Sei sulla pagina 1di 102

STORIA DEI PROCESSI COMUNICATIVI

LEZ. 1 – 14.09
Momento storico che ha le sue specificità dal punto di vista della Comunicazione e Formazione.
ESAME: orale  modalità: tornare alla presenza
E-mail: luc.bravi@unifi.it
LIBRO  Percorsi storico educativi della memoria europea
INTRODUZIONE
Noi ci occupiamo di Storia dei Processi Comunicativi e Formativi. Bisogna entrare in un contesto che tiene al
centro sia la Comunicazione, sia l’aspetto formativo.
La Comunicazione c’entra con l’aspetto formativo. Di ciò ne abbiamo fatta esperienza diretta in questo
periodo, soprattutto quando abbiamo avuto la Formazione a distanza  abbiamo percepito la differenza
evidente tra forma di Comunicazione che viene scelta.
Il fatto che la Scuola e la Formazione in generale abbia un punto centrale nel tipo di Comunicazione che
viene adottata è evidente per chi ha frequentato corsi di Istruzione obbligatori ed extrascolastici.
Il tipo di Comunicazione che utilizzo cambia la modalità e la capacità di portare messaggi a chi ascolta.
ES: Una Comunicazione particolarmente ingessata rende ingessata la capacità di far circolare i messaggi
formativi.
Questo lo sappiamo perché ciò che raccontiamo è uno degli elementi che costituisce un collante per le
società. Cioè noi sappiamo che la Comunicazione ha un aspetto fondamentale nel nostro modo di
percepirci come società, nel formare gruppi di riferimento, nello stare insieme nel gruppo dei pari, nel
riconoscerci come cittadini di una certa nazione.
TEMA DELLA MEMORIA
Memoria storica  quali sono le parole che colleghiamo alla MEMORIA? Memoria per me è…
- Il Giorno della Memoria
- I Libri di storia
- Mantenere il ricordo
- Affermazione di una identità passata
- Cambiamento  perché ci sono evoluzioni che portano quello che chiamiamo memoria a cambiare
e mutare nel tempo rispetto a quello che succede (avanzamento tecnologico, modi di vivere, usi e
costumi che cambiano)
- Preservazione delle culture passate
- Luogo della memoria: Auschwitz
Tutto quello che pensiamo ha una sua memoria.
Una delle cose più importanti di questo tema è che noi possiamo dare una definizione di memoria ma
dobbiamo stare attenti a non inchiodare la memoria in un’immagine fissa che non cambia mai.
Il riferimento ad Auschwitz è stato percepito e raccontato in tanti modi diversi {* vedi pag. 21}:
- Primo periodo  non lo si raccontava proprio;
- Secondo periodo  era stato costruito come se fosse un dogma, qualcosa in cui si crede, che esiste
e che non si mette in discussione [si può fare un percorso formativo su un dogma, su qualcosa in cui
si crede e che non può essere messo in discussione? No, perché così non si entra mai in una
discussione];
- Terzo momento (che stiamo vivendo anche oggi)  Auschwitz è diventato qualcosa che va
spiegato.
Questo ultimo punto, da un punto di vista comunicativo, pone dei problemi. Il primo di tutti è il fatto di
poterlo mettere in discussione, di negarlo.
1
Se utilizzo Auschwitz come una certezza/dogma non posso metterlo in discussione: mi salvo così dal
Negazionismo. In questo modo però non faccio Formazione su quel tema.
Se invece voglio fare Formazione su quel tema e spiegare perché è successo, ho la necessità di sapere che
inizierà un dibattito su di esso e che l’unico modo che avrò per difendermi in quel dibattuto è quello di
essere formato e di saper comunicare.
Se non sarà così, perderò il confronto dialettico con chi lo nega.
Serve molto di più spiegare e saper costruire processi di Formazione che ci facciano entrare nel dibattito
della Comunicazione.
Stiamo parlando di cose che se non affrontiamo noi, altri gestiranno al posto nostro, magari in maniera
poco corretta.
Dato che noi ci stiamo preparando per attuare una Comunicazione e una Formazione fatte in maniera
professionale, allora affrontare questo tema ci darà delle risposte generali: ogni tema ha bisogno di stare
dentro un dibattito in maniera competente e formativa.
Il dibattito su Auschwitz lo vince chi sa costruire una Comunicazione appropriata su fonti riconosciute e
difendibili.
Anche se quel confronto non è vinto una volta per tutte. Ecco perché si affronta dentro il tema della
Formazione. Cioè devo comunicare come affrontare questi temi, altrimenti diventano cose inascoltabili.
Se non si entra in un nuovo contesto, ci si trova a gestire delle date istituzionali (come il 27 Gennaio) come
se fossero date da riempire di una serie di cose retoriche che però non portano né alla conoscenza né alla
capacità di capire cosa ce ne facciamo di tali argomenti.
ES. di iniziative fatte in luoghi di Formazione durante la Giornata della Memoria sul tema di Auschwitz.
Se limito al minuto di silenzio l’elemento che dovrebbe portare dentro la classe quel tema è un po’
riduttivo.
Se limito a far vedere un Film sul tema senza farlo precedere da un processo di conoscenza, diventa sterile
come attività. E mi rivolgo a un solo piano della Comunicazione che è quello della EMOTIVITÀ.
Questo è un tema problematico. Perché? Perché di fronte a un Film sullo sterminio, mi emoziono e piango,
ovvero partecipo al dolore delle persone che hanno subito quel trattamento; ma se la cosa resta lì, il 28
Gennaio quella cosa è già azzerata.
La domanda da comunicatore è: che ce ne facciamo di attivare un processo emozionale il 27 e di chiuderlo il
28?
ES: Il 10 Febbraio è la data istituzionalmente riconosciuta (anche se meno conosciuta) che è dedicata al
ricordo per le Foibe.
Ci sono centinaia di giornate dedicate alla memoria, dedicate a una serie di vicende che hanno costruito
tutta una serie di riferimenti legati alla nostra memoria sociale.
Perché abbiamo questi giorni dedicati alla memoria di qualcosa? Perché abbiamo bisogno di giorni della
memoria da condividere e da rendere istituzionali?
Quei giorni hanno il senso di:
- evitare che certi errori/avvenimenti vengano compiuti nuovamente;
- rinsaldare il senso di appartenenza alla Comunità di riferimento  questo dato è molto più forte
rispetto al fatto che si vuole evitare che tali cose risuccedano perché di fatto queste cose sono già
risuccesse (magari lo stesso giorno in cui si ricordano).
Queste date provano quindi a rinsaldare la società intorno a questi valori.
Ciò che è certo è che abbiamo bisogno di questi riferimenti istituzionali per darci dei valori su cui ritrovarci.
Poi bisogna vedere se questi valori sono vissuti veramente o si limitano a quella giornata.
ES: Il 25 Aprile.
Se ne parliamo con chi viveva negli anni Settanta non si metteva in discussione il fatto che ci potesse essere
2
un ricordo del 25 Aprile.
Oggi invece il dibattito tra chi dice che questo giorno va ricordato e chi è contrario è entrato nel Parlamento
italiano.
Quando si parla di memoria non si parla di qualcosa che appartiene al passato e che è priva di significato.
Il modo in cui la memoria assume significato lo decidiamo giorno per giorno e riguarda il modo in cui la
utilizziamo e ne parliamo e ci facciamo riferimento.
_______________________________________________________________________________________
VIDEO  Come si spiega l’ascesa dell’uomo (Ted Talk dello storico Yuval Noah Harari: “Da animali a dei”)
Si tratta di un intervento sul tema della Comunicazione.
[Il tema che affronta è l’inizio del nostro percorso perché gran parte di questo è dedicato al tema della
costruzione delle memorie. Un’altra parte sarà dedicata a come la storia della televisione ha/non ha
costruito un processo di Formazione all’interno della nostra storia nazionale].
La differenza tra noi e gli animali non è sul piano individuale ma collettivo. Siamo gli unici animali che sono
capaci di collaborare in grandi numeri e in modo flessibile. L’uomo è l’unico in grado di unire le due abilità.
I grandi risultati degli uomini sono dovuti alla capacità di collaborare flessibilmente in grandi numeri.
Anche se non ci conosciamo possiamo lavorare insieme per creare un grande scambio di idee.
Noi siamo in grado di reinventare il nostro sistema sociale velocemente.
La collaborazione non porta solo cose belle. Anche prigioni, mattatoi, Campi di Concentramento sono
sistemi di cooperazione.
Come lo facciamo? Cosa ci permette di collaborare così?
la risposta è la nostra IMMAGINAZIONE: solo noi siamo in grado di creare storie immaginarie, finzioni.
Gli umani usano il linguaggio per creare nuove realtà, realtà immaginarie; mentre gli animali lo fanno solo
per descrivere la realtà.
In ambito religioso gli uomini collaborano perché credono alle stesse storie. Lo stesso meccanismo sta alla
base di altre forme di collaborazione: ad esempio, i Sistemi legali (i Diritti sono stati inventati da noi), la
Politica (gli Stati e le Nazioni non sono realtà oggettive, sono storie inventate a cui ci siamo attaccati),
l’Economia (le multinazionali/aziende sono finzioni legali: sono storie inventate da avvocati  i soldi non
hanno un valore oggettivo.
_______________________________________________________________________________________
Le nostre società sono costruite su narrazioni condivise cioè su una serie di memorie a cui noi diamo valore.
Cosa ci tiene insieme rispetto agli altri animali? La capacità di avere narrazioni basate non solo su fatti
oggettivi ma sull’immaginazione, la quale si diffonde tramite una Comunicazione che funziona.
Egli fa alcuni esempi riguardo a questo:
- I Diritti umani non esistono oggettivamente, in modo concreto: li facciamo esistere noi e decidiamo
di crederci, di dargli valore e di metterli al centro di un racconto di un mondo che ci piace. Per
questo dobbiamo condividere un racconto.
- I soldi sono una convenzione, un racconto a cui diamo valore e che ci permettono lo scambio senza
il baratto.
A seconda di come io attivo il racconto, posso costruire valori condivisi o restare da solo se dico certe cose.
Se resto da solo la mia Comunicazione avrà scarso effetto e i valori, i messaggi, il tipo di mondo che voglio
raccontare avrà scarsa diffusione.
Se avrò successo nella Comunicazione cioè le persone ci crederanno, quell’elemento lì darà forza al mio
racconto e porterà a creare anche cambiamento.
Questo processo lo vediamo nel contesto sociale, nella politica, nell’economia ovvero in ogni contesto in cui
una persona racconta qualcosa e se riesce a mettere attorno a sé delle persone che credono a quel
racconto, allora la forza di quel racconto aumenta ed esso diventa diffuso.
Per questo c’è una guerra della memoria: essa non è qualcosa di tendenzialmente finito, ma si riproduce
ogni istante che la utilizzo.
3
Non è vero che non prendere posizione su argomento dia forza o smonti l’altra persona che porta un
racconto che io voglio discutere.
Tendenzialmente si vince e si perde in Comunicazione non se si sta in silenzio, ma se si attiva il dibattito e si
hanno posizioni da saper supportare con fonti storiche riconosciute.
Non sempre una fonte storica, un documento scritto può essere considerato una certezza assoluta.
Nonostante ci siano documenti di tanti tipi, la differenza la fa il racconto di quel documento: si può usare un
documento per affermare una cosa e il suo contrario e ciò dipende da che racconto si organizza.
Intervento in chat  Il fatto di poter vincere o perdere nel dibattito è legato alla forza che si riesce ad avere
a livello collettivo oppure anche una singola persona che attiva un dibattito, anche se è sola ma ben
formata riesce a portarlo avanti?
Nel contesto di oggi predomina la prima opzione cioè se si riesce a costruire una Comunità intorno a una
narrazione.
Ma è anche vero che ogni Comunità che si crea intorno a narrazione si struttura intorno al racconto che
inizia da una singola persona a cui altri poi partecipano.
Intervento in chat  Però una Comunicazione di successo può essere anche una COMUNICAZIONE
DEMAGOGICA perché se essa viene portata nel pubblico in modo accattivante la persona ottiene successo e
riconoscimento.
Noi non parliamo di Comunicazione in senso lato, noi parliamo di come si deve costruire una
Comunicazione e una Formazione professionale.
Dato che ci sono vari codici deontologici che ci dicono che se vogliamo fare Comunicazione e Formazione
professionalmente essa deve basarsi su fonti reali, verificabili, è chiaro che il nostro gioco deve basarsi su
capire su come opporsi alla demagogia.
Il problema grosso che rappresenta anche una sfida affascinante consiste nel fatto che noi abbiamo una
serie di strumenti che ci permettono di essere letti da un sacco di persone, basta avere seguito. Quindi
anche se dico cose non vere o demagogiche può darsi che ottenga risultati e che il mio racconto diventi
noto.
Il problema, quindi, è come poter formare un pubblico che capisca e che sappia distinguere chi fa
Formazione e Comunicazione in maniera professionale e chi no.
Anche chi si mette nella posizione di fare Comunicazione in maniera professionale deve essere consapevole
di che differenza c’è tra queste due categorie di persone.
Questo non vuol dire che bisogna impedire alle persone di scrivere sui Social, né si deve impedire a chi non
è formato di prendere parola.
Il gioco a cui dobbiamo giocare è: come do valore a quella Formazione/Comunicazione che è professionale
e come la faccio arrivare ad essere apprezzata, riconosciuta e vincente?
ES: Demagogia evidente  «i Campi di Sterminio non sono esistiti».
Il piano demagogico su cui ci si muove in questi racconti è questo: tu racconti qualcosa che ti fa comodo ma
io ti dico qualcosa che tu non vuoi sentire, che nessuno racconta e ti faccio vedere che ci sono altre vicende
che sono andate nello stesso modo.
Da questo racconto ci si può difendere se si entra nel dibattito, ci sappiamo stare dentro, e ci si forma in
maniera specifica su come rispondere; sennò si finisce necessariamente con il dargli ragione.
FILM  La Verità negata su RaiPlay
Il Film ambientato negli Stati Uniti racconta di una scrittrice Deborah Lipstadt (professoressa ebrea), la
quale scrive un Libro che tratta cosa è stato lo sterminio ebraico e attacca David Irving, il più noto
negazionista europeo conosciuto a livello mondiale.
Lei nel Libro afferma che l’uomo è un bugiardo/falsificatore della realtà storica. Quando il Libro viene
pubblicato, lui lo legge e la chiama in causa per difendersi, perché lei l’ha accusato di essere un bugiardo.
Il processo si svolge in Inghilterra e lì la necessità di portare la prova della propria innocenza è a carico della
scrittrice: questo la obbliga a dimostrare che la Shoah è esistita; sennò diventa vero che lei ha diffamato il

4
ricercatore anche se lui è ovviamente un negazionista.
La prima risposta che dà lei è: «Io con questa gente non ci parlo».
In questo modo si attiva una riflessione su come si fa a entrare in questi temi e su quale sia la difficoltà di
uscire dalla demagogia.
La prima cosa che fa D. Irving è presentarsi a una sua conferenza e dire: «Lei ha paura di confrontarsi con
me, io i miei Libri li regalo; invece, lei li vende». Implicitamente, con questo discorso egli intende dire che
ovviamente lei dice quelle cose perché ci ricava dei soldi e quindi le conviene. Invece lui che è al di fuori dei
giri del guadagno dà i suoi Libri gratis e racconta ciò che nessun altro racconta.
I racconti demagogici hanno la meglio di solito  il problema è: come si sconfigge tale demagogia? Come si
fanno a confutare le informazioni fasulle?
Se non risolviamo questo problema, non ritagliamo la motivazione per cui noi siamo a prepararci per un
mestiere che sia specifico e non semplicemente scrivere su un social/giornale.
Dobbiamo capire la differenza che abbiamo quando andiamo a scrivere e che tipo di Formazione
sottintendiamo.
Per rispondere alla demagogia è poco informarsi.
Il Film pone il problema che ciò che tutti dichiarano così evidente come la Shoah, in realtà è difficile da
provare come esistenza oggettiva, nonostante ci sia un luogo che si può visitare. Questo pone dei problemi.
ES: Foibe in Italia  riconosciute da una Legge dello Stato.
I Negazionisti potrebbero dire che si sta sempre a parlare di Shoah, ma ci sono state anche le Foibe in Italia.
Allora perché non viene fatta un’unica Legge che mette insieme sia la Shoah che le Foibe? Perché la gente
continua a parlare solo di Shoah e non di tutto il resto?
Come si risponde per difendersi da una persona che dice questa cosa? È difficile rispondere perché la
maggioranza di noi non sa nemmeno cosa è l’argomento delle Foibe: mancano i numeri, i riferimenti, lo
studio. (*)
Ecco perché gli altri riescono a estrapolare quell’argomento e a farne un argomento demagogico.
Qual è la motivazione di chi tira fuori questo argomento?
Partiamo da assunti precisi: le Foibe ci sono state ovvero tra il 1943 e 1945 degli italiani sono stati uccisi
nella zona di Trieste e dell’Istria per il fatto di essere riconosciuti come italiani ed equiparati a dei Fascisti.
(*) Per rispondere si deve considerare innanzitutto la fonte: chi è che mi sta dicendo questa cosa? Devo
sapere da chi viene un certo posizionamento (spesso il sentire politico è un elemento che c’entra).
Poi bisogna considerare qual è obiettivo della Comunicazione che mi mette in discussione: è far parlare
delle Foibe o buttare merda sulla Shoah? Di solito è la seconda e questo è problematico.
Di fronte a una società che non ha informazioni o ne ha poche su un fatto e sull’altro questo gioco funziona,
perché tenta di avvicinare sul piano demagogico due realtà che se si vanno a studiare hanno delle
differenze.
L’obiettivo di chi vuole entrare in quel dibattito non è dire: «Parliamo di una o parliamo dell’altra», ma
«Parliamo di tutte e due, ma correttamente», sennò si dà un’arma in più a chi ci accusa di certe posizioni
demagogiche a sua volta.
La memoria è in cambiamento continuo.
Proviamo a vederlo dai LUOGHI DELLA MEMORIA  essi sono i luoghi in cui si comincia a costruire un
racconto, in cui si comincia a dare una narrazione delle cose che sono successe da un punto di vista storico.
Nel Museo di Auschwitz in Polonia cosa ci si aspetta di trovare?
Dopo la fine della Guerra, il 27 Gennaio è stato liberato il Campo di Sterminio di Auschwitz e nel 1947 vado
a visitarlo quando esso è già diventato un Museo.
DATI  tra il 1942 e il 1945, il 90% dei deportati sono ebrei di varia nazionalità, i quali vengono mandati lì
per essere sterminati (non è così per tutti i Campi).
Quindi, in base ai dati, dovrei aspettarmi di trovarci il racconto della Shoah ebraica.
5
Invece, entrando nel 1947 in quel luogo, vedo che il racconto non prende in considerazione gli ebrei, bensì
l’eroismo degli oppositori politici polacchi (erano nel campo in una percentuale molto ridotta) morti là
dentro perché si sono opposti al Nazismo  questo è un altro tipo di racconto che mette in ombra il 90%
della storia della deportazione per salvarne un pezzettino.
La scelta della direzione del Museo di Auschwitz non è quella di raccontare lo sterminio degli ebrei ma è
esaltare l’eroicità delle persone che, rischiando la vita e rimettendocela pure, non sono stati dalla parte del
Nazismo e quindi sono finiti in Campi di Concentramento.
Perché la Polonia fa quella scelta dopo fine della Seconda Guerra Mondiale?
- Dopo la Guerra, non era chiara al popolo l’Informazione sullo sterminio ebraico e c’era l’esigenza di
voler andare avanti e parlare di altro;
- Collaborazionismo: una fetta della popolazione aveva collaborato con i Nazisti quindi parlarne
risvegliava il senso di colpa; perciò, era meglio non parlarne;
- Antisemitismo: l’odio per gli ebrei era forte anche allora;
- Tentativo di tenere insieme l’unità nazionale, di dare un racconto  questo racconto sarà basilare
perché la memoria nasce rispetto al contesto in cui si costruisce.
Il contesto della Polonia nel dopoguerra in cui si costruisce quella memoria è un contesto di paesi
orientali sotto il Comunismo (c’è il Socialismo reale, c’è un Progetto sociale diverso).
Il racconto in Polonia in quegli anni, a livello nazionale, ovvero il racconto che si vuole dare ai propri
cittadini per tenerli uniti verso l’obiettivo del Comunismo, è che nel 1945 essi hanno sconfitto il Nazismo,
ma c’è da fare attenzione perché gli stessi concetti nel Nazismo (la sopraffazione dell’uomo sull’uomo) sono
ora dentro il Capitalismo, al quale essi si oppongono; per cui il loro ideale sono gli uomini che si sono
opposti al Nazismo perché gli mostrano la strada per resistere oggi al problema del Capitalismo.
Ciò che gli interessa non è la Shoah ebraica, ma è l’eroismo di chi ha resistito al Nazismo  è un esempio
per il futuro.
Se si aggregano persone intorno a questo racconto, esso prende forza.
Si costruisce l’immagine del nemico rivolta verso l’Occidente capitalista e allo stesso tempo avviene il
processo opposto ovvero l’Occidente identifica il nemico con l’immagine dei paesi orientali comunisti.
Questo porta allo scatenamento della Guerra Fredda che simbolicamente termina nel Novembre 1989 con
la caduta del Muro di Berlino.
Per far capire come cambia la memoria: noi oggi quando parliamo di Shoah ebraica, lo colleghiamo
immediatamente ad Auschwitz? Sì, praticamente sempre; a volte non siamo nemmeno in grado di parlare
di tutto il resto.
Come è avvenuto questo cambiamento epocale? Quando cambia il racconto che tiene insieme le persone?
Dopo il 1989.
Perché il racconto cambia e non ce l’hanno più col Capitalismo? Perché è cambiata la storia. Il Socialismo è
finito, l’URSS che lo rappresentava come elemento simbolico è caduta e dopo poco si dissolve.
Quindi il racconto dell’eroe polacco comunista non è più conveniente a livello sociale  si invertono i
racconti: si mette in ombra il racconto che c’è stato fino a quel momento e si illumina la parte riguardante
lo sterminio ebraico.
Tutto questo perché il contesto sociale è cambiato e la memoria cambia a sua volta.
Il partigiano polacco non ha più appeal verso il racconto sociale perché il Comunismo ha perso; allora si
deve prendere parte a un altro racconto: si ha quindi l’avvicinamento al racconto occidentale.
Parlare di Shoah ebraica significa allontanarsi dalla partecipazione politica rispetto alla storia; questo
perché gli ebrei non sono stati sterminati per la posizione politica che avevano, ma in quanto razza.
Se faccio la storia di qualcuno che non è stato sterminato dal punto di vista politico, io non devo dire come
la penso politicamente. Mi allontano dalla necessità di espormi pubblicamente da un punto di vista politico.
In questo modo mi rivolgo a una MEMORIA DI TIPO EMOZIONALE: chi non parteciperebbe a dolore di una

6
vittima di quel tipo?
Mi richiamo a concetti della Comunicazione diversi.
Dopo il 1989, anche nel Museo di Auschwitz arriva un racconto diverso che è quello della Shoah ebraica.
Oggi quando parliamo di Auschwitz parliamo nella maggioranza dei casi dello sterminio ebraico.
Abbiamo descritto i processi coinvolti a livello sociale quando si costruisce la memoria.
Questo fa capire che la memoria sociale non si costruisce solo a livello personale ma anche a livello sociale,
con i racconti/narrazioni e con quelli che sono chiamati QUADRI DELLA MEMORIA SOCIALE  quando
nasciamo entriamo in un mondo in cui non è che la memoria nasce insieme a noi; noi ci inseriamo in un
contesto sociale in cui la memoria già esiste e diventiamo parte di quella memoria con le nostre posizioni
(posizionandoci dalla parte maggioritaria o minoritaria); ovvero prendiamo parte a quei quadri sociali che ci
permettono, condividendoli, di stare insieme intorno a dei valori e quindi di indicare la necessità di punire
chi non li segue e non sta dentro quei valori condivisi.
La memoria si costruisce insieme al percorso sociale, politico, pubblico.
L’effetto di ciò che succede oggi è dovuto a cose successe nel 1989. Se non ne prendiamo atto e non
capiamo il processo che si è attivato come facciamo a comunicare sulla memoria in maniera formativa?
A un certo punto, il concetto di memoria considerata solo a livello sociale si sposta a livello formativo.
Dove è il rischio della demagogia? Sta nel fatto che se non manovro con competenza questi concetti, non
riesco a fare una Comunicazione competente. Magari ne faccio una apprezzata, ma se poi entro nel campo
del processo formativo non riesco a produrre nulla perché devo limitarmi a messaggi emozionali e non
legati alle conoscenze effettive.
Quindi riusciamo a rendere appetibile anche la necessità di avere informazioni sulla storia e sulla memoria?
Oppure siamo necessariamente fermi al piano emozionale?
Stiamo parlando di MEMORIA COME COSTRUZIONE DI COMUNITÀ.
Nella seconda parte affronteremo il discorso sul Libro “La televisione educativa in Italia”, il quale mostra
come la costruzione di un racconto può passare attraverso vari strumenti mediatici.
La TV ha creato un boom importante quando intorno a metà anni Cinquanta è stata introdotta in Italia.
Vedremo come, mentre si costruisce la Comunità, la TV ci fa fare una storia che è la Comunità di una
costruzione che precipita verso non l’allargamento ma l’individualismo  questo processo di racconto
pubblico con la memoria piano piano si riduce a scelta e a Programmazione individuale fino ad arrivare alla
TV di oggi.
Tema finale  TV coinvolta come strumento di Comunicazione durante l’emergenza sanitaria del COVID-
19.
La RAI ha iniziato una serie di interventi sui canali pubblici volti a sostenere il Progetto formativo della
Scuola.
Ci interrogheremo se quei processi hanno avuto una loro valenza o no e, nel caso, che valenza hanno avuto.
In quel periodo si sprecavano le equivalenze, i rimandi tra le prime esperienze di DID/DAD e le Trasmissioni
del Maestro Manzi “Non è mai troppo tardi”.
C’è un legame tra quella esperienza lì di DAD del Maestro Manzi negli anni Cinquanta/Settanta e quella
sviluppata nell’ultimo anno anche relativamente alla TV?
LEZ. 2 – 17.09
Vedremo i Luoghi della Memoria in vari posti del mondo: approfondimento su Auschwitz per capire di cosa
si tratta e la totalità del racconto (cosa ci si racconta dentro e cosa ha cambiato, nel corso del tempo, il
racconto di quei luoghi).
TRAILER  La Verità negata
Il Film ci aiuta a entrare nel contesto del racconto.
Il Film prende questo nome perché lo sterminio viene preso per una verità assoluta.

7
Nel 1996 la domanda che sia reale ciò che è successo ad Auschwitz o ciò che si è verificato per prepararlo
arriva in un tribunale e se ne discute; e si nega o si potrebbe negare una verità che sembra evidente.
Affrontando questi temi, la grande questione è che di fronte a chi dice «Io metto in discussione cose come
Auschwitz o lo sterminio di altri momenti storici», gran parte delle volte, le persone che affrontano quel tipo
di posizione si appellano a un tema importante dal punto di vista comunicativo e formativo (per potersi
difendere) ovvero: «Io lo metto in discussione e voglio poterlo dire perché in Democrazia c’è Libertà di
Parola e di Espressione».
Questo è un tema fondamentale perché uno dei campi problematici è essere in Democrazia, garantire la
Libertà di Espressione e, in qualche modo, opporsi a derive negazioniste che toccano elementi storici del
racconto sociale che sono invece verificate.
Allora si può dire o no che Auschwitz non è esistito? Di fatto lo si può dire.
Il problema è come si risponde a chi lo dice. Come si risponde normalmente? Questa questione non
riguarda solo Auschwitz.
Seguendo i temi trattati questa settimana è uscita una notizia che riguarda un fatto storico ovvero il
racconto di Piazza Tienanmen.
NOTIZIA  https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2021/09/15/hong-kong-condannati-9-attivisti-per-
veglia-tienanmen_9a9aab57-2490-4a98-af5c-713c52b51215.html
Vediamo questa notizia per capire come si interviene sui racconti della storia e quanto la Comunicazione
c’entri con il racconto della storia.
In tribunale a Hong Kong, qualche giorno fa, sono stati condannati nove attivisti per la veglia di Tienanmen.
IMMAGINE  Essa racconta un pezzo di storia: per noi è una storia piana, appurata,
che possiamo raccontare: c’è stata una repressione violenta, da condannare.
In Cina, il 4 giugno 1989, il Governo cinese reprime con violenza una protesta
attivata dagli studenti e dai lavoratori. C’è in gioco la Libertà di Parola.
Per noi raccontare quella vicenda è fattibile: è la critica al Governo cinese che è
intervenuto con la forza e ha represso nel sangue quella manifestazione.
Invece, a Hong Kong vengono condannati nove attivisti che hanno organizzato una veglia per ricordare
Tienanmen.
Il contesto in cui inseriamo il racconto della memoria cambia il tipo di memoria che possiamo costruire.
Spesso a mettere un freno ai racconti sulla memoria sono Leggi che puniscono chi affronta il racconto in
maniera non gradita ai Governi ovvero a chi detiene il controllo sociale.
Questa cosa della punizione di certi racconti della memoria è un dato importante: naturalmente questa
medaglia ha una doppia faccia: ciò permette di punire chi nega Auschwitz, ma in altri contesti viene punito
anche chi ricorda una manifestazione pacifica repressa nel sangue.
Ognuno di noi a livello sociale, politico, comunitario (di relazioni con gli altri) organizza un racconto di ciò
che possiamo ed è lecito raccontare e di ciò che non è lecito raccontare. Questo può essere basato su fonti
storiche accertate, ma può essere anche preso a pretesto per mettere a margine gruppi che, ad esempio,
voglio contestare certe azioni che si sono svolte da parte di alcuni Governi (ES: dittature).
La memoria è una cosa che ridefinisce sempre quali sono i valori su cui stiamo insieme.
Questo è un esempio evidente di come non si parla di questi problemi solo riferiti ad Auschwitz ma se ne
parla anche riferiti a questioni che riguardano altri luoghi e contesti.
Ci sono tanti racconti problematici.
ES: Tutti noi in Italia condanniamo Auschwitz.
Spostando però la discussione sul Fascismo italiano, la questione si complica, perché, da un lato, esso è un
elemento più vicino alla nostra società, alla nazione italiana e perché, dall’altro lato, su quello si giocano
equiLibri di vario tipo su che tipo di racconto deve essere fatto di quella pagina di storia (c’è chi dice che il
8
Fascismo ha fatto anche cose buone e chi dice che esso si è macchiato del Collaborazionismo per la
deportazione).
A seconda di quale voce utilizziamo, diamo maggiore o minore peso a uno o all’altro racconto e insieme a
questo racconto creiamo dei valori di riferimento.
Dove si gioca questa battaglia di racconto della storia? A livello di Comunicazione.
Perché La Verità negata è un Film importante?  perché si dibatte su un tema che sembrerebbe
intoccabile e che invece, quando viene toccato, ha bisogno di saper essere gestito con delle fonti, con una
argomentazione per poter essere difeso il fatto che Auschwitz si sia verificato e che sia stato uno sterminio.
Come si risponde al fatto che un negazionista dice: «Io voglio Libertà di Parola e se tu non me la dai vuol
dire che non siamo in Democrazia»?
Ci sono vari modi di rispondere.
Nel Libro del professore, sono nominati alcuni casi in cui si è tentato di introdurre una Legislazione apposita
per punire i Negazionisti ovvero c’è una Legge che passa in Parlamento che manda un negazionista in
tribunale e semmai anche in galera.
A livello di Comunicazione, quali sono i vantaggi e gli svantaggi di lavorare su questi temi prevedendo una
punizione per Legge? Che succede quando punisco per Legge qualcuno che ha espresso una posizione
problematica e diversa dalla mia, anzi addirittura falsa?
Questo crea dei problemi o la punizione legislativa è l’unica strada?
Da una parte, se si punisce e basta c’è il rischio enorme di porre attenzione mediatica su quel caso.
Dall’altra parte, c’è il problema che il fatto di punirlo non permette di fare nessun passo avanti sulla
capacità di fare un processo di conoscenza su quei temi: cioè non è stato minimamente preso in
considerazione il piano formativo.
Nel migliore dei mondi possibili, la difesa di una posizione negazionista è minoritaria e perdente perché si
dovrebbe essere riusciti a fare percorsi di Formazione che permettano di difendere già a livello culturale la
posizione opposta (che Auschwitz sia esistito).
Non ci si riesce a fare ciò perché quella Formazione manca.
Allora ci si rifugia nelle Legislazioni punitive (in certi casi necessarie) le quali fanno correre il rischio di
abbandonare totalmente il piano della conoscenza/Comunicazione efficace.
Quando si punisce qualcuno per Legge, da un punto di vista della Comunicazione non si è costruito niente
in positivo.
Questo è un po’ lo stesso tema dentro il quale ci troviamo, ognuno con le nostre sensibilità, parlando di
questioni di oggi  ES: politiche sulla vaccinazione/non vaccinazione: coercizione, obbligo oppure percorsi
formativi che portino le persone ad avvalorare l’idea che vaccinarsi sia necessario, utile e un bene.
Ci troviamo tutti dentro alla scelta di percorsi (complicati) da gestire, che hanno ognuno lati postivi e
negativi.
Dato che è necessario conoscere le cose che sono successe prima di parlarne e comunicarle, vediamo il
primo Luogo della Memoria  AUSCHWITZ
Ad Auschwitz sono morti milioni di ebrei, ma fino al 1989-1990 quel pezzo di storia viene trascurato per
dare spazio a un altro racconto: quello dell’eroismo dei Partigiani polacchi.
CONTESTO ITALIANO: oggi noi di Auschwitz conosciamo quasi tutto e dello sterminio degli ebrei ne
parliamo a Scuola.
Anche in Italia, col tempo, è stato abbandonato il racconto dei Partigiani e della Resistenza al Nazifascismo.
Quel racconto è venuto meno intorno agli anni Novanta per gli stessi motivi che hanno caratterizzato il
cambiamento del racconto dentro Auschwitz: è cambiato il contesto politico, culturale, sociale, quindi è
cambiato il racconto della storia che ci tiene insieme.
Cose inattaccabili, fino alla fine degli anni Ottanta, come la data della Liberazione d’Italia dal Nazifascismo
sono oggi invece questioni dibattute tra chi sostiene che sia una data da conservare e chi sostiene il
contrario.
9
SLIDE  Racconto di Auschwitz: come si sviluppa il racconto in quel luogo e in altri Luoghi della Memoria
Dove è il Campo di Sterminio di Auschwitz? in Polonia
Come mai questa zona (Polonia) diventa un territorio controllato dal Terzo Reich?
L’1 Settembre 1939: scoppio della Seconda Guerra Mondiale  la Polonia viene invasa da un lato dal
Nazismo e dall’altro dall’URSS e il territorio viene suddiviso tra chi l’ha conquistato.
Quella nazione diventa un territorio annesso che è molto utile per individuare luoghi adatti a costruire
Campi di Concentramento. Questo perché è lontano dagli occhi degli europei (tedeschi in particolare),
perché ci sono delle strutture già presenti (a Oświęcim – nome polacco di Auschwitz, così nominato dai
Nazisti – c’era una ex caserma abbandonata che poteva essere riutilizzata).
Quello di Auschwitz non è primo Campo di Concentramento che nasce durante il Nazismo. I primi Campi di
Concentramento in Germania nascono nel 1933, e servivano a rinchiuderci gli asociali (coloro che erano
considerati fuori dal contesto sociale accettabile, come prostitute, barboni, zingari) e gli oppositori politici
In quel periodo non era ancora attiva una politica di deportazione per gli ebrei.
Ci furono fasi diverse che iniziarono ad attuarsi con le effettive deportazioni nel 1938.
Si ha una fase tra il 1933 e il 1938 di deportazione nei Campi di Concentramento che non riguarda la
popolazione ebraica, ma altre categorie considerate un problema per la società nazista.
Nei confronti degli ebrei era già iniziata la persecuzione, ma non ancora la deportazione su base razziale.
La prima idea che si ha di Auschwitz è quella di costruirci un Campo per i prigionieri di guerra, che si
faranno durante la Guerra (non si era ancora deciso di arrivare allo sterminio fisico degli ebrei).
Complesso di Auschwitz
1. Auschwitz I  nasce nel 1940 dall’ex caserma;
Iniziano poi ad essere creati altri luoghi di deportazione e di concentramento:
2. Auschwitz II – Birkenau  nasce dal 1942 un grande complesso di sterminio (definito “Campo di
Sterminio”).
Questo complesso ha le funzioni di:
a. Funzione di Campo di Concentramento
b. Funzione di Centro di Sterminio degli ebrei provenienti dai vari paesi europei
3. Auschwitz III – Monowitz  nasce un altro settore del Campo (è il luogo dove viene imprigionato
Primo Levi, il quale viene utilizzato per le sue esperienze di chimico) che collabora e dà
manodopera schiava alle imprese chimiche che lavorano per i Nazisti.
Nel Gennaio 1942 i Nazisti contano gli ebrei d’Europa sia nei territori conquistati sia in quelli che vogliono
conquistare e decidono per la loro eliminazione fisica, la quale avviene con la nascita del grande Campo di
Auschwitz – Birkenau.
TOUR del Campo di Auschwitz  siamo di fronte al tentativo di visitare un luogo a distanza
1. Auschwitz I  viene ricordato per l’ingresso “Arbeit macht frei”: esso è il primo Campo che nasce
con l’idea di essere un Campo di Concentramento per i prigionieri di guerra;
Le cose cambiano nel 1942 quando i Nazisti decidono di eliminare fisicamente egli ebrei e hanno bisogno di
un modo per farlo. Creano così un Campo di Sterminio:
2. Auschwitz II – Birkenau  simbolicamente è il più importante e uno dei più grandi: esso si trova a
pochi km da Auschwitz I ed è chiamato così perché viene costruito nel vecchio paese che era
all’interno di un bosco di betulle (= Birkenau);
3. Auschwitz III – Monowitz  in questo Campo si lavorava a contatto con le aziende.
Bisogna ricordare che la storia di Auschwitz riguarda anche lo sfruttamento della manodopera schiava fino
alla morte da parte di aziende che producevano e che mettevano in conto il fatto che quella manodopera
costava poco e quindi la utilizzavano perché era conveniente farlo, abbandonando qualsiasi riferimento
etico.

10
Questo ci permette di avvicinare a noi la storia e di riportarci su temi che ci riguardano: oggi succede che si
abbandonino riferimenti etici e si possa finire, in nome della produttività, per attivare processi che
prevedono l’eliminazione di persone sfruttate come lavoratori?
Tendenzialmente si, succede ogni volta che qualcuno viene sfruttato per produrre prodotti che noi
utilizziamo oggi e che sono costruiti con elementi che prevedono lo sfruttamento lavorativo di qualcuno
quando vengono poi assemblati.
Questi temi non sono distanti da noi, anzi stanno dentro il racconto della Comunicazione e, se usati nel
modo giusto, ci permettono di attivare tramite la Comunicazione l’aspetto formativo.
Perché questo ci riguarda ancora oggi?
ES: Facciamo finta di avere un’azienda che produce solo i puntatori dei caccia che sparano/scaricano
bombe in una zona di guerra uccidendo civili.
L’operaio che produce il mirino è responsabile del fatto che poi esso venga usato per uccidere qualcuno
oppure no? Un operaio che fa un pezzo di una bomba è responsabile poi della bomba che scoppia in un
luogo lontano da noi?
Non c’è una risposta univoca. Ognuno deve trovare la sua risposta e questo implica confronto.
Questo esempio permette di riflettere su alcune cose utili per attivare il tipo di Comunicazione/percorso
formativo che possiamo fare su questi temi.
N.B. Auschwitz – Birkenau come luogo nasce non perché non stavano già uccidendo gli ebrei, ma perché
l’eliminazione che era attiva fino ad allora avveniva tramite la fucilazione di massa.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, c’erano delle squadre speciali che si muovevano accanto all’esercito
nazista e avevano il compito specifico di eliminare fisicamente, ogni volta che l’esercito di fermava in un
luogo e l’aveva conquistato, le popolazioni considerate inferiori.
Queste persone erano quelle che creavano problemi dal punto di vista politico ovvero i Comunisti
(momento in cui l’esercito si muove verso la Russia), gli zingari e gli ebrei.
L’uccisione di massa creava grandi problemi a chi doveva farla. Perché?
Il Libro “Uomini comuni” dello storico Christopher Browning ne parla: racconta la storia di uno di questi
gruppi speciali composto da padri di famiglia, i quali vengono richiamati dopo lo scoppio della Guerra (essi
sono i riservisti: coloro che non sono più in età da esercito ma vengono chiamati quando ce n’è bisogno).
Questi riservisti si ritrovano nel Battaglione 101 con il compito di eliminare fisicamente gli ebrei: arrivano
nei villaggi popolati da ebrei e ne uccidono a centinaia ogni giorno.
Questa è una pratica non semplice da reggere dal punto di vista personale: per farglielo tollerare, spesso si
utilizzano l’alcool, ricompense e lo spirito di corpo (cioè quel messaggio che ti fa percepire che se tu fai
quella cosa lì la fai perché vuoi far parte del gruppo, vuoi essere dalla parte di chi elimina quelle persone
che vengono descritte come un problema per la società; quindi sei convinto di fare qualcosa di positivo).
Lo sterminio diventa piano piano un elemento burocratico.
I Campi di Sterminio nascono per evitare questo peso alle persone che avrebbero avuto il compito di
eleminare quella gente.
Quindi, si crea un luogo dove si inseriscono delle camere a gas che rendono la morte percepita in modo più
distante, perché innanzitutto non si spara alle persone e poi perché ad accompagnarle dentro non sono i
Nazisti, ma gli stessi prigionieri ebrei, obbligati ad accompagnarli dentro e a svuotare poi la camera a gas.
La domanda che veniva fatta a chi partecipò allo sterminio era: «Ma tu hai ucciso qualcuno?».
Coloro che avevano semplicemente osservato la morte nelle camere a gas, senza sparare o accompagnare
nelle camere a gas nessuno, limitandosi a eseguire gli ordini di imporre ad altri deportati di mettere dentro i
loro compagni e poi di svuotare le camere dicevano: «Io non ho fatto niente. Non li ho mica uccisi io».
C’era la divisione capillare dei compiti, per cui ogni volta che ci si trovava di fronte alla domanda: «La
responsabilità è tua?», la catena degli ordini che portava alla morte di quelle persone era talmente lunga
che ciascuno poteva sempre dire che la colpa era di qualcun altro.

11
Hannah Arendt racconta nel Libro “La banalità del male” il più importante processo, a livello mediatico, che
si svolse ai danni del grande Gerarca nazista Adolf Eichmann.
La storia è ambientata negli anni Sessanta, quando la giornalista va a Gerusalemme a scrivere degli articoli
sul processo Eichmann. L’uomo aveva organizzato tutti i convogli che avevano gestito le deportazioni in
tutta Europa. Egli era poi fuggito in Argentina sotto falso nome, ma era stato poi rintracciato dai Servizi
Segreti israeliani e portato a processo a Gerusalemme, dove venne condannato.
La sua difesa al processo è molto interessante perché nonostante avesse deportato nei Campi di Sterminio
milioni di persone, egli si difendeva dicendo: «Io fisicamente non ho ucciso nessuno» ed era vero.
C’è in gioco il tema della responsabilità personale.
Di questa storia ci interessa questo processo così moderno che fa di certi temi delle possibilità di riflessione
tanto dal punto di vista della Comunicazione quanto da quello della Formazione.
La domanda di fondo è sempre la stessa: «Quello che decido e faccio qui provoca delle conseguenze in altri
luoghi e magari la morte di qualcuno?».
ES: Gli Accordi in Libia, firmati dal Governo italiano, provocano o no quello che succede nel Mar
Mediterraneo quando affondano le barche o quando qualcuno riesce a fuggire e viene poi sottoposto alla
tortura nelle carceri della Libia?
Non c’è una risposta univoca, ma da questo punto di vista, l’elemento di come e di cosa comunico e gli
elementi che sono in gioco nella Comunicazione sono decisivi per il tipo di messaggio formativo che voglio
portare all’esterno.
Ciascuno può dare la propria risposta a quella domanda; a seconda della risposta che do e del messaggio
che decido di dare all’esterno, io produco un tipo di memoria e di racconto che ha messaggi diversi e do
una lettura dei fatti che porta a messaggi diversi.
_______________________________________________________________________________________
Tornando ad Auschwitz, oltre a questi Campi c’erano 45 sottocampi tutti dipendenti da Auschwitz.
Questo complesso molto grande si sviluppava interessando circa 40 km2 di territorio (Interessengebiet).
Questa area era disseminata di Campi di Concentramento e, dal 1942, Campi di Sterminio
Ad Auschwitz – Birkenau c’erano le baracche perché era un Campo misto:
 L’80% delle persone che arrivavano lì venivano eliminate immediatamente: soprattutto anziani,
donne e bambini;
 Il 20% dei deportati invece venivano indirizzati e registrati nel Campo per essere sfruttati come
manodopera schiava per il lavoro che serviva per la Guerra al Terzo Reich.
Il Campo di Auschwitz III – Monowitz somiglia a delle fabbriche.
Grandi aziende lavoravano in stretta connessione con questi Campi per sfruttare la manodopera schiava.

Il discorso non era nemmeno l’odio razziale verso gli ebrei, ma il fatto che quelle persone venivano pagate
molto meno di un operaio normale. E il minimo di paga che veniva data non veniva riscossa dai deportati,
ma dal sistema dei Campi che ne assorbiva anche quella parte di guadagno.
Le questioni su cui si potrebbe ragionare da un punto di vista comunicativo rispetto a questa storia sono
molte e complesse.
Auschwitz, da un punto di vista comunicativo, è un esempio interessante che diventa il simbolo per tutti.
N.B. C’erano molti altri Campi di Concentramento, ma Auschwitz diventa simbolicamente il più riconosciuto
e quello verso il quale si rivolgono le attenzioni dei Negazionisti.
Questo perché: «Se riesco a smontare il racconto di Auschwitz, ho smontato l’intero racconto sulla
deportazione e lo sterminio, perché simbolicamente quell’entrata rappresenta il tutto. Se riesco ad
attaccare e mettere in discussione quello, metto in discussione tutto il racconto di quello che è successo,
anche se ci sono centinaia di altri luoghi di concentramento».
Chi erano le persone che arrivavano nel Campo?
Il primo convoglio arriva ad Auschwitz I il 14 giugno 1940 con 728 prigionieri politici polacchi che vengono
12
dalla prigione di Tarnów.
Le categorie di persone deportate includono preti e professori  i primi verso i quali i Nazisti si rivolgono
per toglierli di mezzo sono coloro che hanno un minimo di cultura e di contatto con la popolazione e che
possono essere una guida per loro. Esse sono considerate le persone più pericolose: possono indirizzare
all’opposizione di quella che è l’ideologia nazista e quindi vengono arrestati come oppositori e tolti di
mezzo mandandoli in un Campo di Concentramento.
Il Nazismo cosa comunicava di quelle persone? Che tipo di messaggio dava sui giornali, nei contesti sociali
per giustificare il fatto che questa gente spariva dai luoghi in cui abitava?
Quindi si doveva giustificare e convincere le persone che fosse giusto che queste venivano arrestate e
mandate via.
Il messaggio che veniva trasmesso era che si trattava di persone pericolose, che andavano contro il regime
e che andavano arrestate perché erano un contributo negativo alla società.
Vi sono due processi che funzionano dal punto di vista comunicativo:
- Paura  il messaggio comunicato tramite l’arresto e l’invio di queste persone verso i Campi di
Concentramento è: «Attento, se fai come loro poi tocca anche a te»;
- «Questa è gente pericolosa, non deve stare in mezzo a noi»  ciò funzionerà ancora di più quando
verrà rivolto verso i malati psichiatrici – descritti come un peso per la società –, i rom, gli ebrei –
descritti come il male assoluto, un bacillo per la società e quindi è un bene per la società eliminarli.
La particolarità di questa Comunicazione è che non dicono che hanno un’opera di distruzione e sterminio,
ma raccontano che chi toglie di mezzo questi gruppi fa qualcosa di positivo: si fa passare quell’azione come
un’azione positiva  questo è il messaggio che viene costruito.
Questo è il processo di tutte le ideologie totalitarie, non si dice che si sta uccidendo qualcuno ma che si sta
facendo un favore all’umanità perché si tolgono di mezzo soggetti che sono un problema.
DEPORTAZIONE ad Auschwitz
- Dal 1940 al 1945 furono deportate circa 1.300.000 persone;
- Circa 1 milione sono ebrei;
- Circa 140/150 mila sono oppositori politici polacchi;
- 23 mila sono Sinti e Rom (zingari);
- 15 mila sono prigionieri di guerra russi;
- Circa 25 mila sono di altre nazionalità.
DEPORTAZIONE EBREI EUROPEI
- Circa 430 mila ebrei dall’Ungheria;
- Circa 300 mila dalla Polonia;
- Circa 69 mila dalla Francia;
- Circa 7.500 dall’Italia  la deportazione si attiva da dopo il 1943 al 1945.
Fino all’8 Settembre 1943 la deportazione dall’Italia non è ancora avviata: servirà l’Armistizio, la
ricostituzione della Repubblica di Salò per veder iniziare la deportazione.
Il 2 Luglio 1947 c’è l’apertura ufficiale del Museo statale di Auschwitz – Birkenau.
C’è un aspetto di narrazione/Comunicazione da considerare.
Nel 1947 chi voleva aprire luogo dedicato a memoria di un luogo in cui c’era stata la deportazione e lo
sterminio? Quasi nessuno; gli unici che volevano farlo erano gli stessi deportati.
I sopravvissuti dei vari Campi percepiscono subito che sia urgente creare dei Luoghi di Memoria.
Il resto della società legge quella vicenda in modo diverso: è finita la Guerra, c’è stata la distruzione in gran
parte d’Europa, c’è stata la sofferenza, tanti hanno perso persone a loro care
Questa storia specifica della deportazione delle persone viene paragonata al resto e si punta soprattutto a
lasciarsela alle spalle, a riorganizzare il futuro e andare avanti senza raccontarla.

13
I primi Luoghi di Memoria nascono grazie alla consapevolezza dei deportati.
Ciò, in Polonia, porta all’istituzione del Museo statale di Auschwitz – Birkenau.
L’apertura avviene per una Legge polacca del 2 luglio 1947 che commemora il: “martirio della nazione
polacca e di altre Nazioni”.
Si tiene l’obiettivo puntato su quello che ha significato per la Polonia. Ci sono delle motivazioni per le quali
in quel momento non interessa raccontare la Shoah.
IMMAGINI  della mostra organizzata nei primi anni nel Museo:
- Contenitori col veleno per le camere a gas;
- Vestiti dei prigionieri;
Tra essi riconosciamo la simbologia ebraica, ma non era percepita come: «Vi raccontiamo la storia della
popolazione ebraica che è arrivata qui per essere sterminata».
La storia degli ebrei era messa nell’insieme di un racconto che veniva narrato come “lo sterminio di milioni”,
mettendo tutte le categorie insieme.
C’è una scelta comunicativa dieto a questo: qual era il motivo per cui ci si organizzava così nel racconto?
La Direzione del Museo diceva: «Io non voglio usare nel mio racconto del Museo le stesse categorie che
usavano i Nazisti; narro dello sterminio/deportazione ma non faccio categorie e soprattutto non riprendo
quelle categorie utilizzate dai Nazisti».
L’idea del Museo è quella di dare l’immagine della monumentalità e della numerosità e dei milioni di
persone che sono scomparse dopo quegli eventi, senza andare nello specifico delle categorie  questa è la
scelta della narrazione che viene fatta in quel periodo storico.
- Valigie con i nomi;
- Scarpe;
- Oggetti delle persone disabili;
- Oggetti di vita quotidiana che le persone, non sapendo la fine a cui erano destinate ma pensando di
andare lì per lavorare, portavano con sé per fare una vita, lontana dal luogo in cui abitavano, che
pensavano potesse trascorrere lavorando in maniera normale.
Nascerà poi all’interno del Museo statale di Auschwitz, a Birkenau, un monumento per ricordare tutte le
nazionalità di coloro che vennero deportati.
«C'è solo una cosa peggiore di Auschwitz stesso… e cioè che il mondo si dimentichi che c'era un posto così»
cit. Henry Appel, sopravvissuto ad Auschwitz
Per dare valore a queste cose, non basta utilizzare il simbolo a livello emotivo, ma piano piano si percepisce
che tipo di Formazione serve per entrare in questo contesto sia dal punto di vista comunicativo che
formativo.
Abbiamo attraversato il Museo di Auschwitz. Poi dal 1989 questo racconto cambia perché cade il Muro di
Berlino e finisce il Socialismo Reale, la Guerra Fredda e anche un modo di raccontare il mondo
contrapposto tra Capitalismo e Socialismo.
In Polonia, paese satellite dell’URSS, il racconto che era stato fatto per dare valore ad Auschwitz era: «I
nostri eroi Partigiani hanno combattuto il Nazismo, sono stati deportati e sterminati ma poi abbiamo vinto;
e questo deve essere da esempio nella nostra lotta contro il Capitalismo». Questa è la nuova lotta che
affrontano da lì fino alla caduta del Muro di Berlino (simbolo importante, con la sua caduta cade anche
significativamente quel riferimento politico che diventa problematico ovunque).
In Italia, dopo il 1989, cominciano a essere messe in discussione le immagini dei nostri Partigiani che hanno
fatto la Resistenza contro il Nazifascismo (mentre prima erano un simbolo della Resistenza).
Dagli anni Novanta, escono Libri che fanno ragionamenti particolari dal punto di vista comunicativo. Uno di
questi è “Il sangue dei vinti” di Gianpaolo Pansa.
L’autore sostiene che è il momento di raccontare la storia anche dal punto di vista di chi la Guerra l’ha
persa. Infatti, il Libro cambia approccio nei confronti della storia della Resistenza italiana e dice: «Certo che

14
ci sono stati Partigiani, ma anche loro si sono macchiati di crimini. Hanno ucciso Fascisti spesso in maniera
crudele, a volte immotivata».
Egli mette in moto una critica molto profonda alla storia dei Partigiani. Cosa che prima del 1989 sarebbe
stata poco recepita dal pubblico, poco plausibile.
La caduta del Muro di Berlino e del riferimento storico del Socialismo fa sì che quel racconto possa
cominciare ad essere preso come punto di riferimento da alcune forze politiche.
Comincia una contrapposizione forte, esistente ancora oggi, tra chi continua a difendere la figura del
Partigiano resistente che ha liberato l’Italia dal Nazifascismo e chi mette in discussione quella vicenda,
dicendo che anche dall’altra parte ci sono state delle vittime.
Ciò che avviene in Polonia avviene in tutti i Paesi d’Europa cioè la storia dell’eroismo dei Partigiani comincia
ad essere attaccata e il racconto pubblico della memoria si rivolge da un’altra parte: si rivolge a un racconto
di memoria che è soprattutto il recupero della Shoah ebraica.
Essa, in molti luoghi, era stata dimenticata, ma la si inserisce all’interno del racconto storico perché non ha
necessità di chiedere a qualcuno di prendere parte politicamente al racconto.
Raccontare quello sterminio di stampo razziale va più verso una partecipazione empatica a quella
costruzione di memoria rispetto a quanto precedentemente si faceva: quando si parlava di Partigiani c’era
una partecipazione politica; parlando di sterminio raziale si attiva una partecipazione empatica/emozionale.
È lo stesso tipo di processo che permette a chi vuole mettere in discussione i Partigiani di dire: «Allora se
parlate di vittime inermi, dobbiamo vedere che anche dalla parte del Fascismo c’erano vittime inermi».
E quindi si cerca di costruire una memoria che sia condivisa cioè che metta d’accordo un po’ tutti, valutando
poco le responsabilità storiche e basandosi soprattutto sulla partecipazione empatica verso una memoria
che non chiama più in causa gli aspetti storici e politici.
_______________________________________________________________________________________
Cambiando nazione, luogo e contesto sociale, cambia anche il racconto della memoria  ISRAELE
La nascita di Israele è la nascita di un territorio che prende corpo e comincia ad essere riconosciuto dopo la
Seconda Guerra Mondiale e ha uno stretto contatto, un profondo legame con le Comunità ebraiche.
Questo luogo ha un suo racconto della memoria diverso da quello che si era sviluppato in Polonia.
Il contesto in cui si sviluppa la memoria è un contesto sociale e ha a che vedere con la composizione della
popolazione che ci vive.
È evidente che quando si inizia a pensare alla costruzione di un Luogo della Memoria in Israele, per
ricordare le vicende dello sterminio di Auschwitz, al centro di questo luogo c’è il racconto/narrazione della
Shoah ebraica.
Quell’elemento storico non ancora riconosciuto in Polonia negli anni precedenti è vivo dentro le Comunità
ebraiche, di cui la Shoah è una parte fondante della loro storia.
Le prime idee di costruire un luogo di questo tipo erano già sorte, all’interno delle Comunità ebraiche, a
partire dagli anni Quaranta, in prossimità della fine della Guerra.
Il luogo in Israele fondamentale per la Memoria e il ricordo della Shoah ebraica si chiama YAD VASHEM.
Questo Luogo di Memoria nasce per ricordare lo sterminio degli ebrei, sebbene i fatti non siano avvenuti lì:
si fa un percorso di partecipazione e di conoscenza di ciò che è avvenuto.
Qual è il concetto su cui nasce questo luogo?  Il luogo vuole riportare ad avere un nome e cognome e una
storia tutti i 6 milioni di ebrei che sono scomparsi durante la persecuzione e lo sterminio nazista.
Yad Vashem è quindi un Archivio, che è stato costruito per contenere tutte le schede delle 6 milioni di
persone ebree scomparse durante quel periodo storico.
Quel luogo contiene tutte le 6 milioni di schede? No, ne contiene 2 milioni e poco più; perché sappiamo che
una delle cose fondamentali da raccontare di quella vicenda è la storia di persone che sono totalmente
scomparse senza lasciare traccia.
Quando i Nazisti perdono, essi cercano in molti luoghi (Auschwitz compreso) di eliminare le prove del
crimine e quindi bruciano i documenti e fanno saltare in aria le camere a gas.
Per alcune delle persone eliminate si ritrovano delle tracce, ma per tante altre non si trova più niente.
15
Il messaggio che viene lanciato da questo Archivio, anche se mancano tante delle storie di quelle 6 milioni
di persone, è: «Attenzione, abbiamo perso tutte le storie e quindi anche tutte le generazioni successive che
ci potevano essere a quelle persone e ve lo comunichiamo simbolicamente con questo Archivio che in parte
è vuoto».
Nel fare questo l’Archivio fa una cosa che è l’opposto di quello che avveniva ad Auschwitz nel primo
allestimento del Museo.
Yad Vashem nasce per dare seguito e narrazione alle singole storie delle singole persone; non vuole dare
l’idea dei milioni, ma vuole dare l’idea che ciascuno di quei milioni era una persona e aveva una sua storia.
Questo va a toccare il canale empatico: è un processo utile nella Comunicazione per avvicinare a queste
storie (a cui va aggiunta poi la conoscenza storica, la riflessione).
Yad Vashem costruisce un percorso che dice: «Recuperiamo la storia di ogni singola persona a partire da
una cosa simbolica fondamentale».
Quando le persone entravano in un Campo, diventavano pezzi e smettevano di avere un proprio nome; ad
Auschwitz, diventavano un numero tatuato sull’avambraccio.
Il tentativo è quello di uscire dal racconto del pezzo con un numero e di ricondurlo a essere riconosciuto
come essere umano.
È inoltre il tentativo di ritornare a percepire la singolarità delle persone dentro a questo immenso gruppo di
milioni di persone deportate ed eliminate.
Lì, come in altri luoghi della Memoria, vengono conservati anche piccoli foglietti che i deportati avevano
lanciato dai treni della deportazione per tentare di comunicare con i propri cari e fargli sapere dove erano.
Tutto questo rimanda al grande contesto della Comunicazione.
Oggi, come tutte le materie, anche la storia o trova chiavi di lettura che le permettono di arrivare a essere
comunicata nel miglior modo possibile, a più persone possibili, in una maniera più corretta possibile, con la
capacità di avvicinare le persone a questi racconti o sennò difficilmente diventa un elemento che resta vivo
all’interno delle nostre società.
Invece, questo processo ricostruito in questo modo ci permette di percepire quanto ha a che fare con
quello che raccontiamo oggi.
Il racconto di Auschwitz quando cambia?  c’è stato un momento fondamentale per questo cambio di
narrazione.
Un ruolo fondamentale lo ebbe la visita di Papa Giovanni Paolo II (polacco) che per la prima volta, alla fine
degli anni Settanta (anni in cui ci si avvicinava alla fine del Socialismo), andò ad Auschwitz e fece un’omelia,
che venne trasmessa in televisione e di fronte a molte persone polacche che si recarono in quel luogo per
assistere alla Messa.
Nell’omelia, egli inserisce due figure Padre Massimiliano Kolbe (prete che viene deportato e che si dà al
posto di un altro prigioniero per essere ucciso) e Edith Stein (suora ebrea).
La figura della suora gli permette di ricordare due cose: «Certo che Auschwitz era il luogo dei polacchi e del
martirio dei polacchi che si erano opposti al Nazismo ma era anche il luogo dello sterminio ebraico».
Vi è una grande attenzione mediatica nel momento in cui un Papa polacco va ad Auschwitz a raccontare la
storia che riguarda anche gli ebrei.
Il Giardino dei Giusti  sezione del Memoriale di Yad Vashem dedicata alla memoria e alla sepoltura delle
persone che, rischiando la propria vita, salvarono vite di ebrei durante il periodo del Nazismo (Oscar
Schindler fu uno di quelli).
LEZ. 3 – 21.09
N.B. Memoria è contesto sociale, contesto politico, contesto di costruzione dei racconti, narrazione.
La Memoria quando si costruisce dipende dal contesto sociale.
Per adesso abbiamo visto due Luoghi della Memoria: Auschwitz e Yad Vashem.
Stiamo facendo un grande tour per vedere il racconto e cosa racconta.

16
1. Auschwitz in Polonia  c’è stato un grande cambiamento che ci ha portato a ragionare della divisione
del mondo in due blocchi: quello orientale del Socialismo Reale e quello occidentale del Capitalismo.
Questo si ha fino alla Guerra Fredda, almeno fino alla caduta del Muro di Berlino nel 1989, che fa
cadere le realtà del Socialismo Reale: l’immagine più forte è quella dell’Unione Sovietica.
Il racconto di Auschwitz fino a quel momento era stato un racconto legato all’eroismo polacco politico;
poi si cambia il racconto e quindi anche il tipo di mostra che viene proposta e si affaccia la Shoah
ebraica.
2. Yad Vashem in Israele (nazione giovane, nata nel secondo dopoguerra)  esso è un luogo diverso da
Auschwitz: innanzitutto perché il memoriale, che viene immaginato per la prima volta nel 1946-1947,
ha la caratteristica di tenere al centro il racconto ebraico, perché Israele è fortemente legata alla storia
delle Comunità ebraiche, è il loro territorio.
N.B. La politica c’entra con il racconto.
La costruzione di quel luogo viene interrotta perché scoppia il conflitto arabo-israeliano: è il grande
problema del riconoscimento dello Stato palestinese e tutto ciò che ne consegue, con lo spostamento e
l’occupazione delle terre che erano state lasciate ai Palestinesi che poi vengono occupate.
Questo cambia la situazione geopolitica di quella zona  anche questo tema influenza il racconto.
ES: Pensate sia semplice parlare a un ragazzo palestinese che è arrivato qui del tema ella Shoah ebraica?
No, non lo è, perché nella vicenda che ha vissuto e nella memoria storica del suo popolo/Comunità, quel
rapporto con Israele e con la storia ebraica è problematico, perché per lui significa ricollegarsi alla storia del
proprio Paese e della propria famiglia.
Quindi, per un ragazzo palestinese affrontare il tema della Shoah ebraica nella Comunicazione non sarebbe
facile, per tanti motivi, anche di violenze subite e di cose che riguardano il presente di queste persone.
C’è una divisione interessante di Yad Vashem che porta a considerare anche il Giardino dei Giusti: un luogo
che vuole fornire un messaggio rispetto a quello che va ricordato e le vicende di coloro che hanno
partecipato attivamente a quel pezzo di storia.
SITO  https://www.yadvashem.org/
Esso letteralmente vuol dire “un memoriale e un nome (eterno)”.
L’impegno di Yad Vashem è quello di ritornare a raccontare la storia personale, singolare di tutte quelle
persone scomparse durante la Seconda Guerra Mondiale per la persecuzione e lo sterminio.
L’Archivio circolare è uno degli elementi fondamentali del luogo con un messaggio sottinteso: non tutte le
persone hanno recuperato un proprio nome e cognome perché molte di quelle che sono state le prove del
crimine commesso sono scomparse.
Yad Vashem si basa sull’idea di costruire un luogo dove si racconta la storia delle singole persone, non più la
storia di milioni di persone scomparse, ma dice: «Ogni persona ha una storia che deve essere recuperata».
C’è un passaggio importante sul tema dell’impegno personale.
La domanda che pone sottintesa è: «Perché questo è successo?», «Ci sono state persone che hanno cercato
di evitarlo?»
A questo tema è dedicata una parte del Memoriale chiamata il Giardino dei Giusti.
Qual è il messaggio a livello sociale, comunitario, di memoria? È il tentativo di dire: «Chiunque abbia
tentato, mettendo a rischio la propria vita, di salvare anche una sola vita di un ebreo perseguitato, ha diritto
ad essere ricordata nel Giardino dei Giusti».
All’inizio ogni persona veniva ricordava piantando un albero di Carrubo: una pianta i cui semi danno frutti
molto nel futuro (ci vuole molto tempo per avere i frutti di quell’albero).
Il simbolo che si vuole trasmettere è che  anche una sola vita salvata permette di garantire la vita alle
future generazioni; quindi, una sola vita salvata ne ha salvate centinaia perché significa aver permesso a
quella persona di vivere nel mondo, di avere figli, una famiglia e di continuare a essere presente.
Oggi, non essendoci più spazio per piantare alberi, i nomi dei Giusti tra le Nazioni vengono scritti su dei muri
all’interno del Giardino (essi diventano una scritta su dei muri all’interno del Giardino).
17
Il Giardino è fatto di alberi, di scritte e di muri che ricordano con delle incisioni i nomi delle persone che
sono i Giusti tra le Nazioni.
Tra le tante persone ricordate là dentro tra i Giusti delle Nazioni c’è Oscar Schindler. C’è anche un ciclista
toscano (di Firenze) ovvero Gino Bartali, sulla cui storia c’è molta discussione/dibattito (anche se a livello
comunicativo è passato in maniera molto forte).
Bartali correva e quando faceva gli allenamenti, nel tubo del sellino, inseriva i documenti falsi che
permettevano agli ebrei nella zona toscana di scappare e di rifugiarsi altrove.
Il riconoscimento è avvenuto, ma ci sono alcuni storici che dicono che sono molto pochi, anzi quasi assenti, i
documenti e le testimonianze che provano questa vicenda.
Siamo sempre immersi in un doppio gioco in cui memoria non è solo quello che viene provato dai
documenti, ma è anche ciò che riesce a diffondersi all’interno della Comunità tramite il canale
comunicativo.
Scegliere di aiutare le persone durante il Nazifascismo era fuori dalla Legge, ma anche sconveniente; perché
chi denunciava la presenza di un ebreo in una casa ne ricavava sia soldi, sia le case di chi veniva deportato
(le case che restavano vuote venivano poi ridistribuite tra chi stava dalla parte del Regime).
VIDEO  Moshe Beijski e il Giardino dei giusti di Gerusalemme
Sentiamo il racconto di uno dei testimoni ebrei salvati da Oscar Schindler.
Egli è il presidente della Commissione di Yad Vashem che ha trovato 20 mila Giusti nel mondo e si è battuto
per riconoscere il merito della gente comune.
Egli è a capo del gruppo che doveva decidere chi fossero i Gusti tra le Nazioni: una delle ultime storie di cui
si è occupato è quella di Giorgio Perlasca.
Storia  egli era stato salvato da un polacco che lo aveva ospitato, nascondendolo, poi era tornato nel
ghetto; il ghetto venne poi distrutto e vennero tutti deportati vicino a Cracovia, nel Campo di
Concentramento di Kraków-Płaszów. A quel punto lui venne messo nella lista di operai di Schindler e riuscì
a salvarsi.
Obiettivo  creare il Giardino dei Giusti e dare memoria, non a chi ha subito la deportazione, ma a chi ha
aiutato persone perseguitate salvando loro la vita.
Interrompiamo il nostro viaggio a livello internazionale attraverso i Luoghi di Memoria.
Stiamo seguendo un filo cronologico (le datazioni):
- Auschwitz (simbolo): primo Luogo di Memoria che nasce nel 1947 per volontà degli stessi deportati.
Poi anche la Politica dà vita a una Legge nel 1947 che fa aprire il Museo statale di Auschwitz.
- Yad Vashem: la Legge che lo istituisce è del 1953 in Israele. Esso viene aperto effettivamente nel
1956 e nel 1960 apre la parte del Giardino dei Giusti.
Ci fermiamo perché c’è un passaggio importante dal punto di vista culturale della Comunicazione e
Formazione.
Compiamo un salto ora che ci porta a considerare le storie del nazista Adolf Eichmann, che scampò alla
giustizia per diversi anni prima di essere arrestato.
Egli era il responsabile dei trasporti per la deportazione. Era considerato una persona molto meticolosa:
aveva annotato sui suoi taccuini tutti gli spostamenti degli ebrei e non solo da inviare verso i Campi di
Concentramento e di Sterminio in tutta Europa.
Questi treni viaggiavano spesso verso Est, vero i territori conquistati dal 1939 in poi.
Egli non affrontò il Processo di Norimberga, il quale vuole prendere in considerazione le responsabilità dei
Gerarchi Nazisti perché era riuscito a scappare e arrivare in Argentina.
Aveva cambiato nome e aveva preso il cognome di Ricardo Klement.
Egli lavorava in Argentina, dove si nascose per molto tempo e paese in cui non c’era l’estradizione  non
c’erano accordi internazionali che anche se fosse stato rintracciato, fosse possibile mandarlo a fare il
processo in Germania, là dove aveva commesso reati.
A tradirlo fu una frequentazione del figlio. Una sera egli uscì con una ragazza, alla quale rivelò il suo vero

18
cognome. La ragazza era però di origine ebraica e il padre era uno di quelli che si era rifugiato in Argentina
per scappare dalle persecuzioni.
La notizia arrivò ai Servizi Segreti israeliani che iniziarono a progettare come fare a prelevare l’uomo, senza
che ci fosse l’estradizione quindi non attraverso la Legge ordinaria, e portarlo a processo.
Arrivarono degli uomini dei Servizi Segreti israeliano in Argentina, i quali lo aspettarono alla discesa del bus,
lo fermarono e lo identificarono. Lo portarono poi via sedandolo e prendendo un volo privato.
Egli arrivò a Gerusalemme, luogo dove nel 1960 si svolge il primo (uno dei primi che diventa elemento di
mediaticità) e più importante processo mediatico e si intitola Processo di Gerusalemme o Processo
Eichmann.
Il processo diventa importante perché viene raccontato sulle pagine del quotidiano New Yorker dall’inviata
Hannah Arendt, la quale prenderà questi scritti e da lì nascerà il Libro La banalità del male.
È importante il cambiamento che si sviluppa dal Processo Eichmann in poi, a livello sia comunicativo, sia
formativo.
Che tipo di difesa tenne Eichmann quando si presentò a processo?  la sua linea di difesa fu quella:
«Guardate che io fisicamente non ho ucciso nessuno: ho solo firmato delle carte». E aggiunse: «Io in realtà
sto pagando perché sono stato suddito di un Governo che ha perso la Guerra, cioè non mi potevo sottrarre a
ciò che mi veniva ordinato».
Questa linea di difesa è interessante, perché riguardo al tema della responsabilità, ci dice che quest’uomo sì
aveva firmato tutti i fogli che portavano e conosceva le destinazioni dei deportati che aveva fatto mettere
sui treni della deportazione.
Ma nella linea di difesa il punto più forte era: «Io non ho fatto niente. Ho solo obbedito a degli ordini
Ricoprivo una posizione di rilievo, ma avevo comunque sopra di me una catena di comando e se io non
avessi obbedito avrebbero fatto fuori pure me».
Non era facile scardinare questa linea di difesa, però era necessario capire come rapportarcisi.
L’omicida è qualcuno che mette fine alla vita di qualcun altro  c’era l’elemento dei numeri: si parlava di
milioni di persone.
Che risposta dette il tribunale a questo tentativo di difesa?
Gli elementi che nacquero nel periodo dei grandi processi furono due, a livello legislativo, per parlare di
quei temi di cui mai si era parlato (perché mai si era verificato un tale evento e tanto numeroso, con
immense responsabilità a livello internazionale):
1. Elemento del Genocidio
2. Elemento del Crimine contro l’umanità
GENOCIDIO  se immaginassimo l’umanità come composta da tanti tasselli, chiunque tenti di eliminare
dall’umanità anche un solo tassello del mosaico è accusato del Genocidio, per qualsiasi motivo.
Il Genocidio è il tentativo di eliminare fisicamente un intero gruppo (etnico, religioso, politico, ecc.).
CRIMINE CONTRO UMANITÀ  era evidente che chi si macchiava di un simile obiettivo non era colpevole
solo di fronte alla singola persona che veniva eliminata e neppure solo di fronte alla sua famiglia, ai suoi
eredi. Era un crimine che colpiva l’intera umanità perché privava l’umanità della sua varietà.
Questi due elementi nascono nel momento in cui si riflette su questi temi. E nascono in quel momento
perché erano di fronte a un elemento nuovo, mai considerato.
Sappiamo che l’elemento del Genocidio verrà discusso e utilizzato tanto per vicende precedenti, quanto per
vicende successive.
ES: Quando si è riverificato un Genocidio? (c’è una discussione sul se un dato evento è stato un Genocidio)
Negli Anni Novanta, si ha la Guerra in Ex Iugoslavia tra Cossovo e Bosnia Erzegovina, in particolare la
vicenda della città di Srebrenica (nel 1995).
L’abbiamo sentita nominare raramente e questo ci dice quanto siamo abituati a trattare certi temi dal
punto di vista comunicativo per compartimenti strani.

19
ES: Questioni del Ruanda in cui si è parlato di Genocidio; questioni dei Turchi e degli Armeni in cui si è
parlato di Genocidio.
Dal 1945 tutte le Nazioni, a livello internazionale, ripetono in ogni occasione istituzionale che quelle cose
non devono succedere mai più; invece sono risuccesse seppure con contesti diversi, con una storia diversa,
con numeri diversi.
Invece, la nostra Comunicazione per tanto tempo riguarda solo il pezzettino Auschwitz che simbolicamente
funziona, ma che ci dovrebbe servire a riflettere su tutto il resto.
Il Processo Eichmann è importante perché cambiò l’immagine che si aveva di questa vicenda.
Ma i Nazisti come ce li hanno raccontati? Quali sono le immagini che vengono date a Scuola su queste
vicende? Come ce l’hanno descritto il Nazismo?
Essi ci sono stati descritti come mostri senza umanità, cattivi, assetati di sangue.
A lungo, questa gente ce la siamo immaginata come se fosse il male assoluto: questa è un’immagine
comunicativa problematica perché quando si descrive qualcuno come un mostro, si tende a tenerlo
distante dalla propria realtà: «Lui è un mostro; io sono qualcos’altro».
Dal 1945 in poi, si stava scavando un bel fossato che permettesse di dire: «Il male assoluto è di là, noi siamo
quelli bravi e buoni, e stiamo ripartendo e stiamo facendo cose diverse».
Non era esattamente così  ovvio che c’erano i Gerarchi Nazisti, ma non è che essi abbiano preso il potere
con la forza.
Ovviamente ci sono state le violenze che portarono molti a votarli anche in maniera non convinta; ma, la
gran parte della Germania nazista e dell’Italia fascista era fatta di persone che aderivano a quei regimi, non
di persone che erano i giusti e che mettevano in campo la propria vita per salvare qualcun altro.
Si trattava di gente che aderiva con livelli di partecipazione differenziata  c’era partecipazione popolare
maggioritaria.
In questo senso, parlare di mostri è autoassolutorio. Fa stare bene, ma non è andata così.
È più interessante capire che tipo di persone erano i Nazisti e perché hanno fatto quelle scelte lì.
Una delle risposte interessanti si trova nel Libro di Hannah Arendt.
L’autrice scrive La banalità del male perché ha in mente e di fronte per la prima volta in maniera evidente la
figura di Eichmann come simbolo di uno dei Gerarchi Nazisti.
Perché Hanna Arendt sceglie questo titolo?
- Intanto perché quello che farà Eichmann è un racconto banale. Egli dice: «Io ero suddito di un
Governo che ha perso; non potevo esimermi dal portare a termine gli ordini che ricevevo».
Questo è quello che giustifica tutte le nostre azioni quando facciamo qualcosa di cui non siamo
particolarmente convinti: diciamo che è colpa di qualcun altro, ce l’hanno detto e non avevamo possibilità
di sottrarci.
- Poi, perché la sua stessa immagine è l’immagine di un uomo banale: sembra un ragioniere qualsiasi
lo chiamavano lo “Specialista della deportazione”.
Egli era un burocrate, non aveva sparato a nessuno, aveva solo riempito dei fogli e aveva gestito
l’organizzazione degli spostamenti.
Questo rende più interessante quello che succede dagli anni Sessanta in poi, perché piano piano cambia la
percezione di ciò che è successo.
{*} Noi abbiamo iniziato le lezioni dicendo che Auschwitz è stato considerato per molto tempo un dogma,
come qualcosa a cui credere perché è successo, quasi come un aspetto religioso.
Per quanto questo ci metta a riparo dal Negazionismo, cioè dal dibattito di chi vuole dire che non è esistito,
è anche una posizione problematica dal punto di vista comunicativo e formativo, perché di un dogma non
racconto niente se non la sua verità assoluta da non mettere in discussione.

20
Negli anni Sessanta questa visione vacilla, si inizia ad affermare che c’è bisogno di capire come mai si è
arrivati fino ad Auschwitz e di indagare come questi uomini, anche banali, abbiano finito per mettere in
moto la macchina dello sterminio coadiuvati da migliaia di persone, le quali il minimo che facevano era
voltarsi dall’altra parte, mente il massimo era gente che partecipava attivamente.
Questo ci dice della grande costruzione che si fa sempre dei capri espiatori.
Che cosa aveva funzionato nel caso di Eichmann e degli altri Gerarchi Nazisti partecipi dello sterminio?
- Innanzitutto, c’era stata una Scuola che gli aveva inculcato l’ideologia della differenza, ovvero che
esistevano gruppi da eliminare e gruppi superiori nella società.
- Poi c’era un dato importante che rimandava alla Modernità: ce lo racconta il sociologo Zygmunt
Bauman nel Libro Modernità e Olocausto.
Egli nel Libro dice: «Attenzione, non c’è nessun fossato che ci separa da Auschwitz e da quelle persone lì,
perché sono rimaste attive alcune cose che non ci distanziano per niente da quel periodo del 1930-1940».
Si tratta di due/tre elementi che caratterizzano la nostra Modernità. Egli afferma che la Modernità di questo
processo di distruzione che si è verificato con Auschwitz è un percorso che si è basato:
1. Sulla Burocrazia;
2. Sulla divisione dei compiti;
3. Sulla Tecnica.
Anche oggi siamo in un mondo caratterizzato da tutto questo.
Quello che è successo in quel momento lì non è qualcosa che appartiene a dei mostri, ma si sono messi in
moto dei processi che sono quelli che una volta hanno toccato gli ebrei; ma in futuro quegli stessi elementi
potrebbero riverificarsi e andare a toccare altri gruppi. Perché?
N.B. La Formazione che funziona è quella che sa comunicare; se una Formazione non mi comunica niente io
me ne scordo subito.
Egli dice che innanzitutto c’è un aspetto simbolico.
Si era creata una Scuola (Formazione) e un tipo di Comunicazione basata sulla distruzione di altri esseri
umani, così dura da accettare oggi, che aveva fatto breccia nelle persone. Questo avviene perché non è
mica che veniva proposta la distruzione delle persone come un’azione negativa.
Lui propone un’immagine precisa che chiarisce il contesto cioè l’immagine del Giardiniere  se immagino
di essere un Giardiniere con un giardino da curare (il mondo intero) e qualcuno inizia a inculcarmi nella
testa che ci sono erbe infestanti di cui mi devo liberare, la mia azione per liberare quel giardino da queste
erbe infestanti non viene letta come un’azione di distruzione, ma come un’azione positiva.
Un’ideologia che costruisce l’idea che certi gruppi vadano eliminati perché è un bene per la società non
propone un’immagine al negativo ma costruisce un’immagine al positivo.
Chiunque proponga questo tipo di messaggio si è però scordato dei valori etici di riferimento.
Ma se quella persona riesce a far abbandonare alle persone qualsiasi valore etico della vita umana, e riesce
a costruire l’immagine della diversità come qualcosa di problematico, di cui disfarsi, il tentativo di trovare
modi in cui disfarsene è un’azione creativa e non distruttiva.
Ciò significa che nella visione proposta dai Nazisti e dai Fascisti, la persecuzione e la distruzione di certi
gruppi di persone doveva portare al bene dell’umanità.
E la costruzione dei Campi di Concentramento e di Sterminio diventano un grande apporto della TECNICA a
questo obiettivo.
Cosa ha reso particolare il momento storico della Shoah ebraica o comunque quello della persecuzione e
della distruzione fisica delle persone durante il Nazismo? Il fatto di poter contare su una Tecnica che aveva
raggiunto una complessità tale che permetteva di uccidere milioni di persone dentro delle camere a gas,

21
senza avere la necessità di sparare direttamente alla singola persona; quindi eliminando quel senso di
responsabilità personale che poteva affliggere le persone coinvolte in quelle azioni.
Come si procede nella costruzione delle camere a gas che poi troviamo ad Auschwitz?
Esse non arrivano all’improvviso. Negli anni Trenta si inizia con delle piccole camere a gas  queste
esperienze vengono usate per eliminare i disabili.
Quando ancora non c’era la Guerra, in Germania era iniziata una politica di eliminazione dei disabili che già
utilizzava le camere a gas: essi venivano portati in ospedali/case di cura, dove gli venivano fatte o delle
iniezioni letali o venivano usate delle camere a gas con un motore a scoppio sopra.
Alla famiglia poi arrivava il certificato di morte, dicendogli che si erano verificate delle complicanze fisiche.
Quel concetto viene ripreso quando si decide di utilizzare la morte per allontanare la responsabilità
personale e diretta delle persone che dovevano uccidere.
Quando Bauman dice che serve anche la Tecnica, fa riferimento anche al processo con cui si arriva
all’utilizzo delle grandi camere a gas.
Quando Bauman dice che serve la BUROCRAZIA intende dire che firmare dei fogli e la divisione dei compiti
permettono di dare la colpa di ciò che è successo in fondo alla catena a qualcun altro.
ES: L’operaio che produce il puntatore dei caccia è responsabile del fatto che poi esso venga usato per
uccidere qualcuno oppure no?
Il grande tema è la divisione dei compiti: posso dire di no perché ho fatto solo quel pezzettino, quel singolo
processo.
Ragionando in questo modo, allora anche Eichmann ha firmato solo dei fogli all’inizio del processo che ha
portato alla morte di milioni di persone.
Il problema è dell’operaio è la sua possibilità di scelta di fare un altro lavoro. Ce l’aveva o no? Forse no e
con quel lavoro fa vivere la sua famiglia.
Intervento in chat  Sinceramente non penso che sia sbagliato il modo in cui ci hanno descritto Hitler a
Scuola, secondo il mio parere era un mostro e con questo non vuol dire che oggi non esistono personaggi
simili, anzi, purtroppo ce ne sono eccome. Non si tratta quindi di descrivere Hitler in modo improprio,
semplicemente lo si è descritto per quello che ha fatto e ciò dovrebbe servire per farci capire che
determinate azioni svolte da alcuni uomini sono disumane e di conseguenza non dovrebbero mai ripetersi.
E nonostante lo si è descritto come un “mostro”, ancora oggi, purtroppo, succedono cose molto brutte
quindi figuriamoci se non lo si fosse descritto come tale.
È chiaro che nessuno dice che fosse una buona persona, ma il problema è che spesso identifichiamo il male
di tutto in una figura simbolica.
N.B. A noi interessa il processo che è riuscito ad attivare anche Hitler all’apice di quella organizzazione per
costruire l’odio e ci interessa come viene raccontato.
CONTESTO ITALIANO: come mai in Italia abbiamo questa immagine di Hitler, descritto come un “mostro”,
ma su altri dittatori come Mussolini non usiamo lo stesso processo, ma si tende a dire che lui qualcosa di
buono l’ha fatto?
Il racconto della storia porta a prendere parte in maniera diversa e a descrivere i personaggi in maniera
diversa anche se hanno responsabilità simili.
Il racconto di Mussolini che ha introdotto delle cose buone e ha sbagliato solo firmando il patto con Hitler è
innanzitutto una falsificazione storica, e fa capire quanto la costruzione di ciò che narriamo abbia una sua
importanza sociale fenomenale. Perché? Perché non potremo mai interessarci per tutto a quali sono le
fonti; a volte navighiamo in un complesso mondo di informazioni che ci propongono immagini sociali
condivise, ma anche fasulle.
Ovviamente Hitler è stata una persona malvagia e non un esempio da seguire, ma se si fosse trattato solo di
Hitler non si sarebbero mai potute uccidere 12 milioni di persone.
22
TRAILER  Il Labirinto del Silenzio
Il Film è ambientato nella Germania del dopoguerra (anni Cinquanta/Sessanta).
Lì si ha problema di fare i conti con il proprio passato. Di chi era la responsabilità di ciò che è successo? Che
tipo di responsabilità c’era? Quanti avevano partecipato a quel processo che portò all’eliminazione di
milioni di persone?
Di questi temi si occupò la generazione successiva a quella che era adulta negli anni Quaranta; quindi,
diventano i figli che si interrogano su questi temi negli anni Cinquanta/Sessanta/Settanta. Essi erano i figli di
quelli che probabilmente erano stati dei padri che avevano aderito al Nazismo.
Nasce quindi una generazione che si chiede quale ruolo hanno avuto i loro padri in quello che è successo in
passato. Per molti la domanda più dura era: «Ma io sto condividendo la casa con uno che era nazista?».
Nella maggior parte dei casi la risposta era sì.
Questione della memoria  se si fa finta che una cosa non sia successa, che la partecipazione popolare a
quegli eventi non ci sia stata, si perde la parte più interessante di quella storia.
Nel Film, il protagonista ovvero un giovane avvocato si imbatte in un conoscente che gli racconta di
Auschwitz e da lì inizia a indagare sulla vicenda.
Molta gente in quel periodo storico non sapeva nemmeno cosa fosse Auschwitz.
Mente oggi posso trovare tantissime informazioni disponibili nei Libri o sul Web, in quel momento non
c’era né racconto (il racconto è solo quello dei testimoni) né informazioni.
Solo i Governi e le persone coinvolte a livello più alto sanno cosa è successo; gran parte della popolazione o
non sa di preciso quello che è avvenuto nei Campi di Concentramento o ha fatto finta di dimenticare quello
che si sapeva.
Da lì inizia un’indagine che porterà il ragazzo a confrontarsi con persone che fanno lavori di tutti i tipi: il
fornaio, l’insegante, persone negli uffici pubblici. Egli scopre che queste persone che fanno lavori normali
erano persone coinvolte, a livello pesante, nella persecuzione e nello sterminio; eppure, essi erano riusciti a
nascondere la loro responsabilità. In questo, serviva anche la connivenza di alcuni apparati dello Stato.
Le sue indagini porteranno anche a questioni che riguardano la sua storia personale.
OPINIONI sul FILM
 Il Film mette in risalto le debolezze umane.
Con la fine della Guerra i Nazisti non sono scomparsi, ma sono tra noi.
Da una parte c’è il giovane che vuole la verità a tutti i costi, perché è venuto a conoscenza lui stesso
dalla voce di chi ha vissuto quella tragedia e per questo vuole farla conoscere al mondo; dall’altra parte
c’è però chi vuole ricominciare, dimenticare e andare avanti perché ciò che è successo è avvenuto in
guerra (bisogna capire qual è il crimine di Guerra che può essere considerato solo di Guerra e quello
che invece è un crimine vero e proprio).
L’amico giornalista si rivela essere poi un testimone che è stato ad Auschwitz ma ha solo guardato e alla
fine, data anche la giovane età, viene capito.
L’uomo da solo non riesce a fare niente, mentre in gruppo riesce a fare anche del male, dipende
dall’ideologia che segue il gruppo.

 Nel racconto collettivo/immaginario, quando uno pensa a quelle cose e si è abituati a pensarle come la
“mostruosità”, non ne fanno parte immagini di persone normali  il Film recupera quella storia
dicendoci che dobbiamo allargare lo sguardo.
Uno dei temi su cui si riflette in quel periodo è: Se devo punire qualcuno per ciò che ha fatto, dove mi fermo
con la Legge? Fino a dove punisco?
Perché se tanti avevano collaborato, allora punisco tutta la società che era presente negli enti pubblici o
che comunque si era data da fare per sostenere il Regime?
«Fino a che livello punisco ed escludo dalla società persone che hanno preso parte a livello alto o basso a
quel Regime?»  questo è uno dei problemi che andava risolto.

23
 Nel Film menzionano il fatto che ci sia carenza di professori da parte del Ministero pubblico, quindi,
hanno deciso di mettere dei Gerarchi Nazisti come professori, i quali avevano praticità educativa.
Inoltre, quei soldati per la Legge tedesca erano impunibili perché avevano prestato servizio militare per
il Paese. La cosa curiosa è che la Legge l’hanno fatta loro.
CONTESTO ITALIANO: anche la storia politica italiana è fatta da un momento del dopoguerra in cui chi la
presenza di chi era coinvolto o che aveva avuto un ruolo nel Fascismo diventa totalmente assente dal
Parlamento.
I Fascisti in Italia vennero impiegati in vari settori, anche a livello burocratico (cariche politiche, forze di
polizia) perché erano già addestrati.
in Italia, nel dopoguerra, il Fascismo viene dichiarato illegale, ma si ripresentano alcuni gruppi che si
richiamano in modo forte a quella vicenda.
Dopo il 1989, tutti i gruppi politici prendono le distanze dalle grandi ideologie del ‘900 e quindi chi si
richiamava al Fascismo in modo evidente (Gianfranco Fini) ne prende le distanze; il PC prende le distanze e
cambia nome fino ad arrivare al PD.
Non è che a un certo punto c’è una linea netta che la storia finisce dopo il 1945 e chi ha preso parte a quei
regimi scompare.
Simbolicamente, si cerca di far pagare e di condannare i vertici dei Regimi, ma dobbiamo essere
consapevoli che per i vertici del Regime, c’era anche a livello popolare una partecipazione numerosa che
coinvolgeva un gran massa di persone.
Ovviamente ciò che è successo ha delle responsabilità maggiori in chi era all’apice ma il tema del: «Tu cosa
hai fatto per evitarlo?» esiste sempre e va posto, perché noi siamo abituati a guardare a questi fatti, a
raccontarli spostando l’attenzione su ceti elementi nodali, principali vero cui rimandare le responsabilità ma
ci manca la riflessione sul piano più vicino a noi: in Germania questo si sviluppa in quegli anni e coinvolge
un’intera generazione.
In Italia invece è mancata questa presa di coscienza che portò i figli degli ex Nazisti a porsi il problema di:
«Ma qual è la responsabilità di mio padre?»; «Io che responsabilità ho rispetto a quella roba?»
Questo rivela perché in Germania c’è stata molta più attività su questi temi della responsabilità di quanto
non sia successo in Italia, dove quando si parla di questi temi c’è una forte tendenza a guardare fuori dai
nostri confini e poco dentro ai nostri territori, rispetto a quello che è successo.
Si può parlare di COINVOLGIMENTO POPOLARE sia in Germania che in Italia e uno dei grandi temi è la
PROPAGANDA in entrambi i contesti (anche quella fatta con i nuovi mezzi di Comunicazione).
Il Film Lui è tornato immagina che Hitler torni in Germania nel periodo storico del presente. Ed egli ha a che
fare con i social e il Web. In questa finzione si immagina che ruolo potrebbe avere una persona di quel
genere se tornasse in vita oggi.
Il Film fa individuare degli elementi interessanti su come si costruiscono le immagini di noi e dell’altro e
come noi guardiamo quel processo che avvenne senza tenere in considerazione quello che succede oggi
con altre costruzioni di immagini, al negativo o al positivo.
Un altro Film consigliato è Remember (su Prime Video): è la storia di un ex SS ai giorni nostri, anziano che
vive in una casa di cura e che ha perso la memoria. Nel 1945, per salvarsi, aveva preso l’identità di un
ebreo. Quindi lui si crede ebreo e per tutto il Film va alla caccia di sé stesso per tutti gli Stati Uniti, credendo
che sia un altro.
Intervento in chat  Identificare Hitler come il “male assoluto” e gli Americani come coloro che hanno
salvato il mondo è ciò che ci ha portato a non identificare mai quest'ultimi come “mostri” nonostante le
varie stragi commesse?
Noi abbiamo delle immagini che funzionano perfettamente: gli USA che salvano e Hitler come dittatore.
È chiaro che noi abbiamo delle immagini in cui ciò che proviene dal contesto statunitense è sempre
accettato come proveniente da chi ci ha salvato dalla Guerra. E questo è legato anche alla politica
internazionale di oggi: noi abbiamo dei legami forti con gli Stati Uniti che hanno portato l’Italia a essere
24
dalla parte dei Paesi legati al Capitalismo e che portano a leggere i fatti secondo un certo punto di vista.
Ci sono quindi alcuni eventi storici che raccontiamo in maniera distorta, perché hanno a che fare con
l’immagine statunitense che è spesso dei salvatori e non di quelli che vanno ad attaccare, ad avere il ruolo
del carnefice invece che della vittima.
Il racconto di quello che succede dopo dipende dal fatto che queste persone, a livello non di Gerarchi
Nazisti, ma a livello di politici di livello inferiore, restarono all’interno del contesto del Parlamento che
nacquero dopo la Seconda Guerra Mondiale. La rappresentanza in Parlamento c’era: quindi, c’era la
presenza di persone coinvolte in quella vicenda anche se eravamo dopo il 1945.
Per adesso abbiamo considerato due processi: i Processi di Norimberga e il Processo Eichmann.
Nel Film Il Labirinto del Silenzio, quei temi si sviluppano all’interno di un altro processo: il Processo di
Francoforte, detto anche Processo Auschwitz  perché per la prima volta viene fuori il tema di Auschwitz e
dei carnefici di Auschwitz che vivono ancora nel contesto sociale: non si parla più dei grandi gerarchi, ma
siamo su un livello più popolare della presenza di queste persone rimaste all’interno del contesto pubblico.
Come finisce il processo Eichmann del 1961? Esso finisce con la condanna di Adolf Eichmann.
Vengono riconosciute le sue responsabilità. La sua linea di difesa viene smontata e viene condannato.
Questo, da un punto di vista formativo, ci dice: «È vero che non si può scegliere? Che se sono in una
posizione apicale in un sistema governativo non posso più scegliere?» «Non posso più scegliere quando
sono incastrato in un ruolo dove mi danno degli ordini?».
Intervento in chat
1. La scelta c’è sempre, non tutti possono avere il coraggio di farla.
2. Si può sempre scegliere, la differenza sta nell'accettare o meno il rischio della propria scelta.
3. C’è scelta finché si ha consapevolezza; certo è da considerarsi la tragicità/drasticità delle conseguenze.
Se mi trovo in una posizione in cui mi sento di non poter più scegliere è perché devo prendere in
considerazione il fatto di aver fatto scelte sbagliate prima.
ES: Non si diventa Eichmann in un giorno: egli ha dovuto prima all’ideologia di Regime, ha dovuto scegliere
di fare carriera in quel Regime, ha dovuto credere in quell’ideologia, prendere un posto di rilievo e poi
accettare di firmare carte che sapeva che mandavano persone a morire.
Ha fatto molte scelte e ha sbagliato quelle precedenti. Questo a causa della Formazione, del contesto
sociale, della Comunicazione, del racconto e della scelta di essere in quel ruolo.
Il problema della scelta è che se sei in certi ruoli e in una situazione non paritaria quella scelta è faticosa o
porta delle conseguenze negative.
Adesso ci spostiamo in un altro Luogo della Memoria: il UNITED STATES HOLOCAUST MEMORIAL MUSEUM
a Washington. {*}
Qui siamo in un contesto diverso: non c’è stato il Nazismo, ma la costruzione della memoria a livello
internazionale riguarda anche gli Stati Uniti, dove molte persone delle Comunità ebraiche e non solo si sono
rifugiati o prima o dopo la deportazione.
Il compito di fare questo racconto viene affidato all’intellettuale ebreo, Premio Nobel Elie Wiesel (autore
del Libro La Notte). Egli è un testimone diretto della persecuzione e della deportazione.
Il Governo degli USA gli dice: «Prepara con un gruppo di esperti il racconto del nostro Museo sul tema
dell’Olocausto».

Questo ci porta ad affrontare due cose:


a. I Termini con cui si chiamano le cose;
b. La scelta di cosa raccontare.
TERMINI  si sviluppa in quegli anni un dibattito su come chiamare quello di cui stiamo parlando.
Per tanto tempo, e ancora chi parla lingue anglofone usa il termine HOLOCAUST  il significato letterale a
25
cui rimanda la parola è il bruciare, il fuoco, il purificare tramite il fuoco, il dare in sacrificio a Dio qualcuno
che di solito è un animale, per placare la sua ira.
Il problema di usare Holocaust per la questione ebraica è che non si tratta di un sacrificio a Dio.
Le stesse Comunità ebraiche mettono in discussione l’utilizzo di questa parola perché dicono che essa
rimanda all’ambito religioso, al sacrificio a Dio, ma essi dicono: «Noi non abbiamo subito lo sterminio
perché eravamo l’agnello sacrificale da spendere per poter poi eliminare il Nazismo. La nostra è stata una
vicenda storica».
Le Comunità ebraiche preferiscono chiamarlo SHOAH (parola ebraica).
Vi è un problema anche nell’usare la parola Shoah ovvero quello di concentrarsi solo su un pezzo di quel
tema. Esso è sì un pezzo centrale, ma in questo modo si sta facendo a meno di tante altre categorie che
hanno subito lo stesso trattamento, o qualcosa che aveva a che fare con quella stessa storia.
Questi due termini entrano nel contesto pubblici del proprio utilizzo su questo tema.
I termini Shoah e Olocausto sono termini non neutri che hanno dei significati.
Olocausto voleva proporsi come termine imparziale. Non ce n’è uno attualmente utilizzabile nello stesso
modo: si può usare Genocidi, ma oggi l’indicazione generale è quella di usare Shoah.
_______________________________________________________________________________________
A Scuola parlarne in maniera non approfondita, non interessante genera stanchezza, l’idea che sia una palla
parlare tutti gli anni di Auschwitz.
Vi sono diverse letture del mondo che si fanno a seconda della propria esperienza personale
LEZ. 4 – 24.09
Fino ad ora abbiamo ripreso il nostro percorso dei Luoghi ella Memoria, dopo averlo interrotto per
discutere questioni legate a due Libri: Modernità e Olocausto di Zygmunt Bauman e La banalità del male di
Hannah Arendt. Quest’ultimo ci ha portato a parlare del Processo Eichmann, e anche di altri processi e
delle responsabilità personali e di tutto quello che ha portato a cambiare la prospettiva rispetto allo studio
della Shoah e di quello che viene definito l’Olocausto.
{*} Vediamo un altro Luogo della Memoria: il UNITED STATES HOLOCAUST MEMORIAL MUSEUM
a Washington.
Quando si usa la lingua inglese, il termine Olocausto è molto usato, tanto da essere ritrovato nel luogo
centrale del ricordo negli Stati Uniti.
Questo Museo non nasce in un luogo dove c’è stata la Shoah o la deportazione, ma in luogo dove il
Governo degli Stati Uniti decide che serve edificare un Museo che racconti quella vicenda così importante
per il ‘900 e per la parte occidentale del mondo.
Si comincia a pensare a questo Museo nel 1978 quando il Presidente degli Stati Uniti è Jimmy Carter, che,
per capire come strutturare quella che sarà la più importante esposizione sul tema negli Stati Uniti, si affida
a un gruppo di esperti.
Negli Stati Uniti vi è un grande interesse per questa storia perché anche essi sono stati coinvolti dalla
Seconda Guerra mondiale, ma soprattutto perché individui delle Comunità ebraiche di tutta Europa e non
solo, spesso o per scappare dalla deportazione o dopo essere sopravvissuti a quella pagina di storia,
finiscono per trasferirsi anche negli Stati Uniti.
Negli Stati Uniti c’è la presenza di Comunità ebraiche.
La presidenza di questa commissione, che deve decidere che cosa e come raccontare dentro il Museo
dell’Olocausto, viene affidata a Elie Wiesel – scrittore importante, figura di grande rilievo che ha affrontato
la deportazione. Egli è stato nei Campi di Concentramento, è sopravvissuto e ha scritto di quell’esperienza;
inoltre, nel 1986 ha vinto il Premio Nobel.
Egli viene coadiuvato da 34 membri, i quali sono storici, sopravvissuti, esponenti religiosi, studiosi di vario
tipo, politici (senatori che fanno parte della rappresentanza politica degli Stati Uniti).
Quando viene dato loro il compito, ancora niente è risolto di tutto ciò che dovrà essere raccontato, ancora
non si è deciso niente, però Elie Wiesel comincia, con questo gruppo, un viaggio nei luoghi d’Europa toccati
26
dalla deportazione. In particolare, egli affronta un viaggio che lo porta nei territori dell’Est, nella zona
dell’ex Unione Sovietica e nelle zone limitrofe.
VIDEO  Testimonianza di una sopravvissuta al Massacro di Babi Yar (Kiev)
Si tratta della testimonianza di un testimone diretto, raccolta nella zona di Kiev (Unione Sovietica) che
racconta come fortunosamente è scampata a un Eccidio  Eccidio di Babi Yar compiuto nel 1941.
Questo evento ha una rilevanza importante con il gruppo di studiosi ed esperti che sta decidendo cosa
raccontare dentro il Museo dell’Olocausto di Washington.
La testimone si chiama Raisa Dashekevich, nata nel 1911 e viveva a Kiev durante gli anni della Guerra.
Tra il 29 e 30 Settembre del 1941, 33.771 ebrei a Kiev furono assassinati in due giorni, a opera di gruppi di
squadre speciali le quali, mentre l’esercito nazista conquistava il territorio, avevano il compito di prendere
la popolazione ebrea, o i rom/zingari (popolazioni considerate inferiori dal punto di vista razziale) e di
eliminarle.
Questo perché quando inizia la Guerra, i Nazisti iniziano a individuare non solo la necessità di conquistare
territori, ma anche di togliere di mezzo dai territori nuovi conquistati le popolazioni inferiori: gli ebrei, i
popoli di origine slava, gli zingari, gli oppositori politici (esponenti del Partito Comunista).
Il gruppo di studiosi ha interesse e va a visitare quel luogo perché la domanda che si pongono è: «Della
storia di cui vogliamo che si occupi il nostro Museo, che cosa si sta raccontando nel resto d’Europa?»
Essi vanno quindi a vedere un luogo che dovrebbe essere un luogo simbolico dove è avvenuta una delle più
grandi stragi mai avvenute, in particolare di ebrei.
Ma cosa trovano? Nulla, se non una targa che dice che lì c’è stato un Eccidio, ma non nomina gli ebrei come
vittime.
Questo ha molto a che vedere con la posizione che avranno Elie Wiesel e il suo gruppo da lì in avanti.
Questa testimonianza è una di quelle raccolte dalla Shoah Foundation, fondazione nata, per volere di
Steven Spielberg, dopo la pellicola Schindler’s List (1993), la quale ebbe grande importanza dal punto di
vista dell’attenzione mediatica su quei temi.
Il regista decise di dare vita a una fondazione, per far fronte alla scomparsa progressiva dei testimoni, che
raccogliesse in tutto il mondo le testimonianze di chi era stato testimone diretto di quelle storie.
Tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila, la Shoah Foundation inizia a fare questo lavoro e
a raccogliere centinaia di testimonianze, conservate e disponibili anche online.
Cosa testimonia la donna? Che viene presa tutta la Comunità ebraica e che viene portata, per essere
eliminata, in questo luogo dove c’è un fossato che è Babi Yar.
IMMAGINE  Una delle immagini che riguarda quel massacro.
Questo interessava a Elie Wiesel e al suo gruppo perché voleva dimostrare che, come era successo per il
Museo di Auschwitz, la questione ebraica dello sterminio non era stata presa in considerazione né
ricordata, anche laddove c’erano stati grandi massacri.
Da questo elemento lui fa nascere la sua posizione, sulla quale ci sarà tanto dibattito e si discuterà molto.
La sua posizione equivale a quella che si chiama l’UNICITÀ DELLA SHOAH  Elie Wiesel afferma e lo
ribadisce in quegli anni (tra la metà degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta quando viene aperto il
Museo) che la Shoah, lo sterminio ebraico è unico e non c’è niente di comparabile alla Shoah ebraica.
Quindi Unicità = Incomparabilità.
Questa è una posizione forte che ha la sua motivazione nel contesto sociale dell’epoca.
Cioè il gruppo di lavoro denuncia una cosa reale. Soprattutto nelle zone dell’Est, ma in parte anche nel resto
dei territori interessati dalla Seconda Guerra Mondiale, c’è una percezione minimalista di ciò che significò la
deportazione e lo sterminio ebraico, quindi, e quindi c’è poca memoria su quell’aspetto.
Dire però che è unico poneva dei problemi, perché quando il 26 Aprile 1993 apre il Museo, il racconto che
si fa delle questioni riguardanti l’Olocausto (l’insieme delle cose successe che riguardavano persecuzione,
deportazione e sterminio) assume l’aspetto che aveva proposto il gruppo di lavoro.

27
Cioè essi fanno una netta distinzione tra il percorso che deve riguardare la Shoah ebraica e il percorso che
deve riguardare coloro che indicheranno sotto l’etichetta di “altre vittime”.
La costruzione di un Museo del genere ha un valore simbolico e comunicativo importante negli USA.
Questa ricostruzione era fortemente legata anche alla partecipazione delle Comunità ebraiche, ma questo
avviene perché si percepiva chiaramente un’assenza di questo racconto.
ES: Mettendoci nei panni di una persona che fa parte della Comunità ebraica e che ha avuto persone
scomparse dopo quella tragedia, che percezione avremmo di un mondo che non la racconta proprio?
La prenderemmo come un’offesa forte alla memoria di chi non c’è più e al riconoscimento storico di quella
che è la nostra Comunità.
Il tentativo fatto con il Museo di Washington è quello di recuperare il racconto della Shoah, ma il contesto
storico negli Stati Uniti porta a spingere molto sull’idea dell’Unicità difesa da Elie Wiesel.
Qual è il problema di una Comunicazione che costruisce un luogo che deve ricordare l’intero contesto e poi
fa una distinzione tra la Shoah ebraica e quelle che etichetta come “altre vittime”? Cosa ci dicono queste
due etichette che vengono usate nei primi anni?
Esse dicono che lo sterminio degli ebrei è una cosa e che gli altri sono altre vittime, legate anche a quello
che è avvenuto con lo sterminio ma sono altre.
Quando si fanno queste categorizzazioni e si definisce qualcuno meno importante di qualcun altro si sta
facendo la classifica delle vittime, che non è un’ottima modalità per costruire memoria.
È come se ciascun gruppo di vittime dicesse: «Io sono più importante di te. Dovete parlare prima di me
rispetto che a voi»  Questa è una modalità di procedere problematica.

Essa esiste e si attiva una sorta di guerra tra gruppi di vittime perché ciascuno afferma di dover essere
ricordato prima degli altri perché il suo contesto è più importante, perché ha avuto maggiori numeri (tutti
motivi validi).
Rispetto alla Shoah ebraica questo ci pone un problema.
Intervento in chat  Possiamo paragonare questo episodio (di dividere tra la Shoah e le altre vittime) a
quello delle Foibe?
La risposta è difficile perché se mi metto dal punto di vista emotivo, tutte le vittime sono vittime e quindi
devo riconoscerle tutte. Ma se mi metto dal punto di vista della storia, i numeri, le modalità e il motivo per
cui qualcuno viene eliminato ha la sua importanza.
Entriamo così nel tema delle fonti.
Elie Wiesel ci fa entrare in questo argomento dicendo: «La Shoah ebraica che voi avete dimenticato
soprattutto all’Est, un po’ perché non vi interessa e un po’ per il diffuso Antisemitismo (che c’era e c’è
ancora), è il centro di quello che volevano fare i Nazisti, del loro Progetto di liberazione del mondo dalla
razza ebraica, considerata inferiore.»
Questo messaggio di Wiesel porta alle estreme conseguenze la situazione in cui stava vivendo nel suo
contesto storico.
Cioè è vero che la Shoah ebraica era il centro del Progetto nazista, cioè la distruzione degli ebrei d’Europa
veniva prima della distruzione di tutte le altre categorie, ma il problema è: va ricordata solo quella, e quindi
si attiva questo strano processo di gara a chi è più vittima o l’obiettivo deve essere diverso quando si
costruisce la memoria?
Se vediamo i documenti dei Nazisti è evidente che la Shoah era il centro del Progetto razziale: essi
andavano eliminati prima di tutti gli altri.
Ma oggi che siamo nel momento in cui osserviamo quell’evento, possiamo scordarci che nei Campi di
Concentramento c’erano anche altre categorie? Evidentemente no.
Allora nel momento in cui si costruisce un Museo per ricordare quei fatti, questo problema esiste e bisogna
dargli una soluzione.
Quindi la modalità giusta ce la dà la storia. Bisogna recuperare la storia di tutti quanti, riuscendo a essere

28
talmente bravo da capire quali erano gli obiettivi principali, quali quelli secondari, quali quelli terziari, ma
raccontarli tutti in maniera corretta.
ES: Foibe in Italia  Crepe nel terreno in cui vennero uccisi tra il 1943 e il 1945, in due momenti distinti,
centinaia di italiani Fascisti (ma non sempre lo erano; a volte erano semplicemente persone italiane che
vivevano nella zona del confine orientale d’Italia che poi divenne zona della Iugoslavia) da parte dei
Partigiani o della popolazione civile slava che si vendicò di loro per ciò che avevano commesso
precedentemente. Cioè essi avevano occupato il loro territorio e quando vedono che il Fascismo comincia a
traballare, in questi territori arriva la vendetta ovvero si prendono gli italiani, considerati tutti Fascisti e li
eliminano.
È la stessa cosa della Shoah ebraica fatta con le camere a gas?
Dal punto di vista emotivo, le vittime possono essere tutte raccontate e rispettate: il problema degli anni
precedenti, dopo la Guerra, era che quella pagina venne totalmente tolta, non raccontata.
L’altra questione è porre sullo stesso piano due eventi storici così diversi: una è una vendetta sanguinaria
della popolazione slava su persone che li avevano oppressi e poi fanno di tutta l’erba un fascio come di
solito succede in Guerra; l’altra è una piano pianificato per decenni che ha portato alla costruzione dei
Campi di Sterminio.
Questo non vuol dire che abbia meno importanza, vuol dire però di non usare, nel tema della memoria,
l’equiparazione in maniera così semplice.
Le equiparazioni si possono fare, ma è evidente che la Shoah non sono le Foibe, che hanno dignità di
racconto tutte e due.
L’errore dov’è? Cosa ci si legge quando si vogliono mettere sullo stesso piano Shoah e Foibe?  Un
obiettivo prevalentemente politico, dove chi lo utilizza non gliene frega niente del contesto storico e di
chiarirlo, ma gli frega di fare il contraltare di quello che è il Giorno della Memoria con la Shoah.
Sul piano comunicativo questo funziona, ma sul piano della Formazione fa dei disastri perché porta a
equiparare cose che sono totalmente su due poli opposti, tanto dal punto di vista dei numeri, tanto dal
punto di vista degli obiettivi, tanto dal punto di vista del processo che vi ha portato.
Il caso delle Foibe ci dice che più io non lo racconto e più questo viene strumentalizzato.
Questo è un tema della Comunicazione importante, perché se non do l’idea di un tema che non viene
affrontato, quel tema diventa uno strumento utile a chi vuole fare facili equiparazioni e spesso usarle
strumentalmente per obiettivi di altro tipo che non c’entrano nulla con la conoscenza storica.
Intervento in chat  Quello delle Foibe è un odio legittimato?
Questo dipende da come si racconta la storia.
La popolazione slava odia gli italiani, perché? Se faccio il racconto dal punto di vista slavo, l’odio è
legittimato perché a un certo punto arrivano, gli occupano il territorio, fanno dei Campi di Concentramento
dove ci mettono gli slavi che muoiono, obbligano gli slavi a cambiare i nomi dei luoghi e a italianizzare i loro
stessi nomi, le scuole con la loro lingua vengono cancellate.
N.B. La Memoria ha il contesto storico come punto essenziale: ciascuno di noi racconta e guarda la
memoria e recupera fatti da raccontare rispetto alla propria esperienza.
La memoria slava è fatta di profonde offese subite dal Fascismo italiano e anche di fatti che hanno portato
alla morte di centinaia di persone. È chiaro che la memoria costruita nel lato di quella che era la Iugoslavia è
una memoria diversa da quella che abbiamo costruito noi da questo lato.
Il problema è trovare un avvicinamento tra le due memorie. Quando si trova un avvicinamento tra le
memorie, allora trovi la chiave per costruire rapporti di pace. Se non la trovi, continui a usare la memoria
come strumento per attaccare gli altri.
Elie Wiesel dice: «Io sono ebreo, guardo la storia, ciò che è successo ovvero che il nostro popolo è stato
sterminato. Nessuno lo racconta, soprattutto nei territori dell’Est dove c’erano i grandi Campi di Sterminio.
Quindi il nostro Museo farà una distinzione netta tra la Shoah ebraica e le altre vittime».
Come a dire che solo la Shoah ebraica è stato uno sterminio di stampo razziale.

29
Bisogna sapere che c’è una differenza tra le vittime per motivi razziali e le vittime per motivi politici.
La distinzione è:
- Uno sterminio di stampo razziale elimina una persona per il semplice fatto di essere nato e di
appartenere a un gruppo considerato inferiore e problematico.
- Un oppositore politico viene eliminato per le sue posizioni politiche.
Quando trovo dei bambini coinvolti nello sterminio si parla di sterminio razziale. Questo perché un
bambino, anche appena nato, viene considerato un pericolo perché appartenente a una certa razza.
Se mi metto invece dal punto di vista dell’oppositore politico, un bambino appena nato non può avere una
posizione politica; infatti, tra gli oppositori politici, vittime della persecuzione, si trovano persone che sono
almeno adolescenti e non bambini in fasce.
È vero che c’è una distinzione tra sterminio per motivi razziali e sterminio per motivi politici, ma è anche
vero che questi due processi si svolgono su una stessa strada che poi finisce ad Auschwitz.
Quando il Nazismo progetta di costruire un mondo nuovo, puro per razza in cui avrà il controllo di tutti i
territori che erano prima tedeschi, lo fa iniziando dagli oppositori politici, dagli asociali, dagli zingari per poi
colpire, dal punto di vista razziale, gli ebrei e lo fa in maniera forte, numerosa e provocando il maggior
numero di vittime.
Ma non è che se si prende solo la Shoah si capisce tutto il Nazismo; per capire ciò che è successo c’è
bisogno di tutto il resto.
Allora bisogna uscire da questa idea di fare a gara di chi è più vittima, avere la consapevolezza storica di chi
e dei motivi per i quali ha subito perdite maggiori e sapere anche che la gara tra le vittime non porta a
nessun obiettivo comunicativo né formativo.
E quindi usarla con le chiavi di oggi per fare un percorso che porti verso una consapevolezza di cittadinanza,
verso la pace, verso le reazioni pacifiche tra gruppi; non per elevare un gruppo e dire: «Solo noi siamo state
vittime di quell’Eccidio».
L’apertura del Museo, con il percorso della Shoah da un lato e delle altre vittime dall’altro, e tutte le
affermazioni di Elie Wiesel fanno balzare dalla sedia il professore universitario Ian Hancock: egli è un rom,
la cui famiglia si trasferì molti anni prima negli Stati Uniti, e che negli anni Novanta è molto impegnato a
studiare cosa avvenne anche ai Rom nei Campi di Concentramento e di Sterminio.
I documenti che ha raccolto ci dicono che anche il popolo Rom è stato vittima della politica razziale nazista.
Perché lui inizia la discussione con le posizioni di Elie Wiesel?
Egli dice: «Attenzione, tu con questa divisione non solo dimentichi che c’è un percorso e altre categorie, ma
nel caso dei Rom, ad esempio, anche noi siamo stati vittime di uno sterminio razziale cioè eravamo
considerati inferiori dal punto di vista genetico/ereditario e quindi un apporto negativo alla società».
Quando Elie Wiesel dice: «C’è silenzio sulla nostra storia, che è centrale per il Nazismo», ha ragione, ma in
realtà ciascuna nazione ha un silenzio su alcune vittime.
Quindi, fare questa netta distinzione tra la Shoah da ricordare come elemento razziale e le altre vittime
come se fossero qualcosa di secondario è un errore importante per l’obiettivo comunicativo e formativo.
Perciò, Ian Hancock aveva ragione: questo vuol dire che sono morte lo stesso numero di persone tra i Rom
e gli Ebrei?  No, sono morti un diverso numero di persone ma per lo stesso motivo e questo è molto
importante.
Ovviamente nella storia conta anche il numero di vittime, ma per i processi formativi e comunicativi non si
può considerare solo il numero di morti ma anche le motivazioni che portarono a quella eliminazione.
E paradossalmente, dal punto di vista comunicativo, se allora il silenzio era sulla Shoah, ad oggi c’è ancora il
silenzio sulla parte Rom di quelle morti. Essi vengono nominati insieme ad altre categorie ma non abbiamo
lo stesso tipo di conoscenze e di approccio su quella pagina di storia.

30
La Shoah è centrale per capire cosa volessero i Nazisti e come fu il percorso verso Auschwitz, però non ci
deve servire a fare le classifiche a chi è stato più vittima, ma essa deve servire per illuminare anche gli altri
racconti. Se la Shoah ci permette di trovare le chiavi di lettura per cui capiamo perché c’erano anche i Rom
nei Campi di Sterminio o perché si iniziò dai disabili o perché si passò anche dalle minoranze religiose, allora
tutto è molto utile.
Non bisogna mettere tutto sullo stesso piano ma bisogna riuscire a raccontare tutte le vicende in maniera
competente e sapendone anche le differenze.
La Shoah ovviamente ha numeri e motivazioni centrali, però essa deve servire a capire come mai c’erano
anche i disabili, gli omosessuali e i Rom.
In questo senso, evito le equiparazioni: essi erano tutti diversi, ma tutti si sono ritrovati nei Campi di
Concentramento e di Sterminio.
Si costruiscono le storie di ciascuno e costruisco l’insieme di quello che mi serve per fare una memoria che
sia formativamente e comunicativamente utile.
«Io vi racconto una cosa che gli altri non vi raccontano perché non ve la vogliono dire»  Si tratta di uno dei
processi più semplici e facili per ottenere attenzione pubblica: passare per quello che ti racconta qualcosa
che gli altri non ti dicono.
Ma poi per dirlo davvero bisogna entrare nella specificità.
Noi usciamo da questa idea dell’Unicità ebraica come la intendeva Elie Wiesel ovvero come Incomparabilità
e usiamo un altro termine più corretto che è quello di SINGOLARITÀ DELLA SHOAH.
Singolarità significa che la Shoah è stata il centro dello sterminio razziale nazista, che mai si sono raggiunti
quei numeri di distruzione di persone, che mai c’era stata la capacità tecnica di arrivare a quella soluzione
finale che ha portato a milioni di morti, ma ciò non vuol dire che è incomparabile e che non ci si possa
avvicinare qualcos’altro.

Soprattutto, Singolarità significa che la uso come chiave di lettura per capire anche tutto il resto che stava
succedendo in quel periodo e tutto quello che sta succedendo ora.
È un tema delicato e importante, ma se accettavamo il tema dell’Incomparabilità, noi percorsi di critica
formativa, di costruzione comunicativa non potevamo farne perché era come dire che la Shoah era un
dogma a cui credere.
Intervento in chat  Secondo me questa “faziosità” nella costruzione della memoria è legata a un
coinvolgimento emotivo dal quale è difficile trascendere. Non è facile attribuire la giusta importanza a tutte
quelle categorie alle quali non appartieni.
Questo è vero, sappiamo che il coinvolgimento emotivo in Comunicazione funziona, ma abbiamo bisogno di
recuperare anche la componente della correttezza storica in un contesto anche di Formazione.
Rispetto alla Romania (Paese che durante il Governo di Antonescu ha eliminato 275 mila ebrei e 5 mila
Rom), c’erano una serie di Governi satellite, legati alle Dittature, che appoggiavano la Politica del Nazismo
anche sul lato dell’eliminazione razziale.
Come ha proseguito il United States Holocaust Memorial Museum?
Bisogna specificare come è strutturato ad oggi, sennò sembra che quando andiamo a visitarlo, ancora oggi,
ci sia questa differenziazione tra quello che è la Shoah ebraica e le altre vittime.
Non è più così. La riflessione, il confronto e il dibatto pubblici ha portato a correggere questa impostazione.
SITO  https://www.ushmm.org/it
Vediamo che nel Museo è cambiata l’impostazione ed è stata corretta: non vi è più la divisione netta che
c’era all’apertura, ma l’interesse per tutte le categorie che riguardano il Genocidio e l’interesse dello studio
per questi temi sia storici che in rapporto con il presente.
Il Museo ci dice che fino agli anni Novanta il tema della Shoah ebraica era taciuto, non raccontato.
Le cose cambiano anche grazie all’approccio e alle capacità di diffusione dei temi che viene dato tanto dal
Cinema quanto dalla Televisione (documentari).

31
TERMINI per DEFINIRE questo PERIODO STORICO
Il primo termine che venne utilizzato per definire tutto questo periodo e tutto questo tema che riguarda
persecuzione, deportazione e sterminio è:
1. OLOCAUSTO: Holocaust è il termine più usato tuttora in lingua inglese  Quando si parla di
Olocausto si fa riferimento a un sacrificio agli Dei o a Dio ovvero si dà un dono, si brucia un corpo di
un animale a Dio per placarne ira, per averne beneficio. Questo non c’entra niente con il discorso
della persecuzione, della deportazione e dello sterminio.
La questione che mettono in evidenza dalle Comunità ebraiche, rispetto all’uso del termine Olocausto, è
che essi dicono che oltre a non averci nulla a che fare come significato del termine, non era scritto nel loro
destino che essi dovevano subire lo sterminio e che il loro sterminio dovesse servire a giungere dopo alla
Democrazia.
Quindi il secondo termine che loro propongono è:
2. SHOAH: termine della lingua ebraica.
Da dove vengono questi termini e come si sono diffusi?
Il termine Olocausto viene da una MINISERIE TELEVISIVA statunitense in lingua inglese del 1978 che si
intitolava Holocaust, nella quale si racconta la storia dello sterminio. Il regista si chiama Marvin J. Chomsky.
VIDEO  SIGLA e PARTE della PRIMA PUNTATA di Holocaust
Con questa storia, il termine Holocaust per la prima volta arriva in Televisione.
La serie ha avuto successo in tutta Europa, quindi è successo che quel termine si è diffuso e si è diffuso
anche l’interesse per quella vicenda che fino ad allora, ovvero fino a che non approda in Televisione e viene
quindi trasportato in un contesto mediatico più ampio, era un po’ un argomento per esperti soltanto
(storici, studiosi).
Con tutte le possibili critiche al termine Olocausto, l’importanza di questo arrivo della miniserie Holocaust
sfonda un po’ il muro del silenzio perché rende interessante per un grande pubblico un tema che prima era
solo per specialisti e il termine inizia ad essere usato.
La serie è ambientata in Germania nel 1935 (anno delle Leggi di Norimberga: Leggi Razziali, che affermano
che gli ebrei cominciano a essere espulsi da una serie di luoghi di lavoro, di Istruzione, luoghi pubblici e
sociali, per poi essere rinchiusi nei ghetti e poi essere inviati nei Campi di Concentramento; è anche il
momento in cui si vieta l’unione tra persone tedesche e persone ebree, alle quali viene tolto il
riconoscimento della cittadinanza tedesca).
Si racconta la storia di due ragazzi, entrambi tedeschi, che si sposano. Ma la ragazza è di famiglia ebraica.
Quindi, la storia delle due famiglie che dovrebbero unirsi in questo matrimonio diventa una storia che
racconta la persecuzione di una delle due famiglie (Weiss: famiglia ebrea; Dorf: famiglia tedesca che
rappresenta la purezza ariana in quel periodo).
Tramite le vicende di queste due famiglie, viene fuori la storia dell’Olocausto degli ebrei durante il Nazismo.
Si tratta di una miniserie quindi vi sono anche grandi attori (ES: Meryl Streep) che interpretano una parte.
Non si tratta di un documentario ma di qualcuno che recita a copione, quindi, il contesto del racconto è
diverso. Un conto è fare un documentario in cui si mostrano luoghi e persone reali che raccontano
testimonianze reali; un altro conto è mettere in scena una finzione, che è un modo in cui sulla pellicola si
racconta storia.
In questo caso è una storia sulla quale c’era stata poca attenzione, poca conoscenza e quindi comincia a
sviluppare interesse nel grande pubblico.
Quando si arriva a diffondere la parola Shoah? Questo avviene sia dopo le grandi critiche sul termine
Olocausto, ma dal punto di vista mediatico, ciò si ha a partire da un DOCUMENTARIO intitolato Shoah uscito
nel 1985, il cui regista è un francese Claude Lanzmann.
La produzione del documentario dura molti anni e la pellicola dura molte ore.
Il documentario Shoah è uscito anche in italiano per Einaudi, è accompagnato da diversi CD che contengono

32
le interviste, e inoltre, dato che sono talmente tante le ore girate, c’è anche un Libro che riporta la trama e i
dialoghi che sono in video.
Le differenze tra i due prodotti televisivi sono: i TERMINI e la METODOLOGIA usate.
Il regista francese fa un documentario in presa diretta, cioè va direttamente nei luoghi dello sterminio
ebraico, in particolare nelle zone della Polonia. Egli non è che va a cercare semplicemente i testimoni diretti
ebrei, ma anche i testimoni diretti, ad esempio polacchi, che hanno partecipato allo sterminio o che l’hanno
visto.
L’approccio è diverso  si va a far parlare i testimoni di quella storia, ma non si limita ai testimoni vittima,
ma egli indaga anche tra i testimoni carnefici oppure quelli che sono rimasti a guardare senza fare niente.
VIDEO  PARTE DOCUMENTARIO – Shoah, testimonianza di Abraham Bomba (parrucchiere)
Si tratta della testimonianza di una delle persone che faceva il parrucchiere nelle camere a gas: è un
testimone diretto, che è rimasto vivo e che non è una delle vittime ma vede ciò che succede là dentro.
Il regista, quindi, va a recuperare non le storie più scontate ma quelle di luoghi che sono meno presenti
nella memoria europea e internazionale.
Il parrucchiere, il quale continua a svolgere il proprio lavoro, viene intervistato nella sua bottega e racconta
cosa era successo a Treblinka, un Campo di Concentramento in Polonia, vicino Varsavia.
Si tratta di una zona in cui c’è una grande presenza di Campi sia di Concentramento che di Sterminio.
Siamo dentro al tema del: «Quel parrucchiere poteva rifiutarsi? Poteva non farlo? Ha quindi partecipato
facendo ciò che ha fatto?».
Himmelweg: la Via del Cielo ovvero il modo in cui i Nazisti chiamavano la strada che conduceva alle camere
a gas.
In pochi anni si è passati dalla rappresentazione Filmica al documentario diretto, il quale prende la voce non
solo delle vittime, ma anche delle altre persone che erano lì, carnefici compresi.
Siamo negli anni in cui il contesto sulla memoria cambia: si passa dal silenzio al racconto della Shoah.
Quindi, a livello internazionale, dagli anni Novanta in poi sta succedendo quello che avevamo detto rispetto
al Museo di Auschwitz  dal SILENZIO al RACCONTO.
Il contesto storico è cambiato: è caduto il Muro di Berlino, è finita la Guerra Fredda. Quindi, il racconto degli
eroi Partigiani socialisti e comunisti diventa un racconto problematico perché il Comunismo è stato
sconfitto nell’Est a opera del Capitalismo.
N.B. Perciò l’inversione del racconto significa anche una grande attenzione sulla Shoah, sulle vittime per
motivi razziali, di cui non si raccontava niente, nemmeno i grandi massacri.
Dagli anni Novanta, però l’attenzione sulle vittime della Shoah toglie attenzione su tutto il resto.
Quindi, se prima c’era tanto racconto sugli oppositori politici, e poco sulla Shoah che era centrale; ora lo
sguardo va sulla Shoah, se ne recupera la centralità, ma si inizia a usare un piano emotivo di ricordo  Le
vittime razziali che sono da ricordare, di cui dobbiamo raccogliere la voce e che non ci obbligano a un
posizionamento politico.
Ecco perché piano piano la memoria si costruisce su un piano più emotivo, che sembra poter superare
anche gli schieramenti politici  Vi è quindi una rappresentazione della memoria che mette da parte il
coinvolgimento politico.
_______________________________________________________________________________________
Ci interrogheremo se davvero il passaggio a questa nuova fase, dagli anni Novanta in poi, ha significato una
memoria libera dalla strumentalizzazione politica o se è qualcosa che ha a che fare con la Comunicazione
che si svolge secondo altri schemi/strumenti.
Cronologicamente, ci troviamo nel passaggio che ci porta dopo gli anni Novanta, quando c’è un’esplosione
vera e propria dell’attenzione sul tema della Shoah. Escono pellicole importanti come Schindler’s List,
arrivano documentari che seguiranno l’impostazione di Shoah di Lanzmann, il quale aveva aperto la strada
a questo tipo di rappresentazione del contesto storico andando nei luoghi reali.

33
Poi ci focalizziamo anche su altre nazioni: Germania e Italia  come si costruisce la memoria e quali
passaggi avvengono in questi due Paesi.
LEZ. 5 – 28.09
Riprendiamo il nostro percorso: eravamo rimasti su come le parole hanno molto a che fare con la diffusione
di Film, di video, di riflessioni a livello di Comunicazione.
Ci eravamo fermati sui due termini Olocausto e Shoah.
Abbiamo imparato che, quando si inizia a parlare di questi temi, la Comunicazione è molto importante,
perché, da un lato, avevamo incontrato già un elemento più mediatico, che in quel momento aveva
coinvolto maggiormente gli esperti ovvero il Processo Eichmann del 1961; dall’altro lato, abbiamo poi
parlato della miniserie Holocaust girata nel 1978, la quale racconta, attraverso l’escamotage della storia di
due famiglie, una ebrea-tedesca e una tedesca, una storia che diventerà una delle prime occasioni in cui
questi tipi di vicende vengono diffuse al grande pubblico ed entrano nelle case di tanti statunitensi ed
europei.
Con la necessità di riflettere oggi sulla correttezza dei termini, la nostra attenzione deve essere posta anche
sul fatto che le parole che noi utilizziamo cambiano nell’uso comune, ma spesso sono legate a occasioni di
diffusione comunicativa, per poi riuscire a diffondersi anche a livello internazionale.
La parola Shoah è un po’ rappresentata dal documentario in presa diretta intitolato Shoah del 1985, il quale
dura molte ore ed è girato da Claude Lanzmann. Egli dedica il suo prodotto a rappresentare la realtà, ad
andare là dove i fatti si sono svolti e a non tagliare nulla; vuole far vedere che non soltanto si può
raccontare una storia mettendola in scena con una miniserie, ma si può anche iniziare a raccogliere
testimonianze dirette.
La particolarità del suo lavoro, oltre all’estrema lunghezza del prodotto, è il fatto che egli non sottrae nulla
al racconto. A livello di Comunicazione, egli sceglie di recuperare la testimonianza tanto di chi era
vittima/prigioniero in quei Campi di Concentramento, tanto di chi aveva partecipato o era stato parte attiva
della macchina dello sterminio.
Oppure, un altro tema che emerge con il documentario è la partecipazione di chi si è girato dall’altra parte.
Il regista va anche a vedere e si chiede che ruolo hanno avuto coloro che sono rimasti passivamente a
guardare e hanno fatto finta di non vedere.
Egli va in particolare nelle zone dell’Est Europa: in Polonia e intervista numerose persone.
Lanzmann ci riporta a inserire queste testimonianze dentro a una Comunicazione che vuole essere di larga
scala, che venga considerata anche rispetto a questi aspetti meno scontati.
VIDEO  PARTE DOCUMENTARIO – Shoah, testimonianze contadini
Vediamo un pezzo dell’inizio del documentario.
Introduzione: «Il documentario comincia ai giorni nostri a Chełmno, Polonia a 80 chilometri a nord-ovest di
Łódź, nel cuore di una regione un tempo a forte popolazione ebraica. Chełmno fu in Polonia la località del
primo sterminio di ebrei con il gas. Ebbe inizio il 7 dicembre 1941; 400 mila ebrei furono assassinati a
Chełmno in due periodi distinti: Dicembre 1941-primavera 1943, Giugno 1944-Gennaio 1945.
Il modo di somministrare la morte rimase fino alla fine identico: i camion a gas».
Stiamo uscendo piano piano dall’idea del Simbolismo solo di Auschwitz e questo ci permette di allargare la
discussione su altri luoghi, comunque sempre nella Polonia occupata dai Nazisti, e di allargare la nostra
conoscenza su questi temi.
Perché inizia da lì? Perché da lì inizia un modo diverso di eliminare le persone delle Comunità ebraiche cioè
da lì si inizia l’utilizzo del gas.
Si capisce come Bauman, nel suo Libro, avesse ragione perché aggiungeremo un altro pezzettino di questa
morte resa il più possibile distante da chi doveva produrla, ovvero dalle SS o da coloro che i Nazisti avevano
deciso di mettere a termine della soluzione finale.
Il documentario inizia a Chełmno, dove oggi c’è anche il Museo.
Perché si inizia da questo luogo? Tutto è legato al 1939 quando avviene l’occupazione della Polonia. La
34
Polonia dà il via alla Seconda Guerra Mondiale e a quella che diventa una vera e propria guerra di
eliminazione delle razze considerate inferiori (tra questi gli ebrei).
Piano piano, si decide, dopo le squadre d’azione che mettevano a morte direttamente le persone con i
grandi massacri, quando nasce il Campo di Sterminio di Chełmno nel 1941 di utilizzare i camion (Gaswagen)
per eliminare le persone (ancora non siamo arrivati alle camere a gas, intese come camere/stanze).
Questi camion hanno un ruolo importante: essi fanno quello che di fatto succede se si fa rientrare il
monossido di carbonio di un motore all’interno di un carico di un camion. Cioè il camion viaggia, ma il suo
scarico non va all’esterno, ma viene reimmesso all’interno del suo carico.
Nel carico vengono messe le persone ed esse muoiono asfissiate dal monossido di carbonio. Una volta che
l’operazione è finita si scaricano i loro corpi, si eliminano bruciandoli e si scaricano all’interno dei fiumi, in
modo tale da far perdere le loro tracce.
Questo passaggio è importante perché viene prima di Auschwitz. Vediamo come questo processo tecnico è
un processo abbastanza asettico.
All’inizio c’è la scelta dell’eliminazione fisica delle persone: si arriva nel territorio che si vuole conquistare e
si eliminano le persone sparando loro con grandi eliminazioni di massa; ma il problema psicologico ovvero
quello della responsabilità personale di mettere a morte un numero così alto di persone si può eliminare
usando il gas (prima i Gaswagen e poi le camere a gas).
Un altro elemento che Bauman rileva rispetto alla continuità tra quel passato e il nostro presente è la
Tecnica. Egli dice che se non ci fosse stato quel livello tecnico raggiunto, quel tipo di sterminio non avrebbe
potuto chiaramente essere portato a termine.
Questo ci permette di percepire come piano piano questa morte fisica venga allontanata da chi l’ha decisa;
diventa in qualche modo più accettabile.
Chełmno rappresenta questo passaggio.
Il regista fa vedere in quel momento chi vive in quella zona, cosa. ha visto e che cosa racconta.
N.B. I tempi del documentario che ci propone Lanzmann sono molto lenti ed è una scelta stilistica precisa.
Serve tanto tempo per poter ascoltare i testimoni. Lanzmann sceglie un racconto che non mette fretta, egli
vuole che queste persone spendano tutte le parole possibili su ciò che hanno visto.
Vi è una differenza di stile enorme tra la miniserie e il documentario: la modalità con cui ci si approccia a
questo tema è totalmente diversa.
Soprattutto, entra in gioco il tema di chi è stato inerme, di chi ha guardato, dei collaboratori e di chi ha
permesso o ha preso parte al percorso di distruzione ed eliminazione.
_______________________________________________________________________________________
Che cosa racconta?  Nel video si vede un uomo in una piccola barca che sta cantando.
Quando Lanzmann passa sul fiume, è accompagnato da contadini che raccontano ciò che hanno visto.
Egli intervista due uomini: sono due testimoni diretti  di quel Campo, nell’anno in cui va lì a intervistare,
ne erano rimasti due.
Viene intervistato un primo uomo, il quale racconta che in quel luogo (dove ora c’è un campo di erba molto
grande) molta gente è stata bruciata. Egli dice che chi è entrato lì non ha avuto una via di ritorno. Racconta
che c’erano due forni immensi lì, dove buttavano i corpi e le fiamme erano molto alte.
Lì era sempre tutto molto tranquillo, anche quando bruciavano migliaia di ebrei al giorno. Nessuno gridava,
ognuno faceva il proprio lavoro.
Tutto è morto lì, ma se si vuole vivere si deve dimenticare.
Un secondo uomo viene intervistato e dice che secondo lui non è bene parlare di questo. Egli ne parla lo
stesso perché deve pur parlarne. Dice di aver ricevuto dei Libri sul Processo Eichmann, in cui ha
testimoniato, ma non li ha letti.
Quando era lì ha vissuto come un morto perché pensava che non sarebbe sopravvissuto, ma invece è vivo.
Egli sorride sempre, perché dice che se è vivo è meglio sorridere.
La ragazza è la figlia di uno dei testimoni. A lei viene chiesto come mai ha voluto sapere quella storia e lei
risponde che ne parlavano e quindi voleva capire meglio la vicenda.
35
VIDEO  PARTE DOCUMENTARIO – Shoah, testimonianze persone civili
Un testimone parla di una città della Polonia, in cui c’erano più ebrei che polacchi.
Egli racconta che era orribile da guardare, gli stessi tedeschi cercavano di distogliere lo sguardo, non
volevano vedere.
Quando i tedeschi spingevano gli ebrei verso la stazione, li picchiavano e a volte li uccidevano (quelli che
erano già caduti a terra) e c’era un carretto speciale che seguiva il convoglio per metterci i cadaveri.
Gli ebrei erano raggruppati nella Sinagoga e poi li spingevano verso la stazione dove c’era il treno che li
portava a Chełmno. È stato così dappertutto.
Assassinavano gli ebrei anche nelle foreste.
Sul binario dove gli ebrei aspettavano, alla stazione, c’era un piccolo pannello/segnale con sopra scritto
Treblinka. Nessuno la conosceva, non era un luogo né una città né un paesino.
Gli ebrei hanno sempre sognato, faceva parte della loro vita, faceva parte della loro attesa messianica quel
loro sognare che un giorno sarebbero stati liberi e quel sogno era vero soprattutto nel ghetto. Più che un
sogno era la speranza che alimentava il sogno.
Il testimone dice che sentiva dentro di lui, quando ci furono i primi trasporti, che stava accadendo qualcosa
di molto grave perché stavano portando via anche i bambini e gli anziani. I tedeschi dicevano che li
avrebbero portati in un posto dove lavorare, ed essi non avevano scelta, dovevano crederci, anche se era
assurdo che portassero bambini e anziane a lavorare.
Il primo convoglio di ebrei da Varsavia arrivò lì il 22 luglio 1942. La gente aveva cominciato a chiedersi:
«Cosa ne faranno?». Capivano che sarebbero stati uccisi ma nessuno sapeva ancora come.
Quando hanno cominciato a capire quello che succedeva, si sono spaventati e dicevano che da quando il
mondo esisteva, non si era mai assassinata tanta gente in quel modo.
La vita quotidiana continuava, i contadini lavoravano nei campi abbassando lo sguardo, mentre tutto
succedeva sotto i loro occhi (si poteva lavorare, non era vietato), ma essi non avevano la solita volontà.
Pensavano che avrebbero potuto prendere anche loro.
Essi avevano visto cosa facevano agli ebrei, perché tutti i convogli che arrivavano, partivano verso il Campo
e la gente spariva.
Un uomo intervistato aveva un terreno a 100 metri dal Campo e lavorava la terra anche durante
l’occupazione. Oltretutto dove c’era il Campo era in parte la sua terra. Egli ha visto come li asfissiavano, li
picchiavano e sentiva le loro grida.
Non ci si poteva però fermare per guardare dentro i Campi, sennò gli ucraini gli sparavano. Non ci si poteva
entrare, ma si sentiva tutto. E le persone dopo un po’ si abituavano al rumore e a tutto il resto.
Un uomo racconta di aver visto dei convogli che arrivavano; ogni convoglio era formato da 60/80 vagoni,
c’erano due locomotive, ciascuna delle quali prendeva 20 vagoni e li portava al Campo. Durava circa un’ora
e i vagoni tornavano vuoti.
A volte i deportati erano nudi nei vagoni, e in ogni vagone ci mettevano fino a 170 persone. C’erano già dei
morti quando i vagoni arrivavano. Essi erano così stretti che quelli che vivevano ancora stavano seduti sui
cadaveri dei loro compagni per il poco spazio che c’era.
Esse chiedevano acqua e alcuni morivano.
Alcuni polacchi davano dell’acqua agli ebrei quando arrivavano. Era molto pericoloso perché per quel gesto
li potevano uccidere, ma lo facevano lo stesso.
Di inverno a volte facevano 25/30 gradi sottozero. D’estate soffocavano perché faceva molto caldo; infatti,
gli ebrei tentavano di uscire dai finestrini, toglievano il filo spinato e saltavano giù dai vagoni.
A volte essi uscivano e si sedevano a terra, e lo facevano quasi apposta così che le guardie arrivavano e gli
sparavano un colpo nella testa.
Si racconta anche di una madre ebrea con un bambino che è scappata e le hanno sparato al cuore.

36
Che cosa racconta?  Si tratta di un tipo di racconto diverso dalla miniserie, e soprattutto comincia a far
parlare della faccenda dello sterminio degli ebrei: il racconto della Shoah ebraica emerge sempre di più e
con il documentario arrivano queste prime voci un po’ inattese non solo di chi era stato nel Campo.
Il documentario dice: «Quando si affermava che nessuno sapeva era vero?» No, chi era lì sul luogo poteva
vedere e aveva visto. Gran parte di loro avevano scelto di non raccontare/testimoniare; sembrava qualcosa
che poteva essere lasciato da parte.
Questo documentario dà un grande fastidio al Governo polacco, perché il racconto del Governo polacco era
stata per tanto tempo soltanto quello di dire: «Noi abbiamo subito un’invasione, un’occupazione, quindi
c’entriamo poco con quello che è successo sul nostro territorio che è stata un’operazione di sterminio.
Questo è un elemento parziale perché alcuni polacchi avevano visto, molti abitavano nei luoghi interessati
dalla vicenda e molti altri vi avevano partecipato».
Tutta questa parte del video appena visto si svolge intorno al treno: c’è chi era a terra, chi aveva un campo,
chi coltivava.
Non era una situazione semplice, ma se tutti quelli che avevano visto fossero intervenuti, non è detto che la
loro azione avrebbe portato alla soluzione di quell’operazione di sterminio degli ebrei, ma sicuramente
c’era la possibilità di salvare almeno delle persone.
In questo caso, le cose andarono avanti, per paura, senza che nessuno intervenisse, anche se era ben chiaro
che cosa succedesse alle persone.
Se la responsabilità la possiamo ricercare in singole persone che avevano semplicemente visto, d’altro
canto il coinvolgimento di Governi che avevano collaborato era molto più grave.
Dal 1941-1942 gli Stati d’Europa sapevano cosa succedeva in questi luoghi.
_______________________________________________________________________________________
N.B. Vediamo un lento ma costante emergere di un racconto della Shoah che diventa sempre più evidente.
Siamo partiti da Auschwitz, che alla fine degli anni Quaranta inizia un racconto sull’eliminazione avvenuta là
dentro, ma si focalizzava sul tema dei Partigiani  Tema politico degli oppositori politici del Nazismo.
Transitando verso gli anni Ottanta, emerge la questione dello sterminio per razza che riguarda
bambini/anziani/donne, al di là della posizione politica.
Poi ci sarà stacco uno importante nel 1989: l’esperienza concreta del Socialismo finisce; cade il Comunismo.
L’assetto internazionale cambia totalmente a livello politico e geopolitico.
L’URSS affronta la crisi che poi la porta a dissolversi.
Il racconto abbandona totalmente l’aspetto dell’oppositore politico e fa emergere la Shoah ebraica come
sterminio raziale.
Il percorso della Germania ci mostra che anche lì stava succedendo la stessa cosa. Vediamo come
l’emersione della Shoah arriva anche in Germania.
SLIDE  LUOGHI della MEMORIA in GERMANIA
Il percorso della Germania ci mostra che anche lì stava succedendo la stessa cosa. Vediamo come
l’emersione della Shoah arriva anche in Germania.
Verso l’assunzione di responsabilità dello stato tedesco nei confronti del passato nazista
La Germania non era molto diversa dal resto d’Europa.
Nel periodo del dopoguerra la Germania era divisa in due parti, le quali erano separate dal Muro di Berlino
 Esso diventa il simbolo internazionale della divisone tra i due blocchi che avviene dopo la Seconda
Guerra Mondiale: uno sotto l’egemonia dell’Unione Sovietica, che è il riferimento più importante, con i suoi
Stati satelliti (tutta la parte dell’Est compresa la Polonia) e uno sotto l’egemonia dell’Occidente, con a capo
gli Stati Uniti che sono il riferimento più importante.
Nel dopoguerra, c’è in atto un confronto forte su tutti i piani, tranne quello militare, tra Capitalismo e
Socialismo.
La Germania ha perso la Seconda Guerra Mondiale e per questo è stata smembrata tra le potenze vincitrici.
Però, di fatto, le potenze vincitrici sono più di due, perché si contano gli Stati Uniti, l’Inghilterra, la Francia,

37
l’Unione Sovietica (la liberazione di Auschwitz avvenne ad opera dell’Armata Rossa) – e questo significa che
Stati Uniti e URSS stanno collaborando nel momento della lotta al Nazismo; il contrasto prosegue dopo.
Si ha infatti poi la separazione tra Capitalismo e Socialismo, ovvero due modalità di pensare, immaginare il
futuro, vivere l’Economia totalmente diverse.
CAPITALISMO  Proprietà provata; possibilità per ciascuno di avere propria iniziativa economica e quindi
possibilità di avere delle proprietà e di avere un’attività da cui guadagnare.
Il problema è che questo porta a grandi differenze sciali: ci sono tanti ricchi ma anche tanti poveri. Inoltre,
c’è uno scarso sostegno, a livello sociale, della parte che è in situazione di povertà.
SOCIALISMO REALE (l’idea socialista viene portata nella vita delle persone tramite Governi del Socialismo)
 Divieto di proprietà privata; tentativo di suddivisione di ciò che si ha, anche del lavoro in modo tale che
sia per tutti; lo Stato ha delle attività e ti inserisce in quelle attività: le fabbriche sono di Stato.
L’idea di fondo del Socialismo è affascinante (dividere ricchezza tra tutti); il problema è la libertà perché le
persone sono controllate.
Le persone che vivevano nella parte sotto l’egemonia dell’Unione Sovietica guardavano al mondo
capitalista e vedevano maggior ricchezza (questa non era di tutti, spesso non vedevano le grandi povertà
che c’erano). Infatti, l’obiettivo di molti era quello di andare a vivere dall’altra parte per stare meglio.
Un Film consigliato è Goodbye Lenin: esso è ambientato nel 1989-1990 a Berlino quando cade il Muro di
Berlino e descrive quello che c’era prima e quello che c’era dopo.
Si percepiscono gli aspetti positivi e negativi di quel contesto di vita.
Il mondo a livello geopolitico è suddiviso tra Paesi socialisti e Paesi capitalisti.
La Germania, pur essendo nella parte del Capitalismo, è divisa, per accordi internazionali e per i Trattati di
Pace, in quattro zone, ma in realtà poi le zone sono due perché la grande contrapposizione c’è tra la zona di
Berlino che è sotto il controllo sovietico e la zona di Berlino che è sotto il controllo dei Paesi capitalisti.
A un certo punto, si ha la costruzione del Muro, fatto in una sola notte, per impedire agli abitanti della
Belino Est di accedere dall’altra parte, nella Berlino Ovest.
Non è soltanto Berlino a essere divisa, ma è l’intero territorio tedesco. C’è una Germania dell’Ovest
capitalista (con capitale a Bonn) e una Germania dell’Est socialista (con capitale a Berlino Est).
In ognuno dei due territori prevale la voglia di rimozione, soprattutto perché la Germania è in una posizione
delicata, ha una grande responsabilità rispetto a ciò che è successo, dato che il Nazismo è nato lì.
CONTESTO ITALIANO: anche in Italia, la voglia di quegli anni è quella della rimozione e di mettere da parte
le riflessioni sulle proprie responsabilità.
Ci sono stati i Processi che simbolicamente inchiodano alle loro responsabilità soprattutto i Gerarchi Nazisti.
Resta però in sottofondo tutta la riflessione su che ruolo ha avuto la gente comune: tema de Il Labirinto del
Silenzio.
Sul tema dei Campi di Concentramento nati in Germania dal 1933 c’è un grande silenzio. Nessuno vuole
prendere in considerazione il fatto che i Campi di Concentramento possano diventare Luoghi della
Memoria. Anche in Germania, come era avvenuto in Polonia, sono i deportati che si sono salvati che
cominciano a intravedere quei luoghi come luoghi importanti per raccontare la loro storia e la storia di chi
non c’è più, che è stato eliminato in quei posti.
Negli anni Cinquanta, siamo nel cotesto in cui il Nazismo è visto come qualcosa di inspiegabile; se lo si
definisce una “catastrofe fatta da mostri”, è più semplice poi dire: «Mettiamolo da parte, è una faccenda
che ha riguardato il passato, noi siamo altro, andiamo avanti che ora dobbiamo pensare a ricostruire».
Il Film Il Labirinto del Silenzio racconta quel periodo storico, quando il processo di Francoforte inizia a
riflettere non solo sulle responsabilità dei grandi gerarchi, ma anche sugli altri responsabili, le persone civili
che compievano lavori umili.
In Germania, questa riflessione si apre con la generazione successiva, quella dei figli.

38
Rispetto a ciò che succede in Italia, c’è progressivamente una grande presa di consapevolezza di ciò che
sono state le responsabilità tedesche, non tanto per volontà di chi era stato direttamente coinvolto (i
Nazisti padri), ma da parte della generazione dei figli, che si interrogano su come i loro padri erano stati
coinvolti nella vicenda e sul ruolo che hanno loro nel loro presente, perché nonostante si siano lasciati alle
spalle quegli eventi, la Germania ha delle responsabilità evidenti che devono considerare  Piano piano si
va verso l’assunzione di responsabilità e lentamente si sviluppa dibattito pubblico.
Un Processo importante come quello di Eichmann ha un ruolo simbolico fondamentale: far cadere l’idea dei
mostri e costruire l’idea della “banalità del male” significa chiamare in causa le proprie responsabilità.
Questo fa effetto in particolare in Germania.
N.B. Il percorso che affrontiamo riguarda la Repubblica Federale Tedesca (BRD).
La Germania dell’Est – La Repubblica Democratica Tedesca (DDR) – stava andando verso un percorso simile
a quello visto ad Auschwitz: per la Germania socialista è importante, in quel momento, raccontare la parte
dell’eroismo dei Partigiani comunisti, che hanno sconfitto il Nazismo.
Nella BRD invece si ha prima la rimozione e poi, progressivamente, negli anni Sessanta, avviene un
cambiamento con la presa di coscienza delle responsabilità.
Ci si avvia verso gli anni in cui la riflessione, la volontà, il Progetto e il sogno di cambiamento del mondo,
con i Movimenti del ’68, vuole confrontarsi in Germania proprio con il passato nazista; nelle giovani
generazioni nasce l’interesse per queste vicende passate.
Negli anni Settanta, il dibattito entra dentro la Politica: c’è un nuovo Governo socialdemocratico.
N.B. NON SI PUÒ FARE STORIA E FORMAZIONE SENZA COMUNICAZIONE.
Nel 1970, il Cancelliere Willy Brandt (uomo che aveva partecipato alla Resistenza) si inginocchia a Varsavia
davanti al monumento che ricorda i fatti del Ghetto di Varsavia – i Ghetti: rappresentano il momento di
passaggio della persecuzione ebraica che avevano portato a far sparire gli ebrei dalle città e a inserirli tutti
in ghetti, a cui poi sono succedute le deportazioni nei Campi di Concentramento e di Sterminio.
IMMAGINE  Il livello comunicativo dell’immagine raffigurante il Cancellerie inginocchiato è eccezionale,
perché significa che la Germania dell’Ovest, a livello politico, prende contatto e riconosce le sue
responsabilità rispetto a ciò che è successo. Non è più qualcosa da buttarsi alle spalle, ma lo guardiamo.
Il rappresentante fondamentale ovvero il Cancelliere tedesco si inginocchia e in questo modo prende
consapevolezza che si dovrà occupare di quella cosa; non dice più che non esiste.
Anche la Germania dell’Ovest arriva considerare questo elemento del Nazismo.
Questo si collega a ciò che dicevamo ovvero al fatto che nel 1979 arriva anche in Germania la serie
televisiva americana Holocaust e questo amplia dall’aspetto politico-sociale a quello comunicativo di massa,
cioè quel tema arriva nella società in tutti i suoi aspetti.
Negli anni Ottanta, quella generazione che aveva tanto riflettuto (Generazione del ’68) arriva ad essere la
nuova Classe dirigente e, a questo punto, iniziano grandi iniziative pubbliche: si cominciano attività
pubbliche, si ricercano le “tracce della storia” e di tracce sul territorio tedesco ce ne sono.
Tracce di che tipo? Non solo della Shoah. Questo perché nel 1933, la Germania aveva iniziato con la
chiusura nei Campi di Concentramento, sul territorio tedesco, di asociali, disabili, Rom e Sinti, omosessuali,
oppositori politici.
Tracce della storia cercate in Germania significa: la Shoah è centrale ma c’è anche tutto il resto.
Questo diventa un elemento su cui la Germania ricostruisce la propria identità pubblica, sociale e civile.
Tutto cambia dopo la “svolta” del 1989 e la riunificazione della Germania
Nel momento in cui si prende coscienza che si vuole ricordare quello che era successo, cominciano ad
apparire sul territorio i segni di questa memoria.
Negli anni Ottanta, nel 1988 viene costruito il Monumento alla deportazione degli ebrei berlinesi. A Berlino,
nella zona di Moabit, c’era una Sinagoga che era stata distrutta e che era stata usata anche come centro di
raccolta per gli ebrei e lì si va a costruire il primo monumento.
39
La Germania diventa un luogo dove i monumenti, i Luoghi della Memoria, gli edifici pubblici dedicati a
questo ricordo saranno moltissimi.
La monumentalistica degli anni Ottanta parla soprattutto di targhe, monumenti in pietra, steli, memoriali.
Oggi siamo su un processo diverso: noi la memoria la comunichiamo solo nei Musei o facendo targhe o
costruendo monumenti? No, questo è cambiato.
Negli anni Duemila abbiamo una memoria più quotidiana.
Spesso si hanno luoghi pubblici dove piccoli segni della storia attraversano la vita quotidiana.
ES: Nel centro Firenze, si trovano a terra, per le strade, delle piccole piastrelle in rame che riportano dei
nomi  Pietre d’Inciampo: sono un’esperienza artistica che nasce dopo gli anni Duemila; sono l’idea di un
artista che si chiama Gunter Demnig.
Queste piete mettono un piccolo segno della storia di persone che sono state deportate (con un nome e un
cognome e una piccola breve storia) e lo mettono nel luogo dove sono state arrestate o dove vivevano.
L’idea che trasmettono è quella che non è necessario andare in un museo: esse rappresentano
un’esperienza diversa, le incontrano tutti e permettono di “inciampare” nella storia.
È un’esperienza totalmente diversa dall’entrata in un museo che io scelgo volontariamente di visitare.
Ad oggi, ce ne sono centinaia di questi sampietrini collocati in tutte le città d’Europa, connessi con la storia
del Nazifascismo.
Questo è molto importante a livello comunicativo.
ES: In alcune città italiane, queste Pietre d’Inciampo sono state divelte e tolte nella notte da persone che si
sentivano disturbate da quella presenza.
ES: Un farmacista romano che viene scoperto disse che a lui dava fastidio vederla tutti i giorni e per questo
l’ha tolta.
Quindi, la presenza di queste piccole pietre, che non si notano se non le incontri per strada, hanno un
proprio significato, riescono ad attivare un’attenzione che ci dovrebbe portare ad approfondire, ma in
alcuni casi è stata un’attenzione che ha portato a farle rimuovere.
Il Luogo centrale della Memoria per la Germania è la capitale Berlino.
Dopo il 1989, con il 1990 la Germania si riunifica dopo la caduta del Muro di Berlino.
Berlino, dopo l’unificazione, diventa il Luogo centrale della Memoria tedesca del ‘900 e comincia un
racconto, con Berlino centrale, che diventa un po’ emblematico per il ‘900.
C’è un grande investimento nel racconto della storia, in particolare quella legata alla Shoah ma non solo da
parte della Nazione tedesca.
CONTESTO ITALIANO: da noi questo processo di coscientizzazione non è a questo livello e deve in parte
ancora avvenire. Non siamo a quel livello di Comunicazione, di consapevolezza e di conoscenza della storia.
Dopo il Duemila, comincia anche un’attenzione per gli autori dei crimini, cioè si vogliono mettere in
evidenza i luoghi e i responsabili dei crimini che sono avvenuti.
N.B. Si tratta di un processo di ampliamento del contesto della memoria, che vede la Germania, dopo una
prima fase di grande rimozione, essere il centro nevralgico di questo racconto.
Questo non solo perché lì c’è nato il Nazismo, ma anche perché lì è avvenuto un processo comunicativo,
sociologico e politico.
Cosa succede dopo la Caduta del Muro di Berlino? Dal punto di vista comunicativo, succede una cosa
interessante: cade il riferimento al Socialismo Reale ovvero il Comunismo viene messo sotto accusa.
Rimane la visione capitalista del mondo, il racconto del Capitalismo.
Il tentativo che avviene in Germania e in alte Nazioni compresa l’Italia è quello di equiparare le due
Dittature che ci sono state sul territorio tedesco, pensando ad una facile equiparazione tra Nazismo passato
(1933-1945) con il Socialismo che si è vissuto nella Germania dell’Est fino al 1989-1990.
Questo non è molto corretto.
Ciò non vuol dire che uno non individui processi totalitari nel contesto socialista e comunista. Però, il

40
Socialismo, il Comunismo e il Nazismo non sono la stessa cosa. Si possono condannare gli aspetti dittatoriali
dei due Governi ma la netta equiparazione del Socialismo/Comunismo con il Nazismo non regge molto.
N.B. Questa è una tendenza che si attiva in quegli anni quando ci si allontana, si vuole mettere da parte il
contesto politico della memoria e ci si avvicina all’aspetto emozionale della memoria: si guarda la storia dal
punto di vista delle vittime, e siccome si parla di vittime, il piano emozionale ha la meglio e questo cancella
totalmente la descrizione dei contesti storici.
Piano piano si attivano quei processi in cui Auschwitz e le Foibe da alcuni vengono descritti come la stessa
cosa.
Questo è un contesto che si sviluppa tutto sull’ambito non storico e formativo ma sull’ambito comunicativo
 Dobbiamo vedere se quell’ambito comunicativo è retto deontologicamente da fonti e da letture che
sono corrette anche dal punto di vista storico.
Questo significa che non si deve mettere in discussione il Totalitarismo comunista? No, al contrario, esso va
messo in discussione, ma non dal punto di vista emozionale, ma da quello della ricostruzione storica, che ci
dà delle fonti per appoggiarci e per dire: «Qua ci sono delle equivalenze, qua ci sono delle differenze».
Altrimenti il rischio è che nessun evento storico ha più una sua specificità.
Se non trovo più le differenze nel contesto storico, ma solo sul piano emozionale, qualsiasi vittima, morto o
contesto che sia di guerra, che sia di sterminio o che sia di altro tipo finisce per parlarmi della stessa cosa.
Ma non può essere così.
N.B. Siamo nel momento in cui le cose cambiano sulla memoria, vengono fuori delle storie che prima erano
state messe da parte. Ma queste storie più che farle venire fuori per l’obiettivo di conoscere, vengono fatte
venire fuori per l’obiettivo di strumentalizzare e ricevere consensi.
ES: Dire che le Foibe sono uguali ad Auschwitz aggiunge qualcosa al fatto storico delle Foibe oppure siamo
solo dentro un contesto comunicativo su cui dobbiamo interrogarci?  Siamo solo dentro un contesto
comunicativo su cui dobbiamo interrogarci. Perché non è che se equiparo le morti delle Foibe a quelle di
Auschwitz gli do più importanza. Questa equivalenza ci fa spostare da un piano di conoscenza a un piano di
elemento politico della memoria, che è un elemento assolutamente comunicato.
Oggi, il contrasto tra le due grandi Ideologie del ‘900, rispetto alle quali ci posizioniamo, è caduto; il mondo
si sta riorganizzando, e quindi la domanda importante è: «Rispetto al racconto della storia come si sta
riorganizzando? Si sta muovendo sul piano emozionale o sul piano della conoscenza storica? Si possono
mettere insieme le due cose e ottenere una Comunicazione efficace, ma anche corretta oppure c’è
strumentalizzazione sul piano politico di alcune vicende?»
Questo è il piano più interessante.
Quando cade il Muro di Berlino, siamo in un momento in cui le società devono riorganizzare il proprio
punto di riferimento. Tutto può essere messo in discussione e tutto deve essere ricostruito.
La domanda centrale per gli stati è: «Noi su cosa stiamo insieme a questo punto? Quali sono i valori di
riferimento e gli eventi storici che ci connotano? Quali sono le cose che stanno al centro e fanno da pilastro
alla Democrazia?»
La Germania questo problema lo affronta.
Domanda  il Ghetto è un prodotto nazista?
LEZ. 6 – 01.10
VIDEO  PARTE DOCUMENTARIO – Shoah, testimonianza ferroviere
Vediamo la testimonianza di una delle persone coinvolte nei trasporti, ovvero uno dei ferrovieri che
guidava i treni della deportazione, pieni di deportati in Polonia, in particolare verso il Campo di Treblinka.
Il regista chiede all’uomo se sentisse gridare dietro la sua locomotiva, ed egli risponde che le grida che
venivano dai vagoni si sentivano benissimo perché la locomotiva era contro i vagoni. Essi gridavano e
volevano acqua.
Era duro per lui, perché sapeva che quelle persone che erano dietro erano esseri umani come lui.
I tedeschi a lui e ai suoi compagni gli davano della vodka perché senza bere non avrebbero potuto farlo.

41
Egli dice che c’era una specie di premio, non in denaro ma in alcool e quelli che lavoravano sugli altri treni
non lo ricevevano.
Lui dice che beveva tutto quello che gli davano e in questo modo si ubriacava, sennò non l’avrebbe potuto
sopportare. Egli era consapevole di ciò che succedeva.
Tra la stazione e la rampa dove scaricava la gente nel Campo c’erano circa 6 chilometri.
Un ulteriore testimone, un deportato racconta di essere arrivato al Campo la mattina verso le 06:00. Lì
c’erano anche altri treni. Egli dopo un’ora ha visto tornare i vagoni ma vuoti e dice che il suo treno è
rimasto fermo lì fino alle 12:00.
Alla stazione, mentre aspettavano che li portassero al Campo di Treblinka, le SS si avvicinavano per
chiedere se avessero con sé roba di valore. Loro avevano gioielli e diamanti, ma tutto ciò che volevano era
dell’acqua. Quindi, i Nazisti dissero loro che se gli avessero dato i diamanti, gli avrebbero dato in cambio
l’acqua, ma non lo fecero.
Il contributo che il regista Lanzmann dà con il suo documentario Shoah, a metà degli anni Ottanta inserito in
una piccola e breve, in quel momento, ma poi sempre più esponenziale emersione del tema della Shoah
ebraica.
SLIDE  LUOGHI della MEMORIA in GERMANIA
Dal punto di vista della storia della Germania nel dopoguerra, abbiamo parlato del segno di Willy Brandt,
Cancelliere tedesco negli anni Settanta, che si inginocchia per mostrare una presa di consapevolezza.
Questo porta all’emersione del tema e quindi piano piano anche all’arrivo di monumenti, di lapidi e modi di
ricordare questo evento storico, in senso memorialistico.
Si ha poi la “svolta” del 1989 che porta alla riunificazione della Germania, alla fine della Guerra Fredda, alla
dissoluzione dell’Unione Sovietica.
Berlino diventa il luogo centrale per il racconto, innanzitutto per il percorso di consapevolezza che era stato
fatto. Quindi, gran parte della Comunicazione che nasce su questo tema, nasce dalla capitale tedesca che
riunisce l’intero territorio.
1990  Prima volta che la Nazionale di calcio tedesca torna ad avere un’unica squadra, non c’è più a
divisione in Germania dell’Est e Germania dell’Ovest.
Siamo a una presa di consapevolezza evidente di questo tema come centrale a livello nazionale tedesco, ma
anche internazionale, europeo ma anche mondiale.
Infatti, il Museo di Auschwitz viene visitato negli anni, dalla sua apertura, da tutti i Capi di Stato a livello
internazionale.
Questo vuol dire che tutti quando guidano una Nazione, quindi tutti noi che siamo inseriti nelle Nazioni e
negli Stati di oggi, una riflessione sulla Shoah ce la ritroviamo di fronte, in campo formativo, comunicativo,
legislativo.
Di fatto, dal 1990 in poi, questo ingresso della Shoah non è più sottovoce ma è molto evidente.
Dal nostro punto di vista, che ci occupiamo di Comunicazione, diventa ancora più interessante perché non
tutto si limita all’emersione di questo nuovo tema. In realtà, viene messo da parte l’altro tema, ovvero la
questione partigiana, la Resistenza fatta ai Nazisti, che viene marcato come un elemento fortemente
politico, che rimandava a quella parte politica del Socialismo che, dopo la caduta del Muro di Berlino, a
livello internazionale, diventa un tema spinoso da difendere, affrontare e raccontare.
Da questo momento in poi, tanto si racconterà della Shoah, molto meno della Resistenza politica 
Cambiano i tempi e cambia il racconto.
Il fatto che ci sia questo stravolgimento a livello storico porta a un aspetto problematico con cui ci
confrontiamo ancora: l’aspetto dei Totalitarismi viene proposto come un’equiparazione totale, come se
tutte le vicende storiche fossero identiche tra loro.
Se non si entra nello specifico del racconto storico e di cosa è successo, difficilmente poi si riesce a capire
quali sono le differenze e le continuità, e soprattutto a usarle in maniera corretta sia nella Comunicazione
che nella Formazione.
Nel 2013, in Germania, il bilancio dello Stato prevede 28,8 milioni di euro messi a disposizione dallo Stato e
circa 20 milioni di euro dati dalle Regioni (Länder) per le questioni che riguardano la Memoria  50 milioni
42
di euro si spendono per questioni relative alla Memoria.
La spesa di fondi per costruire luoghi od opportunità per fare memoria in Germania è molto avanzata
rispetto agli altri Stati.
CONTESTO ITALIANO  Finanziamenti dello Stato italiano su questi elementi sono di tanto inferiori.
Questo mostra la differenza nella capacità di diffondere questa narrazione.
I Luoghi di Memoria nelle due Germanie e nella Germania unita dal 1945 ad oggi
Gran parte dei luoghi sono anche i luoghi stessi in cui i fatti sono avvenuti.
Dopo il 1945 si ha a che fare in Germania con problemi e con scelte da fare sui luoghi che sono stati i veri e
propri luoghi della persecuzione.
Prima di questa grande presa di coscienza da parte delle giovani generazioni, un primo passaggio portò al
disinteresse e quindi spesso alla chiusura e alla distruzione di tanti di questi luoghi, anche quando si
trattava di Campi di Concentramento.
Poi, una diversa consapevolezza della loro importanza, portò a tutelarli, a porli sotto una Legge specifica
che prevede che essi non debbano cambiare d’aspetto né essere distrutti.
Tema del cambiare d’aspetto Se si ha a che fare con un Campo di Concentramento, perché venne deciso
che era importante non cambiare il loro aspetto/fisionomia, cioè non ricostruire se non per conservare?
(conservazione sì, ricostruzione di cose nuove anche se c’erano in precedenza ma sono state distrutte no)
Qual è l’importanza di conservarli nello stato in cui sono?
ES: Se ho a che fare con Auschwitz e devo decide cosa farne: premesso che decido di farlo restare e di farlo
diventare un Luogo di Memoria, se sono venute giù delle baracche cosa faccio, le ricostruisco o non le
ricostruisco? Intervengo dando di nuovo una presenza fisica a cose che non ci sono più anche se sono certo
che c’erano oppure lo lascio nello stato in cui l’ho trovato e mi limito ad avere attenzione nel conservare le
cose che sono rimaste?
ES: Al Museo di Auschwitz, in particolare ad Auschwitz – Birkenau, ci sono gli spogliatoi, i forni crematori, le
camere a gas che sono stati fatti saltare. Si ricostruiscono o no?
Intervento in chat
1. Io lascerei le cose conservando quelle che ci sono senza ricostruire altro perché questo dà il senso della
storia. Alcune cose sono state distrutte e quindi è corretto non rimetterle.
2. Andare a ricostruire un luogo altera la storia che c’è dietro a quest’ultimo. Si va a intaccare il ricordo
stesso di ciò che è avvenuto nel luogo.
3. Io ricostruirei le cose come erano nel momento in cui tutto è successo. Ricostruiamo purché sia legato a
un contesto storico perché se una cosa c’era allora la posso ricostruire.
4. Se ricostruiamo si perdono delle mini-tracce che danno prova della sua esistenza. Quindi, se andiamo a
intervenire, ci mettiamo in una situazione problematica quando incontriamo un negazionista.
Perché venne deciso quindi di non costruire cose nuove ovvero di non ritirare su cosa era stato distrutto,
ma di conservare ciò che già c’era (si ricostruisce come era nell’epoca ma non con i materiali dell’epoca)?
Perché si voleva evitare che ci fossero problemi con i Negazionisti.
NOTIZIA  https://www.ilrestodelcarlino.it/bologna/cronaca/auschwitzland-tshirt-predappio-1.4266268
T-shirt Auschwitzland a Predappio, Ticchi sospesa da Forza Nuova.
Era successo che questa signora si era presentata a una delle manifestazioni a Predappio, in ricordo del
Duce, con una maglietta che dice molto di quanto affermano i Negazionisti.
Sulla maglia c’è l’immagine dell’ingresso di Auschwitz – Birkenau con scritto Auschwitzland.
Il messaggio è: «Quando andate ad Auschwitz, fate attenzione perché non state guardando la realtà, ma
qualcosa che qualcuno vi racconta in un determinato modo, ma che in realtà non è esistito»  Auschwitz è
un’invenzione.
David Irving sosteneva che andare ad Auschwitz era come andare a Disneyland. Egli organizzava delle gite
per Negazionisti, per dimostrare che ciò che vedevano non era in realtà quello che era effettivamente
avvenuto là dentro.
Nel Film La Verità negata, un collaboratore di David Irving, anch’egli negazionista, va ad Auschwitz, in una
43
sezione dove sono state uccise delle persone con il gas, preleva un pezzettino/dei campioni di muro (perché
c’è rimasto il segno del blu), li riporta a casa di nascosto, fa delle analisi per verificare se ci sia il veleno e
dice che con quella minima traccia di veleno rilevata, che è una quantità irrisoria di acido cianidrico, gli
uomini non potevano morire. Quello lo usavano invece per la disinfestazione/per uccidere i topi.
In realtà egli diceva una falsità perché la quantità di quel veleno che serve per uccidere un topo è molto più
elevata di quella che serve per uccidere un uomo.
Se io entro in questo tipo di narrazione e altre persone ci credono insieme a me e magari quelle persone
diventano la maggioranza, quel tipo di messaggio passa e istilla dei dubbi nelle persone.
Se non ho l’Informazione del veleno, e sento solo il pezzo che mi propone il negazionista, tendenzialmente
sembra che sia una buona motivazione, sembra razionale.
Ecco perché non ci si può basare solo sull’emotività.
Se io non ho le risposte da dare, la mia Comunicazione su certi temi magari funziona immediatamente
perché parla al cuore/aspetto emozionale e riesce ad arrivare subito a essere letta.
Ma poi se si entra nei meandri delle questioni più pesanti (il Negazionismo, difendere certe posizioni), se
non si ha l’aspetto della Formazione come ci si arriva?
Si dovrebbe proporre la questione del dogma: «Ci devi credere perché ci devi credere», però non è una
grande spiegazione.
Se si vuole sostenere qualcosa, la si sostiene con degli elementi, di modo tale che posso verificarli o vedere
invece che erano fasulli.
NOTIZIA  https://www.ilsussidiario.net/news/diario-di-anna-frank-era-un-falso-tutte-le-polemiche-del-
revisionismo/2123721/
Qual è uno dei grandi simboli della storia dello sterminio? Anna Frank è un simbolo molto conosciuto. Tutti
l’abbiamo conosciuto e sappiamo a cosa si riferisce se siamo vissuti in un contesto dell’Europa occidentale.
Tante volte si è tentato di mettere in discussione la veridicità del Diario di Anna Frank. Una di queste volte
era particolarmente interessante.
Qualche anno fa, su un sito francese, esce una notizia nella quale viene detto che il Diario di Anna Frank
non è reale, non racconta cose vere, ma è una strumentalizzazione, perché è stato scritto con la penna a
sfera, con la BIC (la cui scoperta è datata 1954).
Questa è una questione intelligente per mettere in discussione la veridicità del Diario di Anna Frank.
Egli dice che il Diario essendo stato scritto con la BIC è falso, perché non esisteva la penna BIC quando
dovevano svolgersi i fatti di Anna Frank ovvero negli anni 1940-1945.
Se viene fuori che il Diario di Anna Frank è stato scritto con la penna a sfera, è chiaro che è stato scritto
dopo.
ES: Qualcuno arriva da noi e dice: «Ho scoperto una cosa eccezionale: il Diario di Anna Frank non è reale
perché è stato scritto con la BIC».
Come facciamo a trovare un modo per dimostrare che la persona sta dicendo una falsità?
Come facciamo a rispondere a una persona che prende un social qualsiasi e dice che il Diario di Anna Frank
è fasullo, e che l’ha scritto con la penna a sfera qualcun altro, dato che nel 1944 la penna a sfera non c’era.
Facciamo conto, che egli abbia anche dei documenti firmati da parte di qualcuno che dicono che
effettivamente è stato scritto con la BIC.
Spetta a noi trovare la prova, lo strumento per provare che ciò che dice è falso.
Dobbiamo procurarci anche noi dei documenti che vadano a smentire il documento del negazionista 
Abbiamo bisogno di fonti. Dobbiamo capire chi è quella persona, chi gli ha dato quella fonte, chi ha firmato
quel documento che lui porta e da che fonte viene, chi ha fatto le analisi.
L’Informazione, la Formazione e l’Educazione sono le armi che abbiamo contro questo tipo di affermazioni.
Nel caso della notizia, è venuto fuori che si trattava di un francese negazionista che da tempo sta
combattendo una battaglia per la negazione della storia della Shoah ebraica.
La risposta giusta a quella obiezione c’era già, perché c’è l’originale.
Rispetto al Diario di Anna Frank, molte cose sono già state analizzate: si è scoperto che una prima parte era
stata scritta su un quaderno da registratore di cassa; poi si scopre che lei, essendo in clandestinità, ha usato

44
vari inchiostri diffusi nell’epoca di diversi colori, a seconda di quelli che riusciva ad avere.
Questo toglie tutto il valore dell’affermiamone del negazionista.
Qualcuno può dire: «Però ci sono parti del Libro, che sono state tolte da quello che è stato poi dato alla
stampa». È vero, ci sono tanti quaderni che compongono il Diario e non tutto vi è entrato. Sono state tolte
le parti che venivano considerate dall’editore meno importanti e meno utili al prodotto finale.
Ma questa è una cosa diversa dalla conservazione nel Museo (dentro la casa dove si era nascosta Anna
Frank) ad Amsterdam, dove si possono trovare le versioni originali del Diario.
Questo permette di andare a fare indagini o a reperire informazioni che si trovano anche su Internet.
Dal punto di vista comunicativo, è interessante notare che se arriva una persona che ci dice che è fasullo, ci
fa venire un po’ di straniamento, ci spiazza. Non sappiamo come rispondere.
N.B. Il gioco non è che chi prima apre bocca ha ragione, il gioco è stare nel dibattito.
Se voglio stare nel dibattito su questi temi scottanti e particolari, non posso accontentarmi dell’emozione,
bisogna che io abbia dei dati, delle conoscenze. Sennò rischio.
Se io che mi occupo di Comunicazione non so fare a rispondere ad un’accusa di questo genere, è in
vantaggio il negazionista, perché non so controbattere in maniera corretta quello che mi viene dall’altra
fonte.
N.B. Il consiglio del silenzio su questi temi quando viene fuori il Negazionismo è un’assurdità totale.
Se non si risponde, abbiamo lasciato il campo della Comunicazione tutto libero a lui.
Se stiamo zitti è perché non abbiamo temi e questo è un altro problema.
È importante quindi avere la capacità di stare nel dibattito, rispondere, trovare le fonti e riaggiustarsi
appena possibile quando abbiamo un’Informazione che sembra non confermare quello di cui siamo
convinti; e inoltre non rispondere mai con «Sì, ma è vero perché è vero», nemmeno quando si parla di
questioni come Auschwitz.
_______________________________________________________________________________________
Luoghi della Memoria in Germania – La RDT segue un percorso diverso dalla RFT
RDT (DDR)  Germania dell’Est  Socialismo
RFT (BRD)  Germania dell’Ovest  Capitalismo
N.B. Vediamo quanto conta la Cultura e la Società in cui siamo immersi nelle due parti della Germania.
Noi trattiamo questi temi per capire come si sposta la Comunicazione rispetto al contesto sociale, non per
giudicare le azioni delle due parti.
Nel dopoguerra la RDT risolve il problema del passato nazista autodefinendosi “Stato antifascista erede
della Resistenza” e crea dei “Luoghi nazionali di Memoria e Ammonimento”.
Nella parte socialista, il racconto che si fa di come posizionarsi nel futuro è lo stesso che si fa in Polonia.
Esse appartengono allo stesso schieramento e dicono la stessa cosa.
La DDR dice: «Noi restiamo uno Stato antifascista che è eredità della Resistenza che abbiamo fatto ai
Nazisti e che ora deve combattere contro il Capitalismo».
Quindi di creano Luoghi di Memoria che servono a ricordare alla gente che prima si è combattuto contro il
Nazismo e che oggi si combatte contro il Capitalismo, il quale, nell’immagine che si propone ad Est, è la
continuazione della sopraffazione dell’uomo sull’uomo (la Shoah non è contemplata).
Questa è la narrazione collettiva che viene proposta, non accettata da tutti, ma sicuramente imposta o
comunque espressa nei Luoghi di Memoria.
Nel dopoguerra, nella RFT prima si ha la reticenza, non se ne vuole parlare sia per superare sia per
nascondere il passato nazista  Si nascondono infatti i Lager.
ES: L’Austria viene annessa alla Germania nazista, diventando un territorio nazista. Infatti, anche lì ci sono
dei Campi di Concentramento, come quello di Mauthausen, non lontano da Salisburgo.
Cosa si vedeva in passato quando ci si avvicinava a quei luoghi? Il tentativo di nascondere quelle presenze
così scomode. Non c’erano cartelli, spesso non si potevano visitare e la popolazione, che sapeva della loro
esistenza, difficilmente forniva le informazioni per raggiungerlo.
Quando ci si avvicinava ai luoghi dove c’erano stati i Campi di Concentramento, le persone e le
45
Amministrazioni tendevano a mettere da parte, a non inserire cartelli, a non far sapere, a far dimenticare.
Nascondere significa, anche averne la consapevolezza, ma evitare di parlarne.
A un certo punto, nella RFT avviene un processo inverso. Quegli ex Campi, che sono molto evidenti nella
loro presenza, diventano luoghi di cui si curano prima gli ex deportati e poi diventano veri e propri Luoghi di
Memoria, quando la generazione giovane decide di parlarne e occuparsene.
A Est, nella RDT, non è si dimenticano i luoghi, anzi essi vengono usati (ci si fanno parate) e vengono resi
evidenti in quanto luoghi di deportazione di Comunisti e Antifascisti. La Shoah non viene considerata.
Germania dell’Est  tira fuori il tema, ne parla ma non parla di Shoah.
Germania dell’Ovest  nasconde, ma poi tira fuori il tema e inizia a parlarne inizialmente con molta
reticenza, fino a che non arriva una generazione di giovani che se ne prende la responsabilità e inizia a
parlare soprattutto di Shoah (e poi piano piano anche del resto).
RDT – Repubblica Democratica Tedesca
I Campi di Concentramento diventano Luoghi nazionali di Memoria e Ammonimento  Essi simboleggiano
l’importanza di prendere posizione dal punto di vista politico nella DDR.
- Buchenwald
- Sachsenhausen
- Ravensbrück: il Lager delle donne
RFT – Repubblica Federale Tedesca
I Luoghi di Memoria nascono soprattutto su pressione dei Comitati internazionali dei sopravvissuti. Ma
anche se vengono costruiti, si cerca poi di non farli visitare e vedere. Si tratta di Campi di Concentramento.
- Neuengamme, vicino ad Amburgo
Nel 1948, nell’area del Campo, furono allestiti due edifici adibiti a carcere chiusi solo dopo molti anni (nel
2006) per far posto al Museo – Memoriale al passo con i tempi  La struttura per tanto tempo viene fatta
funzionare come un carcere, dimenticando l’aspetto di memoria del passato che esso aveva.
Dopo la “svolta” del 1989, la Germania si unifica e anche la memoria cambia.
Viene fuori la questione di cosa debbano farne di questi luoghi che nelle due parti della Germania divisa
venivano usati in maniera diversa.
In parte, alcuni Luoghi della Memoria finiscono per essere distrutti, e altri invece vengono creati come
Luoghi nuovi di Memoria.
Vi sono anche nuovi schemi interpretativi che cercano di fare più un percorso formativo, che non un
percorso strumentalizzante e politico.
Questo vuol dire che quando si fa memoria c’entra sempre anche la questione politica, ma in quel periodo,
in Germania, si cerca di prendere le distanze dal coinvolgimento politico e ci cerca di offrire, dal 1990 in poi,
Luoghi che riescano a parlare di Formazione, piuttosto che di un ricordo asettico.
Si comincia anche ad avere interesse e quindi a dare valore anche ai singoli oggetti che rappresentano quel
pezzo di storia, cioè a tutto quello che diventa simbolo della vita dei singoli individui all’interno di questi
luoghi (oggetti che magari sono appartenuti a un deportato, che facevano la differenza nella vita di chi
veniva portato o viveva nei Campi di Concentramento).
Arrivano i centri di documentazione e le biblioteche, perché quelli ci danno i materiali per difendere le
posizioni ovvero le fonti conservate e i testi che possono far parlare le fonti.
Vediamo alcuni di questi luoghi: come erano e come sono diventati adesso che sono Luoghi di Memoria,
cioè come è stato utilizzato ciò che c’era per poter fare memoria.
- Dachau (1933-1945)  Primo Campo di Concentramento che viene aperto
- Sachsenhausen (1936-1945)
- Buchenwald (1937-1945)
- Flossenbürg (1938-1945)
46
- Mauthausen (1938-1945)  Ultimo Campo di Concentramento che viene liberato il 5 Maggio 1945
- Ravensbrück (1939-1945)
- Bergen Belsen (1940-1945)  Anna Frank è morta lì
Quando finisce storia della deportazione? La data istituzionale del 27 Gennaio 1945 ci porta a identificare
Auschwitz come il simbolo della fine di tutto, anche se in realtà l’ultimo Campo viene liberato a Maggio.
Ma è la Comunicazione che ci ha detto questo; noi percepiamo la fine di questa faccenda alla fine di
Gennaio del 1945, come se la fine di Auschwitz volesse dire libertà per tutti.
Dagli anni Novanta, si nota un nuovo approccio alla memoria: sorgono musei e centri di documentazioni nei
luoghi degli “autori dei crimini”.
Nel 1992 in una Villa a Wannsee, vicino a Berlino, si dà vita a quello che diventa un luogo di
Formazione/centro di didattica per le giovani generazioni e ci si fanno delle attività interessanti: esso è
specializzato nel racconto della memoria ai giovani delle Comunità che sono immigrati.
In quella stessa Villa, durante la Conferenza di Wannsee (Haus der Wannsee Konferenz) del 20 Gennaio
1942, viene deciso definitivamente lo sterminio degli ebrei d’Europa. Si contano numericamente gli ebrei
che sono sia nei territori che il Nazismo ha già conquistato, sia in quelli che vuole conquistare e viene deciso
che la soluzione è quella di eliminarli fisicamente. Allora si comincia la costruzione dei Campi di
Concentramento e di Sterminio.
Novità dopo la Conferenza di Wannsee  Campi di Sterminio.
Entrare in quella Villa e farci Formazione dà un messaggio importante: si è trasformato in un luogo di
Cultura, un luogo che fu il fulcro della storia in cui venne decisa la morte degli ebrei.
Nel 1987 vi è l’inizio del Progetto, poi inaugurato nel 2010 della Fondazione Tipografia del Terrore (“Luoghi
del Terrore”) a Berlino (Stiftung Topographie des Terrors), che sorge nell‘area dell‘ex centro di potere
nazista di Gestapo e SS, vicino a Potsdamer Platz.
Nel 2010 si inaugura una sezione dell‘antico Castello di Wewelsburg a Paderborn in Vestfalia (Erinnerungs –
und Gedenkstätte Wewelsburg 1933-1945) utilizzato dalle SS e da Himmler come luogo di riunioni, oggi
Luogo di Memoria.
Vi sono tanti altri luoghi che vengono restituiti all’utilizzo didattico-formativo, anche se erano stati luoghi di
sofferenza e legati all’eliminazione di quelle persone.
Dagli anni Novanta in Germania, in particolare a Berlino, cominciano a presentarsi i “Segni della Memoria”,
che sono soprattutto segni artistici.
- 1998: Targhe ai pali della luce nel quartiere “bavarese” di Berlino che ricordano i vari passaggi della
persecuzione degli ebrei  Progetto di un intero quartiere le cui vie sono state utilizzate per porre
cartelli che ricordavano la legislazione antisemita in vigore in Germania durante il Nazismo.
- 1995: Monumento nella Piazza (Bebelplatz) dove avvenne l‘incendio dei Libri nel 1933  Momento
in cui nel 1933 uno dei simboli della epurazione di certe categorie dalla società tedesca, voluta dai
Nazisti, viene rappresentata dall’incendio dei Libri: quindi, è stato edificato un Monumento che si
sviluppa all’ingiù che ricorda in quella piazza quell’avvenimento. Così ogni persona che ci passa
davanti torna con la memoria a quel momento.
- Dal 1995: Pietre d‘Inciampo (Stolpersteine) dell‘artista tedesco Gunter Demnig (ad ora 65.000 in
Europa  Sanpietrini di color ottone costruiti che permettono di “inciampare nella memoria”.
L’artista tramite questo canale comunicativo alternativo ha fatto una riflessione: «Io voglio mettere
un ricordo delle persone che sono state deportate, non solo ebree, e lo metto nello stesso luogo in
cui ciascun individuo fu arrestato». C’è riportato sopra: nome, cognome, data di nascita e data di
morte (se non è tornato). Queste mi permetto di scoprire che in quel luogo dove cammino tempo
prima è successo qualcosa che ha a che fare con questa memoria.
Sono le singole Amministrazioni che poi decidono di attivarsi per mettere nella propria città delle
Pietre d’Inciampo.

47
È un approccio diverso rispetto ad andare in un Museo: con questo approccio, tutti noi diventiamo visitatori
inconsapevoli della memoria, che comunica qualcosa al di là che si scelga di arrivarci o no; può anche
comunicare disgusto se si è una persona che pensa l’opposto di ciò che gli viene proposto, ma qualcosa ci
comunica lo stesso.
N.B. Anche il rinnovamento di come si comunica è importante.
ES: Non è semplice per nessuno di noi apprezzare una targa commemorativa con tanti nomi di persone che
sono scomparse. Sicuramente ci comunica qualcosa e fa memoria ricordandoci i nomi e il fatto che in quel
luogo è successo qualcosa, però sono tipi di Comunicazione che sono tipici di qualche decennio fa.
Oggi che quella storia i giovani la conoscono poco e di cui la Scuola si occupa poco, la scelta dell’artista che
mette la Pietra d’Inciampo è interessante, perché si immerge in una società che, a livello storico ne sa poco,
ma se da quello fa nascere interesse, può darsi che qualcuno si attivi per informarsi su quel tema e per
sapere chi era quella persona.
Sono modalità comunicative differenti da quelle degli anni Sessanta-Ottanta, ma che fanno parte del
linguaggio che inizia a circolare, dal punto di vista della memoria, tra fine anni Novanta e gli anni Duemila.
Continuiamo a vedere alcuni di questi luoghi…
- 2001: nasce il più grande Museo ebraico in Europa dedicato alla storia degli ebrei in Germania,
capolavoro dell’architetto Daniel Libeskind.
- 2005: viene inaugurato a Berlino dopo lunghe vicissitudini il Monumento per gli ebrei assassinati
d’Europa, che sorge su un terreno che originariamente era di un Gerarca nazista  Luogo in cui si
trovano dei parallelepipedi di forme diverse e di altezze diverse che portano dentro una sorta di
labirinto. In fondo c’è anche un luogo di documentazione.
L’artista voleva proporre con questo l’idea di straniamento che riporta a quella vicenda storica:
quando ci si trova lì dentro si perde la capacità di direzionarsi, di prendere la direzione. È un effetto
fisico che però si connette a una riflessione di tipo storico: quando si arriva, si vedono dei
documenti che fanno parte di quella storia.
Questo è uno dei casi in cui si parla anche con ciò che si fa vivere al corpo.
Utilizzo dei Monumenti  Vi sono comportamenti precisi da teneri in determinati luoghi. Però dobbiamo
stare attenti a una tendenza italiana ovvero quella di rendere i monumenti totalmente avulsi dalla vita delle
persone. È chiaro che non bisogna esagerare e fare cose che non hanno nulla a che vedere con il luogo in
cui si è, visto che questi monumenti e questo tipo di esperienza meritano un certo rispetto. Però bisogna
anche trovare quell’equiLibrio giusto in cui questi monumenti possano vivere ed essere vissuti dalle
persone, perché sennò può succedere che tali monumenti diventino qualcosa di avulso dalla realtà, li vanno
a vedere solo esperti e nessuno li percepisce più.
Questi monumenti così vitali all’interno del contesto di Berlino sono interessanti proprio perché da un lato
rischiano di ritrovarsi con persone che si comportano in modo poco adeguato, ma a fronte di questo, se una
persona passa per Berlino, tendenzialmente vede e considera il monumento; e poi l’esperienza che vi fa al
suo interno è esattamente la sensazione che aveva intenzione di proporre l’artista.
A un certo punto, in Germania, quest’attenzione per la memoria non è stata solo più “Memoria della
Shoah” ma è stata memoria per tutte quelle categorie che hanno vissuto quell’esperienza.
Non è stata diminuita la centralità della Shoah, è noto che al centro di questo tema c’è la Shoah ebraica, ma
oggi la Germania, in particolare Berlino è anche luogo nel quale si trovano nuovi Monumenti che ricordano
altre vittime dei Lager: omosessuali (2008), Rom e Sinti (2012) e disabili del Programma “Eutanasia – T4”
(Progetto di eliminazione dei disabili dalla società tedesca, denominato in questo modo perché gli uffici che
lo controllavano si trovavano nella Tiergartenstraße 4) (2014).
Della Germania che si avvicina a questi temi si può apprezzare in particolare che sebbene anche lì ci sia
stato il tentativo di rimuovere, successivamente a questo c’è stato l’impegno per cercare di raccontare e di
dare segni vitali di questa memoria; tanto che siamo arrivati ad avere segno di memoria di categorie che

48
spesso sono tutt’ora emarginate. Pure lì, la percezione che hanno fatto parte del contesto della
persecuzione e dello sterminio c’è ed è molto viva e presente.
SLIDE  LUOGHI della MEMORIA in ITALIA
Le periodizzazioni sono le stesse che abbiamo utilizzato per la Germania: prima grandi monumenti, musei,
memoriali, poi Pietre d’Inciampo e altri tipi di strutture per fare memoria.
Le Associazioni attive nel contesto della memoria sono:
- ANPI – Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (1945)
- ANED – Associazione Nazionale ex deportati nei Campi nazisti (1968): essa è nata dalla riunione di
ex deportati che si sono salvati.
Queste due associazioni furono le prime a esporsi sul tema: da un lato vi sono gli ex deportati e dall’altro vi
sono i Partigiani. Sono le due associazioni di riferimento che, anche quando lo Stato era meno abituato a
occuparsi di questi temi, spingono perché questi temi non vengano dimenticati, ma possano entrare nel
contesto pubblico e diventare strumenti di Formazione.
1. Campo di Concentramento e di Transito di BOLZANO – Città italiana di confine
Il Campo non c’è più, adesso c’è solo un muro localizzato in Via Resia, la via in cui si trovava il
Campo.
Dopo l’8 Settembre 1943, dall’Italia inizia la vera e propria deportazione verso i Campi nazisti.
Prima l’Italia aveva affrontato un periodo che era quello precedente all’Armistizio, quindi quello
dell’alleanza con i Nazisti, che regge fino all’8 Settembre. Con quella data, una parte d’Italia è libera; invece,
la zona del centro-nord è caratterizzata dal tentativo di riprenderne il controllo/possesso da parte dei
Nazisti, che danno vita alle rappresaglie. Questo porta alla nascita della Resistenza dei Partigiani italiani.
In quel periodo, nascono sul territorio italiano dei Campi di Transito che hanno un’importanza enorme.
2. Risiera di San Sabba di TRIESTE (zona periferica di Trieste)  Questa struttura era una fabbrica che
si occupava di produzione del riso, che nel periodo di occupazione nazista, viene utilizzata come
Campo di Concentramento e di Transito.
Oggi è un Luogo di Memoria, è visitabile ed è in attività nella prospettiva di luogo di Formazione.
3. Campo di Transito di FOSSOLI – Carpi (MO), Emilia-Romagna  Da questo Campo ci passavano tutti
i deportati italiani, in particolare gli ebrei (tra cui Primo Levi)
Questo Campo c’è ancora, è ancora un Luogo di Memoria gestito dalla Fondazione Campo Fossoli.
In questo Campo sono sorti anche dei monumenti.
Esso si trova ora in una situazione un po’ problematica; il Campo ha un grande problema di
conservazione delle baracche, spesso invase da alberi e arbusti, quindi, c’è il rischio di perdere
anche ciò che è rimasto.
4. Museo diffuso della Resistenza, della Deportazione, della Guerra, dei Diritti e della Libertà di
TORINO
5. Binario 21 della Stazione Centrale di MILANO  Uno degli ultimi Luoghi di Memoria aperto in Italia
(https://www.ilpost.it/2018/11/05/binario-21-milano/)
Il Binario 21 si trova sotto la Stazione Centrale di Milano.
Esso era un binario dimenticato, che anni prima (intorno agli anni Duemila) veniva utilizzato per carico e
scarico di merci. Poi dato che era poco utilizzato venne del tutto dimenticato, finché, nel periodo in cui
riprendevano le testimoniane (oltre gli anni Novanta), alcuni testimoni iniziarono a fare delle registrazioni
con varie persone che gli chiedevano di testimoniare.
In una di queste occasioni c’era Liliana Segre, una delle poche persone rimaste ad aver affrontato la
deportazione e a essere sopravvissuta.
Lei doveva essere intervistata e doveva parlare del suo trasporto verso Auschwitz. Lei partì da Milano,
quindi viene portata lì e quando chiedono ai responsabili della Stazione di Milano se ci fosse un luogo
adatto per fare l’intervista, gli indicano il Binario 21. Allora scendono e vanno al binario. Esso ha una
particolarità ovvero che quando passano i treni sopra si sente molto forte lo stridore delle rotaie a contatto

49
con le ruote dei treni.
Quel suono fa ricordare a Liliana l’esperienza della deportazione. Lei aveva ritrovato esattamente il binario
da cui era partita. Lei non aveva consapevolezza piena perché era passato tanto tempo, era semplicemente
scesa da un camion (dato che veniva dalla prigione) ed era stata spinta a forza dentro a quel carro
bestiame, quindi, non aveva la percezione del punto esatto da cui stesse passando e di dove stesse salendo.

Ma quel rumore se lo ricorda. Inoltre, ricorda che il suo vagone venne sollevato come da un ascensore.
Infatti, lì c’è un montacarichi, la cui funzione era che, una volta che i carri ferroviari erano stati caricati di
merce (in questo caso di deportati), venivano presi i convogli/vagoni pieni di deportati e sollevati per essere
portati in superficie ed essere attaccati al locomotore del treno.
La donna ricorda questa sensazione di essere sollevata.
Ritrovato quel luogo, esso diventa un Luogo di Memoria. Nasce un Progetto per cui oggi quella struttura
chiamata Binario 21 non è più solo un binario secondario per le merci, ma diventa un luogo in cui si va per
ricordare cosa è successo durante la deportazione.
IMMAGINE  Essa mostra l’ingresso del luogo che porta alla visita del Binario 21 e riporta solamente la
parola “INDIFFERENZA” in stampato maiuscolo.
Questa unica parola ha molte connessioni comunicative e formative, senza che venga commentata.
Il messaggio, che non ha bisogno di grandi pannelli da mostrare, è: «Quello che stai andando a vedere è
successo, non soltanto perché c’erano i Nazisti e i Fascisti, ma è successo anche per l’indifferenza di gran
parte delle persone, anche in Italia».
Questo permette di percepire l’approccio diverso che viene dato ai Luoghi di Memoria quando ci si avvicina
alla fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila.
La vicenda di Liliana Segre è presente integralmente all’interno del docuFilm intitolato Memoria in cui si
parla della testimonianza dei deportati italiani. Il docuFilm fu l’occasione per rintracciare la testimonianza di
Liliana e connetterla al Binario 21.
Quello che abbiamo in Italia di strumenti per fare Formazione, anche come luoghi, è molto inferiore
rispetto a quello che c’è in Germania.
La questione italiana della memoria è molto meno presa in considerazione, ha molte meno opportunità di
essere riflettuta rispetto a quanto visto in Germania.
Il punto nodale su cui spesso si crea dibattito è: quanto il contesto italiano del Fascismo abbia collaborato a
quanto è successo in quell’epoca.
Dal punto di vista comunicativo, per molti anni è stato raccontato che l’Italia ha avuto un ruolo soltanto
marginale e che la colpa era soprattutto del Nazismo tedesco, Quindi, la colpa assoluta italiana è solo quella
di aver fatto gli accordi con i Nazisti e soprattutto rispetto a quelle che sono state le Leggi Razziali.
Se però vediamo i dati, i fatti e le fonti, sappiamo che la lettura della storia è ben diversa: c’è stata una
collaborazione stretta per quanto riguarda la deportazione dall’Italia da parte del Fascismo
Come mai si è raccontato questo per tanti anni? Da dove vengono le fonti che raccontavano del ruolo
marginale dell’Italia? Perché lo raccontavano? Cosa succede dal punto di vista culturale e formativo dopo la
guerra in Italia?
Questi temi ci portano in un campo diverso  Per adesso abbiamo visto il contesto sociale ovvero «Come
la comunico alla società esterna la memoria?»; adesso ci spostiamo in un altro contesto: «Ma a Scuola
come la si raccontava e come la si racconta? Che tipo di Comunicazione viene fatta dal punto di vista
formativo?».
Vedremo quali Libri influenzavano il racconto della storia in quegli anni e come venivano considerati.
La storia della persecuzione e della deportazione a quali strumenti era affidata? Tale storia era affidata
soprattutto alla Letteratura per tanti anni. Si leggevano Libri come il Diario di Anna Frank, Se questo è un
uomo, Il Giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani, del 1962 (si svolge a Ferrara).
Questi Libri venivano presi in considerazione dal punto di vista letterario, si leggevano nell’ora di
Letteratura; è diverso dal prenderli in considerazione nell’ora di Storia perché manca l’aspetto della

50
storicizzazione dei fatti ovvero si leggeva un Libro, si partecipava, si conosceva la storia di qualcuno che era
un testimone, ma poi non si avevano gli strumenti per storicizzare quello che ci veniva raccontato.
Cosa è successo in Italia in quel periodo? Perché c’era quella situazione? Perché quelle persone lì si
trovavano immerse in quella vicenda?  Queste questioni non venivano affrontante; quindi, lasciavano
questo campo del racconto molto slegato da quella che era la conoscenza storica e quindi possibilità di
comunicare e di costruire percorsi formativi.
Prossima volta  Contesto di cosa succede in ambito formativo e contesto di cosa succede in ambito più
legislativo relativamente ai grandi temi della memoria, in particolare in Italia.
LEZ. 7 – 05.10
L’ANED, l’ANPI e la CEDEC (Centro di Documentazione ebraica sulla Storia Contemporanea) sono
Associazioni formate da ex deportati ed ex Partigiani che si attivano per la memoria. Esse nascono per
cercare delle modalità di raccontare e per portare documentazione che testimoni ciò che è successo in un
mondo che vuole scordare.
Non siamo in un ambito di Programma nazionale interno alla Scuola, ma siamo in un ambito di
progettazione esterna.
Questo è importante, perché in quelle occasioni arrivano primi testimoni nelle classi portate da queste
Associazioni.
Queste persone avevano la necessità di riunirsi e ritrovarsi in Associazioni perché da un lato, il mondo stava
andando da un’altra parte ovvero nella via del lasciarsi alle spalle ciò che era successo; dall’altro lato, il
ritorno di queste persone, in particolare degli ex deportati, era stato sdegnato da contesti particolari di
rifiuto e sofferenza di quello che avevano vissuto.
Addirittura, essi dovevano difendersi e sottostare ad accuse che gli venivano mosse  L’arrivo delle
persone che si erano salvate fortunosamente veniva letto con senso di colpa perché il mondo esterno
chiedeva a queste persone che erano tornate: «Perché te ce l’hai fatta e mio figlio no? Come mai te sei
riuscito a tornare e quell’altro no?».
Vi era anche una percezione della storia totalmente assente, per cui quasi nessuno capiva perfettamente
ciò che era successo.
Quando le persone raccontavano da testimoni quelle vicende, non c’era il contesto di adesso in cui si
ascolta interessati; il contesto era opposto e a loro veniva detto: «La guerra c’è stata anche qui, tu hai
sofferto sicuramente, però è il momento di scordarsi di questa cosa e di costruire il futuro».
ES: Testimonianza di un giovane ex deportato originario di Prato  Egli era stato arrestato molto giovane
ed era stato portato a Mauthausen. Quando torna a Scuola, la mamma lo accompagna e si trovano davanti
al Preside di una importante Scuola pratese e il preside gli dice: «Però avrà avuto anche una biblioteca a
Mauthausen per poter studiare».
Questa era la percezione che c’era: non c’era piena consapevolezza di ciò che era avvenuto e quindi quello
che veniva raccontato a volte non veniva creduto perché ritenuto un’esagerazione, mentre a volte
diventava quasi un’accusa verso chi era rientrato come si si fosse macchiato di qualche comportamento
particolare, per cui lui era potuto rientrare e gli altri no.
Avvicinarsi alle Associazioni significava trovare il conforto di chi aveva superato la stessa vicenda e poi dare
più forza al racconto della memoria.
Sono queste Associazioni che iniziano i Viaggi della Memoria: sono loro che vanno a visitare gli ex Campi di
Concentramento, che stavano diventando Luoghi di Memoria.
Quello è l’inizio di qualcosa che poi prenderà un’altra piega: oggi, gran parte della Formazione che viene
fatta in Toscana prevede i viaggi nei luoghi di quei fatti. Oggi è usuale che un Progetto di Formazione
preveda anche l’andare a visitare; mentre, per allora, era qualcosa di totalmente inconcepibile.
Vi era una situazione di RIFIUTO DELLA MEMORIA.
CONTESTO (SOCIALE) ITALIANO  Anche nel territorio italiano, i nostri Campi non hanno affrontato una
condizione di estrema consapevolezza da parte di chi doveva occuparsene, e anche da parte della società
italiana che spesso di quei posti ignora la storia.

51
N.B. A Scuola qualche segno di memoria arriva attraverso l’attività delle Associazioni; questo tema comincia
a transitare e ci arriva per via della Letteratura  Ci sono testi che diventano testi di riferimento
soprattutto quando si affronta il tema letterario.
ES: Testi: Se questo è un uomo di Primo Levi; il Diario di Anna Frank, Il Giardino dei Finzi-Contini di Giorgio
Bassani (negli anni Sessanta è uno dei riferimenti letterari per parlare della persecuzione subita dalle
Comunità ebraiche).
Il racconto della persecuzione ebraica arriva a Scuola dal punto di vista letterario e non dal punto di vista
dello studio dei fatti.
L’approccio letterario è diverso da quello della conoscenza storica: non si va ad approfondire, ma si guarda
la vicenda che viene narrata dall’autore del testo.
Bisogna anche prendere consapevolezza del fatto che questa difficoltà di accettazione di quel passato in
Italia fu segnata da alcune scelte delle Case Editrici.
Le grandi Case Editrici come Einaudi avevano interesse a pubblicare quei testi? In quel periodo, nei primi
anni Sessanta, non c’era interesse per quei temi.
Anche Se questo è un uomo, che venne proposito da Levi alla Casa Editrice Einaudi, in un primo momento
venne rifiutato e quindi venne pubblicato in poche centinaia di copie dalla piccola Casa Editrice Francesco
De Silva.
La Comunicazione della memoria non era semplice, neppure quando siamo di fronte a quelle persone che
poi sono diventati dei testimoni simbolo.
Il racconto di Primo Levi non fu uno dei primi diari scritti da qualcuno che era stato deportato. Di vicende
che erano state narrate e messe su carta per essere poi stampate e pubblicate ce ne sono state tante.
Ma tutte quelle parole che riguardavano quel periodo storico e la memoria di quelle persone non vennero
mai pubblicate; gli autori arrivarono a essere conosciuti più avanti.
Da un punto di vista della memoria, quella che abbiamo definito la (RI)SCOPERTA DELLA SHOAH arriva con
un grande allontanamento dalla riflessione storica.
Vi è un Libro che ha fatto la storia rispetto al concetto che è stato diffuso in Italia sui temi del Fascismo e
della sua responsabilità verso la deportazione e verso quello che era successo nel periodo dei Totalitarismi.
Esso è importante perché influenzerà un punto di vista che sarà diffuso per tanti anni anche all’interno della
Scuola.
Il Libro era di un importante storico Renzo de Felice che comincia a essere contattato dall’Unione delle
Comunità Ebraiche Italiane per fare i primi studi su cosa era avvenuto in Italia tra 1943 e il 1945.
Egli viene contattato perché ciò che non era riflettuto e considerato dal resto della popolazione, era però
un tema ben presente (quello della Shoah) all’interno delle Comunità ebraiche italiane, le quali avevano
consapevolezza di ciò che era successo, erano state toccate, quindi avevano un interesse fondamentale per
raccontare questa vicenda, anche rispetto a ciò che era successo in Italia e non solo in Germania.
La domanda era: «Il Fascismo italiano in tutta questa faccenda che ruolo ha avuto quando gli ebrei italiani
sono stati perseguitati con le Leggi Razziali e poi allontanati tramite la deportazione senza fare ritorno?».
Essi affidano la risposta a una ricerca storica condotta da Renzo de Felice.
Egli progetta un Libro che deve toccare il periodo tra il 1943 e il 1945 e deve dire quali sono i motivi, cosa è
successo e perché è successo agli ebrei italiani quando l’Italia affronta quel periodo particolare in cui c’è
tutta la lotta di Liberazione dell’Italia fatta dai Partigiani, ma iniziano anche le deportazioni vere e proprie
fuori dai confini italiani.
Dopo l’Armistizio, l’Italia cambia le proprie alleanze, i tedeschi Nazisti diventano nemici, ma essi,
nonostante sia stato arrestato Mussolini, operano per riuscire a liberalo (azione sul Gran Sasso); egli viene
così liberato e viene portato sul Lago di Garda, nella zona di Salò dove si sa vita alla Repubblica di Salò che
diventa il quartier generale da cui cercheranno di riprendere controllo di tutto il territorio italiano mentre i
Partigiani li stanno combattendo.
Quindi, Nazisti e Fascisti sono ancora collegati sul territorio italiano dal fatto di voler tentare, a partire dalla
Repubblica di Salò (zona nord-centro Italia), la riconquista dei territori che hanno perso.

52
La parte più violenta di persecuzione e di lotta avviene in quel periodo.
Le Comunità ebraiche italiane dicono: «Se la deportazione degli ebrei inizia nel 1943 dall’Italia, significa che
dobbiamo chiederci quali erano le responsabilità».
LIBRO (PAG. 80)  La risposta di Renzo de Felice.
Nasce una versione che sarà molto diffusa delle responsabilità del Fascismo.
Siamo nel 1961. L’autore fa un accordo con la Casa Editrice Einaudi e indica un titolo provvisorio del testo
che dovrà dare risposta a questa domanda, tramite ricerche storiche e tramite documenti che anche le
Comunità ebraiche gli mettono a disposizione.
Il titolo che lui accorda con le Comunità e con Einaudi dovrebbe essere Ebrei durante il periodo fascista. Nel
frattempo, il titolo viene reso ancor più chiaro con indicazione di: Storia delle persecuzioni nazifasciste
contro gli ebrei in Italia 1938/1945.  Ciò significa che a lui viene chiesto di indagare il periodo dalle Leggi
Razziali fino alla deportazione definitiva.
Il testo poi affronta un cambiamento significativo perché, a fronte di 546 pagine finali, soltanto 51 pagine
saranno dedicate allo sterminio ebraico a opera del Nazifascismo.
Questo vuol dire che mentre si svolgeva la ricerca il contesto di riferimento cambia. Esso cambia a tal punto
da far cambiare titolo al volume in Storia degli ebrei italiani sotto il Fascismo.
Gran parte del testo viene dedicato al periodo antecedente alle Leggi Razziali; solo la parte finale è dedicata
al tema dello sterminio nazista, perché la tesi che viene spesa su quel testo è che le responsabilità del
Fascismo rispetto alla deportazione degli ebrei dall’Italia sono dovute soltanto all’alleanza avuta con i
Nazisti; e quindi l’Italia non ha grosse responsabilità, è semplicemente entrata nel cono d’ombra di
controllo nazista ed quindi è solo in parte minimale responsabile di quello che è successo agli ebrei italiani.
Questa tesi non resta lì. L’avevano voluta come ricerca le Comunità ebraiche, la pubblica Einaudi e il tema
sta venendo a galla; quindi, è la prima volta che ci si espone in maniera chiara sulla responsabilità italiana.
Ma la risposta non è quella che si aspettavano le Comunità ebraiche ovvero piena responsabilità del
Fascismo, ma è quella opposta.
N.B. Questa storia, questo tipo di Comunicazione si diffonde in tutti i Libri di testo, diventando la versione
ufficiale di Stato  Quando si raccontava quella storia, si raccontava in questi termini.
Oggi sappiamo che lui aveva torto; le ricerche successive fatti dagli storici dimostrarono che l’Italia ebbe un
ruolo antecedente rispetto all’indicazione della persecuzione ebraica all’interno della propria Legislazione e
si adoperò attivamente anche per la deportazione. Cioè gli ebrei italiani non sarebbero stati deportati se
non ci fosse stato il Collaborazionismo del Fascismo.
Quella versione di de Felice ebbe talmente tanta attenzione/risonanza che divenne la versione più diffusa
nel nostro Paese, in parte anche fino a oggi.
Dal punto di vista comunicativo, questo tipo di approccio ha prodotto e apre la strada a quelle indicazioni
che fanno dire spesso, in maniera molto popolare: «In fondo Mussolini ha fatto anche cose buone: le
pensioni, la bonifica, le strade, ecc.» ovvero una serie di azioni che sembrano derubricare l’importanza e la
responsabilità che ha avuto il nostro Regime rispetto alla persecuzione e alla deportazione.
È vero che dal punto di vista storico oggi quella versione è stata negata, ma essa ha seminato per tanti anni
e ciò ha lasciato l’idea di un Fascismo meno responsabile di quello che era successo in quel periodo.
Nel 2019 è uscito un Libro intitolato Mussolini ha fatto anche cose buone, per dimostrare che, quando si fa
questa storia di Mussolini che ha introdotto le pensioni, le strade, le bonifiche, si tratta di questioni che
sono tutte confutabili: cioè non solo non sono vere, ma sono da criticare perché non è andata così se si
guardano i documenti storici.
Questo tema è ancora caldo in Italia, nonostante le ricerche storiche ci dicono l’opposto di quando diceva
de Felice a partire dal 1960.
N.B. Quella di Renzo de Felice era un’interpretazione dei fatti.
Non è che le interpretazioni della storia sono legate solo alla lettura dei documenti, perché uno stesso
documento, rispetto a come lo si legge e lo si propone, può essere usato per leggere la storia in maniera

53
opposta.
Oggi, rispetto ad allora, non c’è grande un cambiamento nelle fonti, ma c’è un grande cambiamento nella
consapevolezza di quello che è successo, nella lettura delle fonti fatte parlare insieme collegate tra loro.
NELLA COMUNICAZIONE E NELLA FORMAZIONE C’È SEMPRE LA POLITICA.
Quando, a livello governativo e legislativo, si sceglie un piano di studio da inserire in un percorso di
Formazione o quelli che erano un po’ di tempo fa i Programmi per la Scuola, è chiaro che c’è sempre una
visione politica dell’obiettivo a cui voglio arrivare
ES: Grandi Riforme della Scuola degli ultimi tempi  C’è stata una Riforma Berlinguer che metteva al centro
le conoscenze (Governo di centro-sinistra) e una successiva Riforma Moratti e poi Gelmini che fanno invece
il ragionamento opposto, dicendo che le conoscenze sono una cosa da raggiungere rapidamente per dare
delle competenze professionali perché la Scuola deve servire a entrare nel mondo del lavoro.
È chiaro che i due punti di vista non portano agli stessi risultati: vado dalla parte delle conoscenze da un
lato e silenzio le conoscenze e metto più in evidenza le competenze professionali dall’altro lato.
I due Programmi che costruisco sulle due basi diverse sono necessariamente differenti.
Quando facciamo delle scelte di interpretazione e di Comunicazione di fatti storici, c’è sempre in mezzo
anche il contesto politico in cui siamo immersi.
L’Italia era immersa in un contesto politico in cui, a differenza di quanto avveniva in Germania, non si entra
nel mettere in discussione le responsabilità del Fascismo, le lascia da parte.
Quindi, ci troviamo in un contesto in cui la versione di de Felice è accolta molto volentieri soprattutto da chi
voleva mettere da parte la riflessione sulle responsabilità del Fascismo italiano.
Renzo de Felice non era in mala fede, ricostruiva la sua versione dei fatti oggi messa in discussione. Questi
fatti venivano letti da un punto di vista che rivela delle problematicità importanti e rivela che quel tipo di
letture hanno lasciato tanti segni, che ancora oggi una buona parte della popolazione italiana quando sente
parlare di Fascismo pensa di parlare di qualcosa che ha molte meno responsabilità rispetto al Nazismo.
Questi sono i momenti importanti in cui la Scuola inizia a sentir parlare di memoria.
Nei Libri di storia entra e si diffonde la versione di de Felice: i cattivi sono i Nazisti, l’Italia con Mussolini ha
avuto il problema di seguirli le alleanze, ha fatto l’errore delle Leggi Razziali, ma il Totalitarismo italiano, a
parte questo, è stato meno cattivo/responsabile rispetto a quello nazista  Diventa cultura popolare.
_______________________________________________________________________________________
Abbiamo visto i cambiamenti dei Luoghi di Memoria, abbiamo visto come piano piano comincia a entrare il
tema della Shoah nei vari ambiti, sia nel racconto della memoria sia poi negli ambiti formativi.
Vediamo il passaggio che avviene, a livello politico, tra Prima e Seconda Repubblica.
In Italia, la versione di de Felice allontana le responsabilità e nel frattempo il mondo cambia. Nel 1989, la
fine del Socialismo e la disgregazione dell’URSS segna la fine del Socialismo Reale. I due grandi blocchi che si
contrapponevano fino a quel momento non ci sono più, uno scompare, ha avuto la meglio il Capitalismo.
Dal punto di vista della memoria (le cose cambiano progressivamente), questo significa che, fino alla fine
degli anni Ottanta, il tema centrale della memoria è la Partecipazione politica e quindi il ruolo dell’eroe
Partigiano, che ha liberato l’Europa dal Totalitarismo.
Dal 1990 in poi, il faretto che aveva illuminato con attenzione il ruolo dei Partigiani, degli oppositori politici
si gira lo verso sterminio di stampo razziale, perché quel racconto politico che presupponeva una
partecipazione politica a quel racconto è venuto meno (è caduto il Comunismo).
Nasce un’identificazione del Partigiano come se fosse equivalente a quel Comunismo e a quel Socialismo
che sono crollati. Ma non era così: i Partigiani erano anche socialdemocratici, cattolici.
Però, a livello comunicativo, questo messaggio funziona  È caduto il Comunismo e allora come si fa a dire
che i Partigiani erano dalla parte giusta (questo viene fuori da parte di chi vuole mettere in discussione
quella storia).
Il faro della memoria si gira dalla parte della Shoah, recupera una parte fondamentale che era stata
dimenticata, ma, come sempre succede per le questioni che riguardano la memoria, si sceglie di ricordare
ciò che è meno problematico.
54
Prima era problematica la Shoah perché c’era l’Antisemitismo e il concetto di Partigiano-eroe da venerare.
Adesso la scelta di comodo è: «Lasciamo stare quel racconto complicato dato che è caduto il Socialismo e
voltiamoci dalla parte di chi ha subito uno sterminio di stampo razziale, legato non alla sua idea politica, ma
al fatto di essere appartenenti a un gruppo».
Ci si avvicina alla MEMORIA DI TIPO EMOTIVO dove le equiparazioni sono frequenti.
Se si prende come riferimento solo la memoria emotiva, la domanda che ci poniamo è: «Che differenza c’è
tra la vittima che era dalla parte della Democrazia e la vittima fascista che cade sul campo di battaglia, ma
era dalla parte sbagliata di quella lotta?».
Se prendiamo soltanto il sentimento, sono due persone morte e dobbiamo rispetto ad entrambe, dal punto
di vista del fatto che erano due esseri umani. Se mettiamo da parte l’aspetto della posizione politica, si
partecipa al dolore dell’una e dell’altra persona allo stesso modo.
Questo è giusto dal punto di vista dell’emozione ma è problematico dal punto di vista della storia.
Se comunichiamo solo sul piano emozionale dicendo: «Tutte le vittime hanno il diritto di essere rispettate»
scompaiono tutte le altre domande: «Cosa è successo? Qual era il contesto storico? Perché hanno scelto
strade differenti? Che differenza c’era tra queste due persone? Da che parte stavano? Perché sono successe
certe cose?».
Siamo in questo periodo, che l’Italia affronta, dal punto di vista politico, con dei cambiamenti anche
all’interno dei Partiti: tante componenti partitiche italiane hanno un cambiamento di nome e si ha
l’allontanamento da quelle che sono grandi Ideologie del Novecento.
SINISTRA  Uno dei problemi che nasce è che, dato che nel 1989 l’esperienza del Socialismo Reale è finita,
può continuare a esistere un PC italiano, anche se poi si richiamava a esperienze diverse e aveva preso le
distanze da ciò che riguardava il Totalitarismo comunista?
La disgregazione del Socialismo Reale porta al cambiamento anche dei Partiti, non ci si richiama più
all’ideale comunista perché diventa problematico. Quindi, se ne prendono le distanze e si cambia nome.
Il PCI inizia un processo di cambiamento sotto il segretario Achille Occhetto che porta al cambiamento del
nome e dei riferimenti ideali e politici. Esso diventa prima PDS, poi DS e infine PD, unendosi a una
componente cattolica.
DESTRA  C’era un Partito che si richiamava nel dopoguerra alle proprie origini fasciste. Non poteva
chiamarsi Partito fascista perché il Fascismo venne dichiarato fuori legge, ma l’MSI (Movimento Sociale
Italiano) era il richiamo diretto all’esperienza del Partito fascista. Infatti, tanti suoi componenti avevano
fatto parte del Partito fascista (uno di questi è il Segretario Giorgio Almirante).
Quindi, quando c’è questo cambiamento enorme negli anni Novanta, anche la Destra vuole prendere le
distanze dal Fascismo perché era problematico dichiararsi eredi del Fascismo. Essi prendono distanze da
quell’ideologia e cambiano nome: sotto il Segretario Gianfranco Fini nasce AN (Allenza nazionale) che oggi
ritroviamo in FdI (Fratelli d’Italia).
A Sinistra, il PC aveva affrontato la Svolta della Bolognina (il congresso si svolge a Bologna nella sede della
Bolognina). A destra, l’allontanamento dall’ideale fasciata che era chiaro con il MSI, viene fatto con la Svolta
di Fiuggi.
Nel frattempo, in Italia, si verifica Tangentopoli (1992) – si scopre che i Partiti hanno ricevuto tangenti dagli
imprenditori per fare piaceri, dal punto di vista politico, e per agevolare gli affari in maniera illecita di alcuni
gruppi – questo scandalo travolge due componenti partitiche: il PS (Partito Socialista) il cui grande seguito
aveva avuto fino ad allora scompare e la DC (Democrazia Cristiana) cioè il Partito più importante di centro
con riferimenti cattolici che c’era stato dal dopoguerra a metà anni Novanta, governando tutto quel
periodo, il quale viene spazzato via. Ritroviamo poi il Partito DC diviso nelle sue componenti: qualcuno
prende la strada del centro-sinistra, qualcun altro del centro-destra.
Negli anni Novanta, i due estremi prendono le strade dell’allontanamento dalle ideologie del Novecento. Il
PSI e la DC scompaiono. In quegli anni nasce FI (Forza Italia) di Silvio Berlusconi, che va a occupare quello
spazio di centro che è rimasto vuoto.

55
Questo produrrà degli effetti dal punto di vista del tema della memoria.
Concetto di fondo  Quegli stravolgimenti che avvengono negli anni Novanta portano a cambiamenti
politici importanti, all’allontanamento dalle Ideologie.
Allontanandosi dalle Ideologie di riferimento, cioè abbandonando gli estremi, il tema della memoria che
stiamo affrontando dovrebbe essere caratterizzato da una grande facilità di incontro tra le due posizioni,
dovrebbe risultare un terreno pacifico, ma non è così.
Nasce la Seconda Repubblica, che è caratterizzata da queste nuove componenti partitiche.
il tema della memoria in teoria viene dichiarato un tema di semplice soluzione a livello politico, ma in
pratica, fa nascere un sacco di conflittualità enormi, ancor più grandi, proprio perché meno evidenti da
parte di chi li osserva, rispetto a ciò che era successo nel periodo precedente. Questo perché in Parlamento
si inizia a dire una frase molto diffusa: «C’è bisogno di costruire una MEMORIA CONDIVISA». Che cos’è una
memoria condivisa? Cosa c’era da condividere?
La posizione politica delle due parti è: «Abbiamo fatto un sacco di discussione su questo enorme tema della
memoria, che chiama in causa ciò che è successo dalla persecuzione, alla deportazione, allo sterminio e
ognuno l’ha vista in maniera diversa; oggi dal punto di vista politico, dichiariamo la necessità di una
memoria condivisa».
N.B. Essi volevano arrivare a uno stesso racconto, a un unico racconto per tutti, a un racconto comune, che
sia condiviso da tutte le componenti sociali e politiche italiane.
Il problema è: su che base si può costruire una memoria condivisa?  La prima cosa che è necessaria se ci
si pone l’obiettivo della memoria condivisa è riferirsi ai fatti storici, alle testimonianze dirette, ma questo in
quel momento è complicato perché si stava andando verso una memoria emozionale.
Nessuno si occupa dei fatti storici, si è più interessati a dire: «Partecipiamo alla memoria in senso emotivo,
partecipiamo in quanto ci sono state delle vittime da entrambi i lati, lasciamo perdere ciò che è successo dal
punto di vista storico e ritroviamoci su questo sentimento di partecipazione a chi è stato vittima in quel
periodo, di qualsiasi lato fosse».
Questa risposta non porta a nessuna pacificazione. Come faccio a pacificare uno che ha subito la morte
perché è stato sterminato per motivi razziali con un altro che era dalla parte di chi costruiva i Campi di
Concentramento e di Sterminio?
Come è possibile se non si afferma chiaramente ciò che è successo dicendo che la deportazione nei Campi
di Sterminio, anche politica, è stata una responsabilità politica di qualcuno?
Come la risolve la Politica? Costruendo delle Leggi.
E se nella Prima Repubblica le Leggi erano abbastanza chiare, perché le Leggi nella Prima Repubblica, che
nasce dall’esperienza della Resistenza in Italia, mettono al centro alcuni valori chiari: la Democrazia, il 25
Aprile come Liberazione dal Nazifascismo e dal Totalitarismo.
Si costruisce un calendario civile che è ben chiaro; dice quali sono i momenti storici che hanno fatto la
Democrazia e lo dice per ritrovarsi all’interno di quel tipo di racconto. Individua nella Democrazia il punto di
riferimento fondamentale e dice che dall’altra parte c’era qualcosa che non era la Democrazia.
La discussione sulla memoria che nasce nella Seconda Repubblica non ha questa caratteristica, ma ha la
caratteristica della memoria legata al sentimento/emozioni e questo complica la faccenda. Questo perché
innanzitutto si sono abbandonate le grandi Ideologie del Novecento, le quali davano dei punti fermi e
rendevano chiare le posizioni.
Ora invece c’è da ridefinire intorno a cosa ci si ritrova come società. Quali sono i riferimenti essenziali?
Quale memoria si sceglie come punto di riferimento se le vittime sono tutte uguali?
LIBRO (PAG. 69-70)  Prima Legge (Legge n° 211) sul tema memoria che nasce nella Seconda Repubblica,
che il 20 Luglio 2000 istituisce il GIORNO DELLA MEMORIA ovvero il 27 Gennaio (diventa Legge in
quell’anno).
Leggiamo alcuni passaggi del dibattito che c’è stato in aula tra le diverse forze politiche, le quali dicono di
essersi allontanate dalle Ideologie, per capire che l’etichetta memoria condivisa fa sembrare le cose
semplici, ma in realtà non è così, anzi diventano pericolose dal punto di vista comunicativo e formativo.

56
Dagli anni Duemila in poi, si inizia a notare la STRUMENTALIZZAZIONE POLITICA fatta sul tema della
memoria che diventa sempre più evidente.
Siamo nella XIII Legislatura italiana iniziata nel 1996, con un Governo di centro-sinistra presieduto da
Romano Prodi.
L’iter del Giorno della Memoria inizia il 10 Febbraio 1997.
Una Legge nasce sempre da una Proposta di Legge che viene discussa e poi semmai modificata e poi votata.
La Proposta di Legge viene fatta da una figura di riferimento Furio Colombo del centro-sinistra (fa parte dei
DS) ed è la proposta di istituire un giorno che ricordi la Shoah e ciò che è successo in quel periodo storico.
Si parte da una discussione in aula e dalla proposta che viene fatta da Colombo.
Sono le fasi stesse della discussione a dimostrare quanto ci fu poi da dibattere sul tema.
Di fronte al tema di dover istituire il Giorno della Memoria le tematiche sono:
- A cosa ci stiamo riferendo
- Che data scegliere (che sia significativa)
La discussione virava intorno alla domanda dei Parlamentari: «Ma io al centro di questa Legge cosa ci devo
mettere? Cosa scelgo della memoria, a cosa mi sto riferendo?».
Le parole di Colombo vogliono dire che il suo intento è quello di fare una Legge che vada a interessarsi di
ciò che avvenne con le Leggi Razziali e quindi a mettere al centro la Shoah.
Quindi inizia una discussione che riguarda anche la data da scegliere per il Giorno della Memoria.
Il Parlamentare Diego Novelli propone il giorno 16 Ottobre, in riferimento al 16 Ottobre 1943.
Cosa è successo quel giorno? È la data in cui gli ebrei del Ghetto di Roma vengono presi, arrestati e inviati
tutti ad Auschwitz – Birkenau per essere sterminati. A prelevarli sono dei collaboratori Fascisti che aiutano i
Nazisti e che li deportano verso il Campo di Sterminio  Si tratta di una data significativa per l’Italia.
Se abbiamo questo assoluto mito del Testimone della Shoah, gran parte dei nostri testimoni della Shoah
furono arrestati a Roma in quell’azione lì.
N.B. Però non la conosciamo come data e questo ci dà risposte sull’approccio italiano al tema della
memoria. Vediamo come funziona il piano della Comunicazione, della Politica e della memoria.
Se si comunica solo ciò che è tutto all’esterno dell’Italia, della percezione di ciò che è successo in Italia e di
questi temi non si ha grande contezza né conoscenza. Si celebra Auschwitz ma non sappiamo come l’Italia
ha mandato gli ebrei italiani ad Auschwitz  Dal punto di vista formativo e comunicativo non è il massimo.
Quando si parla di memoria emozionale ci si riferisce a questo: si riempie di emozione il simbolo di
Auschwitz, che non è un male, ma poi quando si scende nella concretezza di cosa è successo in Italia, vicino
a noi, non si sa rispondere.
Ecco perché Novelli dice: «Come mai scegliamo date internazionali? Mettiamo una data italiana, dato che
noi abbiamo avuto il Fascismo che ha collaborato con i Nazisti».
La sua proposta non passa, anche perché nel Parlamento italiano, nonostante tutti gli allontanamenti dalle
grandi Ideologie, c’è ancora qualche forza politica che, pur avendolo negato, si richiama all’esperienza
fascista. Quindi, queste non hanno alcuna voglia di sentirsi richiamare in causa il tema della responsabilità
italiana, perché si tornerebbe a parlare di responsabilità dirette del nostro Paese; meglio invece guardare al
di fuori dei confini.
Scegliere il 27 Gennaio come data non è un errore, gran parte delle Nazioni lo scelgono perché Auschwitz
diventa il simbolo internazionale di questa memoria, però questa scelta ci dice molto.
Parlare di memoria emozionale è questo: la scelta di date, di luoghi, di racconti che, pur parlando anche
dell’Italia, evitano di fare delle responsabilità italiane un simbolo da tenere presente per poi non ripetere
ciò che è successo davvero in futuro.
La discussione va avanti: a prendere la parola vi sono anche le persone che sono di posizione di centro-
destra. Questo è giusto perché se noi identifichiamo la memoria come un bene assoluto, come un qualcosa
che dobbiamo costruire, non è che deve essere compito di una parte politica e non di un’altra farlo.

57
Alla costruzione di una memoria condivisa, necessariamente devono partecipare tutte le componenti
politiche.
Mentre Furio Colombo vuole ricordare le Leggi Razziali, ovvero le Leggi antisemite che colpirono gli ebrei e
quindi vuole scegliere il 27 Gennaio perché la fine di quella storia si compie ad Auschwitz, gli interventi di
centro-destra prendono invece in considerazione un altro tema.
Tre Senatori di FI (contesto di centro) propongono di estendere il ricordo alle vittime di tutte le Ideologie
oppressive in riferimento al prima, durante e dopo la Guerra 1939-1945.
Nel suo intervento, Lucio Colletti dice: «Perché volete parlare di Shoah e non volete parlare delle
responsabilità di Stalin?».
Vi è poi l’intervento di Gustavo Selva, capogruppo di AN (campo della destra) che dice: «Se volete fare il
Giorno della Shoah, allora perché non volete metterci le Foibe visto che siamo in Italia?».
Siamo partiti da un punto di vista in cui i Partiti politici che si erano appena rinominati con varie sigle,
dicono di non volersi più richiamare alle Ideologie totalitarie quindi si sentono liberi di parlare di memoria.
Ma sono davvero così liberi? Le discussioni sono le stesse di quando dicevano di richiamarsi alle Ideologie.
La domanda che si stanno ponendo in Parlamento è: «Ma la Shoah e i crimini di Stalin e dell’oppressione
comunista fatta nei territori dell’Est sono le stesse o no?»; «Quando parlo di Totalitarismi posso
dimenticarmi le differenze e fare il Giorno della Memoria che ricorda tutti i Totalitarismi oppure no?».
Non è una discussione semplice. Per poter prendere posizione oggi in questa discussione e per dire con chi
siamo d’accordo, cosa ci manca/di cosa sentiamo la mancanza?
Ci si stava muovendo sul piano emotivo della memoria, ci manca la conoscenza storica. Quindi, su che base
si decide che la Shoah è uguale alle Foibe se non si sa nemmeno cosa è successo? E su che base si decide
che i crimini di Stalin sono uguali a quelli dei Nazisti della Shoah se non si hanno le conoscenze sui fatti?
La replica conclusiva è affidata a Giorgio La Malfa, Parlamentare di centro-sinistra e il suo intervento cerca
di entrare in questa discussione dicendo una cosa interessante.
Egli dice: «Attenzione, la Shoah non è unica, ma singolare sì. E quando uno elimina delle persone per razza
non sta facendo la stessa cosa, sebbene anche l’altra è condannabile, di uno che produce la morte di
persone per motivi di posizionamento politico». Egli sottintende che nessuno ha raggiunto il grado di
distruzione su base raziale che ha raggiunto il Nazismo quando ha pensato ai Campi di Sterminio.
N.B. Se non abbiamo la competenza dei fatti e non ritorniamo alla storia; se ci lasciamo attraversare dal
punto di vista soltanto dell’emotività, che funziona bene in Comunicazione ma poi ci lascia zoppi dal punto
di vista della Formazione, rischiamo di non avere più percezione delle differenze dei fatti storici.
Che differenza c’è quando muore un senza fissa dimora sotto un ponte, vittima delle politiche di esclusione
del Capitalismo? È la stessa cosa della Shoah? No, non è la stessa cosa, anche se è condannabile, ma
bisogna entrare nel contesto dei fatti e capire cosa è avvicinabile e cosa sta su elementi diversi di
costruzione.
La vicenda che viene fuori dalla Legge sul Giorno della Memoria è un combattimento politico che si basa
soprattutto sulla strumentalizzazione della storia, non sui fatti  L’obiettivo, infatti, non è la conoscenza; il
fine è quella della Propaganda politica.
Chi dice di mettere nella memoria tutti i Totalitarismi, sta dicendo: «Facciamo un percorso sui
Totalitarismi» o sta dicendo un’altra cosa? Sta dicendo: «Prendiamo la Shoah e consideriamola come se
fosse tutto il resto», ma la Shoah non è equiparabile al resto, è singolare/particolare, sebbene non sia unica.
Se ci si attacca tutto quanto, perché allora la si è scelta come punto di riferimento?
Ogni fatto storico non è che diventa più importante perché viene paragonato alla Shoah, invece siamo in
questo contesto. Se si riesce ad attaccare al treno della Shoah, che comunicativamente funziona, crea
attenzione e partecipazione, una comparazione con altre cose, allora anch’esse prendono il peso della
Shoah. Questo comunicativamente non funziona bene e che tipo di Formazione si sta proponendo in
questo modo?
58
La seconda Legge sul tema della memoria è la Legge che il 30 marzo 2004 istituisce il GIORNO DEL RICORDO
 Il 10 Febbraio è il giorno in cui si ricordano ufficialmente l’esodo istriano-dalmata, le Foibe e tutte le
vicende che si svolsero sul confine orientale italiano.
Questi temi della memoria diventano importantissimi: la Legge sul Giorno del Ricordo nasce come
contraltare del Giorno della Memoria.
La Legge vuole ricordare, con questa Legislazione apposita, e dedicare il 10 Febbraio al ricordo dell’esodo
istriano-dalmata, le Foibe e le vicende complesse accadute sul confine orientale, ma poi di fatto viene
utilizzato e ricordato solo per le Foibe.
L’esodo istriano-dalmata è l’allontanamento dalle zone rappresentate in particolare dall’Istria, della
popolazione italiana quando, dopo gli accordi alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quei territori, che
erano stati italiani, finiscono di esserlo e passano alla Iugoslavia; quindi, la popolazione italiana che abitava
lì torna verso Trieste.
Quel territorio abitato cambia totalmente riferimento politico: la Iugoslavia dopo la Guerra è un Paese
socialista.
La popolazione di origine italiana che viveva in Istria e che si ritrova in quel contesto/territorio quando esso
diventa slavo, viene vista come nemica. Gli slavi in Istria nel dopoguerra guardano gli italiani e li etichettano
come Fascisti perché lì il Fascismo avevano conquistato la terra e represso le popolazioni slave.
C’è di fatto una rappresaglia, una repressione forte.
Vi è quindi questo tema storico dell’allontanamento di migliaia di persone che si allontanano da quelle
terre per non abitare più lì. Essi vengono scacciati, ma si allontanarono anche per loro scelta.
LIBRO (PAG. 104-105)  La memoria è un tema importante? Sì, e dal 2000 lo diventa ancora di più. Infatti.
siamo in un momento storico, dal 2000 in poi, in cui escono tante LEGGI SULLA MEMORIA che parlano di
tante cose. Bisogna definire cosa è la memoria.
Prima del 1989 la memoria era l’eroe Partigiano che ci ha liberato; dal 1989 questo racconto viene
considerato problematico quindi si tira fuori, si recupera il tema importante della Shoah, ma questo porta
con sé una fase emozionale della memoria.
A questo tema della Shoah, in particolare la Politica comincia ad attaccarci altri eventi di altro tipo, in altri
luoghi (Stalinismo, Foibe).
Se fossimo stati noi l’aula del Parlamento, per poter intervenire in maniera opportuna su quei temi, ciò che
ci manca è l’opportunità di sapere i contesti storici: senza quelli si fa una Legge che parla alla pancia e al
cuore, ma non ha molti appigli dal punto di vista delle fonti.
Fino agli anni Novanta c’era stato un problema su quei temi: di responsabilità del Comunismo sovietico, di
Foibe, di esodo istriano-dalmata si era fatta poca Comunicazione.
N.B. Tutto ciò che non si comunica diventa poi uno strumento utile per chi vuole usarlo per propri scopi che
vanno al di là della conoscenza.
Per tanto tempo si era fatto a meno di parlarne e quindi era diventato un elemento così poco conosciuto
che noi adesso raccontandocelo siamo di fronte un po’ a quello che succede quando parla un negazionista.
La prima cosa che dice un negazionista è: «Questa è la storia che vi raccontano, ma poi c’è qualcosa che
nessuno vi vuole raccontare». E tendenzialmente noi siamo molto interessati ai racconti che nessuno ci
vuole raccontare, perché siamo di fronte a qualcosa che sembra identificare un’ingiustizia.
Negli anni Novanta, siamo in un momento in cui si inizia a dire: «Voi dite la Shoah, ma noi diciamo le Foibe
e diciamo Stalin. Voi avete sempre parlato di una certa storia che vi fa comodo, quest’altra l’avete sempre
tenuta in silenzio».
Con quale obiettivo alzano la mano e dicono questa cosa?
Perché solo dopo gli anni Duemila escono tutti questi Giorni della Memoria e non prima?  Tutto questo
interesse si ha perché si sta cercando di ricostruire un calendario civile che tenga insieme il contesto sociale
italiano. Bisogna capire dopo la caduta delle Ideologie su cosa ci ritroviamo.
Però questo è un processo strano perché se si costruiscono centinaia di Giorni della Memoria/Ricordo per

59
qualsiasi questione, alla fine questa memoria la si costruisce davvero?
Non la si costruisce molto; questa memoria la si tira fuori ogni volta che c’è bisogno di tirare fuori il
riferimento al buon sentimento di partecipazione civile per qualche sopruso che è avvenuto.
Ma poi ci viene fatta Formazione sopra? Si fa seguire alla Comunicazione e alla legislazione qualche attività?
N.B. Questa memoria viene tirata fuori un po’ da tutti e torna buona per qualsiasi cosa, purché non faccia
riflettere sui contesti sociali, politici e culturali in cui ci troviamo o da cui sono scaturiti certi eventi.
Questa è la memoria emozionale che usa il Giorno della Memoria per qualsiasi cosa.
Perché nella Prima Repubblica non c’era? Perché in quel periodo il calendario civile era ben preciso, ben
stabilito, aveva un impegno politico evidente.
ES: Nessuno avrebbe messo in discussione il 25 Aprile; mentre oggi ci sono forze politiche che lo mettono in
discussione  Siamo in un contesto sociale diverso. Prima c’erano cose certe che nessuno metteva in
discussione, che venivano prese anche come dogma. Oggi siamo travalicati nell’ambito opposto dove i
riferimenti sono a una generica memoria del «Vogliamoci tutti bene», ma su che basi storiche?
LEZ. 8 – 08.10
Siamo passati dai Luoghi di Memoria al ragionamento sulla Politica, cambiando il suo punto di vista.
Con il 1989 si ha la caduta del Socialismo, la disgregazione dell’Unione Sovietica e il Blocco orientale crolla.
Resta come riferimento il Capitalismo, a eccezione di poche esperienze di Socialismo.
Tutti iniziano a riorganizzarsi intorno al tema della memoria  Cos’è? Quali sono i valori? Di cosa si deve
parlare?
Abbiamo letto la discussione che porta all’approvazione nel Luglio 2000 della Legge sul GIORNO DELLA
MEMORIA. Su di esso vi sono valutazioni diverse: chi la propone ovvero Furio Colombo (centro-sinistra)
vuole ricordare con questo giorno la Shoah, per la sua singolarità/specificità. Dall’altra parte, il centro-
destra controbatte dicendo: «Perché allora non ricordare anche i crimini compiuti da Stalin o le Foibe e
tutta una serie di argomenti che fanno parte della memoria e dei Totalitarismi?».
N.B. C’era stato uno spostamento da una memoria legata a un chiaro riferimento politico e alla conoscenza
di tipo più storico, a una memoria che, dagli anni Novanta in poi, si sviluppava sul sentimento di
condivisone del dolore delle vittime  Su questa base, si dava una lettura che avvicinava in maniera
abbastanza univoca tutti i Totalitarismi.
Quindi, la Legge sulla Memoria, dopo un forte dibattito, esce con il tuo testo definitivo, il quale viene votato
all’unanimità. I Parlamentari riescono a trovare un accordo rispetto al testo di Legge: essa esce nella
versione di chi voleva sottolineare la specificità della Shoah.
LEGGE sul Giorno della Memoria 20 Luglio 2000, n° 211
“Istituzione del «Giorno della Memoria» in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e
dei deportati militari e politici italiani nei Campi nazisti”
Art. 1.  La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 Gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di
Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le Leggi
Razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia,
la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al Progetto di sterminio,
ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.
Art. 2.  In occasione del “Giorno della Memoria” di cui all'Articolo 1, sono organizzati cerimonie,
iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole
di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei
Campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell'Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della
storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere.

L’Articolo 1 definisce il TEMA  Sterminio ebraico, ma anche la deportazione di chi l’ha subita nel contesto
del Nazismo e del Fascismo. Si punta però molto l’accento sul collegamento Auschwitz – Nazismo: ci riporta
alle riflessioni fatte sulla nostra tendenza a puntare lo sguardo all’esterno piuttosto che guardare in casa.

60
Tutte le Leggi che nasceranno sul tema della memoria civile (alcune delle quali si spostano dal tema storico
oppure fanno riferimento ad avvenimenti generali più vicini al presente) portano sempre un Articolo 2
simile a quello del Giorno della Memoria.
L’Articolo 2 ci interessa dal punto di vista formativo e comunicativo  Dice che la Scuola è chiamata in
causa per occuparsene. Da lì in avanti, infatti, l’ambito formativo se ne occuperà molto.
Quindi, è venuta fuori una Legge che tiene fede allo spirito del proponente ovvero Shoah e deportazione
razziale dall’Italia in particolare riguardo al Nazismo.
Di lì a poco cambia anche il Governo ed è proprio sotto il Governo Berlusconi che viene promulgata una
nuova Legge sulle politiche della memoria cioè la Legge che istituisce il GIORNO DEL RICORDO.
LEGGE sul Giorno del Ricordo 30 Marzo 2004, n° 92
Questa Legge si compone di 7 Articoli.
“Istituzione del «Giorno del Ricordo» in memoria delle vittime delle Foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle
vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati”
Art. 1.
Comma 1. La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale «Giorno del ricordo» al fine di conservare e
rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre
degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.
Comma 2. Nella giornata di cui al Comma 1 sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici
eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado. È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la
realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende. Tali
iniziative sono, inoltre, volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani
dell’Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli
anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale
adriatica ed altresì a preservare le tradizioni delle Comunità istriano-dalmate residenti nel territorio
nazionale e all’estero.
L’Articolo 1 definisce il TEMA, il quale è più complesso da capire se non si ha percezione del momento
storico a cui si riferisce.
L’Articolo 2 dà dei riconoscimenti ad alcuni Luoghi di Memoria  Sono riconosciuti il Museo della civiltà
istriano-fiumano-dalmata, con sede a Trieste, e l’Archivio Museo storico di Fiume, con sede a Roma e ad
essi sono concessi dei finanziamenti.
L’Articolo 3 attua un discorso sui superstiti coniugi di quelli che sono stati infoibati.
Siamo di fronte ad un’altra Legge che si inserisce nelle politiche del Giorno della Memoria, che si focalizza
su TRE ELEMENTI: la questione delle Foibe; la questione degli italiani che sono stati allontanati dalla zona
istriano-dalmata (questo spostamento è dovuto alla situazione che si crea nel dopoguerra perché quelle
terre passano sotto il controllo della Iugoslavia); la questione delle complesse vicende del confine orientale
italiano.
Questa Legge passa all’unanimità, manca solo qualche voto: in questo modo, sembrerebbe che la questione
della memoria pubblica sia risolta. In realtà, le valutazioni che fa ciascuna delle due differenti parti (centro-
sinistra e centro-destra) riguardo alle Leggi proposte dagli altri sono abbastanza complesse: questo significa
che è vero che viene votata la Legge sul Giorno della Memoria nel 2000, ma è anche vero che continuano
costantemente le discussioni sul fatto che si racconta la Shoah e la deportazione italiana nazista (chiamata
così senza chiamare in causa il Fascismo), ma non si racconta quello che ha riguardato i crimini di Stalin.
Rispetto alla Legge sul Giorno del Ricordo, si dice che si è trovata unità di intenti, ma si comincia una grande
discussione sull’equiparazione delle Foibe alla questione della Shoah.
Questione della quale, se volessimo prendere in considerazione articoli o uscite stampa tra il 27 Gennaio e
il 10 Febbraio, se ne trova segno ogni anno da quando tali Leggi sono state istituite.
C’è sempre una grossa polemica e una grossa strumentalizzazione in questo tipo di dibattito sulla
Comunicazione, che si sviluppa ogni anno.

61
Oggi come potremmo capire se l’equiparazione del Giorno del Ricordo è giusta da parte di chi la richiede
oppure no? Come facciamo a capire di cosa si parla nei fatti, se vogliamo uscire dal messaggio che: «Tutto
deve essere ricordato e le vittime sono degne di rispetto»?
Per entrare nel contesto del discorso/dibattito che si accende sui giornali, sui media, e spesso con toni
polemici, ci manca il discorso sulla storia.
Facciamo una breve presentazione delle cose di cui parla il Giorno del Ricordo, così capiamo in che tipo di
dibattito siamo quando questa discussione si riattiva ogni anno da una parte e dall’altra.
N.B. A noi interessa il discorso che si allaccia a questi fatti dal punto di vista della Comunicazione e della
Formazione. Prendiamo questi fatti dal punto di vista culturale e del messaggio comunicativo e ci inseriamo
dentro quello che è stata la gestione di questo dibattito soprattutto dal 2004 in poi, quando viene
promulgato il Giorno del Ricordo.
SLIDE  La MEMORIA CONDIVISA? L’intervento dello storico Claudio Pavone
È la proposta di un video che parla di tanti fatti storici e mette in discussione, tramite la voce di Claudio
Pavone, lo storico più importante che se ne è occupato, il tema della memoria condivisa.
Dagli anni Novanta agli anni Duemila, il messaggio comunicativo sulla memoria, superate le Ideologie
contrapposte su questo tema, è quello, anche a livello di Stato e discorsi pubblici, di costruire una memoria
CONDIVISA: cioè che tutti, sia chi ha fatto parte della lotta partigiana, sia chi ha fatto parte della parte del
Fascismo, dovrebbero oggi, essendo scomparsi i diretti interessati, concordare su una versione comune,
pacificando la memoria.
Questo processo è un’assurdità. Non è che siccome si dichiara che c’è bisogno di una memoria condivisa
allora questa si crea.
Per poter creare un punto di vista in cui ci si incontra, più che dire che tutti abbiamo avuto le stesse
responsabilità (non è così dal punto di vista storico, qualcuno combatteva da una parte e qualcuno
dall’altra); più che trovare l’accordo sul dire: «Allora erano tutti uguali» (che non era vero), il nostro punto
comune dovrebbe essere una lettura della storia che viene accettata da entrambe le parti, ma il problema è
che questo punto comune non è stato trovato.
Chi dice che le Foibe sono uguali alla Shoah non si trova d’accordo con chi dice che la Shoah è uno
sterminio che ha una sua singolarità e non ha nulla a che vedere con le Foibe. Chi dice che il Fascismo è
stato un Regime totalitario che ha avuto le sue colpe difficilmente può trovare una memoria condivisa con
chi dice che il Fascismo ha fatto anche cose buone.
Non si può creare a tavolino l’idea di una memoria condivisa, per trovare un punto di incontro sarebbe
necessario solo affidarsi agli storici e vedere quali fatti sono successi e raccontarli avendone conoscenza.
Più interessante sarebbe parlare di CONOSCENZA STORICA CONDIVISA, che non significa avere lo stesso
punto di vista, ma significa sapere di cosa si parla e in che termini.
Ovviamente il dibattito ci sarà sempre, ma la funzione degli storici può essere anche quella di incontrarsi e
di discutere, di vedere che documenti e dire che tipo di lettura può dare la storia rispetto a quei fatti.
Da anni Novanta/Duemila in poi, ad aver preso il sopravvento è un tipo di MEMORIA EMOZIONALE, per cui
spesso nei nostri racconti di Comunicazione di questi fatti, la storia viene lasciata da parte, spesso non la
conosce nemmeno chi sta scrivendo. Ci limitiamo a dire: «Dobbiamo ricordare questa cosa perché è
importante (però poi non raccontiamo i fatti di quella cosa) e la dobbiamo ricordare perché ci sono state
delle vittime inermi da entrambi i lati».
Dal punto di vista emozionale questo è condivisibile ma dal punto di vista storico e di una corretta
Comunicazione e della conoscenza non dice nulla.
I riferimenti deontologici di chi fa Comunicazione non sono parlare all’emozione o alla pancia delle persone;
sono costruire un’Informazione che, almeno nel momento in cui parlo, possa corrispondere al maggiore
livello di conoscenza che posso raggiungere in questo momento su quei temi, magari sentendo qualche
esperto, ed essendo in buona fede cioè non volendo strumentalizzare in nessun modo la notizia.
N.B. Questo significa avvicinarsi ai temi di discipline scientifiche con la correttezza deontologica di chi fa
Comunicazione; non solo con l’idea che se io tiro fuori il piano emozionale, e la mia Comunicazione viene

62
fatta su un social, ricevo più apprezzamento, più click e più discussione e quindi, ne ricavo un ritorno
personale se lo faccio per mestiere.
Bisogna uscire dall’idea della memoria condivisa.
Adesso, recuperiamo ciò che ci manca raccontando quello di cui si occupa la Legge che ha istituito il Giorno
del Ricordo. Una volta fatto questo passaggio e messe un po’ di informazioni sul tavolo, possiamo valutare
in maniera più professionale quello di cui ci stiamo occupando ovvero il grande dibattito sulla memoria, su
ciò che va raccontato, ciò che va equiparato e ciò che va invece taciuto.
SLIDE  VICENDE sul CONFINE ORIENTALE (1)
Dal punto di vista geografico, la collocazione è sul confine orientale italiano: oggi è la zona di Trieste, ma
prima della Seconda Guerra Mondiale, questo confine era più ampio perché comprendeva anche un pezzo
che nel dopoguerra diventerà territorio della Iugoslavia.
Oggi le cose sono diverse perché alla metà degli anni Novanta implode il sistema della Iugoslavia e nascono
singoli Stati come la Serbia, la Bosnia – Erzegovina, il Montenegro.
Siamo dentro a un grande tema che prende il nome di MEMORIE CONTESE  Le memorie sono sempre
contese, dipende chi le racconta.
N.B. Ciascuno di noi è immerso in un racconto storico e la scelta di quel racconto può essere maggioritaria
o minoritaria; dipende chi riesce a prendere la parola e chi riesce a controllare meglio lo studio della storia
e della sua Comunicazione.
ES: Luoghi di memorie contese  Utilizzo differente che si può fare di uno stesso luogo rispetto a come lo si
comunica.
Il luogo in questione è il Sacrario di Redipuglia: località a pochi chilometri di distanza da Trieste.
Quelle zone furono luogo di combattimento durante la Prima Guerra Mondiale. I caduti della Guerra furono
migliaia e in quei luoghi sono stati costruiti dei Luoghi di Memoria in cui ricordare ciò che è successo.
Uno di questi luoghi è il Sacrario di Redipuglia, chiamato così perché lì vengono messe le tombe dei caduti
italiani, che, secondo la narrazione pubblica, sono morti da eroi per difendere i propri confini.
VIDEO  SPOT ELETTORALE del 2018 del Portavoce di Casa Pound (estrema destra)
Lo spot ci dice come ciascuno racconta la storia e come utilizza certi luoghi per raccontare alcune cose,
rispetto a quello che si vuole comunicare.
Il Sacrario è una gradinata che sale su un monte e riporta i cognomi delle persone che sono cadute durante
la Prima Guerra Mondiale. Questo luogo, così come è costruito, è stato voluto e progettato in periodo
fascista da Mussolini.
Ne esisteva già uno prima di cimiteri che raccoglieva i corpi delle persone italiane morte durante la Guerra;
ma con l’arrivo del Fascismo questo luogo diventa simbolico: il luogo dove si testimonia l’eroismo di chi ha
difeso la patria.
Casa Pound sceglie questo luogo per fare il proprio Spot elettorale. Esso è interessante dal punto di vista
comunicativo, perché prende un luogo che è nato durante il Fascismo e lo utilizza per un racconto del 2018
dove l’idea è: «Torno qui a farvi vedere gli eroi che si sono battuti per difendere i confini italiani durante la
Prima Guerra Mondiale, perché è il momento di difendere nuovamente i confini italiani».
Agli antipodi è l’utilizzo comunicativo dello stesso luogo che ne fanno delle Associazioni che, sempre nel
2018, organizzano un Meeting di Pace sulle trincee della Grande Guerra.
Tali Associazioni, con questo volantino, fanno una Comunicazione opposta: «Torniamo qui per dire che la
Guerra è ingiusta e che vogliamo la pace».
N.B. I luoghi non raccontano sempre la stessa cosa, dipende dal tipo di Comunicazione che ci viene fatta
sopra. E capire che tipo di Comunicazione è corretto farci sopra necessita di conoscere che tipo di storia
hanno avuto quei luoghi, altrimenti si possono utilizzare ma si rischia di strumentalizzarli.

63
Noi non siamo in un momento in cui tutto è deciso; il luogo del Sacrario di Redipuglia come luogo storico
esisterà sempre, ma il tipo di Comunicazione che voglio che dia dipende da quale sarà il tipo di racconto e
di narrazione che vogliamo rendere condivisa. Ma questo non annullerà l’altro tipo di racconto.
Qui vi sono due comunicazioni sullo stesso luogo completamente opposte e ognuno, rispetto a come la
pensa, si posiziona su uno o l’altro, perché gli piace di più il tipo di principio/ideale/impegno che esprime.
Andiamo dentro il contesto del racconto del confine orientale: ci posizioniamo tra gli anni in cui il Fascismo
si struttura in Italia e l’inizio della Seconda Guerra Mondiale e poi gli anni successivi alla sua fine in quei
territori, per capire quali sono i fatti sociali, politici e storici che li hanno riguardati.
GRAFICO  Luoghi di Convivenza
Si tratta della registrazione dei numeri di presenza di popolazione di diverso tipo, nei territori sul confine
orientale italiano, durante gli anni (1880 – 1890 – 1900 – 1910).
Il colore azzurro indica le presenze di italiani; il colore viola indica le presenze di sloveni; il colore bianco
crema indica le presenze di croati; il colore verdino indica le presenze di tedeschi; il colore prugna indica gli
“altri”.
Quel territorio, durante gli anni prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, ciascuno lo raccontava in
un modo diverso: gli italiani lo raccontavano volentieri come territorio italiano (maggioranza di presenze
italiane), ma i territori di confine non sono monoetnici, sono LUOGHI di MULTICULTURALITÀ.
Sacrario militare di Redipuglia
Cosa succede il 18 Settembre 1938?
L’Italia è uscita dalla Prima Guerra Mondiale e al potere c’è Benito Mussolini.
In quella data, Mussolini va a inaugurare il Sacrario di Redipuglia, che ha un riconoscimento importante a
livello nazionale, perché ricorda quei morti (è una narrazione pubblica italiana).
Il Progetto del Sacrario che viene affidato a un architetto è quello di glorificare l’eroismo di queste persone.
Le immagini simboliche presenti sono la Gradinata con la scritta PRESENTE («Sono presente quando si tratta
di dare la mia vita per il mio Paese») e, in cima sullo sfondo, le tre Croci (è un rimando alla Cattolicità, al
tema cattolico dell’offrirsi per gli altri)  Sono iconografie forti che parlano al contesto pubblico.
In quello stesso giorno in cui Mussolini inaugura il Sacrario, egli va a Trieste, in Piazza Unità d’Italia, la piazza
principale della città e lì dichiara che entreranno presto in vigore le Leggi Razziali, sottintendendo che
bisogna fare differenza rispetto a italiani ed ebrei (questa differenza l’aveva già introdotta parlando di
“negri”).
Perché non lo dice a Roma? La sua Comunicazione è: «Trieste, che è su un confine, è una città
italianissima». Dal punto di vista della Comunicazione funziona, ma è vero?
Lo dice lì perché lì quel tema è più sentito; dire quella cosa da un luogo di confine e da uno dei luoghi di
battaglia dove si è combattuta la Prima Guerra Mondiale, diventa un elemento simbolicamente importante
dal punto di vista comunicativo.
Su quel confine orientale qualcosa era già successo. La costruzione e la distruzione di rapporti tra italiani,
sloveni, croati non è qualcosa che ha riguardato solo dal 1938 in poi.
Il tentativo di creare tensione, dal punto di vista dei rapporti etnici nei luoghi di confine, da parte del
Fascismo, era già nato e aveva come data simbolica il 13 Luglio 1920. In quel giorno, a Trieste, avviene
incendio.
C’è un’adunata fascista: c’è un fascista Francesco Giunta che arringa la folla. Arriva la notizia che lì in piazza
è stato ucciso un italiano da uno sloveno. Quindi, la folla che era a sentire l’arringatore fascista si riversa di
fronte al Narodni Dom, la Casa della Cultura slovena.
Quel giorno si dà fuoco alla loro Casa della Cultura che era il centro nevralgico della cultura slovena, la
quale da qualche secolo era presente nel contesto del confine orientale, che in quel momento storico era
italiano. Questo perché esso è il simbolo dell’inclusione degli sloveni in città.
Questo gesto mostra che essi non sono voluti dalla popolazione italiana: «Non ci deve essere una presenza
a Trieste, e in Italia, di minoranze che non siano italiani».
Lì simbolicamente comincia questo contrasto evidente verso chi è diverso dall’essere italiano. Ciò viene
64
sottolineato nel 1938 dalla scelta di andare a Trieste a dire che arriveranno le Leggi Razziali, che faranno
differenza tra chi è italiano e chi no.
Oggi questo palazzo esiste ancora a Trieste; è stato ridato alla Comunità slovena (simbolicamente come
restituzione di quello che era successo) ed è sede dell’Università di Triste di Letterature straniere.
All’interno ci sono attualmente anche delle Associazioni slovene.
FASCISMO di CONFINE
Prima che si verifichi la Marcia su Roma che simbolicamente diventa la presa di potere e il riconoscimento
del Fascismo, si sono sviluppati Movimenti fascisti, in particolare nelle zone di confine  Fascismo di
Confine.
Il 3 Aprile 1919 nasce a Trieste il Fascio di Combattimento (neanche due settimane dopo quello milanese
del 23 Marzo 1919).
Nel 1921 sono 14.756 gli iscritti al Partito fascista, il 18% (sul confine orientale) del totale nazionale.
Si basa su due temi:
- La difesa del confine nazionale (siamo su un confine e il tema funziona a livello comunicativo)
- L’uso politico della violenza: «Se non stai alle regole che ti dico la paghi con la violenza»
ITALIANIZZAZIONE
Si comincia a italianizzare forzatamente quella parte di territorio sul confine orientale. Quei luoghi erano
caratterizzati da scuole bilingui, perché la popolazione era multiculturale.
ES: Cartello Pubblico  Esso riporta un’indicazione che diventa Legge: È vietato parlare in lingua slava ei
ritrovi pubblici, nei negozi, per le strade. Deve essere adoperata solo la lingua italiana.
Questo viene seguito dall’obbligo di cambiamento dei nomi delle vie nelle città (toponimi italianizzati
perché alcuni luoghi avevano nomi in lingua slava) e dall’obbligo rivolto alla popolazione di abbandonare il
proprio nome e cognome slavo e di assumere un nome e cognome italiano.
Si tratta di un cambiamento violento che intende cancellare l’identità delle persone che vivono in quel
luogo e che non sono italiane, ma che appartengono ad altre Comunità, in nome del fatto che si dichiara
quel luogo italianissimo.
Poco dopo, l’Italia comincia anche a conquistare territori.
IMMAGINE  Tra il 1929 e il 1939 si era costituito il Regno di Iugoslavia.
Il 17 Aprile 1941, all’interno del contesto del Seconda Guerra Mondiale scoppiata l’1 Settembre 1939, la
Germania e l’Italia invadono il Regno di Iugoslavia e ne ordinano l’annessione forzata.
IMMAGINE  Provincia di Lubiana (1941-1943)
Il territorio della città di Lubiana viene occupato da Fascisti e Nazisti e si comincia una violenta deportazione
degli slavi. La città di Lubiana viene recintata e vengono arrestati in particolare studenti e professori
universitari slavi: si arresta per primo questo gruppo di persone perché essi erano considerati pericolosi per
il fatto di possedere la cultura, e soprattutto sapevano riflettere e fare ragionamento e, di conseguenza,
potevano risvegliare una coscienza opposta a quella di chi voleva prendere il controllo di quei territori.
Stiamo vedendo come il Fascismo attua le proprie azioni sulle popolazioni di quei territori: croati, sloveni,
ecc. individuati dai Nazifascisti con l’etichetta di POPOLAZIONE SLAVA.
A livello comunicativo, tutto questo, per gli italiani che aderiscono o sono silenziosi rispetto al Fascismo,
viene dichiarato necessario per riprendere il controllo di quel territorio, eliminare l’influenza slava da quel
territorio e rendere quella zona italianissima, come dichiarato da Mussolini.
SLIDE  VICENDE sul CONFINE ORIENTALE (2)
Il Sacrario di Gonars si trova in provincia di Udine ed è stato realizzato dalle Autorità iugoslave nel 1973 sul
territorio italiano, ma preso in gestione dalle Autorità iugoslave, perché all’interno di quel Cimitero di
Gonars è stato costruito il Sacrario delle vittime dei Campi di Concentramento fascisti riservato alla
popolazione slava.
Le persone arrestate, ad esempio a Lubiana, dai Fascisti e da Nazisti che avevano occupato quella zona,

65
vengono deportate in Campi di Concentramento nelle zone del confine orientale, in questo caso nelle zone
vicino alla cittadina di Gonars che è tuttora territorio italiano. L’obiettivo finale di quei Campi era
l’eliminazione della popolazione slava.
Oggi noi abbiamo perso un pezzo di quei territori; quindi, ci sono dei Campi che si trovano all’interno dei
territori di altre Nazioni, ma questo si trova in Italia.
Questo Sacrario è importante perché ha al suo interno ovvero all’interno del Cimitero, la Iugoslavia (prima
del 1995, data in cui si è disgregata) aveva posto il luogo del suo Memoriale, nel quale vi è una cripta dove
sono state messe le urne con i resti delle vittime del Campo  La Stella rossa ricorda l’appartenenza di
quelle persone, che sono state seppellite là dentro, all’opposizione slava al Nazismo e al Fascismo.
In questo luogo italiano, le famiglie slave vanno a ricordare i propri cari morti a causa del Fascismo.
N.B. C’è molta differenza nella costruzione della memoria: noi ricordiamo alcune cose, mentre per altri
(contesto slavo) la lettura della memoria è un'altra e quei luoghi sono i loro Luoghi della Memoria.
Il nostro problema è che questi Luoghi della Memoria hanno qualche connessione con storia italiana, ma
noi non ne siamo per niente coscienti.
Questo ci fa capire la parte problematica della memoria cioè che tipo di racconto diffondiamo e
condividiamo con gli altri.
Questo pezzo di racconto esiste nella ex Iugoslavia, nelle odierne Slovenia e Croazia, ma non esiste nel
nostro contesto sociale.
Quando si è disgregata la Iugoslavia, le varie nazioni che ne sono nate come la Croazia e la Slovenia sono
tornate a fare memoria di questi luoghi. Oggi, ci sono persone croate e slovene che vanno a Gonars a
ricordare i propri cari morti in quell’epoca dentro al Campo di Concentramento.
N.B. Questo mostra come cambia la percezione della memoria  Negli anni Novanta, la Iugoslavia si
disgrega e ci sono delle guerre etniche forti che portano a vedere come nemici anche coloro con cui
avevano vissuto a fianco fino a poco prima. Croati e Sloveni non appartengono più alla stessa Nazione e si
percepiscono in modo diverso. Quindi, anche all’esterno del Memoriale, che sta dentro il Cimitero di
Gonars, non hanno messo un unico cartello che potesse tenere insieme i morti croati e i morti sloveni che
sono là dentro perché in quel momento erano insieme. Oggi, che sono passate le Guerre che hanno
disgregato la Iugoslavia portando alla creazione di diverse Nazioni, loro pongono due carelli diversi. Ognuno
racconta e riconosce la sua storia anche se la storia è la stessa.
Nel 1993 e nel 1995 i Governi sloveno e croato hanno ricordato le vittime con due monumenti separati.
Il luogo del Campo era completamente scomparso: gli studi storici hanno individuato dov’era e quindi,
nell’autunno del 2011, il Comune di Gonars realizza un Monumento nel luogo del Campo, interessando le
scuole di quel Paese che recuperano un pezzo della propria storia locale.
Un altro Luogo di Memoria è sorto dove c’era il Campo di Concentramento di Arbe: era un luogo dove le
persone deportate erano state sistemate in delle tende e la colpa di quelle persone era quella di essere
slave, considerate a prescindere pericolose. Lo slavo era considerato inferiore per razza (razza impura) e
anche dal punto di vista politico per i contati con le opposizioni al Nazifascismo.
Lì è nato il Sacrario di Arbe. Esso si trovava sul territorio italiano, ma dopo la Seconda Guerra Mondiale non
lo è più.
_______________________________________________________________________________________
L’8 Settembre 1943 arriva l’Armistizio fatto dal Governo Badoglio.
Esso implica il cambiamento delle Alleanze italiane: il Fascismo, in quel momento, è sconfitto; Mussolini
viene arrestato e imprigionato sul Gran Sasso, ma poi viene liberato e trasportato dai Nazisti nella cittadina
di Salò dove si cerca di dare seguito alla Repubblica Sociale Italiana, da cui Nazisti e Fascisti cercano di
riprendere il controllo del territorio italiano.
È il momento in cui il Nazismo si riorganizza con l’aiuto dei Fascisti sul territorio. I Nazisti rispondono
all’Italia fascista dopo l’arrivo Armistizio, prendendo il diretto controllo di una parte di territorio italiano.
IMMAGINE  Tutta la parte colorata di bianco (comprendente parte del Friuli, la parte di Lubiana e l’Istria)
viene presa sotto il controllo diretto e annessa al Terzo Reich. Quindi, il Nazismo prende il controllo diretto
66
di una zona, denominata zona dell’Alto Adriatico, che prima era italiana e che in quel momento diventa un
luogo in cui Nazismo ordina e governa direttamente con il Collaborazionismo degli italiani Fascisti.
_______________________________________________________________________________________
La Risiera di San Sabba a Trieste era un Campo di Concentramento e di Transito costruito e usato dopo l’8
Settembre 1943 per dar seguito alle deportazioni dal territorio italiano verso i Campi di Concentramento e
Sterminio che erano al di là del confine. Nel confine orientale, questa diventa il luogo della deportazione di
ebrei ma anche di slavi.
È in questo periodo che nascono, oltre a questo, anche il Campo di Concentramento di Fossili (Carpi) e il
Campo di Concentramento di Bolzano, verso cui si indirizzano soprattutto gli ebrei che devono essere
deportati verso i grandi Campi di Concentramento e di Sterminio come Auschwitz.
Contemporaneamente c’era stato un momento di grande sbandamento nella situazione politica di quel
territorio ovvero il momento dell’Armistizio.
Le persone slave di quei territori, che avevano subito l’Italianizzazione del proprio nome e del nome dei
luoghi di residenza, la chiusura di scuole bilingui, la deportazione nei Campi di Concentramento,
l’occupazione di Lubiana, che hanno fatto nel momento in cui il Fascismo vacilla e sembra sconfitto?  Essi
si ribellano e rispondono con una rappresaglia.
Qui viene fuori il tema delle FOIBE.
FOIBA, dal Latino FOVEA: FOSSA, BUCA per farvi cadere le Fiere.
Dal punto di vista geologico, le Foibe sono grandi fosse/cavità carsiche nel terreno, tipiche delle zone del
Carso (montagne sul confine orientale nella zona del Friuli e slava).
Dal punto di vista storico-politico, con il termine Foibe ci si riferisce ai fatti dell’autunno 1943 e della
primavera-estate del 1945 (perché finisce la Guerra e la questione della sconfitta del Fascismo si ripropone)
ovvero l’uccisione degli italiani che vengono buttati in queste fosse.
Le Foibe erano state usate spesso per buttarci dentro qualsiasi cosa, spesso anche corpi in precedenti
guerre. In questo caso, diventano la tomba per coloro che sono oggetto della vendetta slava verso gli
italiani su quei territori.
Con il Fascismo che vacilla, gli slavi hanno un moto di vendetta e di ribellione che si verifica tenendo al
centro l’idea/l’equivalenza dell’italiano (sul loro territorio) che è sempre Fascista. Questo non era vero
necessariamente. Era vero che il Fascismo aveva mandato alcuni italiani del Regime a controllare quei
luoghi, quindi, c’erano anche italiani Fascisti, ma poi c’erano anche popolazioni italiane che vivevano lì da
secoli per questioni legate alla storia della Repubblica di Venezia.
Però gli slavi, dopo tutto quello che hanno subito, guardando gli italiani sul loro territorio, fanno
l’equivalenza con i Fascisti; perciò, essi vengono uccisi e spesso i corpi vengono buttati nelle Foibe.
IMMAGINE  Mappa delle località istriane dove sono state recuperate vittime delle Foibe
Vi sono Luoghi in Istria che storicamente sono luoghi dove sono stati recuperati i corpi.
VIOLENZE GIULIANE – 1 Maggio/12 Giugno 1945 (Trieste e Gorizia)
Queste violenze si verificano anche tra Trieste e Gorizia nel 1945. La Guerra è finita, il Nazifascismo ha
perso e c’è di nuovo il tentativo di farla pagare a chi è visto come nemico  la riflessione è: «L’italiano è un
Fascista e va fatto fuori».
Vengono arrestati molti militari tedeschi e italiani, chi fa parte di reparti in divisa (Finanza, Questura,
Guardia Civica), amministratori fascisti, membri del CLN di Gorizia e di Trieste e anche civili inermi (su
denunce anonime o vendette personali).
Su quei territori era avvenuta la persecuzione, la deportazione e l’invio allo sterminio degli slavi: siamo in
un contesto di Guerra pesantissimo, che non è giustificabile quando si va a vedere la reazione, ma è
necessario conoscere, per capire gli eventi, anche quello che è successo prima. Non si possono guardare
solo le Foibe scordandosi di tutto ciò che c’è dietro. Certamente, ciò che è successo con le Foibe è da
condannare, ma è quello che succede in seguito a una situazione di violenza che prima viene subita. Allora,
di conseguenza, questa viene poi esercitata per contrasto.
In quel momento di confusione succede che se si ha un nemico ed egli è italiano, lo si denuncia e subisce
qualcosa: ci sono spesso anche vendette personali a causa di questioni personali tra persone.
67
C’è un ampio numero di (italiani) deportati in Iugoslavia che non fecero più ritorno.
C’è un numero più limitato di esecuzioni con occultamento in Foibe nel Triestino e Goriziano: dal punto di
vista storico, le vittime totali delle violenze sono 4000/4500, di cui circa 1000 sono gli infoibati.
Siamo in un momento storico in cui queste persone scompaiono. Ma se ne parla? No, anzi questa storia
viene dimenticata e viene presa in considerazione molto tardi.
N.B. Il problema di questa faccenda è che per lungo tempo si è scelto di lasciarla in disparte e non si è
raccontata; quindi, non siamo entrati nel contesto storico di ciò che è successo.
L’equiparazione con la Shoah non aggiunge e non toglie nulla a questo fatto storico che non è stato
raccontato. Questo può essere utile dal punto di vista comunicativo perché risveglia l’attenzione, ma dire
che i due eventi sono uguali non aumenta né diminuisce l’importanza di ricordarli.
Dicendo che questi sono uguali cosa aumenta nella mia conoscenza? Nulla, anzi si mettono accanto cose
che sono su due piani completamenti diversi: da una parte, la fabbrica della morte di Auschwitz e dall’altra,
il contesto della Guerra che porta all’uccisione di persone spesso inermi con la violenza.
Dire che non sono uguali non significa che non vadano raccontati, ma significa entrare in un contesto di
conoscenza e dire: «Raccontiamola per bene».
La Shoah e le Foibe sono due cose che non possono essere messe in relazione, sono differenti e vanno
conosciute entrambe.
Quello che ha portato ai Campi di Sterminio non è la stessa cosa che ha portato alle Foibe e sei milioni di
morti della Shoah non sono uguali per numero ai morti nelle Foibe  Si tratta di conoscenza storica.
N.B. Bisogna entrare nel contesto storico per capire cosa è successo e come mai è successo.
È importante che chi ne parla sappia di cosa sta parlando.
Un grande errore è metterle insieme perché sono contesti completamente diversi; ed è la storia che ce lo
dice. Poi, se a livello comunicativo qualcuno fa la scelta di accostarle, lo fa per un motivo che non c’entra
niente con la storia: c’entra con l’idea di fare un’equiparazione che porti attenzione da una o dall’altra parte
oppure per elevare il grado di conflittualità.
Bisogna capire cosa ce ne vogliamo fare della storia e della memoria in particolare: cioè la memoria ci serve
per innescare ancora odio o per cercare di trovare la via della pace?  Se ci serve per innescare odio, allora
si strumentalizza la storia; se invece la vogliamo usare dal punto di vista della pace, la memoria allora si
costruisce sulla conoscenza storica vera, non su quella che piacerebbe a noi. Questo significa dare dignità ai
contesti storici.
Se voglio scrivere di queste cose devo stare attento a cosa scrivo, perché la mia base deontologica mi dice
che devo avere perfettamente presente di cosa sto parlando, almeno nel momento in cui sono e per la
conoscenza che mi è possibile avere nel momento in cui sto scrivendo. Poi, se le cose cambiano, se i
documenti cambiano, se il dibattito cambia, ovviamente cambierò anche la mia posizione.
Questo è il modo interessante di fare storia: capisco che sono dentro un argomento che deve essere
approfondito e ci dice anche una cosa importante: si fa Comunicazione anche sulla storia; ed essa appare
pallosa e inutile solo se non la si fa entrare nel contesto di discussione.
Intervento in chat  Perché secondo lei allora il capitolo riguardante le Foibe in Italia è stato taciuto per
così tanto tempo? Perché c’era un eroismo della Resistenza che era molto legato a un modo di vedere
quella lotta della Liberazione dell’Italia come qualcosa in cui non si entrava dal punto di vista storico, ma dal
punto di vista dell’icona da venerare.
Claudio Pavone è il primo che comincia a dire che anche la storia dei Partigiani deve essere discussa e
messa dentro il contesto della storia. Infatti, lui nel suo Libro affronta questa tematica e dice: «Devo andare
a vedere e raccontare storicamente quale è stata la battaglia dei Partigiani per liberare l’Italia». Egli vi ha
trovato e ha descritto anche azioni che non andavano.
Poi ha lasciato un punto fermo: «Certo che c’è stato qualcuno anche nelle lotte partigiane che si è
macchiato di qualche colpa, e in quel caso deve essere giudicato, ma resta il fatto che quella dei Partigiani
era una lotta per liberare l’Italia». Quindi, dal punto di vista dell’obiettivo finale, questo è molto evidente;
dal punto di vista della caduta di qualche Partigiano che ha fatto vittime inermi, questo può essere anche
dichiarato, ma ciò non toglie l’importanza di ciò che è successo a livello storico in generale.

68
N.B. Questo significa che il rispetto serve per tutti e per tutte le posizioni, ma bisogna smettere di gestire la
storia come se fosse semplicemente una Comunicazione di qualcosa di emotivo. Se si vuole comunicare la
storia come un processo formativo, questo deve essere fatto entrando nel contesto storico e conoscendo
quello che c’è dentro; quindi, prima vanno conosciuti gli eventi e poi si fa il dibattito.
Nei Programmi scolastici, nei Libri di testo, la Shoah si trova ma è spiegata poco. Non si spiegano i motivi
per cui gli ebrei e tutte le altre categorie di persone sono state sterminate.
Rispetto a tema delle Foibe, c’è ancora meno, e questo perché nessuno di noi ne ha consapevolezza.
Prima di dibattere riguardo a quello di cui bisogna parlare, se è necessario o meno parlarne, bisogna farlo
entrare nella conoscenza storica.
Invece, queste cose mancano dai Libri di storia perché il nostro stesso racconto comunitario le espelle, e a
volte questo succede proprio per la grande conflittualità che nasce quando le si prendono in
considerazione.
Se noi partissimo dal punto di vista della conoscenza della storia, poi ognuno è libero di viverla con le
proprie emozioni e posizioni, ma almeno si partirebbe da un punto di vista comune.
N.B. La prima cosa da fare per poter creare il tema della memoria è ascoltare la storia e anche la storia degli
altri per poterla capire.
Siamo davanti a un tema mancante  L’importante è recuperarlo storicamente prima di dire: «È uguale
alla Shoah» e, una volta recuperato, ognuno ha le sue conoscenze e prende la sua posizione.
Ma noi invece facciamo il processo inverso.
Qualcuno dice che non se ne è parlato di Foibe e Shoah perché dipende dal posizionamento politico di
quegli anni  La memoria dipende sempre dal posizionamento politico del contesto in cui viviamo.
Il problema che abbiamo di fronte è recuperare le Foibe senza farle diventare uno strumento di
Comunicazione avverso alla Shoah e senza necessariamente dire che l’una è uguale all’altra, perché i due
processi storici sono diversi.
N.B. Questa battaglia della memoria si gioca sulla Comunicazione.
Era importante parlarne per togliere il tema dalla strumentalizzazione di chiunque. Aver scelto di non
parlarne in certe epoche storiche ha avvalorato il messaggio che funziona sempre di: «Io vi dico una cosa
che voi non sapete e che gli altri non vi raccontano».
Se noi avessimo preso il tema e l’avessimo strutturato dal punto di vista storico, per lo meno avremmo
avuto la conoscenza necessaria per posizionarci rispetto a essa.
Invece, oggi ne parliamo come se fosse una lotta tra chi vuol far prevalere la Shoah e chi vuole fa prevalere
le Foibe.
Se la giochiamo solo dal punto di vista comunicativo e non formativo un pezzo su cui poggiarci ci manca.
N.B. Oggi noi osserviamo il mondo da un punto di vista che ci fa percepire la Shoah come una cosa molto
raccontata. Prima non era così: la consapevolezza della Shoah è venuta fuori per motivi civili, per motivi di
principi fondamentali importanti, ma anche per contesti politici e sociali che cambiavano.
E lo stesso avviene con il tema delle Foibe, silenziato per molto tempo per un contesto politico-sociale che
non voleva raccontare la vicenda.
Fortunatamente abbiamo due Leggi che le ricordano distintamente perché questo ci permette di costruire
la memoria della Shoah e la memoria delle Foibe e non solo.
Se noi siamo così interessati alla nostra memoria delle Foibe, dato che siamo in Italia ed è questo quello che
raccontiamo, perché non siamo mai stati interessati agli slavi che sono stati eliminati sul nostro territorio e
non li raccontiamo? Perché se vogliamo dire che dobbiamo raccontare tutto, allora bisogna farlo.
Quello che dobbiamo fare è entrare nel Contesto storico, riflettere, e poi ognuno con la propria sensibilità e
con le proprie emozioni decide in che modo posizionarsi.
L’equiparazione tra Shoah e Foibe non ha senso, è un errore storico, però vanno raccontate tutte e due.

69
Tramite la Legge del 2004, le Foibe hanno un riconoscimento istituzionale. Dal punto di vista di Stato, in
seguito al riconoscimento del giorno dedicato alle Foibe, nascono dei Luoghi di Memoria.
MEMORIE CONTESE
La Foiba di Basovizza, nella zona poco sopra Trieste, diventa il Monumento Nazionale riconosciuto per
questa storia. C’è una struttura in metallo che vuole essere il Monumento che ricorda quanto avvenuto in
quel luogo e non solo, perché simbolicamente vuole indicare il ricordo di chi morì per quegli infoibamenti.
Sempre a Basovizza, in territorio italiano, si trova anche il Monumento ai fucilati sloveni a Basovizza
inaugurato il 9 Settembre 1945. Si tratta di un Monumento sloveno che ricorda la fucilazione di quattro
Antifascisti che era stati uccisi dai Fascisti.
Ognuna delle due Nazioni racconta la propria storia nello stesso luogo.
Dal punto di vista comunicativo, è interessante raccontare entrambe le cose, il modo in cui ciascuno
percepisce la propria storia e come ciascuno ci costruisce sopra una narrazione: in Italia la narrazione più
condivisa è: «L’italiano vittima delle Foibe»; mentre, in ambito sloveno, il racconto pubblico è: «Eravamo
Antifascisti e i Fascisti ci hanno eliminato».
Ci troviamo di fronte a un racconto che si basa su tre elementi:
1. STORIOGRAFIA  Studio della Storia
2. MASS MEDIA
3. POLITICA
Non basta solo la Storia, perché se non la comunico nessuno la conosce; non bastano i Mass Media perché
senza la Storia non riescono a costruire un racconto che sia corretto dal punto di vista deontologico;
l’ambito politico è un ambito che normalmente usa tra i suoi strumenti anche la memoria per fare un
racconto pubblico, ciascuno tirando la storia dalla propria parte  Ma a darci una risposta su questi temi
deve essere la Storiografia, aiutata dai Mass Media che riescono a comunicare correttamente.
Se lo sguardo diventa solo quello della Politica è un problema, perché lì la strumentalizzazione ce la
troviamo spesso (aspetto politico della storia).
ES: Di Foibe si parla? Vi sono Libri di persone che studiano questi temi che dimostrano che evidentemente
non è vero che di Foibe (e di Esodo) non si parla, semmai se ne parla spesso fuori dal contesto della storia.
Nella Legge sul Giorno del Ricordo c’è anche altro elemento oltre alle Foibe: l’Esodo dall’Istria della
popolazione di origine italiana, la quale dopo la Seconda Guerra Mondiale deve affrontare forzatamente
quest’esodo di rientro nei propri territori, perché è un momento in cui i confini stanno cambiando e arriva
su quel territorio dove vivono la Iugoslavia di Tito (Socialismo Reale).
Perché parliamo di Foibe ma non di Esodo? Mancano tanti pezzi al racconto storico: manca l’aspetto della
persecuzione degli slavi; dal lato italiano, mancano le Foibe e l’Esodo.
Perché puntiamo tutto sul tema delle Foibe e sull’equiparazione con la Shoah? E dell’Esodo che ha
riguardato un sacco di popolazione italiana perché non ne sappiamo nulla?
N.B. La memoria non è una cosa che si costruisce una volta, ma fa parte della rete sociale e civile in cui
viviamo. Alcune cose le raccontiamo, mentre altre vengono eliminate dalla memoria, non selezionate per
essere ricordate.
La risposta a questa cosa sta in quei tre elementi sopracitati, ai quali si aggiunge la FORMAZIONE  Che
tipo di percorsi di Formazione si fanno dentro ai vecchi contesti sociali? Che cosa porto dentro alle
comunicazioni verso le giovani generazioni, e verso la società in generale, perché questo diventi racconto
pubblico? E in che modo lo porto? Con quali obiettivi? Quello della conoscenza storica o quello della
bagarre politico-culturale? Se scelgo l’una o l’altra, la Comunicazione diventa diversa.
Il vero tema di oggi è, dato che i dati ce li abbiamo, come li comunichiamo, quando li comunichiamo e con
quali obiettivi formativi li comunichiamo questi dati. Creare la frattura tra chi la pensa in un modo e chi la
pensa in un altro o cercare punto in cui la Formazione dovrebbe darci la risposta giusta? La seconda è
migliore, ma è complicata e faticosa, perché ci muoviamo in un contesto in cui i messaggi che arrivano

70
dall’esterno sono sull’altro fronte: costruire la bagarre perché questo fa discutere di più a un talk show, fa
leggere un articolo in più e tante altre cose che vediamo succedere in quelle due settimane tra il Giorno
della Memoria e il Giorno del Ricordo per poi scomparire fino all’anno successivo.
Questo percorso ci fa capire che questi temi che potremmo studiare a memoria hanno dentro la storia del
nostro Paese e dei nostri rapporti sociali che si sono costruiti nel tempo.
LEZ. N° 9 – 12.10
Trattiamo il tema di come quel processo, che abbiamo cercato di descrivere, di attenzione per la memoria
che arriva negli anni Duemila abbia influenzato o meno il percorso a Scuola (LEGISLAZIONE SCOLASTICA).
La domanda da porsi è: «Come si ricostruisce la storia della Scuola rispetto al tema della memoria?»
Il Libro propone un percorso in modo cronologico  Excursus cronologico dei Programmi dei vari gradi di
Scuola rispetto al tema di come arriva in classe il concetto di memoria.
Partendo dalla Prima Repubblica, bisogna capire come, dal punto di vista delle istituzioni educative, questi
passaggi (dell’istituzione del Giorno della Memoria e del Ricordo) avvengono e si sviluppano.
Questo tema ci interessa, perché troviamo uno dei motivi che ci dà una risposta a tutte le questioni di cui
abbiamo discusso fino a ora.
ES: Perché abbiamo trovato temi di dibattito sulla ricostruzione del Giorno del Ricordo? E perché anche sul
Giorno della Memoria, sappiamo tante cose che però sono la parte superficiale della memoria della Shoah
e poi invece dei concreti fatti, di quegli eventi sappiamo meno?
N.B. Una risposta sta nella capacità o meno della Scuola di aver inserito questi temi nei propri Programmi e
quindi di averli saputi comunicare.
Fino ad ora abbiamo fatto una riflessione di tipo sociale, politico, collettivo: contesti che sebbene
influenzino la Scuola, abitano al di fuori. Ora andiamo dentro la Scuola e vediamo se questi temi sono
arrivati o meno e quando sono arrivati.
PRIMA REPUBBLICA
Scuola Primaria – Programmi del 1955
Questi Programmi si fermavano alla Storia che parlava del Risorgimento: è evidente che le cose di cui
abbiamo parlato fino ad adesso, in quell’anno non ci arrivavano ad essere discusse a Scuola.
Era difficile trovare manuali di Storia che, dopo appena dieci anni dalla fine della Guerra, si occupavano di
questioni così vicine al presente.
Questa mancanza di riflessione nella Scuola sulla Seconda Guerra Mondiale, che aveva coinvolto gran parte
del mondo occidentale, fa capire da un lato che è evidente che c’era una difficoltà da superare, e dall’altro
lato che il racconto della Storia si ferma molto prima.
LIBRO (PAG. 75)  Tipo di concetto di Storia: grandi immagini di personalità o momenti che devono
risaltare dal punto di vista storico. Non si fa riferimento a nulla che si occupi di memoria intesa come
costruzione collettiva di un racconto.
Scuola Primaria – Programmi del 1985
Per la prima volta, si comincia a riflettere sul concetto di memoria collettiva.
L’impostazione e la Comunicazione che si dà alla materia della Storia è fondamentale per influenzare i gradi
di Scuola successiva.
LIBRO (PAG. 75)  Si arriva a una maturità diversa: si riflette sul fatto che quello che ci raccontiamo in una
classe di Scuola influisce sul racconto collettivo; costruisce un racconto che non solo ci parla del passato, ma
ci parla di come noi raccontiamo quel passato durante il nostro presente.
In questi Programmi molto importanti (che rinnovano la Scuola Elementare da tanti punti di vista) si punta a
dire: «La Storia si studia per creare capacità critica».
Scuola Media – Programmi del 1963
La Scuola Media unica ha una data importante: essa viene istituita con la Legge n° 1859 del 31 Dicembre
1962. Questo significa che, da quella data in poi, non ci sono più dei percorsi differenziati tra chi doveva poi
proseguire di studi e chi doveva andare verso un lavoro manuale.
Quindi, non c’era più una differenza già alla Scuola Media tra un’istruzione concepita per chi doveva essere
71
poi dirigente del Paese e chi doveva invece essere braccia produttiva per il Paese.
Con questa Legge, si propone un percorso unico di tre anni (che somiglia a quello che abbiamo conosciuto
noi); quindi, i Programmi devono essere riscritti perché fino ad allora c’erano percorsi che si differenziavano
e che avevano una progettualità diversa anche rispetto alle differenti discipline.
I Programmi escono qualche mese dopo la promulgazione di questo nuovo percorso unitario.
LIBRO (PAG. 76)  I Programmi insistono sulla Storia, la quale serve per capire come comportarci oggi
(Educazione Civica).
Dobbiamo rilevare che dai Programmi del 1985 per le Elementari e dai Programmi del 1963 per la Scuola
Media, nella Scuola italiana, ai suoi gradi più bassi, si affaccia l’idea di interessarsi a una Storia che dialoghi
con il presente.
Non si parla di memoria condivisa (questo avviene dopo gli anni Duemila), ma si parla di MEMORIA
COLLETTIVA: i racconti che condividiamo  Questi racconti ci dicono che nasciamo in una situazione in cui
è vero che avremo una nostra storia personale da raccontare, ma è come se alla nostra nascita ci
immergessimo in un racconto sociale, che non riguarda solo noi, ma riguarda ciò a cui la nostra società
decide di dare importanza. A definire quel percorso sono: il nostro sentire personale, i nostri valori condivisi
e raccontati come condivisi (presi sul serio anche se sono cose astratte) e ciò che le Istituzioni sottolineano
promulgando Leggi e Programmi scolastici.
La Scuola è evidente che è un grande strumento di diffusione di un racconto storico.
Anche ciò che viene istituzionalmente riconosciuto come data/momento della storia importante diventa un
riferimento per tutti noi, perché tutti noi attraverseremo quel Programma all’interno della Scuola che
frequenteremo e tutti noi lo sentiamo raccontare, ne prendiamo parte.
Nel periodo prima della fine degli anni Novanta, il racconto, anche nei Programmi, della disciplina della
storia è un racconto di avvenimenti e di fatti, che poi influenzano il proprio pensiero sul presente.
N.B. Sentiamo tanto parlare di Storia e poco di memoria nei testi che abbiamo letto.
Scuola Superiore (Scuola Secondaria di Secondo Grado)
Vediamo quali sono i punti dei Programmi che vanno a toccare la Scuola.
Un momento fondamentale di cambiamento all’interno della Scuola Superiore è il 1988, perché in quel
momento è Ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Galloni, il quale affida al Sottosegretario esperto
Beniamino Brocca il compito di coordinare una Commissione ministeriale (esse nascono quando c’è il
bisogno di approfondire dei temi, di prendere decisioni, di vedere i dati prima di inserire cambiamenti).
Egli ha il compito di revisionare i Programmi dei primi due anni delle Scuole Medie e Superiori, perché in
quegli anni si inizia a ipotizzare che l’obbligo scolastico potesse passare dai 14 ai 16 anni.
La Commissione cerca di dare omogeneità a delle situazioni abbastanza diversificate, a seconda della Scuola
Superiore che veniva scelta, che esistevano quando la Commissione si insedia.
Nel 1992, comincia la stesura dei Programmi Brocca e, indicativamente, al loro interno, si introduce il tema
della MEMORIA COLLETTIVA in maniera specifica (fino ad allora era stato sottinteso – il termine era venuto
fuori solo nei Programmi della Scuola Elementare del 1985).
Qui, nella stesura di questi Programmi, la memoria collettiva fa la sua comparsa al Punto 4 delle Finalità
individuate, in una versione interessante, perché dice di voler prendere in considerazione gli usi politici e
sociali della Storia connessa alla memoria (siamo sui ragionamenti del presente).
N.B. Questa suddivisione/riproposizione doveva basarsi su un’idea di fondo: portare il secolo Novecento a
essere affrontato da tutte le classi quinte di tutte le Scuole Superiori – cosa che avvenne in pochissimi casi.
Piano piano, se tutti con i Programmi di Storia, si fermano alla Seconda Guerra Mondiale, più vanno avanti
le generazioni e più manca un pezzo di storia con cui confrontarsi che non è secondario.
ES: Memoria della Shoah  In Germania, è molto discusso il tema di come poter raccontare la Shoah, che
loro mettono al centro (per la presa di consapevolezza delle proprie responsabilità) agli studenti di origine
araba, perché il conflitto israelo-palestinese, per quel territorio e per un riconoscimento dei popoli, ha
influenzato fortemente come un arabo di quei territori legge la storia degli ebrei.

72
Il presente dello Stato di Israele ha poco a che fare con la Shoah: c’è un legame perché Israele nasce dopo la
Guerra, ma non nasce perché c’è stata la Shoah.
Ma sappiamo che le letture di una certa parte del mondo arabo sulla Shoah sono problematiche e non
hanno alcuna intenzione di vederla come il riconoscimento di uno sterminio di stampo razziale, perché
dall’altra parte leggono la storia dal proprio presente e ad esempio il popolo palestinese vede lo scontro
che è avvenuto successivamente, vede la privazione di un territorio, vede una parte di storia che noi
ignoriamo, perché non l’abbiamo neanche studiata, anche se sono cose che influenzano il modo di sentire e
di raccontare la storia a seconda del territorio da cui la si racconta.
N.B. Nella Prima Repubblica, la Storia viene vista come un racconto di fatti che poteva dare delle chiavi di
lettura per il presente.
SECONDA REPUBBLICA
Dagli anni 1992-1993 in poi la memoria collettiva arriva davvero in classe.
Che percorsi si fanno da quel momento?
Si riconosce che studiare la Storia e considerarla e farlo in delle classi di Scuola significa anche prendere
posizione su un racconto collettivo.
Il problema è ciò che succede dopo perché si dice: «Mettiamo il Novecento al centro», ma succede in pochi
casi, nonostante sia scritto sui Programmi Brocca, perché spesso ci si fermava tra la Prima e la Seconda
Guerra Mondiale.
La lettura del mondo, facendo riferimento a questo racconto di costruzione di memoria collettiva, è scritta
sulla carta ma avviene in modo parziale  Ci sono dei buoni intenti indicati nei Programmi ma poi questi
non trovano riscontro.
Questo significa che anche negli anni Novanta resta attiva la visione del Fascismo data da Renzo de Felice
oppure, dato che non si arriva a considerare le faccende legate alla Seconda Guerra Mondiale in maniera
opportuna, la parte che riguarda la fine della Guerra in Italia (1943-1945), gli accordi internazionali, il
cambiamento dei confini non viene considerata all’interno delle classi scolastiche di quel periodo.
Ecco perché temi come le Foibe e l’Esodo istriano-dalmata restano silenziosi: perché, nonostante ci sia una
presa di coscienza storica del fatto che bisogna costruire una memoria collettiva che passi dalla Scuola, essa
non viene costruita, perché manca il racconto della storia.
Per produrre degli effetti, c’è bisogno di raccontarla la storia. Sennò su cosa ci si esprime?
In quegli anni, avviene un cambiamento importante, dal punto di vista dell’intervento legislativo, in risposta
a un dato che viene fuori da una Trasmissione televisiva su RAI 1 intitolata Combact Film.
In questa Trasmissione vengono fatte delle interviste che riguardano la Storia agli studenti. Le risposte sono
spesso non corrette.
Da qui, nasce uno sviluppo di dibattito su quanto le nuove generazioni italiane ne sapessero della Storia
della propria nazione legata agli anni del Novecento  La risposta generale era: «Ne sanno poco o nulla».
Questo ci dice una cosa: Noi ci fideremmo di una Trasmissione televisiva per dire che uno sa o non sa la
Storia? Basta una Trasmissione televisiva che va in giro a intervistare un po’ di persone chiedendogli cosa
sanno di una certa cosa?
Da quel momento, il dibattito italiano sull’istruzione per diverso tempo si sviluppa sul tema che soprattutto
i ragazzi che vanno a Scuola non sanno la Storia.
Questo è l’esempio lampante del fatto che non è tanto importante per le nostre azioni il dato effettivo
(quello lo conoscono in pochi), ma diventa decisivo, per tanti cambiamenti che avvengono, cosa viene
raccontato collettivamente. E se collettivamente, in quel momento, viene fuori il dato che gli italiani sono
ignoranti della storia del Novecento, questo finisce per coinvolgere anche il Ministero della Pubblica
Istruzione.
LIBRO (PAG. 92)  Il Ministero della Pubblica Istruzione, comincia a interessarsi del fatto che, nonostante
sia stato già detto da precedenti Programmi, nelle Scuole Superiori italiane in particolare la Storia del
Novecento non arriva o si ferma presto.

73
Entriamo nel contesto di due Riforme che riguardano la Seconda Repubblica.
Tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila, al Governo c’è il centro-sinistra con Luigi
Berlinguer che è Ministro della Pubblica Istruzione dal Maggio del 1996 fino all’Aprile del 2000. È lui che è
in carica quando viene fuori il dato su RAI 1.
Egli decide di intervenire introducendo l’idea che nella quinta classe di qualsiasi Scuola Superiore italiana
(tutti gli istituti: sia Licei che Istituti tecnici) entri il Novecento come elemento di studio specifico  Per
tutta la quinta ci si occupa del Novecento.
Egli interviene firmando il Decreto Ministeriale n° 682 del Novembre 1996, il quale divide il Programma di
Storia.
Lui afferma questo per cercare di dare una risposta all’interno delle Scuole a questa mancanza che era
venuta fuori da un servizio televisivo, e non da uno studio ministeriale.
N.B. Il Programma di storia del Novecento entra ufficialmente dentro le Scuole Secondarie Superiori.
È un momento particolare perché si sta organizzando l’autonomia delle Scuole: nel 2001 i Decreti
Semplificazione e una modifica del Titolo V della Costituzione portano nella Scuola l’autonomia, quindi una
grande possibilità per i dirigenti scolastici di fare alcune scelte all’interno dell’organizzazione didattica del
proprio Istituto.
Nel frattempo, si sta muovendo un altro elemento interessante: la Riforma Berlinguer.
Oltre ad essere intervenuto sul Novecento inserendolo nel Programma scolastico delle Scuole Superiori,
Berlinguer decide che è momento di dare una nuova organizzazione a tutti i cicli della Scuola, perché gran
parte della Scuola era ferma alla sua impostazione che era stata data tra l’Unità d’Italia e l’avvento del
Fascismo.
Egli si immagina di poter cambiare struttura alla Scuola: pensa di progettare una sorta di ciclo unico
prolungato che allunghi la Scuola Primaria, costituendo una sorta di base di Programma per tutti che metta
insieme gli anni della Scuola Elementare ai primi anni della Scuola Media, per poi proseguire con un biennio
che sia uguale per tutte le Scuole Superiori e poi un triennio delle Scuole Superiori che poi individua una
scelta specifica del campo in cui ci si vuole specializzare.
Questa Legge di Riforma della Scuola quasi pronta non entrerà mai in vigore perché il Governo decade
prima che questa Riforma possa essere applicata.
Luigi Berlinguer lascia il segno nella Scuola, in particolare rispetto al grande tema della Storia, con questo
Decreto che introduce il Novecento, ma non riesce nella riorganizzazione dei cicli scolastici perché il
Governo di centro-sinistra decade e poco dopo si struttura un’altra maggioranza che porta alla Formazione
di un Governo di centro-destra con il Premier Silvio Berlusconi.
Il Ministro della Pubblica Istruzione è Letizia Moratti che smonta il riferimento alla Riforma che voleva fare
Berlinguer e rimonta una sua Riforma che ha dei riferimenti diversi.
N.B. Ogni Governo che va al potere, soprattutto se è di posizionamento politico differente, ha una sua
visione della Scuola.
Una cosa che ha caratterizzato l’Italia è il fatto che la Scuola è sempre stata un terreno di battaglia molto
ideologico. Cioè, praticamente mai, durante i cambiamenti che hanno caratterizzato la Scuola, c’è stato
l’interesse per guardare cosa fosse il bene della Scuola o degli studenti. Spesso si è scelto di smontare e di
dare altra forma ai cicli scolastici semplicemente per dare un messaggio di principi, di valori di riferimento
che guidavano il proprio campo politico.
Se quella di Luigi Berlinguer era la SCUOLA DELLE CONOSCENZE, che si basava sul tema conoscere ovvero
sulle discipline, la Riforma Moratti va nella direzione della SCUOLA DELLE COMPETENZE LAVORATIVE.
Nasce, per la prima volta per quanto riguarda il dibattito, il grande confronto sul se la Scuola debba offrire
conoscenze o se la Scuola debba offrire competenze  Da un alto, c’è una parte fortemente intellettuale;
dall’altro c’è una base fortemente legata a un rapido inserimento nel mondo del lavoro.

74
Si tratta di due Riforme che riguardano la Seconda Repubblica, che sta intervenendo a livello istituzionale
molto spesso sul tema della memoria. Il Parlamento di quegli anni tra il 1996 e il 2005 sta discutendo le
grandi Leggi di cui abbiamo parlato: Legge sul Giorno della Memoria e Legge sul Giorno del Ricordo. Per
entrambe c’è grande importanza nel ricordare, nel fare memoria e quindi c’è bisogno di avere un
riferimento certo sul tema della memoria collettiva, che mette d’accordo un po’ tutti, chiamandola infatti
MEMORIA CONDIVISA.
In realtà, a Scuola, lo strumento che dovrebbe servire a fare memoria viene smontato, demansionato.
Dato che si parla tanto di memoria, ci aspetteremmo che la memoria abbia un sostegno a Scuola legato allo
studio della Storia.
In realtà, nel momento in cui il Parlamento si occupa di più di Leggi sul tema della memoria/ricordo, è lo
stesso momento in cui dai Programmi scolastici scompare progressivamente lo studio della Storia, in
particolare si sottrae dagli Istituti tecnici (l’ora di Storia è solo 1 a settimana).
Quando arriva la Scuola delle Competenze, le discipline come la Storia vengono ridotte di orario.
Ci siamo dati la risposta per cui, quando parliamo di memoria, tutti gli animi si accendono rapidamente a
seconda di come la si pensa, ma quasi nessuno ha gli strumenti giusti per entrare correttamente nel
dibattito.
Questo ragionare di memoria diventa un po’ sterile, perché manca tutto quello che dovrebbe essere il
contenuto della memoria.
La Storia a Scuola la si studia poco, e la si studia con un messaggio strano, perché laddove finiscono
riferimenti alle grandi Ideologie, cosa viene detto quando si studia la Storia?  «Si può studiare la Storia
ma attenzione a non dare punti di vista che riguardano la Politica».
Questo è problematico; se dalla Storia si toglie il pezzo dell’impostazione politica; se si toglie la parte di
dibattito che si struttura sul piano politico (nel senso di partecipazione civile, non di Partito), per forza la
Storia diventa noiosa. Anche perché la cosa interessante è il dibattito, è perché si costruisce una visione
invece di un’altra: lì la società, il racconto collettivo c’entra tanto, quindi c’entra tanto anche come la
Politica legge la Storia.
Solo che per entrare nel dibattito a noi manca lo strumento di fondo ovvero la conoscenza storica.
ES: Due anni fa, una professoressa di Palermo venne sospesa e gli venne tolto lo stipendio, perché si era
permessa di usare la Seconda Guerra Mondiale e di invitare i suoi studenti a fare un laboratorio che
metteva in correlazione le cose che succedevano agli immigrati in quel momento, con le cose che erano
successe agli ebrei tanto tempo prima.
Lei non parlava di sterminio ma della Conferenza di Evian, che avviene prima dello sterminio.
A livello internazionale, ad Evian, in Francia, si chiamano a raccolta i rappresentati delle varie Nazioni e si
cerca di trovare una soluzione ai profughi ebrei che stanno scappando dai Paesi nazisti, perché sono
perseguitati  Tema: «Ci sono dei profughi ebrei che si muovono nel mondo perché là dove abitavano sono
perseguitati. Chi li accoglie?». La Risposta delle Nazioni è: «Nessuno», a parte piccoli Stati.
Lei voleva far riflettere sul fatto che, prima dello sterminio, qualcuno si era lavato le mani del fatto che
c’erano profughi in giro che scappavano da una persecuzione razziale che li avrebbe sterminati.
Era una cosa che si poteva assolutamente fare, perché se non si fanno quei ragionamenti lì cioè se non la si
può mai mettere in connessione col presente (senza dover dire che è tutto uguale a quello che è successo in
passato) è chiaro che la memoria si svuota di significato.
N.B. L’aspetto delle conoscenze diventa fondamentale per mettere i fatti in connessione con il presente.
Se conosco le faccende di cui parlo, so pesare: posso dire: «Questo può essere avvicinato, ma ha delle
differenze; quest’altro ha delle specificità talmente assolute che non c’entra nulla con quello di cui stiamo
parlando». Se però le conoscenze non ce l’ho, come faccio a rendere la storia e la memoria interessanti?
Sottolineiamo questo dato controverso: si inizia a parlare tanto di memoria, si dice che si è lontani dalle
Ideologie del passato, che nessuno vi si riconosce più e quindi che si può costruire tranquillamente questa

75
memoria collettiva, ma di fatto si toglie tutta la parte che riguarda la conoscenza storia e, facendo questo, si
svuota di significato il tema della memoria, la si rende banale e stancante.
N.B. La Scuola prima non parla di memoria, cioè prova a parlare di Storia ma non affronta il Novecento;
quando poi, nella Seconda Repubblica, affronta il Novecento, lo fa dimenticandosi della Storia, anzi
togliendo ore di Storia ai Programmi scolastici.
Ci troviamo immersi in situazione in cui parliamo un sacco di memoria, ma quasi nessuno ne sa nulla dal
punto di vista storico.
Parliamo di quanto sia utile che gli Stati facciano delle Leggi sulla Memoria  Usciamo dalla Scuola e
guardiamo, dopo le Leggi sulla Memoria nate negli anni Duemila, se questo legiferare sulla Storia dal punto
di vista dei Parlamenti europei e internazionali abbia delle problematicità o se sia andato tutto liscio.
Secondo noi di fronte al Negazionismo dobbiamo applicare una Legge che mette i Negazionisti in galera
oppure no? E che effetto hanno queste Leggi?
Poi passiamo ad altra costruzione collettiva che è la Televisione.
LEZ. N° 10 – 15.10
Abbiamo visto tutto un processo che ci ha portato dalla Storia alla Memoria e abbiamo nominato il fatto
che la memoria è una costruzione sociale.
Riguardo alla questione scolastica, abbiamo visto una grande costruzione sulla memoria, ma poco studio
della Storia.
A Scuola, nonostante le Leggi fatte dal Parlamento continuino a dire: «Impegno nella Formazione» in
qualsiasi occasione si tratti di costruire memoria, le ore di Storia a disposizione negli Istituti Superiori sono
poche, in particolare quelle dedicate alla memoria dei Totalitarismi del Novecento.
Però la costruzione della memoria a livello di Leggi c’è stata: nella Seconda Repubblica, cioè nel momento
in cui finiscono i riferimenti alle Ideologie del Novecento, si ha quel riferimento a Leggi della Memoria che
cercano di ricostruire i punti su cui riannodare i fili della società, i valori in cui ci riconosciamo.
Che problemi dà questo eccessivo insistere sul ricordo, attraverso le Leggi della Memoria, dal punto di vista
della Comunicazione?
Affrontiamo ora l’effetto e il dibattito che si costruì intorno al 2006-2007, quando gli Storici si ritrovarono a
doversi confrontare con un sacco di Leggi che riguardavano la MEMORIA STORICA. Ciò significa che
vengono istituite Leggi, le quali, dentro al testo di Legge, dicono che cosa bisogna ricordare e accennano a
una certa lettura di quelle vicende.
FRANCIA
Nel 2005, 19 Storici e Accademici francesi, fondano un’Associazione che si chiama Liberté pour L’histoire
(Libertà per la Storia). Essi sentono il bisogno di costituirsi in Associazione per intervenire e dire la propria
su Leggi di Stato che continuavano a essere promulgate sul tema della memoria.
Che tipo di Leggi erano?  Leggi che il Parlamento aveva deliberato e che prevedevano una certa presa di
posizione da parte dello Stato rispetto alla lettura della Storia.
Quando si promulgano Leggi sono equiLibri sulle maggioranze politiche in Parlamento.
LIBRO (PAG. 107)  Legge Gayssot è entrata in vigore in Francia nel Luglio 1990 e all’Articolo 1 dice una
cosa che appare condivisibile da tutti. Queste Leggi uscivano perché c’erano grossi problemi di Razzismo e
di posizioni razziste difese da alcuni Politici.
Perché questa Legge fa intervenire gli Storici? Qual è il problema che essi rilevano, seguiti poi da molte
persone che prendono parte a loro posizione?
Il problema sta nel fatto che se si legifera per Legge su un fatto storico, viene chiusa la possibilità della
Storia di fare ricerca.
Gli Storici dicono: «Attenzione, se usiamo le Leggi per imporre una verità storica, togliamo di mezzo
qualsiasi funzione che è relegata alla ricerca». Questo suona un po’ problematico riferito a cose che

76
riguardano ad esempio il Razzismo, il Colonialismo.
Essi propongono uno dei grandi problemi che riguardano proprio il tema della memoria.
Se io non solo costruisco memoria, ma quella memoria la scrivo nella Legge, essa diventa inscalfibile; cioè
quel modo di vederla e di pensarla diventa una verità di Stato, e questo rende inutile il lavoro di ricerca
secondo il Metodo Scientifico.
Questo era un problema perché successivamente il colore e il posizionamento del Governo francese
cambia: in precedenza il Governo era di centro-sinistra; ora passa a essere di centro-destra e arriva un’altra
Legge  Legge Taubira del 21 Maggio 2001: essa indicava la schiavitù dei Neri come un Crimine contro
l’Umanità.
Il problema lo capiamo con una Legge successiva quando il Governo cambia  Legge Mekachera del 23
Febbraio 2005 riporta all’Articolo 4 una cosa interessante che fa capire il problema su cui si applicavano gli
Storici: esso, riguardo alla Storia, dice che il Colonialismo francese è stato un bene (e non si limita a questo).
Il passaggio qui è più delicato, perché non è un singolo Storico francese che dice: «Il Colonialismo è un
bene», ma una è una Legge di Stato che dice che i Programmi scolastici e la ricerca universitari devono
parlare bene del Colonialismo francese, in particolare nell’Africa del Nord.
È accettabile questo? Se lo chiediamo a qualcuno che l’ha subito direbbe subito di no.
Questo fa capire quanto è problematico questo approccio. Se dico che non è accettabile questa versione,
bisogna che io accetti di mettere in discussione che le mie certezze vengano affermate da un’altra Legge
come quelle precedenti che parlavano di Razzismo, di punizioni, di Crimini contro l’Umanità.
Le posizioni erano variegate: c’era chi difendeva questa linea di lettura di problematicità di affermare che
cosa dovesse essere la memoria dentro una Legge e chi diceva che era giustissimo perché così si evitava che
si diffondessero messaggi antisemiti, di odio razziale.
La posizione di questi Storici è interessante. Essi dicono: «Attenzione se continuiamo a proporre per Legge
come dobbiamo leggere la Storia, finiamo che non ci sarà più nessuna ricerca, perché lo Stato punirà chi
afferma una cosa opposta a quello che prevede la Legge».
Vi sono altre posizioni che invece sostengono che le Leggi per punire i Negazionisti, i Razzisti sono giuste,
soprattutto perché attuano azioni pericolose.
ITALIA
Vediamo ora come si sviluppa questo dibattito anche nel contesto italiano nel 2007: in quell’anno si
esprimono 200 Storici italiani.
Qual è la questione in atto? Il Ministro Clemente Mastella presenta una Proposta di Legge che vuole punire
con l’arresto e la reclusione chiunque fosse colpevole di negare la Shoah  Quella Proposta di Legge in
quel momento non passa.
Alcuni Storici tra cui Enzo Traverso, David Bidussa, Marcello Flores dicono: «Attenzione, riflettiamoci bene»
e questo non significa che essi vogliano stare dalla parte dei Negazionisti.
LIBRO (PAG. 111)  Essi scrivono al Ministro dicendo: «Attenzione, se seguiamo questa linea, stiamo
utilizzando lo strumento giuridico per questioni che sono invece di tipo educativo e culturale».
Gli Storici elencano pericoli che essi individuano nel fare questo.
1. Invece di confrontarsi con i Negazionisti e far vedere che sul piano culturale, della conoscenza
storica ha torto, il confronto si ferma con la punizione giuridica.
2. Se tu annulli, scrivendolo su una Legge, il confronto culturale che deve esserci per dimostrare la
verità storica (che è momentanea), tu non fai un buon servizio alla Cultura, ne fai uno pessimo,
perché il dibattito si chiude e i Negazionisti possono sembrare addirittura persone a cui è stata tolta
la Libertà di Parola  Se le sue posizioni non le so confutare con il dibattito ho perso in partenza.
ES: Punire o no chi nega qualcosa di importante e centrale come la Shoah?
Fa piacere vedere punito qualcuno che afferma cose inesatte e lo fa producendo violenza. Ma la differenza
la fa tra l’espressione e l’azione: un conto è mettere in atto azioni violente per le quali esistono Leggi ed è
giusto che si puniscano; ma andare a punire l’opinione (Reati d’Opinione) è una cosa controversa, non
77
perché i Negazionisti abbiano la dignità di parola, ma se io punisco l’opinione finisce che non faccio alcun
processo culturale in positivo, di conoscenza, non attivo alcuna riflessione sociale, non costruisco progetti
educativi.
Se avessi fatto conoscenza, studiato la storia e attivato processi comunicativi ed educativi forse il problema
non l’avrei nemmeno incontrato, perché la società avrebbe già risposto per conto suo alle tesi negazioniste.
N.B. La debolezza è proprio dal punto di vista educativo e comunicativo.
A noi questo serve per entrare in maniera concreta in che cosa avviene quando la memoria diventa
qualcosa di dogmatico.
RECAP  Abbiamo iniziato il nostro percorso parlando del DOGMA della RESISTENZA. Poi le cose sono
cambiate a tal punto che la Resistenza è stata denigrata, e si è costruita la memoria delle VITTIME RAZZIALI:
la Shoah viene portata al centro.
Questo porta a una posizione totalmente opposta rispetto a quella da cui eravamo partiti cioè ci ritroviamo
di fronte all’incapacità di costruire percorsi comunicativi e formativi che difendano, dal punto di vista
culturale, le tesi che sono legate alla costruzione di memoria. Queste per funzionare hanno bisogno della
Storia, sennò non funzionano.
Questa assenza di Storia fa vedere quanto i processi educativi diventano interessanti soltanto se si entra nel
dibattito pubblico, cioè nella Comunicazione di questi temi.
Se si mettono da parte tutti gli aspetti che riguardano la ricostruzione storica e culturale, certo che si
possono fare scelte di punizioni che sono esemplari dal punto di vista giuridico, ma dal punto di vista
culturale e comunicativo non si è cambiato nulla.
N.B. Oggi siamo in un momento storico in cui la memoria ha acquisito una grande importanza simbolica, ma
è gestita tutto dal punto di vista emotivo. E se la si gestisce solo in questo modo, il confronto con il
Negazionismo, con chi afferma cose inesatte, con chi promuove l’odio razziale, lo perdo quasi sempre,
perché mi mancano gli argomenti con cui difendere le mie tesi.
Di fatto, anche il tema della memoria che sembra così spostato all’indietro, se lo si riporta nel dibattito
pubblico, esso è un tema che fa discutere, ma è anche un tema che ha bisogno di costruire le proprie basi
scientifico-culturali comunicative per poter avere la meglio; altrimenti diventa dogmatico, diventa un valore
in cui devi credere per forza, ma non sai neppure perché.
L’importanza che rivestono le posizioni di Liberté pour l’histoire e di Libertà per la Storia è quello di renderci
uno sguardo critico su qualcosa su cui altrimenti non avremmo nemmeno riflettuto. Inoltre, ci dice che: non
è che la battaglia sulla memoria è vinta una volta per tutte perché io affermo che è importante; la vinci se
fai Educazione, Comunicazione e cultura.
N.B. In più, per coloro che fanno Comunicazione professionale c’è il tema dell’ETICA e delle REGOLE
DEONTOLOGICHE che ogni protagonista della Comunicazione deve avere. Tra esse c’è quella di richiamarsi
all’Informazione corretta ovvero quella che costruisco tramite la mia conoscenza e lo studio e che
corrisponde alle informazioni migliori e più complete che posso avere nel momento in cui scrivo.
Se poi le cose cambiano perché ci sono novità su quel tema, anche la mia posizione potrà cambiare.
Perché è difficile trovare articoli, anche su Organi di Stampa effettivi online o cartacei, che rispondono
esattamente a questo tipo di impianto? Che informazioni ci troviamo negli Organi di Stampa?
In essi, le notizie sembrano ripetersi anche più o meno con le stesse parole.
Come mai? Da dove arrivano le notizie?  Esse arrivano dalle Agenzie di Stampa; per cui la cosa più
semplice da fare è ritrascrivere dalle varie Agenzie di Stampa le notizie che già compaiono editate:
l’Agenzia fa un lancio, esso arriva ad altri Organi di Stampa (Radio, Televisione, Siti Internet, Giornali
cartacei) e le ripropongono con il copia incolla.
Raramente c’è un’impostazione che fa ricerca sulla notizia.
Perché non c’è più il GIORNALISMO D’INCHIESTA ovvero la ricerca della verità sulle notizie?  Il problema
di fare questo processo è il tempo lavorativo.

78
Quanto viene pagato qualcuno che mette suo articolo su Organo di Stampa o mette un video web? Pochi
euro. E questo vuol dire che il Giornalismo che dovrebbe garantire Informazione è legato a contratti
assolutamente precari.
Se devo campare di quel lavoro, perché finisco a fare copia e incolla? Perché devo raggiungere una quantità
di guadagno che mi permetta di sopravvivere.
Non c’è più Giornalismo d’Inchiesta per la precarietà in cui è piombato il mondo della Comunicazione.
È difficile trovare articoli, video, inchieste televisive che rispondano a quel concetto del Giornalismo
d’Inchiesta, perché spesso ci si limita a prendere l’Agenzia di Stampa, a fare una minima verifica, e
riproporla sul giornale cartaceo o online.
Questo ci aiuta a capire perché ci manca questo tema dell’Informazione e della Comunicazione.
Se alla fine prendo un sacco di giornali cartacei rischio di ritrovare esattamente la stessa notizia riproposta
nello stesso modo, senza che nessuno abbia mai verificato nulla e l’inchiesta, l’indagine, le domande su
quello che è successo sono assenti. Certo poi cambia l’impostazione politica rispetto a chi è l’Editore che
sceglie di far uscire certe notizie e non altre.
N.B. Questo ci dice quanto è complicata la costruzione di qualsiasi Informazione, quelle storiche ancora di
più perché presuppongono che io mi informi, che abbia una competenza di base minima. Quelle di tanti
altri ambiti allo stesso modo.
I PERCORSI DELLA MEMORIA SONO PERCORSI CHE PARLANO DI COMUNICAZIONE E DI COSTRUZIONE DI UN
PROCESSO EDUCATIVO.
ESAME  Min. 36:00 LEZ. 10
LIBRO  La televisione educativa in Italia
Parliamo di Televisione educativa in Italia: ha senso parlarne perché in primis ciò che ha riguardato la TV è
un pezzo di storia di costruzione della società italiana; poi perché la TV, nei primi anni e anche
successivamente, ha assunto un forte ruolo educativo rispetto alla società italiana; infine, perché circa due
anni fa, quando è scoppiata la pandemia, anche la TV è stata investita da una nuova funzione: ovvero
doveva entrare nel contesto degli strumenti da usare per poter fare Formazione (informale) a distanza.
Si sono richiamati alla mente e si è cominciato a riraccontare alcune Trasmissioni che erano state le
antesignane della Formazione a distanza: una di queste è Non è mai troppo tardi, ma non è la prima che
arriva in Italia come Trasmissione educativa.
N.B. La TV quando nasce e fa la sua prima apertura, con il primo canale RAI affronta il tema del proprio
ruolo educativo.
Noi facciamo un Percorso che ci porta a vedere i vari processi che si sono attivati con la nascita della TV, ne
parliamo dal punto di vista soprattutto educativo e vediamo come questo processo si sviluppa.
La TV fa Educazione come tutti gli strumenti ma essa è stata centrale per l’epoca del Novecento: essa ha
avuto ovviamente Trasmissioni pedagogiche, ma anche il semplice guardarla la TV ha prodotto dei modelli
di riferimento per tutta la società  Ancora oggi funziona così, anche se abbiamo altri strumenti (la TV non
è più lo strumento più innovativo).
Siamo immersi in narrazioni che passano dentro degli strumenti, anche quelli più sofisticati, e ciò comporta
che prendiamo dei modelli, li accettiamo e li rifiutiamo, li seguiamo e fanno parte del nostro stile di vita
comunitario e personale.
VIDEO  Rai Education – “TV Buona Maestra” la lezione di Alberto Manzi
I trucchi che utilizzava Alberto Manzi erano quello del Disegno (che si compone a poco a poco e diventa
simbolico del Linguaggio – simbolico è il Linguaggio e simbolico è il Disegno; solo che il Disegno è
immediato e può essere compreso da tutti, mentre l’avvicinamento al Linguaggio è una cosa più complessa)
e quello di chiamare degli Attori (ES: Quando dovevano studiare una lettera veniva l’Attore che aveva il
cognome con quella lettera). Essi spesso venivano gratuitamente perché era diventato un problema

79
nazionale e ognuno si sentiva di partecipare e di dare un contributo alla gente.
Lui non era pagato dalla RAI perché era un Insegnante dello Stato.
L’esperienza di Non è mai troppo tardi nasce il 15 Novembre 1960 ed è uno degli esempi più riusciti.
Era una Trasmissione della RAI condotta da un maestro assunto dal Ministero della Pubblica Istruzione
La RAI in quegli anni comincia a chiedersi come intervenire sul grande problema dell’Analfabetismo.
_______________________________________________________________________________________
La Televisione italiana prende il via il 3 Gennaio 1954. C’erano stati due anni di prove ovvero le
sperimentazioni fatte a Torino e a Milano.
Dal 10 Aprile entrava in vigore l’utilizzo della nuova sigla, in senso di nome, che era quella di Radio
Audizioni Italiane, la quale diventava RAI Radiotelevisione italiana SPA.
Questo segnala che si è aggiunto ai mezzi di Comunicazione di massa l’elemento televisivo, che avrà un
impatto enorme sul contesto sociale, economico, civile ed educativo.
L’arrivo della TV era visto anche con preoccupazione, dagli esperti di Comunicazione, dai Politici e anche
dalle persone comuni, perché sembrava potesse smembrare quei legami e relazioni sociali, e soprattutto
familiari che erano visti come centrali in quel momento storico.
L’ingresso della TV diventa anche una grande opportunità per intervenire su un elemento che è centrale
negli anni Cinquanta  ANALFABETISMO e RICORSO AI DIALETTI.

Per cui, la Televisione ebbe il ruolo fondamentale nel “FARE GLI ITALIANI”. La Radio su questo non aveva
avuto un grande effetto: essa era inserita nel contesto di utilizzo delle famiglie italiane da tempo, ma non
riuscì ad avere l’effetto sulla Standardizzazione dell’italiano che ebbe la TV.
La TV diventava una finestra sul mondo. E persone che alla metà degli anni Cinquanta avevano difficoltà a
spostarsi, e che passavano il proprio tempo a livello locale si aprirono a una visione che li portava in luoghi
molto distanti da loro.
Quindi, la TV è stata uno strumento che ha influenzato di più e a livello capillare la società italiana 
L’effetto dirompente che ebbe nel costruire l’identità italiana non lo ebbe nessun altro strumento.
Nel 1963, la RAI produsse un reportage itinerante presentato dal giornalista Ugo Zatterin chiamato Viaggio
nell’Italia che cambia. Questo perché la metà degli anni Cinquanta, sebbene siano anni in cui tanta gente
usa dialetto, pochi si spostano, e molti non conoscono l’italiano, è anche un periodo in cui c’è grande una
crescita economica.
In quegli anni, in cui c’è anche la TV, irrompe il tema del Consumo.
N.B. L’identità italiana non è fatta solo da «Io parlo italiano e non più dialetto», ma essa è fatta anche da un
sistema di oggetti di Consumo proposti da un media forte come la TV e che diventano status symbol
dell’appartenenza a una Comunità.
C’è una particolarità in quegli anni: l’apparecchio televisivo aveva un costo elevato e questo portò spesso a
avere opportunità di vedere la TV in contesti collettivi. Ci si ritrovava anche per vedere la TV e se un vicino
aveva la TV, questo diventava un motivo per andarla a vedere da lui  Cambiano anche usi e costumi oltre
che i consumi.
Dal 26 Novembre 1955, il sabato sera va in onda Lascia o Raddoppia condotto da Mike Bongiorno.
Cosa ci interessa di rilevare dalle prime Trasmissioni che nascono in RAI? Anche se non sono tutte
Trasmissioni educative, esse influenzano il pubblico.
Importanza di quel Programma: esso diventava un motivo di ritrovo e diffondeva un nuovo modello di
paese (si vinceva, si giocava, ci si divertiva).
A un certo punto, Mike Bongiorno viene intervistato nel 1965 dal giornalista Sergio Zavoli dicendo: «Forse
quello che seguivano la Trasmissione cominciavano a volermi bene perché vedevano in me sé stessi con i
miei difetti […]».
Con questo lui dice che le persone vedevano loro stesse in lui, si indentificavano, si immedesimavano in lui,
80
sentivano parlare una lingua che era la loro stessa lingua; quindi vedevano o aspiravano a un mondo che
voleva cominciare ad assomigliare a quello che vedevano in TV  Cambia l’approccio: i Conduttori non
sono più oggetti distanti che vivono in un mondo diverso e quindi assumono un ruolo importante.
Dice inoltre: «Se una cosa non rende [non dà guadagno], non bisogna farla».
La TV che nasce con uno spirito di Servizio Pubblico, assumerà sempre più il carattere di uno strumento che
produce anche consumi e che invoglia al Consumo e che sottintende la necessità di consumare.
La TV da un lato costruisce la figura degli italiani e unifica sotto alcune immagini il concetto di italianità, e
dall’altro fa un altro processo: c’è stato il boom economico, i consumi diventano importanti, gli oggetti sono
degli status symbol che dicono chi è la persona e quindi si comincia a consumare, a comprare oggetti che i
media propongono alle persone.
Non c’è ancora la Pubblicità, ma presto si comica a parlare di una prima forma di pubblicità: Carosello 
Primo esempio di inserimento della Pubblicità nel contesto televisivo e prima forma di costruzione del
Consumismo
Le persone ne parlano spesso con un sentimento di appartenenza e benevolenza; ci sono legate perché era
il simbolo della loro infanzia.
ES: Calimero viene fuori da una Pubblicità che nasce con Carosello.
Carosello aveva fatto molto effetto sulla generazione a cui era diretto. Era stato talmente introiettato a
livello emozionale e di carica di benevolenza verso quello che ci si ricorda del passato, che si scorda anche
che aveva, come tutte le Pubblicità, un obiettivo legato ai consumi. Sentendo parlare la generazione che è
nata con Carosello, sembra che i consumi non c’entrassero nulla, ma non è così. Esso viene descritto in
modo più benevolo di quanto noi guardiamo gli Spot di adesso.
C’è un approccio più emotivo, legato a un’immagine del passato che fa ricordare Carosello come
un’esperienza della propria infanzia; quindi, quasi si scorda che era una Pubblicità.
RECAP  Nasce la TV; c’è paura per quella novità che è un mezzo tecnologico; essa è una parte
fondamentale di costruzione sociale dei racconti; comincia a crescere quasi subito l’utilizzo della TV per
vendere prodotti (Consumismo) e per diffondere i messaggi del Consumo perché siamo nel momento
dell’espansione economica.
L’Intrattenimento era una parte importante della TV, ma una parte che nacque quasi subito è anche
l’aspetto dell’Educazione  TELEVISIONE DI SERVIZIO PUBBLICO: TV che non solo ha l’obiettivo di vendere,
ma si pone anche l’obiettivo di fare qualcosa per la società.
N.B. Mentre si sviluppa il piano commerciale, si sviluppa anche quello pedagogico-edicativo.
Il termine Pedagogico ha una valenza sia positiva perché la TV diventa strumento utile per imparare
l’italiano, ma è anche visto come l’utilizzo di certi strumenti educativi per spingere la società verso un certo
tipo di pensiero, come succede con la Scuola Pubblica. Essa cerca di trasmettere certi valori, concezioni,
memorie, e lo stesso fa la TV.
La TV si interroga su che tipi di Servizio Pubblico offrire.
La prima esperienza che nasce di questo tipo è l’esperienza di TELESCUOLA del 1954  Prima esperienza di
Scuola pensata non più all’interno delle classi ma da trasmettere attraverso il canale televisivo cioè PRIMA
ESPERIENZA DI ISTRUZIONE A DISTANZA.
Un aspetto fondamentale della Storia della Televisione è quello del legame della TV di Stato con la Politica.
A ricoprire il ruolo di Amministratore delegato, ovvero a gestire la RAI in quegli anni c’era Filiberto Guala.
Egli faceva riferimento alla Democrazia Cristiana: era un Partito di centro, con un forte riferimento cattolico,
che ha governato per tanti anni dal secondo dopoguerra (era stato il Partito di riferimento e più votato
dagli italiani) fino al passaggio alla Seconda Repubblica.
Un’altra caratteristica della Televisione di Stato (RAI): la connessione stretta col Governo.
La RAI non è un Canale privato in cui c’è un Imprenditore che mette soldi; il fulcro del Canale televisivo di
Stato è quello di essere di Stato e quindi di usare soldi pubblici. Questo porta alla possibilità di usare soldi
81
pubblici e anche a essere fortemente legato anche alle caratterizzazioni politiche che riguardano le
differenti epoche che poi si attraversano.
Nemmeno un Canale privato è esente dall’influsso della Politica, perché quando si tratta di elementi di
Comunicazione, la Politica si nutre di Comunicazione e la Comunicazioni televisiva è uno dei canali più
importanti, usati dalla Politica per esprimersi.
Entrambi sono caratterizzati da un legame forte con la Politica, perché sono dei media che trasmettono
modelli, pensieri, immagini e diventano importanti per chiunque voglia esprimere un messaggio.
TeleScuola nasceva da un’esperienza rivoluzionaria, perché cominciavano a gravitare intorno alla RAI anche
figure di Pedagogisti e di uomini di Cultura.
Nei primi anni di attività della Televisione pubblica di Stato si era deciso di svecchiare la RAI e di aggiungere
persone a quella componente che era stata all’interno della RAI fin da quando c’era stato il Fascismo.
Si era deciso di fare un Concorso Pubblico nel 1955 per assumere nuove figure di giovani che potessero
formarsi e dare nuovo slancio all’Azienda. Arrivano in RAI figure cultuali importanti: Umberto Eco, Furio
Colombo, Gianni Vattimo, Enrico Vaime, Piero Angela.
Accanto a loro vengono presi dei giovani Professori universitari: Antonio Santoni Rugiu (uno dei più
importanti Storici dell’Educazione), Luigi Silori, Leone Piccioni,
Quindi, a metà degli anni Cinquanta, in RAI stano entrando giovani che, a livello culturale, fanno i Giornalisti
e anche persone che sono dentro al tema della Formazione.
C’era il tentativo di proporre un’immagine più progressista della RAI.
Filiberto Guala era legato a quel Cattolicesimo di figure più progressiste; era dello stesso riferimento
politico di Giorgio al Pira, Sindaco di Firenze.
Da chi ci si vuole allontanare? Dall’EIAR: l’Azienda del tempo del Fascismo: la Radio era gestita dal gruppo
EIAR.
TeleScuola si basa su un’idea innovativa: l’idea che si possa fare EDUCAZIONE A DISTANZA.
Questa intuizione era sorta nel contesto europeo: ci si stava interrogano su come la TV potesse essere un
luogo da cui dare Formazione e Istruzione somigliante a quella di una Scuola.
Il controllo della Televisione pubblica di Stato ha un riferimento tendenzialmente legato alla DC, Partito di
maggioranza in quel momento nel contesto italiano.
Vi era l’idea che fosse possibile far arrivare l’istruzione nei luoghi in cui non era semplice avere né una
Scuola, né un posto di Formazione. Si inventano quindi i Posti di Ascolto Televisivi (PAT).
In questi luoghi ci devono andare le persone che sono in difficoltà, dal punto di vista dell’istruzione, che
sono rimasti indietro, che non hanno mai frequentato la Scuola o che l’hanno abbandonata.
C’erano difficoltà effettive che impedivano di andare a Scuola: alcune di ordine economico e il fatto che la
Scuola era lontana: c’erano luoghi non connessi al resto del territorio. Più si scendeva a sud e più questa
caratteristica aumentava.
L’esperienza televisiva dell’Educazione a distanza poteva invece raggiungere luoghi dove non si era riusciti
ad arrivare con le strade e le scuole.
L’Italia partecipa a un esperimento di Scuola a distanza che riguarda anche la Francia dal 1952 e l’Inghilterra
dal 1957.
Si trattava di corsi di base: era un percorso elementare, dove al centro c’era imparare a leggere, scrivere e
far di conto.
Come era organizzata? C’erano inizialmente due mezz’ore pomeridiane giornaliere di corsi che erano tenuti
da docenti scelti da Ministero della Pubblica Istruzione. A sostegno di queste due mezz’ore, c’erano delle
dispense che venivano pubblicate da TeleScuola che si poteva ricevere se si prendeva parte ai PAT. Questo
dava la possibilità di recuperare e studiare  Approccio a un modello di Trasmissione che era innovativo.

82
Quanti si erano avvicinati a TeleScuola?  DATI: dal punto di vista quantitativo, circa 40 mila studenti a
distanza avevano seguito il primo anno di Trasmissioni.
Il mezzo televisivo andava a offrire un servizio necessario per alcuni, quindi tanti si avvinarono.
N.B. È stessa cosa di quando oggi si parla di DAD e del fatto che la RAI propone Trasmissioni che si
occupano di Istruzione durante il lockdown? Non è stessa cosa, eppure, uno dei tanti racconti fatti sul
contesto del 2020 erano che le prime esperienze di quello sono state TeleScuola e Non è mai troppo tardi.
Noi facciamo questa storia per vederne anche le differenze.
Cosa si vedeva sullo schermo? Si metteva in scena una sorta di finzione di una Scuola tradizionale. C’erano i
banchi, gli alunni e il docente.
A cosa serviva a questa finzione scenica? Serviva a riproporre qualcosa di conosciuto e anche in parte a far
finta di essere a Scuola.
Su questo far finta ragionerà molto Alberto Manzi, perché non è detto che sia modalità giusta.
La domanda è: Perché dovevano riproporre per forza il modello tradizionale di Scuola quando stavano
facendo un’altra cosa? Dato che stavano proponendo un’istruzione che era a distanza, la quale ha delle sue
regole, delle sue modalità e delle sue metodologie diverse dall’istruzione in aula.
Che risultati ha il primo esperimento di TeleScuola?
Riflettiamo sul dato dei 40 mila studenti dal punto di vista educativo. Al di là dell’eccezionalità, quanti di
questi riuscivano ad arrivare in fondo e prendere il diploma finale?
Su 32 mila Telespettatori nel 1961, solo 800 si erano presentati all’esame e solo 500 di questi avevano
conseguito la licenza.
Dal punto di vista dell’idea, è una cosa eccezionale, dal punto di vista del ritorno mediatico e comunicativo
è un risultato esorbitante; ma sul piano educativo i dati dicono una cosa chiara: LA SCUOLA IN PRESENZA
FUNZIONAVA ANCORA MEGLIO.
Il problema della Scuola in presenza di quegli anni è che era una SCUOLA ELITARIA. Di lì a poco arriva la
Scuola criticata da Don Lorenzo Milani in Lettera a una Professoressa.
Egli dice: «Siamo in Democrazia ma se guardiamo il sistema educativo, esso zoppica perché promuove quelli
che sono già inclusi dalla società e scarta quelli che sono in condizioni peggiori».
L’esperienza di TeleScuola è importante perché trova uno strumento nuovo per arrivare alle persone, ha
grande ritorno, non ha ancora grande valore dal punto di vista degli obiettivi raggiunti a livello di Istruzione
e di Educazione, ma si fa carico di un tema che esiste: Queste persone che sono ai margini della società
riescono a restarci dentro la Scuola o no? Perché l’hanno abbandonata?
Siamo dentro a cosa più ampia dell’esperienza della Trasmissione a distanza.
TeleScuola pone un tema: MI DEVO CURARE DI PERONE CHE NON RIESCO A RAGGIUNGERE e, sebbene non
riesca ancora a rispondere perfettamente, si fa carico di interrogarsi su: Come si fa a fare una vera Scuola
che sia democratica a e non escludente?
E si interroga da un punto di vista che mette insieme il contesto del Ministero della Pubblica Istruzione e il
contesto della RAI come Ente di teleComunicazione di Stato.
N.B. La fusione del mondo della Comunicazione con quello dell’Educazione è la vera novità.
L’Educazione può trovare risposte in una Comunicazione che funzioni in un altro modo? Questa è la
domanda a cui cerca di rispondersi Alberto Manzi.
Questa grande esperienza comunicativa che ci ha aperto la TV: con TeleScuola ci si è posto il problema di
come fare a far arrivare l’istruzione a chi non riesce a essere raggiunto dalla Scuola, a chi la abbandona e a
chi la allontana; Manzi cerca di dare una risposta con il mezzo televisivo, ma la risposta che dà non è solo
per quello, ma è per tutta società  COMUNICAZIONE CHE PARLA DI EDUCAZIONE.
Egli si chiede: «Esiste modo di comunicare questa Istruzione che sia comprensibile anche a ultimi?»  La
risposta che si dà è Sì c’è un modo, ma esso non è presente a Scuola, bensì nella pedagogia di Alberto
Manzi che viene espressa in TV.
83
Quello su cui non si riusciva a sfondare, dal punto di vista dell’Istruzione pubblica, era riuscire a comunicare
con gli strati più bassi della popolazione. I più poveri a Scuola anche se potevano magari a Scuola non ci
andavano perché venivano bocciati continuamente
N.B. Le riflessioni che avvengono dentro la TV in quegli anni tengono insieme il grande tema educativo
dell’INCLUSIONE SOCIALE e cercano una risposta.
CIÒ CHE È INNOVATIVO non è solo il mezzo, ma È L’IDEA DI CERCARE RISPOSTE EDUCATIVE CHE SERVANO
ALLA SOCIETÀ USANDO LA COMUNICAZIONE TELEVISIVA  L’innovazione viene dalla Metodologia che
viene usata.
TeleScuola con i suoi pro e contro ci porta all’esperienza centrale e fondamentale di Non è mai troppo tardi,
che si regge sulla figura del maestro Alberto Manzi che viene scelto per le sue competenze.
Qual è passaggio che segna fine di TeleScuola? Esso sembrava lo scimmiottamento della Scuola vera.
Anche se aveva proposto un mezzo innovativo per parlare alle persone, lo faceva come se rappresentasse la
vecchia Scuola in aula.
Manzi invece cambia Metodologia  Egli ha riflettuto su come fare Scuola in TV e si è sforzato di capire che
cosa è che non annoiava il pubblico. Egli si inventa la Metodologia di mettere qualche cosa in movimento:
usa il gessetto per disegnare creando una corrispondenza tra Simbolismo dell’immagine e Simbolismo della
scrittura e del linguaggio.
Non è più una Scuola presa e messa sullo schermo. C’è un cambio di Metodologia che funziona, e che
otterrà grandi riconoscimenti e risultati.
Egli era stato ripreso dal punto di visto di vista del proprio comportamento rispetto all’istituzione pubblica,
perché si rifiutava di dare voti numerici per dare la valutazione ai suoi studenti.
Egli aveva fatto tante altre esperienze: aveva lavorato con studenti in carcere, quindi, aveva fatto
esperienze con gli ultimi e da quelle parte per trovare una Metodologia innovativa.
TeleScuola parte da un obiettivo che è l’istruzione elementare. Piano piano si va verso l’intervento sulla
Scuola Media e poi su età superiori.
LEZ. N° 11 – 19.10
Abbiamo visto una TV che parla alla Società di massa che si sta costruendo nel secondo dopoguerra. Si
svilupperà a breve il boom economico e la TV ne sarà uno strumento e un elemento moltiplicatore, perché
diventa espressione e diffusore di stili, di modalità di visa, di modelli educativi.
Il richiamo alla DAD è una cosa che conosciamo, perché nel 2020 abbiamo visto quanto sia stata richiamata
l’esperienza televisiva di quella Formazione rappresentata simbolicamente soprattutto da Non è mai troppo
tardi, per rispondere alla necessità della DAD  Su questo parallelismo bisogna fare una riflessione:
Corrisponde o meno quello che abbiamo vissuto in questo periodo a ciò che fece nascere un’esperienza
come Non è mai troppo tardi in TV negli anni Sessanta?
La prima esperienza di TeleScuola ebbe un grande successo mediatico perché era seguitissimo, tanto dal
punto di vista delle Trasmissioni quanto dal punto di vista delle presenze nei PAT, che portava la Scuola
vicino a chi aveva deciso di interromperla o a chi non aveva avuto modo di frequentarla.
Quali sono i cambiamenti che intervengono su TeleScuola?
Uno avviene il 16 Ottobre 1961: l’esperienza di TeleScuola – nata in collaborazione stretta con il Ministero
della Pubblica Istruzione – cominciò ad affrontare il tema del rinnovamento dei Programmi scolastici da
offrire e venne indirizzata verso quei Programmi che sarebbero stati quelli della Scuola Media unica.
La Scuola Media unica (percorso di Scuola che unificava tutti quegli indirizzi che invece prima erano presenti
all’interno del percorso scolastico e che si differenziavano molto in anticipo rispetto a quanto avviene oggi
nella scelta del percorso che uno doveva seguire: prima c’era già la scelta se andare verso l’ambito
lavorativo o verso quello della Formazione per poi raggiungere livelli superiori di Istruzione) viene istituita
alla fine del 1962 e sarà solo nell’anno successivo che arriverà nelle classi tradizionali.

84
TeleScuola già dalla metà del 1961 prende in considerazione dei Programmi rinnovati: essa, quindi, compie
un grande rinnovamento nei Programmi di riferimento e cambia il suo nome in TELEMEDIA.
N.B. In pochi anni, quello che succede in TV, a livello di Istruzione, affronta un cambiamento e si rivolge a
coloro che sono gli studenti grandi (ma non è detto) che devono affrontare il percorso delle Medie.
Resta sullo sfondo il tema della distinzione tra ciò che è successo mediatico e ciò che è successo per
l’Istruzione. Antonio Santoni Rugiu, Storico e Pedagogista che aveva lavorato in RAI nella sua carriera aveva
posto sotto analisi i dati: sebbene ci fossero state decine di migliaia di persone che avevano seguito il
percorso di TeleScuola, ma coloro che avevano ottenuto la licenza che dimostrava la fine del proprio
percorso erano poche centinaia.
TeleScuola fu un successo mediatico enorme, un’idea innovativa e interessante perché lo stesso tipo di
modalità di sperimentazione della DAD erano nate in altre parti di Europa, ma andando a vedere i risultati
era evidente che la DIDATTICA TRADIZIONALE in classe garantiva un successo maggiore a chi la frequentava.
Questa esperienza di TeleScuola si sposta verso li contesto delle Scuole Medie e finisce per chiudersi
progressivamente nel 1966. Questo avviene perché dal 1960 in poi, anche i numeri di frequenza alle Scuole
Medie cominciavano a migliorare.
Quindi, si faceva strada una nuova necessità  Quella non tanto di garantire una Scuola sostitutiva laddove
la Scuola era assente e farlo attraverso la TV, ma recuperare quella grande massa di persone che erano
adulte e che erano rimaste analfabete.
La riflessione su: «Portiamo la Scuola laddove i ragazzi dell’età delle medie non possono frequentarla» si
chiudeva perché in realtà anche nei luoghi più isolati, i numeri di frequenza delle Scuole tradizionalmente
presenti sul territorio era buona.
N.B. Restava in piedi l’elemento di utilizzare la DAD traverso la TV per recuperare analfabeti che erano di
fatto degli adulti.
Prosegue quindi l’esperienza, nata nel 1960, di Non è mai troppo tardi rivolta agli adulti, che avevano perso
l’occasione di formarsi e che erano rimasti analfabeti. Essa resta il riferimento fondamentale che dimostra il
rapporto in quel periodo tra il Ministero della Pubblica Istruzione e la RAI.
Il problema di TeleScuola  Essa “scimmiottava” un po’ l’aula scolastica: partiva dal concetto di mettere di
fronte alla telecamera un contesto ricostruito che rappresentasse l’aula scolastica tradizionale.
Per cui chi era nei PAT, vedeva qualcosa che riconosceva, ma la parte interessante dei processi educativi
fatti tramite i Media non è soltanto quella di riproporre una classe tale e quale a come ce la immaginiamo.
Il vero elemento in gioco di quel processo è vedere SE LE METODOLOGIE POSSONO CAMBIARE A LIVELLO DI
EDUCAZIONE, QUANDO UTILIZZO UN CANALE MEDIATICO CHE NON È QUELLO TRADIZIONALE.
Questa sfida la coglie NON È MAI TROPPO TARDI a partire dal 15 Novembre 1960 quando si apre questa
Trasmissione.
Con una dose di casualità, per dirigere il Programma viene individuato Alberto Manzi, un Maestro assunto
dal Ministero della Pubblica Istruzione. Egli aveva una Formazione particolare, con un legame stretto di
esperienze formative legate ad ambienti di emarginazione sociale: egli aveva fatto lezione anche nel
Carcere minorile a Roma, inventando modalità interessanti di interazione con gli studenti. Aveva fatto
costruire agli studenti un Giornalino che uscisse all’esterno per far raccontare a loro la propria visione della
vita e alcuni approfondimenti di tipo culturale.
La novità è il cambio di Metodologia  Significa che Non è mai troppo tardi non mette degli studenti ripresi
dalla telecamera di fronte a un maestro che egli fa lezione come se facesse una lezione frontale.
Il problema lì è far nascere un Conduttore che è anche Maestro: e Manzi ci riesce; quindi, diventerà una
figura simbolica strettamente legata al suo Programma e anche, per un elemento di affettività, all’immagine
che resta nella memoria delle persone che hanno visto la Trasmissione.
Egli riesce a essere buon Conduttore e un buon Maestro perché cambia Metodologia.
N.B. LA COMUNICAZIONE SI REGGE SULLA METODOLOGIA CHE SI USA: il suo cambio di Metodologia

85
significava introdurre una sottile ma interessante critica alla Scuola dell’epoca. La critica è che la Scuola
tradizionale, fatta nelle aule scolastiche, spesso non sapeva parlare agli strati più bassi della popolazione, ai
ragazzi di provenienza più umile, che venivano buttati all’esterno della Scuola o bocciandoli o rivelandosi la
Scuola un posto talmente inadeguato e non gradito a questi ragazzi, che essi nemmeno ci andavano.
Alberto Manzi trova una modalità che è un DIALOGO con la POPOLAZIONE SCOLASTICA PIÙ POVERA.
La novità non è solo il fatto di essere di fronte alla telecamera e di mandare le immagini sul Teleschermo; la
vera novità è aver cambiato Metodologia di insegnamento e dichiarare alla Scuola tradizionale che c’è un
modo diverso di fare lezione.
La nuova Metodologia che lui applica è fatta di un Linguaggio semplice, di rimandi alla vita quotidiana e di
persone che arrivavano in Trasmissione per fare visita ai suoi Telespettatori, con varie motivazioni: gli ospiti
entravano quando c’era la lettera del loro cognome – il legame era strumentale, ma era buon motivo per
attirare l’attenzione  La SCUOLA di Alberto Manzi DIALOGAVA CON LA QUOTIDIANITÀ DELLE PERSONE.
La Scuola tradizionale di quell’epoca fatta nelle aule non faceva questa cosa: era una Scuola fortemente
nozionistica, fatta di un Linguaggio spesso comprensibile, utilizzato solo dalle classi sociali più elevate e
naturalmente non aveva alcun collegamento con la quotidianità delle persone. Inoltre, essa tendeva a
respingere volontariamente le persone che provenivano dalla parte più povera della società.
N.B. La TV, quando era stata introdotta, venne vista come uno strumento di disgregazione sociale.
Successivamente, con TeleScuola e con Non è mai troppo tardi, divenne un elemento in grado di creare
COESIONE SOCIALE: da un lato, perché insegna e standardizza lingua nazionale e dall’altro lato, perché
attraverso i suoi Programmi, costruiti in collaborazione con il Ministero della Pubblica Istruzione fa Servizio
Pubblico, cioè riesce a recuperare strati della popolazione che altrimenti sarebbero rimasti lontani da
contesto dell’Istruzione.
Nel frattempo, i modelli culturali non erano dati solo da questi Programmi di Educazione e di Istruzione
formale; i modelli proposti dalla TV sono anche quelli che arrivano dal Cabaret, da Lascia o Raddoppia e da
tutto un mondo che ha a che fare con l’istruzione ma non solo, ma comunque propone una sorta di
EDUCAZIONE INFORMALE.
Con TeleScuola e Non è mai troppo tardi siamo di fronte a un’EDUCAZIONE FORMALE, perché ha lo stesso
valore riconosciuto di quelli che sono i percorsi di Istruzione voluti, scelti e riconosciuti a livello di Stato, a
livello di contesto pubblico.
Nel 2020, quando si inizia a parlare di DAD per le questioni legate al Covid, non è un caso che la prima
immagine che arriva sui giornali e nelle Trasmissioni televisive è quella di Alberto Manzi e del suo
Programma: un modo di fare Istruzione nel momento in cui ci sono difficoltà per una parte popolazione di
accedere ai luoghi tradizionali in cui si svolge la Scuola.
Su che basi si muoveva pedagogicamente l’impegno di Alberto Manzi? Egli era legato a figure della
Pedagogia come quelle di Danilo Dolci, Don Lorenzo Milani, Mario Lodi.
Cosa c’è dentro ai valori che porta con sé Manzi? Valori del PACIFISMO, dell’EDUCAZIONE per creare
Democrazia, dell’INCLUSIONE delle classi sociali meno abbienti.
Egli rivoluziona la Televisione educativa rispetto a quello che avevamo conosciuto.
Lui aveva fatto le sue prime esperienze in Radio, in Trasmissioni che avevano a che fare con la Scuola e poi
era stato selezionato per andare di fronte al Teleschermo ad insegnare.
Il successo mediatico che ebbe Non è mai troppo tardi fu talmente forte che, nel 1965 il Programma
ottenne il premio dell’ONU al Congresso mondiale degli Organismi Radiotelevisivi che si svolse a Tokio, per
il suo impegno contro l’Analfabetismo.
Esso era diventato il Format televisivo italiano più replicato a livello internazionale.
Il Programma chiude nel 1968. L’esperienza delle rivolte studentesche, della richiesta di cambiamento nel
mondo dell’Istruzione era agli inizi, ma la Trasmissione si richiamava a quei principi di rivoluzionare il tipo di
Istruzione che veniva proposta a livello tradizionale.

86
Quando, nei primi anni in cui la Trasmissione si svolgeva (1961-1962), essa venne allargata a più moduli, si
cercò di affidare un secondo modulo ad un altro Maestro, ma gli ascolti di quel modulo fallirono. Manzi
divenne quindi il Maestro che seguì tutta la Trasmissione Non è mai troppo tardi fino alla sua chiusura.
N.B. La Trasmissione diventa un’icona della DAD e di esperienze di Istruzione innovative, che hanno
funzionato e che hanno parlato a chi non era accolto dalla Scuola.
Se gli eventi, negli anni Settanta, hanno portato sempre più verso una Scuola democratica, non è merito
solo di Manzi, ma quella Trasmissione si è inserita nel contesto di cambiamento nel mondo della Scuola,
proponendo Metodologie innovative prima che lo facessero tutti gli altri e collegandosi alla Cultura di quel
periodo che era una Cultura di contestazione delle modalità di Istruzione tradizionali, legate soprattutto a
modelli che erano quelli delle classi sociali più elevate.
Sebbene si fosse già in una Democrazia, lo strumento dell’Educazione (Scuola) ripercorreva le differenze
che esistevano tra classi sociali.
La TV in quel caso propose un MODELLO TOTALMENTE INNOVATIVO E INCLUSIVO.
_______________________________________________________________________________________
Trattiamo ora l’ambito della Pubblicità – CAROSELLO
La Pubblicità oggi fa parte del nostro mondo (anche del contesto di Internet). Invece, il periodo in cui nasce
la TV italiana non è caratterizzato da una Pubblicità già presente. Anzi, si pensa che essa non debba essere
presente, perché la Televisione di Stato (RAI) deve essere soprattutto un Servizio Pubblico, quindi, non deve
avere questo ambito legato all’aspetto commerciale.
È innegabile che Carosello apre l’esperienza pubblicitaria all’interno del contesto della RAI.
La Storia e la costruzione della collettività (delle sue immagini, dei suoi valori) non è data soltanto dalle
Trasmissioni educative, ma anche da tutto il resto che ci ruota intorno. Tra queste cose che hanno una
propria influenza sulla costruzione di modelli e di valori di riferimento c’è anche la Pubblicità e Carosello è
la prima esperienza.
N.B. Anche la Pubblicità ha avuto un ruolo nel “fare gli italiani”, anche maggiore di Non è mai troppo tardi.
Nel 1959, la RAI affidò a Lidia De Rita, una Psicologia dell’Università di Bari, il compito di svolgere delle
analisi per vedere l’effetto che ha avuto il mezzo televisivo nella vita delle classi contadine lucane.
Essi dicono: «Noi vediamo ciò che succede nel resto d’Italia e del mondo e questo ha per noi importanza».
Inoltre, i Contadini non affermavano di imparare soltanto da Trasmissioni come Non è mai troppo tardi, ma
anche e soprattutto da Carosello.
VIDEO  Le Pubblicità di Carosello, 1963
VIDEO  Carosello, nasce un mito: Calimero
Per le Emittenti televisive di oggi, una durata della Pubblicità così lunga sarebbe improponibile.
Questa sorta di siparietto che dura diversi minuti e che viene visto come un elemento di divertimento, ci
dice che in Televisione, dal 1957 – data in cui compare Carosello, il quale viene posizionato subito dopo il Tg
delle 20:30 ovvero nel momento di punta degli ascolti – l’ambito commerciale sta costruendo piano piano
la sua importanza. Quello della Pubblicità/vendita commerciale sarà uno degli elementi che caratterizzerà
anche la TV pubblica, quindi il Canale di Stato.
Che tipo di approccio c’era a Carosello?
Carosello aveva una connotazione rigida: vi erano delle regole precise da seguire perché c’era un po’ di
preoccupazione a livello morale: inserire nella TV messaggi pubblicitari, di Consumo, portava a chiedersi se
questo fosse giusto o meno. Quindi, si cercò di rendere questo processo di invito al Consumo come
qualcosa che stesse dentro delle regole stette.
Il rispetto per il Telespettatore doveva prevalere a confronto con l’interesse per il prodotto: cioè questo
modo di proporre la Pubblicità era anche un modo di dire: «Noi ti proponiamo un messaggio pubblicitario,
di Consumo, però lo facciamo nel rispetto per te, non insistendo tanto su prodotto, ma sulla storia».
I tempi erano contingentati: doveva svolgersi tutto in due minuti e mezzo, duranti i quali veniva presentato
questo siparietto che aveva un’espressione artistica.
Inoltre, in RAI ci si era dati come riferimento che tutto il contesto pubblicitario della rete non dovesse
superare più del 5% del totale del tempo della Programmazione.
87
Queste questioni così rigide ci dicono che la Pubblicità in TV ci entra con un approccio che rivela un certo
tormento: «È giusto entrare dentro il contesto televisivo, quindi ciò che propongo allo spettatore, anche
proponendogli il Consumo?»  La risposta è sì, ma questa modalità di proporre la Pubblicità ha lasciato
nella memoria di chi vedeva quella Trasmissione pubblicitaria un ricordo che rimanda al fatto che, durante
l’età infantile o adolescenziale, vedeva quel siparietto e quello era il segnale che poi lo mandava a letto.
N.B. Si ha un ingresso del commerciale problematizzato, perché c’era un po’ di riferimento etico.
Quando si inserì la TV, una delle prime preoccupazioni era la disgregazione della famiglia (che poi non
avvenne). Le Trasmissioni nei primi anni della TV erano caratterizzate da un rigido rispetto degli orari
famigliari: cioè non si potevano avere Trasmissioni durante la cena oppure il pomeriggio le Trasmissioni
dovevano partire dopo che ragazzi avevano fatto i compiti.
Quindi, da un lato ci si domanda se bisogna rispettare i TEMPI DELLA VITA DELLA FAMIGLIA, dovuto al fatto
che il riferimento politico principale è la DC perciò, il riferimento ai valori cattolici è forte.
Dall’altro lato, si ha un timido INGRESSO DELL’ASPETTO COMMERCIALE, DEL CONSUMISMO dentro il Canale
televisivo, in un momento in cui si sta sviluppando il boom economico e che piano piano occuperà sempre
più spazio.
L’effetto della Pubblicità fu così dirompente, che l’elemento del Consumismo attecchì anche in chi certi
prodotti non poteva permetterseli.
ES: A Torino, le antenne delle TV (mezzo di Consumo) compaiono anche nei quartieri e nelle case popolari,
abitate da una popolazione di immigrati molto povera.

Le classi più basse della popolazione costruiscono, grazie a Carosello, immagini e riferimenti di vita.
Esse contano se riescono ad avere quell’oggetto e succedeva che avessero prima il televisore del frigorifero,
perché la TV permette di entrare in contatto con il mondo del Consumo.
Quindi, si investe parte di ciò che si guadagna in un oggetto che è uno status symbol, ma non è
indispensabile, prima di preoccuparsi di avere ciò che serve necessariamente per vivere.
N.B. Carosello è l’inizio e il primo esempio del Consumismo – è l’introduzione dell’elemento del Consumo
all’interno delle Trasmissioni televisive – perché nella modalità in cui si sviluppa la Pubblicità c’è lo stesso
messaggio di oggi. Innanzitutto, c’è il Conformismo: si propone un’immagine di uomo/donna/bambino
affinché il destinatario possa farne parte. Ma per farne parte deve acquistare. Allora, quell’acquisto diventa
essenziale.
Il fatto dell’Educazione che passa attraverso la TV, da un lato ci ha raccontato di Programmi nati per
svolgere il grande compito dell’Istruzione in maniera innovativa e dall’altro ci parla di un mondo che cambia
anche attraverso il Consumismo che la TV alimenta.
Perché si chiamava Carosello? Questo nome aveva un’estrazione popolare: rimandava ai tornei
cavallereschi, ma probabilmente veniva dal Napoletano “Carusiello”, che significa Bimbetto con la testa
rasata. Di origine napoletana era anche la sigla, costruita inserendo al suo interno alcuni contesti e
immagini di riferimento delle città italiane più importanti (monumenti), in modo da avvicinare il
Telespettatore a ciò che sta per vedere.
Anche Carosello manda una sua immagine di appartenenza alla Comunità e costruisce l’essere italiani.
Il fatto che, fin dall’inizio, sia stato piazzato nella fascia di maggiore ascolto, ci dice che Carosello non era
reputato qualcosa di secondario.
Se Non è mai troppo tardi ha avuto un suo aspetto di importanza per l’Istruzione pubblica, anche Carosello
conserverà molto più a lungo, fino ai giorni nostri, un elemento fondamentale legato all’aspetto
dell’Educazione degli italiani a modelli di Consumo.
Tutto ciò avveniva in un Paese che stava cambiando il suo aspetto, passando da Paese rurale a Paese
industrializzato.
Due Autori di un Libro che si sono occupati molto dell’analisi di Carosello dicono: «Carosello, osservandolo
dal punto di vista di chi lo vuole studiare, era il frutto di un’ipocrisia: si doveva fare pubblicità ma

88
vergognandosene; e allora la si mascherava da spettacolo, con l’intenzione di attutire il diabolico impatto
sui frugali italiani, e ciò derivava dai nascenti cambiamenti sociali ed economici che ormai erano proiettati.
[…] Carosello restava un tentativo camuffato, ma ben riuscito di dare Pubblicità a prodotti che segnavano il
miracolo economico e che arrivavano sulle TV degli italiani travestiti da favole da bambini.»
Descrivendolo così, questa favola di Carosello cambia molto il suo aspetto simbolico.
La Pubblicità, per chi era di fronte a un mezzo televisivo in quegli anni e per la prima volta vedeva l’aspetto
di un oggetto di Consumo proposto dalla TV, aveva un effetto dirompente sul riorientare tutto il Simbolismo
che poteva essere inserito nella propria vita.
N.B. Si stanno costruendo i consumi degli italiani, in un momento in cui è in corso il boom economico e
quindi simbolicamente parteciparvi diventa importante per chiunque: si vuole fare parte di quel racconto.
L’esperienza di Carosello si chiude nel 1977 e restava nella memoria collettiva italiana. Le persone che
hanno visto Carosello se lo ricordano, non come una Pubblicità, ma come un momento di divertimento,
perché erano di fronte a delle storie che si svolgevano sul Teleschermo.
Questi vent’anni sono l’apertura del Mercato pubblicitario in RAI.
Che percentuale rappresentava dei soldi che entravano in RAI il settore della Pubblicità?  Nel 1963 la
Pubblicità rappresentava 1/3 del bilancio della RAI, il resto era coperto dal Canone (abbonamento alla TV di
Stato).
Negli altri Paesi europei, ancorati al contributo dell’abbonamento alla TV a sovvenzione, le percentuali
erano molto più basse. Invece, nell’Italia del Carosello la percentuale che la RAI, in un regime di Monopolio,
ottiene dalla Pubblicità è molto alto rispetto a quello che succede in altre nazioni nello stesso momento.
Facciamo un passo avanti rispetto al tema dell’Educazione legata al Ministero della Pubblica Istruzione e i
suoi accordi con la RAI. Mentre chiudono le altre Trasmissioni, questo rapporto con il Ministero della
Pubblica Istruzione che ha deciso di fare Scuola attraverso la TV come cambia? Quali obiettivi si dà?
Nasce una nuova esperienza nel 1967  TRASMISSIONI INTEGRATIVE PER LA SCUOLA
TeleScuola e Non è mai troppo tardi erano TRASMISSIONI SOSTITUTIVE della Scuola: si andava lì e non a
Scuola perché avevano un riconoscimento istituzionale che permettevano di arrivare al diploma finale, che
dichiarava con valore pubblico l’aver terminato quel percorso di studio.
Quando si passa a percorsi con Trasmissioni integrative si passa a Trasmissioni che voglio dialogare con la
Scuola fatta nelle aule: quindi, si costruiscono Trasmissioni che si immagina potranno essere usate per
approfondimenti delle varie materie/tematiche da parte degli insegnanti.
Si passa dal Modello Sostitutivo al Modello Integrativo, che comincia a pensare di poter coinvolgere in una
nuova progettualità le Scuole Secondarie inferiori e superiori (Scuola Media e Scuola Superiore).
Come si faceva a pubblicizzare queste nuove Trasmissioni all’interno delle Scuole, così che gli insegnanti
potessero utilizzarle?
La RAI crea Trasmissioni che sono spesso innovative nei temi e nella modalità di proposta.
Viene fatta una Programmazione che è inserita in un bollettino, fatto uscire dalla RAI e chiamato TVS
(Televisione Scolastica) e mettono dentro i Programmi e le schede delle Trasmissioni che sono proposte
come Trasmissioni Integrative.
Quell’esperienza della Scuola integrativa non avrà mai successo, non decollerà mai. Perché? Qual è
problema della TV integrativa di quegli anni?
La RAI mette in onda delle Trasmissioni rivolte alla Scuola Media e Superiore. Il professore che legge su TVS
l’orario dei Programmi, se vuole può utilizzarli. Le difficoltà che lo portano ad essere un fallimento sono
legate all’organizzazione della Scuola italiana, la quale ha orari predeterminati. Però anche i Programmi
avevano degli orari precisi. Quindi, era difficile che potessero coincidere con gli orari delle lezioni.
Inoltre, c’era una certa ritrosia nel riferirsi a questi strumenti: non vi era l’abitudine a usare la TV come se
potesse essere uno strumento integrativo della lezione; la TV non era entrata nel contesto della
Metodologia scolastica, né didattica.
Un altro problema nella Scuola era il fatto che usare la TV nella sala video della Scuola non era facile, dato

89
che non si disponeva di una TV in classe.
Al problema dell’orario, si sommava il fatto che il professore doveva accedere alla sala video, farlo
nell’orario previsto e organizzare tutta la giornata per quella disciplina, legato al fatto che in quell’orario
dovevano essere nella sala in cui c’era la TV.
Quindi, queste Trasmissioni pensate per dialogare con la Scuola vennero molto poco viste e non hanno
portato buoni risultati, anche se avevano una qualità ottima.
Esse conosceranno un nuovo utilizzo solo quando inizieranno a essere usate le VHS, le videocassette.
Laddove si riesce a metterle su un nastro, allora l’insegnante che è interessato ad approfondire la sua
disciplina con qualcosa che viene dall’esterno prendeva la sua VHS e la fa vedere.
Finché però le Trasmissioni erano soltanto mandate in onda in certi orari specifici, pur conoscendo ed
essendo informati sugli orari, la Televisione integrativa non ha mai sfondato.
N.B. Questa TV non ha sfondato perché questo rapporto tra Luoghi dell’Istruzione e Luoghi della
Comunicazione non è scontato: esso sarebbe fondamentale per costruire nuove Metodologie di
Comunicazione, soprattutto a Scuola, ma non è scontato. Anzi, difficilmente si è vista una capacità di
integrare i due mondi, che ha portato a risultati buoni.
In quegli stessi anni, c’è un’esperienza che funziona ed è educativa in maniera informale e si chiama la TV
DEI RAGAZZI.
Queste Trasmissioni della Tv dei Ragazzi partono alla metà degli anni Cinquanta e si interrompono con gli
anni Settanta.
Si tratta di un Format ben preciso – questo ci dice molto dei riferimenti morali, dei valori, che facevano da
sfondo anche all’ambiente politico del tempo.

La Tv dei Ragazzi è una TV dedicata a Trasmissioni per bambini e adolescenti. Esse iniziavano alle 16:30,
perché si doveva dare il tempo ai ragazzi di svolgere i compiti  Questo significava avere presente il
rispetto dei tempi della vita famigliare: prima viene la famiglia e poi la Televisione.
Le Trasmissioni erano ripartite a seconda delle età: i primi appuntamenti erano per i bambini più piccoli. Gli
appuntamenti più tardi erano per gli adolescenti.
In ogni caso, il Format della Tv dei Ragazzi si chiudeva alle 18:30. Nel riferimento dell’epoca, da quell’ora ci
si preparava per la cena.
N.B. Il riferimento valoriale della famigliarità e della cena c’era, con i suoi aspetti anche moralistici e
l’ambito comunicativo dei media ne teneva conto. Oggi non è più così invece.
È stato epocale il cambiamento della TV rispetto ai valori sociali, che sono costruiti nel nostro vivere
quotidiano, ma sono costruiti anche da quello che al TV e i mezzi di Comunicazione ci propongono come
valori e dai racconti che noi rendiamo collettivi.
La Tv dei Ragazzi era il tentativo di costruire un Format riservato ai ragazzi in un orario adatto a loro, dove,
per la prima volta, fanno la comparsa anche delle serie come Furia, che provengono dal contesto
americano. Cominciano ad affacciarsi nel mondo della TV italiana anche le produzioni oltreoceano, che
producevano un immaginario diverso da quella che era la produzione italiana. Inserirle in questa TV
significava proporre nuovi modelli, immagini e prodotti di Consumo.
Un elemento importante della Tv dei Ragazzi  Idea di costruire un’IDENTITÀ EDUCATIVA che non facesse
riferimento al campo formale dell’Istruzione. Ciò vuol dire che questo Format non era legato a riferimenti
legislativi, ma la Tv dei Ragazzi era educativa comunque.
C’era la pubblicità nella Tv dei Ragazzi? No, in quel momento non c’era.
Sullo sfondo abbiamo la Politica che fa da riferimento a ciò che viene prodotto e mandato in onda sul
canale televisivo, che progressivamente sta cambiando.
Il contesto politico di quegli anni è fortemente incentrato da valori legati all’elemento della Cattolicità e
dalla Morale. Questo influenza anche la TV, ma questo strumento piano piano esce da questi schemi e
comincia ad avvicinarsi al Consumismo, a produzioni meno tradizionali, internazionali.

90
Queste cose che succedono in TV non è che non hanno a che fare con l’Educazione, perché non sono
targate Ministero della Pubblica Istruzione.
N.B. La TV in quegli anni è lo strumento più forte di diffusione di modelli sociali.
Fino ad ora, la Tv di Ragazzi fa da sfondo a questi modelli morali: essa si propone come riferimento
educativo, ma non vuole indicare alcuna strada, né costruire alcun rapporto con i riferimenti istituzionali,
però si dà come obiettivo quello di voler dare dei modelli valoriali ai ragazzi.
Essa si dà obbiettivo di avere di fronte alla Tv dei Ragazzi a cui si vuole diffondere una certa idea di società e
del loro ruolo nella società.
Il fatto che crescano nuovi Telespettatori era l’obiettivo essenziale di quel Progetto  È importante il fatto
che si stavano costruendo i nuovi Telespettatori del futuro.
La TV sta lavorando per avere persone che la guardano.
Dal nostro punto di vista, ciò che riguarda di più l’ambito educativo, è il fatto che si stanno costruendo
persone che si stanno abituando a guardare la TV, e sono minori. Questo ha più rilevanza sociale.
In quegli anni, con la Tv dei Ragazzi si costruiscono persone che sono dipendenti dal guardare la TV. La TV
diventa un pezzo della loro vita.
La TV è un momento importante che racconta della vita pubblica e politica del paese, ma ci racconta anche
della nascita di giovani Telespettatori che costruiscono una propria identità. L’identità collettiva di quegli
anni si costruisce nei giovani anche perché sono Telespettatori della Tv dei Ragazzi.
FUNZIONANO PERFETTAMENTE LE DIMENSIONI DEGLI STRUMENTI INFORMALI: la Tv dei Ragazzi funzione e
costruisce modelli.
DATI  Chi guadava la TV dopo il 1968 in Italia?
Il ‘68 è un MOMENTO DI CAMBIAMENTO A LIVELLO SOCIALE. I Movimenti studenteschi del ‘68 attaccano e
criticano fortemente la TV di Stato come strumento di costruzione del contesto di egemonia della cultura
maggioritaria, della classe dirigente del Paese. Tramite la TV di Stato si propongono modelli e di esprime la
classe dirigente del Paese.
La Generazione di coloro che sono nati con la TV, affrontano il ’68 e arrivano a post ’68 la guardano la TV?
I dati dicono che la stessa generazione che ha contestato la TV, dopo il 1968 è un Telespettatore assiduo di
quello strumento.
L’aspetto di costruzione del Telespettatore come identità collettiva, che è stato inserito anche dentro
progetti come la Tv dei Ragazzi, dimostra che quel tentativo di creare un modello di riferimento per le
giovani generazioni aveva funzionato; era resistito anche al momento di contestazione e l’aveva superato.
Infatti, dopo il 1968, la TV torna al centro dell’immaginario collettivo, come riferimento che propone un
certo modello di persona, di soggetto inserito nella società.
Siamo in un contesto educativo, perché quel modello di costruzione del Telespettatore ha funzionato ed è
anche sopravvissuto alle contestazioni.
La Tv dei Ragazzi la troviamo come riferimento ed etichetta di un sacco di cose. Guardando oggi le
Trasmissioni, vediamo che la Tv dei Ragazzi è usata come marchio di tutte le Trasmissioni che si svolgono
nel pomeriggio e sono indirizzate ai ragazzi.
_______________________________________________________________________________________
Vediamo ora un passaggio fondamentale per Storia della Televisione italiana  FINE del MONOPOLIO
della RAI e poi LOTTIZZAZIONE della RAI.
MONPOLIO della RAI: a livello nazionale, quando la RAI nasce con il suo primo canale nel 1954, essa è
l’unica che fa Trasmissioni che divulgano Informazione, Spettacolo, Cultura, Istruzione su tutto il territorio
nazionale. Questa dimensione del Monopolio sopravvive per diversi decenni e poi si interrompe. Gli
elementi in gioco sono dei Canali privati.

91
La TV di Stato RAI è pagata con una grossa parte del Canone RAI (tassa perché ci sia quel servizio) e una
parte di Pubblicità. Quando poi si arriva alla fine degli anni Sessanta e all’inizio degli anni Settanta, sono
tante le esperienze, a livello locale, di privati che hanno aperto una propria emittente televisiva. Essendoci
però un regime di Monopolio, esse non possono trasmettere a livello nazionale.
Silvio Berlusconi muove i suoi primi passi quando iniziano queste esperienze di TV locali private  L’aspetto
fondamentale di queste TV è che il loro bilancio regge in particolare sulla Pubblicità. Esse non si pongono
alcun problema su quanto devono limitare la Pubblicità, e di quanto deve garantire gli spazi del contesto
famigliare, ecc. LA PUBBLICITÀ È LA VITA DELLA TV LOCALE PRIVATA.
La TV locale privata comincia a costruire Trasmissioni che, anche se vanno sul livello locale, cominciano a
essere viste, soprattutto perché, con accordi tra Emittenti diversi, pur essendo vietato trasmettere a livello
nazionale, aggirano l’ostacolo facendo ritrasmettere su differenti Emittenti o facendo rimbalzare tramite i
ripetitori, la loro Trasmissione grazie ad accordi che fanno con altre Emittenti locali.
Esse quindi non stanno trasmettendo un segnale che va su tutta la Nazione come per la RAI, ma il rimbalzo
della loro Trasmissione a livello regionale, gli permette di diffonderla non sulla singola località, ma quasi a
livello totale su tutta la Nazione.
Questo apre un contenzioso importante, che si risolve con una Legge che farà crollare il Monopolio della
RAI.
Ci sarà un cambiamento epocale rispetto alla caduta del Monopolio. Questa caduta significa che anche il
Canale televisivo di Stato va a vivere nel contesto di concorrenza in cui vivono le altre Emittenti private.
Esse otterranno la possibilità di trasmettere a livello nazionale  Quindi, la RAI diventa UNA DELLE TANTE
EMITTENTI CHE SI PROPONE SUL TERRITORIO ITALIANO.

N.B. Questo naturalmente cambia i Palinsesti  In un regime di Concorrenza, il ruolo di Servizio Pubblico
(che riguarda l’ambito più della Cultura e dell’Istruzione) della TV di Stato diventa sempre più problematico.
Questo avviene perché, quando arriva la concorrenza del privato, si propongono modelli diversi e si
tendono a guardare Trasmissioni incentrate sullo Spettacolo, il Gioco, l’Intrattenimento e non sulla Cultura.
Cambiano i due mondi: cambiano gli interessi del pubblico, ma essi cambiano anche perché la TV propone
altra roba.
Con il boom economico, la RAI ondeggia tra Moralismo e Consumismo. Essa si può permettere questo
ondeggiamento e questa mancata presa di posizione (posizione di mezzo) finché non arriva la caduta del
Monopolio.
Quando poi arriva la concorrenza, c’è il problema che le altre Emittenti televisive propongono altre cose.
Si riesce a stare al passo con ciò che viene proposto dalle TV private, proponendo la TV di Servizio Pubblico,
ovvero Cultura e Istruzione? Sempre meno, infatti gli elementi di Educazione più formale iniziano a sparire,
rosicchiati dalla necessità di dedicare il tempo televisivo ad altro.
Si riuscirà a mantenere queste Trasmissioni che tengono conto del tempo famigliare, se il tempo televisivo
diventa denaro in concorrenza con altri? No, perché se un Programma finisce e non si trasmette altro, il
Telespettatore gira e va sul Canale di qualcun altro.
CAMBIA L’IMPOSTAZIONE, SIA PER LEGGE SIA PERCHÉ CAMBIANO ANCHE I COSTUMI DEGLI ITALIANI.
La fase di riferimento ai valori condivisi da tutti (dell’essere Cattolico, della Comunità, della Famiglia) viene
rosicchiata dal mondo dell’Intrattenimento e del divertimento, che spazza via i vecchi valori e ne ripropone
altri.
N.B. La TV e il processo di caduta del Monopolio accompagnano una società che sta già cambiando, perché
è una società che va sempre più verso il Consumismo e sempre meno verso l’interesse per il campo
dell’Istruzione informale, soprattutto in ambito televisivo.

92
Questo è il contesto di fondo. Tutto ciò comporta dei cambiamenti a livello legislativo e di assetto da parte
della RAI.
Gli anni Settanta sono il momento in cui le cose cambiano anche dal punto di vista dell’emittente televisiva
nazionale.
N.B. Questo periodo è segnato da grandi traguardi sui Diritti civili: passano le Leggi sull’Aborto, sul Divorzio
(Diritto di Famiglia). Si parla di elementi che hanno un ampio dibattito a livello sociale.
Da un contesto politico e pubblico che veniva da un riferimento molto cattolico, cominciare a parlare di
Diritti civili e di elementi contrastanti, non sono elementi scontati.
C’è un grande processo di dibattito in corso e la TV in parte ne è strumento, perché la Politica parla
attraverso la Televisione e in parte ne è influenzata perché i movimenti cambiano la società a cui la TV sta
parlando.
La RAI sceglie di dare appoggio a quell’ambito di posizionamento politico, rappresentato dalla DC, che non
appoggia assolutamente la Legge sul Divorzio.
In quel momento, a capo di quella RAI, c’è una figura di spicco fondamentale che è Ettore Bernabei.
Quel prendere parte alle posizioni rispetto al dibattito sul Divorzio in Italia da parte della RAI comporterà un
cambiamento fondamentale.
La Legge sul Divorzio passerà, nonostante i vertici RAI avessero dato spazio alla posizione opposta, e questo
porterà a un cambio al vertice dell’Azienda pubblica di Stato.
LEZ. N° 12 – 22.10
Percorso sulla TV  Da un lato la Lottizzazione della RAI e dall’altro la fine del Monopolio dei Canali
televisivi di Stato.
LOTTIZZAZIONE della RAI: questo termine, che in origine fa capo a un riferimento urbanistico, in questo
caso, nel 1975, fa riferimento alla spartizione dei canali RAI (Rai 1 e Rai 2 – in quell’anno nasce Rai 3) tra i
Partiti che sono in Parlamento.
Il peso della Politica sul controllo della RAI, inizialmente in mano al Governo, dal 1975 diventa un elemento
che riguarda soprattutto il Parlamento.
I Partiti entrarono nel controllo dei tre Canali di Stato in modo pesante.
Grazie a quello che è stato per la prima volta utilizzato come termine dall’intellettuale Umberto Eco,
solitamente si parla di una frattura che divide la Storia della TV, che ha la sua data di riferimento nel 1975 e
che individua una PALEOTELEVISIONE (metà anni Cinquanta – 1975) e una NEOTELEVISIONE (dopo il 1975).
Caratteristica della Paleotelevisione  TV che vuole educare gli Italiani, segnata dal Pedagogismo (dove il
termine è letto sia come riferimento alle esperienze educative, ma anche come elemento problematico,
ovvero come tentativo di indirizzare il pubblico con degli strumenti come la Censura; ha un aspetto di
controllo rispetto alla morale pubblica di ciò che veniva prodotto).
Caratteristica della Neotelevisione  TV del Consumo.
Dal 1975, per diversi motivi, la TV perde progressivamente il suo aspetto di Servizio Pubblico di Stato e
assume quello di uno strumento che, per la Politica, deve indirizzare le persone verso certe Ideologie e
riferimenti politici a seconda del Partito che controlla un certo canale, e che, dal punto di vista del
Consumo, la TV diventa Consumismo in modo sempre più evidente.
Tutto parte da questa storia di suddivisione dei Canali a seconda dei Partiti presenti in Parlamento in
quell’anno. La Legge che dà il via alla Lottizzazione della RAI è la Legge n° 103 del 14 Aprile 1975.
Come viene suddivisa la RAI?
Tra i Partiti di riferimento vi era la DC, che ottiene il controllo di Rai 1  Il Canale entra nella sfera di
influenza della DC (il tipo di Programmi di Intrattenimento/Informazione fatti su quella Rete vengono scelti
da persone che fanno riferimento a quel gruppo politico).
Vi era poi il PSI che controllava Rai 2.
Infine, nel 1975, nel momento della Lottizzazione, nasce Rai 3, la quale inizia le sue Trasmissioni regolari nel
1979 ed è sotto la sfera di controllo del PCI.

93
TESTO di LEGGE Art. 1  https://parlamento17.camera.it/129?leggi_norme=2
Leggendolo si pensa che questa Legge volesse garantire e presagire all’apertura al Pluralismo. Questo, in
realtà, si risolve in quella che è la Lottizzazione cioè i diversi Canali RAI entrano sotto la sfera di controllo di
uno dei Partiti del Parlamento.
Perché per i Partiti è un elemento importante avere il controllo sul Palinsesto di un Canale televisivo
statale? Questo significava poter diffondere proprie idee, le proprie chiavi di lettura, visioni sul mondo, i
propri valori e principi che passavano dal tipo di Palinsesto che si costruiva (la popolazione italiana si forma
non solo di fronte a Programmi pedagogici, ma in ogni momento: c’è un’Educazione informale che passa
anche dalla TV e che i Partiti hanno presente).
Come venne garantito il controllo del Parlamento? Quella stessa Legge dette il via a una COMMISSIONE DI
VIGILANZA PARLAMENTARE: essa è scelta dal Parlamento e ha il compito di vigilare sui servizi televisivi.
La Commissione è composta da 40 membri, i quali non vengono scelti da un ente indipendente, ma 20 sono
nominati dalla Camera dei Deputati e 20 sono nominati dal Senato della Repubblica.
Ciò significa che gli accordi di Partito all’interno del Parlamento portano a individuare questo gruppo di
persone, le quali gravitano intorno a certe sfere della Politica.
Essa ha il potere di scegliere i membri del Consiglio di Amministrazione RAI.
Vi sono una serie di compiti importanti che definiscono il ruolo della Commissione all’interno del contesto
della RAI.
N.B. Chiaramente, la Politica entra pesantemente nel contesto televisivo pubblico.
La Legge del 1975 costituisce anche una serie di DIREZIONI AUTONOME per produrre Programmi di servizio:
si tratta di specie di Sotto Dipartimenti della RAI che si occupano di alcuni settori.
Uno dei Dipartimenti che nasce è il DSE: Dipartimento Scuola Educazione.
Quell’elemento che era più di Servizio Pubblico della TV inizia a perdere terreno rispetto agli interessi
commerciali (nascere della Pubblicità) da una parte e politici dall’altra (il controllo della Politica su certi
canali della TV di Stato)  Quindi, aumenta l’importanza dell’Intrattenimento e del messaggio politico ai
propri elettori.
Nel 1977, anche a causa della Lottizzazione, furono ridimensionati tutti i Programmi legati
all’Alfabetizzazione dalla Scuola e il numero di Film (Intrattenimento) trasmessi in un anno intero passava
da 115 a 375 (più di uno al giorno).
FINE del MONOPOLIO della RAI: accanto alla Lottizzazione, questo è anche il momento in cui si inizia a
sgretolare il Monopolio della RAI, come unica Televisione nazionale trasmessa nel Paese.
La preparazione della fase degli anni Ottanta, che fece cessare il Monopolio della RAI, ha le sue radici negli
anni Settanta.
In quel periodo, sono in vigore piccole esperienze di TV private, di Emittenti locali, che iniziano a
trasmettere via Cavo; mentre, la TV nazionale trasmetteva via Etere.
Il Regolamento diceva che esse non potevano però trasmettere a livello nazionale.
Questo significava che, fino a che il Monopolio era tutelato, La RAI non aveva concorrenti a livello nazionale
e perciò poteva scegliere che tipo di servizio dare  Il Monopolio garantisce una centralità al Servizio
Pubblico.
Il 9 Ottobre 1977, l’Imprenditore Silvio Berlusconi prende accordi con Mike Bongiorno, il quale, nel 1979,
lascia la RAI e passa a Telemilano (TV pubblica della Lombardia, soprattutto della zona di Milano).
Nello stesso anno nasce un’altra emittente chiamata Teleitalia 80, un’altra società controllata da
Berlusconi. Non si trattava di un solo Canale televisivo, ma di un’Azienda con un solo compito: Teleitalia 80
doveva soltanto costruire accordi economici per la Pubblicità su Telemilano.
Berlusconi, quindi, prende volti della TV nazionale e soprattutto costruisce una modalità di finanziamento
della propria TV privata, attraverso un’Agenzia che ha il solo compito di costruire rapporti per fare
Pubblicità con le Aziende che volevano farla.

94
Nel 1980, quel Canale da Telemilano prende il nome di Canale 5  Questo tipo di TV privata che stava
nascendo, era una TV commerciale, basata sugli introiti portati dalla Pubblicità. Essa non si poneva affatto il
problema del Servizio Pubblico, dell’Alfabetizzazione degli Italiani, delle conoscenze.
Si stava costruendo un retroterra di piccole TV commerciali, che presto sarebbero diventate le concorrenti
della RAI, appena fosse caduto il Monopolio.
Succede che queste TV commerciali, in particolare quelle situate intorno a Milano che fanno riferimento
alla figura di Berlusconi, aggirano il Monopolio.
Non potendo trasmettere a livello nazionale, decisero di diffondere il proprio segnale facendolo rimbalzare
sui trasmettitori di varie TV locali, trasmettendo contemporaneamente su tutto il territorio nazionale le
stesse Trasmissioni. Di fatto, facevano una diffusione nazionale.
Il Monopolio c’era ancora ma era stato aggirato e questo portò all’interesse da parte della Magistratura che
poi intervenne.
RECAP  Vi sono TV commerciali, guardate dagli Italiani, che dovrebbero essere solo su base locale, ma in
realtà vengono diffuse a livello nazionale. Quelle TV si basano, soprattutto se non totalmente, su quello che
ricavano dalla Pubblicità.
N.B. Il problema di quelle TV non è fare Servizio Pubblico, ma far vendere e costruire modelli di Consumo e
di Intrattenimento  Cambia totalmente l’approccio al Servizio televisivo.
Nel 1981, Canale 5 aveva un fatturato pubblicitario di 60 miliardi di lire, e Berlusconi, in quegli anni,
completava la costruzione di un intero Network (gruppo di Televisioni), chiamato FININVEST (fa riferimento
al gruppo Berlusconi), perché acquistava anche Italia 1 alla fine del 1982 e Rete 4 nel 1984.
Arriva il momento in cui la caduta del Monopolio diventa effettiva. Siamo in un contesto politico-giudiziario
e qui entra in gioco la Giustizia: tra il 13 e il 16 Ottobre 1984, si esprimono i Pretori di Torino, di Pescara e di
Roma, perché dovevano considerare quell’aggiramento del Monopolio che c’era stato da parte delle Reti
Fininvest, con il rimbalzo sui ripetitori locali delle TV e impongono alle Reti Fininvest di interrompere le
interconnessioni dei loro trasmettitori: esse cioè dovevano fermarsi, perché avevano violato il Monopolio.
Il 28 Novembre andava in discussione alla Camera dei Deputati il Primo Decreto Berlusconi.
Arriva l’intervento all’interno del Governo.
I Decreti Berlusconi sono due: il primo proponeva che si potesse trasmettere, a livello nazionale, anche se si
era una TV privata  Questo primo Decreto non passa; serve un Decreto Berlusconi Bis.
Alla fine, l’1 Agosto 1985, si prolunga la possibilità che viene data dalla nuova Legislazione di trasmettere a
livello nazionale, e, con la trasFormazione di quel Decreto in Legge (Berlusconi Ter) di fatto cade il
Monopolio.
Con il passaggio di questi Decreti si prevede che Fininvest possa trasmettere via Etere a livello nazionale.
N.B. A metà degli anni Ottanta, finisce l’era del Monopolio RAI: la RAI resta Televisione di Stato, ma non ha
più Monopolio sulla Trasmissione nazionale. Arrivano le TV private e questo sconvolge totalmente il
Sistema televisivo pubblico, perché ci sono dei concorrenti, che si basano sulla Pubblicità.
Anche la RAI comincia a sottrarre, sempre di più, la parte di Servizio Pubblico per passare
all’Intrattenimento e alla Pubblicità  Questo porta la RAI ad assumere un ruolo diverso da quello che
aveva avuto in passato.
La TV educativa, rivolta alla Formazione del pubblico, viene meno e si passa a una TV legata anch’essa al
Consumismo e ai messaggi pubblicitari.
La Legge che afferma definitivamente che il Monopolio non c’è più è denominata Legge Mammì ed è del
1990 (da Oscar Mammì, Ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni che la preparò).
Da quell’Agosto 1985, la Legge Mammì ripercorre la strada del Berlusconi Ter e il Monopolio scompare
definitivamente. MA GIÀ CON GLI ANNI OTTANTA SI CHIUDE IL DISCORSO DEL MONOPOLIO.
N.B. L’Italia in quel momento in cui la Pubblicità diventa un fattore trainante della TV, non ha alcuna Legge
che regola quando, quanta e come deve essere fatta la Pubblicità sui canali televisivi. Vi erano solo

95
indicazioni interne.
Questa caduta del Monopolio, e l’apertura al commerciale avviene senza alcun riferimento a quale fosse la
regolamentazione della Pubblicità.
La conseguenza è che, a partire dai Canali privati, inizia un’inondazione di Pubblicità, che inizia a esserci non
solo negli intervalli tra una Trasmissione e l’altra, ma anche all’interno delle Trasmissioni  La Pubblicità
aumenta a dismisura e arriva in tutti i momenti della giornata e delle Trasmissioni.
Questo Passaggio fotografò un’Italia che arrivava a un passaggio così importante senza avere una
Legislazione di riferimento.
Si apriva il PROBLEMA del PRIVATO, che aveva Televisioni da cui trasmetteva a livello nazionale.
Negli altri paesi d’Europa c’era una Regolamentazione su quante Reti televisive si potevano avere.
Un conto è se le Reti televisive sono pubbliche; un conto è se è il Privato possiede tre Reti pubbliche
nazionali, perché egli ha un potere comunicativo enorme, ma non c’è in quel momento una Legislazione
apposita che indichi quante Televisioni private può possedere lo stesso gruppo/persona.
La Legge Mammì portò a diverse critiche, a interventi di Parlamentari, ma restò in vigore; essa di fatto
lasciava l’Italia in una situazione problematica dal punto di vista del controllo dei Canali televisivi.
Nasce la problematica delle TV a livello nazionale controllate da un Privato: se hai in mano una TV di Stato,
con più Canali, hai in mano una capacità comunicativa enorme in grado di influenzare fortemente il Paese.
N.B. Siamo dentro agli inizi della Neotelevisione  Da una Televisione, la cui nascita era legata alla
costruzione della Comunità a livello nazionale, piano piano si assiste a una TV che piuttosto che sviluppare il
collante comunitario, comincia a tornare a far chiudere gli individui nell’ambito privato.
La TV, da fruizione in luogo pubblico, da Servizio Pubblico di Stato, per l’Educazione della Comunità,
comincia a scivolare verso un tipo di messaggio che è quello del Divertimento, del Consumo e della
Chiusura privatistica (sembra che faccia il percorso opposto rispetto a quello da cui eravamo partiti).
Questa frattura cambia anche il controllo della TV pubblica: la figura di riferimento della Paleotelevisione fu
soprattutto Ettore Bernabei: una personalità che aveva come Riferimento politico la parte della DC legata a
Fanfani.
Solo che la lotta sui Diritti civili che si sviluppa in Italia negli anni Settanta porta alla fine dell’esperienza di
Bernabei in RAI, perché Fanfani e il gruppo progressista della DC, di fronte a passaggi epocali come furono
quelli della Legge sul Divorzio (Diritto di Famiglia) e una serie di altri Diritti civili come l’aborto, si schierano
dalla parte della conservazione della vecchia Legge: non vogliono che questi due elementi passino.
In realtà, la Legge sul Divorzio passa; viene quindi proposto un Referendum e questo Referendum, su cui si
poggiò tanto la DC per abrogare la Legge, finì per essere vinto da chi voleva conservare la Legge, che restò.
Quindi, Bernabei, che aveva appoggiato quel tipo messaggio tramite la TV pubblica, finì per dimettersi. Egli
non cade solo perché c’è il passaggio nel 1975 ma perché c’è un contesto sociale, pubblico, collettivo che
sta cambiando i propri riferimenti. Si vede che la TV sta seguendo questo impulso e sta scivolando verso la
Pubblicità, l’Intrattenimento, il Divertimento  Questo ci dice che i gusti, i modi di vita e i riferimenti degli
Italiani stanno cambiando.
Mentre osserviamo la TV, osserviamo la Comunità che sta cambiando.
Dal punto di vista del tema educativo in TV, nel 1975 nasce un Dipartimento specifico, il DIPARTIMENTO
SCUOLA EDUCAZIONE (DSE).
Dopo la Lottizzazione, e i Gruppi parlamentari che stanno prendendo il controllo dei Canali televisivi, la
costruzione di questi Dipartimenti vuole essere il segno della RAI che non dimentica il Servizio Pubblico.
Il compito del DSE è quello di continuare a lavorare sul piano formativo.
Però i tempi sono cambiati. Non è più il tempo né di dare vita a un’altra esperienza di TV sostitutiva (TV
rivolta agli analfabeti), e nemmeno della TV integrativa che non ha funzionato dal punto di vista formativo.
N.B. Il DSE si pone come obiettivo quello di fare un LABORATORIO di SPERIMENTAZIONE: vuole
sperimentare i LINGUAGGI COMUNICATIVI che servono per diffondere Conoscenza.
La TV comincia ad avere un ruolo differente  Non vuole necessariamente dialogare con la Scuola: prende
atto che c’è un mondo fuori dalla Scuola legato comunque alla Formazione, e prova a costruire il suo
96
Progetto di Comunicazione.
PROGRAMMI
Alcuni di questi Programmi rimandano a questioni che sono attuali tutt’oggi; ciò vuol dire che il tentativo di
essere un Laboratorio di Sperimentazione era stato fatto.
Nel 1981 escono una serie di Lezioni dedicate all’Italiano per gli Arabi; nel 1987 escono le Lezioni di italiano
per emigrati.
Vi sono Rubriche dedicate ai bambini quando erano fuori da Scuola come Una Caramella al giorno,
Fantastica età, Fantasticamente: produzioni che avevano la caratteristica di rendere appetibili al grande
Pubblico dei temi culturali specialistici.
Esso finanzia una serie di Trasmissioni, che costituiranno una sorta di Enciclopedia multimediale, mediatica,
dedicata alle Scienze filosofiche: un Progetto che ebbe molta risonanza a livello pubblico.
Vi è una Trasmissione sulla Salute dei bambini, dove i genitori possono parlare con dei Pediatri.
Ci sono Trasmissioni, che collaborano con la Scuola, in cui la Lingua straniera era pensata come inserimento
alla Scuola Elementare: questa è un’innovazione assoluta, ma essa non riesce a incidere né negli spazi che
trova per poter essere guardata, né nella realtà concreta del mondo scolastico perché tali Trasmissioni non
producono effetti sulla Società circostante: le guardano in pochi.
Ci sono Trasmissioni che riguardano la Scienza, gli aspetti del mondo scientifico.
Questo era il tentativo di rendere questa Cultura al passo con i tempi, cercando un tipo di Comunicazione
che fosse utile per parlare con il Telespettatore di fronte al Teleschermo.
L’esperienza del DSE non funzionò molto, perché erano cambiati i tempi e il contesto pubblico circostante.
Il problema non è la qualità di ciò che viene prodotto, ma il fatto che non trovi spazio per poter essere
trasmesso: le Trasmissioni vanno spesso sul Palinsesto notturno, riempiendo fasce di Palinsesto meno
appetibili, perciò quindi sono poco viste.
Ci stiamo accorgendo che, mentre in passato la RAI Servizio Pubblico sostenuta dal Monopolio dava grande
spazio a questa parte di Servizio Pubblico, in questo momento il passaggio è opposto.
Si ha talmente la necessità di occupare gli spazi televisivi con Palinsesti che siano di Intrattenimento e di
Consumo, che la parte educativa, anche se gli viene data importanza, viene messa in secondo piano, perché
non produce più ritorno economico che può dare altro, cioè la Pubblicità.

Il DSE riesce a sviluppare meglio i suoi Programmi quando arriva la possibilità di registrare: Videocassette o
vendita di quei Programmi specifici di Formazione a certi gruppi.
Dal punto di vista del Palinsesto televisivo, il DSE è relegato ai margini, anche se a parole gli si continua a
dare importanza.
Quanto si spendeva per i diversi tipi di Televisione?
Nel 1994, c’è una riorganizzazione del DSE: il Budget sfiora i 18 miliardi di lire (poi verranno dimezzati un
anno dopo per Budget superiori che riguardano l’Intrattenimento e lo Spettacolo).
Il problema è la possibilità di avere lo share di ascolto: il 5% che si erano dati come obiettivo quando
nacque il DSE e che auspicavano non è tanto, è accettabile per una TV di Stato, ma non fu mai raggiunto.
Cambia anche la TV DEI RAGAZZI
Nel 1975, una delle cose che succede insieme alla Lottizzazione, è la fine dell’esperienza della Tv dei
Ragazzi (un modello ben preciso con orari prestabiliti, senza Pubblicità, con un pensiero pedagogico sopra,
quindi si pensava a un Educazione che formasse il Telespettatore giovane).
Cosa succede dopo? Cominciano a essere introdotti nuovi modelli di Trasmissioni per giovani negli stessi
orari. Dopo il 1975, si cominciano a intravedere quelle nuove Trasmissioni che resteranno nella Cultura
nazionale dei ragazzi.
Nel 1977, Furia diventa una delle serie TV più viste (quasi il simbolo della Neotelevisione): segna l’arrivo del
racconto americano  Il modello di vita si apre ai riferimenti statunitensi.
Arrivano Trasmissioni come Happy Days: la favola americana di ragazzi che si ritrovano ad Harnold, il loro
bar, e su questa esperienza di incontro si sviluppano tutte le vicende. Happy Days educa i ragazzi di quella
generazione, gli dà dei modelli diversi da quelli della Paleotelevisione.
Dagli Staiti Uniti provengono anche dei Cartoni Animati: Braccio di Ferro, Yoghi.
97
Arrivano Trasmissioni italiane: Disco Ring, un Programma musicale prodotto da Gianni Boncompagni: si
parla di musica Rock, gli LP venduti in Italia e di cui si riporta il grado di gradimento. Sarà una delle
Trasmissioni più ascoltate.
Queste Trasmissioni sono il simbolo di un’Italia che sta cambiando, che si sta aprendo all’Intrattenimento.
LA TV ALLARGA IL PROPRIO BACINO DI RIFERIMENTO, E GUARDA A NUOVI MODELLI (non più quelli
dell’Italia rurale). Comincia a costruirsi l’immagine dell’Edonismo degli anni Ottanta.
Programmi della PALEOTELEVISIONE: modelli dell’Educazione, dell’eccessivo Controllo/Rigidità, della
Censura di alcuni elementi.
Programmi della NEOTELEVISIONE: si esalta il Piacere, la Trasgressione e il saper vivere la vita in maniera
soddisfacente  Modelli all’opposto da quelli di prima.
Anche questi nuovi messaggi sono educativi: ci dicono che la vita va vissuta in un altro modo e fanno da
sponda a messaggi pubblicitari diversi. La Simbologia della Pubblicità diviene importante.
Gli anni Cinquanta e Sessanta hanno dei propri status symbol: il frigorifero, la macchina, la TV; gli anni
Settanta e Ottana hanno altri simboli: tra questi la Vespa della Piaggio, lo strumento che rende possibile la
trasgressione per i ragazzi  Fino ad allora l’elemento del motorino era l’elemento dell’operaio che andava
a lavorare. Negli anni Ottanta, invece la Vespa è rivolta come elemento di Consumo ai ragazzi.
Queste Pubblicità costruiscono dei modelli diversi da quegli degli anni Sessanta.
Vi sono anche Trasmissioni indirizzate alle giovani generazioni: la più nota è Bim bum Bam condotta da
Paolo Bonolis su Italia 1. Licia Colò è stata un’altra Conduttrice.
VIDEO  Bim Bum Bam con Paolo Bonolis e Uan – 1985
Questa Trasmissione va in onda su un Canale privato e ha un enorme successo.
Il Pupazzo si chiama Uan, perché è il Pupazzo di Italia 1. Esso è ispirato ai Muppets.
Nel 1985, esso si basa su nuovo Format americano e giapponese, perché inserisce accanto a chi deve
condurre la Trasmissione dei Pupazzi come i Muppets.
In più propongono i nuovi Cartoni Animati giapponesi.
Si fa una scommessa eccezionale: portare in Italia, in lingua italiana, produzioni che erano in Giappone ed
esse hanno molto successo.
In quegli anni si parla di Generazione Bim bum Bam: chi aveva tra i 6 e i 12 anni, accendeva la TV il
pomeriggio su Bim Bum Bam. I Cartoni Animati di cui parlavano a Scuola erano in onda tramite un accordo
commerciale che Italia 1 – Fininvest aveva fatto e su cui costruiva anche un impero di Gadget: si vendeva la
sigla cantata da Cristina d’Avena.
N.B. Questo processo legato a un riferimento all’infanzia aveva dentro la Pubblicità.
A un certo punto la Trasmissione si interrompeva e il Pupazzo e il Conduttore facevano Pubblicità per un
prodotto, all’interno della Trasmissione stessa per bambini  La Pubblicità diventa rivolta anche ai
bambini: questo è un elemento importante per la Formazione di quegli anni: I BAMBINI VENGONO VISTI E
COSTRUITI NEGLI ANNI OTTANTA COME CONSUMATORI.
Anche la RAI cominciava a fare la rincorsa a questo tipo di Progetto, di Racconto rivolto ai bambini.
La Tv dei Ragazzi finisce per inserire al suo interno la Pubblicità, fatta dagli stessi personaggi che piacevano
a bambini: così quel messaggio pubblicitario acquistava notevole forza.
I bambini sono Consumatori importanti perché quando vedono qualcosa che devono comprare assillano i
genitori per averli. Cioè sono loro stessi produttori di Consumo perché richiedono di avere certe cose: c’è
una modalità di insistenza che influenza il mondo degli adulti, che va poi a comprare quelle cose che sono
degli status symbol che riguardano i bambini.
Siamo in un contesto della TV pubblica: a quell’altezza temporale, in Italia non c’è nulla che tuteli il modo in
cui deve passare il messaggio televisivo rivolto ai bambini: si può mettere dentro un po’ di tutto, compresa
la Pubblicità.
VIDEO  Big, con Carlo Conti (1993)
Questo Format dei bambini ha richiamato figure importanti, i due Conduttori di punta di RAI e di Mediaset.
98
Se Bonolis e Conti diventano poi due dei maggiori protagonisti nella conduzione, significa che sicuramente,
a livello di Formazione, quella cosa ha avuto qualche effetto.
Ciò ci dice anche che, a livello di costruzione di Palinsesti per bambini, sebbene loro fossero agli inizi, le
Capacità comunicative di alto livello per emergere ce l’avevano già.
A un certo punto, arriva una Trasmissione negli anni Novanta, che ha molto successo tra gli adolescenti:
Non è la Rai, la quale va in onda sulle Reti Fininvest. A dirigerla c’è Gianni Boncompagni: uomo eccentrico.
Da questa Trasmissione proviene un’importante Attrice, Ambra Angiolini: ci sono grandi polemiche intorno
alla sua figura, che si ritiene venisse pilotata da Boncompagni attraverso un auricolare.
VIDEO  Non è la RAI – Sigla 1991
Vediamo che i Modelli sono totalmente stravolti, c’è l’intenzione di minimizzare il modello RAI.
Boncompagni prende il modello della RAI; ma il modello RAI degli anni Novanta non è quello a cui si
riferisce lui. Egli parla della RAI come se fosse una cosa monumentale molto legata alla Morale.
Che messaggio dà la Sigla?  Ci sono solo ragazze belle, messe in vetrina, come oggetti messi in mostra, le
quali si trovano in un contesto da villaggio vacanze e lo Spettatore deve solo osservarle.
Rispetto a un elemento di immagine che vuol dire che: «Qui non c’è la Morale che c’è da altre parti, ma si
può fare quello che ci piace fare. Quindi, se siamo belle ci facciamo pure guardare».
LIBRO (PAG. 100)  Boncompagni parla, dicendo che Non è la Rai viene accusata di essere una
Trasmissione senza contenuti. Egli vuole dare un messaggio opposto a quello della TV impegnata. Lui dice di
voler fare la TV disimpegnata, che non vuole insegnare nulla a nessuno.
Egli interviene perché il Programma viene criticato. C’è una Puntata particolare che ha fatto discutere: una
volta di presentarono tutte vestite da sposa. Questo perché erano insorte delle Associazioni femministe che
criticavano il fatto che il Programma usava il modello della donna oggetto. La risposta dell’Autore non fu
scusarsi, anzi mandò in scena le ragazze vestite da sposa, insistendo sul cliché che per le donne c’è la
possibilità di scegliere di essere oggetto e anche di scegliere di essere solo nel vecchio modello che le
ritraeva dentro il modello della sposa.
Dal punto di vista mediatico, quella Trasmissione ha funzionato in modo eccezionale e ha prodotto una
serie di consumi enormi, perché chi guardava la Trasmissione comprava i CD, in Rotocalchi dove
comparivano le ragazze.
N.B. Si stava creando un Modello significativo per gli anni Ottanta-Novanta, ed esso era l’opposto di quello
che c’era stato nella Paleotelevisione.
Boncompagni voleva fuggire da ogni canone della TV pedagogica, dalla Morale, e dalla banalità di non
essere mai sopra le righe.
In TV, il dato del successo è dato dal Pubblico e quella trasmissione era seguita. Questo significa che da un
lato influenzava il pubblico e dall’altro il Pubblico già si riconosceva in quel tipo di modello.
Non è la Rai viene da una Canzone che ha tutt’altra origine se non quella del riferimento alla RAI.
Comunque, Non è la Rai voleva dire: «Fuori dalla Morale, fuori dal Controllo, fuori dall’essere grigi, ci si può
divertire anche senza avere obiettivi pedagogici alti e senza avere qualche messaggio morale da dover
diffondere».
Vi sono anche altre Trasmissioni che rispondono ai modelli transitati precedentemente.
Ribaltare i riferimenti della TV, significa anche ribaltarli in senso utile e riflessivo.
La TV DELLE RAGAZZE è un Esperimento di nicchia della fine degli anni Ottanta (1988), trasmesso su Rai 3.
Dietro vi sono Serena Dandini, Valentina Amurri e Linda Brunetta; esso cerca di fare una denuncia in
maniera sottile e intelligente. Producono un intero Palinsesto televisivo costruito da ragazze, dove l’unica
presenza maschile è il Valletto.
Facendo questo tipo di TV, si vuole dire che ovviamente il modello di Non è la Rai fa riflettere e trovare
molte critiche, però attenzione, perché non è che la TV tradizionale degli anni Sessanta-Settanta fosse
esente da mancanze.

99
Questo tipo di TV vuole dire che quel mondo della Televisione e non solo – dato che la TV riproduce in
maniera reale la vita, la società – è un mondo tutto al maschile, dove i ruoli centrali sono tutti di maschi.
Questo ci ricorda che gli anni di passaggio Ottanta-Novanta, sono anche la destrutturazione completa dei
modelli (Non è la Rai travalica il senso della Morale), ma c’è anche la critica utile che è quella di un mondo
che ha dei valori che sono ancora fortemente legati al MASCHILISMO, che non dà le stesse opportunità alle
ragazze e ai ragazzi.
Come figura significativa di uomo mettono il Valletto perché sarebbe l’unico ruolo che una ragazza, nel
mondo normale della TV, potrebbe avere; e loro ribaltano questa concezione.
VIDEO  Maddecheaò – Corrado Guzzanti “Lorenzo”, Interrogazione selvaggia
Vi è una scelta precisa dei Canali Rai di non implementare YouTube, ma di implementare soltanto RaiPlay.
Il Programma MADDECHEAÒ, fatto di gag, andava in onda prima del Telegiornale, per pochi minuti.
Il personaggio principale si chiama Lorenzo, ed è interpretato da Corrado Guzzanti. Viene rappresentato il
cliché dello studente che deve affrontare l’esame di Maturità.
All’interno dello Studio, tra il Pubblico, vi erano gli studenti stessi che dovevano affrontare la Maturità.
Con il lancio di questa Trasmissione di nicchia, il messaggio che si vuole lanciare è: «Se ce la fa Lorenzo a
dare l’esame di Maturità, ce la possiamo fare tutti».
È un tentativo di portare nel mondo reale il tema dell’Istruzione, anche rispetto a un passaggio così caricato
di Simbolismo come è la Maturità.
Viene messo in scena tutto quello che non poteva essere in scena negli anni Sessanta e Settanta: lo
studente caricaturale ma reale, che parla con lo slang romanesco, che della Scuola gli interessa poco.
Dietro c’è il mettere dentro al mondo della Televisione qualcosa che come Non è la Rai, si sposta dalla
Morale collettiva condivisa, ma lo fa per dare un messaggio di altro tipo: non è quello del: «Non ti voglio
insegnare nulla», ma è quello del: «Ti voglio dire che quello che prima era caricato da un Simbolismo, da un
modo rapportarsi al mondo dell’Istruzione valutato quasi come sacro/dogmatico, oggi è vissuto in un altro
modo e ti mostro quella che è la realtà di oggi, per dirti che non è che andasse tutto bene nella
Comunicazione di prima».
Il Programma dice cose e dà messaggi diversi sulle generazioni di quel periodo rispetto a Non è la Rai.
Ciò che il percorso del Libro mostra non è che, arrivando agli anni Ottanta-Novanta-Duemila, tutto decade e
peggiora; quello che si vede è una Televisione che comincia a rinchiudersi verso il Divertimento, verso
quello che interessa al singolo ma non alla collettività, il singolo che sceglie il proprio Programma 
DIVENTA UN MONDO LEGATO TUTTO ALLA SCELTA E AL GUSTO INDIVIDUALE.
N.B. In quegli anni vengono fuori dei messaggi, tra cui la decostruzione di un certo tipo di Moralismo che a
volte è troppo pesante e di un certo tipo di immagine un po’ condivisa, ma un po’ stereotipata di certi ruoli,
di certi passaggi, di certi argomenti  Questi hanno conosciuto una decostruzione anche grazie alla TV.
Non è che quello che viviamo oggi è tutto negativo e da criticare.
Vi è un’altra Trasmissione di nicchia che fa epoca in quel momento e che è proseguita a lungo: essa si
intitola PER UN PUGNO DI LIBRI. Essa va in onda dal 1998 e ancora oggi su Rai 3, viene condotta dagli Attori
Neri Marcorè e Veronica Pivetti e tratta di Libri.
La struttura del Programma è quella di far parlare le Scuole di Libri (partecipano le Classi con il proprio
Professore), attivando per loro una specie di gara, in cui i premi sono i Libri.
Si riprende un tipo di tradizione che era nata nella Tv dei Ragazzi tradizionale: il tentativo di portare le
Scuole dentro la Televisione, ma proponendo loro una sorta di gara culturale.
Le due Classi che arrivavano da un luogo d’Italia si confrontavano sulla conoscenza di alcuni Libri, in
particolare di un testo: gli viene detto quale testo leggere, ci sono giochi di vario tipo che riguardano il
contenuto di quel testo e il punteggio varia a seconda delle risposte giuste che vengono date.
Arrivando alla fine si vincono Libri per la propria Scuola.
Questa Trasmissione produce interessanti elementi di CONFRONTO CULTURALE.

100
Il fatto che la Trasmissione vada ancora in onda, significa quel messaggio che solo l’Intrattenimento meno
legato alla Cultura paga, non è sempre vero.
Questa è un’esperienza in cui non si cerca di nascondere la Cultura dietro a qualcos’altro  Si prende
un’immagine, quella del Libro scolastico o letterario che è evidentemente legato alla Cultura letteraria, lo si
sceglie come centro del Programma, e quel centro funziona così tanto che non solo le Classi partecipano,
ma dall’altra parte vi sono Telespettatori che lo guardano.
Questo ci dà il segno di elementi positivi del processo della TV, nonostante non facesse grandi ascolti come
Non è la Rai.
Siamo ancora dentro i RACCONTI  Prima erano Racconti di Memoria, questi sono i Racconti collettivi di
adesso, dagli anni Cinquanta in poi.
{Se usciamo dal corso capendo che questi Racconti cambiano l’evolversi della Cultura, del momento storico,
ecc. questo serve come punto di vista utile per affrontare il mestiere che faremo se avrà a che fare con la
Comunicazione}.
LA COMUNICAZIONE CAMBIA RISPETTO AL CONTESTO CULTURALE, RISPETTO ALLA MEMORIA COLLETTIVA,
RISPETTO AI PROCESSI DI DECOSTRUZIONE DEL PASSATO E DI COSTRUZIONE DI COSE INNOVATIVE NEL
PRESENTE.
L’ideale sarebbe far funzionare qualcosa che abbia dei contenuti dentro, e che risulti interessante.
Invece spesso ci troviamo a veder funzionare cose i cui contenuti o sono assenti o sono problematici.
Vi è un’altra esperienza degli anni Novanta-Duemila che riguarda le Trasmissioni per l’Infanzia.
Su questo, l’Italia e soprattutto la RAI, rappresenta un punto nodale di interesse, perché negli ultimi due
decenni del XX secolo, la RAI comincia a produrre Trasmissioni per bambini anche piccoli, che nascono in
collaborazione con le Università, che occupano di Educazione e di Pedagogia ed esse ottengono
grandissimo successo. Un esempio è L’ALBERO AZZURRO.
Che differenza c’è tra le Trasmissioni della RAI e quelle proposte su altri Canali?  Quelle Trasmissioni
hanno un’unica particolarità: non solo sono pensate da chi fa Comunicazione, ma sono messe in piedi nel
rapporto con gli esperti di Pedagogia infantile.
Esse funzionano perché da un lato ci lavorano grandi esperti di Comunicazione e dall’altro ci lavorano anche
le Università.
Nel caso de L’Albero Azzurro, ci ha lavorato l’Università di Bologna, con il suo Dipartimento di Scienze
dell’Educazione, che hanno mediato, controllato, verificato e modificato insieme ai Presentatori il tipo di
messaggio che veniva fatto circolare e il tipo di approccio che veniva usato in quelle Trasmissioni.
L’esperienza della TV educativa da bambini ha in Italia e nell’esperienza della RAI, per alcune Trasmissioni
particolari, un esempio assolutamente unico.
L’ultima parte del Libro di sofferma sul tema della PANDEMIA  Il tema riguarda come la Comunicazione
televisiva è stata usata dal 2020 al 2021.
La RAI a un certo punto viene chiamata in causa, e gli viene chiesto di fare la sua parte nella produzione di
Programmi che siano di Formazione per adolescenti e bambini che sono a casa nel lockdown.
La RAI propone un Palinsesto che va in onda in gran parte sui Canali tematici.
C’è un momento in cui i Canali RAI che vanno via Etere affrontano il passaggio sul Digitale e cambiano i loro
modelli di riferimento e di costruzione dei Palinsesti.
Più si costruiscono Canali specifici per certe età, e Canali tematici per certi argomenti, più si permette al
Telespettatore di scegliere ciò che lui sta cercando in quel momento: diventa una SCELTA PERSONALE.
La costruzione dei Palinsesti cambia totalmente, perché le Emittenti non devono più giocarsela su dei Canali
generalisti che inseriscano al loro interno un po’ di tutto. Dagli anni Duemila in poi, si ha una costruzione di
Palinsesti per TV Specialistiche, dove ciascuno a seconda del tema che gli interessa va a cercarsi la sua
Trasmissione.

101
Anche nel campo educativo nascono una serie di Canali rivolti all’Istruzione ed Educazione e sono quei
Canali che vengono interessati dalla Programmazione nel periodo del lockdown.
Che effetto hanno queste Trasmissioni? Esse, dal punto di vista della Comunicazione funzionano, perché
sono seguite.
Il fatto che le Trasmissioni durante il Covid sono state seguite, non ci dicono nulla di più del fatto che hanno
ottenuto successo dal punto di vista comunicativo.
La domanda è  Dal punto di vista formativo, educativo, quella specie di DAD individuata e fatta in
Televisione, ha cambiato modalità di Comunicazione rispetto a quella che viene presentata a Scuola?
Noi parliamo di DAD, la DAD e le Trasmissioni di Informazione e Formazione che stiamo affrontando vanno
sul modello della Lezione frontale.
QUELL’ESPERIENZA CHE ABBIAMO AFFRONTATO TRA IL 2020 E IL 2021, CON LE TRASMISSIONI IN TV CHE
FANNO FORMAZIONE E INFORMAZIONE, HANNO COSTRUITO UN MODELLO NUOVO CHE PUÒ RINNOVARE
LA SCUOLA OPPURE NO?
Siamo sicuri che si è colta l’occasione, oppure nella gran parte die casi si sta riproponendo a distanza la
modalità di insegnamento che è quella frontale?
La Scuola che abbiamo lasciato prima del lockdown era perfetta dal punto di vista della Comunicazione e
dell’Inclusione? Non molto.
Quindi l’occasione interessante della DAD integrata è questo: se si riesce a costruire un modello differente
di Comunicazione che possa insegnare un nuovo modo alla Scuola. Altrimenti si sta semplicemente
mettendo in scena sulla TV la stessa Didattica che si faceva in Classe in presenza.

102

Potrebbero piacerti anche