituzioni esterne al dipartimento del candidato, e coinvolgano il giudizio di un numero ampio di esperti nella disciplina, e in ultimo decisa da un comitato interdisciplinare. Ovviamente, questo processo di valutazione basato principalmente sulle pubblicazioni del candidato3, la cui qualit certicata, in primis, dal ranking della rivista in cui vengono pubblicate. 3) A loro volta, le riviste sono basate su di un sistema di peerreview che, nel complesso, pare in grado di distinguere tra contributi di prima, seconda, e terza fascia in maniera abbastanza efcace. 4) Analogamente, lallocazione di risorse per la ricerca da parte di istituzioni pubbliche, come la National Science Foundation, e il National Institute of Health, o fondazioni private, come Ford, MacArthur, Russell Sage, Bill and Melinda Gates Foundation solo per elencarne alcune, basata su di un rigoroso, ed alquanto competitivo processo in cui membri della comunit scientica sono chiamati a giudicare il valore della ricerca, e il suo impatto tanto sul dibattito scientico, che sul piano educativo e della vita pubblica. 5) Lesistenza di parametri di giudizio condivisi, quali ad esempio il ranking delle riviste, permette di stabilire una gerarchia tra dipartimenti basata sulla qualit dei docenti che vi insegnano. A sua volta lesistenza di un ranking dei dipartimenti orienta le scelte di studenti di Ph.D. e Assistant Professor che solitamente ambiscono ai dipartimenti migliori, permettendo a questi ultimi di assicurarsi il primato nella ricerca per gli anni futuri. In altre parole, i dipartimenti sono in costante competizione, e ogni singolo docente sa che parte del proprio status deriva dalla qualit dei propri colleghi, e studenti, dalle loro pubblicazioni, e dai nanziamenti esterni che sono in grado di attrarre. Mentre, secondo il quadro di Santoro, in un contesto consociativo attorniarsi di persone non particolarmente brillanti una buona strategia, perch ne facilita lassoggettamento ed evita il rischio di essere messi in ombra dallacume di qualche nuova stella, in un contesto competitivo e meritocratico
3 Seppur brutale, laffermazione publish or perish coglie molto bene lessenza di un sistema di selezione e riconoscimento basato sulla produttivit. Tale sistema non certo immune da logiche negative ed effetti perversi. Tuttavia, i punti di forza sembrano prevalere su quelli di debolezza e facilitano la crescita intellettuale e professionale (quantomeno per coloro che sopravvivono).

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essere lunico gallo nel pollaio non paga, perch la competizione avviene non solo tra individui, ma anche tra dipartimenti. La lista di esempi potrebbe continuare, ed al contempo andrebbe anche accompagnata da un analogo rendiconto dei meccanismi consociativi che pure esistono, come ad esempio lapparente incestuosit tra universit private di lite (cio scuole Ivy-League come Harvard, Princeton, Yale, e Columbia, a cui si aggiungono Stanford, Chicago, e NYU), cosi come di meccanismi di selezione non pienamente meritocratici, volti tuttavia a rimediare a secoli di pratiche discriminatorie, come ad esempio le politiche di afrmative action, o a facilitare la mobilit professionale di nuclei familiari in cui entrambi i partner sono accademici. Nellaggregato, la combinazione di questi fattori rende il sistema americano certamente pi meritocratico di molti contesti accademici europei, e di certo di quello italiano. Tuttavia il sistema va compreso nella sua interezza, e bisogna rifuggire dalla tentazione di identicare singole pratiche meritocratiche e introdurle in modo acritico in contesti diversi. Ad esempio lintroduzione di un tab dellincesto che vieti ai dipartimenti di assumere i propri dottorandi come ricercatori non sarebbe di per s sufciente per garantire che le assunzioni avvengano sulla base di principi di merito. Infatti, per fare in modo che la qualit scientica dei candidati diventi un fattore importante nella scelta dei candidati necessario che i dipartimenti siano in competizione tra di loro. In assenza di questo incentivo, facile prevedere laffermarsi di logiche di scambio consociativo tra dipartimenti al ne di assicurare un posto ai propri protetti. Mentre il quadro qui descritto ci aiuta a identicare, almeno in parte, quali sono i fattori che nel sistema americano hanno permesso a pratiche meritocratiche di svilupparsi e attecchire pi facilmente che in altri contesti, c un ultimo aspetto che non ho ancora menzionato, e che ci permette anche di capire perch sia preferibile optare per un sistema meritocratico piuttosto che per uno consociativo. Mi riferisco al fatto che la sociologia non opera in un vacuum, ma in competizione con altre discipline per nanziamenti, status e visibilit pubblica e questa competizione la forza costantemente a studiare fenomeni sociali politicamente ed economicamente rilevanti, e a migliorarsi costantemente. Linteresse a elevare la qualit media della produzione scientica deriva dalla necessit di relazionarsi con un mondo esterno fatto di economisti, scienziati politici, ma anche dallavanzare delle scienze cognitive e neuroscienze. La sociologia americana deve combattere per il suo oggetto di ricerca, per difenderne i conni e accaparrarsi nanziamenti e posizioni accademiche, e, non ultimo, per mantenere il numero di studenti iscritti ai corsi, e quindi un congruo numero di docenti nei dipartimenti. La mia sensazione che la sociologia italiana, in virt di una qualche conclamata libert di pensiero, sia diventata unenclave protetta e distaccata dal mondo, e priva di alcun senso di responsabilit

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verso terzi (accountability). Lallocazione di risorse quasi completamente endogena e quindi gestibile secondo logiche di scambio. La sociologia italiana sembrerebbe rispondere soltanto a se stessa. Paradossalmente, per questo motivo che a Santoro parso naturale rispondere alla domanda sullesistenza di una comunit scientica lasciando in secondo piano il problema delloggetto di ricerca, e se la comunit dei sociologi sia capace di dare un contributo sostantivo allo studio della societ italiana. Mi permetto di chiedere, in maniera non retorica, perch i contribuenti italiani dovrebbero nanziare questa disciplina? Se un docente di medicina insegnasse contenuti desueti o inutile, e cosi facendo mettesse a rischio la salute dei pazienti dei futuri dottori che sta formando, la sua azione sarebbe quantomeno considerata deplorevole, se non criminale. Insegnare sociologia per nostra fortuna e sfortuna non ha tali conseguenze sociali. Tuttavia, in assenza di ogni responsabilit esterna, diventa lecito per molti di noi ignorare non solo ampie aree della disciplina, ma soprattutto, e molto pi drammaticamente i problemi reali delle societ in cui viviamo. Lassenza di meccanismi di accountability un problema che inuenza molte istituzioni italiane, a partire dalla rappresentanza politica. Tuttavia, credo che se discutessimo della responsabilit pubblica della nostra professione, invece di attorcigliarci attorno alle vicissitudini delle varie componenti, potremmo giungere a conclusioni normative forse diverse da quelle delineate da Marco Santoro. In particolare, credo che la soluzione non possa trovarsi in appelli alla buona volont, al coraggio dellintransigenza, quanto a cambiamenti istituzionali e allo sviluppo di meccanismi che siano in grado di introdurre elementi di accountability, di responsabilizzare la disciplina rispetto al suo compito sociale, tanto sul piano educativo, che quello della ricerca. In altre parole, invece di invocare valori, credo sia pi facile pensare a come cambiare il sistema dincentivi che motivano gli attori. Per evocare Weber, credo che il pendolo che idealmente oscilla tra vocazione e professione vado in questo momento storico spostato pi sullaspetto professionale. Ancor pi, ho molti dubbi sullappello a pochi eletti per una rifondazione della sociologia italiana. I rischi di una delega di tal tipo potrebbero essere superiori ai beneci. Inoltre, nel caso fortuito che tali leader siano davvero quelli attesi, chi assicura che la seconda generazione sia allaltezza della prima, che non si creino logiche riproduttive degenerative come nella ferrea legge delloligarchia di Michels (1911)? Non dobbiamo dimenticarci che le origini storiche della sociologia come disciplina scientica vengono dalla constatazione delle tensioni delle societ moderne (processo dindustrializzazione e democratizzazione in primis). Lappello di Weber al lavoro quotidiano, al pianissimo delle relazioni interpersonali, non un appello per una sociologia che si guarda lombelico. Il demone che tiene i li della nostra vita di

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scienziati, viene da fuori, viene dal mondo reale, viene dai taxpayers, viene da una responsabilit condivisa che deve essere, almeno in parte, etero diretta. PAOLO VOLONT Marco Santoro lancia un grido dallarme sullo stato della sociologia in Italia oggi, e un appello agli uomini di buona volont, se cos si pu dire, per agire contro culture e istituzioni che impediscono al nostro corpo sociale di offrire un contributo di conoscenza adeguato alle sue dimensioni e potenzialit, alla tradizione da cui proviene e, aggiungo io, alle risorse nanziarie che consuma. Credo che pochi non proverebbero sintonia col disagio manifestato da Santoro. E io non sono tra quelli. Sono anche in gran parte daccordo col quadro che egli traccia della degenerazione della sociologia italiana rispetto agli ideali e alle pratiche di una buona scienza nellodierno mondo occidentale. E proprio in virt di quella sintonia e di questo accordo voglio provare a indicare alcuni spunti di riessione che, nelle mie intenzioni, dovrebbero servire ad approfondire ulteriormente il suo ragionamento. Mi concentrer sul tema che mi sta pi a cuore, quello della scienticit della sociologia italiana, che implica la questione della scienticit della sociologia in generale e, a monte, della scienticit tout court. Santoro osserva giustamente che vi un nesso molto stretto tra la costituzione comunitaria della sociologia italiana e il suo scarso peso scientico internazionale, e che questo dipende dal fatto che la nostra non una comunit scientica dei pari, ma un sistema integrato di molteplici comunit di destino politico la Tnnies. Luso del concetto di comunit in questo contesto andrebbe discusso con particolare scrupolo, che qui non mi consentito, e loscillazione di Santoro tra comunit e campo probabilmente un segnale delle difcolt che comporta luso di quella categoria in questo ambito. La recente sociologia della scienza ha molto insistito sul carattere contingente e intrinsecamente sociale delle comunit di ricerca. Al contrario di ci che ipotizzava Hagstrom (1965), non esiste una comunit scientica accomunata da un metodo di lavoro. Questo solo un ideale regolativo per una molteplicit di comunit circoscritte, legate ad aree di ricerca denite e unite da una tta rete di relazioni (Crane 1972), da un linguaggio e una cultura epistemica condivisi (Knorr-Cetina 1999), dal riferimento a istituzioni comuni (riviste, associazioni, laboratori, ecc.). Fin qui, la sociologia italiana sembrerebbe corrispondere al quadro generale. Ma siamo solo a met strada. Ciascuna area di ricerca scientica mira, con i propri strumenti concettuali, metodologici e socio-politici, a consolidare delle rivendicazioni di conoscenza relative a un certo settore della realt che ci circonda

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(Latour 1998, 278-284). Consolidare in questo contesto signica: sottrarre alla naturale volatilit della conoscenza umana, facendo s che un numero il pi elevato possibile di attori sociali si senta costretto o interessato per il tempo pi lungo possibile a considerare attendibili quelle rivendicazioni di conoscenza. Questo il lavorio della scienza. E, idealmente, della sociologia. Un continuo sforzo di sottrazione delle proprie rivendicazioni di conoscenza allintrinseca volatilit delle produzioni umane di senso. Gli attuali studi sulla scienza e la tecnologia insistono a volte, oltre che sul carattere conittuale della produzione scientica (come nota anche Santoro), sullimportanza che acquisiscono surrettiziamente in essa i legami personali (Shapin 1995). Nel lavorio di solidicazione delle rivendicazioni di conoscenza uno strumento che gli scienziati non si astengono dallusare la propria rete di relazioni di conoscenza, amicizia e nanche parentela. Dobbiamo allora concludere che il quadro dipinto da Santoro corrisponda alla normalit della scienza occidentale? Che la posizione marginale della sociologia italiana sia dovuta solo a decit politici ed economici? Non credo che sia cos. E il motivo per cui ho usato in precedenza limmagine un po forte della degenerazione della sociologia italiana rispetto agli ideali e alle pratiche della buona scienza legato proprio a come quegli ideali e quelle pratiche sono agiti nelle pi valide aree di ricerca della scienza occidentale. Dobbiamo riconoscere a Pierre Bourdieu il merito di aver portato lattenzione sul fatto che i professionisti della scienza hanno sviluppato un metodo peculiare per il consolidamento delle rivendicazioni di conoscenza, basato sulla relazione paritaria e competitiva tra i membri della comunit. Pi esplicitamente, di norma i singoli scienziati riescono a consolidare le proprie rivendicazioni di conoscenza non attraverso i normali strumenti della solidariet sociale (familismo, istituzionalizzazione, potere), ma attraverso una curiosa forma di competizione tra soggetti che sono reciprocamente anche clienti (Bourdieu 2003, 72). Gli scienziati sono competitor-peers, nel senso che ciascuno ha per cliente delle rivendicazioni di conoscenza che avanza i propri concorrenti pi acerrimi nella lotta per la posta in gioco, fatta della credibilit scientica dispensata dal campo stesso. Ciascuno quindi costretto a dare alle proprie rivendicazioni di conoscenza la massima solidit possibile, tale da indurre il cliente-concorrente a far prevalere il ruolo di cliente. A ritenere, in altri termini, che lassunzione di quella rivendicazione tra le basi del proprio lavoro sia preferibile a una rischiosa denuncia della sua inattendibilit (rischiosa perch potrebbe rivelarsi presto contraria allopinione dominante nella comunit di riferimento). Non attraverso la philia, ma attraverso lagonia che si forma una solida conoscenza scientica: vince colui che riesce a offrire un prodotto intellettuale cos forte da indurre laltro, il concorrente, a rinunciare a vincere pur di poter usufruire di quel prodotto stesso.

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Non posso dilungarmi oltre, per spero che il punto sia chiaro: la comunit scientica, quando funziona, non una collettivit di attori docilmente assoggettati a un metodo, ma nemmeno una collettivit di afni accomunati da un patto di reciproca assistenza. , piuttosto, una collettivit di pari legati da un vincolo di lotta e dipendenza reciproca: lotta gli uni contro gli altri per la reputazione, dipendenza gli uni dagli altri per poter acquisire reputazione. Ci ne determina lefcacia a tutti manifesta. Lindebolimento di questa dinamica sta a mio avviso alla base, insieme a un ampio spettro di altre cause note e discusse, della debolezza di certe discipline scientiche, tra cui la sociologia, rispetto ad altre. Il braccio armato della comunit scientica, intesa nel senso che ho detto, la peer review. Il sistema della peer review viene spesso criticato, e non solo nei convegni dellAIS n solo nelle scienze sociali, come dimostra un recente pamphlet di Laurent Sgalat (2010). Tuttavia non bisogna dimenticare che esso funziona non tanto per gli effetti diretti che produce, quanto per quelli indiretti. Leffetto diretto desiderato della peer review che gli articoli migliori siano pubblicati, quelli peggiori scartati o migliorati. Che questo accada davvero regolarmente non lo credono pi in molti, nemmeno nelle scienze dure. Ci non toglie per che lesistenza del passaggio stretto della peer review induca gli autori di rivendicazioni di conoscenza (principalmente articoli e comunicazioni a convegni) ad anticipare essi stessi lattivit di rigorosa critica sul proprio contributo, perch ogni eventuale giudizio negativo da parte di altri equivarrebbe a una lesione del loro personale patrimonio di credibilit scientica. Ora, il punto che vorrei evidenziare che perch questo sistema funzioni necessario che il reviewer, in qualsiasi occasione debba svolgere la sua funzione (come referee di una rivista, come spettatore di una comunicazione a un convegno, come commissario in un concorso, come autore di citazioni), percepisca come proprio sommo interesse lesercizio di una critica rigorosa. Qui rigorosa signica: tale per cui, alla prova dei fatti, le rivendicazioni di conoscenza che egli ha denunciato come inattendibili vengano effettivamente lasciate cadere dalla comunit di riferimento che le considera anchessa inattendibili, e le rivendicazioni di conoscenza che egli ha fatto proprie come attendibili vengano fatte proprie, e per un periodo sufcientemente lungo, anche dalla comunit di riferimento. Chiaramente, se il reviewer non percepisce interesse o costrizione per tale rigore il suo giudizio sar sostanzialmente indipendente dal giudizio della collettivit di riferimento. Moltiplicato per tutti i reviewer, ci signica che semplicemente non esister un giudizio collettivo cui fare riferimento. La rivendicazione di conoscenza sar libera vale a dire vincolata a criteri di altro tipo: il debito, il vassallaggio, lamicizia, la parentela, la scuola, la confraternita, linteresse economico e, peggio di tutti, il pregiudizio.

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Questo ci che accade nella sociologia italiana, dove la peer review sta lentamente entrando nella forma, ma resta inesorabilmente esclusa nella sostanza. Le ragioni sono molteplici, e Santoro ne ha indicate gi diverse. Io ho il sospetto che un ruolo non marginale abbia qui anche una condizione di carattere prettamente culturale, riconducibile allarea semantica del familismo amorale. Lidea di una comunit non solidaristica resta estranea nel nostro paese, mi sembra, a tutti quegli ambiti disciplinari della scienza che non si sono internazionalizzati da lungo tempo, o che non sono nati gi internazionali. Tra le discipline che fanno eccezione a tutto ci vi per esempio la sica, che ha potuto contare su due fattori assolutamente anomali risalenti entrambi allimmediato dopoguerra: la precoce internazionalizzazione del campo e delle relative poste in gioco per far fronte alle esigenze della big science, e la contestuale fondazione dellINFN, che ha sottratto la gestione delle principali risorse al sistema accademico (Battimelli 2001). In campo sociologico non solo siamo ancora lontani da uninternazionalizzazione delle poste in gioco, che qualcosa di molto pi profondo e radicale della semplice pubblicazione su riviste internazionali; non solo siamo vincolati al sistema universitario di cooptazione e distribuzione delle risorse; ma subiamo anche gli effetti negativi della suddivisione del campo in tre gruppi autoreferenziali, le cosiddette componenti. Ho dovuto dilungarmi sui meccanismi sociali di produzione di conoscenza scientica per poter giungere a sostenere una tesi cui sono affezionato. Se lo snodo centrale della complessa questione della scienticit della sociologia sta nel rigore con cui svolta la peer review, allora non la suddivisione del campo in tre componenti il fattore decisivo della degenerazione, ma la loro autoreferenzialit. Sostengo infatti che lautoreferenzialit arreca un vulnus grave alle possibilit del costituirsi di una cultura della scienza (e di una cultura professionale dello scienziato) in Italia. Il sistema di produzione della conoscenza scientica che, per sommi capi, ho descritto sopra si basa in maniera essenziale sul fatto che lo scienziato percepisca il proprio interesse nel conoscere la rivendicazione di conoscenza del collega e nellesercitare il proprio giudizio critico su di essa, perch attraverso questo esercizio egli pu accrescere il proprio patrimonio di credibilit scientica. Ma se lo scienziato, nel nostro caso il sociologo, circoscrive i propri interlocutori scientici alla sola cerchia di coloro che gi conosce, che stima e di cui condivide interessi e ricerche, non solo si perde dei pezzi di conoscenza che potrebbero essergli utili, ma interrompe il circolo virtuoso della produzione di conoscenza. Egli arreca un danno alla scienza, non solo a se stesso. Perci non solo lesistenza di componenti politiche a determinare la fragilit della sociologia italiana, ma anche e soprattutto la loro autoreferenzialit, il fatto che lorizzonte degli interlocutori sia circoscritto: libri che citano solo gli amici e gli amici degli amici, convegni in cui

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si ritrovano sempre le stesse persone indipendentemente dal tema in discussione. Anche se non si pu negare che senza componenti il rischio dellautoreferenzialit di parti del campo sarebbe molto minore, non dobbiamo scambiare una condizione di contesto con una causa diretta della degenerazione. Questo spostamento del fuoco dalle componenti allautoreferenzialit mi consente poi di aggiungere due considerazioni di carattere molto pi contingente, questa volta in disaccordo con Santoro. La prima riguarda una valutazione dellapporto delle singole componenti. Ho molto apprezzato levidente sforzo di Santoro di abbandonare il noto habitus di molti che si muovono entro i conni del MiTo di pensare che soltanto in quei conni si produca una sociologia di valore, e che le altre due componenti siano mere lobby di potere tra studiosi poco dotati. E sono pronto a riconoscere che sia nel MiTo che si trova da sempre la sociologia nazionale con maggior riconoscimento internazionale. Ma sostengo qui che a) non questo ci che si chiede ai colleghi del MiTo per il bene della sociologia italiana, perch b) dimpatto molto maggiore il danno che essi vi arrecano, al pari e pi delle altre componenti, attraverso il vulnus dellautoreferenzialit. Il punto che la scienza non la si fa da soli, n in gruppi. solo attraverso la rete sociale degli scienziati che il lavoro di ciascuno di essi acquista valore. Contributi che si rivolgono alla comunit internazionale ma, per il vizio dellautoreferenzialit, ignorano pregiudizialmente una parte rilevante della comunit nazionale non aiutano ma impediscono la crescita della sociologia italiana come disciplina scientica. La seconda osservazione riguarda lAIS, considerata da Santoro come uno strumento a disposizione delle componenti per lattuazione delle loro logiche spartitorie. Io credo invece che, in questi anni in cui lho conosciuta dallinterno, lAIS, almeno per ci che concerne la sezione di Processi e Istituzioni Culturali (PIC), abbia svolto unimportante funzione di collegamento tra le componenti e di superamento dei limiti dellautoreferenzialit. Ha consentito infatti a chi vi partecipava di conoscere, valutare, criticare e utilizzare le rivendicazioni di conoscenza di colleghi e colleghe che, per la loro appartenenza altra, egli non avrebbe altrimenti incontrato sul proprio cammino scientico e questo non per propria insipienza, ma per tutti i vincoli del campo italiano che lo stesso Santoro ha messo in evidenza e che, convertendosi in disposizioni, afiggono altrettanto profondamente i pi bravi come i meno bravi. Non saprei valutare se lAIS legittimi le componenti, ma senzaltro un rimedio relativamente efcace alla loro esistenza. A tutto questo si lega, poi, la questione dellesistenza di procedure democratiche nel sistema della scienza. La precedente descrizione del sistema sociale di produzione della conoscenza scientica dovrebbe far capire che esso non , n potrebbe essere, un sistema democratico. Diversamente da quanto afferma Santoro, non credo di aver mai so-

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stenuto il contrario, n in pubblico n in privato. La scienza una produzione collettiva di conoscenza in forma gerarchizzata (cfr. per es. Felt et al. 1995, 70), ed normalmente governata, l dove funziona meglio, da una dinamica completamente diversa da quella democratica, qual quella della competizione tra pari che sono al tempo stesso clienti e giudici gli uni degli altri. La tesi che sostengo quindi unaltra: io credo che, proprio perch idealmente non si ispira a valori democratici, la scienza in Italia (la parte preponderante delle aree di ricerca) soffra del fatto che il sistema di reclutamento universitario sia invece organizzato in forma democratica; e ritengo che il sistema delle componenti in sociologia sia, almeno in una certa misura, glio di tale organizzazione democratica del reclutamento. Nel sistema normativo italiano previsto che le commissioni di concorso delle discipline universitarie siano (ultimamente solo in parte) scelte da un elettorato attivo identicato per afferenza a un certo settore disciplinare. Questa norma legislativa a mio parere altamente critica e discutibile, nella misura in cui introduce la dinamica democratica (cio: la maggioranza vince) nel campo scientico (Bijker et al. 2010). Bench relativa alle carriere, come mostra Santoro essa si ripercuote negativamente sulla qualit della produzione scientica. Ma la norma esiste, formalizzata in legge e costituisce il quadro normativo entro cui il campo della sociologia italiana deve muoversi. Detto questo, il punto importante da non dimenticare allora che la forma-partito (o consorteria) la forma fondamentale della partecipazione democratica, a tuttoggi uno strumento di garanzia per la collettivit. Lesistenza di tre componenti in lotta tra loro per le posizioni offerte dal campo , secondo la tradizione democratica, una garanzia per le chance che un individuo qualsiasi pu avere di ottenere una posizione desiderata (qualunque sia la provenienza geograca, qualunque la dimensione della sua sede universitaria, qualunque il credo politico o religioso, il genere, il ceto). Caso mai la vera questione si sposta dentro alle componenti, e chiama in causa il grado di democraticit della loro vita interna. Voglio dire che la nascita di consorterie nel campo della sociologia italiana non va ascritta (non solo) a un preteso decit di capacit o sensibilit scientica o deontologica da parte dei sociologi italiani, ma dipende anche da una condizione istituzionale di cornice entro cui ci dobbiamo tutti muovere, come recentemente ha riconosciuto anche Alessandro Cavalli (Cavalli et al. 2010, 657). La nostra disciplina, in cui per ovvi motivi presente unalta sensibilit per le dinamiche politiche, si prontamente organizzata in base alle richieste del contesto normativo di un contesto normativo assolutamente inadeguato agli scopi della ricerca scientica. Altre no. Ma sdo chiunque a dire che la gestione del sistema di reclutamento e avanzamento di carriera previsto dalla normativa italiana sia migliore quando lasciata nelle mani di qualche satrapo locale, come spesso accade nelle discipline mediche.

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Nel momento in cui chiediamo di delegittimare le componenti dobbiamo farlo con un esercizio di realt e immaginarci come altro risolvere, in loro assenza, la questione posta dal fatto che le commissioni di concorso vengono elette, e che quindi sono soggette al pericolo di una egemonizzazione da parte del pi prepotente.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Battimelli, G. (a cura di) 2001 LIstituto Nazionale di Fisica Nucleare. Storia di una comunit di ricerca, Roma-Bari, Laterza. Bijker, W., Volont, P. e C. Grasseni 2010 Technoscientic Dialogues. Expertise, Democracy and Technological Cultures, in Tecnoscienza. Italian Journal of Science & Technology Studies, 1, 2, pp. 121-140. Bourdieu, P. 2003 Il mestiere di scienziato, Milano, Feltrinelli,. Cavalli, A., Della Porta, D., Donati, P. e F. Rositi 2010 Sulla sociologia italiana, in Il Mulino, 5, pp. 655-669. Crane, D. 1972 Invisible Colleges: Diffusion of Knowledge in Scientic Communities, Chicago, University of Chicago Press. Felt, U., Nowotny, H. e K. Taschwer 1995 Wissenschaftsforschung, Frankfurt a.M., Campus. Hagstrom, W.O. 1965 The Scientic Community, New York, Basic Books. Knorr-Cetina, K. 1999 Epistemic Cultures, Cambridge, Mass., Harvard University Press. Latour, B. 1998 La scienza in azione, Torino, Edizioni di Comunit. Sgalat, L. 2010 La scienza malata? Come la burocrazia soffoca la ricerca, Milano, Raffaello Cortina. Shapin, S. 1995 Cordelias Love: Credibility and the Social Studies of Science, in Perspectives on Science, 3, pp. 255-275.

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