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Neodrammatico Antonio

Neodrammatico digitale
«Mimesis Journal» non è soltan- Le opere drammatiche ci hanno emo-
to il titolo di una rivista, è anche il digitale. Pizzo zionato per secoli con una miriade di
nome di un progetto che riunisce Scena storie e personaggi. Il loro modo spe-
autori di diversi paesi e generazioni multimediale ciale di tessere i racconti, anche al di
interessati all’oggi del teatro e delle e racconto là della verosimiglianza, usando ogni
arti sceniche – ovvero un plesso che intreccio possibile di parole e azioni,
comprende tutto il xx secolo, oltre interattivo ragioni e sentimenti, per indurci a pen-
alle ricerche e alle teoresi più avanza- sare che sempre fossero anche un po’
te del presente – in una prospettiva i nostri, è ancora attuale e si espande
multidisciplinare, interdisciplinare e ben al di fuori dei confini del teatro.
transdisciplinare, dunque non esclu- Perlustrando questi confini, il volume
sivamente storiografica ma piuttosto propone una ricognizione sul tema
fenomenologica. della drammaturgia alla luce dell’evo-
Questo è il terzo volume della colla- luzione dei linguaggi informatici e
na, altri ne sono in preparazione, su delle tecnologie digitali negli ultimi
Carmelo Bene e su Martin Buber. tre decenni. In particolare, il saggio

aA
analizza alcune nozioni chiave della
scrittura drammatica e guida il lettore
in un percorso tra la scrittura scenica
multimediale e la drammaturgia delle
aA aAaAaAaAaAaAaAaA ccademia procedure algoritmiche. La dramma- aA
university turgia, intesa come arte di progettare
aAccademia University Press press e scrivere lo spettacolo, non è immune
dai cambiamenti causati nel mondo
della comunicazione dall’affermazio-
ne dei nuovi media digitali e interattivi.
Il saggio individua i punti fondamenta-
li di questa contaminazione, accompa-
gnando gli elementi teorici con moltis-
simi esempi pratici.

Antonio Pizzo
ISBN 978-88-97523-37-6

€ 18,00 9 788897 523376


Mimesis Journal Books
collana di «Mimesis Journal»
Rivista semestrale di studi sulla vita e le forme del tea­tro

comitato scientifico
Antonio Attisani Università degli Studi di Torino
Florinda Cambria Università degli Studi di Milano
Lorenzo Mango Università degli Studi L’Orientale di Napoli
Tatiana Motta Lima Universidade Federal do Estado do Rio de Janeiro
Franco Perrelli Università degli Studi di Torino
Antonio Pizzo Università degli Studi di Torino
Kris Salata Florida State University
Carlo Sini Università degli Studi di Milano
Éric Vautrin Université de Caën
Mimesis Journal Books
1. Jerzy Grotowski. L’eredità vivente
a cura di Antonio Attisani
pp. 224 isbn 978-88-97523-29-1
ebook www.aAccademia.it/grotowski

2. Logiche della performance.


Dalla singolarità francescana alla nuova mimesi
di Antonio Attisani
pp. 160 isbn 978-88-97523-27-7
ebook www.aAccademia.it/performance

3. Neodrammatico digitale.
Scena multimediale e racconto interattivo
di Antonio Pizzo
pp. 240 isbn 978-88-97523-37-6
ebook www.aAccademia.it/neodrammatico
Neodrammatico Antonio
digitale. Pizzo
Scena
multimediale
e racconto
interattivo
Neodrammatico
digitale
Antonio Pizzo

© 2013
aAccademia University Press
via Carlo Alberto 55
I-10123 Torino

Pubblicazione resa disponibile


nei termini della licenza Creative Commons
Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 3.0

Possono applicarsi condizioni ulteriori contattando


info@aAccademia.it

prima edizione giugno 2013


isbn 978-88-97523-38-3
ebook www.aAccademia.it/neodrammatico

book design boffetta.com


Indice Introduzione VII
Ringraziamenti XII

1. La drammaturgia multimediale
1. Dramma e drammaturgia 3
2. La drammaturgia tra testo e scena 6
3. La scrittura scenica 10
4. La scena multimediale 14
5. L’opera (neo)drammatica 22
6. Il racconto scenico e la performance tecnologica 33

2. Narratività digitale
1. Le ipotesi di Brenda Laurel per una poe­tica del computer 43
2. Il futuro della narrativa secondo Janet Murray 46
3. La critica di Espen Aarseth alle nozioni di narrativa e ­interattività 51
4. Le metamorfosi crossmediali del racconto secondo Marie-Laure Ryan 56
5. Drammatizzazione, interazione, partecipazione 59

3. Il dramma come sistema di regole


1. Il linguaggio del dramma 66
2. Azioni 78
3. Conflitto 83 V
4. Organizzazione e segmentazione 98
5. Agenti 101
6. Arco drammatico 105
7. Emozioni 116
8. Il personaggio come agente aumentato 137

4. Interactive drama tra videogioco e teatro


1. Dramma e scrittura: un paradigma procedurale 154
2. Façade: arco drammatico 167
3. Madame Bovary: emozioni e personaggi 172
4. IDTension: obiettivi e conflitti 174
5. Carmen’s Bright Ideas e Fear-Not:
il personaggio deliberativo autonomo 177
6. Drammar: azioni e intenzioni 179

Conclusioni 188

Fonti 193
Indice dei nomi 213
Neodrammatico Introduzione
digitale
Antonio Pizzo

VII
Già nel 1999, in un articolo per «Digital Creativity», Christie
Carson riconosceva che la tecnologia digitale era saldamente
ormai incorporata nelle produzioni tea­trali ma avvertiva che
«ogni mossa tesa a ridurre la spontaneità di ciò che avviene
sulla scena e a creare una esperienza più rigida minaccia
seriamente l’integrità, ma anche il senso, dell’esperienza tea­
trale»1. Se da un lato metteva in luce le potenzialità della
tecnologia come nuovo linguaggio della performance, oltre
che come supporto alla scena tradizionale, dall’altro lascia-
va emergere un timore verso la medializzazione dell’evento
scenico: la preoccupazione che l’ingresso dei media digitali
potesse erodere una supposta verità del qui e ora. In poco più
di un decennio, la pratica ha dimostrato che i media possono
partecipare all’evento senza cannibalizzare la sua natura dal
vivo, anzi arricchendo la scena e la drammaturgia dei codici
propri dell’esperienza contemporanea. Lehmann, influente

1. Carson, Christie, Theatre and technology: battling with the box, in «Digital Creativ-
ity», Routledge, vol. 10, n. 3, 199, pp. 129-134: 131. Tutte le volte che citiamo da un
testo in lingua originale di cui non indichiamo l’edizione in italiano, la traduzione
si intende nostra.
Neodrammatico teorico del tea­tro contemporaneo, sostiene che «il futuro del
digitale tea­tro non è nell’opera digitale o nelle performance virtua-
Antonio Pizzo
li, ma nel gioco fra corpo e media» e che proprio nell’era
mediatica la dialettica tra presenza e assenza del corpo del
performer assume tratti nuovi e inaspettati2. Crediamo che
gli abbonati alle stagioni dei tea­tri siano ormai abituati a in-
contrare, in cartellone, spettacoli di prosa o danza (o intere
rassegne) in cui la cifra stilistica più evidente sia l’utilizzo
di videoproiezioni, grafiche digitali, webcam, computer. Gli
ultimi tre decenni hanno reso consueto l’utilizzo di tecno-
logie elettroniche e digitali nel tea­tro. Andrea Balzola così
sintetizza le tappe di questa evoluzione:
Negli anni Ottanta le porte della scena e del tea­tro si
aprivano alle nuove tecnologie e in particolare all’uso del
video […] I gruppi degli anni Novanta, nati con il video e
con il computer già nel loro dna, hanno proseguito questo
percorso con un taglio molto diverso. Il loro rapporto con
le nuove tecnologie era ormai scontato, familiare, estrema-
mente disinvolto, per cui la scena non doveva sperimentare
qualcosa di estraneo, ma aveva già in sé la possibilità di essere
VIII uno spazio multimediale. Poi anche nei tea­tri istituzionali
e nell’opera lirica ha fatto ingresso l’uso del video, ma in
chiave prevalentemente scenografica.3

A volte si tratta, come rileva Balzola, di un uso scenografi-


co d’arredo, e il fascino è direttamente proporzionale alla
complessità dell’apparato scenico/visivo, delle soluzioni tec-
niche e dei software utilizzati. Tuttavia nessuno degli spetta-
tori avrebbe dubbi riguardo alla natura tea­trale di quanto gli
viene offerto. Proprio questa sorta di consuetudine ci spinge
a credere che, dall’affermarsi del video tea­tro analizzato da
Valentina Valentini, alla contaminazione tra scena e immagi-
ne segnalata da Béatrice Picon-Vallin, alla «scena mutante»
descritta da Andrea Balzola, fino alla performance digitale
interattiva di Marcel·lì Antúnez Roca, si sia definito un ambi-
to sufficientemente ampio per tentare di individuare teorie
e tecniche specifiche e differenti al suo interno4.

2. Hans-Thies Lehmann, La presenza del tea­tro, in «Culture tea­trali», numero mo-


nografico On Presence, a cura di Enrico Pitozzi, n. 21, 2011, p. 19.
3. Andrea Balzola, Una drammaturgia multimediale, Roma, Editoria e Spettacolo,
2009, p. 9.
4. Cfr. Valentina Valentini, Tea­tro in immagine, Roma, Bulzoni, 1987; Andrea Bal-
Introduzione David Saltz, nella sua preliminare riflessione sui cosiddetti
“live media” a tea­tro, già stilava un lungo elenco di modi in
cui la tecnologia digitale s’inscriveva nella pratica tea­trale più
tradizionale: scena virtuale, costumi interattivi, prospettive
alternate, prospettive soggettive, illustrazione, commento,
media diegetici, effetto emozionale, sinestesia, strumenti so-
nori, pupazzi virtuali, media drammatici5. Ciò che ci interessa
notare, in questa del resto disomogenea lista, è l’esistenza
di una generica separazione tra un utilizzo illustrativo di al-
lestimento scenico e uno inerente alla costruzione e strut-
turazione del senso drammatico. Ma ancor di più notiamo
l’accento che lo stesso autore pone sul «rendere il medium
drammaturgicamente significativo – in altre parole, utilizza-
re i media solo nella misura in cui intensificano il significa-
to del testo drammatico»6. In questo capitolo tenteremo di
tracciare i confini dell’ambito tea­trale al quale ricondurre,
almeno secondo un’accezione diffusa, la vasta spettacolarità
tecnologica e digitale degli ultimi anni: ed è a tale scopo che
utilizziamo la definizione “drammaturgia multimediale”, ri-
prendendo una intuizione di Andrea Balzola, da anni attivo
come autore, ricercatore e insegnante su questo tema7. IX
La definizione è efficace nell’indicare un ambito artistico
di matrice tea­trale che si contamina con le arti multimediali
fin dalla fase di scrittura/creazione. Però, così spiegata, la
dicitura esprime una troppo vasta e disorganica area di pro-
duzione artistica delle arti performative digitali e/o interat-
tive. Se sfogliamo per esempio il voluminoso saggio di Steve
Dixon sulla digital performance, o le pagine della rivista web
“Atea­tro” diretta da Oliviero Ponte di Pino, o se consultiamo
il Digital Performance Archive presso l’Art and Humanities
Data Center (UK), ci rendiamo conto che esiste un enorme

zola, Franco Prono, La nuova scena elettronica. Il video e la ricerca tea­trale in Italia,
Torino, Rosenberg & Sellier, 1994; Béatrice Picon-Vallin (a cura di), La scène et les
images, Paris, Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS), 2001; Tatiana
Mazali, Federica Mazzocchi, Antonio Pizzo (a cura di), Marcel·lì Antúnez Roca e la
performatività digitale, Acireale, Bonanno, 2011.
5. David Saltz, Live Media: Interactive Technology and Theatre, in «Theatre Topics»,
vol. 11, n. 2, The Johns Hopkins University Press, 2001, pp. 124-126.
6. Ivi, p. 110.
7. Questa definizione risale a poco più di un decennio addietro secondo Anna
Maria Monteverdi, La creazione di una nuova (bio) drammaturgia, in A. Balzola, Una
drammaturgia multimediale cit., p. 28.
Neodrammatico numero di opere, dalle ultime creazioni di Merce Cunning-
digitale ham alle performance di Stelarc, dalle messe in scena del
Antonio Pizzo
Wooster Group a quelle di Robert Wilson, che potrebbero
essere ben accomodate in questa definizione ma certo appa-
rirebbero troppo semplicemente apparentate8.
Nelle pagine che seguiranno, non è nostra intenzione
creare un elenco specifico o procedere all’individuazione di
casi esemplari nell’analisi dello spettacolo. Tenteremo inve-
ce di sottolineare sia come la componente algoritmica dello
spettacolo digitale influenzi la metodologia di costruzione
drammatica, sia come le tecniche del dramma possano con-
tribuire alla fondazione di un nuovo intrattenimento digita-
le interattivo. Si tratta di un percorso di matrice teorica in
cui ci soffermeremo su concetti come scrittura scenica, perfor-
mance tecnologica, racconto multimediale così come sono emersi
nelle teorie sul tea­tro contemporaneo. Pertanto, ogni volta
che ci riferiremo a opere o eventi specifici, lo faremo solo
perché, nella nostra esperienza, sono d’aiuto alla compren-
sione di una idea o di un metodo che intendiamo isolare.
Nella prima parte cerceremo di disegnare i contorni della
X drammaturgia multimediale in una prospettiva linguistica e
metodologica, più che storica. Sarebbe, del resto, una storia
difficile da tracciare, sia per la difficoltà nell’isolare la nascita
di una “estetica del multimedia”, sia perché la nozione di
multimedia appare strettamente intrecciata con le pratiche
e/o le teorie del tea­tro9. Si tratta di una situazione complessa
e sfaccettata nella quale, come ricorda Andrea Balzola, le
forme di scrittura scenica che utilizzano media tecnologici
sono storicamente comprovate a partire dalle avanguardie
storiche. Sembra però che, nell’ampio alveo della dramma-
turgia contemporanea, esista uno specifico filone multime-
diale inteso come «scrittura di una partitura ipertestuale per

8. Cfr. Steve Dixon, Digital Performance, Cambridge - London, MIT Press, 2007. Il
Digital Performance Archive è un archivio di video e altri materiali documentali
sulla performance digitale nato dalla collaborazione tra la Digital Research Unit
del dipartimento di Visual and Performing Arts alla Nottingham Trent University,
la Media and Performance Research Unit, nella School of Media, Music and Per-
formance della University of Salford. «Atea­tro» è una rivista on line a cura di Oli-
viero Ponte di Pino, che ha sempre accordato una forte attenzione alla sperimen-
tazione tecnologica, anche grazie alla collaborazione di Anna Maria Monteverdi.
9. Cfr. Randall Packer, Ken Jordan (a cura di), Multimedia: from Wagner to Virtual
Reality, New York, Norton & Company, 2001.
Introduzione uno spettacolo che utilizza le nuove tecnologie audiovisive,
digitali e interattive»10. La questione che affronteremo è se
in questo tipo di scrittura è possibile individuare un metodo
drammatico o, meglio, la sopravvivenza di strutture di com-
posizione e comunicazione del senso debitrici alla tradizione
di saperi e tecniche sintetizzata nel termine drammaturgia.
In questo senso, è bene ripeterlo, non intendiamo tracciare
una lista di capostipiti, esempi, variazioni della drammaturgia
multimediale, e nemmeno associarla a specifici modelli di
scrittura tea­trale contemporanea; non intendiamo definire
un genere (come per esempio è stato fatto nel caso del “tea­
tro civile”), né assimilare la drammaturgia multimediale a un
genere specifico di spettacolo. Quando, nel primo capitolo,
discuteremo di drammaturgia multimediale, lo faremo per
individuare alcune caratteristiche che rendano la semantica
più specifica e che la differenzino da altre ipotesi circa la
scrittura per il tea­tro. Discutere di drammaturgia per quanto
riguarda il secolo appena passato è un’impresa ardua alla
quale ci accingiamo nella consapevolezza di non poter es-
sere esaustivi. Ci limitiamo piuttosto a condurre un’analisi
del dibattito esistente; non avremo altra pretesa che di se- XI
gnalare l’esistenza di una pratica tea­trale nella quale riaffo-
ra la tendenza alla rappresentazione drammatica, e spesso
al racconto di una storia, ma con una tecnica di scrittura
specifica per l’universo multimediale. Nel secondo capitolo
allarghiamo lo sguardo ad alcune questioni di ordine gene-
rale che riguardano il modo in cui si costruisce la narrazione
in ambito digitale, e che esulano dallo specifico tea­trale. A
questo scopo ricorriamo ad alcuni saggi che hanno avuto
ampia eco e dei quali rendiamo conto. Questi ci permettono
di introdurre alcuni punti nodali del discorso quali la cros-
smedialità, l’interattività, e la partecipazione del pubblico.
In più daremo conto di come i processi produttivi dell’opera
siano soggetti a una profonda riflessione alla luce dell’arte
digitale. Da questo punto ci muoveremo verso il terzo capito-
lo, in cui elenchiamo alcuni tratti caratteristici della tecnica
drammatica secondo una prospettiva che tiene in conto an-
che la natura storica degli stessi. Chiuderemo il saggio con

10. Andrea Balzola, Verso una drammaturgia multimediale, in Le arti multimediali di-
gitali, a cura di Andrea Balzola e Anna Maria Monteverdi, Milano, Garzanti, 2004,
p. 302.
Neodrammatico la discussione di alcuni esempi di dramma interattivo in cui
digitale emerge in modo chiaro l’utilizzo di questi tratti caratteristici
Antonio Pizzo
della tecnica drammatica. Partendo dai videogiochi e dall’in-
teractive cinema, ci soffermeremo su una serie di esperimenti
variamente accomunati al virtual sorytelling e che riteniamo
rappresentativi dei modi in cui la scienza informatica e gli
studi di intelligenza artificiale abbiamo assunto riferimenti
culturali propri della tradizione drammatica.

XII

Ringraziamenti
Rossana Damiano e Vincenzo Lombardo, e gli altri colleghi del
CIRMA di Torino hanno condiviso ed elaborato con me alcuni temi
che tratto in questo volume. Antonio Attisani e Federica Mazzocchi
hanno letto la prima stesura e hanno generosamente contribui-
to alla revisione discutendo con me i contenuti e la metodologia.
Claudio Vicentini mi ha aiutato, con le sue considerazioni, a for-
mulare alcune ipotesi presenti nel saggio. Gli studenti del corso di
Drammaturgia procedurale del Dams di Torino hanno rappresen-
tato uno stimolo per il confronto e la discussione.
A tutti vanno i miei sinceri ringraziamenti.
Neodrammatico
digitale
Neodrammatico 1. La drammaturgia multimediale*
digitale
Antonio Pizzo

1. Dramma e drammaturgia 3
Cathy Turner e Synne K. Behrndt, in un saggio dedicato ai
compiti professionali del drammaturgo (specialmente nell’Eu-
ropa del Nord, in area germanica e anglosassone), iniziano
proprio interrogandosi sul significato del termine drammatur-
gia. In una introduzione di taglio storico ribadiscono la fluidità
del termine, ma soprattutto lo considerano non come un dato
enunciato bensì come «qualcosa che deve essere cercato»1; e
quindi, del termine, mettono in luce la natura di processo ana-
litico, di metodologia. Allo stesso modo, Balzola sostiene che
il termine drammaturgia ha assunto nell’arco del Novecento
una molteplicità di significati che ne hanno fatto una defini-
zione aperta e anche piuttosto ambigua, una sorta di campo
semantico che raccoglie diverse concezioni del tea­tro e che
ne riflette l’evoluzione.2

* Questo capitolo rielabora e amplia argomenti che l’autore ha trattato in un pre-


cedente contributo: Neodrammatico multimediale, in Federica Mazzocchi, Antonio
Pizzo, Alessandro Pontremoli (a cura di), Danza, media digitali, interattività, Acirea-
le-Roma, Bonanno, 2012, pp. 23-40.
1. Cathy Turner, Synne K. Behrndt, Dramaturgy and Performance, New York, Palm-
grave Macmillan, 2008, p. 18.
2. A. Balzola, Verso una drammaturgia multimediale cit., p. 300.
Neodrammatico In generale, questa ambiguità dipende dalla assenza di una
digitale estetica che organizzi il sistema delle arti e alla quale ricondur-
Antonio Pizzo
re le diverse forme di espressione artistica, o, in altre parole,
alla continua riconfigurazione dell’estetica contemporanea3.
In particolare, è il prodotto dell’assottigliamento del confine
tra il cosiddetto testo (il dramma, l’opera letteraria, la poe­
sia) e la sua rappresentazione secondo i modi della messa in
scena tea­trale. Sempre più spesso, difronte a uno spettacolo
tea­trale, il discorso sulla drammaturgia diventa complesso e
si allontana dalla matrice letteraria, a volte perché non esiste
un testo (o un unico testo) al quale ricondurre l’evento della
messa in scena, altre volte, anche quando un testo esiste, il
linguaggio della scena presenta una tale autonomia e articola-
zione da costituire una vera e propria partitura scenica che, a
sua volta, deve essere oggetto specifico di analisi drammatur-
gica e rende più sfumato o distante il rapporto con la scrittu-
ra, annullando il consueto binomio testo/rappresentazione.
Esiste un livello di “scrittura” evanescente che si frappone tra
la letteratura e la visione del pubblico (la nascita della regia
o “la seconda creazione” raccontata da Franco Perrelli), o si
4 presenta come linguaggio artistico originale e indipendente
(come sostiene Mirella Schino)4.
Gli studi tea­trali del Novecento hanno elaborato diversi
strumenti teorici per l’analisi dei testi drammatici e delle par-
titure per la scena. Esistono antologie storiche, compendi del-
le teorie generali e manuali specifici5. Non vogliamo elencare
un catalogo di questi strumenti, ma rilevare che, pur in un
quadro complesso in cui allo spettacolo tea­trale tradizionale
si affianca una molteplice varietà di eventi performativi, non

3. Di questa riconfigurazione dell’estetica e del ruolo delle tecnologie danno


conto Andrea Balzola e Paolo Rosa in L’arte fuori di sé, Milano, Feltrinelli, 2011, in
quello che, nel sottotitolo, definiscono «un manifesto per l’era post-tecnologica».
4. Cfr. Franco Perrelli, La seconda creazione. Fondamenti della regia tea­trale, Torino,
Utet, 2005; Mirella Schino, La nascita della regia tea­trale, Bari, Laterza, 2005.
5. Tra le antologie ricordiamo quelle curate da Bernard F. Dukore (Dramatic
Theory and Criticism. Greeks to Grotowski, New York, Holt Rinehart and Winston,
1974), e da George W. Brandt (Modern Theories of Drama, Oxford, Clarendon,
1998). Resta fondamentale il compendio teorico di Marvin Carlson Theories of
the Theatre: a Historical and Critical Survey from the Greeks to the Present (Ithaca NY,
Cornell University Press, 1984; ed. it. Bologna, il Mulino, 1998). Per la semiotica,
tra i contributi più noti ricordiamo Keir Elam, The Semiotics of Theatre and Drama,
London, Methuen, 1980 (ed. it. Bologna, il Mulino, 1998); qui citeremo dalla
edizione italiana.
La drammaturgia scompaiono né la nozione di dramma né quella di dramma-
multimediale turgia.
Eppure, come abbiamo detto, esiste una sorta di ambiguità
tra i due termini alla quale accenna Lorenzo Mango:
Nelle nostre abitudini culturali, infatti, l’espressione
drammaturgia è diventata quasi sinonimo di letteratura
drammatica. Ma il termine, in sé, ci dice anche altro. Nell’eti-
mo della parola ci parla, infatti, il dramatos ergon, vale a dire
il lavoro, la costruzione dell’azione. Qualcosa che indica il
regime di costruzione che sottende la dinamica performativa.
È progetto, allora, e pensiero che precedono, e determinano,
il momento dell’atto rappresentativo.6

Il termine drammaturgia, nell’accezione comune, indica il


genere letterario, ma pure la storiografia e la critica dei testi
di drammatici, o la teoria e tecnica del dramma.
Anche se appare nel suo significato più classico nella se-
conda metà del Settecento, con la pubblicazione a puntate
della Drammaturgia d’Amburgo di Lessing, a partire dal No-
vecento il termine smette di indicare solo l’arte di scrivere
drammi e opere per il tea­tro, e i discorsi sulla drammaturgia
come metodo e tecnica si svolgono in contesti che includono 5
opere tea­trali, cinematografiche e televisive7. Un dramma, un
film, o una fiction televisiva, diventano così varianti di uno
stesso metodo autoriale; in altre parole, più che sul mezzo
di comunicazione, l’attenzione si concentra sulle caratteristi-
che narratologiche che condividono e che li rendono diversi
dal testo narrativo (anche se, va ricordato, la flessibilità e il
movimento di camera del cinema sollecita similitudini con

6. Lorenzo Mango, La scrittura scenica. Un codice e le sue pratiche nel tea­tro del Nove-
cento, Roma, Bulzoni, 2003, p. 145.
7. La drammaturgia di Amburgo è apparsa in Italia nella traduzione di Paolo Chia-
rini, prima edita a Bari da Laterza nel 1956, e poi ristampata a Roma da Bulzoni
nel 1975. Per quanto riguarda i dicorsi sulla drammaturgia in relazione al cinema
e alla televisione, ci riferiamo in particolare a opere come Lajos Egri, The Art of
Dramatic Writing, apparsa per la prima volta nel 1946, poi in una nuova edizione
New York, Simon & Schuster, 1960 e più volte ristampato; apparsa in italiano nel
2009 con il titolo L’arte della scrittura drammaturgica (Roma, Dino Audino Editore).
Ma possiamo ricordare anche Martin Esslin, The Field of Drama, New York, Methuen
Drama, 1987; o Yves Lavandier, La dramaturgie, Le Clown et l’Enfant, 1994, 1997,
apparso in Italia con il titolo L’ABC della drammaturgia, 2 voll., Roma, Dino Audino
Editore, 2001. E bisogna aggiungere il breve ma intenso saggio di David Mamet,
Three Uses of the Knife, New York, Columbia University Press, 1998, tradotto in italia-
no con il titolo I tre usi del coltello, per i tipi di Minimum Fax.
Neodrammatico il narratore fittizio del testo narrativo)8. La drammaturgia
digitale non si riferisce più al testo tea­trale come prodotto, bensì al-
Antonio Pizzo
la forma che assume una struttura di connessioni, relazioni,
elementi formali che plasmano la partitura dell’evento. In
questo senso, del resto, spieghiamo la diffusione di un’acce-
zione più ampia che comprende la drammaturgia musicale,
o la drammaturgia della danza, o finanche la drammaturgia
dello spettatore9.

2. La drammaturgia tra testo e scena


Accanto alla definizione della tradizione occidentale della
drammaturgia come lavoro del poe­ta drammatico, quindi
come teoria e tecnica della scrittura per il tea­tro, Mango ri-
corda l’emergere di una lezione diversa quando introduce il
termine «drammaturgia scenica o drammaturgia della scena».
S’intende così un modo di concepire la scrittura, o meglio
alcuni «atteggiamenti linguistici», in cui la natura letteraria
passa in secondo piano e la stessa parola detta s’inscrive nel
complesso della pratica scenica; e che peraltro è fondamenta-
le per cogliere la specificità di molte delle esperienze tea­trali
6 del Novecento in cui è privilegiata la componente visiva10.
In questo senso possiamo assumere, nei termini utilizzati
da Annamaria Cascetta, la distinzione, molto diffusa, tra te-
sto drammatico («insieme di battute e di didascalie, con una
sua autonomia e una sua vita letteraria») e drammaturgia («il
materiale verbale elaborato per la scena o a partire dal testo
drammatico o a partire da un materiale non drammatico o
preventivo, rispetto alla scena, o elaborato sulle assi della sce-
na a partire dall’improvvisazione dell’attore, dalla coopera-
zione creativa che costruisce lo spettacolo»)11. Si tratta di una
distinzione ancora molto generale ma che rende chiara la

8. Manfred Pfister, The Theory and Analysis of Drama, Cambridge, Cambridge Uni-
versity Press, 1988, p. 24.
9. Cfr. Lorenzo Bianconi, La drammaturgia musicale, Bologna, il Mulino, 1986;
Alessandro Pontremoli, Per una drammaturgia coreutica, in Id. (a cura di), Dramma-
turgia della danza. Percorsi coreografici del secondo Novecento, Milano, Euresis Edizioni,
1997; Marco De Marinis, Dramaturgy of the Spectator, in «The Drama Review: TDR»,
vol. 31, n. 2, 197, pp. 100-114.
10. Lorenzo Mango, Drammaturgia scenica e performance digitale, in T. Mazali, F. Maz-
zocchi, A. Pizzo (a cura di), Antúnez Roca e la performatività digitale cit., p. 33.
11. Annamaria Cascetta, Laura Peja (a cura di), Ingresso a tea­tro. Guida all’analisi
della drammaturgia, Firenze, Le Lettere, 2003, p. 139.
La drammaturgia differenza: «il testo drammatico è una tecnica che appartiene
multimediale alla letteratura, ma guarda alla scena. Drammaturgia è una
tecnica che appartiene al tea­tro, ma guarda alla letteratura»12.
Questo modo di porre la differenza fa eco alla relazione, pro-
veniente dall’ambito semiotico, tra testo tea­trale e testo spet-
tacolare13. Nella prima definizione si riconosce la presenza
di una scrittura che si propone non solo e unicamente nella
pagina; nella seconda si associa la nozione di testo a quella di
evento così da poter tentare una descrizione di come avviene
l’attribuzione di senso all’interno della performance. In sin-
tesi, entrambi i casi pongono in evidenza la differenza tra due
oggetti teorici distinti: il testo della scrittura e la drammatur-
gia dell’evento. De Marinis ha inoltre proposto di aggiornare
la nozione di drammaturgia intesa come tecniche e teorie
che governano il testo con l’emergere del concetto di testo
spettacolare, cosicché la drammaturgia appare come
la teoria e la tecnica che governa la composizione del testo
spettacolare, cioè l’insieme di teorie e tecniche che gover-
nano la composizione di segni/mezzi espressivi/azioni in-
trecciati insieme al fine di creare la struttura della perfor-
mance.14 7

Per quanto riguarda il testo drammatico, sappiamo che si


differenzia dal testo narrativo per l’assenza di un sistema di
comunicazione che incorpora il narratore e il ricevente nel
mondo della finzione. In sostanza manca un altro livello di
mediazione tra l’autore reale e il lettore, perché l’autore
drammatico fa “parlare” direttamente i personaggi e il let-
tore/spettatore ne è diretto testimone15. Si tratta della qua-
lità assoluta del dramma ben chiarita da Szondi in Teoria del
dramma moderno 16. Vale a dire che per il testo drammatico,
inteso come successione dialogica di atti linguistici, dobbia-

12. Ivi, p. 141.


13. Oltre al già citato Keir Elam, Semiotic of Theatre and Drama, ricordiamo i lavori
di Marco De Marinis: Lo spettacolo come testo (I), in «Versus. Quaderni di studi semi-
otici», n. 21, Bompiani, 1978, pp. 66-100; Lo spettacolo come testo (II), in «Versus.
Quaderni di studi semiotici», n. 22, Bompiani, 1979, pp. 3-28; Semiotica del tea­tro.
L’analisi testuale dello spettacolo, Milano, Bompiani, 1982.
14. M. De Marinis, Dramaturgy of the Spectator cit., p. 100.
15. M. Pfister, The Theory and Analysis of Drama cit., pp. 3-4.
16. L’importante saggio di Peter Szondi è stato pubblicato con il titolo Theorie des
modernen Dramas 1880-1950 (Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1956); qui citiamo
dall’edizione italiana Teoria del dramma moderno, Torino, Einaudi, 1962.
Neodrammatico mo tenere presenti qualità che non sono specifiche della
digitale letteratura, ma che sono invece apparentate con le teorie
Antonio Pizzo
sull’azione. A ciò, seguendo quanto scrive Manfred Pfister, la
drammaturgia aggiunge un’altra componente quando, nella
sua accezione contemporanea, rende conto soprattutto della
«natura multimediale del testo drammatico»17, e deve affron-
tare la testualità anche del piano scenico.
Questi due livelli possono essere riconosciuti per i loro
diversi gradi di stabilità e/o variabilità, cosicché mentre il
testo verbale è normalmente fissato ortograficamente, e re-
sta storicamente più o meno stabile, la componente scenica
della produzione dal vivo è variabile.18

Dunque, dal punto di vista dell’analisi, il dramma è indub-


biamente più limpido e meno problematico sia per la solida
tradizione degli studi di critica e analisi letteraria, sia soprat-
tutto perché è più immediatamente riconoscibile: in quanto
oggetto di studio, il testo scritto, pur nelle sue estreme varian-
ti stilistiche, mantiene una forma riconoscibile (per esempio:
testo, dialoghi, personaggi).
8
Dal canto suo, la drammaturgia è un oggetto più instabi-
le: da un lato a causa della relativa giovinezza del concetto;
dall’altro perché deve comunque rendere conto (anche se
non coincide con essi) sia degli atti linguistici, sia, come nel
testo spettacolare, del piano scenico. La drammaturgia è un
oggetto di studio che appartiene al campo dell’estetica, che
noi deriviamo, secondo l’esempio di Aristotele nella Poetica,
dalle forme dello spettacolo che la storia ci ha proposto, ed
è frutto di una riflessione filosofica. In via preliminare pos-
siamo considerare la drammaturgia quel principio d’ordine
alla base di una serie di azioni variamente rappresentate (un
libro, un testo annotato dal regista o dall’attore, o un dialogo
scritto, ma anche una partitura di azioni o uno storyboard) e
grazie al quale quelle azioni acquistano alcune caratteristiche
specifiche. Come vedremo in seguito, queste ultime coincido-
no con alcuni nozioni comuni a buona parte della tradizione
drammatica (il modo di organizzare le unità narrative, la pre-
sentazione degli agenti, l’evoluzione del racconto, l’orche-
strazione dei conflitti, le emozioni). Per esempio potremmo

17. M. Pfister, The Theory and Analysis of Drama cit., p. 7.


18. Ibid.
La drammaturgia ritenere che alcune opere di danza mostrino più chiaramen-
multimediale te queste caratteristiche (Il lago dei cigni, musica di Pëtr Il’ič
Čajkovskij, coreografie di Marius Petipa, 1895) mentre altre
meno (Biped, coreografia di Merce Cunningham, 1999). Esi-
stono spettacoli tea­trali che, anche non direttamente legati a
un testo letterario, conservano la memoria di questi elementi
(come Wielopole Wielopole di Tadeusz Kantor, 1980), mentre al-
tri, pur riferendosi a un testo, mettono in evidenza la matrice
performativa non drammatica (il Giulio Cesare della Societas
Raffaello Sanzio, 1997). Dunque, Cascetta ribadisce:
Testo drammatico e drammaturgia non sono sinonimi, anche
se spesso sono confusi nell’uso corrente. Drammaturgia, in-
fatti, è il risultato di un’operazione di scrittura a ridosso della
scena, frutto di quella cooperazione creativa che produce
lo spettacolo ed elabora il copione, il materiale verbale che
potrà anche non diventare mai l’edizione letteraria, condi-
videndo così il destino della scrittura scenica che si brucia
nell’evento e nelle sue repliche limitate o che lo diventerà
comunque attraverso una mediazione, come la mediazione
è necessaria nel passaggio dal testo letterario preesistente
alla scena19.
9
Seguendo questa indicazione, dobbiamo considerare la dram-
maturgia come un testo allo stesso tempo astratto (poiché non
possiede una configurazione stabile e organizzata come l’or-
tografia di un testo letterario) e concreto (perché si compone
essenzialmente di azioni, eventi, oggetti ed espressioni della
messa in scena): un testo scritto con i materiali riferibili al-
la messa in scena. Si tratterebbe di una «scrittura seconda»
che – sostiene la studiosa – protrebbe essere anche «non
drammatica, ma narrativa, epica, lirica, giornalistica, saggisti-
ca, filosofica, cronistica, fiabistica, mitica, pubblicitaria, docu-
mentaria, giuridica, quotidiana»20.
Ma ci sembra che la storia permetta anche di riconoscere
un senso più specifico – se vogliamo “riduttivo” – che leghi il
termine drammaturgia alla matrice drammatica. Questa sorta
di riduzione dell’ampiezza semantica ci è necessaria per circo-
scrivere con la definizione di drammaturgia multimediale un
più definito insieme di atteggiamenti produttivi per la scena

19. A. Cascetta, L. Peja (a cura di), Ingresso a tea­tro cit., p. 140.


20. Ivi, p. 141.
Neodrammatico all’interno del vasto ambito del tea­tro tecnologico e multime-
digitale diale. Sia ben chiaro che con ciò non intendiamo restringere
Antonio Pizzo
la drammaturgia nell’ambito della letteratura. La riconoscia-
mo invece come la struttura profonda di relazioni e opposizio-
ni che può reggere sia il testo scritto sia la performance di un
attore. In questo caso non considereremo la drammaturgia
come un testo, un enunciato, per quanto effimero, instabi-
le, ineffabile, bensì una sorta di sintassi. Della scrittura come
linguaggio, la drammaturgia, in questa prospettiva, condivide
la capacità di essere un sistema di organizzazione del sen-
so. Quindi è possibile osservare la drammaturgia come un
sistema di regole, metodologie, finanche stili, che reggono il
testo (drammatico o spettacolare che sia). La drammaturgia,
quindi, intesa come teoria del dramma, e non come testo,
ancor più che nella definizione precedente, è un oggetto pu-
ramente teorico.

3. La scrittura scenica
A questa distanza tra testo e organizzazione si riferisce an-
che Lorenzo Mango quando definisce la scrittura scenica. Il
10 termine viene impiantato nel dibattito italiano da Giuseppe
Bartolucci, in una sua raccolta di recensioni e scritti della
metà degli anni Sessanta in cui la discussione sulle figure tea­
trali rappresentative di quegli anni tendeva a ricondurre la
nozione di scrittura drammaturgica alla fusione di parola e
azione o immagine e azione21. Mango ricorda come «il pri-
mo a utilizzare l’espressione scrittura scenica nella sua forma
letterale è Roger Planchon, che la introduce, nel 1961 in oc-
casione di un dibattito su Brecht»22. Ma suggerisce anche che
il punto di partenza per l’elaborazione teorica del concetto
risale alle fonti del novecento tea­trale, e può essere ricondotto
a un’affermazione di Gordon Craig del 1905:
L’Arte del Tea­tro non s’identifica con la recitazione o
con il testo, e neppure con la scenografia o la danza, ma è
sintesi di tutti gli elementi che compongono quest’insieme:
di azione, che è lo spirito della recitazione; di parole, che for-
mano il corpo del testo; di linea e di colore, che sono il cuore
della scenografia; di ritmo, che è l’essenza della danza.23

21. Giuseppe Bartolucci, La scrittura scenica, Roma, Lerici Editore, 1968.


22. L. Mango, La scrittura scenica cit., p. 20.
23. Gordon Craig, Il mio tea­tro, Milano, Feltrinelli, 1971, pp. 83-84.
La drammaturgia Dal punto di vista teorico, la scrittura scenica, da un lato, «è
multimediale qualcosa che potremmo definire come una strategia operati-
va o anche, più complessivamente, come un modo di pensare
l’organizzazione dei materiali linguistici del tea­tro nella sua
prospettiva della messinscena». Dall’altro «sottende una “in-
tenzione” del linguaggio, un modo di indirizzarlo in una cer-
ta direzione e pensarlo secondo una certa articolazione»24.
S’intende che Mango utilizza il termine scrittura non riferen-
dosi allo specifico ambito linguistico o semiotico, bensì come
segno artistico, senso, qualcosa che esprime un contenuto.
In questo è vicino all’analisi di Pavis che nel linguaggio del
tea­tro ricerca il senso, l’articolazione25. È chiaro inoltre che
il termine non allude esclusivamente alle componenti visive
dello spettacolo e alle pratiche di messa in scena. Si tratta,
ancora una volta, di un oggetto teorico instabile, quanto la
nozione di drammaturgia come seconda scrittura.
La scrittura scenica sembra avere, per più di un verso,
le caratteristiche del linguaggio (ciò di cui materialmente è
fatto), ma porta con sé anche la nozione di articolazione (il
modo, cioè, in cui il dato materiale si dà come nesso seman-
tico) e, infine, si propone anche come tramite di relazione 11
tra segno e significato, indicando, così, la possibile finalizza-
zione del linguaggio a un esito comunicativo.26

In questa formulazione, il termine scrittura copre ancora signi-


ficati diversi: la scrittura intesa come l’impronta dell’inchiostro
sulla carta, ma anche come sintassi e grammatica, la semantica
e la creazione del senso. Eppure si tratta di un concetto molto
fecondo, che aiuta a una lettura non testuale della dramma-
turgia, e per questo rappresenta un punto di partenza e con-
fronto per discutere di drammaturgia multimediale.
Il dramma, nelle opinioni di Mango, è una virtualizzazione
del racconto, poiché la trasforma la storia in “evento virtua-
le”: possiede alcune caratteristiche dell’evento ma non “av-
viene” nella materializzazione di azioni. Contiene, però, la
rappresentazione di azioni in tempo reale che proiettano il
racconto sul piano della realizzazione, ed è potenzialmente

24. L. Mango, La scrittura scenica cit., p. 14.


25. Patrice Pavis, L’analyse des spectacles: théâtre, mime, danse, danse-théâtre, cinéma,
Paris, Nathan, 1996; la traduzione italiana è edita da Lindau, 2004 con il titolo
L’analisi degli spettacoli; qui citeremo da quest’ultima edizione.
26. L. Mango, La scrittura scenica cit., p. 15.
Neodrammatico rappresentazione, messinscena27. Fin qui siamo nell’ambito
digitale della tensione tra testo tea­trale e testo spettacolare alla quale
Antonio Pizzo
abbiamo già accennato. Il dramma sarebbe una particolare
forma di narrazione nella quale il materiale linguistico solo
in apparenza è letterario, ma in verità è costituito da azioni.
Ecco quindi che l’introduzione di questa dialettica tra vir-
tuale e reale è utile a spostare la nozione di dramma dalla
letteratura verso la scena, e, dunque, verso la scrittura sceni-
ca, in cui i codici non testuali creano il senso e partecipano
alla drammaturgia dello spettacolo. Si tratta di un fenome-
no molto evidente se poniamo a confronto, per esempio, la
produzione drammatica e quella teorica di Bertolt Brecht,
in cui le forme, apparentemente consuete, di codificazione
del dramma (il testo con personaggi, dialoghi, didascalie, in-
treccio, ecc.) sono arricchite dalla teoria del tea­tro epico in
cui gli effetti scenici giocano un ruolo fondamentale28. Così
come il dramma, ogni tipo di scrittura, anche quella scenica,
modula la propria efficacia secondo il contesto culturale. La
partecipazione emotiva del pubblico, per esempio, è frutto di
una contrattazione tra scena e platea. La semantica di questa
12 dialettica cambia nel corso decenni. Infatti, se Brecht nelle
strategie del suo tea­tro epico invitava a «mettere in mostra
l’apparecchiatura delle luci»29, lo scopo era di “disturbare”
l’illusione realistica così da modificare la partecipazione emo-
tiva dello spettatore dall’empatico al critico. Oggi quasi tutti
gli spettacoli tea­trali mostrano le proprie fonti luminose. E
sono pochi gli allestimenti tea­trali che nascondono il parco
luci utilizzato per illuminare la scena, o che imitano l’effetto
della luce naturale30. Non per questo dovremmo concludere
che tutto il tea­tro contemporaneo sia un tea­tro epico e che,
nello specifico, tenda a disturbare l’illusione del pubblico al
fine di rendere dialettica la sua partecipazione così da impe-
dirne l’immedesimazione. Le luci a vista non producono più
un effetto di straniamento. I modi di sollecitare la partecipa-

27. Ivi, p. 21.


28. Ivi, p. 23.
29. Bertolt Brecht, La scenografia del tea­tro epico, in Id., Scritti tea­trali, Torino, Einau-
di, 1987, p. 220.
30. Per una analisi di alcune questioni di base sul contributo della luce nelle poe­
tiche tea­trali del Novecento, si veda Fabrizio Crisafulli, Luce attiva. Questioni della
luce nel tea­tro contemporaneo, Corazzano, Titivillus, 2007.
La drammaturgia zione emotiva sono cambiati. Anzi, potremmo sostenere che
multimediale per la predominanza del racconto visivo, filmico, la presenza
del video non sempre produce una distanza emotiva del pub-
blico, o una meno immediata – citando Coleridge – «volon-
taria sospensione dell’incredulità»31. Anzi, come suggerisce
Andy Lavender non è nemmeno possibile, nella performance
multimediale, parlare di tea­tro e video come di due media
differenti, ma bisogna vederli come due colori differenti che
si mescolano fino a costituirne uno nuovo32.
Dunque, anche la scrittura scenica è un linguaggio in mo-
vimento, il cui codice risente delle sedimentazioni culturali,
delle convenzioni e delle abitudini; potremmo, a questo pun-
to, chiederci se e come questi codici possano produrre un
senso drammatico.
Nella scrittura scenica – sempre secondo Mango – «la
produzione di senso drammatico non è centrata sulla paro-
la (cioè sulla dimensione verbale del testo copione) quanto
sugli elementi scenici»33. In questa prospettiva la proposta di
Mango non è lontana dal suggerirci di intendere la dramma-
turgia come teoria del dramma scenico. La drammaturgia
è essenzialmente teoria dell’azione, non certo una succes- 13
sione di parole o dialoghi. Certo è ancora possibile – ed è il
problema della concezione tradizionale della drammaturgia
tea­trale – osservare quest’azione mentre interviene sui perso-
naggi e principalmente sulla loro natura letteraria/verbale;
oppure indagare i modi in cui scrive i loro corpi quali elemen-
ti nello spazio scenico e di conseguenza gli altri elementi che
partecipano all’evento spettacolare. La scrittura scenica appa-
re legata a quest’ultima interpretazione e ci aiuta a osservare
la drammaturgia non solo come la competenza nello scrivere
parole o dialoghi ma anche come sapienza nell’orchestrare
azioni in un tempo presente. Se però prescindiamo dai codici
specificamente letterari, quali sono gli elementi sui quali si
fonda la scrittura scenica come oggetto teorico? Mango rias-
sume in questo modo:

31. Coleridge parla di sospensione dell’incredulità nel capitolo xiv della Biogra-
phia literaria che apparve per la prima volta nel 1871; Samuel T. Coleridge, Bio­
graphia literaria, trad. it. di Paola Colaiacomo, Roma, Editori Riuniti, 1991, p. 236.
32. Andy Lavender, The moment of realised actuality, in Maria Delgado, Caridad Svich
(a cura di), Theatre in Crisis?: Performance Manifestos for a New Century, Manchester,
Manchester University Press, 2002, p. 187.
33. L. Mango, La scrittura scenica cit., p. 47.
Neodrammatico A un livello strutturale essa ci appare come un codice dei
digitale codici del linguaggio tea­trale, al cui interno è presente un
Antonio Pizzo
marcato riposizionamento dei valori gerarchici, risultando
privilegiati gli elementi scenici a discapito di quelli verbali.34

Qui l’autore fa notare la dominanza visiva per rilevare che


possiamo verificare la presenza della scrittura scenica quando
sia palese che i codici della scena intervengano direttamente
e autonomamente – quindi non solo come supporto del testo
letterario – all’elaborazione della drammaturgia.
Ne consegue che una drammaturgia che utilizzi elementi
multimediali ai fini di ottenere un prodotto drammatico entra
nei confini dell’oggetto teorico circoscritto da Mango. L’uti-
lizzo delle risorse elettroniche e/o digitali in una prospettiva
drammaturgica e non solo scenografico/illustrativa, presup-
pone la partecipazione attiva fin dai suoi esordi, quando si
profila il passaggio dalla video arte alla video performance35.

4. La scena multimediale
Fino a ora abbiamo indicato la possibilità di considerare la
drammaturgia come estetica e teoria del dramma. Il testo
14 composto da materiali linguistici non verbali bensì visivi può
essere più dettagliatamente definito, seguendo il lavoro di Lo-
renzo Mango, come scrittura scenica. Questa, a sua volta, può
essere elaborata da una drammaturgia non come organizza-
zione di materiali testuali bensì di codici visivi e cinetici. Infi-
ne abbiamo notato che, in questo senso, esiste un’affinità tra
la nozione di drammaturgia multimediale e scrittura scenica.
Questa affinità deriva dalla possibilità della scena tea­trale di
non essere solo contenitore ma anche produttore del senso.
Gli argomenti esposti fino a ora possono essere utili anche
per dichiarare le peculiarità della drammaturgia multimediale.
Mango sostiene che nella scrittura scenica «conta più l’atto
estetico (connesso alla vita) che non la realizzazione artistica di
opere»36. L’esposizione dell’atto linguistico, proprio in virtù
della sua originalità e autonomia, mette in luce l’apparizione
dell’avvenimento in se stesso. La natura specifica degli happe-
ning, per esempio, non va cercata capacità di organizzare uni-

34. Ivi, p. 46.


35. Günter Berghaus, Avant-garde Performance: Live Events and Electronic Technologies,
Houndmills, Basingstoke - Hampshire, Palgrave Macmillan, 2005, p. 179.
36. L. Mango, La scrittura scenica cit., p. 100.
La drammaturgia tariamente la comunicazione del senso, bensì nella crudezza
multimediale espositiva dell’atto agito. Quindi la scrittura scenica mette in
luce la natura “reale” delle azioni, l’immediatezza e la presen-
za assoluta, piuttosto che la loro partecipazione alla creazione
dell’opera d’arte come rappresentazione. In quest’afferma-
zione è preponderante il senso storico del concetto di scrit-
tura scenica, fondato sulla forza utopica delle avanguardie e
incarnato dalla sperimentazione degli anni Sessanta. A sua
volta, la drammaturgia multimediale è il frutto della rivolu-
zione tea­trale tra gli anni Sessanta e Settanta, specialmente
per quanto riguarda la moltiplicazione di codici specifici e
non specifici. La scena digitale affonda le proprie radici nella
riforma della logica dello spettacolo alla quale si richiama
Mango37, perché questa rivoluzione del Novecento tea­trale
è presupposto ineludibile alla libera composizione in scena
di codici differenti (a volte utilizzati nella loro autonomia, a
volte scomposti nei materiali originali) e alla moltiplicazione
dei segni scenici con i media digitali.
Ma, con la sperimentazione tecnologica degli anni Ottan-
ta, emerge una pratica di scrittura scenica multimediale e tec-
nologica, e con essa un’attenzione alla realizzazione artistica 15
(l’opera in quanto rappresentazione). Molti progetti tea­trali
improntati a un forte e sostanziale utilizzo dei media digita-
li in scena, pur nascendo da presupposti linguistici simili a
quelli della scrittura scenica non ne condividono la direzione
“estetica”, e, soprattutto, a proposito del binomio arte/vita al
quale allude Mango, non hanno dubbi nella elezione del pri-
mo termine. Gli spettacoli di Falso Movimento, Giorgio Bar-
berio Corsetti, così quelli dei più recenti Builders Association,
Big Art Group, o i lavori Robert Lepage, pongono in primo
piano le nozioni di opera e rappresentazione. La multidimen-
sionalità percettiva alla quale è improntata la drammaturgia
multimediale non cerca di annullare le distanze o creare frat-
ture tra evento reale ed evento artistico. Anche quando allude
alla situazione piuttosto che a una rappresentazione lo fa in una
prospettiva eminentemente compositiva/artistica. E non po-
trebbe essere altrimenti, poiché la potenza rappresentativa
dei media, come televisione e cinema, contribuisce alla rico-
stituzione (seppur in modi diversi) di elementi tradizionali

37. Ivi, p 101.


Neodrammatico della drammaturgia (racconto, personaggio, partecipazione
digitale emotiva e psicologica). In questo nuovo contesto è assente la
Antonio Pizzo
radicalità estetica intesa come soppressione della costruzione
di senso, o meglio manca l’accento sull’obliterazione di que-
sta intenzione. Emblematico è il peso che, nel loro manife-
sto per l’arte post-tecnologica, Balzola e Rosa pongono sulla
necessità del senso e sulla responsabilità dell’azione artistica
ai fini di «conquistare una nuova centralità nel processo di
ridefinizione dell’etica e dell’estetica»38. La drammaturgia
multimediale si costituisce come un modo per restituire la
necessità del senso in un ambiente caleidoscopico e interme-
diale. Utilizziamo quindi il termine drammaturgia proprio
per mettere in luce la valenza di principio d’ordine, più che
mai necessario a causa della (o grazie alla) presenza di lin-
guaggi nuovi (e per questo ancora di difficile articolazione)
al proprio interno.
Il percorso di liberazione dei codici scenici, così fecondo
negli anni Sessanta e Settanta, si coniuga con un’attenzio-
ne alla loro riconfigurazione organica nella quale riappare
un senso unitario della scena e del linguaggio drammatico.
16 Prendiamo per esempio uno spettacolo di danza apparente-
mente astratto e dalla struttura semplice: Cinématique (2010)
del danzatore e giocoliere francese Adrien Mondot. Lui e la
danzatrice Satchie Noro, si muovono in uno spazio comple-
tamente spoglio e bianco davanti a un grande schermo che
fa da fondale. Sia su quest’ultimo, sia al suolo c’è un flusso
quasi continuo di proiezioni. A volte il fondale diventa semi-
trasparente e i danzatori si muovono dietro l’immagine pro-
iettata. La performance mescola il circo contemporaneo con
la danza, e affascina il pubblico soprattutto per la delicata
poe­sia delle immagini astratte e delle musiche che infondono
un’atmosfera lirica e onirica alle situazioni39. Eppure, ciò che
potrebbe essere astratto, slegato da qualsiasi logica gerarchica
di costruzione del senso, offerto alla pura visione, rivela un
solido, seppur elementare, progetto drammatico: due per-
sonaggi scoprono il mondo incantato della scena digitale, e
dunque ci appaiono come navigatori/esploratori dello spa-
zio virtuale; come due clown contemporanei che viaggiano

38. A. Balzola, P. Rosa, L’arte fuori di sé cit., p. 37.


39. Cfr. Christiane Dampne, Métamorphoses de paysages sensibles, in «Le Dauphine
Libre», 26 gennaio 2010.
La drammaturgia all’interno dello spazio informatico, dapprima dubbiosi, poi
multimediale impauriti e infine affascinati. Un percorso che parte dagli ele-
menti fisici (acqua, sabbia, sassi) fino alla più totale astrazione
del wireframe; senza però che si perda l’accento sulla fisicità e
la materialità dello spazio. Ciò è in parte dovuto alla presenza
della doppia proiezione, sul fondo e sul pavimento, ma so-
prattutto all’utilizzo di un software di animazione grafica in-
terattiva in tempo reale (eMotion) che si basa sui modelli fisici
dei movimenti e permette di comporre coreografia con entità
virtuali (testo, immagini, segni grafici) e consente ai danzatori
di interagire con la proiezione delle immagini digitali che, a
loro volta, replicano un modello “fisico” di movimento degli
oggetti40. In sintesi l’intera azione scenica si fonda su elementi
eminentemente visivi, e in particolare sulla composizione/
contrapposizione tra la materialità del binomio azione/re-
azione e l’immaterialità della luce: il corpo diventa leggero
come quello di un acrobata e la luce è trasformata in schegge,
neve, pioggia di lettere, polvere. Ma, come abbiamo detto, è
anche chiaro che quest’azione scenica è retta da una dram-
maturgia: lo spettacolo costruisce un percorso emotivo del
pubblico grazie a un progetto drammatico (pur semplice) 17
che, mediante la struttura episodica di attrazioni del circo,
insieme alla tenerezza dei personaggi di una comica muta,
articola nel tempo – la durata dello spettacolo – la comuni-
cazione di una minuscola storia. In questo caso, codici non
specifici del tea­tro sono combinati (dal circo al multimedia)
al fine di ottenere una qualità drammatica.
Altre performance che condividono l’utilizzo di una scena
multimediale e interattiva non hanno un progetto fondato su
una metodologia drammaturgica: valga solo a titolo di esem-
pio, la performance Full Spectrum presentata da Quixotic di
Anthony Magliano a TED2012 nel febbraio 2012, o A{d’Agua}
del gruppo Konic Thtr (2009-2010). La danza, ricorda Jo-
hannes Birringer, così strettamente associata a forme visive
e ritmo, è intrinsecamente affine a un sistema multimediale,
e «danzare per la telecamere non solo è diventata un’alter-
nativa alla danza dal vivo, ma ha spinto i coreografi a ripen-

40. Alcune informazioni sullo spettacolo e la descrizione del software sono tratte
dal sito della compagnia, alla pagina dedicata allo spettacolo, http://www.am-cb.
net/projets/cinematique (ultimo accesso 22 giugno 2012).
Neodrammatico sare l’estetica della danza per il tea­tro»41. Tuttavia l’accento è
digitale sempre posto sui valori dinamici e spaziali della performance,
Antonio Pizzo
sulla relazione tra corpo e ambiente aumentato dai media
digitali42. Questa nuova danza tecnologica è come un pezzo
d’arte visiva in movimento, simile all’istallazione. In questo
modo, ricorda Balzola, «la tecnologia multimediale interattiva
consente all’artista di produrre eventi piuttosto che opere o
oggetti, il processo si sostituisce al risultato, il laboratorio è più
importante dello spettacolo»43. Per Konic Thtr di Barcellona,
questo è particolarmente vero; i fondatori Rosa Sanchez e
Alain Baumann, infatti, sono occupati in un continuo lavo-
ro di sperimentazione tecnologica e linguistica dal quale, di
volta in volta, in occasioni specifiche, emergono degli eventi
che potrebbero essere simili a opere ma che non ne hanno
l’unità, e devono necessariamente essere letti all’interno del
processo per comprenderne la complessità globale44. L’attività
produttiva dei Konic Thtr, in parte danza, in parte performan-
ce, può ben fare da esempio all’altra affermazione program-
matica di Balzola riguardo alla scena multimediale:
C’è un passaggio da un testo lineare a un ipertesto po-
18 limorfo e un passaggio dal tea­tro spettacolo allo spettacolo
laboratorio, dove il drammaturgo si trova a scrivere eventi
performativi polisensoriali in tempo reale.45

Dunque sembra che la performance multimediale acquisti


un suo carattere proprio con innovazioni che avvengono su
piani differenti: narratologico (da lineare a ipertestuale);
estetico (dall’opera spettacolo-chiuso al laboratorio-aperto);
operativo (dallo spazio scenico della prosa allo spazio sensi-
bile e interattivo della performance digitale). Non ci sono
dubbi che la sperimentazione tecnologica sia intervenuta su
questi livelli e che chiunque si accinga a scrivere per un tea­
tro tecnologico li debba tener presenti. Ma allo stesso tempo,

41. Johannes Birringer, Performance, Technology and Science, New York, PAJ Publica-
tions, 2008, p. 87.
42. Ivi, p. 88.
43. Andrea Balzola, Principi etici delle arti multimediali, in A. Balzola, A.M. Montever-
di (a cura di), Le arti multimediali digitali cit., p. 442.
44. Cfr la descrizione del lavoro della compagnia sul sito web http://Koniclab.info
(ultimo accesso 11 giugno 2012).
45. A. Balzola, Una drammaturgia multimediale cit., p. 12. Si veda anche A. Balzola,
P. Rosa, L’arte fuori di sé cit., p. 50.
La drammaturgia alla mole di questioni teoriche non sempre si affianca un
multimediale quadro analitico organico, una griglia di analisi o un cata-
logo di tecniche. In sostanza, ancora a quest’altezza storica,
gli studi sulla performance digitale e interattiva sembrano
essere interessati a sollevare problemi piuttosto che risolverli.
Balzola prova a indicare una direzione quando pone l’ac-
cento sulla necessità di un «uso drammaturgico delle nuove
tecnologie»46. Si oppone, è chiaro, a un impiego puramente
illustrativo – potremmo dire superficiale – della tecnologia,
che lui fa coincidere con l’uso “scenografico”. La strada indi-
cata è quella di un utilizzo dei codici linguistici delle nuove
tecnologie in modo che non servano solo ad adornare o ab-
bellire l’opera, ma che ne permeino il senso più profondo. E
per indicare questo senso profondo, si ricorre in genere alla
parola “drammaturgia”. Si apre così una strada che permette
di orientarsi in modo più specifico all’interno del vasto e or-
mai – come abbiamo detto – consueto apparire di tecnologie
digitali in scena. Ma è anche vero che, per quanto efficace
sul piano intuitivo, questo modo di utilizzare il termine lascia
dietro di sé alcune ambiguità.
Lian Amaris, analizzando alcune performance del Blue 19
Man Group, realizzate in tea­tro o in forma di concerto tra il
2004 al 2009, elenca una serie di tecnologie sceniche assolu-
tamente essenziali ai fini dello spettacolo (voci, suoni creati
o elaborati al computer, immagini digitali, suono interattivo,
animazioni 3D, segnali led, riferimenti continui a Internet,
alla connettività globale, alla identità digitale, ecc.) e sottoli-
nea – il che è di maggior rilevanza nel nostro discorso – che
questi effetti funzionano non tanto nella loro presenza tec-
nologica bensì nel modo in cui noi ne facciamo esperienza:
in altre parole nella loro significazione scenica47. Sebbene ciò
avalli l’idea di un uso tecnologico “non puramente illustra-
tivo”, è altrettanto evidente che il non superficiale utilizzo
della tecnologia – nel loro caso profondamente centrato sul-
la critica sociale – non può essere sinonimo di un contesto
drammaturgico più di quanto non lo sia in un concerto di
Lady Gaga. In altre parole non possiamo “stirare” la nozione

46. Ivi, p. 10.


47. Lian Amaris, Approaching an analog-digital dialectic: the case of the Blue Man Group,
in «Theatre Journal», vol. 61, n. 4, 2009, p. 564.
Neodrammatico di drammaturgia fino a farle comprendere tutto ciò che in
digitale scena tenta di produrre un qualche senso.
Antonio Pizzo
Gli eventi di norma catalogati come tea­tro digitale e multi-
mediale sono effettivamente connotati da uno specifico utiliz-
zo delle tecnologie. Ciò detto, bisogna innanzitutto verificare
se la tecnologia è l’oggetto tecnico o il linguaggio. Riferiamo-
ci, per fare un esempio concreto, a una tecnologia specifica:
fare un utilizzo drammaturgico del faro-proiettore e/o della
luce. Nel tea­tro contemporaneo la luce è uno dei principali
segni della partitura tea­trale ed è utile la distinzione di Cri-
safulli tra “illuminazione”, luce come “oggetto di visione” e
luce come “fonte, strumento, apparecchio”48. Possiamo rite-
nere – citando Mango – che «nel corso dei primi decenni del
Novecento si assiste a una affermazione dell’uso della luce in
termini di scrittura»49. In altre parole la luce e l’illuminazione
non serve a far vedere bensì a dire il testo insieme agli altri codi-
ci. D’altronde anche la tecnologia come oggetto può entrare
a far parte della partitura in senso profondo. Per esempio, i
proiettori, i cartelli a vista, sono tutti elementi tecnici materiali
utilizzati dal tea­tro epico in modo da scrivere la scena. Oppure
20 nel tea­tro «fabbrica di emozioni» descritto da Prampolini nel
1928, il corpo e tecnologie partecipano occupano un identico
piano di scrittura, «dagli attori-macchina alle macchine-attori
[…] dalla prima attrice al riflettore A»50. Quindi l’oggetto
diventa in se stesso un simbolo tecnologico e partecipa alla
costruzione del senso. Del resto, come dimostrato dalla lette-
ratura nel settore, la nozione di scenografia, dal Novecento,
non può essere liquidata come arredo, illustrazione, super-
ficiale51. Dunque si dà un utilizzo drammaturgico della luce
e degli strumenti di illuminazione. La direzione indicata da
Balzola deve essere intesa come generale invito a un utilizzo
cosciente delle nuove tecnologie nella partitura tea­trale (sia
in fase di progettazione sia in allestimento), ma lascia spazio
per interpretazioni diverse sui risultati attesi.

48. F. Crisafulli, Luce attiva cit., pp. 129-145.


49. L. Mango, La scrittura scenica cit., p. 225.
50. Paolo Fossati, La realtà attrezzata. Scena e spettacolo nei futuristi, Torino, Einaudi,
1977, p. 147.
51. A proposito sono fondamentali i due studi di Franco Mancini: L’evoluzione dello
spazio scenico, dal naturalismo al tea­tro epico, Bari, Dedalo, 1975; L’illusione alternativa.
Lo spazio scenico dal dopoguerra ad oggi, Torino, Einaudi, 1980.
La drammaturgia Anzi, potremmo dire che l’integrazione cosciente delle
multimediale tecnologie nella creazione dello spettacolo, come accade
con Konic Thtr per esempio, non vuol dire farne «un uso
drammaturgico» e non sempre questo coincide con «il carat-
tere aperto del work in progress, dove lo spettacolo è sempre e
soltanto una tappa di un processo di elaborazione costante e
virtualmente infinito»52. Diremo, invece, che è possibile fare
un uso performativo delle nuove tecnologie e in questo senso
l’accento è posto sui processi più che sui prodotti. Non tutti
i progetti di performance sono drammaturgia, anche perché
altrimenti non potremmo discernere quest’ultima dalla regia
o ancor di meno dalla scrittura scenica. Rosemary Klich e
Edward Sheer, nella loro indagine sul tea­tro multimediale, nel
contesto del tea­tro d’immagini così come definito da Bonnie
Marranca, segnalano una linea di sviluppo postmoderna e
postdrammatica epitomata da The Wooster Group di New
York, ma anche una linea narrativa e drammatica, in cui si
nota un ritorno al personaggio e alla narrazione, e più in
generale alla rappresentazione, e illustrano alcuni esempi in
cui le tecnologie digitali in tea­tro, nell’ultimo decennio, sono
evolute in un contesto di strutture drammatiche convenzio- 21
nali53.
Ecco che si delinea una nozione più specifica di dramma-
turgia multimediale, che presuppone una matrice rappresen-
tativa nella quale è possibile riconoscere una qualche forma
di racconto. Questa, infatti, appare quando la metodologia
di costruzione della partitura da realizzare in scena distin-
gue gli elementi costitutivi del dramma (personaggi, conflitti,
dialettica, plot, arco drammatico) anche se magari in forme
trasformate dai codici del cinema, della televisione, del vi-
deo digitale: in altre parole, gli elementi sono riconoscibili
anche se, nella prospettiva disegnata da Bolter e Grusin, “ri-
mediati”54. Lo spettacolo multimediale in se stesso funziona
come un “ri-mediatore” mediante l’utilizzo di diversi modi di

52. A. Balzola, Principi etici delle arti multimediali cit., p. 442.


53. Bonnie Marranca, The Theatre of Images: Robert Wilson, Richard Foreman, Lee
Breuer, Baltimore, Johns Hopkins University Press, 1996. Rosemary Klich, Edward
Scheer, Multimedia Performance, New York, Palgrave Macmillan, 2012, pp. 51 e 52.
54. Jay David Bolter, Richard Grusin, Remediation: Understanding New Media, Cam-
bridge, MIT Press, 1999; il saggio è pubblicato in italiano con il titolo Remediation.
Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, a cura di Alberto Marinelli, trad.
it. di Benedetta Gennato, Milano, Edizioni Guerini, 2002.
Neodrammatico rappresentazione della performance: infatti, «la performance
digitale tea­trale può essere vista simultaneamente come immediata
Antonio Pizzo
(mediante la condivisione delle coordinate spaziali e tem-
porali) e ipermediata (in riferimento agli altri media)»55. La
nozione di rappresentazione è evidente nel progetto di un
evento che utilizza tali elementi in previsione della “durata”,
in una successione temporale organizzata secondo criteri di
evoluzione e/o struttura emozionale e/o intreccio, e non di
sola espressione/contemplazione delle azioni. Nella prospet-
tiva che cerchiamo di tracciare non tutte le contaminazioni
tra partiture tea­trali e tecnologie digitali sono frutto di una
drammaturgia multimediale. Esistono infatti altre forme, co-
me ricorda Annamaria Monteverdi, che possono avere nomi
diversi (tecnodramma, iperdramma, internet theatre, ecc.56)
ma che appartengono all’ambito della scrittura scenica e non
della drammaturgia. Si tratta di una «emorragia di nomi» e
non è utile sforzarsi di selezionarne uno solo in quanto, come
suggeriscono Klich e Scheer, «il campo della performance
multimediale sposta continuamente in avanti i parametri del-
la pratica esistente e inventa nuove modalità performative
22 così come suggerisce nuovi modi di parlarne»57.

5. L’opera (neo)drammatica
È chiaro che il ragionamento che stiamo tracciando non è
scevro di ambiguità. Da un lato vogliamo segnare la differenza
dai discorsi che hanno come oggetto d’attenzione la scena,
l’evento spettacolare (la nozioni di testo spettacolare, dram-
maturgia della scena o scrittura scenica appartengono a que-
sto ambito), dall’altro però affrontiamo un oggetto ancora
più astratto in quanto la nozione di drammaturgia multime-
diale non tiene conto dell’evento performativo come atto nel
suo presente, ma non ha a disposizione nemmeno l’oggetto
materiale (e per certi versi rassicurante) del testo. Per sem-
plificare, diremo che non è nostra intenzione né elaborare
una teoria della performance digitale (se sia un genere, una
variante del tea­tro postmoderno, uno dei modi di utilizzare i
codici visivi, ecc.), ma nemmeno definire le tecniche di scrit-

55. R. Klich, E. Scheer, Multimedia Performance cit., p.75.


56. Anna Maria Monteverdi, Nuovi media, nuovo tea­tro. Teorie e pratiche tra tea­tro e
digitalità, Milano, Franco Angeli, 2011, pp. 66-69.
57. R. Klich, E. Scheer, Multimedia Performance cit., p. 11.
La drammaturgia tura per opere di tecnotea­tro. Ci limitiamo piuttosto a nota-
multimediale re che la presenza di specifici materiali linguistici utilizzati
(come il multimedia digitale) non sono sufficienti a definire
un genere o una forma specifica. Al massimo segnano un
processo artistico di alto livello in cui si torna a discutere sulla
specificità del fatto tea­trale. Ciò che soprattutto c’interessa è
segnalare la presenza (potremmo dire la sopravvivenza) della
nozione di dramma e il modo in cui viene contaminata dai
codici multimediali. A sostegno del nostro discorso portiamo
solo pochi esempi in quanto, grazie alla ricca produzione di
manuali e saggi sull’argomento, possiamo rimandare alla bi-
bliografia per un aggiornamento sugli autori e gli spettacoli.
Sappiamo che buona parte della produzione tea­trale con-
temporanea non si riconosce nei principi della drammaturgia
classica. A questo si riferisce Lehmann nella sua definizione
di tea­tro post-drammatico.
[…] il tea­tro drammatico era la formazione di un’illusione.
Voleva costruire un cosmo fittizio e lasciare che il palcosce-
nico rappresentasse – fosse – un mondo astratto ma conce-
pito affinché l’immaginazione e l’empatia dello spettatore
seguissero e completassero l’illusione. Per questa illusione 23
non è necessaria né la completezza e nemmeno la continuità
della rappresentazione. Ciò che è necessario, comunque, è il
principio che ciò che percepiamo a tea­tro possa essere riferi-
to a un “mondo”, quindi a una totalità. Interezza, illusione,
e rappresentazione del mondo sono intrinseci al modello
di “dramma”. Il tea­tro drammatico cessa di esistere quando
questi elementi non sono più i principi regolatori ma sempli-
cemente una delle possibili varianti dell’arte tea­trale.58

È indubbio che esista un tea­tro multimediale e tecnologico


che utilizza codici prevalentemente visivi e si fonda sulla pro-
spettiva postdrammatica. Ma è anche vero che esiste un tea­
tro simile dal punto di vista dei codici e che recupera una
qualità drammatica nell’articolazione delle azioni nel tempo.
D’altronde con ciò non intendiamo che la creazione di senso
sia un prodotto esclusivo della sola drammaturgia. Anche la
scrittura scenica o il tea­tro postdrammatico possono essere
il luogo di produzione di senso, ma secondo metodi diversi.

58. Hans-Thies Lehmann, Postdramatisches Theater, Frankfurt am Main, Verlag der


Autoren, 1999; qui citiamo dalla edizione inglese con il titolo Postdramatic Theatre,
London - New York, Routledge, 2006, p. 22.
Neodrammatico La stessa assenza di matrice rappresentativa può essere una
digitale soluzione per concentrare l’interesse sulla qualità (estetica,
Antonio Pizzo
politica, sociale) delle azioni.
È possibile infatti riconoscere, come indica Mango, un uti-
lizzo dei codici visivi che focalizzino l’attenzione sulla verità
del momento scenico, inteso come qui e ora dell’evento al
di là di specifiche allusioni a una realtà ulteriore/diversa da
quella alla quale assistiamo59. Queste considerazioni, che par-
tono dall’opposizione verità (dell’evento) e finzione (della
rappresentazione), sono utili anche per quanto concerne le
opere drammatiche scritte in un codice multimediale. Infatti,
un progetto di racconto e messa in scena che utilizzi immagi-
ni riprodotte digitalmente, deve trovare i metodi per orche-
strare l’esistenza simultanea in scena di oggetti/corpi reali e
riprodotti. L’arrivo dei media digitali sulla scena comporta
anche una ridefinizione del concetto di presenza “qui e ora”.
In se stesso il concetto di presenza a tea­tro non può essere
ridotto alla pura esposizione del corpo perché, come ricorda
lo stesso Lehmann, «la presenza dal vivo non è in primis un
fenomeno di realtà corporea, ma un fenomeno mentale, una
24 questione di consapevolezza»60. In altre parole si tratta sem-
pre in un effetto di presenza di natura spiccatamente cognitiva
e non fisica61. Inevitabile quindi che la partecipazione dei me-
dia digitali, e la conseguente apparizione mediata di corpi e
oggetti, non neghi il concetto di presenza ma bensì ne decli-
ni ulteriormente le possibilità come propone Giulia Tonucci:
sovrapposizione di presenza, sdoppiamento della presenza,
presenza amplificata, co-presenza, distanza, telepresenza62.
Anzi, la stessa necessità di definire un evento “dal vivo” o “in
presenza” si pone proprio in relazione all’emergere delle
tecnologie di registrazione e diffusione. Questo è il discorso
di Auslander sulla liveness, quando suggerisce la possibilità
che i media (la radio, la televisione, ma anche il computer
e la rete di Internet) abbiano moltiplicato i modi in cui noi

59. L. Mango, La scrittura scenica cit., p. 102.


60. Hans-Thies Lehmann, La presenza a tea­tro, in On presence, a cura di Enrico Pi-
tozzi, numero monografico di «Culture tea­trali», 2011 (I Quaderni del Battello
Ebbro, n. 21), p. 17.
61. Enrico Pitozzi, Figurazioni: uno studio sulle gradazioni di presenza, in On presence
cit., p. 108.
62. Giulia Tonucci, Digital performance: una ridefinizione del concetto di presenza, in On
presence cit., pp. 63-67.
La drammaturgia percepiamo gli eventi “dal vivo”, in contrapposizione a quelli
multimediale “riprodotti”63.
Del resto la nozione di presenza, mantiene le sue radici
tea­trali nei concetti di realtà e corpo, laddove però, come
suggeriscono gli esperimenti condotti da Kaye e Giannachi in
Performing Presence, questi ultimi non sono descritti nella loro
“oggettualità” bensì in termini di processi. Nella loro analisi
risulta che i media contemporanei, sia sociali sia personali,
posseggono un’ubiquità che induce una sensazione di pre-
senza sempre a più livelli tra reale e virtuale. Proprio questa
capacità dei media di amplificare il fenomeno di presenza
in una serie di relazioni di palinsesto con le azioni dal vivo e
con la simulazione di corpi e spazi diventa il territorio d’in-
tervento dei gruppi di media-tea­tro come Big Art Group o
The Builders Association. Nei loro codici scenici, infatti, la
presenza del corpo materiale è sempre in relazione ai suoi
segni e la sua percezione. Nelle parole degli autori,
letta in questo contesto relazionale, e come soggetta ad atti
di rappresentazione e percezione, la presenza è processuale:
una struttura dinamica di intenzione, emozione, e percezio-
ne che emerge nella contestuale percezione e ricezione del 25
segno, piuttosto che una qualità inerente al corpo, individua-
le, o all’azione, o basata nelle stabilità, reali o illusorie, di uno
specifico spazio tempo64.
In termini più ampi possiamo quindi ritenere che l’apparire
dei media digitali e il modo in cui hanno permeato la frui-
zione, ha influenzato anche la maniera in cui percepiamo
l’idea di presenza dal vivo. Di conseguenza potremmo anche
ridefinire la nozione di verità, o ciò che accettiamo come vero.
La verità del momento scenico sarà un effetto la cui efficacia
si baserà su un uso di materiali linguistici differente da quello
sul quale si basava l’happening o l’esperienza radicale degli
anni Sessanta. Nella drammaturgia multimediale la dialettica
non è tra materiale e immateriale ma tra i diversi modi di
essere presente, tra diversi livelli di realtà65.

63. Philip Auslander, Liveness, London - New York, Routledge, 1999; Id., Digital
liveness. a historico-philosophical perspective, in «PAJ: A Journal of Performance and
Art», vol. 34, n. 3, 2012, pp. 3-11.
64. Nick Kaye, Gabriella Giannachi, Acts of presence: performance, mediation, virtual
reality, in «TDR: The Drama Review», vol. 55, n. 4, 2011, pp. 89-91.
65. Pierre Lévy, Qu’est-ce que le virtuel?, Paris, La Découverte, 1995; tradotto in ita-
liano con il titolo Il virtuale, Milano, Cortina, 1997
Neodrammatico Nello spettacolo tea­trale, e più in generale nella perfor-
digitale mance, sono evidenti le qualità materiali, oggettuali dei corpi
Antonio Pizzo
e delle cose che si presentano reali davanti agli occhi del pub-
blico. A una prima indagine potrebbe, dunque, sembrare che
ciò sia negato dall’effimero dell’immagine elettronica e digi-
tale. Anzi sembrerebbe che la dislocazione dell’oggetto/agen-
te al di fuori del suo corpo, al di là del centro di attenzione,
ne annulli la presenza. Eppure la configurazione dell’espe-
rienza contemporanea non può prescindere da una verità
mediata, dalla sensazione che qualcosa sia vero e reale e che
accada davanti ai nostri occhi, anche se creato o riprodotto
digitalmente. Cinema, videogiochi, film di animazione, gra-
fica 3D, hanno ampiamente dimostrato che l’effetto di realtà
non è più legato alla “realtà materiale” del corpo/oggetto66.
L’utilizzo critico della tecnologia video nella produzione, per
esempio, del Big Art Group, individua sovente questa sorta
di dislocazione come un segno forte della propria scrittura
scenica. Ed è un segno che Gallagher-Ross legge chiaramente
come fondante della “visione sovversiva” in SOS (2009):
Il continuo dislocamento della presenza dei perfor-
26 mer – sono qui davanti a noi, e sono lì separati in schermi
diversi, le loro voci sono diffuse ovunque da un sistema au-
dio immersivo – è in effetti un’altra forma di realismo in un
tempo un cui la maggior parte delle persone, volutamente
o meno, vivono su piani paralleli.67

La drammaturgia multimediale assembla media diversi senza


negare o rinunciare all’autenticità dell’evento. Anzi, a vol-
te proprio per un’intrinseca critica alla nozione di realtà si
candida a essere progetto di costruzione di verità. Si tratta
di riflessioni teoriche sulla natura della drammaturgia e dei
codici utilizzati che Maaike Bleeker estremizza, per giunge-
re alla conclusione che le drammaturgie in questo inizio di
ventunesimo secolo non possono non essere mediali, proprio
perché la mente degli spettatori opera in senso mediale68.

66. Antonio Pizzo, Attori e personaggi virtuali, in «Acting Archives Review», vol. 1,
n. 1, pp. 83-118.
67. Jacob Gallagher-Ross, Image eaters: Big Art Group brings the noise, in «TDR: The
Drama Review», vol. 54, n. 4, 2010, p. 77.
68. Maaike Bleeker, Media dramaturgies of the mind: Ivana Müller’s cinematic choreog-
raphies, in «Performance Research: A Journal of the Performing Arts», vol. 17, n. 5,
2012, p. 62. I testi ai quali l’autrice si riferisce nel suo articolo sono Brian Rotman,
La drammaturgia Marianne Weems, regista e drammaturga newyorkese della
multimediale compagnia The Builders Association, da tempo attenta all’uti-
lizzo di tecnologie digitali per la scena, afferma di creare e
dirigere
produzioni basate su storie reali prese dalla vita contempo-
ranea, storie che hanno un contenuto accessibile, attuale,
pregnante e che riflettono la moderna esperienza umana
[…] I progetti di The Builders Association installano un rap-
porto fruttuoso fra il liveness degli interpreti e il liveness della
tecnologia […] il contenuto e la forma sono interconnesse
a un livello drammaturgico profondo.69

In sostanza, proprio la drammaturgia, per la sua capacità di


utilizzare i codici dell’evento dal vivo, trova nel liveness un
nodo tematico specifico nella sua declinazione multimediale,
interrogandosi sull’esperienza sociale della presenza dal vivo
(e con essa dei concetti di tempo e spazio reali) e del modo
in cui l’universo dei media ha ridisegnato il nostro modo di
essere connessi con il mondo70.
Prendiamo per esempio Alladeen, uno spettacolo del 2002
nato da un lungo lavoro di collaborazione di The Builders
27
Association con il gruppo londinese Motiroti di Ali Zaidi e
Keith Khan71.
Alladeen è un’imponente produzione cross-mediale che
esamina le vite dei cittadini che vivono nelle città globali e
ibride come New York, Londra e Bangalore: città dove molte
culture collidono. La storia di Aladino è il veicolo perfetto
per questa “collisione”, poiché ha viaggiato dall’Asia all’In-
dia, fino in Inghilterra e alla Disney, e ognuno l’ha rubata
e reinterpretata dall’altro. Alladeen rileva le questioni filoso-
fiche, sui media e la tecnologia, perché hanno un impatto
sulla cultura globale, e collegano le società ricche con il ter-
zo mondo. In particolare, lo spettacolo guarda al fenomeno

Becoming Beside Ourselves: the Alphabet, Ghosts, and Distributed Human Being, Durham,
Duke University Press, 2008; Walter Ong, Orality & Literacy: the Technologizing of the
Word, London, Routledge, 1982 (trad. it. Bologna, il Mulino, 1986); e H.-T. Leh-
mann, Postdramatic Theatre cit.
69. A.M. Monteverdi, Nuovi media, nuovo tea­tro cit., pp. 257-258.
70. Nick Couldry, Liveness, “reality”, and the mediated habitus from television to the mo-
bile phone, in «The Communication Review», vol. 7, n. 4, 2010, pp. 353-361.
71. Mark J. Sussman, Alladeen [review], in «Theatre Journal», vol. 56, n. 4, 2004,
pp. 695-697; Jennifer Parker-Starbuck, Global friends: the Builders Association at BAM,
in «PAJ: A Journal of Performance and Art», vol. 26, n. 2, 2004, pp. 96-102.
Neodrammatico contemporaneo dei call-centre internazionali, dove operatori
digitale indiani sono allenati a farsi passare da americani. Durante
Antonio Pizzo
un’intensa ricerca a Bangalore, India, gli artisti hanno intervi-
stato gli operatori, i formatori e i proprietari dei call-centre, e
tutto questo materiale è diventato parte integrante della mes-
sa in scena. L’opera esplora il modo in cui noi funzioniamo
come “anime globali” catturate nei circuiti della tecnologia,
e come le nostre voci e le nostre immagini viaggino tra una
cultura e l’altra.72

Sono proprio le questioni legate alla tecnologia, alla comuni-


cazione che fungono da collante concettuale tra i call-centre
di Bangalore e la favola di Aladino, e sono i linguaggi mul-
timediali della scena a esprimere questa sovrapposizione. I
documenti video raccolti a Bangalore sono tangibilmente
connessi alla favola grazie a collage multimediali sulla scena,
strutturati, ricorda Weems, secondo una sapienza drammati-
ca73. Come indicato da Leslie Durham, si tratta di una com-
posizione multimediale di “immagini trovate” al cui interno
riconosciamo il dissidio tra «l’America trovata e l’America
creata»74.
28 A proposito di un più recente lavoro (Super Vision, 2006),
Bonnie Marranca ha proposto l’utilizzo del termine mediatur-
gia riferendosi a una specifica attenzione che alcune opere
pongono sul lavoro con i media:
In questo contesto, mi sono allontanata dall’uso fami-
liare di “drammaturgia” a causa dei suoi legami storici con
il dramma, a adesso preferisco “mediaturgia”, che colloca i
media come centro dello studio.75

Evidentemente esiste una tensione tra i due termini (di cui


Marranca rende conto). Da un lato il lavoro sulle azioni e
dall’altro quello sui media. Si tratta di una tensione che spes-
so si radicalizza nella prospettiva scenica perché gli schermi
e le interfacce tecnologiche mettono in evidenza l’atto della

72. Il testo è tratto dal sito web della compagnia http://www.thebuildersassocia


tion.org/prod_alladeen_info.html (ultimo accesso 7 maggio 2012).
73. Marianne Weems, I dream of global genies, in «American Theatre», dicembre
2003, p.27.
74. Leslie Atkins Durham, Found images and networked Americas in the Builders Asso-
ciation’s Alladeen, in «Theatre Journal», vol. 61, n. 4, 2009, p. 538.
75. Bonnie Marranca, Performance as design. The mediaturgy of John Jesurun’s Firefall,
in «PAJ: A Journal of Performing Arts», vol. 32, n. 3, 2010, p. 16.
La drammaturgia visione al quale il cinema, la televisione e il computer ci han-
multimediale no abituati. Dal punto di vista della progettazione, la scrit-
tura delle azioni dal vivo e quella delle azioni mediate dalla
tecnologia appaiono meno distanti. Certo, i media, special-
mente nel lavoro di The Builders Association, sono centrali
come contenuto del discorso, nella loro declinazione socio-
economica; ma come linguaggio sono assorbiti nel modello
drammatico. Super Vision, per esempio, intreccia tre linee
narrative disposte in senso lineare per discutere il rapporto
tra gli strumenti tecnici di sorveglianza e le informazioni che
proiettano sugli individui76.
1) Un padre sfrutta segretamente i dati personali del gio-
vane figlio per soddisfare le esigenze dello stile di vita della
famiglia. Questo stratagemma però sfugge dal controllo del
padre, fino a che non è costretto a scomparire. Sua moglie e
suo figlio restano con un crudo ritratto fatto di dati, mentre
la sua fuga avviene all’ombra della datasfera.
2) Mentre attraversa una serie consecutiva di frontiere, un
viaggiatore solitario a poco a poco è costretto a rivelare tutti
i suoi dati personali, fino a quando la sua identità diventa
trasparente, senza che alcun pezzo della sua vita sia lasciato
29
al di fuori dei confini dei sistemi di sorveglianza.
3) Una giovane donna, assuefatta al rumore bianco del
collegamento costante, mantiene una relazione a distanza
con la nonna. Mentre si sforza di archiviare digitalmente il
passato di sua nonna, quest’ultima scivola sempre più nella
senilità.77

Secondo Kaye, in questo spettacolo è centrale la tematizzazio-


ne della nozione di presenza nell’universo mediale contem-
poraneo, mediante un processo di drammatizzazione della
“presenza umana” nella sua complessa transizione e il suo flus-
so tra i canali di comunicazione, dal vivo, mediati e registrati78.
Alla base del lavoro quindi esiste una drammaturgia multime-
diale che definisce un testo scenico in cui i codici sono mol-
teplici e paralleli. In una intervista con Richard Schechner,
James Gibbs, fondatore di Dbox e principale ideatore dello

76. Maurya Wickstrom, Data bodies and the awesome apparatus of technology, in «PAJ:
A Journal of Performance and Art», vol. 28, n. 2, 2006, pp.  95-102; Heidi R. Miller,
Super Vision [review], in «Theatre Journal», vol. 59, n. 4, 2008, pp. 658-660.
77. Nick Kaye, Screening presence: the Builders Association and Dbox, SUPER VISION, in
«Contemporary Theatre Review», vol. 17, n. 4, 2007, pp. 560-561.
78. Ivi, p. 558.
Neodrammatico spazio scenico multimediale in Super Vision, non si riconosce
digitale nel consueto ruolo di scenografo, bensì in quello di dramma-
Antonio Pizzo
turgo. E la stessa Weems concorda e gli attribuisce la capacità
di riuscire a manifestare e articolare i concetti che reggono
lo spettacolo grazie alla stratificazione dei codici79. Anche se
nei loro spettacoli (a parte il primo di matrice ibseniana) non
sussiste il tradizionale rapporto tra testo drammatico e messa
in scena, il drammaturgo resta colui che è responsabile del
composizione del contenuto, del senso, e funge da mediatore
tra questo e i codici della scena. In questo caso si tratta anche
di codici informatici.
Ritorniamo quindi nell’ambito della scrittura ma con ca-
ratteristiche – adesso – più definite. Innanzitutto si tratta di
una scrittura che si espande anche al di là dell’evento speci-
fico e, come in molte delle creazioni del gruppo, il materiale
drammatico (dai documenti scritti ai video) serve anche a
creare siti web dedicati, nei quali la vita dell’opera continua
e si propaga nella rete80. In ogni caso, gli autori lavorano uti-
lizzando elementi drammatici tradizionali, come intreccio,
personaggi, obiettivi, conflitti; ma li affiancano alla moltipli-
30 cazione dei punti di vista. Una cifra stilistica del lavoro di The
Builders Association, per esempio, è la ossessiva mediazione
del testo, delle parole dette, con tecnologie della comunica-
zione. In molte scene osserviamo i personaggi mentre parlano
al telefono, oppure con una web cam, o in chat via Internet.
Sembra, come anche in Jet Lag, del 1998, che «il performer
dal vivo non è più il centro dell’attenzione, il medium è il vero
protagonista. […] la contrapposizione di immagini mediate e
dal vivo invita il pubblico a muoversi tra questi due mondi»81.
L’atto linguistico si espleta nella sua qualità presente (l’attore
in scena) e nella sua modalità mediale (la tecnologia) crean-
do una dissonanza nella percezione del pubblico costretto co-
sì a comporre i due piani. Altre volte l’attore reale e la persona
sullo schermo sono differenti ma lavorano all’unisono; come
in Alladeen, quando «uno studente impara a pronunciare i

79. Marianne Weems, James Gibbs, Moe Angelos, Richard Schechner,. Building the
Builders Association. A conversation with Marianne Weems, James Gibbs, and Moe Angelos,
in «TDR: The Drama Review», vol. 56, n. 3, 2012, p. 41.
80. Cathy Turner, Synne K. Behrndt, Dramaturgy and Performance, New York, Palm-
grave Macmillan, 2008, p. 202.
81. Philippa Wehle, Live performance and technology: the example of Jet Lag, in «PAJ: A
Journal of Performance and Art», vol. 24, n. 1, 2002, p. 70.
La drammaturgia nomi di varie città americane […] e vediamo sia un documen-
multimediale tario sullo schermo sopra il palco, sia la rappresentazione di
una lezione, completa con i gesti che replicano il video, sotto
lo schermo». Il personaggio in scena letteralmente doppia
la persona reale dalla quale prende le mosse82. Ricorrendo a
un’esasperazione del Verbatim Theatre, gli attori replicano in
scena le immagini proiettate sullo schermo del documenta-
rio girato nell’ambito delle ricerche per l’elaborazione dello
spettacolo (sono scene selezionate da un corso di formazione
per operatori telefonici). Realtà e finzione si confrontano e si
confondono in una prospettiva di denuncia sociale e politica,
ma in un progetto di natura eminentemente drammatica.
Un simile confronto (corpo reale e corpo elettronico), per
esempio, era alla base di uno spettacolo storico di Barberio
Corsetti e Studio Azzurro: La camera astratta 83. Qui il corpo
in scena era utilizzato come terreno di sperimentazione, in
cui la fisica dei volumi e delle masse si trasformava in una
continua epifania. Come ricorda Lorenzo Mango, la partitu-
ra coreografica nasceva dalla dislocazione di azioni semplici
nello spazio e dal rapporto di scambio reciproco tra i corpi
degli attori, nel loro toccarsi, scontrarsi, sollevarsi, schivarsi84. 31
L’azione avveniva in un assoluto qui e ora reale ed elettronico
ma non conteneva una matrice rappresentativa. L’immagine
elettronica apriva la pratica scenica di Corsetti a una rifles-
sione intima, lirica, ma soprattutto estetica. La camera astratta
partiva dalla relazione tra corpo fisico e corpo elettronico
per rappresentare uno spazio astratto, uno spazio mentale
e mettere in luce una sorta di continuità (anche contiguità
ontologica) tra gli attori in scena e gli attori nei monitor85.
Dunque era innanzitutto una riflessione sui linguaggi: un di-
scorso estetico che può avere implicazioni sociali. In Alladeen è
preponderante il discorso sociale che si svolge attraverso una
specifica estetica86. Si tratta degli stessi elementi, del resto, che

82. L.A. Durham, Found images and networked Americas in the Builders Association’s
Alladeen cit., p. 534.
83. Giorgio Barberio Corsetti, Studio Azzurro, La camera astratta, Milano, Ubuli-
bri, 1988.
84. L. Mango, La scrittura scenica cit., p. 292.
85. Una puntuale analisi e descrizione de La camera astratta si trova in Annama-
ria Sapienza, La tecnologia nella sperimentazione tea­trale italiana degli anni ottanta. Tre
esempi, Napoli, Istituto Universitario Orientale, 1992.
86. Antono Pizzo, Identity, transformation, and digital languages: a conversation with
Neodrammatico ritornano in diverse produzioni multimediali drammatiche.
digitale A proposito di Sarajevo Story del gruppo londinese Lightwork,
Antonio Pizzo
Klich e Scheer scrivono:
La comunicazione mediata tra i personaggi è un ele-
mento essenziale della storia, e un modo chiave del dialogo
[…] Un tema chiave del lavoro è l’idea che, anche con
così tanti metodi di comunicazione nella società contem-
poranea, il senso può ancora essere frainteso, e la gente
può ancora capire ciò che vuole, piuttosto ciò che è detto.
Drammaturgicamente, la soluzione di avere gli attori che
recitano attraverso la camera o parlano al telefono, come
se i personaggi parlassero mediante una mediazione del vivo,
pone l’enfasi sulla mediazione dell’individuo come parte
dell’esperienza quotidiana. Questo è anche un problema
di traduzione e mostra i vari modi, tecnici e culturali, in
cui i nostri comportamenti e discorsi sono tradotti per il
consumo degli altri. Il processo di traduzione in se stesso
è un tema chiave nello spettacolo – testimonianze dirette,
estrapolate da tribunale per i crimini di guerra in Bosnia,
sono lette davanti la corte e simultaneamente tradotte in
inglese.87
32
Come ricorda Ali Zaidi, coautore di Alladeen, i codici multime-
diali in scena acquistano un senso ulteriore se fanno vedere
meglio, se approfondiscono i punti di vista: la drammaturgia
multimediale, in questo caso, lavora come un bisturi per im-
mettere nella rappresentazione (la storia narrata) un innesto
di reale (le storie vere)88. E, sorprendentemente, il documen-
to video – avverte Atkins Durham – anche per il modo in cui
è realizzato, appare più «autentico se comparato con il resto
dell’iconografia della scena»89.
La scrittura multimediale per la scena si configura come
una metodologia di assemblaggio di media diversi all’interno
di un discorso performativo e riconduce l’esperienza contem-
poranea della società dei media a una matrice tea­trale. Sul

Ali Zaidi, in «NoemaLab», http://noemalab.eu/ideas/interview/identity-transfor


mation-and-digital-languages-a-conversation-with-ali-zaidi 22 ottobre 2006 (ultimo
accesso 3 giugno 2012).
87. R. Klich, E. Scheer, Multimedia Performance cit., p. 54.
88. A. Pizzo, Identity, transformation, and digital languages: a conversation with Ali Zai-
di cit.
89. L.A. Durham, Found images and networked Americas in the Builders Association’s
Alladeen cit., p. 533.
La drammaturgia piano del linguaggio scenico quindi lo sforzo è eminente-
multimediale mente compositivo. A volte si tratta di messa in parallelo dei
media diversi, a volte di traduzione/trasposizione. È il caso
della compagnia Imitating the Dog (UK), il cui lavoro «esplo-
ra tecniche drammaturgiche innovative incorporando nuovi
approcci alla scenografia, ai media e alla scrittura, spesso ba-
sati sull’estetica e le tecniche rappresentative del cinema»90. In
particolare, lo spettacolo Hotel Methuselah spinge così in là la
traduzione dei codici tea­trali verso quelli cinematografici che
limita la visione del pubblico. L’azione si svolge all’interno di
una sezione orizzontale di circa sei metri tagliata in una parete
davanti al pubblico. Questa sezione mostra solo i corpi degli
attori (dalle ginocchia al collo). Immediatamente dietro lo
spazio in cui recitano gli attori è proiettato un film che questi
replicano in sincrono91.
In questo caso la tenuta tea­trale è sostanzialmente legata
alla coerenza del progetto drammaturgico, che è innanzitut-
to un racconto. Lorenzo Mango ricorda che «in quei modelli
che possiamo definire genericamente rappresentativi (cui
possiamo riferire senz’altro il tea­tro = parola ma, per molti
versi, anche la regia che si esprime attraverso la sintesi dei 33
linguaggi) il linguaggio è sempre finalizzato a dire, a comu-
nicare qualcosa»92. Nella scrittura scenica «non si tratta di
sostituire a un senso narrativo espresso per tramiti letterari
uno che si esprime per tramiti scenici, quanto riconsiderare,
daccapo, il meccanismo stesso della produzione di senso»93.
Nella drammaturgia multimediale il meccanismo della pro-
duzione del senso trascende i tramiti specificamente letterari
e considera invece quelli, ormai altrettanto consolidati, dei
media.

6. Il racconto scenico e la performance tecnologica


Ciò che abbiamo definito «drammaturgia scenica» o «dram-
maturgia della scena», cioè – lo ripetiamo – tutta la scrittura
che si polarizza «sul fatto scenico», apre una frattura tra «azio-

90. Tratto dalla scheda di presentazione della compagnia sul sito web http://www.
imitatingthedog.co.uk/company.asp (ultimo accesso 4 giugno 2012).
91. Anna Furse, Theatre in Pieces: Politics, Poe­tics, and Interdisciplinary Collaboration:
an Anthology of Play Texts 1966-2010, London, Methuen Drama, 2011.
92. L. Mango, La scrittura scenica cit., p. 134.
93. Ivi p. 135.
Neodrammatico ne scenica e racconto» cosicché «la finalità del dramma cessa
digitale di essere la narrazione»94. Invece, l’ambito che stiamo circo-
Antonio Pizzo
scrivendo, si caratterizza proprio nella produzione di senso
mediante il racconto, anche se la ricerca linguistica si con-
centra sull’individuazione di canoni diversi da quelli letterari
che hanno caratterizzato i testi drammatici tradizionali. La
drammaturgia multimediale, pur utilizzando codici e materia-
li linguistici tea­tralmente non ortodossi, mette in campo una
sapienza compositiva, spesso connotata in senso transmediale,
per restituire la coerenza di un progetto narrativo. Del resto,
anche i primi esperimenti italiani di scena tecnologica e me-
dia digitali condotti da Giacomo Verde nascono dalla volontà
di reinventare la tecnica narrativa in relazione alle possibilità
di interazione e manipolazione dei contenuti digitali come
accade per Storie mandaliche 2.0 del 2003, su testi di Andrea
Balzola95. La prospettiva si fa addirittura più metodologica
e arriva a ipotizzare un vero e proprio modello di struttura
modulare e personalizzabile con il “kit drammaturgico” di
Cercando Utopie: contagio (2005).
Mentre è indubbio, come abbiamo già detto, che larga
34 parte della scena contemporanea mostri i caratteri di una
produzione che esula dalla forma prettamente drammatica,
è altrettanto vero che all’interno della produzione tecnotea­
trale esiste un’attenzione al dramma e al racconto. I media
hanno sviluppato una forte attitudine narrativa (il mondo
si racconta sempre più per immagini in movimento) e in
particolare rivelano spesso una qualità drammatica96. Per
altro, Randall Packer e Ken Jordan indicano la qualità nar-
rativa – insieme a integrazione, interattività, ipermedialità
e immersione – tra i caratteri peculiari del multimedia97. E
i primi studi di cultura e creatività digitale, come il saggio
di Laurel e quello di Murray, sono centrati sulla potenza

94. L. Mango, Drammaturgia scenica e performance digitale cit., p. 34.


95. A. Balzola, Verso una drammaturgia multimediale cit., p. 309.
96. Qui differiamo in parte da quanto sostiene Mango, per il quale «le arti della
visione hanno altre priorità e altre peculiarità comunicative, che non escludono
necessariamente la dimensione narrativa ma, di certo, non la eligono a momen-
to di sintesi dei processi semantici», L. Mango, Drammaturgia scenica e performance
digitale cit., p. 34. Per la nozione di media drammatici (dramatic media) cfr. Martin
Esslin, The Field of Drama, London, Methuen Drama, 1987.
97. Randall Packer, Ken Jordan (a cura di), Multimedia: from Wagner to Virtual Real-
ity, New York, Norton & Company, 2001, p. xxxv.
La drammaturgia rappresentativa e la capacità di raccontare dei linguaggi di-
multimediale gitali98.
Journey of Love and More Love, spettacolo questa volta diretto
dal solo Ali Zaidi di Motiroti, potrebbe a prima vista legarsi a
forme esclusivamente performative, con l’intenzione di stabi-
lire un evento conviviale, ponendo l’accento più sull’esperien-
za che sulla rappresentazione. Si tratta di una cena-spettacolo
in cui il pubblico, seduto ai tavoli, gusta diverse portate pre-
parate e servite al momento, mentre tre attori raccontano
episodi della biografia dell’autore99. Il tema intreccia le radi-
ci culturali e le scelte personali per discutere della nozione
d’identità nelle sue varie accezioni (esistenziali, sociologiche,
politiche). La scenografia può variare a seconda dello spazio
ma si compone essenzialmente di quattro schermi sui quali
scorrono immagini, video documenti, grafiche, vecchie pel-
licole, e non ultimo gli ingredienti dei piatti che vengono
serviti. I tre attori alternano momenti di puro racconto a brevi
scene in cui mostrano eventi, frazioni della storia. Il modello
drammaturgico ha le caratteristiche di un laboratorio in pro-
gress. L’idea dello spettacolo nasce da uno slide show che Ali
Zaidi preparò in occasione di una cena in ricordo del padre 35
scomparso, ma è stato elaborato nel corso degli anni e si è
arricchito di nuove sezioni, interviste e altri documenti video
realizzati nel luogo in cui lo si presenta. Si tratta di un rac-
conto a episodi e, a ogni tappa (Napoli, Londra, Melbourne,
Singapore) i documenti video presentano una prospettiva
differente dell’argomento (interculturalità, sessualità, cibo,
tradizione, casa, ecc.). La scrittura multimediale della scena
quindi è concepita per essere modulare, componibile, come i
piatti serviti e realizzati di volta in volta su ricette originali ela-
borate per l’occasione. Ma è peculiare la coerenza narrativa e
l’attenzione posta nella durata (calcolata con precisione per
servire il cibo nei tempi giusti) e la corrispondenza tra le por-
tate e il percorso emotivo del pubblico. Si tratta di un viaggio
nei sapori e nelle emozioni che ha un primo, un secondo e

98. Mi riferisco ai due saggi molto influenti anche se in seguito, almeno in parte,
superati: Brenda Laurel, Computer as Theatre, Boston, Addison Wesley Longman,
1993; Janet H. Murray, Hamlet on the Holodeck. The Future of Narrative in Cyberspace,
New York, Free Press, 1997.
99. Cfr. Anna Bandettini, In cantina, sui tetti e perfino a tavola, in «la Repubblica»,
28 aprile 2009.
Neodrammatico un dolce come “inizio, mezzo e fine”. La moltiplicazione dei
digitale segni e dei codici (in questo caso anche i sapori e gli odori)
Antonio Pizzo
è gestita dall’artista al fine di un’unità di senso e di raccon-
to. Anzi, l’unità acquista un valore etico in contrapposizione
alle forze centrifughe (mercato, globalizzazione, economia)
che – sembra dire l’autore – tendono a frammentare la no-
stra esperienza esistenziale. Diremmo che Journey of Love and
More Love è improntato a un umanesimo digitale, e in questa
prospettiva produce una composizione organica dei linguaggi
multimediali.
E qui si apre un’altra differenza con la nozione di scrittura
scenica. La partitura scenica multimediale non è realizzata a
partire dalle unità minime dei codici, o meglio dai loro ma-
teriali linguistici, bensì, come ricorda Balzola, dalla messa in
parallelo dei codici nella loro autonomia.
Nelle opere/eventi multimediali, infatti, alla massima
differenziazione e libertà possibili delle modalità creative e
delle poe­tiche che possono dare luogo alla combinazione
dei codici espressivi, corrisponde l’affermazione di un iper-
codice che non è l’opera totale, non è la somma o la sintesi
36 delle arti, ma è una dimensione diversa da ciascun linguaggio
(o codice) che vi partecipa, è una pluralità sinestetica che tra-
sforma il gene(re) artistico in un’identità ibrida e mutante. Il
motore di questa trasformazione è l’innovazione digitale.100

Implicitamente Balzola si riferisce alla questione della inter-


medialità, della quale si trova un sintetico ed efficace quadro
teorico nel lavoro di Rosemary Klich e Edward Scheer101.
Appare paradigmantica, in tal senso, l’esperienza dell’ar-
tista catalano Marcel·lí Antúnez Roca, in special modo se os-
serviamo le sue recenti produzioni ispirate a I giganti della
montagna di Luigi Pirandello. Cotrone (2010) e Pseudo (2012)
rappresentano, nella sua attività, a partire dagli anni Novanta,
una direzione peculiare poiché è la prima volta che lavora su
un testo di drammaturgia tradizionale, e possono essere consi-
derate l’approdo di un percorso organico e costante, al quale
l’artista catalano ha da tempo dato il nome di Sistematurgia102.

100. Andrea Balzola, L’utopia della sintesi delle arti, in A. Balzola, A.M. Monteverdi
(a cura di), Le arti multimediali digitali cit., p. 53.
101. R. Klich, E. Scheer, Multimedia Performance cit., pp. 67-87.
102. Sulla nozione di sistematurgia, cfr. ciò che lo stesso artista scrive in un inter-
vento sul proprio sito web http:/ /www.marceliantunez.com/tikiwiki/tiki-read_ar
La drammaturgia La sua esperienza con la Fura dels Baus, sia per la costante
multimediale attenzione al disegno, sia per la concezione della scena come
grande affresco dinamico, è stata il punto di partenza di un’at-
tenta riflessione sulla progettazione e scrittura di eventi. Se
non nel contenuto, almeno nel modo, gli eventi, tra e con il
pubblico, dovevano avere una partitura precisa che assicuras-
se il controllo non solo dei performer ma soprattutto delle
reazioni degli astanti103.
Marcel·lì Antúnez Roca, pur prediligendo una scena in
cui prevalgono immagini, suoni, meccaniche, non è appagato
dalla logica della visione come contemplazione, esperienza,
o pura energia, bensì cerca di recuperare una qualità dram-
matica (almeno in nuce) ricorrendo a due elementi fondanti:
racconto e trasmissione di senso104. Nello stesso momento in
cui è attiva questa tensione verso la natura drammatica, è evi-
dente che i codici utilizzati appartengo a un universo diverso,
diremo affine al cosiddetto postdrammatico. La dissociazione
e lo smantellamento della dramatis personae, quale fondamen-
to per la dialettica tra corpo e schermo; il passaggio dall’opera
all’evento che «rende esplicita la natura di processo» e la sua
«impredicabilità»; la struttura a numeri ricombinabili (eventi 37
conclusi in se stessi ma legati da un nesso tematico o stilistico),
tipica del varietà105.
Sebbene le due produzioni partano dal testo pirandellia-
no non ne utilizzano le battute, bensì attingono a un’ampia
gamma di suggestioni, utilizzandolo, appunto, come mito del
tea­tro. Lo spettacolo, quindi, non si caratterizza come regia
di un testo, invece di leggere il dramma la performance dice,
e quindi riscrive, il mito. In questo senso, i problemi affron-
tati dall’artista, anche se riguardavano la scena, le azioni, gli
elementi in gioco, sono stati trattati secondo metodologia
drammaturgica. Infatti, il lavoro ha avuto inizio sia con la
scrittura di un canovaccio della vicenda (al quale hanno colla-
borato Pere Vilà Barceló e l’autore di questo volume), sia con

ticle.php?articleId=142; sempre dell’artista cfr. Membrana, Panspermia, Barcelona,


2009; e l’intervista apparsa con il titolo Sistematurgia: la quarta parete e lo schermo, in
«Mimesis Journal», vol. 1, n. 2, 2012.
103. H.-T. Lehmann, Postdramatic Theatre cit., p. 124. Per l’attività della Fura cfr.
Alex Ollé, Albert Mauri, La Fura dels Baus, 1979-2004, Barcelona, Electa, 2004.
104. Lorenzo Mango, Il problema del dramma nell’epoca del postdrammatico, in «Prove
di drammaturgia», vol. XVI, n. 1, 2010, pp. 39-43.
105. H.-T. Lehmann, Postdramatic Theatre cit., p. 61.
Neodrammatico la composizione di una serie di storyboard in cui Marcel·lì ha
digitale visualizzato le storie da raccontare. Il tutto orientato al recu-
Antonio Pizzo
pero di alcuni temi pirandelliani quali la “commedia da fare”,
così come l’improvvisazione a soggetto, la magia tecnologica,
ma soprattutto l’arsenale delle apparizioni quale metafora dello
spazio performativo dell’artista catalano.
I due spettacoli, pur diversi, assumono l’arsenale delle ap-
parizioni come il luogo in cui agiscono due attori come due
guitti (in Cotrone) o lo stesso artista nei panni del mago (in
Pseudo), e dichiarano fin da subito l’intenzione di giocare con
il pubblico, utilizzando l’opera di Pirandello come ambiente
narrativo e tematico. Le due versioni utilizzano l’iconografia
e i nomi de I giganti per costruire una personalissima tragi-
commedia dell’artista contemporaneo.
In Cotrone, i due protagonisti millantano una missione nar-
rativa della quale lo stesso Pirandello dal suo letto di morte li
avrebbe investiti. Il poe­ta siciliano avrebbe raccontano di Co-
trone che recupera i pezzi di Ilse per ricomporla nell’arsenale
delle apparizioni, ormai abbandonato, e insieme a lei ricorda
le vite possibili dei sopravvissuti. L’arsenale da spazio onirico
38 diventa insieme macchina del tempo e punto di osservazione.
Il mago e la contessa rediviva raccontano ciò che è stato di
tutti i personaggi dell’opera, ognuno dei quali ha cercato in
un modo o nell’altro la propria via nel mondo, finendo tutti,
inevitabilmente, ingoiati da una gigantessa indifferente. Da
Diamante a Spizzi, dal Conte a Cromo, tutti sono mostrati
nei loro tentativi (dal ridicolo al tragico) di sopravvivere al
mondo; ma tutti si trasformeranno in cibo e verranno inghiot-
titi: anche Cotrone e Ilse; così come gli stessi performer che
termineranno lo spettacolo vestiti (in video) da grasse salsicce
sulla brace: cotti e mangiati.
Un simile impianto drammatico sostiene Pseudo, ma questa
volta il mago Cotrone è in scena e si confonde con la figura
di Marcel·lì che accoglie il pubblico come se fosse in strada,
accompagnato da un orso bianco ammaestrato (Oriol Iba-
nez, che, smesso il costume, continuerà a fargli da assisten-
te tecnico). In Cotrone la configurazione era frontale con il
pubblico seduto e un grande schermo in fondo alla scena;
in Pseudo gli spettatori restano in piedi intorno al performer,
circondati da tre schermi. In questo caso l’impianto narrativo
acquista maggiore coerenza proprio dalla figura del perfor-
mer che, coperto da una complessa imbracatura tecnologica
La drammaturgia (esoscheletro, protesi, amplificatori, persino un casco micro-
multimediale proiettore) sembra una sorta di “uomo orchestra”. In bilico
tra il “cantastorie” e “ultimo sopravvissuto” si fa in ogni caso
testimone vivente della potenza onirica dello spazio/arsenale.
Insomma, si tratta di un apparato drammaturgico comples-
so, intessuto di tensioni interne, divergenti e contrapposte,
tenuto insieme innanzitutto da una dimensione pragmatica
fondata su alcuni punti fermi: il materiale narrativo del testo
pirandelliano serve da sfondo; gli attori in scena sono perso-
naggi/narratori coinvolti nella vicenda; la partitura, pur se
prevede la partecipazione del pubblico, è precisa e definita
fino alla singola battuta e la relativa associazione con l’input al
sistema per l’interazione. La metodologia di lavoro si avvicina
alla scrittura dell’interazione. Vale a dire che, stabilito il quadro
di tutti gli agenti della performance (e con agente, intendia-
mo gli elementi coinvolti: performer, animazioni, pubblico,
robot, ecc.) si passa alla scrittura dei comportamenti (intesi
come insiemi di espressioni verbali, azioni fisiche e stati men-
tali) che dovranno essere eseguiti in scena.
La sistematurgia di Marcel·lì prevede che la scrittura sceni-
39
ca sia “letta” anche dall’ambiente digitale, al fine di rendere
efficace la comunicazione con il sistema informatico di con-
trollo della scena. Per questo è necessaria una più precisa
formalizzazione. La forma drammatica intesa come battuta/
dialogo non è più sufficiente per convogliare la complessità
dei codici scenici multimediali e deve essere scomposta in atti
(verbali, fisici, mentali). Mentre la puntuale descrizione degli
stati mentali è ancora affidata al lavoro di prove con gli attori,
gli atti verbali e fisici hanno una precisa descrizione nella
scrittura. E questa rappresentazione formale ha permesso di
descrivere orizzontalmente tutti gli atti, sia quelli degli agenti
in scena sia quelli generati dal sistema informatico. Questa
partitura è scritta su un foglio di calcolo – in cui l’altezza rap-
presenta la successione cronologica, e la larghezza i tipi di atto
(espressione verbale, movimenti, sistema informatico, suono,
video) – e all’interno del sistema di controllo dell’interazione
(POL) progettato e realizzato da Marcel·lì Antúnez Roca, ag-
giornato ancora una volta in occasione di queste produzioni.
Lo stesso insieme di ragioni (orizzontalità di codici e com-
plessità del sistema) ha condotto a un’autorialità collettiva
che, pur sotto la guida ferma dell’artista, ha visto la scrittura
Neodrammatico dei dialoghi, la grafica, l’animazione, la programmazione dei
digitale sistemi, procedere in parallelo e coordinate106.
Antonio Pizzo
Questa sistematurgia, come abbiamo detto la scrittura
dell’interazione tra attori dal vivo, contenuti digitali e pub-
blico, ha come obiettivi tramettere un senso e articolare una
narrazione. Cotrone recupera la drammaturgia per numeri del
tea­tro di varietà, mentre Pseudo le tecniche di animazione di
tea­tro da strada, e in entrambi i casi i momenti scenici sono
chiari, e procedono, per accumulazione, verso un affresco
unico. Le azioni che compongono il plot della vicenda (e i
sub-plot delle singole scene) non avvengono tutte sul palco,
e gli agenti narrativi non sono sempre dal vivo in scena. Pur
essendo una drammaturgia che si basa sulla presentazione di
personaggi e delle loro storie, le azioni sono distribuite, su
vari livelli, dal palcoscenico allo schermo.
Proprio l’articolazione di questi livelli ha rappresentato
il secondo nodo metodologico più complesso nella realizza-
zione degli spettacoli, la soluzione del quale richiede alcune
considerazioni sulla presenza degli attori e sulla collocazione
di Cotrone all’interno dell’orizzonte delimitato dai concetti di
40 performance e rappresentazione. Marcel·lì intuisce la neces-
sità di ricondurre tutti i materiali linguistici utilizzati fino a
quel momento della sua attività artistica, e ancora legati al
codice scenico della performance, a un linguaggio capace
di assumere quel materiale linguistico (incluso il multime-
diale) e farlo confluire nell’ampio alveo della drammaturgia
tea­trale. In tal senso, la sistematurgia intende proprio ricon-
durre il progetto della performance a un codice drammatico
(seppur rinnovato). Della drammaturgia le ultime creazioni
dell’artista recuperano la narrazione di una storia e l’utiliz-
zo di agenti che descrivono personaggi. In entrambi i casi,
quindi, si tratta di un riferimento alla matrice rappresentativa.
Inoltre la narrazione viene articolata in un flusso continuo di
eventi in cui è riconoscibile un legame strutturale tra le varie
azioni del plot. A ciò aggiungiamo che, nonostante la natura
frammentata dell’impianto narrativo, il plot tende a restituire
un’immagine unitaria di una scena in cui i codici sono spinti

106. Si veda anche quanto affermano Andrea Balzola e Paolo Rosa: «la figura
dell’artista plurale non prende forma da un’utopia romantica o da una generica
istanza collettivistica, ma da una necessità oggettiva derivata dalla complessità pro-
gettuale e realizzativa tipica di quest’epoca», in L’arte fuori di sé cit., p. 54.
La drammaturgia verso il caleidoscopio, e dunque è possibile riconoscere un
multimediale principio drammatico che attesta «l’interezza, l’illusione e la
rappresentazione di un mondo»107.
Da un punto di vista operativo, ciò ha reso necessario di-
stribuire la narrazione tra i diversi media (compresi la stessa
scena e gli attori) limitando le interruzioni del flusso. A ciò
corrisponde una sorta di orizzontalità della scrittura, in cui
l’autore scrive un metatesto nel quale definire le norme compo-
sitive e le relazioni di una serie di singoli testi linea­ri, di diver-
sa lunghezza, posti in parallelo. La sistematurgia rappresenta
il principio d’ordine di questo metatesto e in particolare la
sua definizione in senso digitale (intendendo in questo senso
sia le apparecchiature di rappresentazione e interfaccia, sia i
software di programmazione).
In questo orizzonte, l’attore smette di essere il centro di
produzione del senso, e assume il compito (come un hub) di
smistare i contenuti narrativi. E ciò non solo perché è incarica-
to del controllo della scena grazie ai dispositivi tecnologici che
indossa, ma anche perché deve calibrare la propria presenza
sull’asse performance-recitazione108. A questa calibrazione
della presenza corrisponde l’articolazione dei livelli nella 41
drammaturgia nella quale bisogna tenere sempre conto delle
necessità narrative del testo, dei codici utilizzati nella perfor-
mance, e della dimensione psicofisica dell’attore azione per
azione109. Esemplare, in tal senso, la performance di Pseudo in
cui il performer si muove continuamente tra i ruoli (Cotrone,
il cantastorie, il filosofo) giocando sull’idea di doppio, incar-
nato in una testa meccanica con le sue sembianze con la quale
dialoga nel corso dello spettacolo.
Oltre a questo avvicinamento alla matrice rappresentati-
va la drammaturgia delle due produzioni è permeata da un
ulteriore elemento caratteristico e qualificante del dramma:
il conflitto. Possiamo concordare con Lehmann quando so-

107. H.-T. Lehmann, Postdramatic Theatre cit., p. 22.


108. Ci riferiamo all’intervento di Michael Kirby apparso con il titolo On acting
and not-acting, in «TDR: The Drama Review», vol. 16, n. 1, 1971, pp. 3-15; in segui-
to pubblicato in Phillip B. Zarrilli (a cura di), Acting (Re)Considered. A Theoretical
and Practical Guide, New York - London, Routledge, 2002, pp. 40-52; e tradotto in
italiano da Mario Prosperi con il titolo Recitare e non recitare, in «Acting Archives
Review», vol. 1, n. 1, 2011, pp. 172-188.
109. Phillip B. Zarrilli, Introduction, in Id. (a cura di), Acting (Re)Considered cit.,
p. 17.
Neodrammatico stiene che «la stanchezza della forma drammatica sia in qual-
digitale che modo collegata all’incapacità di pensare la realtà come
Antonio Pizzo
connotata dal conflitto»110. Eppure in Marcel·lì è evidente
il desiderio di rappresentare il senso mediante l’esposizione
di conflitti. Tutte le microstorie della vicenda hanno un alto
contenuto drammatico se misurato nei termini di conflitto.
Un personaggio ha un obiettivo per il quale elabora un piano
che fallisce a causa di un ostacolo (evento casuale o agente).
Finanche l’excursus filosofico da Platone ai fratelli Lumière,
per descrivere una continuità tra il mito della caverna e il ci-
nema, in Pseudo, accade in un video come una serie di combat-
timenti da comica del cinema muto. L’attenzione dell’artista
catalano alla drammaturgia e al racconto, in sostanza, muove
proprio dalla realizzazione di un altro, e fondamentale, con-
flitto che muove la sistematurgia, e legato alla dialettica dram-
matica: un’irrisolvibile tensione, interna alla propria scrittura
scenica multimediale, tra rappresentazione e performance,
che dà forma a un dissidio tra artista e mondo111.
Il discorso che abbiamo sviluppato non coincide con una
teoria della performance digitale, ma ne è implicato. Con-
42 cordiamo con Mango quando sostiene che «la performance
digitale modifica/eccede la nozione di drammaturgia scenica
[che per l’autore è sinonimo di scrittura scenica], ma al tempo
stesso la conferma. Anzi la conferma in quanto la eccede»112.
Vogliamo però ribadire che ciò che descriviamo come dram-
maturgia multimediale riguarda processi di generazione di
progetti narrativi in cui sia fondamentale l’organizzazione e
scrittura delle azioni, l’utilizzo di codici e materiali linguistici
non specifici del tea­tro (nemmeno di quello che abbiamo
conosciuto come moderno), l’importazione e la traduzione
(meglio, rimediazione) dei linguaggi propri del digitale; il
tutto con una prospettiva neodrammatica che pone al centro
non la dissoluzione quanto la restituzione unitaria del senso.

110. Hans-Thies Lehmann, Cosa significa il tea­ tro postdrammatico, in «Prove di


drammaturgia», vol. XVI, n. 1, 2010, pp. 4-7.
111. Antonio Pizzo, La drammaturgia in Cotrone, in T. Mazali, F. Mazzocchi, A. Piz-
zo (a cura di), Marcel·lì Antúnez Roca e la performatività digitale cit.
112. L. Mango, Drammaturgia scenica e performance digitale cit., p. 38.
Neodrammatico 2. Narratività digitale
digitale
Antonio Pizzo

1. Le ipotesi di Brenda Laurel per una poe­tica del computer 43


Nel precedente capitolo abbiamo collocato la “drammatur-
gia multimediale” in un contesto neodrammatico, e ne ab-
biamo sottolineato l’attitudine al racconto. Ciò entra necessa-
riamente in relazione con la narratività in ambito digitale. La
questione della creazione di eventi narrativi e/o drammatici
mediante procedure automatiche e computazionali nasce
circa venti anni fa all’interno di un più ampio dibattito sulle
qualità narrative dei media digitali. Con buona approssima-
zione, possiamo dire che la questione comincia a emergere
con il lavoro di Brenda Laurel, già a partire dal 1991, e il suo
saggio Computer as Theatre 1.
Il volume è nato all’interno nell’ambito dell’interaction de-
sign, e la sua attenzione allo strumento digitale quale elemen-
to che partecipava, insieme con gli altri (televisione, cinema,
ecc.), alla rappresentazione del mondo, ne ha amplificato di
molto la risonanza. Benché siano evidenti alcuni limiti (in
particolare un utilizzo semplicistico della Poetica di Aristote-
le), il saggio intuiva (in anni in cui tutto ciò era allo stadio

1. B. Laurel, Computer as Theatre cit.


Neodrammatico iniziale) che il computer (e in particolare il computer mul-
digitale timediale che utilizzava interfacce grafiche, colori, suono,
Antonio Pizzo
mouse, ecc.) poteva essere letto in una prospettiva umani-
stica e non solo tecnica, per definire gli strumenti culturali
che reggono e assistono la sperimentazione nell’ambito della
creatività digitale. In altre parole, si trattava di mettere da
parte le linee di codice, per aprirsi a nuove considerazioni
di ordine culturale. Il punto di vista della Laurel diventò un
riferimento (implicito o esplicito) per quasi tutti i discorsi in-
torno ai nuovi media digitali. Nel suo lavoro, Laurel non solo
non descrive linee di codice, ma evita anche di avventurarsi
nella futurologia: un limite che, per esempio, indebolisce il
pur famoso Essere digitali di Nicholas Negroponte2. Laurel
ha messo in luce l’evoluzione che ha condotto il computer
da macchina per fare calcoli a nuovo medium per la rappre-
sentazione della realtà3. Sulla base di quest’assunto cerca di
recuperare nella tradizione culturale occidentale le regole
che possano reggere il linguaggio di questo medium. Quindi
riprende dall’ambito semiotico l’idea che la comunicazione
digitale possa essere considerata una sorta di discorso, ma – e
44 questa è una forte novità – lo colloca in un orizzonte di tipo
performativo, perché – afferma – la rappresentazione digita-
le ha molto in comune con la rappresentazione performativa,
e quindi, semplificando, con il tea­tro. Dunque, per compren-
dere il mezzo digitale non bisogna riferirsi solo alla tecnica
retorica, ma anche alla specifica arte drammatica. Questa è
la ragione per cui l’autrice introduce – e dopo di lei molti
altri – le teorie aristoteliche sul tea­tro (la Poetica) nello studio
dei nuovi media.
Perché Aristotele? […] Non ci sono punti di vista più
moderni che sarebbero più appropriati all’obiettivo? […]
senza dubbio ci sono studiosi più recenti che hanno fornito
contributi fondamentali alla teoria del dramma. Ma nessuno
ha fornito una teoria del dramma così omnicomprensiva e
ben integrata come Aristotele; […] Nessuno ha presentato
una visione alternativa sulla natura del dramma che ha rag-
giunto un simile e universale riconoscimento […] Il para-
digma aristotelico è più appropriato allo stato della odierna

2. Nicholas Negroponte, Essere digitali, Milano, Sperling & Kupfer, 1995 (ed. in-
glese Being Digital, New York, A. Knopf, 1994).
3. B. Laurel, Computer as Theatre cit., p. 1.
Narratività tecnologia al quale noi siamo interessati. Per costruire una
digitale rappresentazione che abbia qualità tea­trali all’interno di un
ambiente generato dal computer, è necessaria una profon-
da, robusta e logica nozione della struttura degli elementi e
dinamiche – e questo è proprio ciò che ci fornisce Aristotele
[…] Le sue teorie possono essere utilizzate in senso pro-
duttivo, non perché sono ricette ma perché identificano e
spiegano le caratteristiche formali e strutturali del dramma.4

Qui l’autrice segna un punto fondamentale nel rapporto tra


discipline umanistiche e scienza informatica. In altre parole,
il rapporto tra i due ambiti potrà superare la natura puramen-
te funzionalistica (per esempio, contenuti artistici distribuiti
mediante tecnologie informatiche) quanto si affronta un con-
fronto epistemologico: il “tea­tro” non è un contenuto da archi-
viare o distribuire mediante tecnologie informatiche, bensì un
sapere che può essere rappresentato mediante sistemi logici
formali, a patto che se ne riducano al minimo le ambiguità
(in altre parole un sapere dichiarativo); e in questo modo par-
tecipare alla produzione di nuovo sapere. Anche se l’inda-
gine aspira a essere generale, nei fatti, seguendo un sentiero
performativo, si concentra sull’aspetto creativo e ludico dei 45
media digitali, e pertanto osserva specialmente l’ambito dei
videogame. L’autrice individua il fulcro della sua riflessione
nei famosi sei elementi della tragedia descritti da Aristotele
(favola, carattere, pensiero, linguaggio, melodia, spettacolo)
per traslarli in ambito digitale. (1) Action: l’azione intera, così
come emerge dalla collaborazione tra user e sistema a ogni
sessione interattiva; (2) Character: l’insieme delle attitudini e
dei tratti che derivano dalle scelte e dai ragionamenti degli
agenti, sia artificiali sia umani; (3) Thought: i processi elabo-
rati che reggono le scelte, la cognizione, le emozioni e le
deliberazioni in attività sintetiche e umane; (4) Language: la
selezione e la disposizione di segni, verbali, visuali, sonori e
altri; (5) Melody (pattern): la gradevole percezione di schemi e
forme; (6) Spectacle (enactment): la dimensione spiccatamente
sensoriale dell’azione rappresentata5. Una delle deduzioni
più rilevanti di Laurel, ai fini del nostro discorso, è il passag-
gio dall’elemento Character (carattere) alla nozione di Agency.
Innanzitutto riassume il carattere aristotelico come un nu-

4. Ivi, pp. 36-38.
5. Ivi, p. 50.
Neodrammatico cleo di tratti, predisposizioni e scelte che, prese nell’insieme,
digitale formano un’entità coesa. Queste entità sono gli agenti delle
Antonio Pizzo
azioni nella trama. «L’azione (attività, agency) come parte
della rappresentazione non necessita di essere impersonata
in “personaggi” come noi normalmente li pensiamo – cioè,
rappresentazione di esseri umani»6. Se è possibile avere la
percezione di un’attività anche in ciò che non ha forma o
aspetto, letterale o metaforico, di un essere umano, allora la
nozione di agency si applica anche alla macchina. In qualità di
spettatori/utilizzatori siamo sempre portati a interpretare un
comportamento come risultato di un processo attivo di una
qualche forza agente. Laurel ritiene che, nell’interazione con
il computer, noi presupponiamo sempre, anche quando non
esplicitamente rappresentata, l’esistenza di qualche agente,
così come sosterranno pochi anni dopo gli autori di The Me-
dia Equation: How People Treat Computers, Television, and New
Media Like Real People and Places 7.
Sia il ricorso ad Aristotele, sia il riferimento agli agenti,
non solo rende l’approccio della Laurel contiguo al tea­tro
nella sua natura performativa (di spettacolo), ma introduce
46 una riflessione sulla natura progettuale insita nella macchina
da calcolo (come testo, scrittura, partitura). Porre l’accento
sulla qualità mimetica e rappresentativa del medium digita-
le, apre un discorso più specifico sulla relazione tra attività
narrativa e mondo digitale.

2. Il futuro della narrativa secondo Janet Murray


Le ipotesi di Laurel si inseriscono all’interno di un più am-
pio discorso sulla narrativa e il computer (altrimenti detto
virtual storytelling) che riassumeremo utilizzando tre studi
molto rappresentativi. Ma prima di tutto bisogna specificare
che le questioni sulla narrazione alle quali accenneremo non
riguardano la letteratura in senso tradizionale, bensì coin-
volgono quelli che Martin Esslin ha definito dramatic media8,
intendendo con questo termine tutti quei media basati su
azioni mimetiche e che ricreano eventi reali o di finzione, e

6. Ivi, p. 60.
7. Byron Reeves, Clifford Ivar Nass, The Media Equation: How People Treat Com-
puters, Television, and New Media Like Real People and Places, New York, Cambridge
University Press, 1996.
8. M. Esslin, The Field of Drama cit.
Narratività che richiedono l’azione e l’interazione di esseri umani reali
digitale o simulati davanti un pubblico come se stesse avvenendo qui
in questo momento (tea­tro, cinema, televisione).
Hamlet on the Holodeck. The Future of Narrative in Cyberspace
di Janet H. Murray (1997) è un primo tentativo strutturato
teso a verificare le possibilità narrative del mezzo digitale9.
Le argomentazioni seguono un ordine molto chiaro: verifi-
care se esiste e in che forma una nuova nozione di narrativa
rispetto al modello ottocentesco o poststrutturalista; definire
l’estetica del mezzo digitale; comparare le diverse possibilità
narrative del mezzo. Murray parte dal modo in cui la fan-
tascienza immagina le potenzialità future, prendendo per
esempio l’episodio Persistenza della visione (ventiquattresimo
della serie Star Trek: Voyager), in cui, grazie all’holodeck, il Ca-
pitano Janeway s’intrattiene con una holonovel (vagamente
somigliante alle atmosfere del romanzo Jane Eyre di Charlotte
Brontë) allo stesso modo in cui noi guarderemmo una soap
opera. Per Murray questa è la raffigurazione fantastica di una
forma narrativa interattiva, intelligente, e immersiva. A que-
sto aggiunge l’ipotesi di un cinema immersivo come appare
nel romanzo Il mondo nuovo (Brave New World) scritto nel 1932 47
da Aldous Huxley, ambientato nell’anno di Ford 632, corri-
spondente all’anno 2540 della nostra era: l’autore immagina
una sala cinematografica in cui il pubblico, tenendosi a spe-
ciali maniglie delle sedie, può realmente vivere le sensazione
fisiche della pellicola. Oppure Fahrenheit 451 (1953) di Ray
Bradbury (poi anche al cinema nel 1966 diretto da François
Truffaut), in cui si descrive la televisione interattiva come
un salotto con grandi schermi, dove gli spettatori possono
conversare con i personaggi della fiction dando le risposte
giuste10. Malgrado questi e altri esempi siano legati a visioni
distopiche del mondo, per Murray dimostrano che la no-
zione di una narrativa (intesa in senso lato, dal romanzo al
cinema) aumentata dalla tecnologia è presente, da decenni,
nella nostra cultura.
I modelli narrativi della relazione tra nuova tecnologia e
narrativa, i cui tratti caratteristici sono la storia multiforme
e la partecipazione degli spettatori, non appartengono solo

9. J.H. Murray, Hamlet on the Holodeck cit.


10. Ivi, pp. 14-21.
Neodrammatico ai moderni videogiochi, ma sono parzialmente riconoscibili
digitale anche in forme più tradizionali. La storia multiforme, per
Antonio Pizzo
esempio, è un tratto peculiare di alcune opere come La vita
è una cosa meravigliosa (1946) di Frank Capra, Il giardino dei
destini incrociati (1941) di Jorge Louis Borges, Ritorno al futuro
(1985) di Robert Zemeckis, Ricomincio da capo (1993) di Ha-
rold Ramis, oppure Rashmoon (1950) di Akira Kurosawa11.
La storia multilineare, l’esperienza interattiva, l’ambien-
te modificabile, sono forme presenti nella nostra nozione
di narrativa, ma la loro evoluzione nel consumo di massa è
più complessa perché legata alle leggi dell’intrattenimento
commerciale. Si tratta di percorsi che la televisione è riu-
scita solo in parte a imboccare, e che invece sono chiari nei
videogiochi in cui all’esperienza più elementare dei cosid-
detti spara-tutto si è affiancata quella di racconti complessi
e basati su un’esplorazione dello spazio o dei personaggi.
Murray riconosce così una generica nuova direzione della
narratività alla quale partecipano contributi diversi, dalla
industria dell’intrattenimento ludico ai modelli per lo svi-
luppo dell’ipertesto, dalla ricerca sul web all’intelligenza
48 artificiale.
Il nuovo ambiente digitale in cui si svilupperanno le nuove
narrative è procedurale, partecipativo, spaziale ed enciclope-
dico12. La nozione di procedura è intrinseca nella nozione
di macchina per il calcolo. Il computer può servire a imma-
gazzinare dati, ma la sua maggiore qualità è fare calcoli, cioè
intraprendere comportamenti complessi e contingenti13.
L’attenzione alla qualità procedurale è necessaria per com-
prendere la differenza, fondamentale nei modelli di narra-
zione multiforme, con il modello ipertestuale. L’ipertesto
si basa su una struttura ad albero in cui la narrazione viene
rappresentata scrivendo il plot e definendo, dove necessario,
le diverse possibilità. A seconda delle scelta dell’utente, la
storia prosegue in modo diverso. In questo modello l’autore
scrive la storia come moduli componibili di cui determina le
relazioni possibili. Nello schema procedurale l’autore non
descrive le azioni ma le qualità e i comportamenti dei singoli
“elementi narrativi”. In questo modo, Murray definisce la

11. Ivi, pp. 30-37.


12. Ivi, p. 71
13. Ivi, p. 72.
Narratività figura di un autore che scrive il sistema di regole all’interno
digitale del quale l’agente può muoversi e agire, e riconosce come
emblematica la creazione nel 1966 di Eliza (un software che
voleva dare l’illusione di “dialogare” con un essere umano)
di Joseph Weizenbaum14.
Introdotta la possibilità della narrazione aumentata dagli
strumenti tecnologici, l’autrice definisce l’estetica dei nuo-
vi media digitali secondo le coordinate che privilegiano la
ricezione, o meglio l’effetto che hanno sui fruitori: immersi-
vità, agency, trasformazione. La prima si riferisce alla generica
capacità di coinvolgimento del pubblico, e alla sospensione
dell’incredulità, mediante metafore spaziali che “trasporti-
no” lo spettatore in un “altrove” fittizio15. L’ultima caratteri-
stica segnala l’attitudine primaria alla manipolazione degli
ambienti digitali. Tutto ciò che vediamo in formato digitale
diventa più plastico, come un invito al cambiamento, alla
trasformazione16.
Il secondo termine, agency, già introdotto da Laurel, ac-
quista un interesse maggiore, nel nostro discorso, alla luce
dell’importanza che avrà nel dibattito sulle forme narrative
e drammatiche in cui si prevede l’interazione con il pubbli- 49
co. Se, come sostiene Murray, la narrazione è relativa alla
navigazione (viaggio) allora l’agency è il terreno comune alle
due nozioni. La narrazione diventa un movimento se induce
la sensazione (vera o fittizia) di un’attività non intesa come
mera esecuzione di atti (fisici o mentali): questi atti devono
essere significativi all’interno del contesto in cui si muove il

14. Il funzionamento di Eliza è presentato in Joseph Weizenbaum, ELIZA – a com-


puter program for the study of natural language communication between man and machine,
in «Communications of the Association for Computing Machinery», vol. 9, n. 1,
1966, pp. 36-45; successivamente ha ricevuto attenzioni diverse per le quali si ve-
dano: James H. Moor, Three myths of computer science, in «British Journal for the Phi-
losophy of Science», vol. 29, n. 3, 1978, pp. 213-222; Don L.F. Nilsen, Allen Pace
Nilsen, Nathan H. Combs, Teaching a computer to speculate, in «Computers and the
Humanities», vol. 22, n. 3, 1988, pp. 193-201; Janet H. Murray, Anatomy of a new
medium: literary and pedagogic uses of advanced linguistic structures computer, in «Com-
puters and the Humanities», vol. 25, n. 1, 1991, pp. 1-14. Più recentemente sono
apparsi, oltre alla stessa Murray, Hamlet on the Holodeck cit., Antonio Pizzo, Tea­tro
e mondo digitale. Attori, scena, pubblico, Venezia, Marsilio, 2003, pp. 140-167; Philip
Auslander, Live from cyberspace: or, I was sitting at my computer this guy appeared he
thought I was a bot, in «PAJ: A Journal of Performance and Art», vol. 24, n. 1, 2002,
pp. 16-21.
15. J.H. Murray, Hamlet on the Holodeck cit., p. 100.
16. Ivi, p. 155.
Neodrammatico fruitore e quest’ultimo deve poterne constatare direttamente
digitale i risultati17.
Antonio Pizzo
Naturalmente Murray non è la sola a tentare una defini-
zione generale dei media digitali. Tra i tanti, larga eco ha
avuto Lev Manovich che osserva il fenomeno dal punto di
vista produttivo, individuando cinque caratteristiche: rap-
presentazione numerica (una rappresentazione formale dei
dati e la conseguente manipolazione mediante algoritmi);
modularità (gli oggetti sono componibili ma restano unità
discrete); automazione (alcune operazioni diventano automa-
tiche, programmabili); variabilità (le informazioni possono
essere modificate o ricomposte); transcodificazione (la costante
“traduzione” non solo tra media diversi ma anche tra ambiti
culturali differenti)18.
A ben vedere, le due liste sono contigue nel loro sen-
so generale per la loro – implicita – prospettiva postmo-
derna della realtà e della produzione artistica. La caduta
delle grandi ideologie, e con esse dei grandi modelli di
narrazione della storia e del progresso, lascia l’esperienza
contemporanea in una compresenza di passato, presente e
50 futuro19. All’idea di modernità si sostituisce quella di con-
temporaneità, intesa nel senso di con-presenza di elementi di
spazi e tempi differenti. Nelle opinioni di Murray, il mondo
digitale offre l’appropriata “tela caleidoscopica” per rappre-
sentare il mondo così come appare da diversi punti di vista:
complesso e forse alla fine incomprensibile, ma comunque
coerente20.
Questa tela caleidoscopica, è l’ambiente di lavoro per un
nuovo tipo di artista che coniuga l’attitudine autoriale e cre-
ativa con la partecipazione del pubblico, individuando così la
figura di autore procedurale i cui compiti concernono non

17. Ivi, p. 128.


18. Lev Manovich, The Languages of New Media, Cambridge, MIT Press, 2000, p. 27-
48. Citiamo dall’edizione inglese, anche se esiste una una traduzione italiana (Il
linguaggio dei nuovi media, Milano, Olivares, 2002).
19. Sulla questione del postmoderno si veda Jean-François Lyotard, The Postmodern
Condition: a Report on Knowledge, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1984,
pubblicato in Italia con il titolo La condizione postmoderna, Milano, Feltrinelli, 2001.
Per una sintetica discussione sull’estetica del postmoderna si veda Luc Ferry, Homo
Aestheticus: l’invenzione del gusto nell’età della democrazia, Genova, Costa & Nolan,
1991, pp. 246-321.
20. J.H. Murray, Hamlet on the Holodeck cit., p. 155.
Narratività tanto la definizione degli eventi della storia, quanto delle
digitale regole (formule) dalle quali tali eventi possono essere ori-
ginati21. Si tratta di un’ipotesi che si regge su due convinzio-
ni: (1) possiamo riconoscere alcuni modi e alcuni elementi
fondamentali e ricorrenti nella narrativa; (2) questi possono
essere descritti a un livello computazionale e implementati
in un algoritmo di narrazione.

3. La critica di Espen Aarseth alle nozioni di narrativa e


­interattività
Coevo al saggio della Murray, è quello di Espen Aarseth,
Cybertext. Perspectives on Ergodic Literature, nato come tesi di
dottorato dello studioso norvegese, il quale proviene da studi
umanistici e ha poi fondato il Dipartimento di informatica
umanistica all’Università di Bergen22. Con la definizione di
letteratura ergodica (dal greco ergódı̄s, “laborioso, difficile”),
l’autore intende quella scrittura in cui si richiede uno sforzo
non banale al lettore al fine di percorrere il testo23. Anche in
questo caso l’analisi non vuole tener conto di considerazioni
puramente tecniche sul supporto. Si tratta di un approccio
che separa il linguaggio dal medium e si concentra sul primo. 51
Se ciò vale anche per il cybertesto, e se lo si vuole analizzare
in quanto letteratura, allora bisogna individuare una nuova
nozione che non sia definita solo dalla utilizzo del computer
o, in genere, dell’elettronica (per esempio, I Ching è un tipo
di testo ergodico).
Rispetto a Laurel e Murray, l’autore ritiene che la classi-
ficazione non debba includere tutto in una troppo generica
categoria narrativa, bensì riconoscere le specifiche letterarie;
cosicché, in contrasto con Murray, sostiene: «dire che non
c’è differenza tra i giochi e le narrative vuol dire ignorare le
qualità essenziali di entrambe le categorie»24. Poiché l’analisi
dei fenomeni richiede una precisione descrittiva, lo studioso
mette alla prova la chiarezza semantica di alcuni termini. Il
cybertesto non coincide con alcuna unità estetica, temati-
ca, o altro, mentre designa un ambito tanto ampio quanto

21. Ivi, pp. 185-213.


22. Espen J. Aarseth, Cybertext: Perspectives on Ergodic Literature, Baltimore, Johns
Hopkins University Press, 1997.
23. Ivi, p. 1.
24. Ivi, p. 5.
Neodrammatico potrebbe esserlo la parola “libro”25. Una simile ambiguità è
digitale contenuta anche nella definizione di non linearità.
Antonio Pizzo
Poiché consideriamo labirintico e lineare come termini in-
compatibili, e poiché il labirinto non denota più un progres-
so lineare e una teleologia, ma solo i loro opposti, il suo stato
come modello di un testo narrativo è diventato inadatto per
molta narrativa.26
Al fine di definire una estetica del cybertesto, bisogna indivi-
duare nuove categorie efficaci e precise.
Il cybertesto non è una “nuova”, “rivoluzionaria” forma di
testo, con capacità rese possibili solo attraverso l’invenzione
del digital computer. Non è nemmeno una radicale rottura
con la testualità di vecchio tipo, sebbene sarebbe più facile
farla apparire come tale. Il cybertesto è una prospettiva vali-
da per tutte le forme di testualità, un modo per espandere
gli scopi degli studi letterari fino a includere fenomeni che
oggi sono percepiti come estranei o marginalizzati rispetto
al campo della letteratura.27

L’autore conduce una discussione che riassumeremo solo nei


52 punti pertinenti al nostro discorso. Innanzitutto individua
alcune lacune dell’approccio semiotico nei riguardi della let-
teratura generata al computer. Poiché la semiotica è partita
dall’assunto che i testi siano catene di segni, è capace di de-
cifrare matrici eminentemente lineari, ma non è altrettanto
efficace nel leggere le nuove tipologie di costruzioni iconiche
che sovvertono il principio della linearità e si definiscono
grazie a elementi dinamici28. I criteri, pur ampiamente accet-
tati di non lineare o interattivo, si dimostrano poco efficaci per
descrivere lo specifico della narrativa generata al computer.
Per esempio un libro di carta può offrirsi alla lettura non
lineare molto di più di un ipertesto con i nodi saldamente e
unicamente definiti29. Per Aarseth, buona parte della critica
ha cercato di descrivere in che modo un ipertesto fiction

25. Ibid.
26. Ivi, p. 7; per l’evoluzione della nozione di labirinto l’autore si riferisce a Pene-
lope Reed Doob, The Idea of the Labyrinth from Classical Antiquity through the Middle
Ages, Ithaca, Cornell University Press, 1990.
27. E.J. Aarseth, Cybertext cit., p. 18.
28. Ivi, pp. 24-41.
29. Ivi, p. 47.
Narratività elabori i metodi della narrazione. Ma lo studioso considera
digitale la narrativa come una categoria inerente alla forma, mentre
la fiction lo è al contenuto. Per esempio, un ipertesto potreb-
be essere fiction ma non narrativo. L’ipertesto dunque non
elabora le regole della narrazione, quanto piuttosto ne offre
un’alternativa30. Il contenuto fiction (l’universo simbolico
al quale si fa riferimento) potrebbe essere costruito con le
regole tradizionali e la forma narrativa essere aggiornata su
modelli interattivi. Oppure il contenuto può rispondere a un
universo simbolico inerente ai nuovi media mentre la forma
della narrazione è classica. Su questa linea l’autore propo-
ne una metodologia di analisi pertinente al nostro discorso
poiché, tra i vari esempi, considera il genere specifico del vi-
deogioco d’avventura come una sorta di dramma interattivo:
Invece che del plot narrato, il cybertesto produce una se-
quenza di attività oscillanti effettuate (ma certo non control-
late) dallo user. Ciononostante c’è un elemento strutturante
in questi testi, che in qualche modo lo controllano o almeno
lo motivano. Come nuovo termine per questo elemento pro-
pongo intrigo, per suggerire un plot segreto nel quale lo user
è l’innocente, ma volontario, bersaglio, con un risultato che 53
non è ancora stabilito.31

Questo passaggio sottolinea la natura drammatica del gioco


d’avventura e dell’ipertesto in generale. La categoria dell’in-
trigo fa sì che il player non sia definito come colui al quale
è destinato un ruolo nella fruizione della storia (in genere
identificato con il termine “narratario”), dovendo così nego-
ziare di volta in volta la propria immedesimazione nelle vesti
di qualcun altro. Invece è il destinatario di un intrigo che
conosce solo in parte, che lo avviluppa e al quale partecipa
perseguendo i propri obiettivi. In questo modo l’autore so-
stituisce alla dinamica tra l’ipotetico autore e il suo ipotetico
ascoltatore, quella tra intrigante e intrigato.
Inoltre Aarseth ridimensiona la portata delle idee della
Laurel alla quale, pur riconoscendo l’influenza su gruppi di
ricerca importanti, come l’OZ della Carnagie Mellon Uni-
versity, rimprovera alcune debolezze teoriche e l’utilizzo
impreciso dei termini “drammatico” e “opera tea­trale” (che

30. Ivi, p. 85.


31. Ivi, p. 112.
Neodrammatico potrebbero essere sostituiti da epico e romanzo)32. In parti-
digitale colare nota:
Antonio Pizzo
Un’esperienza drammatica, come definita da Aristotele,
è intesa per un pubblico e, come tale, è un’esperienza tanto
in seconda persona quanto lo è l’esperienza dell’epica. La
posizione in prima persona, al contrario, è tradizionalmente
legata all’esperienza lirica, nella quale la distanza tra la voce
del poema e l’ascoltatore è considerabilmente ridotta.33
Nelle ipotesi di Laurel, secondo Aarseth, l’azione è considera-
ta in modo empirico, per cui fare materialmente un’azione
è drammatico, mentre scriverla non lo è. Al contrario, lo
studioso sostiene che la qualità drammatica non può essere
riconosciuta solo all’azione agita, altrimenti tutte le opere
tea­trali sarebbero letteratura e diventerebbero drammatiche
soltanto una volta messe in scena. In letteratura, invece, esi-
ste una qualità, una forma, drammatica. «Forse dovremmo
riconoscere il dramma come un sotto-tipo complesso della
narrativa: è sia un modo di raccontare storie (dramma come
interfaccia) sia un set di convenzioni narratologiche (per
esempio le unità aristoteliche)»34. Il modo in cui è agito (l’in-
54
terfaccia) però è secondario rispetto alle convenzioni. Un
dramma ha qualità che lo rendono tale, anche se resta scritto.
Aarseth sembra confutare i fondamenti della proposta di un
interactive drama secondo il cosiddetto modello neoaristote-
lico proposto da Laurel, in particolare perché non risolve il
conflitto tra autore e giocatore: se chi conduce è l’autore, il
giocatore può ridursi a un docile burattino; se, al contrario,
conduce il giocatore, la storia rischia di perdere la forma
drammatica. Stabilita questa tensione nella nozione di auto-
rialità in ambito interattivo, però anche lui cade nell’errore
di un massimalismo dell’interazione. La sua obiezione si basa
sul fatto che nell’arte interattiva la libertà dello user è pro-
porzionale al piacere dell’esperienza, e che questa libertà è
in contrasto con la linearità del dramma35.
Il problema si ripropone identico qualche anno dopo ne-
gli argomenti di Chris Crawford, che legge l’incongruenza

32. Ivi, p. 136.


33. Ivi, p. 137.
34. Ibid.
35. Ivi, p. 138.
Narratività tra la libertà di scelta allo user, e la connaturata unidirezio-
digitale nalità della narrazione36. Resta un problema aperto, al quale
non si può dare una risposta univoca. Non è detto però che il
piacere dello spettatore/user sia esclusivamente legato al rag-
giungimento del massimo grado di interazione. La quantità
di agency è da misurare rispetto al genere utilizzato. Parteci-
pare a una storia vuol anche dire accettarne le convenzioni.
Così come a tea­tro non interrompiamo gli attori, anche se sa-
rebbe possibile farlo, nello stesso modo, nel partecipare a un
dramma interattivo, non per forza avremo un atteggiamento
ispirato solo al massimo dell’interazione. Potremmo godere,
infatti, del partecipare a una storia, così come godiamo dello
scoprire un ambiente in alcuni videogiochi. Per esempio, an-
che se il nostro personaggio può saltare in acqua, o sbattere
contro il muro, noi preferiamo scoprire l’ambiente accet-
tandone le convenzioni (il mare non fa parte dell’ambiente
di gioco, e se continuassimo a sbattere contro il muro non
andremmo molto lontano). Non dobbiamo necessariamente
ritenere che il giocatore, spettatore, una volta acquisita la
libertà di agire e modificare la storia, si faccia “prendere la
mano” e lavori in opposizione alla storia stessa, inventando 55
tutte le possibili interazioni.
Aarseth, da un lato critica la sovrapposizione user/perso-
naggio che rappresenta la linea principale di Laurel, dall’al-
tro ridimensiona l’interesse verso l’autore procedurale così
come ipotizzato da Murray. Nel primo caso il modello ne-
oaristotelico è incoerente perché il giocatore sarebbe allo
stesso tempo attore, personaggio e pubblico. Nel secondo
caso ritiene che «nel complesso sistema di media dei quali
fruiamo, è quasi impossibile trovare un autore come intelli-
genza e volontà singola. Le opere sono sempre più creazione
collettiva37. Dunque muove il concetto di letteratura ergodica
verso la creazione di «mondi simulati, con intriganti emer-

36. La questione è delineata in nel saggio di Crawford che ha ottenuto un ampio


rilievo all’interno della comunità che si occupa di narrazione interattiva, cfr. Chris
Crawford, Chris Crawford on Interactive Storytelling, Berkeley, New Riders Games,
2005.
37. E.J. Aarseth, Cybertext cit., p. 165. Il discorso sulla creazione collettiva ha as-
sunto negli anni una chiara centralità nell’ambito delle arti digitali, come testi-
monia la recente riflessione di Andrea Balzola e Paolo Rosa: cfr. qui la nota 106
del cap. 1.
Neodrammatico genti, abbastanza interessanti da fare sì che la gente reale
digitale voglia spenderci tempo ed energia creativa»38.
Antonio Pizzo

4. Le metamorfosi crossmediali del racconto secondo Marie-Laure


Ryan
Gli esempi che abbiamo riassunto condividono lo sforzo per
la definizione di nuove categorie di analisi e in parte restitu-
iscono l’impressione di una sorta di deficit di elaborazione
teorica, un’impreparazione rispetto alla realtà fenomenolo-
gica, quasi come se lo studio segnasse il passo e non riuscisse
a racchiudere all’interno di definizioni formali la complessità
dell’esperienza della creatività digitale. Più in generale si ha
l’impressione di una sorta di scollamento tra teoria e prassi
in questi studi narratologici sui nuovi media. Questo scolla-
mento è il punto di partenza per Maria Laure Ryan nel suo
Avatar of Story:
Se facciamo il confronto tra il campo della testualità di-
gitale e gli altri campi di studio nelle scienze umane, la cosa
più sorprendente è la precedenza della teoria sull’oggetto
di studio.39
56
Il suo approccio, da un lato, amplia molto la definizione di
narratività fino a farla coesistere con un insieme molto va-
riegato di esperienze di produzione di senso; dall’altro, è
simile alla Murray poiché utilizza concetti tradizionali come
personaggio, storia, conflitto. In questo modo tenta di defi-
nire alcune categorie (Narrativa, Media e Modalità) alla luce
della fenomenologia o delle potenzialità dei nuovi media:
La narrativa è un costrutto cognitivo con un nucleo fisso
di significato, ma è un costrutto che può assumere una se-
rie di forme, che possono essere chiamate avatar of story, e
può essere attualizzato in varia misura […]. In quanto tipo
di significato, la narrativa può essere richiamata alla men-
te e può manifestarsi in differenti modi. Io chiamo queste
manifestazioni multiple, modalità narrative. Il concetto di
modalità copre i concetti tipici della letteratura tradizionale
come finzione, diegetica, presentazione mimetica [sono mo-
dalità], ma io propongo di aggiungervi altre categorie che
sono state trascurate dalla narratologia, come utilitarietà,

38. Ivi, p. 141.


39. Marie-Laure Ryan, Avatars of Story, Minneapolis, University of Minnesota Press,
2006.
Narratività illustratività, indeterminatezza, metafora. Molte di queste
digitale modalità presentano speciali affinità per specifici media, e
la narrativa digitale è proprio legata a certe modalità. Io le
chiamo simulative, emergenti e partecipative.40

Il suo approccio ha una natura spiccatamente transmediale.


Nelle sue ipotesi la narrativa diventa coincidente con la nar-
ratività e si separa dallo specifico atto linguistico nel quale un
narratore racconta una storia. La narrazione è un dato sto-
rico preciso: la particolare forma e il modo in cui una storia
viene raccontata. La narratività è una qualità che può essere
posseduta anche da eventi che non raccontano storie (che
non sono tradizionalmente inquadrati come narrazione). La
sua prospettiva sposta l’attenzione dall’opera (la particolare
istanza, il dato) alle qualità che quel dato ha in comune con
altri.
Una definizione transmediale di narrativa richiede di
ampliare il concetto di là del verbale, ma questo amplia-
mento dovrebbe essere compensato da una riduzione della
semantica, altrimenti tutti i testi di tutti i media finirebbero
per essere narrativa.41
57
Nelle sue opinioni, la storia (il plot) è intesa come una rap-
presentazione innanzitutto cognitiva. È un costrutto narrati-
vo che riguarda individuate entità e le loro relazioni. La storia
pre-esiste (non è la determinata forma che le dà) il discorso.
Dunque la narrativa è la combinazione di storia (astratta)
e discorso (atto). Riconosciamo una sovrapposizione con le
posizioni di Aarset: ciò che Ryan chiama storia per Aarseth
è la fiction, e quello che per la prima è il discorso, per il
secondo è la narrativa. In entrambi i metodi di analisi, c’è
la separazione di un qualche processo cognitivo dalla sua
coagulazione in una determinata forma di rappresentazione
materiale.
Concentrare l’attenzione sulla sua natura cognitiva (infor-
mazione, struttura linguistica e ontologica) e non sull’analisi
storica (oggetto, evenienza, manifestazione), guida l’analisi
sui dati formali che possono descrivere questa entità. Si tratta
del primo e necessario passo per una rappresentazione for-
male e computazionale. Da un lato esistono i dati (gli oggetti

40. Ivi, pp. xviii-xix.


41. Ivi, p. 7.
Neodrammatico statici che risultano dall’esecuzione di alcuni processi e sono
digitale interpretati mediante l’esecuzione di altri processi), dall’al-
Antonio Pizzo
tro i processi (le strutture di regole che producono e interpre-
tano i dati). Solo a partire da questo è possibile sviluppare
una teoria formale che incorpori sia l’elemento cognitivo
sia un modello computazionale che automatizzi il processo
interpretativo.
Ryan sostiene che la narratività è una qualità che precede
la specifica rappresentazione del testo (scrittura, immagini in
movimento, suono, arti performative, ecc.); o meglio, è un
insieme di qualità di un prodotto di comunicazione che, qua-
lora coesistano, attivano un tipo specifico di rappresentazio-
ne mentale. Dunque si tratta di una qualità che non dipende
dal tipo di medium utilizzato, né dal contenuto fiction. La
dicotomia tra verità e finzione, tra atti che attestano la realtà
e altri che definiscono un mondo “inventato” (entrambi sog-
getti a processi narrativi) diventa più complessa all’interno
della nuova configurazione contemporanea e postmoderna.
Possiamo avere diversi gradi di finzionalità così come diversi
gradi di narratività, senza che la relazione sia univocamente
58 proporzionale.
In questa teoria transmediale della attività narrativa, da
un lato il discorso resta molto astratto e generico, dall’altro
però invita a cogliere una sorta di ontologia della narrativa
che precede i singoli enunciati. Inoltre, si tratta di una pro-
spettiva che può essere applicata anche al dramma, tentando
di rilevare gli elementi che definiscono la qualità drammatica
di un prodotto, sia esso un testo, un film o una messinscena.
Per comprendere il suggerimento di Ryan è utile tener
presente la esemplificazione proposta da E. Morgan Forster.
Lo scrittore cercò di tracciare la differenza tra una cronaca
e un plot in questo modo: “Il re è morto. Anche la regina è
morta”, è una cronaca; “Il re morì, e la regina morì di dolo-
re”, è un plot42. È una famosa distinzione che qui di seguito
riassumiamo nella sintesi di Pfister.
Plot sta alla presentazione come la storia sta al soggetto
della presentazione. Mentre la storia consiste in una succes-
sione puramente cronologica di eventi e occorrenze, il plot

42. Il saggio di Edward Morgan Forster fu pubblicato con il titolo Aspects of the No-
vel, a Londra nel 1927; qui citiamo dalla edizione Harmondworth, Penguin Books,
1962, p. 93.
Narratività già contiene elementi strutturali importanti, come per esem-
digitale pio causalità e altri tipi di relazioni significative, segmenta-
zioni in fasi, riordinamenti temporali e spaziali, ecc. Questa
distinzione fu stabilita dai formalisti russi, che isolarono i
due concetti di “fabula” e “soggetto” [sjuzet].43

5. Drammatizzazione, interazione, partecipazione


Dunque esiste qualcosa che definiamo storia, inteso come
l’insieme di eventi in ordine cronologico, originati da un
processo di concezione dell’autore, che riceve come input
il suo generale stato cognitivo. Tutti i processi cognitivi, na-
turalmente, presuppongono l’utilizzo di una conoscenza
condivisa (per esempio, una morte è generalmente tragica),
sia una conoscenza specifica (cosa è una storia interessante,
intrigante; una conoscenza del dominio specifico come per
esempio il contesto storico). La storia può essere tradotta in
un’opera narrativa, cioè un plot che seleziona un sottoinsieme
di eventi dalla storia e li organizza in qualche ordine (che può
essere differente dall’ordine cronologico); questi eventi sono
visti da uno specifico punto di vista (la vista onnisciente è solo
una delle possibili) e vengono stabilite connessioni causali 59
tra gli eventi44.
Sempre assumendo la sintesi di Pfister,
possiamo definire “storia” formalmente come qualcosa che
richiede i tre seguenti ingredienti: uno o più umani o sog-
getti antropomorfi, una dimensione temporale che indichi
il passaggio del tempo, e una dimensione spaziale che dia il
senso dello spazio.45
La narrazione richiede abilità specifiche sulle convenzioni
narrative, di genere (per esempio sollecitare l’attenzione me-
diante suspense, controllare la durata, comunicare un sen-
so unitario, ritmo, ecc.), finanche alle regole dell’editore e
a specifici problemi di linguaggio. Il passaggio tra storia e
opera narrativa, avviene mediante un processo di narrazione.
Lo stesso processo potrebbe portare a risultati diversi (per
lingua, retorica, stile, ecc.) ma uguali nella sostanza. “La re-

43. Manfred Pfister, The Theory and Analysis of Drama, cit, p. 197.
44. Jeffrey Hatcher, The Art & Craft of Playwriting, Cincinnati, Story Press, 1996; qui
citiamo dall’edizione italiana Scrivere per il tea­tro. Teoria, tecnica ed esercizi, trad. it. di
Roberto Cruciani, Roma, Dino Audino, 2002, p. 10.
45. Manfred Pfister, The Theory and Analysis of Drama, cit, p. 196.
Neodrammatico gina morì di dolore perché il re morì” sarebbe una narrativa
digitale allo stesso modo di “Il re morì, e la regina morì di dolore”.
Antonio Pizzo
La narrazione è un processo che produce una rappresenta-
zione narrativa della storia (in questo caso, è uno scrittore
che conduce il processo). Proseguendo in questa direzione
potremmo dire che è possibile anche un altro tipo di opera
chiamato dramma. Ipotizziamo quindi che un ulteriore pro-
cesso chiamato drammatizzazione produca un dramma. Come
sappiamo, una caratteristica esterna del dramma è che le
azioni sono agite da personaggi al tempo presente. Così tutta
la storia dovrà essere resa con dialoghi e azioni. La competen-
za insita nel processo va da ciò che Elam definisce come «or-
dine sintattico», «intensità informativa», «purezza illocuto-
ria», «controllo del tempo dei tempi del floor-apportionment»46,
fino all’abilità di contenere l’azione in una data misura. Allo
stesso modo, nel processo, è necessaria la conoscenza delle
convenzioni sceniche e recitative contemporanee (dalla sce-
nografia alla descrizione di personaggi), e in generale dei
cosiddetti frames: cioè «le strutture concettuali o cognitive
impiegate dai partecipanti e dagli osservatori per dare senso
60 a una data porzione di comportamento, che derivano dai
principi convenzionali per mezzo dei quali il comportamento
stesso organizzato»47. Per esempio, alcune connessioni tra
eventi, chiaramente definite nell’opera narrativa, possono
essere inespresse in questo stadio, in quanto sono intrinse-
camente esplicite nella rappresentazione fornita dall’opera.
Alcune parti della descrizione del personaggio sono lasciate
all’azione che lui o lei compie piuttosto che alla dettagliata
descrizione dello scrittore, e alcune possono addirittura esse-
re saltate e demandate alla presenza reale dell’attore. Come
scrive Elam: «Una appropriata decodifica di un dato testo
deriva soprattutto dalla familiarità che lo spettatore possiede
con altri testi (e così con le regole testuali apprese)»48. Dun-
que, lo stesso esempio di plot utilizzato da Forster, potrebbe
essere drammatizzato (si noti che esiste equivalenza, oltre
che nel contenuto trasmesso, in termini di eventi e connes-
sioni temporali e causali): “Il servo – Sua maestà: il Re è mor-
to!; La Regina – Arghh! (muore)”. L’esempio – fatta salva la

46. K. Elam, Semiotica del tea­tro cit., pp. 184-186.


47. Ivi, p. 91.
48. Ivi, p. 97.
Narratività sua estrema semplicità – manca di una esplicita connessione
digitale tra la morte del re e quella della regina, in quanto è lasciata
all’interpretazione del lettore49.
La nostra interpretazione della storia si riferisce al sog-
getto della presentazione piuttosto che alla presentazione in
se stessa. Come soggetto della presentazione esso fornisce le
basi per la presentazione e può essere ricostruito dal rice-
vente. Del resto è evidente che un numero di testi dramma-
tici diversi può essere basato su un sola storia e anche che
la stessa storia può essere anche presentata come testo in
differenti media. La storia sottostante il romanzo di Christo-
pher Isherwood Goodbye to Berlin (1939), per esempio, è stata
tradotta nel medium dramma come I am a camera (1954)
da J. Van Druten, nel musical tea­trale come Cabaret (1966)
da J. Masteroff, J. Kander e F. Ebb, e, con lo stesso nome, in
un musical cinematografico da Jat Allen e Bob Fosse (1972).
La storia dunque è molto meno specifica e meno concreta
di ognuna delle versioni che sono state presentate in un te-
sto drammatico o narrativo. Essa rappresenta la struttura di
relazioni invariabili condivise da ognuna delle sue versioni
ipotetiche o esistenti.50
61
Resta inteso che in questa sorta di transcodificazione, ogni
dato ha una forma scritta. Con ciò non intendiamo però che
questi dati debbano essere rappresentati in un tipo specifico
di supporto fisico (un libro, per esempio), bensì come una
condizione di rappresentabilità. Non è detto che questo dato
(il dramma) debba essere rappresentato in un linguaggio
naturale: potrebbe, per esempio, essere rappresentato come
le istruzioni di comportamento a un agente artificiale.
Gli argomenti fin qui tracciati aprono la narrativa a una
opzione procedurale, istituendo una alternanza tra dati e
processi. Ma se nel discorso inseriamo un’ipotesi interattiva
si rischia la contemporaneità del processo con il dato.
Se la narrativa è un dato che scaturisce da un processo
di narrazione, dobbiamo ammettere una temporalità del
ciclo. In un processo che elabora i dati della narrativa per
produrre un dramma, l’intervento potrà agire solo sul pro-

49. Le declinazioni narrative e drammatiche a partire da Forster sono nate


all’interno dei discussioni interne al gruppo di ricerca del CIRMA dell’Università
di Torino, e in particolare insieme a Vincenzo Lombardo e Rossana Damiano.
50. M- Pfister, The Theory and Analysis of Drama cit., pp. 196-197.
Neodrammatico cesso (drammatizzazione) o anche sul dato (dramma)? È
digitale chiaro che il dato, in quanto rappresentazione in un lin-
Antonio Pizzo
guaggio, non può essere modificato se non grazie a un altro
processo, dunque l’azione dovrà intervenire sul processo.
Ciò vuol dire che un sistema di drammaturgia interattiva
potrà permettere di intervenire sulle regole di connessione
tra gli eventi (come per esempio sostiene Ryan), oppure di
modificare gli attributi degli agenti di questi eventi (come
nel Cybercafè del Virtual Theatre a Stanford)51. In ogni caso
si tratterà di intervenire sui processi che producono i dati
e quindi sulle regole che sottendono a quello specifico tipo
di rappresentazione.
Il tema dell’interazione e del coinvolgimento dello spetta-
tore però non riguarda solo la sua attività nello svolgimento
della vicenda, ma anche la sua partecipazione emotiva. Que-
sto tema ha visto, in sintesi, due opzioni. Da un lato Laurel e
Murray per le quali il motore fascinatorio del dramma inte-
rattivo è l’immedesimazione con il personaggio che mano-
vriamo. Dall’altro, soprattutto Ryan, nega la centralità del
personaggio:
62 L’esperienza personale di molti personaggi di finzione è
così spiacevole che gli user dovrebbero essere fuori di testa -
letteralmente e figurativamente - per voler vivere le loro vite
in modalità di prima persona. Se noi deriviamo il piacere
estetico dal destino tragico di personaggi come Anna Kare-
nina, Amleto o Emma Bovary, se noi piangiamo per loro e
godiamo pienamente delle nostre lacrime, ciò è perché la
nostra partecipazione alla vicenda è un compromesso tra
identificazione con il personaggio e osservazione distante
[…]. Avendo la scelta, vorremmo condividere la soggettività
di qualcuno come Amleto, Emma Bovary, Gregor Samsa ne
La metamorfosi, Edipo e Anna Karenina, o vorremmo entrare
nella pelle di un eroe ammazza draghi di una favola russa,
Alice nel paese delle meraviglie, Harry Potter e Sherlock
Holmes? Se scegliamo un personaggio dalla seconda lista,
ciò vuol dire che preferiamo identificarci con un personag-
gio magari piatto ma attivo, la cui partecipazione nella vi-
cenda non è una questione di relazione emotiva con gli altri
personaggi quanto invece di esplorare un mondo, risolvere
un problema, fare azioni, sfidare nemici.52�

51. A. Pizzo, Tea­tro e mondo digitale cit., pp. 170-172.


52. M.-L. Ryan, Avatar of Story cit., pp. 124-125.
Narratività L’autrice mette in luce il tipo di negoziazione che noi
digitale svolgiamo con il personaggio in quanto interfaccia emotiva
con la vicenda drammatizzata, e rivela che questa negozia-
zione non si esaurisce mai con una completa e totale im-
medesimazione con il personaggio, quanto con una parteci-
pazione emotiva tarata su un più complesso atto cognitivo.
Non si tratta quindi di abbandonare il personaggio tout court,
quanto di elaborare un modello drammatico di personag-
gio che risponda meglio al contesto e ai limiti da esso posti.
La proposta lanciata da Murray (e prima dalla Laurel e dal
gruppo Oz) assumeva troppo acriticamente, nella nozione di
personaggio, un modello storicamente definito negli ultimi
cento anni. È una nozione che individua nella vita emotiva
e psicologica una caratteristica principale del personaggio.
Ma sappiamo che questa nozione emerge e si afferma con
il volgere del Romanticismo e con lo sviluppo di una con-
cezione psicologica dell’individuo nel primo Novecento. Il
modello di personaggio al quale si rivolge la Ryan (e abbiamo
visto anche Aarseth) somiglia al personaggio “tutto azione”,
ai drammi di avventura in cui la vita interiore è riassunta
in pochi tratti che fungono più che altro come motore per 63
l’azione (vero centro di attrazione).
I lavori finora considerati dimostrano che esiste, come per
la drammaturgia, dunque in forma più ampia, un dibattito
tra gli studiosi sul tema delle innovazioni che i nuovi media
immettono all’interno del quadro teorico della narratologia,
e/o sulla esistenza/qualità di queste innovazioni. Il modo in
cui si affronta la questione, specialmente se si adopera una
prospettiva empirica, tenta sempre di partire da una defi-
nizione dei due termini a confronto (narratologia e nuovi
media) per poi procedere al confronto e all’individuazione
dei modi della contaminazione. Solo definendo i due termini
possiamo apprezzare gli elementi innovativi della contami-
nazione.
Abbiamo anche visto però che il tentativo di definizione
univoca delle caratteristiche dei nuovi media è complesso e
articolato. L’esperienza degli ultimi venti anni insegna che
la definizione “nuovi media digitali” è un cappello troppo
ampio per contenere un senso univoco. L’introduzione del-
la prospettiva crossmediale, infatti, è un primo tentativo di
leggere i processi di comunicazione al di là delle specifiche
di un singolo medium. La nozione di cross mediale astrae il
Neodrammatico discorso su una sorta di “portabilità” del linguaggio in quanto
digitale qualità indotta dall’innovazione tecnologica ma non legata
Antonio Pizzo
allo specifico strumento. Infatti, il pericolo è quello di repli-
care le analisi svolte principalmente su cinema e televisione,
considerando tutti i nuovi media come “uno solo”. Al con-
trario, le caratteristiche sono molteplici, diverse, alcune volte
contrastanti.
Il tentativo di Ryan teso a separare la narrativa dal lin-
guaggio e dalla letteratura, per considerarla invece come
una sorta di rappresentazione cognitiva, transmediale e
transdisciplinare, non riesce fino in fondo a individuarne le
caratteristiche. Le categorie del suo discorso ruotano intor-
no a elementi mutuati dalla tecnica di scrittura tradizionale
(personaggi, ambiente, cambiamenti, ecc.). Inoltre, se è ve-
ro che la narrazione può includere i media drammatici, ciò
non toglie che le regole alle quali questi media si adattano
possano essere simili a quelle della narrazione tradizionale.
Così come accadeva per Laurel, trapela una certa genericità
nell’impostazione. Se il gioco può produrre una storia emer-
gente nell’esperienza del giocatore, ciò è vero per qualsiasi
64 attività che possa essere definita cognitivamente da chi ne fa
esperienza come una storia. Sostenere che facciamo un’espe-
rienza narrativa del gioco è generico perché, se non si danno
coordinate precise, potremmo descrivere come un’esperien-
za narrativa anche il viaggio in autobus53. Una matrice vaga-
mente strutturalista, così come l’utilizzo di criteri narratolo-
gici, o anche un approccio chiaramente empirico che parte
dall’interpretazione dei prodotti esistenti, rischiano di fallire
dinanzi alla novità del fenomeno. Per esempio, i fenomeni
come videogiochi possono benissimo essere descritti utiliz-
zando categorie ben stabilite di narrativa o di sociologia. La
vera differenza quindi risiede nell’avere una prospettiva al-
goritmica e procedurale su oggetti culturali ben sedimentati
nella produzione e nella fruizione.
Il quadro delle varie posizioni che abbiamo illustrato, ha
messo in luce i seguenti punti che riassumiamo sinteticamente.
– Le modalità narrative possono essere “aumentate” dai
nuovi media ma ciò richiede un aggiornamento della no-
zione di narrazione. Le forme della narrazione hanno una

53. Ivi, pp. 192-193.


Narratività relazione con gli strumenti di comunicazione, ma non bi-
digitale sogna confondere l’analisi della narrativa o della dramma-
turgia con l’analisi dei media utilizzati per la diffusione/
riproduzione.
– Esiste una forma di testualità che richiede allo user una
attività non solo cognitiva. Bisogna tener conto dei modi
in cui è possibile la fruizione; una fruizione partecipativa
(in senso fisico) dovrà definire nuovi paradigmi interpre-
tativi.
– La partecipazione dello user presuppone il superamento
del modello concettuale lineare alla quale va sostituita
una configurazione comunicativa in cui l’operatore/fru-
itore entra a far parte della definizione del testo.
– La nozione di narrativa può essere separata dallo stru-
mento che la manifesta. Esistono elementi della narrativa,
così come della drammaturgia, che sono indipendenti dal
supporto tecnologico. In questo senso, le messe in scena
in tea­tro dell’Amleto, le versioni televisive e cinematogra-
fiche, e le edizioni a stampa dell’opera, tutte condivido-
no un terreno comune: sono manifestazioni (con mezzi 65
diversi) di un dato comune. Questo dato è una nozione
più astratta (cognitiva) del dramma Amleto e superiore
(condivisa) a tutte le rappresentazioni mediante linguag-
gio naturale o mimetico. Alla nozione di narrativa come
enunciato affianchiamo quella di narratività come una
qualità. Le qualità drammatiche dell’Amleto sono inerenti
alle sue primitive (per esempio: personaggio, conflitto,
arco drammatico). Queste primitive potrebbero essere
descritte come regole, quindi come processi.
– Le modalità di rappresentazione (narrative o dramma-
tiche), con contenuti più o meno fiction, possono pre-
vedere l’attività dello user/spettatore (e quindi definirsi
interattive) solo se si basano su un paradigma procedurale
e di creazione e/o organizzazione automatica dei conte-
nuti.
– Ai fini di una prospettiva computazionale (che immetta le
primitive dei linguaggi digitali nell’orizzonte della qualità
narrativa e/o drammatica del testo) è necessario distillare
una serie di regole (una descrizione formale) di questa
qualità.
Neodrammatico 3. Il dramma come sistema di regole
digitale
Antonio Pizzo

66 1. Il linguaggio del dramma


Muovendo dalle considerazioni emerse riguardo la narrativi-
tà digitale, è possibile chiedersi se il dramma abbia o meno
una specifica forma, tale da essere rappresentata in un mo-
dello computazionale. Chiederci quali siano le caratteristi-
che del dramma è plausibile solo se manteniamo un’ottica
generale e slegata da un singolo medium. Potremmo riferirci
agli elementi identificabili in Romeo e Giulietta o nel moderno
Rosencrantz e Guildenstern sono morti; allo stesso tempo potrem-
mo ricordarci di Friends o de I Soprano in televisione. Ma non
dovremmo neppure escludere l’interesse suscitato da reality
show come l’Isola dei famosi o X factor; e in ultimo dovremmo
prendere anche in considerazione gli elementi drammatici
in LA Noir o nella serie Assassin Creeds sulla Playstation.
Sono tutte forme riconducibili alla fiction, ma come pro-
tremmo verificare le caratteristiche drammatiche che han-
no in comune? Le possibilità di dare una risposta a questa
domanda devono fondarsi sulla convinzione che esista una
struttura condivisa, e sulla possibilità che quest’ultima possa
essere sintetizzata in alcuni criteri formali. Sebbene la que-
stione sulla forma del dramma sia stata obliterata negli studi
più recenti, se ne trovano tracce ancora negli anni Sessanta.
Il dramma Quando Elder Olson si accingeva a indagare la teoria del
come sistema dramma, confrontandosi con la considerevole varietà della
di regole
letteratura drammatica, si interrogava su quale fosse la possi-
bilità di successo nel definire un modello stabile1.
Anche se le forme del dramma fossero infinite o di nu-
mero indefinito, tuttavia, sarebbe ancora possibile ridurle
a una serie di elementi e analizzarli. Non importa quanto
grande sia la complessità delle strutture, nella loro completa
proliferazione e sviluppo, esse non possono essere generate
da elementi infiniti. Se gli elementi di una struttura fosse-
ro infiniti nel numero, non sarebbe possibile avere alcuna
struttura.2

Al fine di contenere Shakespeare e il videogame in uno stes-


so ambito, il discorso deve necessariamente allontanarsi da
considerazioni circa la qualità artistica, l’interpretazione, e
soprattutto deve aspirare a individuare elementi che siano
validi in ambiti diversi (sottratti quindi alle regole dello speci-
fico medium: cinema, televisione, computer, o performance
dal vivo)3. Bisognerà adottare una prospettiva “ingegneristi-
ca”, “tecnica” per concentrarsi su elementi strutturali: quanto
elaborato è il plot, quanti personaggi sono coinvolti, che tipo 67
di azione avviene, quanti e quali conflitti hanno luogo, ecc.
In questo senso, si potrebbe cominciare a riconoscere un
modello di scrittura drammatica condiviso.
È chiaro che tratteremo di un modello molto parziale, che
appare meno significativo nel descrivere quella produzione
drammatica che si pone in diretta alternativa al modello nar-
rativo chiuso (una storia, un protagonista, un obiettivo intor-
no al quale ruota l’intreccio, uno stabile avanzare dell’azio-
ne). Basti ricordare l’incapacità a perseguire i propri obiettivi
di alcuni personaggi cechoviani o l’apparente immobilità del-
le situazioni in Beckett. Eppure, benché si tratti di una forma
drammatica messa in discussione in parte della produzione
tea­trale novecentesca, nel senso della crisi del dramma pre-
sentata da Szondi, o nel senso di alternativa contemporanea

1. Elder Olson, Tragedy and the Theory of Drama, Detroit, Wayne State University
Press, 1961, p. 30.
2. Ivi, p. 31.
3. Si veda a proposito la definizione di dramatic media per cui sono drammatici
tutti quei media che rappresentano azioni agite da personaggi: M. Esslin, The Field
of the Drama cit., p. 33.
Neodrammatico postdrammatica, alcune regole compositive restano alla base
digitale dei prodotti di largo consumo e si trovano ribadite in buona
Antonio Pizzo
parte dei manuali di scrittura.
Ci dirigiamo quindi verso una semplificazione, che però
vuole chiarire che ogni tipo di teoria formale e/o compu-
tazionale del dramma deve innanzitutto delimitare i propri
scopi. Ciò che chiamiamo formalizzazione del dramma, è il
modello alla base di qualsiasi sistema che intenda produrre
manifestazioni drammatiche, e non presuppone alcun giudi-
zio di valore sull’arte, sul tea­tro, sul film, ecc. Tantomeno si
offre come modello per un’analisi del complesso sistema dei
media e della loro relazione/influenza sui contenuti. E certo
non intende discutere di stile e poe­tiche. Un modello forma-
le di dramma mette a fuoco solo ciò che la prassi artistica e la
riflessione culturale hanno definito come qualità specifiche
della rappresentazione drammatica; cioè, le informazioni, in
qualsiasi forma siano scritte, e il modo in cui possono essere
processate.
In italiano il termine dramma è generalmente associato,
da un lato al testo scritto e dall’altro al “genere serio” (il
68 dramma appunto) che fa la sua apparizione con Denis Di-
derot, definito come intermedio tra commedia e tragedia, in
particolare nel terzo dei Dialoghi sul Figlio naturale4.
In ambito anglofono la parola assume uno spettro se-
mantico più ampio: una “School of Drama”, non è un corso
per scrittori bensì ciò che in italiano intenderemmo come
scuola di tea­tro. Drama ha sia il valore di opera scritta per il
palcoscenico, sia di una situazione in cui esiste un conflitto.
In ogni caso conserva, come in italiano, il significato greco
di “fare, agire, performare”: dal greco drâma, derivazione di
dráō “agisco”.
Il dramma viene generalmente definito come composizio-
ne in prosa o in versi destinato alla rappresentazione scenica.
Ma in senso meno letterale è considerato una sequenza di
azioni strutturate da un insieme dato di connessioni, normal-
mente descritto in un testo o – in senso più ampio – in una

4. I dialoghi di Denis Diderot sono apparsi con il titolo Dorval et moi, come ag-
giunta all’edizione del 1757 di Le Fils naturel, ou les Épreuves de la Vertu. Qui utilizzia-
mo l’edizione italiana tradotta e curata da Marialuisa Grilli: Denis Diderot, Tea­tro
e scritti sul tea­tro, Firenze, La Nuova Italia, 1980. Per una puntuale rassegna delle
edizioni e delle risorse on line del testo si veda la voce Diderot nel catalogo di www.
actingarchives.unior.it.
Il dramma partitura. Come si vede, la nozione è comunemente posta in
come sistema relazione con la scrittura e la letteratura: il dramma è qual-
di regole
cosa che può essere scritto, e questa scrittura ha una qualche
tecnica differente da quella del romanzo o della poe­sia5.
Però la divisione in atti o in capitoli, la maggior o minor
presenza di dialoghi, delle didascalie, o del discorso in pri-
ma persona, sono caratteristiche “superficiali”, convenzioni
culturali che non sono sinonimi di “caratteristiche dramma-
tiche”.
Szondi ha definito il dramma come un’azione al tempo
presente che è agita direttamente dai personaggi6. Ogni
dramma, al di là dalla forma che assume nella sua presenta-
zione, produce nello spettatore la percezione di quella che
intuitivamente chiamiamo storia, all’interno di una sequenza
di situazioni presenti. La storia è «l’insieme di tutti gli eventi
in una narrazione, sia quelli presentati esplicitamente, sia
quelli dedotti dallo spettatore»7. Esiste dunque un contenuto
(la storia) che può essere enunciato in forme diverse (tra le
altre il dramma). La storia di Amleto comprende sia la di-
sputa tra tra i regni di Danimarca e Norvegia, sia l’assassinio
del Re, ma Shakespeare seleziona un determinato insieme 69
di eventi e azioni nel dramma, lasciando il resto al racconto
dei personaggi. Si tratta della stessa distinzione tra fabula e
soggetto diffusa in ambito semiotico, alla quale abbiamo ac-
cennato nel capitolo precedente, dove la fabula corrisponde
al mythos di Aristotele, uno dei sei elementi della tragedia,
mentre il soggetto individua la specifica rappresentazione di
eventi e personaggi così come essi sono comunicati e com-
binati nell’opera8. In ambito tea­trale, Elam descrive la storia
come «struttura dinamica» e «costrutto mentale», mentre
il soggetto è «la struttura della disposizione strategica delle
informazioni»9.
È chiaro che la fabula, essendo un ricavato del sjuzet [sog-
getto] in quanto tale, costruisce una parafrasi di un tipo

5. Cfr. Cesare Segre, Tea­tro e romanzo, Torino, Einaudi, 1984.


6. Cfr. P. Szondi, Teoria del dramma moderno cit., pp. 9-13.
7. David Bordwell, Kristin Thompson, Film Art: an Introduction, Boston, McGraw-
Hill, 2004, p. 70.
8. Cfr. qui il par. 4 del cap. 2, e anche M. Pfister, The Theory and Analysis of Drama
cit., p. 197.
9. K. Elam, Semiotica del tea­tro cit., p. 123.
Neodrammatico pseudo-narrativo, prodotta per esempio da uno spettatore
digitale o da un critico nel raccontare la “storia” del dramma. È di
Antonio Pizzo
solito il primo oggetto delle ipotesi da parte dello spettatore
mentre assiste alla rappresentazione: egli anticipa gli eventi,
tenta di “collegare” fatti la cui connessione non è immediata-
mente chiara e generalmente cerca di inferire il quadro glo-
bale dell’azione dai bits di informazione di cui si alimenta.10

Se prescindiamo dal supporto di scrittura (la pagina del testo,


la pellicola cinematografica, il nastro video, la memoria digi-
tale, ecc.) il dramma coincide con tutti gli eventi enunciati11.
Dovremmo quindi supporre che proprio quella disposi-
zione di informazioni indicata da Elam possegga caratteri-
stiche differenti a seconda che si tratti di dramma o altra
forma narrativa. Il modello linguistico e formale che regge
il romanzo e il dramma, rappresenta un problema che ha
impegnato gli studiosi per decenni. Il modello più diffuso si
basa sull’opposizione di categorie binarie e sulla loro com-
posizione. In sintesi si ipotizza che la comunicazione nar-
rativa individui un numero limitato di ruoli come funzioni
oppositive analoghe alle funzioni sintattiche del linguaggio.
70 «Uno dei tratti caratteristici degli approcci strutturalisti, sia
alla narrativa che al dramma, è stato il tentativo di ridurre
la struttura degli avvenimenti narrati a una “grammatica” di
base, comprendente certe categorie binarie oppositive e le
modalità della loro combinazione»12.
A partire dalla Poetica di Aristotele, si sviluppa una tratta-
tistica sulla scrittura drammatica che non s’interrompe più
fino ai giorni nostri. Altri hanno già provveduto a riassumere
il dibattito (tra tutti resta fondamentale il lavoro di Carlson,
Teorie del tea­tro)13. In questa sede ci limitiamo, quindi a ri-
cordare solo alcune questioni in prospettiva di un modello
computazionale.
Il tea­tro e il dramma, per quanto strettamente legati, rap-
presentano due nozioni distinte delle quali dobbiamo rico-
noscere le specificità estetiche e di linguaggio. Ciononostan-

10. Ivi, p. 124.


11. D. Bordwell, K. Thompson, Film Art: an Introduction cit., p. 71.
12. K. Elam, Semiotica del tea­tro cit., p. 130.
13. Marvin A. Carlson, Theories of the Theatre: a Historical and Critical Survey from the
Greeks to the Present, Ithaca, Cornell University Press, 1984; qui citiamo dall’edizione
italiana Teorie del tea­tro, Bologna, il Mulino, 1998.
Il dramma te, la relazione è delicata. Allardyce Nicoll dice chiaramente:
come sistema «bisogna notare la confusione nel nostro uso quotidiano dei
di regole
termini “tea­tro” e “dramma”»; e subito dopo, pur se sostiene
che «tea­tro implica una performance fornita da un gruppo
di persone davanti a un pubblico», ammette che dramma
e spettacolo possono essere considerati anche «sinonimi in
quanto restituiscono l’idea di un lavoro letterario scritto da
un autore o da molti autori, in una forma predisposta per
la rappresentazione scenica»14. Sebbene l’analisi fornita da
Nicoll non riguardi la definizione formale del dramma, è
significativo che l’autore ponga l’accento sul legame tra la
nozione di tea­tro e quella di pubblico. In questo senso il tea­
tro è ciò che “accade” tra il palcoscenico e gli spettatori. Allo
stesso modo, decenni dopo, Elam propone una definizione
in cui “tea­tro” è la transazione tra attore e pubblico, mentre
“dramma” è la modalità di fiction e le sue convenzioni15. Inol-
tre il tea­tro – l’evento – non può esser completamente codi-
ficato poiché prevede la partecipazione dell’essere umano.
Quindi, nella prospettiva computazionale l’oggetto di studio
resta solo il dramma, escludendo le questioni che riguardano
la realizzazione dell’evento in tempo reale (performance). 71
La confusione notata da Nicoll, spiega anche perché sia
sempre stata accreditata una sorta di teoria della doppia fun-
zione del testo drammatico (letteraria e tea­trale) e quindi
l’idea di una sua intrinseca incompletezza se privo della mes-
sa in scena. Questa posizione ha una storia antica ed è molto
diffusa negli ultimi due secoli a seguito dell’emergere di una
matrice sempre più letteraria dell’opera tea­trale. Come scrive
Nicoll: «la tacita assunzione in questo caso è che (1) il tea­
tro e il dramma sono così profondamente e intimamente in
accordo che non può essere definita alcuna distinzione tra i
due, che (2) la performance è in effetti l’opera, e che (3) una
performance, qualsiasi performance, dovrà rivelare le vere
virtù del testo»16. Sebbene si tratti di una posizione superata
(soprattutto negli ultimi due punti) è ancora sorprendente-
mente attiva ai giorni nostri: «Il vero esito e la completezza di
un testo drammatico sono raggiunti solo quando esso viene

14. Allardyce Nicoll, The Theatre and Dramatic Theory, New York, Harrap, 1962,
p. 11.
15. K. Elam, Semiotica del tea­tro cit., p. 10.
16. A. Nicoll, The Theatre and Dramatic Theory cit., p. 42.
Neodrammatico messo in scena»17. La questione è rilevante in questa sede
digitale perché, se si vuole tentare una descrizione computazionale
Antonio Pizzo
dell’oggetto chiamato dramma, bisognerà che questo abbia
una propria autonomia formale. Una ipotetica incompletez-
za renderebbe vano il tentativo di descriverlo senza ricorrere
ai codici, molto complessi, della performance. Introdurre la
necessità della messa in scena nella definizione di un’estetica
del testo drammatico è pericoloso perché si compie l’erro-
re di utilizzare una categoria estrinseca (la messa in scena)
per definire l’oggetto della nostra analisi (il dramma). Que-
sto è chiaro nell’esempio riportato da Concetta D’Angeli:
«nessuno m’impedisce di comprarmi un vestito da sposa
non per sposarmi, ma solo perché mi piace; però, resta vero
che il vestito da sposa è progettato e cucito per le spose»18.
La funzione sociale dell’oggetto culturale (il matrimonio
per il vestito da sposa) appartiene a un ordine di questioni
(ritualità sociale, religione, ecc.) che esulano l’estetica, ma
soprattutto riguarda un evento definito da altri segni, da un
altro linguaggio. Il rito del matrimonio classico potrebbe cer-
tamente aver bisogno dell’abito da sposa, ma il codice che
72 regge l’abito, per esempio quello italiano, risponde a regole
precise in se stesse: il bianco virginale, il velo che nasconde il
viso, la ricchezza dell’ornamento, ecc. E si tratta di segni che
rispondono al linguaggio dell’abito e non dell’evento, tanto
da ritornare (distinti) in situazioni diverse (il convento, il
ricevimento di gala, il rito della comunione) e in paesi e riti
diversi (cattolico e protestante). Dunque, l’abito da sposa è
tale anche nella vetrina di un negozio.
Ma torniamo a quanto suggerito da Ryan, e cioè a consi-
derare la narrativa come una sorta di rappresentazione cogni-
tiva, transmediale e transdisciplinare19. Dobbiamo supporre
che la differenza tra romanzo e dramma risieda nella diversa
percezione: ne abbiamo rappresentazioni cognitive differen-
ti. Non è rilevante che il romanzo si legge e il testo si mette in
scena, quanto il fatto che producono due rappresentazioni
cognitive differenti anche se sottoposti a una pratica di deco-
dificazione della scrittura apparentemente simile (la lettura).

17. Concetta D’Angeli, Forme della drammaturgia. Definizione ed esempi, Torino, Utet,
2004, p. 4.
18. Ivi, p. 5.
19. Cfr. qui p. 64 (cap. 2, par. 5).
Il dramma Del resto lo stesso Aristotele aveva stabilito che esiste una
come sistema peculiarità della scrittura drammatica in se stessa.
di regole
Bisogna appunto che, anche senza vedere, il racconto sia
composto in modo tale che chi ascolta lo svolgimento dei
fatti sia preso dai brividi e dalla compassione in seguito agli
avvenimenti.20
Pierluigi Donini, nella sua introduzione alla Poetica, spiega
che l’elogio al poema omerico deriva dal riconoscimento di
una sua drammaticità, la quale a sua volta è riconosciuta co-
me culmine dei generi poe­tici in quanto massima forma di
imitazione21.
Perché un testo poe­tico riesca “drammatico” non c’è
bisogno alcuno della recitazione di esso in una rappresen-
tazione scenica; si tratta di una qualità inerente alla poe­sia
e legata soltanto alla sapienza “imitativa” del poe­ta, indipen-
dentemente da condizionamenti esterni e da situazioni ma-
teriali o concrete di presentazione del testo.22

In un paragrafo dedicato alla differenza di effetti tra lettura


e rappresentazione, Donini conclude che il filosofo si sia,
infine, reso conto che l’effetto più completo della tragedia 73
(coinvolgimento emotivo e acquisizione cognitiva) necessi-
tava sia di una preparazione culturale adeguata (e di pochi)
sia di una esperienza di fruizione intima, profonda, che non
fosse solo attenta ai brividi, i colpi di scena, i rovesciamenti e
i riconoscimenti, ma che fosse capace di comprendere la se-
quenza delle azioni e la coerenza nella successione dei fatti23.
Un testo quindi possiede qualità drammatiche (per Aristo-
tele coincidono con un tipo di mimesi) che non corrispon-
dono solo con le sue potenzialità di rappresentazione. Un
testo non è drammatico perché deve essere rappresentato,
bensì per la peculiare forma di imitazione del mondo, per il
modo in cui suscita emozioni e struttura le azioni e gli eventi
affinché un adeguato processo cognitivo ne possa cogliere
l’ordine profondo.

20. Poetica, 1453b 1-10. Qui citiamo il trattato di Aristotele nella edizione
con introduzione, traduzione e cura di Pierluigi Donini, Torino, Einaudi, 2008,
p. 93.
21. P. Donini, Introduzione ad Aristotele, Poetica cit., p. xxviii.
22. Ivi, p. xxix.
23. Ivi, pp. cxxi-cxxxiv.
Neodrammatico In questa sede, il discorso di Aristotele, naturalmente, è da
digitale ritenere soltanto una considerazione preliminare, e la discus-
Antonio Pizzo
sione sulle regole drammatiche deve svilupparsi su modelli
storicamente più prossimi a noi. Ribadiamo che una formula-
zione computazionale non può prescindere dal riconoscere
uno standard drammatico contemporaneo e pertanto esclu-
de a priori, almeno in una fase iniziale, le metodologie di
scrittura di tutte quelle opere che appartengono all’universo
post-drammatico individuato (seppur da punti di vista diffe-
renti) da Lehmann o da Mango24.
In un manuale per gli studenti della Louisiana State Uni-
versity, nel 1946, Cleant Brooks e Robert B. Heilman, scri-
vono:
Questo libro rappresenta un tentativo di dare corpo ai se-
guenti principi: (1) il primo obiettivo di chi insegna dram-
maturgia è di abituare gli studenti ad avere a che fare con
la struttura fondamentale del dramma - di insegnargli a stu-
diare il dramma non solo come semplice storia letteraria o
storia di idee o espressione della personalità dell’autore, ma
come dramma, una speciale forma con metodi e caratteristi-
74 che proprie.25

Per allontanarsi dalla tradizionale critica letteraria, anziché


rivelare significati reconditi, relazioni culturali, ragioni psi-
cologiche, il leader del New Criticism, Brooks, si concentrava
sugli strumenti che potevano produrre una vera esperienza
drammatica. Anche se, da un punto di vista della teoria critica,
quest’approccio sembra sottostimare l’importanza dell’atto
soggettivo dell’interpretazione (cosa fin qui inevitabile), ha
comunque il merito di proporre un criterio strutturale. In
particolare, Brooks e Heilman, prendono in esame il dialo-
go come elemento necessario del testo ma in se stesso non
sufficiente a garantirne la drammaticità. Sostengono che un
interrogatorio o una conversazione, pur fondati su relazione
dialogica, possono non essere drammatici (è un tema ripre-
so anche da Styan26); e tantomeno lo è il mero realismo o la
qualità della prosa. Anche se contiene considerazioni molto

24. L. Mango, La scrittura scenica cit.; H.-T. Lehmann, Postdramatic Theatre cit.
25. Cleanth Brooks, Robert Bechtold Heilman, Understanding Drama, New York,
George G. Harrap, 1946, p. ix.
26. John L. Styan, The Elements of Drama, Cambridge, Cambridge University Press,
1960 (qui citiamo dall’edizione del 1993, pp. 12-20).
Il dramma generiche e ormai superate (per esempio, il dramma non ha
come sistema descrizioni dirette o pensieri interiori), e sembra riferirsi a
di regole
una forma di dramma ancora tardo ottocentesca (non vie-
ne fatta menzione di Brecht, per esempio), il saggio mette
in luce alcuni elementi che ritroveremo spesso in opere più
moderne. Il dramma, dicono gli autori, è un comportamento,
un’azione riferita a un personaggio; ogni battuta è il punto di
partenza di quella che segue; le questioni che la trama solleva
devono essere chiare. Alcuni decenni dopo Stuart Spencer
sembra specificare ulteriormente: «L’azione drammatica non
è far qualcosa. Non è un’attività fisica. Non è il personaggio
che si muove sul palcoscenico […] L’azione è ciò che il per-
sonaggio vuole»27. In sintesi il dramma non è letteratura, sia
perché deve innanzitutto mostrare alcuni personaggi nelle
loro azioni, sia perché queste ultime non devono essere ridot-
te alla mera descrizione di un movimento, bensì manifestare
una intenzionalità. L’azione deve scaturire (in modo più o
meno diretto) da una motivazione interna ai personaggi e nel
contempo fornire informazioni su di loro e i loro obiettivi. E,
soprattutto, deve esserci il maggior numero possibile di con-
flitti. Il dialogo diventa sinonimo di conflitto e quest’ultimo 75
è presente in un’azione che possiede una causa e un effetto.
Azione, obiettivo, conflitto, sono termini che assumono
una specifica rilevanza nella prospettiva computazionale
perché possono essere ricondotti a una sorta di punto di
vista “azionale”, e con ciò, per ora, intendiamo la centralità
dell’azione, non intesa come sbilanciamento verso la messa
in scena, bensì come rappresentazione di comportamenti
(rappresentare azioni al tempo presente). Si tratta di un
punto di vista chiaramente e volutamente parziale, che non
tiene conto né del quadro storico letterario, né degli studi
culturali. Ma l’influenza del dramma nella ricerca informa-
tica al fine di modellare eventi e azioni, riguarda appunto
gli specifici mezzi con cui il dramma costruisce la narrazione,
intesi nella loro organizzazione unitaria come uno dei modi
di rappresentare il mondo.
Minore, dunque, è l’influenza di quelle ricerche che in-
tendono l’opera tea­trale, il dramma, come lavoro scritto, la-
voro letterario e, dal loro punto di vista, oggetto di un’analisi

27. Stuart Spencer, The Playwright’s Guidebook, New York, Faber and Faber, 2002,
p. 38.
Neodrammatico che può procedere secondo le categorie come stile, vocaboli,
digitale generi. Questa tendenza vive per tutto il Novecento fino ai
Antonio Pizzo
nostri giorni, sfumando spesso i confini (pur in origine molto
marcati) tra critica letteraria e studi culturali, cosicché le sto-
rie di Ibsen avrebbero un’implicazione sessuale, Pirandello
sarebbe ossessionato dall’incesto; di Brecht emergerebbe la
dottrina marxista, di Beckett la poe­tica dell’assurdo, ecc. Con
ogni probabilità, questa attitudine affonda le radici nell’este-
tica idealista, come insegnata da Benedetto Croce nel suo Bre-
viario di Estetica, secondo la quale l’arte è principalmente un
atto di intuizione, e il fruitore non potrà mai raggiungere il
vero significato di essa a meno che non entri in contatto con
il nucleo profondo dell’opera grazie agli strumenti della sua
interpretazione28. La distinzione tra dramma, tea­tro, poe­sia,
racconto, sarebbe alquanto superficiale perché la sola cosa
che conta è l’arte. Da questa posizione, limpida e raffinata
nella sua coerenza, scaturiscono però una serie di approcci
letterari interpretativi e psicologici all’opera drammatica,
che Elam definisce «ingenuamente idealisti», in cui spesso lo
studioso osserva il personaggio come un network più o meno
76 complesso e unificato di tratti sociali e psicologici; cioè come
una distinta “personalità” piuttosto che come una funzione di
una struttura drammatica29. Anche se consideriamo un’auto-
rità nell’ambito della di critica letteraria, Harold Bloom, e il
suo saggio su Shakespeare30, è certamente molto importante
per percepire la complessa natura descritta nel personaggio
di Amleto e il suo lungo processo di sviluppo, ma è meno di-
rettamente efficace per la comprensione della tecnica dram-
matica o per fondarvi una modellazione di un personaggio
artificiale. Questi studi sul dramma, quindi, non appaiono
influenti in ambito computazionale, così come la nozione di
“testo spettacolare” appare più evanescente nel momento in
cui è necessario ricondurla a definizioni univoche e formali.
In ogni caso possiamo contare su una lunga tradizione di
regole per la scrittura drammatica, magari non sufficiente-

28. Benedetto Croce, Breviario di estetica, Bari, Laterza, 1913; qui citiamo dalla edi-
zione Milano, Adelphi, 2001, nella quale appare insieme a Aestetica in nuce.
29. K. Elam, Semiotica del tea­tro cit., p. 135.
30. Harold Bloom, Shakespeare: the Invention of the Human, New York, Riverhead
Books, 1998; pubblicato in Italia con il titolo Shakespeare: l’invenzione dell’uomo, Mi-
lano, BUR, 2003.
Il dramma mente formalizzate in modo da essere direttamente utili in
come sistema una prospettiva computazionale, ma certo tanto ricche da
di regole
suggerire la possibilità di un lavoro in tal senso31. È vero che
molte di esse riguardano problemi morali, sociali, a volte
estetici, e che nessuna ha prodotto un modello capace di
descrivere i fatti del dramma in termini di struttura di dati e
processi, ma possono rappresentare un punto di partenza.
Allo stato attuale la nozione di dramma appare influente
nelle procedure computazionali per il modo particolare in
cui organizza la narrazione, e per gli elementi che utilizza.
Il contributo della semiotica non è marginale (valgano per
esempio i diversi modelli legati alle teorie di Propp, Grei-
mas, Barthes)32, e in generale sono studi semiotici più vicini
alla narratologia, alla costruzione del racconto, piuttosto che
a quelli che analizzano la performance come, per esempio,
quelli di Honzl, Eco o De Marinis33. Del resto, come suggeri-
sce Gregory Currie, in un articolo sul personaggio nella nar-
rativa, anche se comunemente distinguiamo il dramma dalla
narrativa, è possibile considerare il primo come una forma del
secondo: «il tea­tro è narrativa in un medium specifico, senza
narratore o del tipo che alcune volte (non sempre) troviamo 77
nel romanzo; e generalmente riguarda i pensieri e le azioni di
particolari persone nelle loro transazioni causali con gli altri
e il mondo»34. Inoltre, l’attenzione non è quasi mai dedicata
a uno specifico testo, ma alle caratteristiche che quel testo
condivide con altri; in altre parole si tenta di descrivere uno
standard. Si tratta di accettare la distinzione tra “lavoro” e
“testo” come la descrive Currie in un altro intervento:
Plot, personaggio, struttura narrativa, stile e genere non
sono caratteristiche del testo, ma del lavoro, poiché lavori

31. Cfr. Bernard Frank Dukore, Dramatic Theory and Criticism: Greeks to Grotowski,
New York, Holt, Rinehart and Winston, 1974.
32. Marc Cavazza, David Pizzi, Narratology for Interactive Storytelling: A Critical Intro-
duction, in S. Gobel, R. Malkewitz, I. Iurgel (a cura di), Technologies for Interactive Di-
gital Storytelling and Entertainment - LNCS 4326, Berlin-Heidelberg, Springer Verlag,
2006.
33. Jindrich Honzl, Dynamics of the sign in the theatre, in Ladislav Matejka, Irwin
R. Titunik (a cura di), Semiotics of Art: Prague School Contributions, Cambridge, MIT
Press, 1976; Umberto Eco, Semiotics of theatrical performance, in «The Drama Review:
TDR», vol. 21, n. 1, 1977, pp. 107-117; Marco De Marinis, Semiotica del tea­tro. L’ana-
lisi testuale dello spettacolo, Milano, Bompiani, 1982.
34. Gregory Currie, Narrative and the psychology of character, in «Journal of Aesthet-
ics and Art Criticism», vol. 67, n. 1, febbraio 2009, p. 61.
Neodrammatico con lo stesso testo possono differire secondo tutte queste di-
digitale mensioni di variazione. Il testo è solo una sequenza di paro-
Antonio Pizzo
le, e l’unico tipo d’interpretazione che si può fare di un testo
è di spiegare il significato delle sue parole e frasi costituenti
così come sono date dalle convenzioni del linguaggio.35

2. Azioni
La nozione di dramma si rivela feconda in ambito computa-
zionale perché può fornire un modello di azioni significative,
o meglio, il modo in cui organizzarle al fine di una rappre-
sentazione coerente e comprensibile dalla quale emergano
effetti emozionali.
Nel 1895, George Polti ha definito Trentasei situazioni dram-
matiche, come un set di combinazioni o una maniera di rag-
giungere specifici goal (obiettivi). Nel suo saggio omonimo,
elenca una serie definita di situazioni, e per ciascuna indica
il numero e il tipo di elementi dinamici (agenti) fondamen-
tali36. Inoltre ognuna delle trentasei situazioni è suddivisa
ulteriormente in classi e in gradazioni (nuances). Nella pri-
ma situazione, denominata supplicare, gli elementi dinamici
78
necessari sono un persecutore, un supplicante e un’autorità in
carica le cui decisioni non possono essere poste in discussio-
ne. Al suo interno, come spiega l’autore, le classi sono così
articolate:
Nella prima (A), il potere del quale attendiamo la de-
cisione è un personaggio distinto che delibera. Sia che lo
faccia per motivi di prudenza o di apprensione per coloro
che ama, o a causa di minacce del persecutore, o meglio,
per propria generosità, o rispondendo all’appello dei per-
seguitati. Nella seconda (B), per mezzo di una contrazione
analoga a quella che abbrevia un sillogismo in un entimema,
il potere che deve decidere è un attributo dello stesso per-
secutore, per esempio, un’arma nella sua mano, che dovrà
trovare il suo corso. Nella terza (C), al contrario, l’elemen-
to supplicante è diviso tra due persone, il perseguitato e

35. Gregory Currie, Work and text, in «Mind», vol. 100, n. 3, 1991, p. 338.
36. George Polti pubblicò Les trente-six situations dramatiques a Parigi, Mercure de
France, nel 1895; qui citiamo dalla ristampa anastatica edita da Kessinger Pub-
lishing nel 2003 di una delle edizioni inglesi, The Thirty-Six Dramatic Situations,
trad. di Lucille Rey, Boston, The Writer, 1940. Una sintesi italiana delle situazioni
drammatiche è riassunta nel saggio di Daniele Barberi, Le 36 situazioni da Polti a
Palmer, pubblicato nella sezione saggi del sito web www.ocula.it nel novembre 1998
(http://www.ocula.it/files/dbarbieri-le_36_situazioni_[270,713Kb].pdf).
Il dramma l’intercessore, aumentando così il numero dei personaggi
come sistema principali a quattro.37
di regole
In ognuna delle classi, poi, Polti definisce le sottoclassi (nuan-
ces). La prima classe “A” della situazione supplicare può esse-
re ulteriormente specificate in tre sottoclassi: “A1” fuggiti-
vi implorano l’aiuto di un potente contro i propri nemici;
“A2” implorare assistenza affinché si compia un pio dovere
interdetto; “A3” implorare un rifugio per morire38. Infine per
ogni sottoclasse elenca alcuni esempi che possono coincidere
con opere complete (Le supplici di Eschilo), parti specifiche
(l’atto II del Re Giovanni di Shakespeare) o esempi conosciuti
(le scene dai protettorati coloniali). Queste ultime non so-
no tratte da dramma ma piuttosto situazioni storico-sociali-
economiche in cui la particolare situazione potrebbe essere
ben rappresentata.

1° supplicare

1.C l’elemento
1.A il potere del quale 1.B il potere che supplicante è diviso
attendiamo la decisione deve decidere è un tra due persone,
79
è un personaggio attributo dello stesso il perseguitato e
distinto che delibera persecutore l’intercessore

1.A.2 Implorare
1.A.1 Fuggitivi
assistenza per 1.A.3 Implorare un
implorano un potente
compiere un pio dovere rifugio per morire
contro i loro nemici
interdetto
Fig. 1
Esempio di
rappresentazione grafica
(complete) (parziali) (vita reale) della prima situazione
Le Supplici King John (atto III) Le colonie drammatica descritta da
Polti e delle sue gradazioni

La maggior parte delle volte, gli esempi citati, corrispondo-


no alle singole gradazioni, e non alla situazione generale.
In altre parole, le trentasei categorie somigliano a classi di
alto livello di una rappresentazione ad albero delle situazioni
drammatiche, le cui relazioni sono del tipo “is a” (è un: una

37. G. Polti, The Thirty-Six Dramatic Situations cit., p. 13.


38. Ivi, pp. 13-14.
Neodrammatico classe deve considerarsi una sottocategoria o sottoclasse di un’al-
digitale tra) e al livello più basso vediamo le istanze specifiche divise
Antonio Pizzo
in tre tipi differenti.
Come lo stesso autore ricorda nelle sue conclusioni, il
metodo per definire le gradazioni è ispirato a un principio
combinatorio. In sostanza, si definiscono: i tipi di agenti me-
diante le loro azioni (persecutore, perseguitato, assassino,
vittima, amante, odiante, ecc.); i tipi di relazioni e affinità tra
gli agenti (amicizia, parentela, amore, odio, ecc.); le loro cre-
denze e i loro obiettivi («determinare il loro grado di coscien-
za, del libero arbitrio e la conoscenza della vera fine verso la
quale si muovevano»)39. Dopodiché si definisce anche il tipo
di risultato delle loro azioni in termini di effetti sul mondo:
Un altro elemento per variare tutte le situazioni è l’ener-
gia posseduta degli atti che risultano da esse stesse [cioè il
risultato della dialettica impostata nella situazione, N.d.A.].
Un omicidio, per esempio, può essere ridotto a una ferita,
un colpo, un tentativo, un oltraggio, un intimidazione, una
minaccia, una parola troppo frettolosa, un’intenzione non
realizzata, una tentazione, un pensiero, un desiderio, una
80 ingiustizia, una distruzione di un oggetto caro, un rifiuto,
una mancanza di pietà, un abbandono, una falsità.40

L’approccio formale di Polti è frutto di una cultura fortemen-


te influenzata da un lato dal successo della cosiddetta pièce
bien faite (come definita da Francisque Sarcey) nella sua lim-
pida logica strutturale, e dall’altro dall’atmosfera positivista
e la passione per il modello scientifico41. Nella lista proposta
da Polti, la cosa più rilevante, ai fini del nostro discorso, non
è l’accuratezza delle definizioni o la congruità del numero,
bensì il metodo per definirle e l’idea di un insieme finito di
elementi. Il metodo consiste nell’individuazione di agenti
dinamici, i valori di cui sono portatori, i contrasti o le op-
poste volontà, le componenti emotive in gioco e il risultato
nello stato del mondo. In breve, si tratta di organizzare azio-
ni e caricarle di uno stato emotivo. Siamo, quindi, ancora
nell’orbita del modello aristotelico. Se per il filosofo le azioni
rappresentate nell’arte drammatica sono imitazioni di azioni

39. Ivi, p. 119.


40. Ibid.
41. M. Carlson, Teorie del tea­tro cit., p. 315.
Il dramma e di vita, è anche vero, come ricorda Donini, che «“azione” e
come sistema “agire” devono essere intesi qui secondo il significato tecnico
di regole
che hanno nella filosofia aristotelica, dove questi termini in-
dicano i comportamenti deliberati, razionali, finalizzati a uno
scopo e propri soltanto di persone adulte e intellettualmente
mature»42. Inoltre la stessa composizione dei fatti (ricorda
sempre Donini) è frutto di necessità.
Il ricorso [di Aristotele] alla necessità come criterio del-
la sequenza delle azioni si spiega con estrema semplicità.
[…] L’aspirazione alla felicità, in quanto sia razionalmente
diretta, si traduce nella catena di ragionamenti pratici che,
posto un fine determinato e mediante una sorta di ragiona-
mento analitico a ritroso che muove dal riconoscimento del
fine stesso, individua le condizioni necessarie per il conse-
guimento dell’obiettivo: un procedimento che nella teoria
generale delle Etiche prende il nome tecnico di “deliberazio-
ne”. Se dunque l’agente ha in vista il fine X, s’interrogherà
(cioè delibererà) sul modo di ottenerlo e scoprirà, per esem-
pio, che per ottenere il risultato auspicato sarà necessario
ancor prima aver ottenuto o fatto Y e, per poter ottenere e
mettere in opera Y, aver prima di esso fatto Z – proseguendo
così la sua analisi fino a che abbia individuato quel termine 81
N che è già in suo possesso, o che gli è possibile ottenere
immediatamente come prima premessa delle azioni da farsi
per arrivare a X. Giunto fin qui con la sua riflessione, porrà
termine al ragionamento pratico e farà immediatamente N
per arrivare così a Z, di qui a Y e di qui infine a X.43

Polti, per realizzare la sua utopia combinatoria non può non


partire dal medesimo assunto razionale e deliberativo. Le
sue situazioni possono essere descritte come un’interazione
tra agenti dotati di obiettivi, processi di deliberazione e stati
emotivi.
La componente emozionale non è descritta nello speci-
fico ma solo come una componente delle azioni. In questo
senso è strettamente legata al plot, alla trama, della quale per
altro Polti non dice molto, se non nelle conclusioni. Infatti, le
trentasei situazioni non sono da intendere come altrettante
trame possibili. Si tratta di situazioni da combinare insieme
per avere un costrutto drammaticamente valido. In questo

42. P. Donini, Introduzione ad Aristotele, Poetica cit., p. xxiv.


43. Ivi, p. xliii.
Neodrammatico senso Polti cita ancora una volta Aristotele, per le trame delle
digitale tragedie complesse che sussistono principalmente nel passag-
Antonio Pizzo
gio da fortuna a sfortuna, da felicità a infelicità, ecc.
I nostri drammaturghi hanno ulteriormente raffinato
questo punto. Persino nelle meno complicate delle loro
opere, assistiamo almeno a un doppio cambio di sorte, ri-
stabilendo ingegnosamente il ritorno degli opposti poteri,
e rendendo la situazione del finale uguale a quella che il
pubblico ha incontrato quando è entrato in sala. Nelle opere
più complicate, essi addirittura triplicano, quadruplicano,
quintuplicano, le sorprese, badando solo a quanto gli con-
cede la loro immaginazione e la pazienza del pubblico. E
dunque noi vediamo, in queste vicende di conflitto, il mezzo
principale per variare un soggetto. Non si va molto lontano,
tuttavia, dato che non possiamo, per quanto grande sia la
nostra semplicità, ricevere dal dramma, o dalla vita, più di
1332 sorprese. 1332? Ovviamente. Cosa è mai una sorpresa
se non il passaggio da uno stato di calma a una situazione
drammatica, o da una situazione drammatica a un’altra, o
ancora da una situazione drammatica a uno stato di calma?
Fate la moltiplicazione (36 situazioni × (36 situazioni + 1
82 neutra)): 1332.44

Dunque sarà possibile definire 1332 sorprese. Il termine sor-


presa è equivoco in quanto allude a una qualche emozione
ma non ci dice nulla sul tipo. La sorpresa potrà essere piace-
vole (un inaspettato incontro con la persona amata), oppure
spiacevole (un ladro che ci assale all’improvviso). Ciò che
interessa in questa sede è che le situazioni drammatiche sono
pensate per scatenare emozioni (nei personaggi e nel pub-
blico) e che dalla combinazione di queste emozioni possono
nascere un gran numero di trame (plot). Le emozioni sono il
“motore” della vicenda; si generano o nel passare dall’assenza
alla presenza di una situazione drammatica (e viceversa) op-
pure nel passare da una situazione drammatica a un’altra45.
Ciò si traduce in una complessa rete di sentimenti e con-
trasti interiori dei personaggi, oppure in azioni o eventi di
matrice più fattuale. Sull’onda di questa prospettiva logica,
potremmo descrivere anche il particolare processo delibera-
tivo? Su questo piano, Polti non ci viene in aiuto, ma resta il

44. G. Polti, The Thirty-Six Dramatic Situations cit., p. 121.


45. D. Barberi, Le trentasei situazioni drammatiche cit., p. 26.
Il dramma punto di partenza. In altre parole, conoscendo gli elementi
come sistema (agenti) necessari come definiti in Polti, possiamo ipotizzare
di regole
che esistano una serie di azioni determinate che scaturiscono
da questa dialettica degli opposti. Si tratta quindi si svilup-
pare una prospettiva azionale. Polti, con la sua tassonomia del
dramma, allontana l’opera dalla sua matrice testuale, metten-
do in evidenza l’emergere di una sintassi in cui le forme di ba-
se potrebbero essere descritte come un’ontologia di azioni.
Finora abbiamo visto che: (1) l’oggetto culturale “dram-
ma” nasce dalla composizione di diverse situazioni definite
drammatiche; (2) le situazioni sono drammatiche se rispet-
tano alcune condizioni dialettiche di relazioni tra agenti;
(3) queste relazioni rispettano un principio di logica razio-
nale delle azioni; (4) le azioni sono sempre connesse a stati
emotivi.

3. Conflitto
Le attività svolte dai cosiddetti elementi dinamici, formano
un insieme di comportamenti altrimenti detti azioni dram-
matiche. Com’è evidente anche in Polti, una delle princi-
pali caratteristiche dell’azione drammatica è la presenza di 83
una tensione, una riconoscibile opposizione tra personaggi,
un’attitudine al contrasto che possiamo generalmente chia-
mare “conflitto”.
Il termine, o almeno il suo significato più generale, è ubi-
quo nella teoria e nella critica drammatica, e se ne trovano
i segni anche nella tragedia classica. Il senso specifico e il
modo in cui diventa pervasivo nella produzione drammatica
moderna è legato alla nascita del nuovo genere serio, in cui
questo contrasto inizia ad assumere alcuni tratti più definiti
e acquista un significato moderno.
Diderot, nei suoi Discorsi sulla poe­sia drammatica, apparsi
nel 1758 insieme a Il padre di famiglia, produce «una specie
di manuale di drammaturgia (il primo tentativo importante
in questo senso da d’Aubignac in poi): come tracciare uno
schema, disporre gli avvenimenti, trattare l’esposizione, svi-
luppare i caratteri, strutturare gli atti e le scene»46. Quando,
nello specifico, fornisce alcune regole per la scrittura e la
combinazione dei personaggi, Diderot dichiara la sua prefe-

46. M. Carlson, Teorie del tea­tro cit., p. 179.


Neodrammatico renza per la dialettica tra personaggi differenti rispetto alla
digitale lotta di caratteri contrastanti: «Voglio che i caratteri siano
Antonio Pizzo
diversi; ma vi confesso che il contrasto mi dispiace»47. Ciò che
l’autore intende con “diversità” è una condizione che appare
da un lato retoricamente meno stereotipata del contrasto ma
dall’altro, e soprattutto, più aderente alle circostanze della
vita reale: «Per una circostanza della vita in cui il contrasto
dei caratteri si mostra netto come lo si chiede al poe­ta, ce ne
sono centomila in cui sono semplicemente diversi»48.
Dunque l’allontanamento del contrasto dal nuovo genere
serio, avrà come risultato la creazione di un «dialogo sempli-
ce e naturale di due uomini che avranno interessi, passioni,
età differenti»49. L’autore propone un aggiornamento della
nozione di conflitto affinché si adatti alle necessità del nuovo
genere serio al quale non si addice l’opposizione assoluta di
personaggi disegnati con tratti e attitudini (valori morali)
radicalmente differenti, e sia il risultato di una dialettica tra
personalità e ambiente (e nell’ambiente gli altri personaggi).
I caratteri saranno ben scelti quando le situazioni ne
trarranno maggior imbarazzo e disagio. Pensate che le ven-
84 tiquattro ore che i vostri personaggi passeranno sono le più
agitate e crudeli. Teneteli dunque nella più grande soffe-
renza possibile. Le vostre situazioni siano forti; opponetele
ai caratteri; di più, opponete gli interessi agli interessi. Che
l’uno non possa andare al suo scopo senza mettersi contro i
disegni dell’altro; e che, impegnati tutti nella stessa situazio-
ne, ciascuno la veda a modo suo. Il vero contrasto è quello
dei caratteri con le situazioni.50

Il conflitto, così descritto, non è dato in senso assoluto, co-


me se si trattasse di un combattimento eroico, preordinato
e ineludibile, bensì emerge dal confronto degli obiettivi dei
personaggi con le condizioni sociali, economiche e umane in
cui la vicenda li conduce. Dunque non basta che i personag-
gi abbiano obiettivi contrastanti (per esempio, due generali
che si contendono lo stesso territorio) ma bisogna che ciò li
ponga in un qualche “disagio”, “imbarazzo”; cioè che ci sia
un problema che metta in discussione il nucleo problematico

47. D. Diderot, Tea­tro e scritti sul tea­tro cit., p. 274.


48. Ivi, p. 275.
49. Ivi, p. 277.
50. Ivi, p. 274.
Il dramma del personaggio. Non è una vera e propria psicologia, ma
come sistema disegna i tratti di una maggiore caratterizzazione interiore.
di regole
Alcuni anni dopo, nella Drammaturgia d’Amburgo, Lessing
non dedica un’attenzione specifica al tema del conflitto, che
quindi appare meno evidente, seppur latente in gran parte
dei discorsi. Si mostra interessato alla semplicità e alla na-
turalezza nelle teorie di Diderot. Lo rivela il modo in cui
concorda con quest’ultimo nel preferire quei conflitti che
siano il risultato del confronto tra i personaggi e le situazioni
in cui sono posti, e che siano fondati sulle diversità e non
sull’aspra e assoluta opposizione di contrari. Lessing aggiun-
ge che l’effetto drammatico sarà migliore quando i parte-
cipanti all’intreccio siano, in se stessi, guidati da «principi
diversi», alludendo, in questo modo, a una sorta di conflitto
interiore�51. Il momento in cui la questione emerge più chia-
ramente è a proposito del Le comte d’Essex (1678) di Thomas
Corneille che ruota intorno alla figura di Robert Devereux,
un ambizioso nobiluomo inglese che fu favorito dalla regina
Elisabetta I e poi da lei condannato a morte per tradimento.
In questo caso il discorso è centrato sul modo in cui bisogna
trattare i personaggi storici, e s’intreccia con la capacità di 85
articolarne le differenze.
Se, dovendo scegliere fra due attrici per la parte di Elisa-
betta, si debba preferire quella che e in grado di raffigurare
la sovrana offesa con tutta la minacciosa severità e la paura
che incute la vendetta regale, oppure quella che trovasse più
congeniale al proprio carattere l’amante gelosa, con tutte
le dolorose sensazioni dell’amore disprezzato, con tutta la
disposizione a perdonare al proprio amato, con tutta l’ango-
scia per la sua ostinazione e tutto lo strazio per la sua perdita.
Io rispondo: quest’ultima. Perché, in primo luogo, in questa
maniera si evita la ripetizione di uno stesso carattere. Essex
è orgoglioso, e se anche Elisabetta deve esserlo, è bene che
almeno lo sia in modo differente. Se, nel conte, occorre
che la dolcezza sia sottomessa all’orgoglio, nella regina, al
contrario, quella deve superare questo. Se il conte assume
un tono più elevato di quel che in realtà non gli convenga, la

51. Gotthold Ephraim Lessing iniziò a lavorare come Dramaturg presso il Tea­tro
Nazionale di Amburgo e in questa occasione intraprese la pubblicazione a puntate
(tra il 1767 e il 1769) dell’opera che conosciamo con il titolo di Drammaturgia
d’Amburgo; qui citiamo l’edizione tradotta da Paolo Chiarini, Roma, Bulzoni, 1975,
p. 377.
Neodrammatico regina deve sembrare meno di quello che è: farli camminare
digitale entrambi su dei trampoli, col naso nelle nuvole, farli guarda-
Antonio Pizzo
re con disprezzo a tutto ciò che li circonda, ingenererebbe
la più stucchevole monotonia.52

In altre parole, il conflitto tra i personaggi può arricchirsi di


una dinamica interiore così da evitare il pericolo di staticità
e ripetitività. È bene, quindi, disegnare una complessità del-
le motivazioni e dei sentimenti dando spazio a una sorta di
vita interiore del personaggio, a un tensione emotiva retta
da energie proprie e non attivata solo da forze esterne53. In
generale, però, Lessing appare ancora affascinato dallo scon-
tro netto, serrato, insolubile, in cui la situazione pone i perso-
naggi, cosicché il contrasto viri verso un assoluto insanabile,
l’impossibilità di riconciliazione, e aumenti il senso tragico
dell’opera54. Resta inteso sia che il conflitto scaturisce dalla
reazione tra i valori dei personaggi (morale, etica, sentimen-
ti) e la situazione, sia, e soprattutto, che detti valori devono
essere essenziali ai personaggi in gioco, così che non ci sia-
no motivazioni esterne al dramma. Il conflitto, come qualità
dell’azione drammatica, deve apparire nel presente e nella
86 diretta interazione tra i partecipanti55.
Un cambiamento sostanziale, che apre le porte allo svi-
luppo di una nozione di conflitto così come la vedremo
descritta nei moderni manuali di scrittura, è dovuto all’affer-
marsi del dramma romantico. Infatti, come ricorda Carlson,
«una delle principali differenze tra il classicismo e il roman-
ticismo, fu lo spostamento del fulcro d’interesse dall’intrec-
cio al personaggio»56. Si tratta di un passaggio già presente
nelle riflessioni di Goethe e Schiller: in sostanza, il conflitto
con il fato lascia il posto alla dimensione umana, individuale,
dell’eroe romantico. Dunque si attribuisce un ruolo centrale
alla volontà, che non si definisce solamente in contrappo-
sizione alle forze assolute del destino e del divino. Sempre
Carlson aggiunge che, in Schelling, «la tragedia basata sul

52. Ivi, p. 130.


53. Ibid.
54. Si veda la discussione su Rodoguna (1644) di Pierre Corneille: ivi, p. 154.
55. Per la commedia, Lessing conferma la centralità del conflitto ma non ritiene
necessario il costante cambiamento dei personaggi nel tempo. Si veda l’esempio
di Adelphoe di Terenzio: ivi, p. 421.
56. M. Carlson, Teorie del tea­tro cit., p. 200.
Il dramma personaggio, fondamentalmente, mette a confronto non li-
come sistema bertà e necessità, ma libertà e libertà»57. Dunque, allo scontro
di regole
tra eroe e mondo assoluto, si sostituisce il conflitto tra indi-
vidui. Anzi, sarà proprio questa opposizione che parteciperà
alla rivelazione del reale al di là delle apparenze sensibili.
La stessa penetrazione nel profondo, dice Schiller, la si
trova talvolta in natura, in quello che egli definisce il subli-
me – un percezione completamente diversa da quella della
bellezza, basata, quest’ultima, sull’armonia e sull’equilibrio.
Il sublime nasce, piuttosto, da una disgiunzione: di fronte
ai fenomeni naturali, travolgenti e irresistibili, la mente per-
siste comunque nella propria individuale libertà d’azione,
e da questo conflitto si origina la percezione del sovrasen-
sibile.58

Il nuovo punto di partenza, è il lavoro svolto da Hegel sull’ar-


te che, oltre a essere una sorta di sintesi della tradizione este-
tica tedesca, rappresenta, fino a quel momento, l’analisi più
dettagliata del dramma. La materia è trattata nelle sue Lezioni
di estetica, svolte nel secondo decennio dell’Ottocento, or-
ganizzate e pubblicate dopo la morte del filosofo, a partire
dal 183659. La poe­sia drammatica, alla quale è dedicata la 87
terza e ultima parte dell’ultimo capitolo sulla poe­sia, è inte-
sa come la descrizione di una storia (oggettività dell’epica)
attraverso le azioni e i sentimenti degli individui (soggettività
della lirica): quindi narrazione mediante azioni di agenti in
tempo presente, con il personaggio inteso come il medium
principe, la cui vita artistica si svolge in una serie di con-
flitti. Infatti, azioni e collisioni sono centrali fin dalla prima
esposizione dei principi generali della poe­sia drammatica.
«L’agire drammatico non si limita all’effettuazione semplice
e senza perturbamenti di un fine determinato, bensì si fonda
comunque su circostanze, passioni e caratteri in collisione e
conduce quindi ad azioni e reazioni che a loro volta rendono
necessario un appianamento della lotta e del contrasto»60.
Il conflitto tra le passioni dei personaggi è il motore princi-

57. Ivi, p. 213.


58. Ivi, p. 202.
59. Per la storia dell’edizione dell’opera di Hegel si veda Nicolao Merker, Prefazio-
ne, in Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Estetica, Torino, Einaudi, 1997, pp. xlvii-
xlix.
60. G.W.F. Hegel, Estetica cit., p. 1297.
Neodrammatico pale dell’azione ed è la forza che plasma l’andamento della
digitale vicenda narrata:
Antonio Pizzo
L’azione deve in generale sperimentare ostacoli da par-
te di altri individui in azione, cadendo in complicazioni e
opposizioni che vicendevolmente frappongono ostacoli alla
riuscita e all’effettuazione.61
Il dramma è il soggetto che si manifesta mediante la propria
imposizione sulla realtà, e quindi scaturisce sempre dall’in-
terno dei personaggi e mai per motivi meramente esterni:
L’accadere non appare sorgere da circostanze esterne ma
dal volere e dal carattere interni, acquistando un significato
drammatico solo attraverso il riferimento ai fini e alle passioni
soggettive. Altrettanto però l’individuo non si arresta alla sua
conchiusa autonomia, bensì si trova posto in lotta e opposi-
zione con altri sia dal genere di circostanze in cui assume a
contenuto della propria volontà il suo carattere e il suo fine,
sia della natura stessa di questo fine individuale. Perciò l’agire
viene a trovarsi nel mezzo di intrecci e collisioni, che da parte
loro conducono, contro lo stesso valore e la stessa intenzione
dei caratteri agenti, a un esito in cui viene in rilievo l’essenza
88 interna propria ai fini, ai caratteri e ai conflitti umani.62
In questo senso la natura della poe­sia drammatica è definita
dalla presenza e dalla qualità delle collisioni. Questa che,
seguendo le argomentazioni di Hegel, definiremo come qua-
lità drammatica delle azioni, non si spiega solo nella asser-
zione del conflitto in se stesso bensì in un processo in cui la
deliberazione di un soggetto «provoca in altri individui altri
fini e passioni opposte»63. «L’azione drammatica perciò si
basa essenzialmente su un agire che porta a collisioni, e la
vera unità può avere il proprio fondamento solo in quel movi-
mento totale, per cui la collisione sorge, secondo la determi-
natezza delle circostanze, dei caratteri e dei fini particolari, in
conformità ai fini e ai caratteri, e al contempo elimina le loro
contraddizioni»64. Dunque, come abbiamo detto, nell’esteti-
ca drammatica romantica, proprio in seguito alla centralità
del concetto di individuo come fulcro dell’attenzione del

61. Ivi, p. 1300.


62. Ivi, p. 1298.
63. Ivi, p. 1300.
64. Ivi, p. 1305.
Il dramma poe­ta, il conflitto assume un ruolo centrale. Cosicché, anche
come sistema quando Hegel passa alla lunga trattazione sui “generi della
di regole
poe­sia drammatica e i suoi principali momenti storici”, vi
ritorna costantemente, e ne fa l’elemento dirimente per met-
tere in luce le specifiche caratteristiche dei generi.
La poe­sia drammatica infine, che ha come suo centro
collisioni fra fini e caratteri e insieme la soluzione necessaria
di tale lotta, può ricavare il principio dei suoi diversi generi
solo dal rapporto in cui si trovano gli individui con il loro
fine e il suo contenuto.65

Per esempio, l’individuazione del dramma romantico, inteso,


secondo la lezione di Diderot, come genere mediano, fase in-
termedia tra la tragedia e la commedia, non si esplica nell’as-
soluta interezza del conflitto tragico inteso come «legittimità
etica di un atto determinato»66; nella tragedia il personaggio
vive nell’assoluta identità tra le azioni e l’essere; «la forza
dei grandi caratteri sta proprio in ciò, che essi non scelgono
[…] interamente e per loro natura sono ciò che vogliono e
compiono»67. Al contrario, «la tragedia moderna accoglie nel
proprio ambito fin dall’inizio il principio della soggettività», 89
che era proprio della commedia, e lo sottopone a fini diversi,
che non sono più sostanziali, assoluti, ma esistono in base ai
sentimenti o alle necessità individuali che chiedono di essere
soddisfatte68. I conflitti del dramma moderno hanno un ca-
rattere relativo, specifico, storico, possono avvenire a causa di
circostanze esterne ma risiedono innanzitutto nel carattere
degli individui. Questi agiscono seguendo le proprie passioni
e, in sintesi, esprimendo la propria individualità.
Anche gli eroi greci, certo, agiscono secondo la loro indi-
vidualità, ma questa individualità nell’altra tragedia antica è
essa stessa necessariamente un pathos in sé etico, mentre in
quella moderna il carattere peculiare come tale […] si deci-
de in base a desideri e bisogni soggettivi, a influssi esterni.69

Il personaggio, in questo contesto, è ancora inteso in senso


eroico, unitario, assoluto e la dialettica delle passioni e dei

65. Ivi, p. 1335.


66. Ivi, p. 1355.
67. Ivi, p. 1357.
68. Ivi, p. 1366.
69. Ivi, p. 1369.
Neodrammatico sentimenti non giunge alla frammentazione dell’individuo.
digitale Infatti il filosofo esprime un giudizio negativo sulla possi-
Antonio Pizzo
bilità di porre il dissidio all’interno di un medesimo indivi-
duo, specialmente se ciò diventa leva di tutto l’andamento
drammatico70. Passeranno ancora alcuni decenni prima che
sia possibile distinguere quel conflitto interiore così come
lo conosciamo dal Novecento in avanti, e che darà la forma
complessa ai conflitti della drammaturgia moderna.
Da queste posizioni in poi, il focus sulla nozione di con-
flitto è sempre più diffuso negli studi di drammaturgia, in
Germania e in tutta Europa. Con il superamento dell’esteti-
ca romantica hegeliana, la matrice conflittuale del dramma
non scompare, bensì diventa sempre più umana e personale,
oggetto essa stessa di discussione, priva, quindi, della ricom-
posizione di tesi e antitesi. Il conflitto è matrice e materia del
dramma. Così il movimento causato dallo scontro tra volontà
dell’uomo e ambiente circostante, diventa la struttura del
dramma a tesi, la modalità di presentazione di un proble-
ma, come proposto nell’ultimo decennio dell’Ottocento da
George Bernard Shaw in opposizione alla semplice fotografia
90 della natura71.
Negli stessi anni, Ferdinand Brunetière, in prefazione a
Les époques du théâtre française del 1892, dismetteva la possibi-
lità di qualsiasi regola prescrittiva che non fosse la presenza
di un conflitto tra la volontà del personaggio e un ostacolo
al suo realizzarsi72. Il canone proposto da Brunetière fu con-
testato da William Archer, in un suo saggio del 1912, sulla
base di una certa genericità del termine73. Dal punto di vista
di Archer, infatti, il conflitto di volontà non è peculiare solo
al dramma, e propone, il alternativa, di considerare essenzia-
le all’arte drammatica la nozione di crisi74. Così facendo, a

70. Ivi, p. 1372.


71. George Bernard Shaw scrive La professione della signora Warren nel 1894 e ag-
giunge la prefazione nel 1902 in seguito alle molte critiche e censure subite dalle
autorità del tempo. Qui citiamo da Prefazione a La professione della signora Warren, in
Id., Opere, Torino, Utet, 1966, p. 110.
72. Ferdinand Brunetière scrive La loi du théâtre, nel 1894 come prefazione a Les
Annales du theatre francaise. Qui citiamo il breve saggio dalla raccolta curata da
George W. Brandt, Modern Theories of Drama. Selection of Writings on Drama and Thea-
tre, 1840-1900, Oxford, Clarendon Press, 1998, pp. 19-24.
73. William Archer, Play-making, in B.F. Dukore (a cura di), Dramatic Theory and
Criticism cit., 1974, pp. 663-668.
74. M. Carlson, Teorie del tea­tro cit., p. 340.
Il dramma ben vedere, Archer chiede che il conflitto sia maggiormente
come sistema definito nella tensione che provoca e, soprattutto, nella for-
di regole
ma. In questo senso, ciò che abbiamo visto descritto come
semplice opposizione, si arricchisce da un lato di una più
grande tensione emotiva nel personaggio e nella situazione,
e dall’altro dal modo in cui questa tensione è costruita. In
sostanza, si tratta di uno sviluppo da una tensione minore a
una maggiore; una crisi superiore costruita da una crisi di
livello inferiore nelle quali si riconosca una eccitazione emo-
tiva e una manifestazione del carattere75. Si comprende, nel
momento in cui il critico cita Spettri di Ibsen, che il conflitto
non può essere modellato solo come scontro di volontà e
ambiente, bensì deve essere articolato in un andamento le
cui caratteristiche sono concentrazione e intensità.
A ciò si affianca l’influenza di drammi che si allontanano
sempre più chiaramente dalla matrice romantica. Nel 1888,
per Strindberg, per esempio, la sua signorina Giulia è un per-
sonaggio moderno in quanto rompe l’immutabilità dell’ani-
ma, del carattere, così da dipingere in modo naturalistico la
ricca complessità della persona, sempre dilaniata e vacillante;
e così si avvicina una nozione di conflitto sempre più relativo 91
all’individuo, e alle sue scissioni interiori76.
In tal senso è chiarificatrice la posizione di György Lukács,
negli anni Dieci del Novecento, quando definisce il dramma
moderno come dramma borghese e dramma dell’individua-
lismo77. La nozione di conflitto interpersonale resta centrale:
«Il dramma è la forma artistica della volontà nel senso che
l’essenza dell’uomo riesce a manifestarsi con vigore imme-
diato soltanto nella sua volontà e nelle azioni che da essa
scaturiscono»78. Ma in questa cornice il conflitto, pur rico-
nosciuto fondante nell’arte drammatica, acquista un valore
relativo, perché il personaggio moderno è innanzitutto un
processo storico, un unico irripetibile�79. Individuale, appun-
to, perché non esiste un origine mitica o religiosa nel destino,

75. W. Archer, Play-making cit., p. 666.


76. August Strindberg, Preface to Miss Julie, in G.W. Brandt (a cura di), Modern Theo-
ries of Drama cit., p. 93.
77. György Lukács, Il dramma moderno, Milano, trad. it. di Luisa Coeta, Sugarco,
1976, pp. 118 e 125.
78. Ivi, p. 24.
79. Ivi, p. 91.
Neodrammatico in cui le cose esteriori premono sull’individuo, trasferiscono
digitale il conflitto al suo interno e ne spezzano l’unità80. Cosicché
Antonio Pizzo
cambia «il nodo astratto del conflitto drammatico: l’uomo
non è che il punto d’incontro di grandi forze; nemmeno ciò
che compie gli appartiene»81.
Eccoli quindi, emersi, i temi che percorreranno i drammi
contemporanei; anche se sarà sempre più difficile individua-
re una poe­tica organica del dramma, dei personaggi e dei lo-
ro conflitti. In questa sede ci interessa notare che l’apparizio-
ne di un personaggio vacillante, scomposto, scisso, è la base
sulla quale è possibile costruire intrecci in cui i conflitti sono
essenzialmente interni all’animo del personaggio, e quindi
quasi del tutto privi di azioni. Come ricorda Arthur Miller,
a proposito del suo Morte di un commesso viaggiatore (1949),
il testo tea­trale non può avere la salda unità del programma
politico, e lo stesso personaggio è vivo perché appare come
un’entità confusa, non sempre cosciente di tutto ciò che gli
accade, parziale nei giudizi e incompleto nelle volontà: il
conflitto in questo senso non passa in secondo piano, ma si
offusca, diventa meno limpido, e soprattutto non conduce
92 fiduciosamente alla riconciliazione hegeliana82.
Nel quadro della drammaturgia novecentesca, è chiaro
che la complessità delle posizioni e la quantità delle proposte
smantella la possibilità di un canone tea­trale, e certamente la
fiducia nella individuazione di norme poe­tiche. Il tentativo
di conciliare le posizioni di Archer e Brunetière operato dal
drammaturgo Henry Arthur Jones, nel 1914, nella sua intro-
duzione alla traduzione inglese de La loi du théâtre, da un lato
appare come anacronistico rispetto alle drammaturgie che
si stavano imponendo, dall’altro però apre la strada a quel-
le definizioni professionali del mestiere di drammaturgo e
sceneggiatore che lasceranno da parte le questioni estetiche
per concentrarsi su una rinnovata idea di “lavoro ben fatto”
al servizio del consumo di massa.
Il dramma sorge quando una persona o alcune persone
in un’opera sono coscientemente o inconsciamente “contro”

80. Ivi, p. 116.


81. Ivi, p. 117.
82. Arthur Miller, Introduction, in Id., Plays: All My Sons; Death of a Salesman; The
Crucible; A Memory of Two Mondays; A View from the Bridge, London, Cresset Press,
1958; qui citiamo dalla edizione London, A&C Black, 2009, p. 35.
Il dramma qualche persona antagonista, o circostanze, o destino. […] Il
come sistema dramma sorge così, e continua quando o fino a che la persona
di regole
o le persone sono consapevoli dell’ostacolo; ciò è sostenuto
tanto a lungo da permetterci di osservare le reazioni fisiche,
mentali o spirituali della persona o delle persone verso l’oppo-
sitore, le circostanze o il destino. Si allenta quando questa re-
azione si allenta, e cessa quando questa reazione è completa.
Questa reazione di una persona a un ostacolo è più sensazio-
nale e intensa quando l’ostacolo prende la forma di volontà
di un altro essere umano in un conflitto quasi bilanciato.83

La riflessione tecnica acquista sempre più una matrice empi-


rica, misurata sulla prassi “industriale”, volta alla standardiz-
zazione del prodotto a fini commerciali. Infatti la discussio-
ne sulle tecniche di scrittura drammatica, si trasferisce quasi
interamente all’ambito cinematografico, proprio grazie allo
sviluppo del grande cinema hollywoodiano, e iniziano ad ap-
parire brevi e semplici guide al mestiere dello sceneggiatore,
il cui focus principale è la capacità di creare prodotti accettati
dal grande pubblico. È la nascita della scrittura “industriale”
che avrà tanto seguito nella fiction televisiva, nella pubblicità
e nei vari prodotti d’intrattenimento. 93
Si tratta delle caratteristiche presenti nel lavoro di Lajos
Egri, Arte della scrittura drammaturgica 84. Pur non essendo uno
dei grandi drammaturghi europei o americani (nacque in
Ungheria ma visse per la maggior parte della sua vita negli
Stati Uniti), Egri riassume bene i criteri dello standard di
scrittura drammatica statunitense. E pertanto ha avuto molta
influenza sia sugli autori del mainstream hollywoodiano, sia
nei successivi insegnanti di scrittura, perché suggerisce un
metodo per valutare l’efficacia drammatica dell’opera. Negli
anni Quaranta la produzione tea­trale e cinematografica era
già fortemente industrializzata, sottoposta a criteri produttivi
che dovevano garantire un ritorno economico. Questa matri-
ce industriale chiedeva che il prodotto drammatico garantis-
se la presenza di alcuni standard che, a loro volta, rendessero
più sicuri gli investimenti di capitale. Il produttore america-
no Gilbert Heron Miller nella sua prefazione al libro scrive:

83. Henry Arthur Jones, Introduction, in Ferdinand Brunetière, The Law of the Dra-
ma, a cura di H.A. Jones, New York, Dramatic Museum of Columbia University,
1914, p. 37.
84. L. Egri, L’arte della scrittura drammaturgica cit.
Neodrammatico È la prima volta che leggo un libro che mi dice perché
digitale un’opera non funzionerà in scena, e tutto questo molto tem-
Antonio Pizzo
po prima che io abbia firmato contratti con artisti ben pagati
e che abbia messo in moto una produzione che mi costerà
quanto una villa a Long Island.85

Il saggio di Egri fornisce poche e chiare regole per valutare


la presenza o meno di questi standard, e condensa, in una
forma semplice ed efficace, una serie di criteri già diffusi tra
gli autori professionisti. Ed è chiaro che per efficacia dram-
matica s’intende la capacità dell’opera di agganciare le com-
ponenti emotive del pubblico. Ecco dunque la ragione del
suo successo tra gli operatori della scrittura. Le qualità dram-
matiche sono valutate sulla base dell’effetto che avranno sul
pubblico. Il ragionamento è alquanto semplice (e ancora una
volta debitore alla Poetica): il dramma, in quanto rappresenta-
zione essenziale della realtà, ha come scopo finale quello di
suscitare un determinato insieme di reazioni (principalmen-
te emotive) nel pubblico; queste reazioni sono frutto di un
discorso drammatico che utilizza un determinato insieme di
effetti (che diremo drammatici). Se il dramma debba restitui-
94 re un’immagine del mondo e quale questa possa essere, sono
questioni del tutto estranee a questo lavoro, o per lo meno
lasciate alla poe­tica individuale dell’autore. Quello proposto
da Egri è, infatti, un sistema di regole che più che attestare
il valore assoluto di un’opera ne descrive l’efficacia relativa
a una serie di obiettivi, che (per quanto impliciti) sono rias-
sumibili nella capacità di emozionare il pubblico. Fotografa
quindi uno standard maturo che, come spesso accade nella
storia delle arti, in quegli stessi anni era messo in discussione
nella sperimentazione tea­trale e cinematografica86.
Il passaggio fondamentale, dove riconosciamo la natura
industriale, diremo operazionale, di Egri, è quello in cui tradu-
ce tutti questi presupposti in una formula. Un buon dramma
si fonda su una idea unitaria, una sorta di linea di azione
principale sulla quale svolgere l’intreccio. Ciò che l’autore
chiama premessa, può essere descritto in questi termini: indi-
viduazione di un’emozione o di sentimento di un personag-
gio (esempio: l’egoismo); un conflitto (o direzione) espresso

85. Ivi, p. vii.


86. H.-T. Lehmann, Postdramatic Theatre cit.
Il dramma con un verbo (conduce); il risultato (il finale) (la perdita di
come sistema amici). Dunque la premessa contiene una direzione intesa
di regole
come un movimento causato dal conflitto tra le emozioni
del personaggio e il mondo (inteso come sistema di valori,
regole, opportunità): gli elementi fondamentali, ancora una
volta, sono il personaggio e i suoi conflitti. Il personaggio è
inteso come un individuo organicamente e coerentemente
costruito sulla base di connotazioni individuali, fisiche, socio-
logiche e psicologiche. Il personaggio è il medium e il moto-
re principale dell’opera: personaggi ben fatti produrranno
una buona storia. Siamo quindi nell’ambito di una mitologia
borghese, dove l’individuo, nelle sue particolarità e con tutte
le contraddizioni interne, diventa oggetto di osservazione e
racconto. Egri sostiene che il modo per aggregare il pubblico
alla nostra storia coincide con il modo in cui sapremo legarlo
al personaggio. Dunque l’intreccio deve essere il risultato di
un’interazione naturale tra i personaggi, e non la diretta espo-
sizione del pensiero dell’autore. In questo modo concorda
con l’idea della pura esposizione dei fatti, che non ammette
l’intromissione delle opinioni dell’autore, e che Arthur Mil-
ler riconosce al proprio Morte di un commesso viaggiatore 87. Per 95
Egri, scrivere la storia vuol dire scrivere i personaggi. Ma, si
badi bene, non descrivere, raccontare, bensì agire. L’azione
è disegnata esclusivamente dai conflitti, e il personaggio vive
grazie ai propri cambiamenti nel tempo.
La nozione di cambiamento è nodale per la scrittura
drammatica in quanto definisce i punti in cui l’azione trova
una direzione e un passaggio; ed è ampiamente condivisa
nella letteratura critica per la quale individua momenti cru-
ciali e qualificanti della vicenda che diventano a loro volta
elementi strutturali della costruzione drammatica; sono i mo-
menti in cui l’azione dei personaggi segna un punto di svolta,
direzione, innalzamento emotivo, raggiungimento di scopo,
e appaiono come eventi riconoscibili88.
Questi cambiamenti si riferiscono fondamentalmente alla
sfera emotiva e a quella dei valori del personaggio, che deve
negoziarli di continuo con quelli degli altri personaggi della
storia e con l’ambiente. Mediante il confronto dialettico con

87. A. Miller, Introduction cit., p. 32.


88. S. Spencer, The Playwright’s Guidebook cit., p. 86.
Neodrammatico ciò che è altro da sé, il personaggio modifica, o aumenta, il
digitale proprio insieme di emozioni o valori, così da subire una cre-
Antonio Pizzo
scita, una maturazione. Questa sarà necessaria, quindi verosi-
mile, solo se apparirà come la logica conseguenza della situa-
zione (la relazione tra il personaggio e gli altri o l’ambiente).
Si tratta, a ben vedere, di una prospettiva intrinsecamen-
te procedurale che sottolinea la natura del dramma quale
progettazione di eventi, procedura per la creazione di com-
portamenti89. Dunque, il personaggio può essere descritto
come un insieme di valori che, spinti da un qualche desi-
derio, devono essere rinegoziati di volta in volta mediante
processi deliberativi. L’evento drammatico è un processo di
trasformazione che assume in ingresso un set di valori e che
produce un risultato in cui questi valori sono stati aggiornati.
Quali sono le regole affinché questo processo abbia luogo?
Egri sostiene che tutto inizia sempre con una decisione, quin-
di con un processo deliberativo del personaggio. Da quel
momento in poi tutto deve accadere come in un fluire unico
e inevitabile. Non è importante che le azioni siano orien-
tate moralmente o eticamente secondo criteri socialmente
96 definiti; ciò che conta è l’organizzazione dei vari personag-
gi, dei loro set di valori, e dell’ambiente. Il personaggio è
una funzione drammatica che partecipa alla creazione della
storia. Quindi bisogna non solo definire il set di valori che
definiscono il personaggio ma anche il tipo di relazioni che
lo legano agli altri. Secondo la prospettiva dialettica di Egri,
i personaggi cambiano e crescono nell’opera a causa della
reciproca influenza, e dei conflitti che li legano. Dunque
è importante che i personaggi siano ben orchestrati e che le
loro opposizioni siano chiare e utili ai fini della storia. La
composizione di un’opera drammatica equivale allo schiera-
mento di forze contrastanti che possano reggere ognuna il
confronto con l’altra. In questo modo, il movimento causato
dai conflitti sarà graduale e credibile. Non basta, infatti, che i
personaggi siano in conflitto tra di loro, bisogna che questo
conflitto sia ben organizzato. A questo proposito, Egri, indi-
vidua quattro tipi di conflitti: statico, saltellante, ascendente
e uno che prefigura ulteriori conflitti. Va da sé che gli ultimi
due tipi sono da utilizzare, mentre i primi due vanno evitati

89. Qui riprendiamo uno spunto di Lehmann che definisce il dramma come «pro-
cedura per la creazione di presenze», in La presenza del tea­tro cit., p. 19.
Il dramma in quanto non fanno avanzare la vicenda (il primo) e non la
come sistema rendono credibile (il secondo).
di regole
Un manuale di scrittura più recente (1993) recita:
La natura degli ostacoli tra il protagonista e l’obiettivo
determina buona parte della natura del lavoro. Riconosco
tre diverse categorie di ostacoli – l’ostacolo fisico, l’ostacolo
della volontà di un altro personaggio, e l’ostacolo interno,
cioè qualcosa interno al personaggio.90

Al conflitto si affianca, un elemento narrativo, l’ostacolo, che


diventa, cardine strutturale della scrittura drammatica. Uno
dei più noti manuali di scrittura, L’ABC della drammaturgia di
Lavandier, afferma:
Chi dice conflitto, dice contrasto, oppure ostacolo. Que-
sto ostacolo può essere un individuo, un oggetto, una situa-
zione, un tratto caratteriale (un difetto, ma anche a volte
una qualità), un incidente, un elemento della natura ecc.
e talvolta addirittura una sensazione o un sentimento. […]
L’ostacolo si definisce dunque in rapporto a una volontà,
una voglia, un bisogno, un desiderio.[…]. È in questo modo
che nasce il conflitto: contrapponendo obiettivo e ostacolo.
[…] Un personaggio cerca di raggiungere un obiettivo e 97
incontra degli ostacoli e ciò genera conflitto ed emozione
per il personaggio, ma anche per lo spettatore.91

Il rapporto tra conflitto ed emozioni si traduce in uno sche-


ma modellato intorno al personaggio e alla sua natura psi-
cologica da Robert McKee in Story 92. L’intreccio drammatico
è la continua reazione del personaggio agli ostacoli che si
frappongono al raggiungimento di un determinato obiettivo.
Questi ostacoli possono essere di natura interiore (conflitti
con se stessi), interpersonale (conflitto con altri individui o
gruppi di individui) e extra-personale (conflitto con l’am-
biente o le istituzioni)93. Dunque al fine di modellare l’intrec-
cio, è necessario elaborare i personaggi, e per far ciò bisogna
orchestrarne i conflitti, le relazioni interpersonali, il modo

90. Jeffrey Sweet, The Dramatist’s Toolkit: the Craft of the Working Playwright, Ports-
mouth, Heinemann, 1993, pp. 31-32.
91. Y. Lavandier, L’ABC della drammaturgia cit., p. 47.
92. Robert McKee, Story. Substance, Structure, and the Principles of Screenwriting,
New York, HarperCollins, 1997. È stata pubblicata una traduzione (Roma, Interna-
tional Forum, 2000). Qui ci riferiremo alla versione inglese.
93. Ivi, p. 146.
Neodrammatico in cui evolvono nel tempo mediante, una serie di elementi
digitale specifici: attrazione, conflitto, contrasto, trasformazione94.
Antonio Pizzo
Il contrasto è così fondamentale da diventare – per Jean-
Pierre Ryngaert – anche lo strumento principe per la com-
prensione analitica del testo:
Il primo compito è individuare il conflitto principale.
C’è un conflitto quando un soggetto è contrariato, nella
sua impresa, da un altro soggetto (personaggio) o quando
incontra un ostacolo sociale, psicologico o morale.95

Si tratta dunque dell’elemento dinamico cardinale, il cui mo-


vimento è assicurato dalle tensioni interne ed esterne, sulle
quali l’autore costruisce l’intreccio. Se il conflitto è quella
cosa (o persona) che impedisce al personaggio di ottenere
ciò che vuole, è uno strumento strutturale, come l’azione:
può essere esterno, prodotto da un oggetto inanimato o da
un altro personaggio; oppure interno alla stessa psicologia
del personaggio. Ma soprattutto è legato ai temi profondi del
plot e dei personaggi, tanto che non deve essere direttamen-
te enunciato in parole o azioni96. Si tratta di un contrasto la
98 cui forma specifica può variare a seconda del contesto, e, in
alcuni casi, è considerato nella sua qualità eminentemente
dinamica, e assume il nome di negoziazione, conservando però
la natura di collisione tra obiettivi del personaggio e ostaco-
li97. In termini generali, come riassume Syd Field, un plot
acquisisce la qualità drammatica grazie al particolare modo
in cui si manifestano gli obiettivi del personaggio principale,
cioè mediante i conflitti e gli ostacoli, così descritti tali che
siano chiaramente comprensibili dal pubblico: «tutti i dram-
mi sono conflitto. Senza conflitto non ci sono personaggi»98.

4. Organizzazione e segmentazione
Abbiamo visto che la forma drammatica può essere descritta
come una serie di azioni eseguite da personaggi, nelle quali
deve esserci, manifestato o implicito, un conflitto. È anche

94. Linda Seger, Creating Unforgettable Characters, New York, H. Holt, 1990, pp. 91-
119.
95. Jean-Pierre Ryngaert, L’analisi del testo tea­trale, trad. it. di Letizia Volpini, Roma,
Dino Audino, 2006, p. 47.
96. S. Spencer, The Playwright’s Guidebook cit., p. 58
97. J. Hatcher, Scrivere per il tea­tro cit., pp. 32-33.
98. Syd Field, The Definitive Guide to Screenwriting, London, Ebury, 2003, p. 13.
Il dramma emerso che quest’ultimo deve essere orchestrato, gestito, se-
come sistema condo una evoluzione che, conduca o meno a una concilia-
di regole
zione, abbia una durata e una forma. Bisogna ora delineare i
termini in cui si pone la questione della organizzazione degli
elementi drammatici.
La natura del testo drammatico è sempre stata connessa
a una nozione di durata specifica. La misura di una tragedia
è un argomento presente in Aristotele, non tanto nella co-
siddetta “unità di tempo”, quanto nella descrizione di quale
possa essere l’azione che il poe­ta deve imitare. «La tragedia
è l’imitazione di un’azione compiuta e intera, dotata di una
certa grandezza»; così che debba avere un inizio, un mezzo e
una fine. Ma l’azione deve anche avere una grandezza e una
disposizione ordinata, tale che duri finché sia possibile com-
prendere l’evoluzione della storia e il modo in cui avvengono
i suoi cambiamenti (dalla fortuna alla sfortuna o viceversa)99.
Come ricorda Donini, «un simile intero deve possedere un
principio, un mezzo e una fine che siano in corrispondenza
della consecuzione logicamente necessaria di tali partizioni;
[la consecuzione] deve risultare in una grandezza, una di-
mensione e una lunghezza complessiva dell’azione che sia 99
sempre memorizzabile e, dunque, intellegibile»; quindi, «le
esigenze di grandezza, interezza, unità e consequenzialità
dell’azione, sono sempre pensate in funzione dell’intellegi-
bilità complessiva del mithos stesso»100.
L’attribuzione esplicita di una regola di durata non viene
mai direttamente negata e spesso si collega alle possibilità
di presentazione pubblica. Proprio questa natura sociale del
dramma, anche quando non ne nega la natura letteraria,
ne mette in evidenza la matrice azionale ed è alla base della
lapidaria definizione di Lukács, il quale opta sinteticamente
per la brevità: «Il fine del dramma è l’effetto di massa, e le
circostanze oggettive in cui deve raggiungere questo suo fine
sono in realtà già implicite nel concetto medesimo di effetto
di massa, vale a dire: il tempo a disposizione deve essere re-
lativamente breve»101.
La questione del tempo della visione, dalla quale parte
Lukács, non riguarda il numero di pagine, di battute. In altre

99. Poetica, cap. 7, 1451a, pp. 51-55.


100. P. Donini, Introduzione ad Aristotele, Poetica cit., pp. lx, lxiii.
101. G. Lukács, Il dramma moderno cit., p. 18.
Neodrammatico parole, si delinea un concetto di organizzazione che esula
digitale dalle regole compositive del testo o della poe­sia. Non riguarda
Antonio Pizzo
le cosiddette “parti della tragedia” elencate da Aristotele (pro-
logo, parodo, episodio, stasimo, esodo) perché queste sono
indicative della la quantità di versi e non del tipo di azioni
rappresentate102. Infatti, quella brevità alla quale fa riferimen-
to Lukács prescrive una certa durata, ma dipende, a sua volta,
direttamente dal modo in cui sono organizzate le azioni. Na-
turalmente sappiamo che la scrittura di testi in Europa, alme-
no fino al Settecento, si rifaceva soprattutto alla divisione in
cinque atti, definita nel brano contenuto tra i versi 189 e 195
dell’Ars Poetica di Ovidio, che restò, a parte le eccezioni (pri-
mo fra tutti Shakespeare), una norma di carattere generale e
molto diffusa. Anche quando la matrice classicista cominciò
a venir meno, non diminuì l’attenzione alla definizione di un
qualche principio di segmentazione. Eppure, nella proposta
del dramma moderno formulata da Diderot, nel paragrafo
xiv del Saggio sulla poe­sia drammatica, anche se si individuano
gli atti come elementi della struttura, la loro durata è sotto-
posta a un criterio di coerenza con l’azione.
100 Quando il piano è fatto, e i caratteri sono fissati, si passa
alla divisione dell’azione. Gli atti sono le parti del dram-
ma. Le scene sono le parti dell’atto. L’atto è una porzione
dell’azione totale d’un dramma. Ne racchiude uno o più
episodi. Dopo aver preferito le opere semplici a quelle com-
poste, sarebbe assai strano che preferissi un atto zeppo di
episodi a uno che ne includesse uno solo. […]
Si esige che gli atti siano più o meno della stessa lun-
ghezza; sarebbe molto più sensato chiedere che la durata ne
fosse proporzionata all’azione che abbracciano. Un atto sarà
sempre troppo lungo se è povero d’azione e sovraccarico di
discorsi; e sarà sempre abbastanza corto se i discorsi e gli
avvenimenti non ne fanno sentire allo spettatore la durata.103
Anche se si riferisce alla partizione in atti e scene, Diderot
resta vicino ad Aristotele nel ritenere che la durata sia relativa
alla segmentazione delle azioni che compongono il dramma
e non può rispettare altra regola che non sia di generale
armonia e corrispondenza al contenuto.
Certo anche Polti, nella sua impostazione proto-struttu-

102. P. Donini, Introduzione ad Aristotele, Poetica cit., p. 81 n.


103. D. Diderot, Tea­tro e scritti sul tea­tro cit., p. 280.
Il dramma ralista, allude alla combinazione di parti e segmenti quale
come sistema base compositiva del dramma, ma non fornisce alcuna indi-
di regole
cazione sulla composizione delle situazioni, delle loro sfu-
mature, di come organizzare i passaggi da una situazione
all’altra. La proposta di Polti è affascinante perché si fonda
sulla nozione di azione e non di scrittura letteraria, e quindi
le parti individuate sono relative al racconto, alla fabula, e
non alla sua esposizione in versi o in prosa. Si tratta dun-
que di una astrazione narratologica nella quale si potrebbe-
ro riconoscere i semi di un modello attanziale104, così come
quelli della proposta di Etienne Souriau che identifica sei
funzioni – The Lion, The Sun, The Earth, Mars, The Scale,
The Moon – combinabili in modo da rappresentare tutti i
drammi (plots)105. Il modello attanziale ha contribuito alla
riflessione formale sugli elementi che costituiscono l’azione
drammatica e sulle regole che la organizzano; e ha generato
importanti e complessi modelli formali per la descrizione
del testo drammatico106. D’altra parte, i limiti del modello
attanziale sono stati messi in luce dallo stesso Elam.
Il modello attanziale ha una certa utilità nel fornire la
struttura di base della fabula in quelle pièces fondate su una 101
ricerca da parte di un protagonista che incontra degli ostaco-
li. In quanto codice universale della struttura drammatica, le
sue pretese sono molto più discutibili. Quegli elementi che
sembrano avere un’applicabilità più ampia (protagonista,
oppositore, aiutante, fine o scopo) possono essere assimilati
in una teoria dell’azione più elastica e più generale.107

5. Agenti
Forse anche grazie allo sviluppo di questa matrice strutturali-
sta, negli ultimi due decenni assistiamo a un altro passaggio
fondamentale. Come ricorda Ryngaert,
difronte alla concezione tradizionale del personaggio-nu-
cleo, definito dal suo essere, si è elaborata l’immagine di un

104. Algirdas Julien Greimas, Del senso 2: narrativa, modalità, passioni, trad. it. di
Patrizia Magli, Maria Pia Pozzato, Milano, Bompiani, 1985, pp. 45-63.
105. Cfr. Etienne Souriau, Les deux cent mille situations dramatiques, Paris, Flamma-
rion, 1950.
106. Alessandro Serpieri, Keir Elam, Paola Gullì Publiatti, Tomaso Kemeny, Ro-
mana Rutrelli, Toward a segmentation of the dramatic text, in «Poetics Today», vol. 2,
n. 3, 1981, pp. 163-200.
107. K. Elam, Semiotica del tea­tro cit., p. 135.
Neodrammatico personaggio definito dalle azioni che compie, dal modo in
digitale cui si inserisce nella fabula diventando il supporto e il vettore
Antonio Pizzo
di forze che agiscono. […] Le recenti ricerche sulla narrati-
vità, sulle strutture del racconto conducono ad analizzare i
personaggi come forze, come attanti.108

Questo, a nostro avviso, ha prodotto anche la combinazio-


ne tra teorie drammatiche e teorie di agenti. Il concetto di
“azione” che abbiamo visto alla base del principio di orga-
nizzazione e segmentazione dell’evento drammatico, viene
applicato da un lato nel modello attanziale, ma dall’altro
dalla nozione di agente inteso come sede di processi deli-
berativi. Le teorie di agenti, partendo dal campo della psi-
cologia cognitiva si sviluppano nell’ambito dell’intelligen-
za artificiale, e, in sintesi, si interessano ai comportamenti
(psicofisici) e alle logiche che li generano e li controllano.
In particolare ciò ha condotto alla definizione di un sotto
ambito, pur molto ampio, che è normalmente associato agli
agenti intelligenti:
Un agente è un sistema computazionale, costituito da
un programma software ed eventualmente da un supporto
102 hard­ware, che:
– interagisce con l’ambiente circostante ed è reattivo agli sti-
moli di tale ambiente;
– è capace di prendere decisioni, e di conseguenza di agire,
in modo autonomo, con il fine di raggiungere un obiettivo,
chiamato generalmente goal (che può essere predefinito o
negoziato); pertanto può esser definito proattivo;
– è in grado di comunicare (coordinarsi, cooperare, negozia-
re) con altri agenti (e/o con esseri umani), è quindi capace
di interazione sociale.109
Seppur da prospettive diverse, gli studi sulla tecnica dram-
matica e la ricerca sugli agenti, hanno coperto un territorio
simile.
Il concetto di agente è diventato importante sia nell’In-
telligenza Artificiale, sia in informatica. […] Le teorie di
agenti riguardano cosa un agente è, e l’uso dei formalismi
matematici per rappresentare ed elaborare le proprietà de-

108. J.-P. Ryngaert, L’analisi del testo tea­trale cit., p. 104.


109. Anna Goy, Ilaria Torre, Agenti artificiali e agenti intelligenti: paradigmi, appli-
cazioni e prospettive, in Massimo Leone (a cura di), Attanti, attori, agenti, numero
monografico di «Lexia», voll. 3-4, Aracne, 2009, p. 303.
Il dramma gli agenti. Le architetture di agenti possono essere conside-
come sistema rate come un modelli “ingegnerizzati” per la creazione di
di regole
agenti; i ricercatori in questa area si occupano innanzitutto
dei problemi connessi alla progettazione di software o har-
dware che rispondano alle proprietà specificate nella teoria
di agenti.110

Poiché il comportamento degli agenti è considerato eminen-


temente intenzionale, guidato da obiettivi, il modello più
accreditato è il cosiddetto BDI (Belief, Desire, Intention),
che è la formalizzazione in termini di intelligenza artificia-
le del modello di razionalità limitata (bounded rationality) di
Bratman111. I Beliefs sono tutte le informazioni che l’agente ha
sul mondo in cui agisce; s’intende che tutto ciò che l’agente
crede non sempre è vero, e quindi queste informazioni pos-
sono cambiare o essere incrementate nel tempo. Nei Desires
raggruppiamo tutte le motivazioni dell’agente, o in altre pa-
role gli obiettivi che egli ha o adotta nel corso del tempo (in
questo ultimo caso si tratta di goal). Le Intentions sono gli stati
deliberativi dell’agente, quindi potrebbero essere descritti
come desires nella loro forma deliberativa; si articolano in
piani di azioni (i quali hanno una struttura ricorsiva articolan- 103
dosi in sotto piani e così via). Tutto ciò si basa sul modello di
ragionamento umano come descritto da Michael Bratman,
e si fonda su un elemento deliberativo (cosa voglio raggiun-
gere) e uno modale (come farlo)112.
Il modello di agente artificiale così descritto è sorretto da
una forte logica razionale per descrivere i processi delibera-
tivi pratici (voglio andare al supermercato) e non quelli teo-
rici (come per esempio un sillogismo: “ogni animale è mor-
tale, ogni uomo è animale, dunque ogni uomo è mortale”).

110. Michel Wooldridge, Nicholas Jennings, Intelligent agents: theory and practice, in
«Knowledge Engineering», vol. 10, n. 2, 1995, p. 115.
111. Michael Bratman, Intention, Plans, and Practical Reason, Cambridge, Harvard
University Press, 1987.
112. Per il modello di razionalità limitata, intenzioni e paradigma BDI, si vedano:
Michael E. Bratman, David J. Israel, Martha E. Pollack, Plans and resource-bounded
practical reasoning, in «Computational Intelligence», vol. 4, n. 4, 1988, pp. 349-
355; Michael E. Bratman, What is intention?, in Philip R. Cohen, Jerry L. Morgan,
Martha E. Pollack (a cura di), Intentions in Communication, Cambridge, MIT Press,
1990; Cohen Philip R., Hector J. Levesque, Intention is choice with commitment, in
«Artificial Intelligence», vol. 42, 1990, pp. 213-261; Anand S. Rao, Michael P. Geor-
geff, BDI agents: from theory to practice, in Victor Lesser (a cura di), First International
Conference on Multiagent Systems (ICMAS-95), AAAI, 1995, pp. 312-319.
Neodrammatico D’altronde è vero che la scelta di andare al supermercato
digitale (pratica) benché tenga conto di deduzioni logiche (è fini-
Antonio Pizzo
to il latte) possa assumere come spunto anche stati emotivi
(ho voglia di vedere gente). Pertanto il modello di agency,
basato sulla razionalità, non è sufficiente per cogliere la com-
plessità dell’azione umana. D’altro lato, la ricerca scientifica
ha dimostrato che emozione e atteggiamento partecipativo
sono strumenti di conoscenza. Il neuroscienziato Antonio
Rosa Damasio, in un suo famoso saggio intitolato L’errore di
Cartesio, immette la componente emozionale all’interno del
processo decisionale razionale. L’autore ritiene che l’errore
sia stato di non capire che l’apparato della razionalità è in re-
lazione con la regolazione biologica. Un processo decisiona-
le (per esempio quello di compiere una scelta tra due o più
alternative), secondo Damasio, non coincide con un’analisi
che consideri minuziosamente i pro e i contro di ciascuna
scelta. Il più delle volte, quando per esempio affrontiamo
questioni legate al nostro vissuto personale e sociale, la stra-
tegia decisionale utilizza memorie di esiti del passato che
siano in relazione con la situazione presente. Poiché quelle
104 esperienze hanno lasciato alcune tracce, queste a loro volta
richiamano emozioni e sentimenti che possono scatenare
valutazioni negative o positive113. Perciò, sempre più spes-
so, le teorie di agenti tentano di introdurre modelli formali
per le emozioni nell’organizzazione delle azioni. Particolare
rilevanza ha la proposta cognitiva, comunemente chiamata
OCC, dalle iniziali dei nomi degli autori Ortony, Clore, Col-
lins, che descrive una gerarchia di emozioni (ventidue tipi)
fondamentalmente riguardanti le conseguenze di eventi e
azioni114.
Le teorie di agenti possono contribuire alla segmenta-
zione dell’evento drammatico grazie alla creazione di un
modello formale di azione, intesa come frutto di processo
deliberativo, e descritta come piano per il raggiungimento di
un determinato obiettivo, e segmentata secondo una logica
ricorsiva di piani e sotto-piani. Non sono però sufficienti per
fornire indicazioni su come organizzare le azioni in sequenze

113. Antonio R. Damasio, L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Mi-
lano, Adelphi, 1995.
114. Andrew Ortony, Gerald L. Clore, Allan Collins, The Cognitive Structure of Emo-
tions, Cambridge, Cambridge University Press, 1988.
Il dramma complesse, e soprattutto con una durata coerente all’effetto
come sistema emotivo (drammatico) sullo spettatore.
di regole

6. Arco drammatico
Se provassimo a combinare le diverse situazioni e sfumatu-
re di Polti in qualche ordine, alla fine otterremmo qualcosa
che ricorderà il dramma classico ma che probabilmente non
produrrebbe alcun coinvolgimento emotivo poiché manca di
quelle che potremmo intuitivamente definire “qualità dram-
matiche” del plot. Come abbiamo già accennato nel paragrafo
sulle azioni, il dramma è più che una semplice combinazione
di un dato insieme di azioni. Il risultato di questa combinazio-
ne ha un suo movimento specifico, una forma che ci appare
drammatica. Olson descrive il plot come un sistema di più
azioni che possiedono un qualche attributo (che per Olson è
morale) e che siano tenute insieme da una qualche principio
unificatore115. Anche se, come abbiamo detto, il conflitto è un
elemento necessario per il dramma, quest’ultimo non è solo
la disposizione di agenti con obiettivi opposti o contrastanti,
ma possiede anche una modellazione specifica del ritmo, del-
la durata, delle peripezie, dei riconoscimenti e delle catastrofi 105
(per utilizzare una terminologia aristotelica).
In un dramma assisteremo al dispiegamento degli agenti
in gioco nella prima parte, poi seguiremo il complicarsi della
vicenda fino ad arrivare a un culmine di tensione dopo il
quale si giungerà a una soluzione. Nonostante la generalità
di queste affermazioni, dobbiamo, come minimo, ricono-
scere che è necessaria una modellazione di questo tipo di
andamento. L’ordinamento non è solo soggetto a un qual-
che principio cronologico (la narrativa e il dramma possono
anche esporre gli eventi non seguendo il loro ordine crono-
logico): si tratta anche di modellare il dispiegamento della
componente emotiva. Abbiamo già visto in Polti che ogni si-
tuazione possedeva, implicitamente, una carica emozionale.
Adesso dobbiamo chiederci come questa carica sia distribuita
nel corso dell’azione, e su quali oggetti dobbiamo misurarla:
le azioni rappresentate o le reazioni del pubblico.
È consuetudine rappresentare la tensione emotiva con-
nessa a un racconto, a un dramma, a un film secondo un arco

115. E. Olson, Tragedy and the Theory of Drama cit., p. 37.


Neodrammatico il cui asse delle ascisse rappresenta il tempo e quello delle
digitale ordinate una scala di tensione116.
Antonio Pizzo
Prima di discutere se questa tensione riguarda il personag-
gio rappresentato o la reazione dello spettatore, ricordiamo
che il concetto appare, nella sua forma esplicita, recentemen-
te, e ha, nel tempo, assunto il nome di arco drammatico. Nel
1863, lo scrittore tedesco Gustav Freytag pubblicò un saggio
sulla tecnica del dramma, dove individuava una forma di an-
damento, di movimento drammatico117. Si tratta di un lavoro
improntato a un forte empirismo, che propone una natura
artigianale del dramma e pertanto ebbe molto successo come
manuale di scrittura. I presupposti sono di matrice hegeliana,
come si evince dal modo in cui pone in luce la necessità di in-
dividuare la qualità drammatica dell’azione: «Un’azione in se
stessa non è drammatica. Il dramma lavora non sulle passioni
in se stesse, ma su una passione che conduce a un’azione»118.
Il discorso vira subito sul versante pratico. Quando prende per
esempio la vicenda di Romeo e Giulietta, così come dramma-
tizzata da Shakespeare, è evidente che un andamento dram-
matico deve essere ispirato a un progressivo aumentare delle
106 difficoltà, dei conflitti, della tensione emotiva, fino alla cata-
strofe119. E così facendo emerge anche la necessità di intro-
durre chiaramente i presupposti della fine tragica, di gettare
le fondamenta dei conflitti affinché questi appaiano credibili
e verosimili. Alla base esiste una teoria dialettica dei conflit-
ti: «la struttura del dramma deve mostrare questi elementi
contrastanti della drammatica, uniti in un’unità, efflusso e
afflusso di forza di volontà»120.
Ma il suo contributo più famoso resta la discussione espli-
cita sull’andamento del dramma, descritta come una struttura
piramidale che sarà poi famosa come “il triangolo di Freytag”:

116. Nelson Zagalo, Anthony Barker, Vasco Branco, Story reaction structures to emo-
tion detection, in Barbara Barry, Kevin Brooks (a cura di), Proceedings of the 1st ACM
Workshop on Story Representation Mechanism and Context SRMC 04, 2004, pp. 33-38.
117. Il lavoro di Freytag fu pubblicato con il titolo Technik des Dramas a Lipsia
dall’editore Berlag vod G. Birzel nel 1863; a partire dall’anno successivo Elias J.
MacEwan ne curò una traduzione inglese, Technique of the Drama, della quale furo-
no pubblicate varie edizioni; qui citiamo dalla ristampa anastatica di una edizione
del 1899, Amsterdam, Freedonia Books, 2005.
118. Ivi, p. 19.
119. Ivi, pp. 30-36.
120. Ivi, p. 104.
c: climax

b: crescita d: ritorno

Fig. 2
a: introduzione e: catastrofe Il triangolo di Freytag

Cinque parti e tre crisi del dramma.


Le due metà dell’azione, che in un dato momento s’in-
contrano, forniscono al dramma – se si può simboleggiare il
suo movimento con delle linee – una struttura piramidale. A
partire dall’introduzione, con l’ingresso delle forze scatenanti,
il dramma giunge al culmine e cade da qui fino alla catastro-
fe. Tra queste tre parti si trovano l’ascesa e la caduta. Ognuna
di queste cinque parti può consistere in una singola scena, o
una successione di scene collegate, ma il punto culminante
di solito è composto da una scena principale.
Queste parti del dramma, (a), introduzione, (b) crescita, 107
(c) climax, (d) ritorno o diminuzione, (e) catastrofe, hanno
ciascuna qualcosa di particolare nella finalità e nella strut-
tura. Tra di loro hanno sede tre importanti effetti scenici,
attraverso i quali le parti sono separate, come pure legate
insieme. Di questi tre momenti drammatici, o crisi, uno, che
indica l’inizio dell’azione emozionante, si trova tra l’introdu-
zione e l’ascesa; il secondo, l’inizio della controazione, tra
il culmine e il ritorno, il terzo, che deve aumentare ancora
una volta prima della catastrofe, tra il ritorno e la catastrofe.
Essi sono qui chiamati il momento o la forza scatenante, il
momento o la forza tragica, e il momento o la forza dell’ul-
tima suspense. Il funzionamento del primo è necessario per
ogni opera, il secondo e il terzo sono accessori buoni, ma
non indispensabili.121

Nel terzo capitolo Freytag spiega la struttura delle scene e


come organizzare le parti che compongono il dramma e so-
prattutto chiarisce che ciò non riguarda il numero di scene
o atti che compaiono nel testo scritto. La divisione in scene,
spesso a seguito di una riconfigurazione delle entrate degli

121. Ivi, pp. 114-115.


Neodrammatico attori in scena, riguarda una questione gestionale dei ruoli
digitale (per esempio, quali e quanti personaggi sono presenti in
Antonio Pizzo
scena), «ma i passaggi drammatici dai quali il poe­ta compone
la propria azione, qualche volta comprendono più di un’en-
trata e un’uscita, o le unisce insieme in un gran numero»122.
Esemplare è la suddivisione dell’azione nell’Amleto di Shake-
speare che qui di seguito riassumiamo.

1) Introduzione
• Nota chiave – Atto I – Scena 1 – Apparizione dello spettro
alle guardie ed Orazio
• Esposizione – Scena 2 – La corte riunita nella sala del Ca-
stello. Introduzione dei personaggi principali
• Scena di collegamento – Scena 2 – Monologo di Amleto
«fragilità il tuo nome è donna»
• Scena di collegamento – Scena 3 – Casa di Polonio: i consigli
del padre ai figli
2) Momento o Forza scatenante
• Introduzione alla nota chiave – Scena 4 – Piattaforma del
castello: Amleto, Orazio e le guardie attendono lo spettro
• Nota chiave – Scena 4 – Appare lo spettro e Amleto lo se-
108 gue
• Parte principale – Scena 5 – Dialogo tra lo spettro e Amleto
(l’intera introduzione funziona come un’unità dramma-
tica che trova qui il suo climax)
• Transizione – Scena 5 – Amleto fa giurare gli amici
3) Movimento ascendente
• Primo stadio ascendente
* Le contro parti – Atto II – Scena 1 – Casa di Polonio:
Ofelia racconta della follia di Amleto. Scena 2 – Sala
del castello: Re, Regina, danno incarico a Rosencrantz
e Guildenstern di sorvegliare Amleto. Gli ambascia-
tori raccontano di Fortebraccio che avanza, Polonio
legge la lettera di Amleto. Tutti decidono di far incon-
trare Ofelia d Amleto.
• Secondo stadio ascendente – Amleto decidere di mettere il
re alla prova
* Episodio A – Amleto contro Polonio – Scena 2 – Dia-
logo Amleto Polonio sulla vecchiaia
* Ep. B – Amleto contro i cortigiani – Scena 2 – Dialogo
di Amleto con Rosencrantz e Guildenstern
* Ep. C – Amleto insieme agli attori

122. Ivi, p. 210.


Il dramma * Transizione – Scena 2 – Monologo su Ecuba
come sistema (Il monologo contiene un avanzamento dell’azione)
di regole
• Terzo stadio ascendente – Amleto esaminato dalle contro
parti
* Il Re e gli intriganti – Atto III – Scena 1 – Stanze del
castello: il re, la regina e Polonio danno istruzioni a
Ofelia
* Monologo – Scena 1 – Amleto: «essere o non essere»
(Il monologo non fa avanzare l’azione)
* Scena del convento – Scena 1 – Amleto incontra Ofe-
lia
* Sospetti del re – Re e Polonio riflettono su quanto
hanno visto
(i tre stadi ascendenti funzionano in relazione tra di loro,
cosicché il primo è l’introduzione al più ampio secondo
che forma la parte più estesa dell’azione; mentre il terzo
rappresenta il climax al quale segue una brusca discesa)
• Quarto stadio ascendente – la conferma dei sospetti di Am-
leto.
* Introduzione: Amleto, gli attori, i cortigiani – Scena
2 – Sala del castello: si prepara lo spettacolo
* la trappola per topi – Scena 2 – la rappresentazione 109
degli attori. Il re fugge via sconvolto.
* Transizione – Scena 2 – Amleto smaschera Ros e
Guild (metafora del flauto). Polonio comunica che
la regina attende Amleto
* Monologo – Scena 2 – «è l’ora della notte…»
4) Climax
• Preludio – Scena 3 – Stanza del castello: Il re decide di
inviare Amleto in Inghilterra
• Preghiera (monologo) – Scena 3 – Monologo del Re « ah,
il mio delitto è fetido…»
• Esitazione (monologo) – Scena 3 – Monologo di Amleto
sull’indecisione (questa parte è strettamente connessa alla se-
guente)
5) Momento o forza tragica
• Momento tragico – Scena 4: Stanze della regina. Amleto
uccide Polonio. Dialogo con la Madre.
• Transizione – Atto IV Scena 1 – Stanza del Castello: La
regina racconta la morte di Polonio. Vanno in cerca di
Amleto – Scena 2 – Altra stanza del Castello: Amleto vie-
ne trovato e si comporta da folle.
• Amleto viene mandato via – Scena 3 – Sala del castello: Il
Re manda Amleto in Inghilterra e nel monologo rivela il
piano di farlo uccidere.
Neodrammatico 6) Ritorno
digitale • Introduzione – Scena 4: Pianura danese. Fortebbraccio
Antonio Pizzo
con il suo esercito. Monologo di Amleto sulla propria
non azione.
• Primo stadio
* Pazzia di Ofelia – Scena 5 – Stanza del castello. Pazzia
di Ofelia
* Laerte vuole vendetta – Scena 5 – Stanza del castello.
Laerte chiede al Re di vendicare i suoi congiunti.
* Evento laterale – Scena 6 – Stanza del castello: Ma-
rinai portano la lettera in cui Amleto racconta dei
pirati.
• Secondo stadio
* Pianificazione dell’assassinio di Amleto – Scena
7 – Messaggero annuncia il ritorno di Amleto. Laerte
e il Re architettano il duello avvelenato.
* Morte di Ofelia – Scena 7 – La regina racconta della
morte di Ofelia.
• Terzo stadio
* Introduzione – Atto V – Scena 1 – Cimitero – Amleto,
Orazio e i becchini. Monologo su Yorick
* Scena chiave – Scena 1 – Cimitero: Laerte e Amleto
110 litigano nella tomba di Ofelia
(il ritorno è meno regolare dell’ascesa, ed è più episodico)
7) Momento o forza dell’ultima suspense
• Riconciliazione apparente – Scena 1 – Cimitero: la regina
sostiene la pazzia di Amleto. Viene sedata la lite.
8) Catastrofe
• Introduzione – Scena 2 – Amleto racconta a Orazio di co-
me è scampato alla condanna a morte.
• Transizione – Scena 2 – Osrico reca l’invito al duello. Pre-
sagio di Amleto.
• Scena principale – Scena 2 Duello finale. Laerte ferisce
Amleto con la spada avvelenata. La regina beve il vino
avvelenato. Laerte ferito a sua volta dalla lama avvelenata
rivela il tranello. Amleto Uccide il Re.
• Finale – Scena 2 – Orazio annuncia l’arrivo di Fortebrac-
cio. Amleto muore. Entra Fortebraccio che ordina il cor-
teo funebre per Amleto.
(da notare la brevità della catastrofe)123

L’analisi di Freytag, seppure ancora discutibile, individua


però una struttura che a suo avviso è replicabile con altri au-

123. Ivi, pp. 190-192.


Il dramma tori (Sofocle, Lessing, Goethe, Schiller) e suggerisce il modo
come sistema in cui le azioni devono essere organizzate per suscitare una
di regole
corretta tensione emotiva. Indica, anche se in modo implici-
to, una funzione drammaturgica per ognuna delle otto par-
ti, insieme con una sorta di atmosfera o attributo emotivo.
In ultimo, segnala che la segmentazione del dramma, per
descrivere l’organizzazione delle azioni e degli eventi, deve
seguire un criterio diverso alla suddivisione in atti e scene.
Il triangolo di Freytag rappresenta un modello molto ri-
gido di dramma inteso come forma chiusa e conclusa. Come
ricorda Pfister:
Questa sorta di modello implica un plot lineare, a filo
unico e fortemente orientato verso un obiettivo, in cui ogni
fase ed ogni dettaglio è importante solo nella misura in cui
aiuta la progressione dell’intreccio. […] Quindi il tipo idea-
le di forma chiusa è la struttura organizzata gerarchicamen-
te, nella quale il plot è determinato dall’idea e le parti che
lo costituiscono dall’intero.124

Fatti salvi i lavori di impostazione semiotica ai quali abbiamo


accennato, la maggior parte delle proposte di articolazione e
111
segmentazione del dramma possono essere poste in diretta
relazione con la struttura di Freytag. Olson riassume l’idea
che le azioni del plot debbano essere organizzate in una for-
ma nella nozione di scenario che «indica l’ordine e la natura
delle azioni da rappresentare mediante gli attori»125. Eric
Bentley, negli anni Sessanta, sintetizza la questione nell’idea
che il plot sia la narrazione di eventi organizzati in un modo
calcolato al fine di un determinato effetto126. La struttura
legata alla tensione emotiva è anche alla base della organiz-
zazione degli eventi drammatici in Egri, che individua, dopo
una introduttiva esposizione dei conflitti, i momenti di crisi,
climax e risoluzione, quali essenziali per l’andamento dram-
matico dell’opera e delle singole parti, in una prospettiva
esplicitamente ricorsiva127. Styan sottolinea come l’intreccio
di per se stesso non sia sufficiente senza un metodo preciso

124. M. Pfister, The Theory and Analysis of Drama cit., pp. 241 e 242.
125. E. Olson, Tragedy and the Theory of Drama cit., p. 127.
126. Eric Bentley, The Life of the Drama, New York, Applause Theatre Books, 1991,
p. 15.
127. L. Egri, The Art of Dramatic Writing cit., pp. 218-229.
Neodrammatico per orchestrare le impressioni128. Sweet mette in evidenza
digitale che ogni opera risponde a una struttura retta da conflitti129.
Antonio Pizzo
Sono proprio i manuali più recenti a riprendere la neces-
sità della struttura, dell’organizzazione secondo termini che
derivano da Freytag. Lavandier specifica che nella dramma-
turgia contemporanea gli atti non sono più quelli “logistici”
che avevano a che fare con i cambiamenti di scena, entrate
di personaggi, durata dell’illuminazione, ma si tratta di atti
drammatici, con i quali s’intende il modo di articolare la nar-
razione mediante le azioni, optando per una divisione in tre.
Il primo atto presenta tutto quel che succede prima del
momento in cui l’obiettivo del protagonista diventa chiaro
(consciamente o inconsciamente) nella mente del pubblico.
[…] Nel secondo atto si svolgono i tentativi del protagonista
di raggiungere il suo obiettivo: è quel che chiamiamo azione
ed è, naturalmente, la parte più lunga dell’opera. Il secondo
atto si conclude nel momento in cui non c’è più obiettivo,
o perché il protagonista l’ha raggiunto, o perché vi ha ri-
nunciato. […] Il terzo atto descrive le ultime conseguenze
dell’azione.130
112 In queste parti individua i «nodi drammatici» essenziali: il
climax che si trova alla fine del secondo atto, e che può essere
anche raddoppiato (nel terzo atto) o triplicato (nel mezzo
del secondo atto); l’evento scatenante che determina la na-
scita degli obiettivi; la transizione tra primo e secondo atto in
cui gli obiettivi vengono dichiarati; il colpo di scena in cui in-
terviene l’ironia drammatica e la sorpresa dello spettatore131.
Le tre parti sono al loro interno organizzate in sequenze e
scene, e ognuna di esse risponde alla stessa logica organiz-
zativa dell’intera opera secondo un modello frattale132. A ciò
corrisponde una struttura di obiettivi generali del protagoni-
sta che contengono al loro interno obiettivi specifici.
Jeffrey Hatcher, nel capitolo dedicato alla struttura, dopo
aver indicato le caratteristiche di eventi chiave (punto d’at-
tacco, incidente scatenante, climax e momento della verità)

128. J.L. Styan, The Elements of Drama cit., pp. 121-140.


129. J. Sweet, The Dramatist’s Toolkit cit.
130. Y. Lavandier, L’ABC della drammaturgia cit., pp. 140-142.
131. Ivi, pp. 145-160.
132. Ivi, p. 324.
Il dramma prosegue nell’illustrare una pianificazione dell’opera in tre
come sistema movimenti.
di regole
Prima parte (15-30% del dramma). Inizio del dramma.
Introduzione dei personaggi, luogo, tempo, ambientazione
e narrazione. Introduzione dell’evento scatenante principa-
le. Punto di attacco iniziale o conflitto principale. Introdu-
zione della domanda drammatica centrale.
Seconda parte (50-75% del dramma). Il personaggio (o
i personaggi) intraprende un viaggio/una lotta/una ricerca
di risposte/obiettivi. Conflitti con altri personaggi, eventi,
circostanze. Il personaggio (o personaggi) riassesta la situa-
zione, reagisce agli ostacoli e alle sfide, pianifica nuove tatti-
che, ha successo, fallisce, attacca, si ritira, sorprende e viene
sorpreso, s’imbatte in grandi rovesciamenti delle situazioni
(l’azione cresce). Si arriva a un punto di crisi. I personaggi
intraprendono un’azione che risolverà la crisi e porterà ine-
sorabilmente alla conclusione.
Terza parte (5-25% del dramma). I personaggi o combat-
tenti principali si scontrano in un conflitto finale (climax).
L’obiettivo del personaggio (o personaggi) viene raggiunto
o fallito. La domanda drammatica centrale trova risposta.
Le azioni suggeriscono i temi o idee del dramma. Dopo il 113
climax c’è la risoluzione, nella quale viene stabilito un nuovo
ordine.133

La struttura appare così salda che lo scrittore propone persi-


no una scansione dei tempi comprensiva di un intervallo di
15 minuti: inizio (minuti 1), punto di attacco (minuto 25), in-
tervallo (minuto 65), crisi (minuto 120), finale (minuto 130).
Altrettanto pragmatico si mostra Syd Field nel sostenere
che la sceneggiatura cinematografica, di 120 pagine, deve es-
sere egualmente divisa in tre atti, corrispondenti a esposizione,
confronto e risoluzione; il passaggio da una parte all’altra è
assicurato dai cosiddetti plot point, un incidente o evento che
orienta l’azione in una data direzione134. E anche in questo
caso gli atti sono organizzati in sequenze e queste in scene.
Si tratta dunque di un modello molto diffuso nella ma-
nualistica per aspiranti autori, ulteriormente perfezionato
in ambito cinematografico. Una sintesi di queste posizioni
è il lavoro di McKee, dove troviamo esplicitamente legati la

133. J. Hatcher, Scrivere per il tea­tro cit., pp. 93-94.


134. S. Field, The Definitive Guide to Screenwriting cit., p. 11.
Neodrammatico maniera di organizzare le azioni del plot insieme con i valori
digitale (emotivi, morali, ecc.) dei personaggi135.
Antonio Pizzo
Abbiamo visto, infatti, che le parti che compongono l’arco
drammatico, sono una costruzione di azioni, blocchi narra-
tivi, unità drammatiche che prendono generalmente il no-
me di scene, sequenze e atti. Torna di frequente, quindi, il
problema delle unità drammatiche minime intese in senso
narratologico. Se l’esistenza di queste unità appare condivisa,
meno precisi sono i criteri di individuazione. La soluzione
più diffusa è ben riassunta da Spencer per il quale l’inte-
ra azione drammatica trova le sue unità minime nei beats,
che sono gli elementi narrativi in cui possiamo riconoscere
un conflitto e un evento, a loro volta sono organizzati in
macrostrutture (scene e atti)136. Le unità drammatiche sono
definite a partire dalle azioni del personaggio considerato
come un’entità volitiva che reagisce agli ostacoli della vicen-
da sulla base dell’insieme di valori morali sui quali si fonda.
Potremmo semplificare ulteriormente dicendo che le unità
sono riconoscibili per la presenza di un evento (cambiamen-
to) come conseguenza alla reazione del personaggio a un
114 conflitto (ostacolo) che pone in gioco un suo valore in quel
determinato momento137. Da un punto di vista strutturalista
la questione è posta in termini non dissimili da Pfister:
La macrostruttura di un testo drammatico – in verità di
ogni tipo di testo – prende la forma di uno schema sintagma-
tico dei suoi elementi costituenti. Esso consiste di una serie
di sezioni più ampie le quali, a loro volta, possono essere
divide in sottosezioni quasi a infinitum. Il numero di livel-
li rilevanti di divisione varia da testo a testo. […] Il livello
strutturale profondo – la storia sulla quale si basa la rappre-
sentazione – è divisa secondo una certa semantica e criteri
logici e il livello più importante in ordine ascendente sono
le azioni e gli eventi individuali, fasi di azioni o eventi, e
sequenze di azioni o eventi. La segmentazione strutturale
in superficie, d’altro canto – la presentazione drammatica
della storia – è segnata dai cambiamenti nella configura-
zione, interruzioni nella continuità cronologica e spaziale e
segnali addizionali come l’abbassarsi o alzarsi del sipario in-
tervalli e, storicamente più importanti, la divisione in scene

135. R. McKee, Story cit., pp. 35-42.


136. S. Spencer, The Playwright’s Guidebook cit., pp. 97-107.
137. Ivi, p. 74.
Il dramma e atti. […] I segmenti strutturali, profondi o di superficie,
come sistema possono sia corrispondere tra di loro o contraddirsi. Le uni-
di regole
tà minime di segmentazione sono segnate da una parziale
cambiamento nella configurazione. Così, la sezione di un
testo che esiste tra due cambiamenti parziali nella configu-
razione rappresenta la più piccola unità macrostrutturale di
segmenta­zione.138

McKee aderisce in pieno a questa visione ma la mette in


diretta ed esplicita relazione con la nozione di personaggio
come insieme di valori e disegna i confini delle unità dram-
matiche utilizzando i cambiamenti ai quali tali valori sono
assoggettati. Se, quindi, le unità drammatiche sono costituite
da azioni che provocano un qualche cambiamento diretto
o indiretto nei valori dei personaggi, il plot è composto da
una serie di eventi/azioni raggruppati in scene in cui svolge
un qualche conflitto, in una certa unità di tempo e spazio.
Possiamo considerare la scena come un processo in cui sono
descritte le regole di un conflitto, che mostra in ingresso il
personaggio (o i personaggi) dotati di un set di valori, e pro-
duce in uscita un personaggio (o i personaggi) con questo
set di valori, al minimo in uno di essi, cambiato. Dunque la 115
scena è quella unità drammatica al termine della quale pos-
siamo registrare, per lo meno, il cambiamento di un valore
in un personaggio. Le varie scene sono combinate in sequenze,
e queste ultime in atti. La differenza tra scene, sequenze e
atti dipende dalla magnitudo dei valori che cambiano. Una
serie di scene, in cui saranno accaduti alcuni cambiamenti
nei valori del personaggio, produrranno, a un dato momen-
to, un cambiamento di valore più importante, e per questo
potremo raggrupparle in una sequenza. Lo stesso vale per le
sequenze e gli atti. Le azioni che contribuiscono alla costru-
zione delle unità drammatiche minime ma che non produ-
cono cambiamenti di valore in se stesse prendono il nome
di beat: l’elemento atomico inteso come un comportamen-
to azione/reazione (in relazione reciproca tra personaggi
o con l’ambiente)139. Dunque se consideriamo i personaggi
come insieme di valori, e se attribuiamo a ognuno di que-
sti valori una magnitudo in qualche scala definita, potrem-

138. M. Pfister, The Theory and Analysis of Drama cit., pp. 230 e 234.
139. R. McKee, Story cit., pp. 32-43.
Neodrammatico mo segmentare con precisione l’organizzazione delle unità
digitale drammatiche. McKee sintetizza l’organizzazione frattale co-
Antonio Pizzo
me un albero di macro e micro unità in cui i livelli sono atti,
sequenze, scene, beats. Questo albero, nella sua organizza-
zione temporale, definisce l’arco drammatico. La discussione
su quante parti o atti compongano un plot completo varia a
seconda degli autori. Mckee tende a riprendere una struttura
a cinque atti proposta da Egri. Altri, come Syd Field, David
Mamet, Jeffrey Hatcher o Aronson, preferiscono la struttura
in tre atti. O alcuni, come Spencer, preferiscono descrivere la
struttura standard in due atti, ma sostanzialmente assorbono
il terzo nella breve parte finale del secondo140.
Ciò che è rilevante è la forma dell’arco drammatico, così
come la sua scomposizione in parti alle quali si associano
particolari funzioni e qualità. In modo quasi unanime, la
letteratura – diremmo più tecnica – sull’argomento descrive
queste parti nella loro funzione per l’avanzamento della sto-
ria, ma valuta questo avanzamento in base agli effetti prodotti
sullo stato dei personaggi. L’arco drammatico si compone
quindi di una serie di azioni e reazioni il cui scorrere provoca
116 definiti cambiamenti nello stato dei personaggi. L’accadere
di questi cambiamenti definisce una struttura emotiva divisa
in fasi determinate dalla particolare funzione narratologi-
ca (esposizione, crisi, risoluzione, ecc.) e da specifici nodi
azionali (incidente scatenante, punto di non ritorno, climax
ecc.).

7. Emozioni
Da quanto abbiamo visto l’arco drammatico è strettamente
legato al percorso emotivo dei personaggi dell’intreccio e
soprattutto a quello del protagonista. Nel dramma, l’agente è
un segno iconico che contribuisce alla rappresentazione del-
le emozioni nella ricezione del pubblico, e in genere opera
mediante la descrizione “realistica” delle emozioni.
Ciò che il dramma presenta è sempre una lotta che, con
grande tormento d’animo, il protagonista conduce contro le

140. La struttura in tre atti è indicata da S. Field, The Ultimate Guide to Screen-
writing cit.; J. Hatcher, Scrivere per il tea­tro cit.; D. Mamet, I tre usi del coltello cit.; e
Linda Aronson, The 21st Century Screenplay: A Comprehensive Guide to Writing Tomor-
row’s Films, Crows Nest, Allen & Unwin, 2010. L’ipotesi in due parti è proposta da
S. Spencer, The Playwrigt’s Guidebook cit.
Il dramma forze contrastanti […] L’eroe principale deve sempre essere
come sistema in forte contrasto con il suo oppositore.141
di regole
Le unità che compongono la struttura (comunque le si voglia
chiamare, beat, scene, sequenze, atti), e il cui ordine segue
un criterio di tensione, sono caratterizzate soprattutto da
una carica emotiva, a sua volta derivata dai conflitti vissuti
dai personaggi. Dunque possiamo affiancare alla descrizione
delle unità drammatiche l’ipotesi di Gregg M. Smith, nel suo
saggio Film Structure and the Emotion System, e supporre che si
tratti anche di unità emotive.
Un episodio emotivo è una serie di emozioni che sono
percepite come una struttura coerente che ha un inizio, un
mezzo e una fine […] Sono processi, non stati. Il termine
episodio implica una (delimitata) sequenza di eventi, ed
enfatizza che le emozioni cambiano nel corso della unità
coerente.142

Anche nella descrizione di Amleto o Romeo e Giulietta, illustrata


nel manuale di Freytag, l’organizzazione si basa sulla tensione
emotiva che i personaggi assumono in relazione alla vicenda.
I valori, al variare dei quali il tracciato dell’arco assume una 117
particolare forma, dipendono dal personaggio. Il triangolo di
Freytag è disegnato dalla carica emozionale dell’eroe il quale
è considerato come un’entità intera, completa, che scaturisce
da un sistema razionale d’intenzioni e obiettivi, nel quale il
lato emotivo è incorporato ma non descritto nello specifico.
Il fulcro quindi resta la nozione di eroe come entità assolu-
ta, non divisa nelle sue parti, e ha una diretta ascendenza
hegeliana. Infatti, i conflitti mettono in evidenza l’essenza
dei personaggi e così facendo la loro natura umana; in tal
modo la poe­sia drammatica (nell’estetica di Hegel) unisce
la soggettività della lirica (parla di individui) e l’oggettività
dell’epica (illustra la natura umana).
Come abbiamo visto, si tratta di considerazioni legate
all’estetica romantica e sono messe in discussione sia dal-
la poe­tica naturalista, sia dalla nuova nozione di individuo
proposta dalla psicologia freudiana. Del resto è chiaro, da-
gli esempi presentati, che il focus del nostro discorso è il

141. G. Freytag, The Technique of Drama cit., pp. 104-105


142. Greg M. Smith, Film Structure and the Emotion System, Cambridge, Cambridge
University Press, 2003, p. 39.
Neodrammatico modello di drammaturgia che appare nella seconda metà
digitale dell’Ottocento e si sviluppa fino alla metà del secolo suc-
Antonio Pizzo
cessivo. Sia nella narrativa, sia nel dramma, il personaggio
assume tratti complessi. Figure come Madame Bovary, Anna
Karénina, personaggi come quelli descritti in La Signorina
Giulia, o in Una casa di bambola, si basano su una comples-
sità di sentimenti ed emozioni difficilmente riassumibile in
qualche schema. Nel corso dei secoli, tra la radice classicista
del Settecento e la matrice realistica dell’Ottocento, il per-
sonaggio drammatico cambia radicalmente. Se da un lato
inizia a descrivere situazioni legate alla vita reale, più vici-
ne agli spettatori, dall’altro la sua partitura emotiva diventa
più articolata, ineffabile, e l’architettura dei suoi sentimenti
perde la limpidezza dell’eroe classico per tingersi di tutte le
sfumature dell’umano. In sostanza il realismo apre la strada
a un personaggio i cui tratti sono più sottili, complessi, e che
non possono essere ridotti a una descrizione univoca.
Anche se l’assoluta unità dell’eroe viene a spezzarsi, non
appare una netta cesura nell’interesse per il personaggio e
la sua creazione, inteso come composizione degli elementi
118 che abbiamo già indicato (azioni, conflitti, emozioni). È chia-
ro che la drammaturgia moderna non può essere in alcun
modo ricondotta alla sola formulazione di Freytag, e che al-
cune esemplificazioni possono apparire inadeguate se non
addirittura ingenue. È il caso, per esempio, dello schema di
personaggi utilizzato da Egri che individua le funzioni del
protagonista (o perno) e dell’antagonista. A sua avviso, il
protagonista è colui che, con le proprie azioni, e al momento
presente del dramma, «crea conflitti e fa muovere l’opera
in avanti […] chi sa ciò che vuole […] vuole qualcosa così
ardentemente che distruggerà o sarà distrutto nello sforzo di
ottenerlo»143. Viceversa l’antagonista è colui contro il quale
queste azioni sono dirette. Se ciò può valere per la contrappo-
sizione tra Jago e Otello, appare meno efficace in Una casa di
bambola di Ibsen, nel quale il protagonista sarebbe Krogstad,
la cui volontà dà inizio e sviluppo all’intreccio, e l’antagonista
Elmer144. Si tratta di una descrizione poco adeguata perché
non dice nulla di Nora. Nella scrittura tea­trale moderna, in-

143. L. Egri, The Art of Dramatic Writing cit., p. 106.


144. Ivi, p. 113.
Il dramma fatti, non è sufficiente segnalare la rilevanza del personaggio
come sistema sulla base della quantità di volontà e azioni rappresentate, e
di regole
soprattutto non emerge la centralità nella vicenda valutando
solo le volte in cui il personaggio assume l’iniziativa.
A lato della nozione di protagonista, inteso come motore
primo dell’intreccio, bisogna introdurre quella di personag-
gio principale inteso come medium attraverso il quale il pub-
blico fa esperienza della storia in prima persona; e bisogna
inoltre supporre che queste due funzioni possano esistere
in un unico personaggio che fa avanzare la vicenda e forni-
sce un surrogato per il pubblico (come in tutte le tragedie
classiche), o separate come nel film Buio oltre la siepe. Qui, il
personaggio, Atticus (interpretato da Gregory Peck) è il pro-
tagonista, ma la storia è raccontata attraverso le esperienze
di Scout, la giovane figlia145. Malgrado la semplicità di questa
formulazione, la separazione delle due funzioni drammati-
che (conduttore dell’azione e interfaccia emozionale) ben
si adatta all’ampia produzione drammatica che si fonda su
azioni, conflitti e cambiamento. Secondo questo nuovo sche-
ma, per esempio, il dramma di Eduardo De Filippo Filumena
Marturano, vede il personaggio eponimo come protagonista 119
(innesca tutte le azioni più importanti per la vicenda), ma
assicura il ruolo di personaggio principale a Domenico So-
riano, interpretato dall’autore, in quanto è colui attraverso
il quale facciamo esperienza della vicenda.
Le caratteristiche emerse dalla letteratura sulla tecnica
drammatica, da Freytag, fino a Egri e oltre, ruotano intorno
al potere attrattivo delle trasformazioni subite o elaborate
dal personaggio. Dunque il legame che lo spettatore stabi-
lisce con il personaggio si sviluppa su un doppio piano: le
emozioni rappresentate dal personaggio e i cambiamenti ai
quali è sottoposto. Da un lato quindi si apre la questione di
se e come il pubblico si identifica con gli stati mentali del
personaggio, dall’altro una discussione sugli stati mentali che
il pubblico assume autonomamente in reazione ai cambia-
menti del personaggio.
È proprio su questo doppio piano che si sviluppa il model-
lo per la definizione degli effetti sul pubblico della scala di
tensione che abbiamo visto descritta nell’arco drammatico;

145. Melanie Anne Phillips, Chris Huntley, Dramatica. A New Theory of Story, Glen-
dale, Write Brothers Press, 2004, p. 26.
Neodrammatico un modello che, alla base, assume che tra il dramma e il suo
digitale pubblico esista una qualche corrispondenza culturale tale da
Antonio Pizzo
permettere la comprensione dei comportamenti presentati.
Olson, seguendo l’insegnamento aristotelico, ribadisce la ne-
cessità di un accordo culturale tra il dramma e il pubblico,
riassunto nella capacità di comprendere i comportamenti
umani, i segni delle emozioni, ed elaborare un giudizio sul-
le vicende al di là dei propri interessi specifici146. Dal canto
suo, e più in generale, Elam riconosce la necessità di una
conoscenza di codici, specifici e non, per la fruizione sia della
performance sia del dramma.
Quando entriamo in tea­tro e acconsentiamo a parteci-
pare all’interazione attore-spettatore, automaticamente ap-
plichiamo quei codici specifici della performance – che pos-
sono essere definiti codici tea­trali –, i quali ci permettono di
comprenderla nei suoi termini e non come un avvenimento
spontaneo e accidentale, al modo stesso del brano di un
film. Analogamente mettiamo in atto, laddove è richiesta, la
nostra conoscenza di regole generiche, strutturali, stilistiche,
etc., – cioè i codici drammatici – relative al dramma e alla sua
composizione. Nello stesso tempo, tuttavia, non possiamo
120
trascurare l’interno contesto dei più generali principi cul-
turali, ideologici, etici ed epistemologici che applicheremo
nelle nostre attività extra-tea­trali.147
La cultura svolge un lavoro di socializzazione degli strumen-
ti che permettono ai suoi componenti di esprimere e com-
prendere le emozioni, definendo quelle circostanze che le
attivano, gli agenti che possono provarle e i confini di ciò che
sentiamo ed esprimiamo148.
E chiaro che la ricezione non può intendersi come atto
passivo, bensì deve essere inscritta in un complesso lavoro di
problem solving che serve a ricostruire le relazioni causali della
trama149. Quando osserviamo l’evolvere della storia di Romeo e
Giulietta siamo impegnati in un continuo lavoro di confronto
tra ciò che sappiamo, ciò che sta accadendo e ciò che potreb-
be accadere in relazione al modello culturale di riferimento

146. E. Olson, Tragedy and the Theory of Drama cit., pp. 131-132.


147. K. Elam, Semiotica del tea­tro cit., p. 58.
148. G.M. Smith, Film Structure and the Emotion System cit., pp. 34-35.
149. Richard J. Gerrig, Allan B.I. Bernardo, Readers as problem-solvers in the experi-
ence of suspense, in «Poetics», vol. 22, n. 6, 1994, pp. 459-472.
Il dramma (altre opere simili, ciò che crediamo verosimile, ciò che cre-
come sistema diamo giusto, ciò che ci darebbe piacere, ecc.). Ogni volta che
di regole
la configurazione dello scenario si arricchisce di un nuovo
dato, dobbiamo ricomporre il puzzle delle possibilità e delle
relazioni che avevamo preso in considerazione. Gli elementi
principali che osserviamo nel dramma sono i personaggi in
azione, e il nostro lavoro di ricostruzione si basa fondamental-
mente sull’intenzionalità mostrata dai personaggi. Se ammet-
tiamo che questo processo di problem solving esista e si basi su
conoscenze condivise nel contesto socio culturale, allora esso
influisce anche sulla produzione del dramma. L’artefice della
narrazione drammatica lo tiene in considerazione quando se-
leziona gli eventi da includere nella trama. In altri termini, la
pianificazione delle azioni (del plot), affinché possa dar luogo
a una narrazione con caratteristiche drammatiche, tende a
eliminare quegli eventi che non potrebbero essere compresi
dal pubblico come parte di un comportamento intenzionale
del personaggio. Nell’ambito delle teorie di agenti il sistema
proposto da Young e Riedl rende conto del ruolo interpreta-
tivo del pubblico mediante una forma di ragionamento an-
ticipatorio150. La narrazione nel suo insieme è vista come un 121
processo guidato dall’intenzione, in cui l’obiettivo narrativo
non appartiene di per sé a uno qualsiasi dei personaggi. Piut-
tosto, gli obiettivi dei personaggi, e le sequenze di azioni che
attuano per raggiungerli, fanno emergere “surrettiziamente”,
al termine della storia, lo stato delle cose al quale la narrazione
mira. In un ipotetico sistema computazionale per la creazione
di comportamenti, dovremmo immaginare che il modulo di
pianificazione, che gestisce il plot, nel generare nuove azioni
candidate a essere incluse nella trama, non tenga conto di
quelle azioni che non sarebbero riconoscibili dal pubblico co-
me parte del comportamento intenzionale dei personaggi. A
questo fine il modulo dovrebbe considerare la trama ipotetica
dal punto di vista del pubblico, ed eseguire un riconoscimento
intenzionale su di essa. Se questo riconoscimento fallisse, vale
a dire se il modulo ritenesse che il pubblico non fosse in grado

150. Mark O. Riedl, Michael R, Young, From linear story generation to branching story
graphs, in «IEEE Computer Graphics and Applications», vol. 26, n. 3, 2006, pp. 23-
31; degli stessi autori, An intent-driven planner for multi-agent story generation, in Proce-
edings of the 3rd International Conference on Autonomous Agents and Multi Agent Systems,
2004, pp. 186-193.
Neodrammatico di dare un senso in termini di intenzionalità ai personaggi,
digitale quella possibile prosecuzione della trama sarebbe scartata. Del
Antonio Pizzo
resto, in quasi tutte le teorie che fondano i cosiddetti sistemi
intelligenti o i personaggi sintetici, la nozione di comportamento
espressivo sottintende che i sistemi intelligenti non dovrebbero
solo esibire comportamenti razionali, ma anche le motivazioni
che li sottendono. Ciò implica che il sistema dovrebbe inten-
zionalmente includere nel suo comportamento quelle azioni
che funzionano, rispetto a un osservatore umano, come segni
nel processo di comunicazione delle proprie motivazioni151.
Si tratta di modelli che condividono molte delle ipotesi
elaborate dalla teoria drammatica sulla relazione tra ope-
ra e pubblico. Anche Freytag aveva chiara la questione: «Il
compito del poe­ta non era quello di presentare i fatti a noi,
sul palcoscenico, ma anche di renderli percepibili nei sen-
timenti, nei desideri e nell’azione dei suoi personaggi, per
renderli più evidenti, a sviluppare in conformità di probabilità
e ragione»152. In termini generali, Olson collega il plot alle
emozioni del pubblico, ma nega la fondatezza di una imposta-
zione essenzialmente identificativa con i personaggi per pre-
122 ferire l’ipotesi che i sentimenti del pubblico derivino da una
considerazione morale (approvazione o disapprovazione):
«le emozioni non sono l’unico effetto del dramma, ma sono
necessariamente collegate a un giudizio morale, di valore»153.
Pertanto è incline a riconoscere la presenza di un atteggia-
mento di simpatia e non di empatia: «i nostri sentimenti verso
un’opera sono quei sentimenti che noi non abbiamo verso
noi stessi, bensì verso gli altri»154. L’attenzione che Olson dedi-
ca alle emozioni del pubblico contiene sia l’approccio problem
solving, sia il ragionamento anticipatorio alla base del modello
di emozioni di Ortony Clore e Collins155.
Un’emozione è uno stato mentale accompagnato da pia-
cere o dolore. Possiamo distinguere, io credo, tre diversi tipi
di queste [emozioni]. Alcuni sono dolori; alcuni sono piaceri;

151. Phoebe Sengers, Designing comprehensible agents, in Thomas L. Dean (a cura


di), Proceedings of the Sixteenth International Joint Conference of Artificial Intelligence,
1999, pp. 1227-1232.
152. G. Freytag, The Technique of Drama cit., p. 31.
153. E. Olson, Tragedy and the Theory of Drama cit., p. 152.
154. Ivi, p. 40.
155. A. Ortony, G.L. Clore, A. Collins, The Cognitive Structure of Emotions cit.
Il dramma alcuni sono desideri o avversioni. La pena è un dolore che
come sistema scaturisce dalla vista di una disgrazia immeritata; la paura è il
di regole
dolore che emerge dall’opinione che qualcosa di pericoloso
sta per accadere a noi a qualcuno del quale abbiamo a cuore il
benessere. Gioia, speranza e ilarità sono piaceri; ma emozioni
come rabbia non sono né piaceri né dolori, ma desideri che
coinvolgono sia il piacere sia il dolore. Io assumo che ciò che
intendiamo per rabbia sia un desiderio di rivalsa, causato da
una qualche cosa dolorosa che ci è stata inflitta, e mantenuto
dalla piacevole aspettativa di ottenere una rivincita.156

Il coinvolgimento del pubblico è frutto di un processo che


coniuga (come in Aristotele) cognizione ed emozione: lo
spettatore fruisce della vicenda mediante un continuo succe-
dersi di inferenze; da queste derivano le opinioni che, a loro
volta, conducono a provare diverse emozioni poiché queste
ultime sono regolate da un sistema di valori157.
Il modello genericamente identificativo di partecipazione
con l’opera è alla base dell’arte drammatica. È enunciato
fin dallo Ione di Platone che, come ricorda Claudio Vicen-
tini, bisogna considerare come il primo testo dedicato alla
recitazione�158. Nello Ione, Socrate incontra il rapsodo di ri- 123
torno dalle feste in onore di Asclepio, dove ha vinto i primi
premi grazie alla sua bravura e abilità. Il dialogo parte con
Socrate che chiede a Ione di recitargli alcuni versi. Dalla ri-
sposta del rapsodo inizia una discussione in cui Socrate di-
mostra che la poe­sia e anche l’attività del rapsodo, non sono
frutto di un preciso atto di conoscenza, ma sono il risultato
di una ispirazione divina.
ione  […] quando recito qualche cosa che muove a com-
passione, gli occhi mi si riempiono di lacrime; e quando
recito qualcosa di pauroso e terribile, mi si rizzano i ca-
pelli sul capo dallo spavento, e il cuore mi sussulta.
socrate  E allora? Diremo, o Ione, che sia in senno
quest’uomo, il quale, ornato di variopinte vesti e di co-
rone d’oro, pianga nei sacrifici e nelle feste, senza che
abbia perduto nessuna di queste sue cose, o provi timore

156. E. Olson, Tragedy and the Theory of Drama cit., p. 134.


157. Ivi, pp. 136-137, e p. 153.
158. Claudio Vicentini, La teoria della recitazione. Dall’antichità al Settecento, Venezia,
Marsilio, 2012.
Neodrammatico stando in mezzo a più che ventimila persone amiche,
digitale senza che nessuno lo spogli o gli faccia ingiustizia?
Antonio Pizzo
ione No, per Zeus, o Socrate, a dire il vero.
socrate  E non sai che sulla maggior parte degli spettatori
voi producete questi medesimi effetti?
ione  Lo so bene, […]
socrate  E sai che questo spettatore è l’ultimo degli anelli,
che […] ricevono, l’uno dall’altro, la forza della pietra
Eraclea159? Quello che sta in mezzo sei tu, rapsodo e at-
tore; il primo è il poe­ta stesso. E il dio, attraverso tutti
questi anelli trae l’anima dell’uomo dove vuole, facendo
in modo che ricevano la forza uno dall’altro. E dal poe­ta,
come da quella pietra, pende una assai lunga catena di
coreuti, di maestri e istruttori, che stanno appesi lateral-
mente agli anelli che pendono dalla musa. E un poe­ta
pende da una Musa e un altro da un’altra: e questo noi lo
chiamiamo “essere posseduto”, il che significa pressoché
la stessa cosa, perché “è tenuto”. E da questi primi anelli,
ossia dai poe­ti, altri pendono a loro volta, e sono ispirati
chi da uno chi da un altro […] Questo avviene perché
non per arte né per scienza tu dici quel che dici intorno
a Omero, ma per sorte e possessione divina.160
124
Al di là dei suoi scopi specifici, come confutare la cultura
dell’oralità poe­tico-mimetica nei suoi contenuti e nei suoi
mezzi di comunicazione161, e soprattutto confutare la decla-
mazione come arte, il dialogo segna l’emergere di una teo-
ria della partecipazione emotiva dello spettatore della quale
potremmo tracciare gli esiti fino ai giorni nostri. Sempre di
partecipazione, infatti, parlava l’allievo di Platone, Aristotele,
il quale chiedeva all’autore di provare i sentimenti in modo
da poterne contagiare gli spettatori/ascoltatori162.
Se, dunque, possiamo con buona approssimazione affer-
mare la necessità della partecipazione emotiva del pubblico
per le vicende dei personaggi, resta aperta la questione del
doppio piano al quale abbiamo accennato, e che adesso pos-
siamo riproporre nei termini: da quale personaggio (tra i mol-
ti che osserviamo nel dramma) siamo contagiati, e che tipo di

159. Ciò che oggi chiamiamo magnete.


160. Ione, 535-536; qui si cita da Platone, Ione, a cura e traduzione di Giovanni
Reale, Milano, Bompiani, 2001, pp. 121-125.
161. Ivi, p. 69.
162. Poetica, cap. 17, 1455a, p. 30.
Il dramma relazione emotiva, le azioni del personaggio o l’intera vicenda
come sistema nel suo complesso, sollecita nel pubblico.
di regole
La prima questione può essere definita come “punto di
vista”. Dando per assodato, come abbiamo già detto, che ogni
personaggio descritto sia dotato di un sistema di rappresen-
tazioni delle emozioni, e che questo sistema sia condiviso dal
pubblico, la questione emerge con più urgenza nell’ultimo
secolo. Nella Poetica era implicito che la nostra attenzione
dovesse essere attirata dalla peripezia e dal riconoscimento
nell’alternarsi della fortuna dell’eroe. Si tratta di una posi-
zione che, in generale, resta condivisa fino alla teoria dram-
matica tra Settecento e Ottocento. Con l’unica l’eccezione di
Polti, nel quale i cosiddetti “elementi dinamici” delle situazio-
ni, hanno esplicitamente una maggiore rilevanza rispetto agli
altri agenti. Solo in seguito, sia per la diversa nozione di per-
sonaggio, sia per lo sviluppo dell’industria cinematografica, si
avverte la necessità di stabilire lo schema con il quale costruire
il personaggio e guidare così l’attenzione del pubblico verso
un punto di vista interno alla vicenda. È consuetudine per i
saggi sulla scrittura drammatica dare indicazioni specifiche su
come elaborare un personaggio protagonista, piuttosto che 125
un antagonista o un ruolo minore. E tutti concordano nel
ritenere che, nei drammi in cui la vicenda è orientata a un
risultato preciso, a finale chiuso163, il pubblico seleziona di
volta in volta il personaggio da osservare, senza escludere che,
nell’arco di un dramma complesso, sia possibile selezionare
personaggi differenti.
Naturalmente non è detto che il pubblico assuma sempre
un punto di vista coincidente con il personaggio. Ci sono
anche casi in cui l’azione induce a propendere per un pun-
to di vista esterno. Per esempio il dramma può utilizzare un
metodo di racconto più corale, o epico e straniato. Nel cine-
ma sono frequenti le strutture cosiddette “multiplot” come
Crash (2004) o Babel (2006) dove però tendiamo a costruire
una partecipazione con i protagonisti dei singoli plot che ci
vengono proposti164. Oppure si tratta di film “polifonici” in cui
sono messe in discussione la centralità e l’unità del racconto,
e dove la coralità è un elemento fondamentale nel funziona-

163. Manfred Pfister, The Theory and Analysis of Drama, p. 95.


164. Crash, regia di Paul Haggis, 2004; Babel, regia di Alejandro González Iñárritu,
2006.
Neodrammatico mento della narrazione, come in Magnolia. In questi casi il
digitale nostro punto di vista fatica a coincidere, anche solo per un
Antonio Pizzo
momento, con quello di un singolo personaggio165. Accade
qualcosa di simile in molta produzione comica, come nelle
farse di Stanlio e Ollio nelle quali non assumiamo il punto
di vista di nessuno dei due. Nella produzione drammatica
moderna evidentemente la questione del punto di vista è di-
ventata terreno di sperimentazione ed elaborazione. I due
atteggiamenti, pur se distinti nelle caratteristiche, possono
coesistere nella stessa esperienza, o essere indotti dall’autore
nella stessa opera, come in Madre Coraggio di Brecht. Oppure
è possibile giocare proprio sull’ambiguità della prospettiva
da adottare come nei Sei personaggi in cerca di autore o I giganti
della montagna di Pirandello, in cui il pubblico è costantemen-
te sviato tra il punto di vista degli attori o dei personaggi, tra
quello degli strani abitanti della Villa Scalogna o quello della
compagnia della Contessa. O ancora l’autore costruisce un
vero e proprio percorso esplorativo tra i personaggi, guidando
il pubblico nel passaggio da un punto di vista a un altro come
in Angels in America di Tony Kushner.
126 Non sorprende, invece, che la questione assuma contorni
più netti e prescrittivi proprio nell’ambito della fiction interat-
tiva, a partire dai primi studi del “Synthetic Characters Group”
del Medialab (MIT)166, fino al videogioco, che, a causa della
interazione in prima persona, ha sempre indotto, anche nella
narrazione, un punto di vista partecipato con un personag-
gio singolo (per esempio in Super Mario, Tomb Raider, Grand
Thief Auto, Assassin’s Creed). E solo più recentemente, e per un
pubblico più di nicchia, iniziano ad apparire giochi con più
protagonisti (The Gateway, Heavy Rain)167.

165. Magnolia, regia di Paul Thomas Anderson (1999). Per quanto riguarda la
nozione di film polifonici si veda John Bruns, The polyphonic film, in «New Review
of Film and Television Studies», vol. 6, n. 2, agosto 2008, pp. 189-212.
166. Bill Tomlinson, Bruce M. Blumberg, Delphine Nain, Expressive autonomous
cinematography for interactive virtual environments, in Proceedings of the Fourth Interna-
tional Conference on Autonomous Agents – AGENTS ’00, New York, ACM Press, 2000,
pp. 317-324.
167. Super Mario è una serie della Nintendo nata nel 1985 e poi costantemente
evoluta fino a oggi per diverse piattaforme, inclusa la wii). Tomb Raider fu creato
nel 1996 e ha avuto numerose realease per la PlayStation fino a pochi anni fa. Grand
Theft Auto fu creato da Rockstar Games nel 1997 sempre per PlayStation, ed ha
continuato a essere sviluppato fino a oggi. Assassin’s Creed è stato lanciato sul mer-
cato nel 2008 dalla Ubisoft, disponibile per tutte le piattaforme, e tuttora ha un
Il dramma Resta chiaro che dal punto di vista psicologico lo spettato-
come sistema re struttura una serie di atteggiamenti partecipativi comune-
di regole
mente compresi nell’ambito dell’identificazione. Come rias-
sume Carroll in The Philosophy of Horror, in quanto pubblico,
si configurano generalmente queste situazioni.
Ci piace il protagonista; riconosciamo che le circostanze
del protagonista sono abbastanza simili a quelle in cui ci sia-
mo trovati noi stessi; simpatizziamo con il protagonista; siamo
uniti per interessi, o sentimenti, o principi, o tutte queste con
il protagonista; osserviamo il dipanarsi dell’azione dal punto
di vista del protagonista; condividiamo i valori del protagoni-
sta; per la durata della nostra relazione con la storia, siamo
rapiti tanto da cadere nell’illusione che ciascuno di noi in
qualche modo si considera il protagonista.168

Come si vede, Carroll propone una vasta e variegata gamma di


atteggiamenti emotivi in risposta alla narrazione cinematogra-
fica, ma riesce a riassumere un dibattito molto ampio, del qua-
le troviamo traccia anche nella sintesi che Pavis propone di
una simile classificazione operata da Hans-Robert Jauss: iden-
tificazione associativa (il fine è di comprendere ogni punto di
vista così da stabilire la situazione generale); identificazione 127
ammirativa (ammiriamo il personaggi incondizionatamente:
l’eroe, il santo, ecc., e siamo invitati a imitarlo); identificazio-
ne simpatetica (l’eroe è degno sebbene imperfetto; è umano
e accessibile, provocando così un’identificazione mediante
la compassione); identificazione catartica (oltre la simpatia:
provoca un’emozione violenta e una catarsi per le figure tragi-
che, oppure uno scherno sarcastico per i personaggi ridicoli);
identificazione ironica (la nostra sensazione di superiorità si
colora con una maggiore sensibilità ai problemi dell’altro;
questo provoca un certo distanziamento critico simile allo
straniamento brechtiano)169.
Nel caso di un punto di vista interno, si pone la questione

enorme successo come una vera e propria saga fiction. The Gateaway è stato pub-
blicato da Sony per Playstation2 nel 2002 ed ha avuto un sequel nel 2004, in cui si
gestiscono, in sequenza, due personaggi. Heavy Rain, creato da Quantic Dream nel
2010 si presenta come un film interattivo di genere thriller noir, in cui il giocatore
può controllare quattro personaggi principali.
168. Noël Carroll, The Philosophy of Horror, or, Paradoxes of the Heart, New York,
Routledge, 1990, p. 89.
169. P. Pavis, L’analisi degli spettacoli cit., pp. 287-288, riassume la classificazione
proposta da Hans-Robert Jauss, Ästhetische Erfahrung und literarische Hermeneutik,
Neodrammatico di quale siano le caratteristiche che il personaggio debba mo-
digitale strare per essere selezionato. Non è detto, per esempio, che
Antonio Pizzo
in Madame Bovary il lettore scelga solo Emma, bensì potrebbe
essere attratto dall’ostinata devozione del marito, Charles, e
quindi osservare la vicenda dalla sua prospettiva. Vale, cioè,
una regola diffusa in narrativa secondo la quale è necessario
essere in simpatia con un personaggio, secondo un criterio di
concentrazione e intensità (in poco più di un’ora vogliamo po-
ter dare un giudizio sulle caratteristiche del personaggio) che
segna una differenza ontologica con la vita reale170. La nostra
selezione del personaggio protagonista è frutto di una contrat-
tazione complessa tra direttive autoriali, tecnica drammatica e
categorie cognitive, sociologiche, psicologiche, morali, etiche.
In termini generali il personaggio principale è definito
secondo un criterio di «simpatia drammatica» con la quale
s’intende la capacità del personaggio di farsi comprendere,
di permettere al pubblico di riconoscere la sua valutazione
emotiva della situazione in cui si trova. Così noi proviamo
pietà per la colpa e il rimorso di Edipo; e per lo stesso motivo
possiamo legare le nostre emozioni a quelle dei grandi malva-
128 gi, da Riccardo III dell’omonimo testo di Shakespeare, a Roy
Cohn di Angels in America 171.
D’altronde non possiamo escludere che, al contrario,
alcuni personaggi ci attraggono in quanto corrispondono
(date alcune coordinate sociali, psicologiche e naturalmente
culturali) a ciò che riteniamo “simpatico”, secondo un atteg-
giamento simile a quello che avremmo con qualcuno nella
vita reale. Naturalmente questa ipotesi vale soprattutto per
il modello di personaggio postottocentesco, progettato per
rappresentare un individuo simile al nostro quotidiano, e me-
no per l’eroe classico. In ogni caso, questa generica simpatia
deriva sempre da una vitalità emotiva esposta dal personaggio.
Come abbiamo già detto, in Una casa di bambola, assumiamo
il punto di vista di Nora, ne seguiamo i timori, gli sviluppi, la
presa di coscienza, gli esiti; in Filumena siamo attenti alle vi-

Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1982; pubblicato in Italia con il titolo Esperienza


estetica ed ermeneutica letteraria, Bologna, il Mulino, 1987-1988.
170. G. Currie, Narrative and the psychology of character cit., p. 63.
171. L’esempio di Edipo per attestare che non esiste una diretta duplicazione
delle emozioni è in N. Carroll, The Philosohy of Horror cit., p. 91. Della simpatia
con il malvagio Riccardo III discute S. Spencer, The Playwright’s Guidebook cit.,
pp. 182.186.
Il dramma cende di Domenico Soriano che passa dall’odio per Filumena
come sistema a un maturo amore familiare. In termini più specifici questo
di regole
corrisponde all’idea che noi assumiamo il punto di vista del
personaggio che mostra più emozioni, nel senso che rappre-
senta più cambiamenti del proprio stato emotivo172.
E qui si pone la seconda e ancor più complessa questione
del tipo di partecipazione emotiva. Se il punto di vista può es-
sere orientato dalla quantità d’interesse emotivo che è capace
di suscitare, esiste anche un problema di qualità173. In altre
parole, il pubblico costruisce una relazione emotiva con il
personaggio a patto che questi riesca a enunciare i propri stati
emotivi e lo faccia in modo consistente e costante durante la
storia. Questa relazione viene di solito denominata identifica-
zione, ma non si tratta di una duplicazione delle emozioni del
personaggio. A tal proposito è utile il noto esempio di Carroll:
Quando l’eroina sta tranquillamente sguazzando in mare
e, a sua insaputa, uno squalo assassino sta avvicinandosi per
ucciderla, ci preoccupiamo per lei; ma ciò non è quello che
lei prova: lei è del tutto tranquilla.174

Dunque, per qualità possiamo intendere la specifica moda- 129


lità nella relazione tra le singole emozioni provate dal per-
sonaggio e quelle provate dallo spettatore, e che può non
essere la pura duplicazione; possiamo porre la questione su
«che tipo di relazioni intercorrono fra le nostre emozioni
e quelle attribuite dalla narrazione ai suoi personaggi»175.
Abbiamo detto che potrebbe esserci un rapporto di simpa-
tia con i personaggi ma, a una più attenta analisi, questa
simpatia non deve essere intesa come emozione bensì come
un tipo di relazione emotiva. Non vuol dire che proviamo
un sentimento di simpatia per quel personaggio, bensì che
leghiamo (in qualche modo) le nostre emozioni a quelle pro-
vate (o meglio, rappresentate) da quel personaggio secondo
una relazione di simpatia. Si tratta in genere di una relazio-

172. Rossana Damiano, Antonio Pizzo, Emotions in drama characters and virtual
agents, in Ann Horswill et al. (a cura di), Emotion, Personality, and Social Behavior,
Papers from the 2008 AAAI Spring Symposium, AAAI Press, 2008, pp. 30-37.
173. Alessandro Giovannelli, In sympathy with narrative characters, in «Journal of
Aesthetics and Art Criticism», vol. 67, n. 1, febbraio, 2009, p. 85.
174. N. Carroll, The Philosophy of Horror cit., p. 90.
175. Alessandro Giovannelli, Immaginare storie e personaggi, in «Annali del Diparti-
mento di Filosofia», Firenze, Firenze University Press, 2005, p. 282.
Neodrammatico ne eminentemente interpersonale, nel senso che proviamo
digitale emozioni in relazione a quelle provate da un altro individuo;
Antonio Pizzo
ma è anche vero che la relazione può essere tra un individuo
e un’entità più articolata (una squadra di calcio, i cittadini di
un paese). In questi casi la funzione del personaggio è divisa
tra agenti diversi la cui unità è ricostituita nella percezione
dello spettatore.
Anche in questo caso possiamo trovare fondamento nella
Poetica, in particolare nella lettura di Donini. Lì, sia dal punto
di vista dei personaggi e delle loro vicende, sia da quello della
funzione dell’opera e i suoi effetti sul pubblico, le emozioni
hanno un ruolo centrale, e Donini nota che le emozioni rap-
presentate nella vicenda non coincidono con quelle provate
dal pubblico. «Si intuisce che la rappresentazione mimetica,
mediante il piacere (cognitivo) che suscita, può produrre an-
che un rovesciamento delle emozioni, una trasformazione di
queste dal negativo e doloroso al positivo»176. La complessità
è data dalla natura cognitiva dell’approccio aristotelico, che
però non limita la partecipazione al dramma alle sole fun-
zioni della razionalità, ma propone «l’integrazione piena di
130 conoscenza ed emozioni come effetto complessivo e unitario
del componimento poe­tico»177. L’effetto sul pubblico della
tragedia, per Aristotele, consiste sia nella comprensione della
vicenda narrata sia nella pietà e nella paura; e anche se nella
Poetica la questione non è direttamente affrontata, Donini si
chiede come i due effetti, cognitivo ed emozionale, siano in-
tegrati178. Nella sua lettura, la principale emozione provata dal
pubblico è il piacere della mimesi che nasce dalla possibilità
di comprendere e concludere con il ragionamento, e da ciò se
ne deduce che la chiave per comprendere come la fruizione
del pubblico non sia né la replica del percorso emotivo dei
personaggi (empatia), né una semplice reazione personale a
quanto vediamo (simpatia). Questo passaggio da «reazioni di
pena, disgusto o paura a un effetto di piacere» segnala la pre-
senza di un più articolato percorso emotivo del pubblico179.
Alla base del discorso di Donini sulle emozioni esiste un ra-
dicale ripensamento della lettura classica della Poetica. In gene-

176. P. Donini, Introduzione ad Aristotele, Poetica cit., p. lxviii.


177. Ivi, p. lxix.
178. Ivi, p. xciii.
179. Ivi, p. ci.
Il dramma re, la catarsi, cioè il purgamento di pietà e paura è considerato
come sistema (e tradotto) come il fine della tragedia. Ne conseguirebbe che
di regole
la tragedia debba eliminare suddette emozioni, smantellan-
do in un colpo l’importanza del percorso emotivo come pura
evacuazione e liberazione. Donini propone una diversa tradu-
zione di un verbo e legge che «la tragedia, mediante pietà e
paura, porta a compimento, la purificazione di siffatte passioni»
(nostro corsivo). Quindi si tratta di un coronamento di un
percorso che è iniziato con l’educazione e sostituisce alla pietà
e paura provate dagli spettatori il piacere della conoscenza.
Non si tratta più di purgare le passione bensì di trasformarle
in conoscenza, e in questo modo si ristabilisce il percorso emo-
tivo e si collega l’esperienza emotiva al processo cognitivo180.
Tornando agli effetti sul pubblico, Donini ritiene che esista
una distinzione tra le emozioni (pathos) (pietà e paura) e il
loro appraisal – o valutazione – (piacere o dolore) che quindi
definisce sentimenti, feeling181. Il riconoscimento di una emo-
zione vissuta dal personaggio si trasforma in pathos e in sen-
timento mediante un processo cognitivo che opera una rifles-
sione extradrammatica sull’esperienza provata (come sarebbe
se ciò accadesse a me o a qualcuno che amo)182. Seguendo la 131
sua lettura possiamo tracciare il seguente percorso: (1) il per-
sonaggio prova/rappresenta un’emozione; (2) lo spettatore
per contagio prova l’emozione o la riconosce; (3) riflette sulle
cause e sulle conseguenze diegetiche; (4) elabora una propria
partecipazione empatica e/o simpatica per il personaggio;
(5) formula un giudizio che stabilisce il sentimento (piacere
e/o dolore). Ed è per questa ragione che, in teoria, appare
possibile passare dal dolore del personaggio al piacere del
pubblico: questo processo di elaborazione permette il passag-
gio dall’esperienza individuale a una riflessione universale, e
la percezione della forma universale produce il piacere.
La tesi di Donini implica quindi una lettura simile a quella
proposta da Giovannelli sulla relazione con le emozioni rap-
presentate dal personaggio. Questa relazione può essere speci-
ficata nei termini di simpatia (le emozioni che provo per l’altro)

180. Ivi, p. cix. Diversamente da quanto per esempio si legge nella edizione tradot-
ta da Manara Valgimigli, Bari, Laterza, 1973; «la quale [tragedia] ha per effetto di
sollevare e purificare l’animo da siffatte passioni» (Poetica, cap. 6, 1449 b, pp. 27-28).
181. Ivi, p. cxxl.
182. Ivi, p. cxlii.
Neodrammatico oppure empatia (le emozioni che provo con l’altro) e questi
digitale due atteggiamenti non sono mutualmente esclusivi, bensì ne-
Antonio Pizzo
cessari l’un l’altro183. Una risposta simpatetica non può fare a
meno di una componente empatica. In sintesi, partecipiamo
emotivamente con il personaggio in quanto proviamo le sue
emozioni, oppure possiamo assumerne la prospettiva e osser-
vare il mondo dal suo punto di vista. Dunque noi proviamo
i sentimenti del personaggio ma possiamo anche osservare
il mondo ed essere preoccupati per quanto gli accade, al di là
delle emozioni che lui in quel momento sta rappresentando184.
Giovannelli quindi propone la definizione del protagoni-
sta non sono sul piano del “quanto sono preoccupato per
lui” bensì sulla qualità della preoccupazione: «Noi siamo pre-
occupati per il protagonista in modo speciale, nel modo in
cui lo siamo quando sappiamo cosa significhi per qualcuno
passare le esperienze che lui sta vivendo»185. La preoccupa-
zione (che è tipica di un atteggiamento simpatetico) diventa
così un elemento chiave che fa assumere allo spettatore gli
obiettivi (goal) del personaggio e, di conseguenza gli stessi de-
sideri. Una volta che questi obiettivi sono descritti nelle azioni
132 del personaggio, possiamo assumerne i desideri e provare le
emozioni connesse con la loro realizzabilità: in altre parole,
abbiamo un atteggiamento empatico186.
Uno schema simile è presentato anche da Smith secondo
il quale la partecipazione immedesimativa si fonda sulle aspet-
tative sviluppate in relazione al raggiungimento degli obiettivi
del personaggio: lo spettatore simula lo stato del personaggio
e attiva procedure cognitive simili a quelle legate alle proprie
motivazioni, e da ciò può scaturire un’esperienza empatica
che corrisponde a tali procedure187. Ciò non toglie però che
«sentire per un personaggio è diverso da sentire con un per-
sonaggio. Se un personaggio è tenuto prigioniero e sotto tiro,
possiamo sentire con il personaggio perché entrambi com-
prendiamo il pericolo. Se vediamo che un personaggio (senza
saperlo) è nel mirino di un fucile di precisione, noi possiamo
provare paura per il personaggio. La differenza dipende dallo

183. A. Giovannelli, In sympathy with narrative characters cit., p. 83.


184. Ivi, p. 84.
185. Ivi, p. 85.
186. Ivi, pp. 88-89
187. G.M. Smith, Film Structure and the Emotion System cit., p. 76.
Il dramma stato della conoscenza narrativa. Sentire con un personaggio
come sistema dipende dal fatto che il pubblico ha più o meno la stessa co-
di regole
noscenza della situazione emotiva188. Dunque l’atteggiamento
simpatico o empatico per Smith dipende dalla quantità di
informazioni che condividiamo con il personaggio; e le due
modalità sono sempre articolate insieme, anzi il passare da
una modalità all’altra diventa un modo per aumentare l’in-
tensità della partecipazione189.
Dovremo quindi chiederci se la partecipazione emotiva
è attivata solo e unicamente da rapporti con il personaggio
o se possiamo far intervenire altri elementi. La prospettiva
cognitivista utilizzata da Carroll in The Philosophy of Horror�190,
ritiene che tutte le emozioni siano prototipiche (hanno un
oggetto, cioè tendono a un obiettivo e ci spingono a un’azio-
ne: la rabbia, per esempio�191), e che quindi possono essere
descritte descrivendo il loro oggetto�192. In questa prospetti-
va il sistema resta sempre centrato sul personaggio. Smith al
contrario ritiene che l’opera cinematografica presenti anche
emozioni non prototipiche, cioè più orientate alla espressio-
ne, alla comunicazione e che hanno il solo scopo di denotare
lo stato d’animo del soggetto (per esempio la depressione) 133
servono per comunicare uno stato del soggetto, mancando di
un obiettivo e di un oggetto specifico193.
Il modello strettamente identificativo, pur se aggiornato
alla luce degli studi cognitivi e legato alla rappresentazione
specifica di processi deliberativi, non solo non è congruen-
te con la constatazione che esistono diversi stati emotivi nel
personaggio e nel pubblico, ma appare anche costringere il
discorso solo nei confini delle azioni agite dal personaggio,
escludendo, o per lo meno marginalizzando, tutto l’insieme
di codici drammatici (per il tea­tro) e filmici (per il cinema)
che intervengono. Le emozioni possono essere rappresentate
non solo mediante i processi deliberativi che le sostengono,

188. Ivi, p. 90.


189. Ivi, p. 95.
190. N. Carroll, The Philosophy of Horror cit.
191. G.M. Smith, Film Structure and the Emotion System cit., p. 21.
192. Ed S. Tan, Emotion and the Structure of Narrative Film: Film As an Emotion Machi-
ne, Mahwah, Erlbaum, 1996; Torben Kragh Grodal, Moving Pictures: A New Theory of
Film Genres, Feelings, and Cognition, Oxford, Clarendon Press, 1997.
193. G.M. Smith, Film Structure and the Emotion System cit., pp. 22, 23 e 66.
Neodrammatico ma anche mediante codici culturalmente condivisi. La tristez-
digitale za suggerita dal ritmo lento e grave della Marcia funebre di
Antonio Pizzo
Chopin, o la serenità suggerita dall’allegro nella marcia nuzia-
le di Mendelssohn sono emozioni differenti dalla paura per
l’assassino che ci insegue o la gioia per l’amato che sta arrivan-
do, eppure intervengono anch’esse a disegnare la condizione
emotiva del pubblico. Allo stesso modo dobbiamo ammettere
che ogni dramma, come ogni altro prodotto artistico, pos-
sieda un sentimento generale, un clima emotivo (mood) che
il pubblico vi associa. Questo è solo parzialmente legato alle
emozioni dei personaggi del dramma. Il mood di un dipinto è
superiore alla somma delle espressioni dei singoli personaggi
rappresentati, per ragioni inerenti al tipo di composizione, ai
modelli culturali di riferimento, alle questioni sociali, morali,
etiche o psicologiche trattate194.
Finora abbiamo ritenuto che le risposte emotive del pub-
blico potessero essere in qualche modo prescritte dall’autore
solo utilizzando l’interfaccia del personaggio. L’introduzione
del clima emotivo, al quale continueremo a riferirci con il ter-
mine inglese mood, diventa un ulteriore strumento nelle mani
134 dell’autore per favorire l’emergere di determinate emozioni
nel momento voluto. La struttura proposta da Smith è relativa
ai codici audiovisivi del film e pertanto appare solo parzialmen-
te applicabile alla drammaturgia tea­trale. Ciononostante, pro-
prio perché l’autore considera il film nella sua qualità testuale
(il progetto narrativo) possiamo riconoscere gli elementi (al-
meno quelli più teorici) per la sua applicazione alla scrittura
drammatica. Smith sostiene che la struttura del film utilizza un
modello di induzione di mood con strumenti specifici.
La struttura del film cerca di aumentare le possibilità del
film di evocare emozione prima di tutto creando una pre-
disposizione a sentire le emozioni: un mood […] Quindi il
film deve fornire allo spettatore una costante dieta di brevi
momenti emozionali per sostenere il mood. Dunque, mood ed
emozioni si sostengono a vicenda. […] I film forniscono una
varietà ridondante di indizi emotivi, aumentando la possibilità
che diversi membri del pubblico possano essere spinti verso
la direzione emotiva appropriata […] Se un film fornisce allo
spettatore diversi e ridondanti indizi emotivi, ciò aumenta la
probabilità di spingerlo verso un stato di predisposizione. Una

194. Si veda ancora Smith: ivi, pp. 37-38.


Il dramma volta che il mood è creato, ha la tendenza ad autosostenersi.
come sistema Un mood, tuttavia, non è totalmente auto perpetuante. Se non
di regole
troviamo alcuna occasione per provare queste brevi emozioni,
il nostro mood particolare si eroderà e cambierà in un altro
stato di predisposizione. È necessario che ci siano occasionali
momenti di forte emozione affinché il mood si mantenga.195

Smith non nega l’idea che la narrativa sia strutturata su goal e


ostacoli e che questi marchino la partecipazione emotiva del
pubblico. Ma la sua proposta di indizi emozionali che indu-
cono un mood allenta il legame tra questi e gli eventi necessari
all’avanzare della storia. In altre parole nel modello orientato
sul personaggio, l’autore può utilizzare solo le azioni narra-
tivamente significanti al fine di sollecitare le emozioni del
pubblico. Al contrario Smith sostiene:
Quasi tutti gli eventi narrativamente significanti hanno
il potenziale per fornire un premio emotivo, ma non tutti
i momenti emotivi sono significativi narrativamente. Il ci-
nema classico hollywoodiano usa di frequente ciò che io
chiamo “marcatori di emozioni”, configurazioni di indizi
testuali molto visibili con lo scopo primario di attivare brevi
momenti di emozione.196 135

Si tratta di momenti che non fanno avanzare la storia e non


aggiungono informazioni, ma servono solo a porre lo spetta-
tore nel giusto mood emotivo.
Anche se Smith non lo specifica, dovremmo ritenere che
esista una dipendenza implicita tra questi marcatori di emo-
zioni non narrativi e la narrativa costituita da goal e ostacoli.
Gli esempi che svolge, infatti, illustrano un uso di marcatori
tutti tesi a confermare il mood emotivo indicato dalla dramma-
turgia, e, ancor di più, in relazione al destino del personaggio.
Del resto, anche nelle opinioni di Smith, una serie di marca-
tori che non creano un’armonia con le emozioni prodotte da
eventi narrativi, sarebbero inutili e magari dannosi.
Tutto il sistema delle emozioni si regge, naturalmente e
come abbiamo già visto, all’interno di una rete di conoscenze
e convenzioni condivise. Il testo filmico quindi fa ricorso sia a
indizi emotivi extranarrativi non prototipici (un’immagine, il
suono improvviso, la musica extradiegetica, ecc.), sia a emo-

195. Ivi, p. 43.


196. Ivi, p. 44.
Neodrammatico zioni prototipiche intesi come procedure (scripts) che ci per-
digitale mettono di interpretare le azioni del personaggio (l’espres-
Antonio Pizzo
sione del viso, il timbro di voce, i movimenti, ecc.). Le prime
possono essere disposte più liberamente delle secondo che
sono invece legate all’esposizione del plot.
Per Smith è molto importante la nozione di script e mi-
croscript. Il concetto è stato portato alla luce da Schank e
Abelson intendendo gli schemi cognitivi che determinano
il modo in cui conosciamo il mondo e le attività che noi vi
conduciamo197. Si tratta quindi di script culturalmente definiti
e organizzati, di istruzioni derivate dall’esperienza sociale o
culturale. Il pubblico fa un grande uso di questi script (dei
quali i generi sono una fonte enorme) alla visione del film.
Abbiamo quindi delle aspettative di alto livello (legate spesso
al genere), ma anche più locali legate alla particolare narra-
tiva che stiamo seguendo198.
Nella scrittura drammatica, come abbiamo visto, gli stru-
menti d’induzione emotiva a disposizione dell’autore si ri-
ducono ai personaggi e alle azioni che questi compiono, e
pertanto esistono solo emozioni prototipiche. In altre parole
136 la rappresentazione di un personaggio depresso che non for-
nisca al pubblico le informazioni per ricostruire il processo
cognitivo che causa quell’emozione e il conseguente quadro
di possibili azioni che ciò scatena, è un personaggio che dice
solo di essere depresso ma non è credibile. Ciò non toglie
che la proposta di Smith permetta di tener conto degli altri
strumenti pur disponibili per sollecitare un mood anche nella
scrittura drammatica; il verso o la prosa, il vocabolario utiliz-
zato, il ritmo del dialogo, la lunghezza delle battute, le pause,
le didascalie, ecc. In sostanza si tratta di non costringere tutta
la forma drammatica e l’impianto emozionale sul piano nar-
ratologico, e di tenere in conto specifiche scelte stilistiche,
culturali. Soprattutto, Smith ipotizza un sistema di emozioni
inteso come rete di nodi che assumono valore e significato
nella loro interconnessione per cui il sollecitamento emotivo

197. Roger C. Schank, Robert P. Abelson, Scripts, Plans, Goals, and Understanding:
An Inquiry into Human Knowledge Structures, Hillsdale, L. Erlbaum Associates, 1977.
Si veda anche la chiara descrizione delle nozioni di frame e script presente in Giu-
seppe Gigliozzi, Introduzione all’uso del computer negli studi letterari, a cura di Fabio
Ciotti, Milano, Paravia - Bruno Mondadori, 2003, pp. 158-163.
198. G.M. Smith, Film Structure and the Emotion System cit., p. 48.
Il dramma sarà sempre e comunque il frutto di un complesso intervento
come sistema di codici molteplici. In questo modo si salda il legame con
di regole
l’impianto di analisi semiologica della performance laddove
abbandona l’idea di segni individuali per raggrupparsi secon-
do un processo di vettorizzazione:
Vettorizzazione è, un mezzo al tempo stesso metodolo-
gico, mnemotecnico e drammaturgico di legare insieme
reticoli di segni. Essa consiste nell’associare e connettere
dei segni che vengono presi in reticoli all’interno dei quali
ciascun segno non ha senso se non nella la dinamica che lo
lega agli altri.199

8. Il personaggio come agente aumentato200


La coesistenza di empatia e simpatia, e la teoria degli indizi
emotivi che inducono un mood, confermano che nel dramma
non esiste una coincidenza tra le emozioni rappresentate dal
personaggio e quelle del pubblico. Quindi dovremo supporre
che esiste una qualche differenza tra gli agenti che osservia-
mo nel dramma e il personaggio che costruiamo nella nostra
cognizione.
Il modello di partecipazione emotiva nel dramma, così 137
come delineato finora, appare fortemente centrato sul per-
sonaggio, e presuppone una comprensione dei processi de-
liberativi e dei correlati apprezzamenti emotivi. Il personag-
gio, oltre ad avere un comportamento comprensibile, deve
manifestarsi negli stati mentali come desideri e intenzioni,
e il pubblico svolge un’attività d’inferenza e deduzione tra i
comportamenti, gli stati mentali, e le proprietà del personag-
gio201. Esiste una contrattazione culturale tra i codici utilizzati
nel dramma per rappresentare quei processi. Ne deriva che la
rappresentazione cognitiva che prende il nome di personag-
gio, è il frutto di una riflessione fondata non solo sulle mere
azioni rappresentate, bensì sul loro “arricchimento” mediante
gli strumenti a disposizione dello spettatore. Nelle opinioni di
Carroll, questi strumenti sono riassunti in ciò che egli chiama
situazione vissuta dal personaggio:

199. P. Pavis, L’analisi degli spettacoli cit., p. 26.


200. Questo paragrafo si fonda sulle ricerche condotte insieme a Rossana Damia-
no e pubblicate in Rossana Damiano, Antonio Pizzo, Emotions in drama characters
and virtual agents cit.
201. G. Currie, Narrative and the psychology of character cit., p. 62
Neodrammatico Assimilando la situazione, assumo anche una visione
digitale esterna della stessa. Cioè, assimilo le caratteristiche della
Antonio Pizzo
situazione che per diverse ragioni non sono focalizzate dal
protagonista sia perché non ne è a conoscenza o perché non
sono oggetti plausibili di una sua attenzione. Quindi, io vedo
la situazione non solo dal punto di vista del personaggio, seb-
bene conosca quel punto di vista, ma piuttosto la vedo come
qualcuno che la osservi anche dall’esterno202.

Ciò, insieme all’articolazione di atteggiamenti proposta da


Donini, Smith e Giovannelli, induce a ritenere che sia neces-
saria una distinzione tra l’agente narrativo e il personaggio
drammatico, così come la propone Newman:
Il personaggio non coincide con l’agente della narrazio-
ne, ed è un po’ più grande del suo contenitore narrativo e
noi costruiamo una cognizione del personaggio anche gra-
zie alla conoscenza del mondo reale.203

Buona parte del fascino del dramma deriva dalle molteplici


possibilità che si aprono davanti al personaggio e dalle scelte
che vediamo selezionate; quindi noi immaginiamo un per-
138 sonaggio anche oltre la specifica concatenazione di eventi
che si dispiega davanti a noi204. Il personaggio esiste come
insieme generale di tratti, attitudini, valori, ma anche come
l’elemento dinamico specifico che occupa un particolare spa-
zio nella narrazione205.
Sempre restando nell’ambito delle emozioni, il personag-
gio acquista una personalità nella esperienza del pubblico
grazie ad altre informazioni tipiche del codice drammatico
così come di codici extra drammatici.
Il personaggio inteso come cognizione del pubblico non
coincide totalmente con l’agente delle azioni nella partitu-
ra drammatica. Nel dramma il personaggio è una funzione
drammatica ed è il risultato cognitivo di un complesso appa-
rato mimetico/rappresentativo nel quale entrano in gioco,
come abbiamo visto, processi deliberativi, emozioni, script
culturali, ecc. che includono l’agente descritto. Qui torna

202. N. Carroll, The Philosophy of Horror cit., p. 95.


203. Ira Newman, Virtual people: fictional characters through the frames of reality, in
«Journal of Aesthetics and Art Criticism», vol. 67, n. 1, febbraio 2009, p. 73.
204. Ivi, p. 77.
205. Ivi, p. 74.
Il dramma ancora utile la lettura della Poetica di Aristotele nella quale
come sistema non bisogna confondere l’ethos (uno o molteplici) descritto
di regole
dall’autore con il risultato cognitivo del pubblico o del letto-
re. In questo senso il discorso sull’empatia e la simpatia ap-
pare leggermente meno dicotomico, e possiamo immaginare
che lo spettatore provi sempre le emozioni del personaggio,
che però corrisponde all’agente del dramma aumentato da
elementi ulteriori. La cosiddetta ironia drammatica, è stata
certamente uno dei primi modi di descrivere questo fenome-
no. L’agente Edipo (l’insieme delle sue azioni) è un sotto in-
sieme del personaggio Edipo, al quale infatti si aggiungono le
informazioni in più possedute dal pubblico, i commenti del
coro, la conoscenza del mito, le convenzioni del genere, ecc.
Per seguire ancora Carroll diremo che noi rispondiamo alla
situazione di Edipo, che include i suoi sentimenti di repul-
sione dell’incesto, ma con un sentimento più generale che
non corrisponde allo stato mentale del personaggio206. Tor-
nando all’esempio del personaggio nel mirino di un fucile,
possiamo quindi supporre che il pubblico provi le emozioni
del personaggio in quanto entità aumentata, partecipi al suo
stato d’animo vivendo nello specifico il contrasto tra ciò che 139
sa e quello che ignora, ma i due stati d’animo sono sempre
coordinati e resi coerenti nella figura del personaggio.
Al fine di proporre in dettaglio un esempio in cui la scrit-
tura induce la partecipazione emotiva con il protagonista
sulla base di componenti di empatia e simpatia, le quali, a
loro volta, si fondano sul riconoscimento di obiettivi e proces-
si deliberativi nei quali però s’inseriscono informazioni non
disponibili al personaggio, analizziamo la scena del convento
nell’Amleto di William Shakespeare207. Abbiamo scelto questa
scena sia per un criterio di chiarezza (solo due personaggi
che si confrontano), sia per l’abbondante letteratura critica
alla quale possiamo far riferimento, sia perché si tratta di un
modello di scrittura esemplare alla quale i manuali fanno co-
stante riferimento. Siamo nell’atto III, scena 1. Il re, la regina,
Rosencrantz, e Guildenstern, Polonio e Ofelia, sono in una
sala del castello di Elsinore. Dopo aver interrogato e conge-
dato i due giovani amici del principe, il re riceve l’invito alla

206. N. Carroll, The Philosophy of Horror cit., p. 93.


207. Cfr. R. Damiano, A. Pizzo, Emotions in drama characters and virtual agents cit.
Neodrammatico rappresentazione tea­trale. Intanto la regina invita Ofelia a far
digitale rinsavire Amleto con le proprie grazie ed esce per lasciarla
Antonio Pizzo
nelle mani del re e di Polonio, i quali la istruiscono sul da
farsi. Intendono farla incontrare con Amleto per osservare di
nascosto le reazioni del principe e comprendere se è l’amo-
re per la ragazza che lo ha reso folle. I due si nascondono
all’entrare del principe, che riflette ad alta voce sulla vita e
sulla morte (con il famoso monologo “essere o non essere”).
Al termine, vede la giovane e inizia la scena. Qui di seguito
la trascriviamo nell’originale inglese dall’edizione The Arden
Shakespeare�208. Contemporaneamente la scomponiamo in
beat che numeriamo progressivamente.
1. Hamlet: Soft you now! The fair Ophelia!–Nymph, in thy orisons
Be all my sins remember’d.
2. Ophelia. Good my lord, How does your honour for this many a
day? H.: I humbly thank you; well, well, well.
3. O.: My lord, I have remembrances of yours That I have longed
long to re-deliver. I pray you, now receive them. H.: No, not I; I
never gave you aught.
4. O.: My honour’d lord, you know right well you did; And with
140 them words of so sweet breath compos’d As made the things
more rich; their perfume lost,
5. O.: Take these again; for to the noble mind Rich gifts wax poor
when givers prove unkind. There, my lord.
6. H.: Ha, ha! are you honest? O.: My lord?
7. H.: Are you fair? O.: What means your lordship?
8. H.: That if you be honest and fair, your honesty should admit no
discourse to your beauty. O.: Could beauty, my lord, have better
commerce than with honesty?
9. H.: Ay, truly; for the power of beauty will sooner transform hon-
esty from what it is to a bawd than the force of honesty can
translate beauty into his likeness: this was sometime a paradox,
but now the time gives it proof.
10. H.: I did love you once. O.: Indeed, my lord, you made me be-
lieve so.
11. H.: You should not have believ’d me; for virtue cannot so inocu-
late our old stock but we shall relish of it:
12. H.: I loved you not. O.: I was the more deceived.
13. H.: Get thee to a nunnery:

208. William Shakespeare, Hamlet, a cura e note di Harold Jenkins, London, Ar-
den Shakespeare, Thomson Learning, 1982.
Il dramma 14. H.: why wouldst thou be a breeder of sinners? I am myself indif-
come sistema ferent honest; but yet I could accuse me of such things that it
di regole
were better my mother had not borne me
15. H.: I am very proud, revengeful, ambitious; with more offences
at my beck than I have thoughts to put them in, imagination
to give them shape, or time to act them in. What should such
fellows as I do crawling between earth and heaven?
16. We are arrant knaves, all; believe none of us. Go thy ways to a
nunnery.
17. H.: Where’s your father? O.: At home, my lord.
18. H.: Let the doors be shut upon him, that he may play the fool
nowhere but in’s own house. Farewell. O.: O, help him, you
sweet heavens!
19. H.: If thou dost marry, I’ll give thee this plague for thy dowry,–
be thou as chaste as ice, as pure as snow, thou shalt not escape
calumny. Get thee to a nunnery, go: farewell.
20. H.: Or, if thou wilt needs marry, marry a fool; for wise men know
well enough what monsters you make of them. To a nunnery, go;
and quickly too. Farewell. O.: O heavenly powers, restore him!
21. H.: I have heard of your paintings too, well enough; God hath
given you one face, and you make yourselves another: you jig,
141
you amble, and you lisp, and nickname God’s creatures, and
make your wantonness your ignorance.
22. H.: Go to, I’ll no more on’t; it hath made me mad. I say, we will
have no moe marriages: those that are married already, all but one,
shall live; the rest shall keep as they are. To a nunnery, go. [Exit.]

Come si vede abbiamo diviso il dialogo in 22 beat. La divi-


sione è svolta sul criterio azione e reazione che, sia chiaro,
non corrisponde a due battute del testo in consecuzione,
bensì alla lettura delle azioni dei personaggi. In altre parole,
il beat è un modo per rappresentare la successione di azioni
descritte nelle parole del testo.
Esiste una tradizione scenica e d’interpretazione (più atto-
rica e registica che letteraria) nella quale si assume che Amle-
to sappia che Claudio e Polonio sono nascosti e che, quindi,
Ofelia gli abbia mentito209. Alcuni suppongono che Amleto

209. Cfr. per esempio le letture di Marvin Rosenberg, To know a Shakespeare cha-
racter, in Lois Potter, Arthur F. Kinney (a cura di), Shakespeare, Text and Theater:
Essays in Honor of Jay L. Halio, Newark, University of Delaware Press, 1999, p. 169;
e di Arthur Colby Sprague, Shakespeare and the Actors; The Stage Business in His Plays
(1660-1905), Cambridge, MA, Harvard University Press, 1944.
Neodrammatico abbia una doppia entrata210, anticipando di qualche verso la
digitale sua apparizione nella scena (atto II, scena 3) e che abbia spia-
Antonio Pizzo
to Polonio dichiarare il piano («At such a time I’ll loose my
daughter to him»). Questa tradizione si fonda sulla necessità
di motivare sia l’improvvisa e immotivata (apparentemente)
domanda «Where’s your father?», sia la reazione alla risposta
di Ofelia: «At home, my lord». Non tutti concordano con que-
sta lettura alla quale viene mossa un’aspra critica da Harold
Jenkins nel suo commento per l’edizione Arden:
L’assunzione che Amleto sappia di essere spiato si fonda,
sono sicuro, su un completo fraintendimento della “scena
del convento”, a sua volta basato sia su in fraintendimento
del comportamento di Amleto verso Ofelia, sia delle conven-
zioni drammatiche elisabettiane.211

L’affermazione di Jenkins deriva dalla certezza che esista una


convenzione drammatica secondo la quale ogni volta che un
personaggio è spiato, e ne è cosciente, ciò viene in qualche
modo reso chiaro nel dialogo. Inoltre, sostiene sempre Jen-
ckins, anche la domanda sul padre può essere motivata dalla
142
recita della pazzia; infatti già prima, per fingersi pazzo, aveva
chiesto a Polonio: “avete una figlia?” (II, 2); e, nella scena del
convento, alla stessa Ofelia: “Siete onesta?”. Insomma Amleto
sarebbe incline alle domande improvvise e a cambiamenti di
discorso per fingere la sua lunaticità. Inoltre ciò potrebbe ave-
re anche un senso, in quanto le due figure (padre e figlia) so-
no spesso insieme nei suoi discorsi. Al massimo, nelle opinioni
di Jenkins, quel riferimento serve più a sottolineare l’ironia
drammatica (ciò che sa il pubblico) e non la follia di Amleto.
Delle due posizioni dà conto anche Kitto che dedica parti-
colare attenzione alla questione e si chiede se Amleto sappia
di essere spiato e da chi, e quale sia il significato della scena
del convento212. Se l’idea che Amleto sappia del complotto
e che per questo sia ancor di più deluso e amareggiato, per
Kitto che cita Wilson, è utile a innalzare il livello dell’intrigo
drammatico, è anche vero che sarebbe la maniera più ovvia e

210. Si veda in proposito John Dover Wilson, What Happens in Hamlet, Cambridge,
Cambridge University Press, 1951.
211. W. Shakespeare, Hamlet, a cura e note di H. Jenkins cit., p. 496.
212. H.D.F. Kitto, Form and Meaning in Drama; a Study of Six Greek Plays and of Ham-
let, London, Methuen, 1956, pp. 275-283.
Il dramma scontata per aumentare la tensione. Se Amleto sapesse degli
come sistema spioni, perché non li smaschera subito? Perché la minaccia ai
di regole
due si contiene in una sola frase e per tutto il resto del tempo
si rivolge a Ofelia nella speranza di redimerla dalla corte? Del
resto anche l’improvvisa domanda, sostiene Kitto, potrebbe
non essere frutto di un piano logico, bensì essere provocata
dalla complessa situazione psicologica del personaggio, dalla
suo stato di eccitazione che favorisce le rapide associazioni;
tanto è vero che la domanda “dove è tuo padre” sorge subito
dopo aver detto “bricconi matricolati”.
In sostanza esiste la possibilità di un’interpretazione più
“intimista” della scena in cui la tensione drammatica è da-
ta dal travaglio interiore di Amleto più che dall’intrigo. La
drammaticità della scena risiederebbe quindi nella solitudine
dei due contendenti e nel loro confronto diretto. Se ammet-
tessimo che Amleto sa del complotto dovremmo necessaria-
mente leggere la scena del convento, e anche, in parte, il
monologo “essere e non essere”, come un costante “questo
per quello”, “parlo con Ofelia ma mi rivolgo ai due”. Insom-
ma si perderebbe molta dell’intimità del momento. La disil-
lusione non deriverebbe dalla menzogna dell’amata, quanto 143
dalla presa di coscienza che lui non può amare nessuno nel
mondo corrotto della corte di Elsinore.
È d’altronde vero che l’approfondimento psicologico del
personaggio non nega direttamente la possibilità che Amleto
sappia. Infatti persino in una delle più famose messe in scena
del testo (1948), in chiave esistenziale e psicologica, Laurence
Olivier (nella cui interpretazione l’intimità del sentimento ha
tanta parte) dissemina decine d’indizi (sguardi, azioni, toni)
che restituiscono nell’insieme l’impressione che Amleto sap-
pia benissimo di essere spiato. Così fa anche Mel Gibson nella
regia di Zeffirelli (1990), il quale in più sembra suggerire che
veda i due andare a nascondersi, e ne fa scorgere le ombre
durante il dialogo. E ancor di più Kenneth Branagh che, nel-
la propria versione in ambiente tardo ottocentesco (1996), fa
scaturire l’improvvisa domanda da un rumore dei due spioni
nel loro nascondiglio213. Inoltre il dibattito sulle motivazioni

213. Laurence Olivier dirige e interpreta la versione cinematografica di Amleto


nel 1948, produzione Two Cities Film; Franco Zeffirelli dirige Mel Gibson nel 1990
prodotto da Warner Bros; Kenneth Branagh dirige e interpreta il testo nel 1996
per la Castle Rock Entertainment.
Neodrammatico di Amleto deve essere considerato anche alla luce del ruolo
digitale fondamentale giocato dal tema della follia simulata. Ricor-
Antonio Pizzo
diamo che nella convenzione drammatica, e specialmente
in quest’opera, la follia è spesso utilizzata per produrre un
senso compiuto e non come atteggiamento sconclusionato.
In altre parole, si tratta dello stereotipo del finto pazzo che
grazie alla follia può dire cose che altrimenti non potrebbero
essere dette. La sostanzialità delle parole e dei comportamen-
ti di Amleto, del resto, è ribadita anche dagli altri personaggi
e dallo stesso Claudio, il quale, al termine della scena che
abbiamo visto, è talmente convinto che in quelle azioni ci sia
un qualche senso da esiliarlo in Inghilterra.
Dunque, la scena del convento rappresenta un esempio
complesso d’interazione tra due personaggi in cui la lettera-
tura ha riconosciuto due poli interpretativi: uno, che defini-
remo psicologico intimista, nel quale la tensione drammatica
cresce per il dolore privato di Amleto e per il suo dibattersi
tra emozioni contrastanti; e l’altro, politico esistenziale, in cui
la crisi è causata dalla perdita della sua ultima “alleata” (Ofe-
lia) che, mentendo, si schiera implicitamente con il mondo
144 corrotto (la corte). Sia chiaro che l’interpretazione della
scena non può essere ridotta a questa dicotomia, bensì i
poli sono i punti di partenza di una possibile stratificazione
di senso.
Ciò che appare oggettivo è l’importanza della scena
chiave per l’innalzamento della tensione, la presenza di al-
cuni precisi obiettivi definiti e descritti nelle battute (goal
dei personaggi), il punto di svolta nell’intreccio dell’opera.
Emozioni, obiettivi, conflitti e punto drammatico, sono gli
elementi che emergono grazie a una lettura che assume uno
sguardo più ampio della lettera del testo. Bisogna ricorrere
a una fitta rete di riferimenti, come abbiamo visto fanno gli
studi letterari, e leggere le azioni (ritmo, tensione) della
drammaturgia.
Proviamo ora a descrivere i singoli passaggi della scena
utilizzando alcune delle categorie che abbiamo incontra-
to nel nostro discorso. Innanzitutto abbiamo segmentato
l’avanzamento del plot in beat, e per fa ciò abbiamo indi-
viduato per ogni segmento l’azione principale necessaria
all’avanzamento dell’intreccio. Poi indichiamo almeno un
obiettivo del personaggio che innesca l’azione descritta, e
gli attribuiamo uno stato emotivo. Naturalmente in questa
Il dramma analisi diamo per scontata l’esistenza di una componente
come sistema interpretativa (lettura del testo) mitigata però dalla coeren-
di regole
za formale della descrizione, così da raggiungere un livello
di approssimazione che non sia più vago del testo scritto in
linguaggio naturale.
Per questo facciamo riferimento alla base di conoscenza
ontologica SUMO (Suggested Upper Merged Ontology)214.
Ciò vuol dire che le azioni sono descritte riferendoci ai ter-
mini e alla semantica di questo repository. La prima azione di
Ofelia è descritta dal termine arrive. “Arriving” è nodo finale,
e una sottoclasse di “Traslocation”, a sua volta sottoclasse di
“Motion”, e così via risalendo (“Process”, Physical”, “Entity”).
In questo modo il tessuto testuale è stato ridotto a uno sche-
ma, formalmente normato, di azioni. Poiché rappresentiamo
i tipi di azioni come verbi, e sempre per mantenere una coe­
renza descrittiva, ogni azione è collegata direttamente a un
concetto ontologico, e questo concetto a un frame linguistico
che descrive univocamente gli elementi necessari affinché il
senso si compia (per esempio, l’azione mangiare presuppone
al minimo qualcuno che mangia e qualcosa di mangiato). Qua-
lora non esista un frame specifico per il verbo che descrive 145
l’azione, utilizziamo un più generico (ma sempre definito)
elenco di ruoli linguistici215. Inoltre per ogni beat, individuia­
mo un iniziatore (starter) e il suo obiettivo (goal); quest’ul-
timo lo esprimiamo secondo la logica del primo ordine e
verifichiamo se ha avuto successo o meno (true/false).
Nella descrizione, inoltre, utilizziamo un insieme finito
di elementi: agenti, goal, azioni, emozioni, valori, oggetti,
ambienti. Nel primo beat, l’iniziatore è Ofelia (agente), che
ha come obiettivo (goal) quello di restare nella sala (am-
biente), così da essere visibile ad Amleto. E il suo goal si
realizza (true). Le emozioni che utilizziamo e che associamo
a ogni goal, appartengono al modello OCC216. I termini sono
in inglese poiché in questa lingua sono espresse le risorse
ontologiche e i repository che utilizziamo.
La successione di azioni deriva dalla ricostruzione del com-

214. Per maggiori informazioni e per navigare l’ontologia SUMO si veda il sito
web http://www.ontologyportal.org.
215. Per una descrizione più dettagliata dell’utilizzo delle risorse linguistiche uti-
lizzate si veda il par. 7 del capitolo successivo.
216. A. Ortony, G. L. Clore, A. Collins, The Cognitive Structure of Emotions cit.
Beat Beat
Descrizione
(goal dello starter) (azioni)
CO: http:sumoOntology/&%Arriving=
FC: Arriving
arrive Theme: Ophelia
(Arriving) Goal: meet (Hamlet)
Place: Room (environment)
Cotheme: Hamlet
CO: http:sumoOntology/&%Leaving=
FC:
1 Ophelia Agent: Hamlet
at (Ophelia,room) - TRUE Cause: Avoiding
CO: http:sumoOntology/&%prevents+
leave FC: Preventing
(Leaving) Event: meeting
Agent: Hamlet
Preventing_cause: Fear (Emotion).
Destination: Out (environment)
Source: Room (environment)
Patient: Ophelia
CO: http:sumoOntology/&%Greeting+
greet
Agent:Ophelia
(SocialInteraction)
Beneficiary: Hamlet
CO: http:sumoOntology/&%Leaving=
FC:
Agent: Hamlet
Cause: Avoiding
CO: http:sumoOntology/&%prevents+
leave FC: Preventing
(Leaving) Event: meeting
Agent: Hamlet
Preventing_cause: Fear (Emotion).
Destination: Out (environment)
Source: Room (environment)
Patient: Ophelia
CO: http:sumoOntology/&%Giving=
give Agent: Ophelia
(UnilateralGiving) Recipient: Hamlet
Asset: love presents (object)
CO: http:sumoOntology/&%Stating=
3 Ophelia FC: Respond_to_proposal
start_interaction Interlocutor: Ophelia
(Ophelia,Hamlet) - TRUE Proposal:
reject
CO: http:sumoOntology/&%Getting=
(GivingBack)
FC: Getting
Theme: love presents (object)
Recipient: Hamlet
Speaker: Hamlet”
CO: http:sumoOntology/&%Giving=
give Agent: Ophelia
(UnilateralGiving) Recipient: Hamlet
Asset: love presents (object)
CO: http:sumoOntology/&%expects=
4 Ophelia FC: Waiting
introduce_topic Salient_entity: Ophelia
(Ophelia,Hamlet,“Hamlet’s Expected_event:
feelings”) - FALSE CO: http:sumoOntology/&%PositionalA
ttribute+
FC: Activity_finish
Agent: Ophelia
CO: http:sumoOntology/&%expects=
FC: Waiting
4 Salient_entity: Ophelia
Expected_event:
CO: http:sumoOntology/&%PositionalA
do_nothing
ttribute+
FC: Activity_finish
Agent: Ophelia
Activity: Speak
Protagonist: Hamlet

CO: http:sumoOntology/&%Stating+
FC: Notification_of_charges
accuse
Arraign_authority: Ophelia
(Stating)
Accused:Hamlet
Charges: Lie
5 Ophelia CO: http:sumoOntology/&%expects=
introduce_topic FC: Waiting
(Ophelia,Hamlet,“Hamlet’s Salient_entity: Ophelia
feelings”) - TRUE Expected_event:
CO: http:sumoOntology/&%PositionalA
do_nothing
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Agent: Ophelia
Activity: Speak
Protagonist: Hamlet
CO: http:sumoOntology/&%Questioning=
FC: Questioning
ask
Topic: Honesty (Value)
6 Hamlet (Requesting)
Addressee: Ophelia
introduce_topic Speaker: Hamlet
(Hamlet,Ophelia,“moral
values”) - TRUE CO: http:sumoOntology/&%considers=
ask FC: Cogitation
(Requesting) Cognizer: Ophelia
Topic: Honesty (Value)
CO: http:sumoOntology/&%Questioning=
FC: Questioning
ask
Topic: Fairness (Value)
7 Hamlet (Requesting)
Addressee: Ophelia
introduce_topic Speaker: Hamlet
(Hamlet,Ophelia,“moral
values”) - TRUE CO: http:sumoOntology/&%considers=
ask FC: Cogitation
(Requesting) Cognizer: Ophelia
Topic: Fairness (Value)
CO: http:sumoOntology/&%Stating+
declare FC: Statement
8 Hamlet (Stating) Topic: Honesty, Beauty (Value)
declare Speaker: Hamlet
(Hamlet,Ophelia,“moral CO: http:sumoOntology/&%Debating+
values are false”) - TRUE FC: Statement
contest
Topic: Honesty, Beauty
Speaker: Ophelia
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prove FC: Reasoning
(EducationalProcess) Arguer: Hamlet
Content: Weekness of beauty (Belief)
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9 Hamlet FC: Waiting
argue Salient_entity: Hamlet
(Hamlet,Ophelia,“moral Expected_event:
values are false”) - TRUE CO: http:sumoOntology/&%Positiona
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Agent: Hamlet
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Protagonist: Ophelia

CO: http:sumoOntology/&%Stating+
declare FC: Statement
(Stating) Topic: Love (Value)
10 Hamlet Speaker: Hamlet
introduce_topic(Hamlet,Op
helia,“affections”) - TRUE CO: http:sumoOntology/&%Stating+
concess FC: Statement
(Stating) Topic: Love (Value)
Speaker: Ophelia
CO: http:sumoOntology/&%Stating+
declare FC: Statement
(Stating) Topic: Love (Value)
Speaker: Hamlet
CO: http:sumoOntology/&%expects=
11 Hamlet FC: Waiting
declare(Hamlet,Ophelia,“aff Salient_entity: Hamlet
ections are false”) - TRUE Expected_event:
CO: http:sumoOntology/&%PositionalA
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FC: Activity_finish
Agent: Hamlet
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Protagonist: Ophelia

CO: http:sumoOntology/&%Disseminating=
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Information:
CO: http:sumoOntology/&%wants=
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FC: Experiencer_focus
(EducationalProcess)
Experiencer: Hamlet
Content: Not Love (Value)
Topic: Love (value)
Speaker: Hamlet
12 Hamlet
argue(Hamlet,Ophelia,“affec
tions are false”) - TRUE CO: http:sumoOntology/&%Communication+
FC: Complaining
Complainer: Ophelia
Topic: Love (value)
regret Complaint:
(Expressing) CO: http:sumoOntology/&%Pretending+
FC: Intentional_deception
Deceiver: Hamlet
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Victim: Ophelia

CO: http:sumoOntology/&%Requesting=
FC: Attempt_suasion
advise
Addressee: Ophelia
(Directing)
Content: Nunnary
Speaker: Hamlet
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13 Hamlet FC: Waiting
advise(Hamlet,Ophelia,(go( Salient_entity: Hamlet
Ophelia,nunnery))) - TRUE Expected_event:
CO: http:sumoOntology/&%Positiona
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CO: http:sumoOntology/&%expects=
FC: Waiting
Salient_entity: Hamlet
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Agent: Hamlet
Activity: Speak
Protagonist: Ophelia
CO: http:sumoOntology/&%Stating+
argue FC: Statement
(EducationalProcess) Topic: Honesty
Speaker: Hamlet
CO: http:sumoOntology/&%expects=
14 Hamlet FC: Waiting
argue(Hamlet,Ophelia,(go( Salient_entity: Hamlet
Ophelia,nunnery))) - TRUE Expected_event:
CO: http:sumoOntology/&%PositionalA
do_nothing
ttribute+
FC: Activity_finish
Agent: Hamlet
Activity: Speak
Protagonist: Ophelia
CO: http:sumoOntology/&%Stating+
advice
FC: Statement
(Directing)
Speaker: Hamlet
CO: http:sumoOntology/&%expects=
FC: Waiting
15 Hamlet Salient_entity: Hamlet
advise(Hamlet,Ophelia,(go( Expected_event:
Ophelia,nunnery))) - TRUE CO: http:sumoOntology/&%PositionalA
do_nothing
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Agent: Hamlet
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Protagonist: Ophelia
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Addressee: Ophelia
Content:
argue
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(EducationalProcess)
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Hidden_object: Ophelia
Hiding_place: Nunnary
16 Hamlet Speaker: Hamlet
argue(Hamlet,Ophelia,(go( CO: http:sumoOntology/&%expects=
Ophelia,nunnery))) - TRUE FC: Waiting
Salient_entity: Hamlet
Expected_event:
CO: http:sumoOntology/&%PositionalA
do_nothing
ttribute+
FC: Activity_finish
Agent: Hamlet
Activity: Speak
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FC: Request
ask
Topic: Polonius
(Requesting)
17 Hamlet Addressee: Ophelia
know-if Speaker: Hamlet
(Hamlet,sincere(Ophelia)) -
TRUE
17 Hamlet
know-if
(Hamlet,sincere(Ophelia)) - CO: http:sumoOntology/&%TellingALie
TRUE FC: Intentional_deception
lie
Deceiver: Ophelia
(Pretending)
Topic: Polonius
Victim: Hamlet
CO: http:sumoOntology/&%IntentionalPsycholo
gicalProcess+
burst_out FC:
(Expressing) Agent: Hamlet
18 Hamlet Cause: reproach (emotion)
believe(Claudius&Polonius, Patient: Ophelia
mad(Hamlet)) - TRUE CO: http:sumoOntology/&%Praying=
FC: Rite
pray
Member: Ophelia
(Expressing)
Desired_state: Help
Object: Hamlet
CO: http:sumoOntology/&%IntentionalPsycholo
gicalProcess+
burst_out FC:
(Expressing) Agent: Hamlet
Cause: reproach (emotion)
Patient: Ophelia
19 Hamlet CO: http:sumoOntology/&%expects=
believe(Claudius&Polonius, FC: Waiting
mad(Hamlet)) - TRUE Salient_entity: Hamlet
Expected_event:
CO: http:sumoOntology/&%PositionalA
do_nothing
ttribute+
FC: Activity_finish
Agent: Hamlet
Activity: Speak
Protagonist: Ophelia
CO: http:sumoOntology/&%Threatening=
FC: Endangering
menace
Agent: Hamlet
(Committing)
Valued_entity: Ophelia
20 Hamlet Cause: immorality (value)
menace(Hamlet,
Claudius&Polonius) - TRUE CO: http:sumoOntology/&%Praying=
FC: Rite
pray
Member: Ophelia
(Expressing)
Desired_state: restore
Object: Hamlet
CO: http:sumoOntology/&%Communication+
insult FC: Abusing
(Committing) Victim: Ophelia
Abuser: Hamlet
CO: http:sumoOntology/&%expects=
21 Hamlet FC: Waiting
insult(Hamlet, Salient_entity: Hamlet
Claudius&Polonius) - TRUE Expected_event:
CO: http:sumoOntology/&%PositionalA
do_nothing
ttribute+
FC: Activity_finish
Agent: Hamlet
Activity: Speak
Protagonist: Ophelia
CO: http:sumoOntology/&%IntentionalPsycholo
gicalProcess+
burst_out FC:
(Expressing) Agent: Ophelia
22 Ophelia Cause: fear-confirmed (emotion)
complain(Ophelia,destiny) -
TRUE CO: http:sumoOntology/&%Leaving=
FC:
leave
Agent: Hamlet
(Leaving)
Destination: Out (environment)
Location: Room (environment)
Legenda: CO= concetto ontologico; FC = frame considerato; Emotion = stato emotivo da OCC; Environment
= ambiente; Value = valore; Object = oggetto.

portamento dei personaggi sulla base di un modello razio-


nale. In altre parole supponiamo che i personaggi eseguano
le azioni collegate con i propri obiettivi, e che seguano un
piano. I piani sono determinati come abbiamo detto dalle
intenzioni e, nel caso specifico, li possiamo rappresentare
in questo schema. Dato il goal “far rivelare ad Amleto i pro-
pri sentimenti”, Ofelia sviluppa il seguente piano: (1) essere
nello stesso posto insieme ad Amleto; (2) incontrare Amleto;
(3) iniziare un’interazione; (4) portare il discorso sulla loro
relazione amorosa. Dato il goal “redimere Ofelia”, Amleto 151
sviluppa il seguente piano: (1) azzerare le credenze di Ofelia;
(2) negare l’amore; (3) proteggere Ofelia; (4) cambiare e
sostituire le credenze di Ofelia. Inoltre, nel corso dell’azio-
ne, Amleto fa uso di una struttura retorica di questo tipo:
(a) dichiara il soggetto; (b) sviluppa il soggetto; (c) comprova
le proprie ragioni (la sequenza retorica può richiedere più
o meno di tre beat, perché il secondo punto può essere di
diversa lunghezza).
A questo punto possiamo organizzare i beat secondo una
struttura ad albero in cui le singole unità drammatiche (DU)
sono delimitate da un obiettivo e/o da uno stato emotivo.

DU n DU n.n DU n.n.n Beat


(intentions) (intentions) (intentions) (starter’s goal)
1 Ophelia
at (Ophelia,room) - TRUE
2 Ophelia
start_interaction(Ophelia,Hamlet) - FALSE
1.1
3 Ophelia
Ophelia
start_interaction(Ophelia,Hamlet) - TRUE
know(Ophelia “Hamlet’s feelings”)
Ophelia.hope 4 Ophelia
Hamlet.reproach introduce_topic(Ophelia,Hamlet
“Hamlet’s feelings”) - FALSE
3 Ophelia
Ophelia
start_interaction(Ophelia,Hamlet) - TRUE
know(Ophelia “Hamlet’s feelings”)
Ophelia.hope 4 Ophelia
Hamlet.reproach introduce_topic(Ophelia,Hamlet
“Hamlet’s feelings”) - FALSE
5 Ophelia
introduce_topic(Ophelia,Hamlet,
“Hamlet’s feelings”) - TRUE
6 Hamlet
introduce_topic(Hamlet,Ophelia,
“moral values”) - TRUE
1.2.1 7 Hamlet
Hamlet introduce_topic(Hamlet,Ophelia,
believe(Ophelia, “moral “moral values”) - TRUE
values are false”) 8 Hamlet
Hamlet.anticipation declare(Hamlet,Ophelia,“moral values
are false”) - TRUE
9 Hamlet
argue(Hamlet,Ophelia,“moral values
are false”) - TRUE
1.2 1.2.2 10 Hamlet
Hamlet Hamlet introduce_topic(Hamlet,Ophelia,
at(Ophelia, believe(Ophelia, “affections”) - TRUE
1 nunnery) “affections are false”) 11 Hamlet
Polonius&Claudius Hamlet.hope Hamlet-expectation declare(Hamlet,Ophelia,“affections
know(Polonius&Claudius,“
are false”) - TRUE
Hamlet’s feelings”)) - Ophelia Ophelia
TRUE know(Ophelia, know(Ophelia, 12 Hamlet
“Hamlet’s “Hamlet’s feelings”) argue(Hamlet,Ophelia,“affections
Ophelia feelings”) – TRUE are false”) - TRUE
know(Ophelia,“Hamlet’s – TRUE 13 Hamlet
feelings”)) - TRUE advise(Hamlet,Ophelia,(go
(Ophelia,nunnery))) - TRUE
Hamlet
14 Hamlet
away_from(Ophelia, 1.2.3 argue(Hamlet,Ophelia,(go
Polonius&Claudius) – Hamlet (Ophelia,nunnery))) - TRUE
FALSE intend(Ophelia,go
Hamlet.disappointment (Ophelia,nunnery)) 15 Hamlet
Hamlet.looking_forward advise(Hamlet,Ophelia,(go
(Ophelia,nunnery))) - TRUE
16 Hamlet
argue(Hamlet,Ophelia,(go
(Ophelia,nunnery))) - TRUE
17 Hamlet
know-if(Hamlet,sincere(Ophelia))
- TRUE
18 Hamlet
1.3.1
believe(Claudius&Polonius,mad
Hamlet
(Hamlet)) - TRUE
know-if(Hamlet,sincere
(Ophelia)) – TRUE 19 Hamlet
1.3 Hamlet believe(Claudius&Polonius,mad
Hamlet: intend(Ophelia,go (Hamlet)) - TRUE
at(Ophelia, (Ophelia,nunnery)) 20 Hamlet
nunnery) - FALSE menace(Hamlet, Claudius&Polonius)
– FALSE Hamlet.anger - TRUE
Ophelia.f Ophelia.fear
21 Hamlet
ear_comfirmed
insult(Hamlet, Claudius&Polonius)
- TRUE
1.3.2
Ophelia
know(everybody, 22 Ophelia
“Ophelia’s feelings”) complain(Ophelia,destiny) - TRUE
– TRUE
Hamlet.pity
Il dramma Come si vede, abbiamo descritto la funzione emozionale
come sistema della scena (la DU 1) con una delusione del protagonista.
di regole
Questa delusione corrisponde al mancato raggiungimento di
un obiettivo (l’ennesima volta). Nello schema della tragedia
derivato da Freytag, la scena del convento è la terza parte (e
il climax) della terza fase di innalzamento della tensione217. Si
tratta di un innalzamento della tensione, integrato dall’au-
tore nella partitura drammatica, e che in genere coincide
con la rappresentazione di un conflitto del personaggio e la
messa in discussione dei suoi obiettivi. Nel nostro schema ciò
corrisponde con il fallimento dell’obiettivo di Amleto. Che
ciò sia risolto mediante la delusione intima dovuta alla pro-
pria impossibilità di amare, o a causa della presa di coscienza
dell’impossibilità di sottrarre la sua amata alla corruzione
della corte, importa relativamente; ciò che importa è lo stato
emotivo raggiunto dal personaggio: Hamlet.disappointment.
Questo stato, al quale il pubblico partecipa secondo la
dinamica di empatia e simpatia che abbiamo descritto, non
dipende esclusivamente dalle azioni dell’agente Amleto in
scena e dalle informazioni in suo possesso, bensì dal comples-
so dell’interazione tra tutto ciò che avviene e che il pubblico 153
può comprendere. Non è importante quindi che Amleto sap-
pia o meno che Ofelia mente, ma che lo sappia il pubblico
e questa informazione partecipa alla creazione dello stato
emotivo del personaggio nella cognizione del pubblico. Da
un lato, come ricorda Currie, noi tendiamo a ritenere che
i comportamenti stiano a testimoniare gli attributi del per-
sonaggio anche quando ciò non è vero218; dall’altro è anche
vero che nella vita reale gli esperimenti hanno dimostrato
che le persone sono influenzate più dalle circostanze che
dalle proprie caratteristiche morali ed etiche219. Dunque il
pubblico tende a dare un senso alle azioni del personaggio
aggiungendo le informazioni che possiede circa la situazione
che sta osservando (cognizione) ed elabora la partecipazione
emotiva coerente. In questo senso il personaggio risulta esse-
re, grazie alla tecnica drammaturgica, un’entità “aumentata”
rispetto all’agente e i suoi comportamenti.

217. Si veda qui il par. 6 del cap. 3, e anche G. Freytag, The Technique of Drama cit.
218. G. Currie, Narrative and the psychology of character cit., p. 66.
219. Ivi, p. 67.
Neodrammatico 4. Interactive drama tra videogioco e teatro
digitale
Antonio Pizzo

154 1. Dramma e scrittura: un paradigma procedurale 1


La contaminazione tra modelli algoritmici e scrittura dram-
matica si è sviluppata da un lato nel campo della interazio-
ne uomo-macchina (cioè la progettazione di sistemi digitali
interattivi che abbia come obiettivo l’usabilità da parte degli
utenti), dall’altro nella produzione di intrattenimento inte-
rattivo legato ai prodotti audiovisivi o ai videogiochi.
Il campo però è ancora vasto e confuso, e al suo interno
troviamo prodotti e ricerche differenti. Per questo vogliamo
delimitare il campo indicando ciò di cui non ci occuperemo
nel corso di questo capitolo. Innanzitutto non ci riferiamo
alle navigazioni ipertestuali di un’opera (come abbiamo ac-
cennato nel capitolo 2 a proposito di letteratura ergodica),
né all’utilizzo del web come ambiente per l’allestimento o la
presentazione di narrazioni interattive (come l’importante

1. Alcune contenuti di questo capitolo sono apparsi, in altra forma, in www.noe-


malab.org, a partire da un mio intervento nella tavola rotonda che ho organizzato
per la XIX edizione del Cairo International Festival for Experimental Theatre nel
2007; e successivamente in Antonio Pizzo, Dramma e scrittura: un paradigma proce-
durale, in Elena Tavani (a cura di), Parole ed estetica dei nuovi media, Roma, Carocci,
2011, pp. 101-114.
Interactive produzione di www.eastgate.com), anche se spesso sono state
drama catalogate come interactive drama2. Inoltre escludiamo dal
tra videogioco
e teatro nostro orizzonte le istallazioni interattive immersive in cui
contenuti audiovisivi sono utilizzati con intenti genericamen-
te narrativi, come per esempio T_Visionarium (2003-2008) o
Echo (2011)3.
In questo capitolo ci riferiamo alla generazione e/o ge-
stione automatica di contenuti narrativi da parte di software
specifici. Alla gestione corrisponde un approccio che vie-
ne database narrative (l’organizzazione di materiali narrativi
mediante regole di interrogazione di un archivio). Con una
buona approssimazione possiamo dire che i capostipiti più
influenti sono stati SoftCinema di Lev Manovich, e Korsakow
di Florian Thalhofer, ai quali vanno aggiunte le ricerche del
gruppo Interactive Cinema di Glorianna Davenport al Me-
dialab.
Il primo è ancora uno dei prodotti più conosciuti e di-
stribuiti per quanto riguarda la produzione e la fruizione di
video in cui la narrazione è il risultato di un’interrogazione
di un database da parte dell’utente4. «Invece che iniziare
con uno script e di seguito creare gli elementi mediali che 155
lo visualizzano, ricerco un paradigma differente: partire da
un ampio database e generare da questo una narrazione. In
SoftCinema gli elementi sono selezionati da un database di
alcune centinaia di video clips così da costruire un poten-
zialmente illimitato numero di differenti cortometraggi»5.
Korsakow invece è un software disponibile sul web (gratis
per le piccole produzioni) inventato dall’artista berlinese Flo-
rian Thalhofer per la creazione di film interattivi, in cui lo
spettatore influenza il montaggio.

2. Mika Tuomola, Heikki Leskinen, Daisy’s amazing discoveries: Part 1 - The pro-
duction, in «Digital Creativity», vol. 9, n. 2, 1998, pp. 75-90; Mika Tuomola, Daisy’s
amazing discoveries : Part 2 - Learning from interactive drama, in «Digital Creativity»,
vol. 9, n. 3, 1998, pp. 137-152.
3. Neil C.M. Brown, Timothy S. Barker, Dennis Del Favero, Performing digital aes-
thetics: the framework for a theory of the formation of interactive narratives, in «Leonardo»,
vol. 44, n. 3, giungo 2011, pp. 212-219; Coral Houtman, Adventures in remediation:
the making of echo, in «Digital Creativity», vol. 22, n. 4, 2011, pp. 263-274.
4. Per una descrizione del progetto si veda il sito web Soft Cinema: Ambient Nar-
rative all’indirizzo http://www.softcinema.net; o anche il DVD in Manovich, Lev,
Andreas Kratky, Soft Cinema Navigating the Database, Cambridge, MIT Press, 2005.
5. Lev Manovich, Jason Danziger, Andreas Kratky, Ruth M. Lorenz, Soft Cinema
[catalogo], ZKM, Berlin, 2003, p. 9.
Neodrammatico L’autore decide le regole secondo le quali le scene sono
digitale associate tra di loro, ma non crea percorsi fissi. Al contrario
Antonio Pizzo
l’ordine delle scene è creato durante la visione.6

Larga influenza in questo campo hanno avuto le attività che


la co-fondatrice del MediaLab, Glorianna Davenport, ha
condotto fino al 2008. Con progetti come ConTour o Dexter,
orientati verso il documentario, Davenport è stata pionie-
ra nell’indagare le tecniche che potessero gestire contenuti
audiovisivi, finalità narrative e interazione dello spettatore7.
Una influenza che eccede il singolo progetto e che, prima
con il gruppo Interactive Cinema e poi con Media Fabrics,
ha aperto la strada a una nuova idea di intrattenimento o
creazione video.
In questo contesto, infatti, si iscrivono lavori come Acciden-
tal Lovers, una fiction trasmessa in 4 episodi dalla televisione
Finlandese YLE canale 1 dal 27 dicembre 2006 al 5 gennaio
2007, creata da Leena Saarinen (autore) e Mika Tuomola
(regista)8.
È una commedia musicale per la televisione in cui i per-
sonaggi vivono una serie di eventi nelle loro relazioni amo-
156
rose grazie all’attivazione di parole chiave. La trama dipende
dai messaggi di testo che gli spettatori inviano durante la
trasmissione.9
Per quanto riguarda, invece, le ipotesi di generazione, alle
quali daremo maggiore spazio, si intendono quegli esperi-
menti che muovono verso una formalizzazione delle regole
per la creazione drammatica e che, proprio grazie a questo,
possano prevedere una esperienza interattiva del pubblico.

6. Dal sito web Korsakow: Dynamic Storytelling, http://korsakow.org.


7. Si vedano le due tesi di dottorato realizzate sotto la supervisione di Davenport:
Tinsley Azariah Galyean, Narrative Guidance of Interactivity, MIT, Program in Media
Arts & Sciences, 1995; Michael Luke Murtaugh, The Automatist Storytelling System:
Putting the Editor’s Knowledge in Software, MIT, Program in Media Arts & Sciences,
1996; ma anche Glorianna Davenport, Improvisational media fabric: take one, in Jef-
fery Shaw, Peter Weibe (a cura di), Future Cinema: the Cinematic Imaginary After Film,
Cambridge, MIT Press, 2003, pp. 272-279. Il tema del futuro dello spettacolo au-
diovisivo è stato trattato da Luca Barbeni, Web Cinema. L’immagine cibernetica, Mila-
no, Costa & Nolan, 2006; e Id., Fino alla fine del cinema, Bologna, Clueb, 2010.
8. Per informazioni sul lavoro si veda il sito web Accidental Lovers http://mlab.
uiah.fi/~lsaarine/accidentallovers.html.
9. Leena Saarinen, Comedy machine : interactive comedy as rule-based genre, in «Digital
Creativity», vol. 18, n. 3, 2007, p. 147.
Interactive In senso lato, l’idea di una esperienza narrativa con carattere
drama drammatico, dove l’esperienza del pubblico fosse – non ba-
tra videogioco
e teatro nalmente – partecipativa, non è certo legata alla tecnologia
digitale. Come ricorda Heide Hagebölling all’inizio del volu-
me Interactive Dramaturgies, si potrebbe tracciare un percorso
che va dai misteri medievali fino all’esperienza immersiva dei
mondi virtuali10. Però, quest’impressione di continuità nel-
la storia della drammaturgia, emerge solo se consideriamo
l’interattività come generica forma di partecipazione e coin-
volgimento dello spettatore; e se riteniamo che non esista al-
cuna frattura tra la scrittura drammatica, le sperimentazioni
visive delle avanguardie, la composizione dell’immagine nel
cinema e nella televisione, e il renderig grafico del compu-
ter11. Crediamo al contrario che sia utile leggere proprio le
discontinuità culturali e tecniche al fine di una più chiara
comprensione dei fenomeni da un punto di vista sia estetico
sia storico. Per esempio è possibile, seguendo l’indicazione
di Balzola e Rosa, differenziare una generica interazione dal-
la interattività poiché consideriamo quest’ultima esclusiva-
mente tecnologica e pertanto capace di registrare le tracce
impresse e interpretarle come comportamenti12. Interazione 157
corrisponde così a qualsiasi attività che coinvolga direttamen-
te lo spettatore; l’interattività invece prevede che l’azione
svolta dall’utente sia anche memorizzata digitalmente e sia
utilizzabile, al momento o in seguito, per aumentare le infor-
mazioni che costruiscono l’evento. In questo la scienza infor-
matica, e lo sviluppo che ha dato alla nozione di algoritmo
e alla rappresentazione formale dei dati, può rappresentare
una cesura e, pertanto, suggerire di verificare la specifica
rielaborazione nell’uso della nozione di dramma.
Non è possibile discutere di drammaturgia e computer
senza riferirsi alla storia del videogame e all’influenza che
narrativa e dramma hanno avuto sulla sua evoluzione. Se

10. Heidi Hagebölling, Elements of a history of interactive dramaturgies, in Id. (a cura


di) Interactive Dramaturgies. New Approaches in Multimedia Content and Design, Berlin
Heidelberg, Springer Verlag, 2004, pp. 9-16.
11. Riteniamo comunque che alcune continuità, in determinati usi dei linguaggi
visivi e cinematografici esistano, come si evince in L. Manovich, The Language of
New Media cit., e come segnalano coloro che al suo lavoro si rifanno: cfr. Luca
Ticconi, L’immagine esplorata. Il linguaggio del cinema nei videogiochi, in «Biblioteca
tea­trale», nn. 81-82, gennaio-giugno 2007, pp. 145-168.
12. Si veda a proposito A. Balzola, P. Rosa, L’arte fuori di sé cit., alle pp. 19 e 92-93.
Neodrammatico da un lato i giochi di carattere più azionale possono essere
digitale considerati un’evoluzione del flipper o di simili intratteni-
Antonio Pizzo
menti, dall’altro i più moderni generi legati all’avventura e
alla simulazione hanno progenitori diversi13. Come mette in
luce Claus Pias nella sua analisi dell’interazione nei video-
giochi, l’adventure game ha una matrice intrinsecamente nar-
rativa che, per essere gestita dal computer, ha dovuto essere
distillata in elementi formali rappresentabili in algoritmi. Pe-
rò proprio lo specifico linguaggio del computer game, così
segnato dalla sua matrice azionale, fa sì che questa natura
narrativa abbia acquisito una qualità drammatica14. In genere
il modello di avventura è assimilato a quello della navigazione
ipertestuale in cui il giocatore deve muoversi in una rete di
percorsi e luoghi nel modo più efficace possibile15. Si tratta
di costruzioni molto strutturate nelle quali al giocatore, mal-
grado le apparenze, è lasciata una libertà limitata e gli sono
richieste delle specifiche azioni al fine di terminare il gioco.
Un diverso approccio, lo ricorda sempre Pias, è quello dei
giochi in cui la strategia non riguarda la corretta successione
di decisioni lungo un dato percorso, quanto la regolazione
158 di una configurazione di valori: il altre parole i giochi di
simulazione come la serie The Sims, oppure Black and White,
Spores, ecc.16 Si tratta di una divisione che, per quanto datata
in confronto alle attuali proposte commerciali, permette di
individuare alcune componenti sulle quali è intervenuta la
computer science e in particolare l’intelligenza artificiale. Ed
è proprio quest’ultima ad aver innovato le possibilità offerte
dall’arte interattiva istituendo un colloquio non solo meta-
forico tra opera e spettatore17.
Il rapporto tra narratologia e ludologia (la scienza che
studia il gioco) è terreno di forti discussioni. Nel secondo

13. Lucien King (a cura di), Game on: The History and Culture of Videogames, New
York, Universe Pub, 2002; Rusel DeMaria, Johnny L. Wilson, High Score!: The Illu-
strated History of Electronic Games, Berkeley, McGraw-Hill/Osborne, 2002; Steven L.
Kent, The Ultimate History of Video Games, New York, Random House International,
2002.
14. Claus Pias, Action, adventure, desire. Interaction with PC games, in H. Hagebölling
(a cura di) Interactive Dramaturgies cit., pp. 139-140.
15. Ivi, p. 141.
16. Ivi, p. 142.
17. Andrew Stern, Deeper conversations with interactive art: or why artists must program,
in «Convergence: The International Journal of Research into New Media», vol. 7,
n. 1, 2001, pp. 17-24.
Interactive capitolo abbiamo visto che esistono approcci al videogioco
drama in una prospettiva narratologica che spesso ricorre a catego-
tra videogioco
e teatro rie drammatiche. Abbiamo visto anche che Aarseth contesta
aspramente l’indentità tra giochi e narrative18. Una posi-
zione ben riassunta in un articolo su «Digital Creativity» da
Markku Eskelinen, ricercatore e scrittore, che sostiene: «la
ludologia non riguarda la storia e il discorso, bensì le azioni
e gli eventi le cui relazioni non sono affatto completamente
determinate»19.
In un suo recente articolo, Dennis Del Favero, diretto-
re dello iCinema Centre for Interactive Cinema Research
(University of New South Wales), distingue tre modalità per
la narrazione interattiva. La prima, polychronic, vede lo spetta-
tore rimettere in sequenza elementi narrativi predeterminati
mediante la navigazione in un ambiente narrativamente co-
erente; si tratta in sintesi del modello esplorativo che abbia-
mo visto citato da Ryan e Aarseth. La seconda, transcriptive,
prevede il riassemblamento di clip e altri materiali audiovisivi
all’interno di un database annotato di materiali eterogenei e
non prodotti per una unica e specifica narrativa (per esem-
pio le clip video trasmesse da una rete televisiva in un dato 159
periodo); qui siamo nello stesso ambito in cui si muovono gli
esperimenti di Manovich. La terza modalità, co-evolutionary,
vede invece la partecipazione di agenti intelligenti capaci di
ragionamenti e comportamenti autonomi; ed è l’ambito nel
quale si muovono gli esperimenti di dramma interattivo in
cui lo spettatore interagisce con personaggi artificiali e in-
sieme a essi costruisce la narrazione, la quale si configura, a
sua volta, come emergente (organizzata al momento) e non
pre-scritta o assemblata20. In questo caso il lavoro di codifica e
modellazione non riguarda l’ambiente (come nel caso della
modalità esplorativa), né l’annotazione dei singoli brani nar-
rativi (come nel caso della narrativa mediante database), ben-
sì la definizione delle regole che producono la narrazione.
Negli ultimi due decenni le ricerche sia nel campo del-
le teorie sugli agenti, sia dell’intelligenza artificiale a fini di

18. Si veda il riferimento qui, nella nota 24 al capitolo 2.


19. Markku Eskelinen, Towards computer game studies, in «Digital Creativity», vol. 12,
n. 3, 2001, p. 181.
20. N.C.M. Brown, T.S. Barker, D. Del Favero, Performing digital aesthetics: the fra-
mework for a theory of the formation of interactive narratives cit.
Neodrammatico intrattenimento, hanno visto crescere l’interesse per alcune
digitale nozioni basilari del dramma come le abbiamo riassunte nel
Antonio Pizzo
precedente capitolo. Ciò è dovuto alla tendenza generale a
trasformare il computer da strumento di calcolo a strumento
di narrazione e intrattenimento; tendenza dovuta alla cla-
morosa espansione dell’ambito del videogioco, che vede il
settore cosiddetto “adventure” assumere i tratti di una sorta
di cinema interattivo. Si tratta di interessi venuti alla luce sul
finire degli anni Novanta, principalmente con il lavoro del
Gruppo OZ della Carnagie Mellon University a Pittsburgh,
ma anche con quello del Synthetic Characters Group del
Medialab al MIT di Boston, o del Virtual Theatre della Stan-
ford University21. Mentre si sedimentava l’attenzione per gli
ambienti on line multi utente (MUD) e i software per la si-
mulazione del dialogo via testo (Chatbot), emergeva l’idea di
personaggi che avessero comportamenti autonomi, vivessero
in ambienti navigabili, fossero capaci di interagire secondo
un plot definito e allo stesso tempo interagire con le scelte
dell’utente secondo criteri di improvvisazione drammatica22.
A questa altezza storica, il panorama era già tanto articolato
160 da poter distinguere approcci e risultati differenti. Una breve
panoramica sui sistemi che creano e gestiscono eventi dram-
matici in tempo reale con l’ausilio di procedure informati-
che, che riassumeremo sotto l’etichetta di dramma interattivo,
appare in Critical Review of Interactive Drama Systems, negli atti
del convegno di Edimburgo “AISB 2009 Symposium. AI &
Games”, al quale tra l’altro rimandiamo per una bibliogra-
fia più specifica sull’argomento23. A parte le questioni più
relative alla tecnica di modellazione e programmazione, si

21. Michael Mateas, An Oz-centric review of interactive drama and believable agents, in
Michael J. Wooldridge, Manuela Veloso (a cura di), Artificial Intelligence Today -
LNCS 1600, Berlin-Heidelberg, Springer Verlag, 1999, pp. 297-306; Bill Tomlin-
son, Bruce M. Blumberg, Delphine Nain, Expressive autonomous cinematography for
interactive virtual environments, in Proceedings of the Fourth International Conference on
Autonomous Agents - AGENTS ’00, New York, ACM Press, 2000, pp. 317-324; Barbara
Hayes-Roth, Robert Van Gent, Acting in character, in Paolo Petta, Robert Trapp (a
cura di), Creating Personalities for Synthetic Actors, Berlin-Heidelberg, Springer Ver-
lag, 1997, pp. 92-112.
22. A. Pizzo, Tea­tro e mondo digitale cit.
23. Maria Arinbjarnar, Heather Barber, Daniel Kudenko, A critical review of interac-
tive drama systems, in Daniela Romano, David Moffat (a cura di), Proceedings of AISB
2009 Symposium. AI & Games, Edinburgh, The Society for the Study of Artificial
Intelligence, 2009, pp. 15-26.
Interactive possono distinguere differenze nei modi di organizzare la
drama partecipazione dello user, gestire i personaggi autonomi, far
tra videogioco
e teatro avanzare l’intreccio. Tra le più affermate c’è la differenza,
che abbiamo già incontrato discutendo di Murray e Ryan,
tra storia ed esplorazione.
Una storia lineare o multilineare chiaramente non è un
dramma interattivo, perché non può soddisfare il bisogno
di interazione […] (il numero di storie fondamentalmen-
te differenti che può essere generato è molto limitato). Ci
sono giochi privi di una esplicita struttura della storia (si-
mulazioni) nei quali lo user è incoraggiato a percepire le
sue proprie storie nel mondo. Queste storie sono veramente
interattive, ma mancano dello sviluppo strutturato richiesto
dal dramma.24

Del resto, in molti casi è possibile osservare i modi in cui la


tradizione drammaturgica influisce sugli sviluppi della cre-
atività digitale e in particolare di quei sistemi che utilizzano
l’intelligenza artificiale a fini di intrattenimento. Le poten-
zialità della contaminazione tra la nozione di dramma e le
tecnologie digitali possono essere messe a fuoco solo se di
entrambe astraiamo le qualità formali, e non tecnologiche. 161
Un mero elenco dei modi di diffusione o visione mediante
le nuove tecnologie avrebbe vita breve proprio a causa del-
la velocità con le quali le tecnologie evolvono25. Anche la
digitalizzazione dei testi tea­trali, tipico esempio di progetto
applicativo, pur quando eventualmente corredata da un si-
stema di marcatura delle ricorrenze, delle scene, degli atti,
produce un limitato avanzamento della ricerca poiché ripete
i tentativi di analisi quantitativa o, al massimo, semplifica la
tracciatura filologica delle edizioni come già è fatto in molte
e ottime edizioni a stampa. Né il tagging dei testi, né la loro
navigabilità ipertestuale, per quanto utile, approfondiscono
a livello epistemologico quella contaminazione.
Al contrario, come propone Burril, è possibile conside-
rare l’esperienza del videogioco nella cornice del dramma e
della performance, e dimostrare che proprio questa prospet-
tiva fa emergere la complicata rete di questioni che aiutano

24. Ivi, p. 1.


25. Ancora pochi anni fa erano listati una serie di titoli o elenchi di opere, come
per esempio, in Maia Borelli, Nicola Savarese, Tea­tri nella rete, Roma, Carocci, 2004.
pp. 95-139.
Neodrammatico la comprensione del fenomeno. Per esempio definire gli am-
digitale biti di spazio rappresentato, struttura narrativa e modalità
Antonio Pizzo
dell’esperienza di interazione, e conseguentemente misurarli
con i valori “closed”, “flat” e “open”, permette a Burril di mar-
care più precisamente la qualità di esperienza drammatica in
un ampio range di attività ludiche, dal genere adventure, alle
simulazioni, fino alle più recenti interfacce fisiche26. Si tratta
quindi di una strada che cerca di individuare i fondamenti
dell’esperienza del videogioco e connetterla all’evoluzione
della performance.
Seguendo questa strada, possiamo riconoscere un con-
fronto sostanziale tra la nozione di dramma e quella di algo-
ritmo in una serie di ricerche e prodotti degli ultimi decenni,
che riassumeremo, con l’inevitabile grado di approssimazio-
ne, nella definizione di drammaturgia procedurale.
Da un lato il dramma, nelle sue forme più standardizzate,
può essere considerato come un oggetto culturale modella-
bile e riproducibile mediante processi algoritmici. Dall’altro
lato è possibile sviluppare un modello concettuale di dram-
maturgia intesa come sistema di regole in cui emergano
162 soprattutto le caratteristiche azionali formalmente legate
all’orchestrazione degli stati emotivi dei personaggi e la loro
evoluzione.
Abbiamo visto che il testo drammatico ha una base che
lo accomuna a qualsiasi altro racconto: un testo narrativo è
innanzitutto la descrizione di una storia, che sia un dramma,
un romanzo, una lettera. Abbiamo anche visto che la divisio-
ne in atti o in capitoli, la maggior o minor presenza di dialo-
ghi, sono caratteristiche “superficiali”, una convenzione cul-
turale che non modifica sostanzialmente la natura letteraria
dell’opera. E abbiamo provato a definire alcune qualità che
inducono un particolare effetto nel pubblico. E sono queste
qualità drammatiche che emergono nella modalità narrativa
così da renderla diversa dal romanzo o dalla poe­sia27.
Al di là dello specifico mezzo (inteso come linguaggio o
medium) nel quale si colloca, il paradigma procedurale deve
riferirsi necessariamente a queste qualità. Dunque, essere
procedurale e drammatico significa produrre un insieme di

26. Derek Alexander Burril, Out of the box: performance, drama, and interactive softwa-
re, in «Modern Drama», vol. 48, n. 3, 2005, pp. 492-512.
27. K. Elam, Semiotica del tea­tro cit., p. 124.
Interactive situazioni che, anche se possono essere personalizzate da chi
drama ne fa esperienza in un determinato momento, sono guidate
tra videogioco
e teatro da una struttura definita che tende a modellare il coinvolgi-
mento emotivo dello user. Il paradigma procedurale si basa
su un qualche modello dal quale è possibile procedere a una
rappresentazione computazionale.
Se lo standard produttivo chiede che un evento dramma-
tico abbia personaggi, conflitti, cambiamenti, complicazioni
e risoluzioni, questa configurazione può trovare diversi modi
per essere rappresentata. E con l’avvento dei nuovi media
digitali e procedurali, questo è ancor più vero. Del resto,
considerando quanta fiction drammatica consumiamo ogni
giorno, sarebbe a dir poco incompleta un’analisi del dramma
contemporaneo che non tenga conto della sua ri-mediazione
e della sua transmedialità. Le forme della drammaturgia con-
temporanea sono necessariamente, e nella prassi, transme-
diali. Le battute di un testo tea­trale sono una delle possibili
forme, certo la più consueta, per la rappresentazione dei
comportamenti. Un paradigma procedurale può nascere
solo a condizione che si elabori un sistema formale per rap-
presentare – in forma di dati univoci – i significati impliciti 163
ed espliciti presenti in una singola battuta del testo.
Qui si inserisce il contributo, negli ultimi decenni, delle
teorie sugli agenti, all’interno dell’intelligenza artificiale, che
hanno prodotto alcuni modelli di descrizione formale per la
rappresentazione delle azioni28. Se queste teorie indicano un
modo per descrivere le azioni (non il modo in cui avviene
la comunicazione tra agente e spettatore ma proprio gli ele-
menti primitivi dell’azione), potrebbero anche indicare un
nuovo modo per descrivere o produrre il dramma.
Il videogioco narrativo può essere lo spunto per una forma
di scrittura drammatica che utilizzi un codice procedurale al
posto del linguaggio naturale. Si tratta di eventi ludici che
esprimono un contenuto narrativo e un’attitudine dramma-
tica, e devono dunque contenere una sapienza drammatica
nella storia e nell’interazione. Nel gioco narrativo coesistono
due matrici fortemente drammatiche: il plot (la struttura del-
la storia) e i personaggi (con le loro azioni rappresentative).
Per Janeth Murray, la storia, nella sua forma diremo epica,

28. A. Goy, I. Torre, Agenti artificiali e agenti intelligenti cit., pp. 299-315.


Neodrammatico pone una forte enfasi sul plot, ma nel gioco, invece, l’enfasi si
digitale sposta sulle azioni del giocatore29. Sempre Murray individua
Antonio Pizzo
la dramatic agency come una caratteristica che scaturisce dalle
proprietà partecipative e procedurali, e la scrittura interattiva
deve di necessità progettare sia le azioni dei personaggi, sia
i comportamenti dell’interattore30.
Dunque, fin qui possiamo concludere che alcune forme di
intrattenimento interattivo hanno beneficiato del contribu-
to dell’intelligenza artificiale. Questo contributo è consistito
nella capacità di produrre modelli formali di alcune caratte-
ristiche del dramma. Fra queste sembra che la più emergente
sia la definizione di agenti come personaggi drammatici.
Considerata la centralità del personaggio nella scrittura
drammatica, si pone una questione riassumibile nei seguenti
termini: l’evento drammatico è il risultato di una corretta
interazione tra agenti ben progettati, o, viceversa, il perso-
naggio è il risultato (cognitivo) di una storia (il plot e i suoi
conflitti) ben orchestrati? All’interno di un paradigma pro-
cedurale bisognerà chiedersi: è più importante modellare un
numero definito di agenti (magari aggiungendo una compo-
164 nente di simulazione delle emozioni) capaci di generare azio-
ni significative, motivate e credibili, tali da far emergere una
qualità drammatica dell’evento, oppure bisogna dichiarare
il tipo di azioni, le relazioni e le conseguenze, una direzione
unitaria verso la quale convergere, così che la somma delle
azioni produca l’immagine mentale di un personaggio? Si
tratta di domande che si affacciano fin dai primi esperimenti
di produzione narrativa mediante processi automatici gestiti
dal computer. Pablo Gervás, in una sua recente rassegna sul
virtual storytelling, e mettendo a confronto il sistema Author
(1981) di Natalie Dehn con Universe (1983) di Michael Le-
bowitz, riconosce una simile polarità:
Bisogna costruire innanzitutto un mondo e successiva-
mente un plot che vi abbia luogo, oppure il plot dovrebbe
guidare la costruzione del mondo, con personaggi, luoghi
e oggetto creati all’occorrenza.31

29. Janet Murray, From game-story to cyberdrama, in Noah Wardrip-Fruin, Pat Harri-
gan (a cura di), First Person. New Media as Story, Performance, and Game, Cambridge-
London, MIT Press, 2004, p. 9.
30. Ivi, p. 10.
31. Pablo Gervás, Computational approaches to storytelling and creativity, in «AI Maga-
Interactive Si aprono due strade: (1) la costruzione di un intreccio pre-
drama definito ma modulabile che definisca un arco della tensione
tra videogioco
e teatro emotiva e nel quale far agire, insieme allo user, personaggi
definiti; (2) la generazione automatica di comportamenti
che creino l’impressione di un agente autonomo e credibile
(nelle emozioni e nelle intenzioni) che possa interagire ai
comandi dello user.
Il modo in cui i ricercatori affrontano questi punti indi-
vidua una sorta di classificazione per il dramma interattivo.
La prima categoria può essere riassunta nel modello con
“diagramma del plot”, in cui ci sono fasi di interattività alle
quali si alternano sequenza predefinite, coordinate in un in-
sieme in cui tutte le possibilità (azioni ed eventi) e la loro
sequenzialità, sono stabilite a priori. Quindi il plot può essere
rappresentato come un diagramma in cui sono previsti tutti
i nodi possibili32.
La seconda può essere compresa nella nozione di “perso-
naggi intelligenti” che appaiono nelle ricerche del Gruppo
Oz e nel Cybercafè del Virtual Theatre Project, in cui sono
stabilite le personalità degli agenti che rappresentano un ca-
novaccio nel quale è descritta una generica storia. Quindi, di 165
volta in volta, a ogni funzionamento del sistema, gli specifici
eventi generati saranno diversi e produrranno una diversa
articolazione del plot33.
Ai due modi di immaginare la generazione di dramma in-
terattivo (uno centrato sulla gestione della vicenda in modo
da disegnare la tensione emotiva, l’altro sulla creazione di
personaggi credibili), bisognerebbe aggiungere tutti i ten-
tativi che, in un modo o nell’altro, cercano di mediare tra
questi due approcci.

zine», vol. 30, n. 3, 2009, pp. 54. Si vedano anche Natalie Dehn, Story generation after
tale-spin, in Proceedings of the 7th International Joint Conference on Artificial Intelligence,
Vancouver, Morgan Kaufmann Publishers Inc, 1981, pp. 16-18; Michael Lebowitz,
Story-telling as planning and learning, in «Poetics», vol. 14, n. 6, 1985, pp. 483-502.
32. M. Arinbjarnar, H. Barber, D. Kudenko, A critical review of interactive drama sy-
stems cit., p. 3.
33. Aaron Bryan Loyall, Believable Agents: Building Interactive Personalities, tesi di
dottorato, School of Computer Science, Carnagie Mellon University, 1997; Joseph
Bates, Virtual reality, art, and entertainment, in «Presence: Teleoperators and Virtual
Environments», vol. 1, n. 1, 1992, pp. 133-138; Daniel Rousseau, Barbara Hayes-
Roth, Interacting with Personality-rich Characters, Report n. KSL 97, Department of
Computer Science, Stanford University, settembre 1997; A. Pizzo, Tea­tro e mondo
digitale cit., pp. 161-174.
Neodrammatico Si tratta di una proliferazione clamorosa, che solo in parte
digitale riesce a essere coordinata all’interno di sedi specifiche, co-
Antonio Pizzo
me le conferenze internazionali, “Autonomous Agents and
Multiagent Systems”, o “Virtual Storytelling”. Nelle centinaia
di interventi scientifici pubblicati in poco più di dieci anni,
gli approcci sono molteplici: generazione di storie, interazio-
ne con l’utente, modellazione degli agenti, ontologie infor-
matiche delle emozioni, comportamenti sociali, linguaggio,
psicologia, pedagogia34. Il campo dell’indagine resta vasto e
disomogeneo, e resiste a recenti tentativi di catalogazione e
tassonomizzazione35.
Tutto ciò è il prodotto di un’accelerazione tecnologica
alla quale non ha fatto seguito una equivalente riflessione
estetica e filosofica. L’oggetto culturale inteso con la parola
“dramma” è estremamente complesso e, a ben vedere, non
univoco. Le possibilità aperte dalla matrice computazionale
e procedurale, sia nella scrittura, sia nella fruizione di eventi
narrativi con effetti drammatici, sono teoricamente moltepli-
ci, inaspettate, ma in pratica appaiono ispirate alle richieste
del consumo d’intrattenimento. L’assenza di una esplicita
166 e forte ipotesi estetica lascia sempre affiorare la questione
dell’utilità di questi sforzi. Al di là dei tentativi più specifici,
come quelli pedagogici o formativi ai quali pure accennere-
mo, sullo sfondo si intravede sempre l’industria dell’intrat-
tenimento interattivo (videogiochi, social network, ecc.). Ma
è anche vero che, tranne pochi casi, queste ricerche non
hanno contatti diretti con le grandi produzioni commerciali,
le quali a loro volta preferiscono seguire strade più pragma-
tiche e con un più sicuro bilancio di investimenti e profitti.
D’altro lato non è possibile non notare la quasi totale as-
senza delle ricerche di stampo più chiaramente umanistico
storico e teorico, in questo ambito. La bibliografia sul dram-
ma interattivo può contare su studi aggiornati per quanto

34. Si veda, per esempio, la bibliografia annotata prodotta dal progetto europeo
IRIS (Integrating Research in Interactive Storytelling) disponibile on line (http://
iris.ofai.at:7777/iris_db/index.php/publications).
35. M. Arinbjarnar, H. Barber, D. Kudenko, A critical review of interactive drama sy-
stems cit.; E.A.A. Gunn, B.G.W. Craenen, E. Hart, A taxonomy of video games and AI,
in D. Moffat, D. Romano (a cura di), Proceedings of AISB 2009 Symposium. AI & Ga-
mes cit., pp. 4-14; David L. Roberts, Charles L. Isbell, A survey and qualitative analysis
of recent advances in drama management, in «International Transactions on Systems
Science and Applications», vol. 4, n. 2, 2008, pp. 61-75.
Interactive riguarda la psicologia cognitiva, la sociologia, il linguaggio;
drama meno per quanto riguarda la semiotica del tea­tro (che resta
tra videogioco
e teatro fondamentalmente legata ai capisaldi degli anni Settanta);
e deve fare i conti con una latitanza degli studi sul dramma
e sulla drammaturgia. Non tanto perché gli studi in questo
campo non vadano avanti, ma piuttosto perché all’interno
degli studi tea­trali, a livello internazionale, la nozione di
dramma (così come è intesa nella letteratura su agenti e sto-
rie interattive) è obsoleta. Uno degli interventi nel campo di
maggior successo, al quale abbiamo più volte fatto riferimen-
to, Lehmann, sostiene il superamento della matrice dram-
matica nel Novecento. Al contrario questa letteratura scien-
tifica ricerca una matrice neodrammatica, e deve far ricorso
alla letteratura sulla tecnica di scrittura cinematografica. La
forma drammatica, che è quasi sparita dai palcoscenici con-
temporanei, riemerge nel tentativo di descriverla secondo
modelli computazionali nella scienza informatica.

2. Façade: arco drammatico


Dal gruppo Oz prende le mosse l’idea di una Intelligenza
Artificiale (IA) Espressiva come la definisce Michael Mateas. 167
Nella Intelligenza Artificiale Espressiva il fuoco si sposta
sull’autorialità. Il sistema di IA diventa un’opera costruita
dagli autori per comunicare una costellazione di idee e espe-
rienze a un pubblico. […] La IA Espressiva costruisce oggetti
culturali. L’interesse non sta nel costruire qualcosa che sia
intelligente indipendentemente da qualsiasi osservatore o
dal suo contesto culturale; bensì nel costruire un opera che
sembri intelligente e/o viva, che partecipi in uno specifico
contesto culturale in modo da essere percepita come intel-
ligente e/o viva.36

Da queste premesse, e in collaborazione con l’artista An-


drew Stern, nasce un esperimento ancora oggi emblemati-
co: ­Façade, un dramma interattivo37. Qui il singolo giocatore
interpreta il ruolo di una persona invitata a casa di due amici,
Grace e Trip, apparentemente una coppia modello, social-

36. Michael Mateas, Interactive Drama, Art and Artificial Intelligence, tesi di dottorato,
Department of Computer Science, Carnagie Mellon University, 2002, p. 63.
37. Michael Mateas, Andrew Stern, Writing Façade: a case study in procedural autor-
ship, in Pat Harringan, Noah Wardrip-Fruin (a cura di), Second Person. Role-Playing
and Story in Games and Playable Media, Cambridge, MIT Press, 2007, pp. 183-207.
Neodrammatico mente e finanziariamente soddisfatta. Nel corso della storia
digitale il giocatore scopre che il matrimonio sta cadendo a pezzi e
Antonio Pizzo
si trova coinvolto in una serie di battibecchi, frustrazioni,
incomprensioni. Nei limiti posti dalla situazione, il giocato-
re può comportarsi con la massima libertà: interagisce con
i due come in una soggettiva cinematografica, può toccarli,
e può manipolare un numero limitato di oggetti; comunica
con brevi linee di testo e ascolta le battute sugli speaker au-
dio. Alla fine, il modo in cui si comporta, le risposte che dà,
influenzano il modo in cui la storia evolve e termina. L’im-
provvisazione intende provocare la partecipazione emotiva
del giocatore in una sessione di circa quindici minuti.
L’obiettivo ludico immediato consiste nel creare una si-
tuazione simile all’improvvisazione tea­trale sulla base di cir-
costanze prestabilite. L’obiettivo di più alto livello è la crea-
zione di una modalità di dramma interattivo in cui l’autore/
programmatore scrive innanzitutto le procedure e le regole.
In questo caso il sistema si fonda su una descrizione forma-
le dell’arco drammatico, gestito da un modulo denominato
drama manager, che si comporta come un “autore dietro le
168 quinte”: gestisce e indirizza lo svolgimento dell’azione, met-
te in successione gli eventi, gli argomenti di discussione, i
comportamenti dei personaggi, in modo da incorporare
l’interazione del giocatore e nello stesso tempo assicurare
un percorso di innalzamento della tensione, fino al climax
finale che concluderà (in modi diversi) la storia.
Mateas e Stern sono molto attenti alla costruzione di un
plot emotivamente efficace, e per questa ragione dichiarano
una concettualizzazione “neo-aristotelica” del loro modello
procedurale. Abbiamo visto che la Poetica è un punto di par-
tenza di molta letteratura sulla scrittura cinematografica e sui
media digitali interattivi38. Mateas prende le mosse dai sei
elementi della tragedia (fabula, caratteri, linguaggio, pensie-
ro, composizione musicale e spettacolo). L’aggiornamneto
procedurale del dramma in senso interattivo avviene grazie

38. Oltre ai lavori già citati, si vedano: Michael Tierno, Aristotle’s Poetics for Scre-
enwriters: Storytelling Secrets from the Greatest Mind in Western Civilization, New York,
Hyperion, 2002; Andrew S. Glassner, Interactive Storytelling: Techniques for 21st Centu-
ry Fiction, Natick, A.K. Peters, 2004; Ari Hiltunen, Aristotle in Hollywood. The Anatomy
of Successful Storytelling, Bristol, Intellect Books, 2002 (trad. it. Aristotele a Hollywood,
Roma, Dino Audino, 2011).
Interactive all’intervento del giocatore e quindi agisce su questo model-
drama lo, affiancando il giocatore al carattere39.
tra videogioco
e teatro Però il modo in cui Mateas elabora il proprio paradigma
interattivo conduce a una confusione sul ruolo del giocatore
e sulla nozione di personaggio. Ritorna un equivoco molto
diffuso in una certa letteratura “tecnica” (specialmente an-
glosassone) sulla scrittura drammatica. La questione riguar-
da, come immaginabile, la traduzione inglese del termine
carattere. Spesso è letto direttamente come dramatis persona,
il personaggio descritto nel dramma. Ma questo conduce a
considerare l’elemento definito da Aristotele in un senso
troppo moderno. Bisogna tener presente che «nel dramma
il personaggio (character) non è il materiale grezzo dell’auto-
re: è il suo prodotto. Emerge dall’opera; non vi è inserito. Ha
un’infinità di usi sottili, ma servono tutti all’orchestrazione
dell’opera come un’unità»40. Qui Styan utilizza il termine in
modo moderno ma non lo confonde con quello di Aristotele;
inoltre chiarisce che il dramma è una successione di azioni
(trama) eseguite da un agente che può mostrare una serie
di caratteristiche, per cui si sviluppa – dal punto di vista del
pubblico – l’illusione di una persona. In Aristotele il termine 169
tradotto con carattere è ethos (disposizione, carattere, tempe-
ramento); dunque si comprende che non coincide con la
nozione moderna di personaggio e ne rappresenta, casomai,
una parte. Elizabeth Belfiore ci fornisce a proposito un chia-
ro resoconto della questione41.
Poiché Aristotele fa una stretta distinzione tra fabula ed
ethos, e insiste che la fabula è essenziale alla tragedia al contra-
rio dell’ethos, la sua visione sulla natura della tragedia differi-
sce radicalmente da quella di molti studiosi e ricercatori mo-
derni, per i quali il personaggio è il centro dell’interesse.42

L’autrice poi spiega che questo pregiudizio in favore del per-


sonaggio è inappropriato poiché conduce erroneamente a
pensare all’agente del dramma come «un’entità psicologica
simile alla sua controparte nella vita reale». Ethos «indica il

39. M. Mateas, Interactive Drama, Art and Artificial Intelligence cit., p. 26.
40. J. L. Styan, The Elements of Drama cit., p. 163.
41. Elizabeth S. Belfiore, Tragic Pleasures: Aristotle on Plot and Emotion, Princeton,
Princeton University Press, 1992.
42. Ivi, p. 91.
Neodrammatico tipo di scelte selezionate dall’agente dell’azione drammatica
digitale […] una decisione che realizza un desiderio di fare qualcosa
Antonio Pizzo
qui e ora, l’azione che un processo deliberativo ha indicato
come la più adatta per raggiungere la fine»43. Ciò che descri-
viamo come carattere nel senso moderno di personaggio è
un insieme di scelte selezionate operate dall’agente.
Se la trama è composta da una serie di eventi singoli (co-
se dette o fatte), allo stesso modo gli êthê [plurale di ethos]
sono fatti da una serie di indicazioni di scelta all’interno di
passaggi specifici. Individualmente, ognuno di questi pas-
saggi, possiede un ethos»: sono attributi dell’azione e non
della persona.44

Dunque appare poco congruente con la lezione aristotelica


porre il giocatore a lato dell’ethos. Il giocatore non deve esse-
re concepito nella sua natura di personaggio, ma nella natura
di agente, di colui che compie azioni. Le azioni sono orga-
nizzate nella fabula. Se volessimo traslare i sei elementi ari-
stotelici in una modalità interattiva, piuttosto che prevedere
l’inserimento del giocatore, dovremmo aggiungere un nuovo
elemento che definiremo procedura, prima della fabula. Le
170
azioni, dunque, dovrebbero essere organizzate secondo un
sistema di regole codificato in una procedura algoritmica che
può riconfigurare la trama a ogni cambiamento di una delle
variabili dei sei elementi.
All’equivoco tra personaggio e agente si aggiunge quello
tra giocatore e spettatore. In un sistema narrativo/espressi-
vo interattivo, non è ancora chiaro il tipo di esperienza che
dovrebbe caratterizzare l’attività del giocatore. Mentre se
guardiamo un film o uno spettacolo tea­trale, le convenzioni
culturali hanno definito con molta chiarezza la qualità della
nostra esperienza, in un ambiente interattivo la cosa è più
sfumata45. In Façade il giocatore deve interpretare un ruolo
preciso (l’amico della coppia) e il gioco riesce se egli ha un
obiettivo chiaro e agisce di conseguenza. Se vaga per la stanza
o è troppo contraddittorio, la sessione può rivelarsi molto

43. Ivi, p. 94.


44. Ivi, p. 96.
45. Per il nozione di contratto spettatoriale e negoziazione si vedano: Francesco
Casetti, The communicative pact, in Jürgen E. Müller, Towards a Pragmatics of the Au-
diovisual: theory and history, Münster, Nodus Publikationen, 1994; Fabrizio Deriu, Lo
schermo e la scena. Venezia, Marsilio, 1999.
Interactive noiosa. In una corsa d’auto alla Playstation la nostra atten-
drama zione non è tanto sull’interpretare bene la personalità del
tra videogioco
e teatro guidatore, quanto nel totalizzare un buon tempo. Nella corsa
il giocatore partecipa alla competizione orientato al massi-
mo punteggio; in Façade il giocatore partecipa a una vicenda
umana ed è (dovrebbe essere) orientato alla massima imme-
desimazione emotiva con la situazione. Se come spettatori
siamo prevalentemente passivi e come giocatori siamo attivi,
la nozione di una narrativa non lineare diventa, come sugge-
risce Glassner, un ossimoro, poiché il piacere dello spettatore
consiste eminentemente nell’osservare il dipanarsi specifico
e peculiare delle azioni fino a un epilogo che appare unico
e necessario46. Dunque il paradigma procedurale e neoari-
stotelico, così come è esposto da Mateas, rivela alcune incon-
gruità, almeno sul piano teorico. Seppur affascinante nelle
ipotesi, risulta astratto rispetto le soluzioni metodologiche
che, più realisticamente, partono da modelli di condivisione
e partecipazione non aristotelici, e che propongono la spari-
zione della nozione tradizionale di spettatore, e l’adozione
del modello esplorativo47.
D’altro canto, l’equivoco circa la nozione di carattere e di 171
user nel paradigma procedurale segna uno scollamento tra le
ipotesi teoriche e l’implementazione pratica. Il loro dramma
interattivo parte dalla organizzazione drammatica delle azio-
ni (o delle unità drammatiche minime chiamate beats)48. L’ar-
chitettura alla base del sistema non contiene esplicitamente
un modello computazionale di personaggio o agente, il quale
invece è un risultato delle azioni selezionate. Il motore intel-
ligente di Façade, il già citato drama manager, sulla base di un
archivio di comportamenti definiti a priori (azioni e dialoghi),
gestisce la trama in diretta, seguendo un programma narrativo
ben preciso, in modo da contenere e guidare le azioni dello
user. In altre parole, la fabula è precedente ai caratteri. Quindi
Façade si fonda sulla precisa definizione dell’azione dram-
matica, nella quale le possibilità di deviazione del giocatore
sono poche e esplicitamente contrastate dal drama manager

46. A.S. Glassner, Interactive Storytelling cit., p. 240.


47. Marie-Laure Ryan, Narrative Across Media: The Languages of Storytelling, Lincoln,
University of Nebraska Press, 2004, p. 348.
48. M. Mateas, A. Stern, Writing Façade cit., p. 191.
Neodrammatico che tende sempre a proporre sequenze che dirigano l’azione
digitale nel senso auspicato.
Antonio Pizzo

3. Madame Bovary: emozioni e personaggi


Nel gruppo di Intelligent Virtual Environments presso l’Uni-
versità di Teesside (UK), Marc Cavazza, Jean-Luc Lugrin e
David Pizzi, tra gli altri, svolgono da alcuni anni ricerca sul
tema della narrazione interattiva (Interactive Storytelling – IS).
Nell’ampio spettro di attività condotte dal gruppo, il proget-
to Bards ha indagato le possibilità offerte dall’Intelligenza
Artificiale nello sviluppo di nuove forme e nuovi generi di
videogioco. Il focus riguarda il rapporto tra la formalizza-
zione computazionale del comportamento degli agenti con
le caratteristiche dell’intrattenimento commerciale. In que-
sta ottica è stata data una specifica attenzione ai personaggi
virtuali e all’elaborazione in tempo reale di comportamenti
coerenti con la situazione narrata. Non si tratta di realizzare
sistemi che siano in grado di creare una storia quanto, invece,
di gestire la relazione tra personaggi e utente all’interno di
una storia definita. Il gruppo ha lavorato a modelli narrativi
172 basati sulla descrizione formale dei personaggi, e soprattut-
to delle loro emozioni intese come obiettivi che dirigono
la vicenda. Il personaggio è guidato da motivazioni a lungo
termine (per esempio: ricchezza, felicità, fama) le quali sono
formalizzate come insieme di sentimenti e costituiscono il
goal (l’obiettivo) per il sistema di pianificazione delle azioni.
In questa prospettiva, il dramma interattivo induce il coin-
volgimento dello spettatore mediante la capacità di rappre-
sentare le azioni e le reazioni dei personaggi virtuali come
direttamente conseguenti agli stati emotivi. Dunque è neces-
sario che il sistema costruisca la rappresentazione dei senti-
menti in un modello computazionale che possa poi essere
operato dall’utente.
In questa esplorazione dei fenomeni estetici della narrati-
va interattiva, il gruppo di ricerca non parte da una prospetti-
va primariamente cognitiva delle emozioni, in base alla quale
dedurre la psicologia dei personaggi, bensì dal sistema inter-
no alla narrativa. Come abbiamo visto il personaggio dram-
matico moderno è di solito costruito dall’autore come una
individualità, cioè con uno specifico bagaglio di emozioni e
sentimenti che ne fondano la natura e ne motivano le azio-
ni. Per questa ragione è stato svolto un lavoro di analisi sui
Interactive personaggi e la storia narrata da Flaubert in Madame Bovary,
drama partendo proprio dalla descrizione delle emozioni. A tale
tra videogioco
e teatro scopo è stato utilizzato l’insieme di documenti preparatori
che lo stesso autore francese ha prodotto per il romanzo, in
cui descrive la trama nella forma di piani e scenari elemen-
tari, insieme con una ampia descrizione della psicologia dei
personaggi nella varie fasi della vicenda49.
Questa è la base, che in termini più specifici si defini-
sce ontologia informatica, per progettare un pianificatore
emozionale capace di operare sulle emozioni e i sentimenti
dei personaggi. Il processo di formalizzazione ha definito
una serie di stati mentali basilari (per esempio: affinità tra i
personaggi, orgoglio, femminilità, ecc.), fino poi a derivare
sentimenti più definiti legati a specifiche situazioni narrative,
e descritti nella vicenda nei termini di precondizioni ed ef-
fetti50. La scelta di partire da una descrizione delle emozioni
che non derivi da studi cognitivi bensì dalla classificazione
elaborata dall’artista, corrisponde alla volontà di creare un
dramma interattivo che sia derivato esplicitamente da cate-
gorie estetiche e artistiche. Se il personaggio è frutto di una
invenzione letteraria, il modello, di conseguenza, deve essere 173
strettamente legato alla descrizione narrativa in cui i per-
sonaggi sono esposti51. Il romanzo di Flaubert, rappresenta
quindi un territorio di sperimentazione eletto dal gruppo di
ricerca sia per la natura essenzialmente psicologica, sia per-
ché non pone l’enfasi sul risultato delle azioni quanto sulla
relazione tra personaggi e i loro sentimenti52. L’ipotesi è che
il videogioco possa diventare strumento di racconto e inte-
razione in cui l’esplorazione di ambienti si trasformi in una

49. Gustave Flaubert, Plans et scénarios de “Madame Bovary”, a cura di Yvan Leclerc,
Paris, CNRS Éditions, 1995.
50. David Pizzi, Fred Charles, Jean-Luc Lugrin, Marc Cavazza, Interactive storytelling
with literary feelings, in A.C.R. Paiva, R. Prada, R.W. Picard (a cura di), Affective Com-
puting and Intelligent Interaction - LCNS 4738, Berlin-Heidelberg, Springer Verlag,
2007, pp. 630-641.
51. David Pizzi, Marc Cavazza, Jean-Luc Lugrin, Extending character-based storytelling
with awareness and feelings, in Proceedings of the 6th International Joint Conference on
Autonomous Agents and Multiagent Systems - AAMAS ’07, New York, ACM PRess, 2007,
p. 2.
52. Marc Cavazza, Jean-Luc Lugrin, David Pizzi, Madame Bovary on the holodeck:
immersive interactive storytelling, in Rainer Lienhart, Anand R. Prasad, Alan Hanjalic,
Sunghyun Choi, Brian P. Bailey, Nicu Sebe (a cura di), Proceedings of the 15th Inter-
national Conference on Multimedia, New York, ACM Press, 2007, p. 653.
Neodrammatico indagine psicologica dei personaggi grazie alla loro capacità
digitale di gestire coerentemente la rappresentazione delle emozioni.
Antonio Pizzo
A partire da ciò, è stato possibile elaborare una simula-
zione virtuale immersiva tratta da un episodio specifico del
romanzo (un incontro tra Emma Bovary e il suo amante Ro-
dolphe). Il giocatore entra in un CAVE (cave automatic vir-
tual environment) in cui è proiettato lo spazio dell’azione e i
personaggi in 3D e, come spettatore attivo, può influenzare
il comportamento dei personaggi virtuali mediante i propri
commenti. Si tratta di una modalità di interazione che, in
termini più generali e riferendosi a un contesto più ampio,
deLahunta ha definito come virtual reality/performance in cui
il pubblico o i singoli spettatori sono invitati a interagire con
un’opera che prevede la libera navigazione all’interno di un
ambiente tridimensionale creato da un software53. Il giocato-
re, per esempio, può commentare negativamente la relazio-
ne extraconiugale di Emma, spingendola così a riflettere suo
propri “doveri coniugali” e, quindi, spingere l’azione in una
specifica direzione. Le reazioni dei personaggi virtuali non
sono definite a priori nel sistema ma sono elaborate in tempo
174 reale (sia nel contenuto drammatico sia nella visualizzazione
grafica) restando però coerenti con le caratteristiche definite
da Flaubert, e quindi all’ambiente narrativo specifico e alla
propria caratterizzazione psicologica.

4. IDTension: obiettivi e conflitti


Da circa dieci anni Nicolas Szilas lavora al progetto IDtension
che rappresenta uno dei modelli formali più organici e com-
pleti per la generazione di dramma interattivo. La ricerca si
basa su una vasta letteratura e mira a coniugare, con scopi
generativi, diversi approcci (pragmantico, strutturalista e co-
gnitivo).
Secondo Szilas, ogni forma di narrazione, e in partico-
lare quella drammatica, contiene tre dimensioni, ognuna
necessaria alla costruzione del racconto. La prima dimen-
sione – pragmatica – è quella del discorso che pone la nar-
razione allo stesso livello di ogni forma retorica: in altre pa-
role tutte le azioni dei personaggi hanno come obiettivo la
comunicazione di un messaggio. La seconda dimensione, di

53. Scott DeLahunta, Virtual reality and performance, in «PAJ: A Journal of Perfor-
mance and Art», vol. 24, n. 1, 2002, p. 105.
Interactive radice strutturalista, è quella della storia. La narrazione è un
drama discorso specifico in quanto include una storia intesa come
tra videogioco
e teatro successione di eventi e azioni, organizzate secondo determi-
nate regole. La storia quindi è l’insieme di una serie di se-
quenze narrative, che inizia con uno squilibrio e termina con
una valutazione o una sanzione. La terza dimensione – cogni-
tiva – è quella che riguarda la percezione e che, mediante il
conflitto, induce una forte risposta emotiva nel pubblico54.
Il progetto ha un carattere eminentemente teorico e per-
tanto si concentra sul modello e non sulla sua implementa-
zione effettiva ai fini di un’esperienza di gioco. Da un lato
quindi definisce una struttura del dramma (fatta di elemen-
ti e funzioni) che può reggere virtualmente qualsiasi storia
drammatica, dall’altro si concentra sulle modalità in cui l’au-
tore può utilizzare questa struttura per sviluppare specifiche
storie.
La struttura è organizzata in cinque moduli: il mondo del-
la storia (l’entità di base come personaggi, oggetti, luoghi,
obiettivi, attività, sotto-attività o segmenti, ostacoli, stati dei
personaggi e situazioni materiali); la logica narrativa (contie-
ne circa 40 regole che stabiliscono le condizioni logiche per 175
ogni azione possibile, e così calcola l’insieme delle azioni
possibili per ogni fase della storia); il sequenziatore narrativo (il
direttore del sistema che calcola l’impatto delle azioni pos-
sibili e le mette in ordine con lo scopo di rendere coerente
la storia e/o ottenere effetti drammatici); il modello di utente
(memorizza lo stato delle informazioni fornite allo user a
ogni dato momento della storia, e fornisce una stima dell’im-
patto di ogni singola azione sullo user); il tea­tro (gestisce la
visualizzazione e l’interazione)55.
La qualità drammatica dell’evento interattivo scaturisce
dalla manipolazione in tempo reale degli elementi che costi-
tuiscono il plot (il mondo della storia) e le convenzioni cultu-
rali che guidano la fruizione del pubblico (modello di uten-
te). Nei primi, come abbiamo visto, sono compresi obiettivi
e ostacoli, nelle seconde sono definite le qualità dei conflitti

54. Nicolas Szilas, A computational model of an intelligent narrator for interactive narra-
tives, in «Applied Artificial Intelligence», vol. 21, n. 8, 2007, pp. 761-763.
55. Nicolas Szilas, IDtension: a narrative engine for interactive drama, in Stefan Göbel
(a cura di), Technologies for Interactive Digital Storytelling and Entertainment. TIDSE
2003 Proceedings, Darmstadt, Fraunhofer IRB Verlag, 2003, p. 200.
Neodrammatico possibili; queste ultime generalmente legate alle componenti
digitale etiche del mondo e a quelle motivazionali del personaggio.
Antonio Pizzo
In sintesi il dramma interattivo immaginato da Szilas deriva
dalla situazione posta nel racconto e dal modo in cui questa
sollecita delle scelte conflittuali nel personaggio.
L’importanza che IDtension riserva alla struttura di obiet-
tivi e compiti emerge anche dall’altro rilevante aspetto del
progetto, cioè l’attenzione al processo creativo e all’inclusio-
ne di una tecnica di scrittura che non sia la programmazione
in un qualche linguaggio computazionale. Szilas, infatti, ha
iniziato, ed è tra i pochi a farlo, a elaborare le modalità di
scrittura del dramma interattivo secondo un proprio modello
formale, individuando tre livelli sui quali l’autore può inter-
venire. (1) Le strutture. In genere, ogni volta che un autore
si propone di progettare un racconto non lineare/interattivo
giunge a un tale livello di complessità in cui è quasi impos-
sibile mantenere il controllo di tutte le possibilità. Questo
problema è risolto grazie alla scomposizione in una serie di
strutture in ognuna delle quali a un obiettivo corrispondono
una serie di compiti. Le strutture sono tra di loro collegate
176 dalla nozione di ostacolo che a sua volta è direttamente con-
nesso al tipo di storia pensata dall’autore. In questo modo
l’autore può concentrarsi su strutture singole lasciando la
composizione del grafico di possibilità al ragionamento del
sistema. (2) Il testo di superficie. A ogni azione generica e
a ogni specifica entità della storia corrisponde una forma
testuale. Per esempio, l’azione “X informa Y di voler fare T”,
potrebbe essere espressa nel seguente modo: [nome] dice a
[nome]: «ho deciso di [verbo]» (le parti tra parentesi sono
quelle predefinite dall’autore per i personaggi e i compiti).
Anche se è una forma elementare di generazione di testo,
l’autore ha un forte grado di controllo. Da notare, inoltre,
che non è prevista la scrittura di dialoghi, poiché in IDtension
il dialogo è considerato il risultato di uno scambio di azio-
ni verbali. Questo è il livello in cui l’autore non deve avere
specifiche competenze di programmazione poiché le varie
forme testuali possono essere inserite in un foglio di calcolo.
(3) I parametri. Il controllo della narrazione avviene anche
mediante la regolazione di determinati parametri. Per esem-
pio, è possibile modificare l’importanza di ogni effetto di
ogni singola azione. Naturalmente gli effetti hanno una forte
rilevanza nel processo narrativo. Tuttavia, poiché è difficile
Interactive anticipare gli effetti di ogni parametro sul comportamento
drama della storia, non è stato sviluppato un sistema specifico di
tra videogioco
e teatro scrittura e anticipazione, bensì i parametri sono definiti una
volta che lo scenario è programmato, in fase di test56.

5. Carmen’s Bright Ideas e Fear-Not: il personaggio


deliberativo autonomo
Alcune tecniche del dramma interattivo sono state sviluppate
anche in ambiti non esclusivamente riconducibili all’intrat-
tenimento, e in particolare nelle attività di educazione e for-
mazione. Più attento alla modellazione degli agenti è il pro-
getto Carmen’s Bright Ideas (Center for Advanced Research in
Technology for Education - CARTE - University of Southern
California) che ha sviluppato un sistema di drammaturgia
automatica pedagogica interattiva al fine di aiutare le madri
di bambini gravemente malati a convivere con i problemi psi-
cologici derivanti dalla situazione57. In questo caso, anche se
la ricerca dichiara una qualche attenzione alla qualità dram-
matica delle situazioni affrontate, l’architettura contiene un
esplicito modello cognitivo dell’agente.
Ogni personaggio è realizzato sulla base di un’architettura 177
di agente che ha obiettivi e strategie, in prevalenza discorsi-
ve, per realizzarli. L’architettura è composta da un insieme
di moduli: il problem solving e il dialogo modellano l’utilizzo
del discorso; la valutazione emozionale modella il modo in cui
l’agente stima gli eventi; la generazione di comportamenti decide
le azioni. L’intero progetto si basa sulla convinzione che la
valutazione cognitiva modelli le emozioni. Negli approcci di
questo tipo, le emozioni e le risposte adatte derivano dalla
valutazione degli eventi nei termini della loro importanza
per l’individuo. La valutazione conduce alla caratterizzazio-
ne di un evento secondo diverse dimensioni che includono
il proprio coinvolgimento, le aspettative, la responsabilità e
il potenziale di adattabilità. In una prospettiva pedagogica,
quindi, è importante aiutare l’utente a scegliere e produrre

56. Nicolas Szilas, Olivier Marty, Jean-Hugues Réty, Authoring highly generative inte-
ractive drama, in Olivier Balet, Gérard Subsol, Patrice Torguet (a cura di), Virtual
Storytelling. Using Virtual Reality Technologies for Storytelling - LNCS 2897, Berlin-Hei-
delberg, Springer Verlag, 2003, pp. 42-43.
57. Stacy C. Marsella, W. Lewis Johnson, Catherine La Bore, Interactive pedagogi-
cal drama, in Proceedings of the Fourth International Conference on Autonomous Agents,
ACM, 2000, pp. 301-308.
Neodrammatico la giusta strategia in una data situazione, mantenendo però
digitale una valutazione realistica della propria efficacia58.
Antonio Pizzo
Ancora in questa direzione si muove un progetto più
recente di natura pedagogica. Ecircus (Education through
Characters with Emotional-Intelligence and Roleplaying Ca-
pabilities that Understand Social Interaction) è una ricerca
sull’apprendimento sociale nei bambini. Tra gli obiettivi c’è
quello di sviluppare un modello di coinvolgimento emoti-
vo per studiare e comprendere i processi di apprendimento
cognitivi, sociali ed emozionali, mediante il gioco di ruolo e
l’immersione in situazioni sociali complesse. A questo fine
è stata sviluppata una piattaforma – FearNot – per il gioco di
ruolo in ambienti virtuali, popolati da personaggi artificiali
dotati di una memoria, di personalità specifiche e capacità
di improvvisazione. Il tema centrale delle situazioni è il bul-
lismo nelle scuole inferiori e le strategie per affrontarlo. Il
progetto utilizza personaggi artificiali in animazione 3D per
improvvisare situazioni drammatizzate in cui i bambini di
8-12 anni imparano ad affrontare e discutere le situazioni di
crisi. La qualità narrativa in questo progetto è solo il frutto
178 dell’interazione e non ha uno specifico modo per disegnare
le qualità drammatiche. Lo user segue sullo schermo le azioni
di un bambino (o una bambina) che subisce atteggiamenti
di esclusione e marginalizzazione dal parte dei compagni,
e nel corso della vicenda assume la funzione di consulente
per la risoluzione dei problemi. In altre parole, il personag-
gio sintetico, nel momento in cui deve elaborare una strate-
gia deliberativa, chiede consiglio allo user. Le scelte fatte da
quest’ultimo influenzano i comportamenti successivi e l’evo-
luzione della situazione (per esempio, può suggerire di strin-
gere altre amicizie, o di reagire violentemente agli attacchi)59.

58. Stacy C. Marsella, W. Lewis Johnson, Catherine La Bore, Interactive pedagogical


drama for health interventions, in Ulrich Hoppe, Maria Feliza Verdejo, Judy Kay (a
cura di), AIED - Artificial Intelligence in Education, IOS Press, 2003, p. 344.
59. Ruth Aylett, Marco Vala, Pedro Sequeira, Ana Paiva, FearNot! An emergent nar-
rative approach to virtual dramas for anti-bullying education, in Marc Cavazza, S. Doni-
kian (a cura di), International Conference on Virtual Storytelling, Berlin-Heidelberg,
Springer Verlag, 2007, pp. 199-202; Ruth Aylett, Marco Vala, Pedro Sequeira, Ana
Paiva, FearNot! demo: a virtual environment with synthetic characters to help bullying, in
AAMAS ’07 Proceedings of the 6th International Joint Conference on Autonomous Agents
and Multiagent Systems, vol. V, ACMS, 2007, pp. 1381-1382.
Interactive 6. Drammar: azioni e intenzioni
drama Il CIRMA dell’Università di Torino (Centro Interdipartimen-
tra videogioco
e teatro tale di Ricerca sul Multimediale e l’Audiovisivo)60 ha svilup-
pato un approccio teorico in cui propone un prototipo di
agente secondo un modello cognitivo che tiene conto sia del
paradigma BDI sia degli stati emotivi, ma configura anche un
sistema di gestione della trama secondo unità minime chia-
mate drama unit. Dunque assimila la nozione di agente auto-
nomo, ma la inserisce in un contesto eminentemente dram-
matico che disegna un andamento specifico del racconto in
relazione ai valori emotivi rappresentati. Anche in questo
caso l’obiettivo è di natura più teorica ma, diversamente da
quello generativo di IDTension, è orientato all’annotazione.
In altre parole il sistema vuole sviluppare un linguaggio e
una metodologia per descrivere in modo formale (in modo
che i dati possano essere letti da un computer) eventi dram-
matici (siano essi brani di testi o scene di film) in modo che
possano essere conservati, elaborati e distribuiti adattandosi
alle esigenze degli utenti. La metodologia di lavoro si basa
su ontologie informatiche, e scaturisce dall’approccio com-
putazionale alla rappresentazione delle informazioni. Le on- 179
tologie sono utili per due ordini di ragioni: (1) individuano
una conoscenza standard e non ambigua per la condivisione
tra utenti e comunità; (2) incorporano la conoscenza che la
macchina può leggere e, di conseguenza, svolgere un even-
tuale ragionamento automatico61.
Partendo dal concetto di prassi (le azioni reali) e imita-
zione della prassi (il dramma) nel modello aristotelico, la
ricerca del CIRMA ha inizialmente composto una metaonto-
logia in due livelli collegati: azionale e direzionale. Il primo
dava conto degli elementi primitivi utilizzati per la costru-

60. Per informazioni sui componenti e le attività del CIRMA è possibile far riferi-
mento al sito www.cirma.unito.it. Questo paragrafo è frutto delle ricerche condot-
te al CIRMA insieme a Mario Cataldi, Rossana Damiano e Vincenzo Lombardo.
61. Uno dei modi più diffusi per codificare le ontologie è OWL (Ontology Web
Language). È un linguaggio elaborato dal progetto Semantic Web e derivato dalle
logiche descrittive: descrive l’universo del proprio discorso come un insieme di
individui che appartengono a classi, e un insieme di proprietà che collegano gli indi-
vidui l’uno con l’altro. La classi sono organizzate gerarchicamente ed ereditano gli
attributi da quelle al livello superiore; sono collegate da proprietà. OWL permette
di esprimere una serie di assiomi sulle proprietà di una classe e le relazioni tra le
classi. Si veda la pagina del World Wide Web Consortium (W3C) in cui è fornita
una panoramica del linguaggio, http://www.w3.org/TR/owl-features.
Neodrammatico zione dell’evento drammatico ed era composto da agenti,
digitale emozioni, azioni, eventi, obiettivi, attributi; il secondo dava
Antonio Pizzo
conto delle specifiche competenze necessarie all’organizza-
zione di questi materiali secondo regole dedotte dalla storia
e dalla letteratura drammatica; si trattava sostanzialmente di
modellare la direzione verso la quale muoveva la storia e il
suo arco drammatico. Il tutto ruotava intorno alla nozione di
unità drammatica intesa come il contenitore teorico di tutti
gli elementi in gioco, la cui organizzazione (segmentazione
e sequenza) dava luogo alla messa in ordine (gerarchico e
temporale) delle azioni percepite nella vicenda62.
Questo schema rifletteva, come per ogni modello del ge-
nere, una doppia natura: generativa (le regole per la produ-
zione di eventi drammatici) e descrittiva (la codificazione
in qualche linguaggio formale di eventi drammatici preesi-
stenti).
Più recentemente il progetto CADMOS, ha fatto virare
la ricerca verso una matrice descrittiva, sviluppando un mo-
dello che, pur mantenendo centrali alcune nozioni (unità
drammatica, obiettivi, conflitti, agenti, emozioni, segmenta-
180 zione e organizzazione) spostasse sullo sfondo l’idea di dire-
zionalità (e dei possibili modi di gestirla), e si concentrasse su
un modello in grado di rappresentare la moderna esperien-
za drammatica (intesa specialmente nella versione attestata
nell’intrattenimento di largo consumo)63.
Il cuore del lavoro è costituito da Drammar, una metaon-
tologia che intende rappresentare gli elementi e la struttura
del dramma, senza definire lo specifico formato o il medium
in cui quest’ultimo è espresso (film, sceneggiatura, video,
testo, ecc.)64.

62. Rossana Damiano, Vincenzo Lombardo, Antonio Pizzo, Formal encoding of dra-
ma ontology, in Gérard Subsol (a cura di), Virtual Storytelling. Using Virtual Reality
Technologies for Storytelling - LNCS 3805, Berlin-Heidelberg, Springer Verlag, 2005,
pp. 95-104; Rossana Damiano, Vincenzo Lombardo, Antonio Pizzo, Laying the
foundations for a formal theory of drama, in Stefania Bandini, Sara Manzoni (a cura
di), AIIA 2005, Berlin-Heidelberg, Springer Verlag, 2005, pp. 286-289.
63. Character-centered Annotation of Dramatic Media ObjecS, www.cadmos
-project.org.
64. Mario Cataldi, Rossana Damiano, Vincenzo Lombardo, Antonio Pizzo, Repre-
senting dramatic features of stories through an ontological model, in Mei Si et al. (a cura
di), International Conference on Interactive Digital Storytelling 2011 LNCS 7069, Berlin-
Heidelberg, Springer Verlag, 2011, pp. 122-127.
Interactive
drama
tra videogioco
e teatro

181

Figura 1
Schema generale di Drammar. I nodi in chiaro rappresentano le classi primitive, quelli più scuri le classi definite
dall’annotazione

Come si vede nella figura 1, le nozioni di alto livello, tra cui


unit, dynamics ed entity, sviluppano l’idea che il dramma sia
composto da (a) un plot organizzato per segmenti gerarchici,
(b) una descrizione del funzionamento del mondo descritto,
(c) personaggi (o agenti). Nel modello, la storia è una sequen-
za di unità (unit) in cui agiscono entità (entity), e nelle quali
avvengono i cosiddetti incidenti: le action (comportamenti
intenzionali degli agenti) e event (accadimenti che non sono
frutto di deliberazione, per esempio la pioggia). Questi inci-
denti, e di conseguenza le unità, sono gestiti gerarchicamente
da una struttura ad albero che serve a rappresentare un qual-
che tipo di coerenza nei processi deliberativi e intenzionali
(per esempio, “neutralizzare la guardia” è all’interno di un più
ampio piano “liberare il prigioniero”). La logica della storia
(sequenzialità, coerenza, ecc.) è descritta come dynamics, che
Neodrammatico misura lo svolgimento dei processi (azioni ed eventi) e i cam-
digitale biamenti degli stati (del mondo – la stanza è vuota, la tavola
Antonio Pizzo
è apparecchiata – o mentali degli agenti – obiettivi, credenze,
valori, ecc.). Questa logica è descritta come coppia di precon-
dizioni (la descrizione del mondo prima che la unità abbia
luogo) ed effetti (la descrizione dopo che l’unità è stata ese-
guita). Dynamics quindi connette l’evoluzione del mondo della
storia con ciò che accade nelle singole unità. Gli “strumenti”
che producono l’avanzamento della storia sono sempre entità.
Dunque tra le entità consideriamo anche gli agenti, gli
oggetti e gli ambienti (con le loro diverse proprietà). Impor-
tante ribadire che nell’ontologia si utilizza il termine agente
(agent) al posto di personaggio, per due ragioni; (1) aderire
al modello Belief-Desire-Intention (BDI) in cui il comporta-
mento intelligente è descritto secondo una prospettiva razio-
nale di obiettivi e piani di azioni di un agente; (2) la nozione
di personaggio è frutto di una negoziazione tra il testo (in
senso lato, dal testo drammatico al testo performance) e il
pubblico, secondo una prospettiva cognitiva della quale non
si dà una specifica rappresentazione in Drammar.
182 Le unità possono possono essere marcate come “dramma-
tiche” quando contengono un qualche conflitto tra gli agenti
o all’interno dello stesso agente. La grandezza, o estensione,
della unità, in questa ontologia, non è stabilita secondo crite-
ri esterni (per esempio: durata, lunghezza, numero, entrata
o uscita di agenti, ecc.), bensì è regolata dalle componenti
deliberative ed emozionali che vi sono rappresentate. In altre
parole l’unità inizia quando, a causa di un determinato stato
mentale o stato del mondo si avvia un processo, e termina
quando quest’ultimo raggiunge un grado di completezza per
cui possiamo apprezzare un cambiamento di stato del mondo
o mentale.
La classe Dynamics contiene i concetti base per rappre-
sentare questi cambiamenti e quindi modellare la logica di
avanzamento del dramma. Se gli incidenti sono il motore del-
la storia, gli stati (oggettivi – classe StateOfAffairs – o soggetti-
vi – MentalState) misurano l’evoluzione. In particolare quelli
soggettivi, cosiddetti stati mentali dell’agente, comprendono:
credenze (classe belief) e obiettivi (classe goal)65; valori (classe va-

65. Brian F. Chellas, Modal Logic: An Introduction, Cambridge, Cambridge Univer-


sity Press, 1980.
Interactive lue), che descrivono le attribuzioni individuali d’importanza
drama (etiche, morali, economiche, sociali, ecc.) a concetti astratti
tra videogioco
e teatro o oggetti fisici (giustizia, onestà, ricchezza, famiglia, ecc.)66;
emozioni (classe emotion) descritte secondo il modello cogni-
tivo Ortony, Clore e Collins (OCC)67.
Poiché nel dramma l’interazione tra gli agenti prevede
anche un intenso scambio di informazioni, supposizioni,
idee, l’ontologia è scritta in modo che gli stati mentali degli
agenti possano avere altri stati come proprio contenuto. Per
esempio, un agente può avere l’obiettivo che un certo stato
del mondo diventi vero, oppure credere che sia vero (per
esempio: il Principe vuole che ci sia pace tra Montecchi e Ca-
puleti). Allo stesso modo, il contenuto dell’obiettivo o della
credenza può essere, a sua volta, un altro stato mentale, pro-
ducendo un annidamento di credenze e obiettivi (per esem-
pio: Mercuzio crede che Tebaldo voglia uccidere Romeo).
Affinché le diverse unità (sia organizzate in sequenza, sia
gerarchicamente), e i loro cambiamenti, possano essere col-
legate le une con le altre, esiste un’altra classe di alto livello,
Relation, che descrive appunto le relazioni. Quelle tra unità
sono definite strutturali (classe StructuralRelationType), e in- 183
cludono le relazioni di l’ordinamento e sussunzione, così
da fornire i concetti fondamentali per organizzare le unità
secondo una linea temporale e/o una gerarchia ad albero.
Le relazioni drammatiche (classe DramaRelationType) model-
lano quelle interne, che esistono tra entità (agenti e oggetti)
presenti nella stessa unità.
Infine, la classe Description Template associa una descrizio-
ne (uno stato o un processo) con il ruolo che l’agente ha in
esso (per esempio, il processo “mangiare” richiede che ci sia
qualcuno che mangia e qualcosa che è mangiato affinché

66. Rossana Damiano, Vincenzo Lombardo, Value-driven characters for storytelling


and drama, in Roberto Serra, Rita Cucchiara (a cura di), AI*IA 2009: Emergent
Perspectives in Artificial Intelligence LNAI 5883, Berlin-Heidelberg, Springer Verlag,
2009, pp. 436-445; Rossana Damiano, Vincenzo Lombardo, Using values to turn
agents into characters, in Joaquim Filipe, Ana Fred, Bernadette Sharp (a cura di),
Agents and Artificial Intelligence - CCIS 67, vol. lxvii, Berlin-Heidelberg, Springer
Berlin Heidelberg, 2010, pp. 283-296; Rossana Damiano, Vincenzo Lombardo,
Directing value – driven artificial characters, in Kaminka van der Hoek, Luck Les-
pérance, Sen Lespérance (a cura di), Proceedings of 9th Internationl Conference on
Autonomous Agents and Multiagent Systems (AAMAS 2010), Toronto, 2010, pp. 1531-
1532.
67. A. Ortony, G.L. Clore, A. Collins, The Cognitive Structure of Emotions cit.
Neodrammatico possa essere rappresentato compiutamente). Ciò permette
digitale di aggregare la descrizione degli elementi dell’ontologia
Antonio Pizzo
ad altre risorse ontologiche o linguistiche esterne. Infatti
Drammar descrive il dramma solo nei termini di elementi e
relazioni che devono essere istanziate, ma non include la
descrizione degli specifici valori che questi elementi assu-
mono in una particolare opera68. In altre parole, non for-
nisce direttamente un vocabolario per specificare il tipo di
azione (per esempio correre) o evento (per esempio piove-
re) che invece è recuperato da repository esterni preesistenti
(l’ontologia YAGOSUMO e le risorse linguistiche Wordnet,
Verbnet e Framenet)69.
In sintesi, l’efficacia di Drammar si misura sulla sua capa-
cità di rappresentare le azioni come elemento fondamentale
del dramma. E soprattutto di considerare il termine “azione”
come il sunto di un complesso processo intenzionale in cui
l’agente manifesta una qualche intenzione e sviluppa un pia-
no per realizzarla, tenendo conto di un insieme di variabili
(emozioni, valori, stati del mondo, ecc.) che ne influenzano
la determinazione e l’esecuzione.
184

68. Mario Cataldi, Rossana Damiano, Vincenzo Lombardo, Antonio Pizzo, Dario
Sergi, Integrating commonsense knowledge into the semantic annotation of narrative media
objects, in Roberto Pirrone, Filippo Sorbello (a cura di), AI*IA 2011: Artificial In-
telligence Around Man and Beyond - LNCS 6934, Berlin-Heidelberg, Springer Verlag,
2011, pp. 313-323.
69. YAGOSUMO incorpora quasi 80 milioni di entità di YAGO (che si basa su
Wikipedia e WordNet) in SUMO, l’ontologia formale altamente assiomatizzata.
Si tratta quindi una ontologia combinata che fornisce informazioni molto det-
tagliate su milioni di entità, come per esempio le persone, le città, le organiz-
zazioni e le aziende e può essere efficacemente utilizzata non solo per scopi di
annotazione, ma anche per l’elaborazione di conoscenza e ragionamento; G.D.
Melo, F. Suchanek, A. Pease, Integrating Yago into the suggested upper merged ontology,
in Proceedings of the 2008 20th IEEE International Conference on Tools with Artificial
Intelligence, vol. 01, IEEE Computer Society, Washington, DC, 2008, pp. 190-193.
Wordnet è una risorsa linguistica multilingue disponibile in http://multiwordnet
.fbk.eu/english/home.php; cfr. George A. Miller, WordNet: a lexical database for Eng-
lish, in «Communications of the ACM», vol. 38, n. 11, novembre 1995, pp. 39-41.
Ci riferiamo inoltre al progetto FrameNet che ha costruito un database lessicale in-
glese fondato sull’annotazione di esempi di utilizzo comune (https://framenet.icsi
.berkeley.edu/fndrupal/about), cfr. Collin F. Baker, Charles J. Fillmore, John B.
Lowe, The Berkeley Framenet Project, in «Proceedings of the 36th Annual Meeting of
the Association for Computational Linguistics and 17th International Conference
on Computational Linguistics», vol. 1, Association for Computational Linguistics,
1998, pp. 86-90. Nei casi in cui il termine non appaia in questo database, utiliz-
ziamo i generici ruoli tematici come descritti nel progetto VerbNet (http://verbs.
colorado.edu/~mpalmer/projects/verbnet.html).
Interactive Il dettaglio del sistema è al di là degli scopi di questo la-
drama voro ma è utile accennare, anche se in modo semplificato, al
tra videogioco
e teatro funzionamento dell’annotazione per fornire una idea gene-
rale del funzionamento. Se, per esempio, volessimo annotare
l’unità in cui Tebaldo vuole uccidere Romeo, nella famosa
scena di Shakespeare, si potrebbe procedere come illustrato
nella figura 2.

185

Figura 2
Annotazione semplificata di una scena

Concentriamoci solo sui due agenti principali e sull’inci-


dente che li vede protagonisti. Gli agenti hanno gli attributi
di due personaggi definiti (Romeo e Tebaldo). L’inciden-
te che rappresentiamo ha una sua descrizione in quanto
azione nell’ontologia YAGOSUMO (killing), e nelle risorse
linguistiche Multiwordnet e Framemnet (il verbo uccidere).
Lo stato mentale di Tebaldo, definito come obiettivo (goal),
viene perseguito in un’azione intenzionale (uccidere) la cui
Neodrammatico descrizione appare nell’incidente e prevede alcuni ruoli (in
digitale Framenet: assassino e vittima). Questi ruoli sono legati ai
Antonio Pizzo
personaggi.
Utilizzando questo schema, la descrizione del processo è
completamente delegata a ontologie esterne e preesistenti
(YAGOSUMO), e a risorse linguistiche (Multiwordnet, Verb-
net e Framenet), sollevando Drammar dalla responsabilità di
modellare la conoscenza comune, che è al di fuori suoi scopi.
In altre parole, l’ontologia descrive le qualità specifiche del
dramma ma non opera scelte su ciò che il dramma assume
dal mondo reale, dalle conoscenza comune; oppure, in altre
parole, descrive il modo specifico in cui il dramma organizza
elementi di conoscenza del mondo, ma assume quest’ultima
conoscenza dall’esterno.
Il modello descritto da Drammar è drammatico, poiché fa
riferimento a un oggetto culturale definito in epoca moder-
na e sopravvissuto nella letteratura sulla scrittura drammatica
e cinematografica. La struttura media tra due concezioni del
dramma interattivo: (1) modellare dei personaggi artificiali
credibili e lasciare che interagiscano tra di loro; (2) modella-
186 re una narrativa interattiva secondo i modi della drammatur-
gia e poi rappresentarla mediante agenti che ne incarnino le
azioni descritte. La mediazione è espressa nella particolare
attenzione data agli stati mentali degli agenti, che reggono
sia il modello BDI, sia la logica di concatenazione temporale
e ordinamento gerarchico delle unità drammatiche. A loro
volta gli agenti sono sempre legati ai propri obiettivi, e le loro
azioni a questi ultimi. In questo modo l’ontologia coordina
i processi deliberativi con la componente emotiva. Infatti,
le emozioni, seguendo il modello OCC, sono considerate
in una prospettiva cognitiva che le fa scaturire sempre dalla
valutazione dell’agente riguardo una particolare situazione
in cui si trova o che deve affrontare. Drammar propone un
modello di rappresentazione delle emozioni basate sull’agen-
te e i suoi goal, senza però ipotizzare uno schema per la per-
cezione e le emozioni del pubblico. Le azioni degli agenti e
i cambiamenti dei loro stati mentali legano il pubblico alla
narrazione drammatica e costituiscono gli input per una rap-
presentazione cognitiva del cosiddetto personaggio dramma-
tico, ma i personaggi non appaiono come tali nella ontologia,
poiché sono il risultato di quest’ultima in quanto funzioni
drammatiche. Il modello quindi si pone su una traiettoria che
Interactive parte dalla tradizione drammatica (alla cui base resta Aristo-
drama tele), secondo cui la nozione di carattere (ethos) non è pri-
tra videogioco
e teatro mitiva rispetto al concetto di trama (fabula). Anzi, il carattere
è un concetto derivato rispetto alla centralità della trama. I
personaggi derivano dall’interpretazione del livello azionale
del dramma in termini di atteggiamenti mentali degli agen-
ti, in particolare, delle emozioni. In altre parole, Drammar
assume dalla letteratura l’idea che le emozioni dell’agente
abbiano un effetto sul pubblico, ma non intende modellare
questa relazione poiché questo è il territorio dell’artista e
della creazione.

187
Neodrammatico Conclusioni
digitale
Antonio Pizzo

188
Gli esempi che abbiamo riassunto nell’ultimo capitolo rap-
presentano una minima parte della sperimentazione in at-
to, e non possono dar conto della complessità dei percorsi
esistenti. Come abbiamo detto, la ricerca sulla narrazione e
il dramma interattivo è intrecciata a quella sugli agenti intel-
ligenti, il videogioco, gli ambienti immersivi e finanche con
i motori grafici di animazione in tempo reale. Nella mole
pur disorganica di tentativi e sperimentazioni, è possibile
riconoscere un interesse per il dramma. In particolare, è
evidente che quegli elementi strutturali che caratterizzano
la scrittura drammatica (azioni, agenti, conflitti, ecc.) sono
diventati oggetto di ulteriore riflessione in una prospettiva
computazionale.
Vediamo inoltre che le direzioni spesso divergono. I siste-
mi che modulano la drammaturgia come elemento emergen-
te dall’interazione di agenti con un esplicito modello cogni-
tivo e di comportamento, tendono a utilizzare la situazione
drammatizzata per costruire un legame emotivo con lo user
per scopi pedagogici specifici (per esempio il training per
affrontare questioni o situazioni problematiche in ambito
socio-comunitario o professionale).
Conclusioni Quei sistemi che considerano la necessità di una più strut-
turata organizzazione drammaturgica, e quindi si focalizza-
no sulla definizione della storia (sia che assumano la storia
dall’esterno, sia che forniscano gli strumenti di creazione
all’autore), sono più direttamente apparentati all’ambito del
videogioco e mirano a colmare il deficit di comunicazione tra
la ricerca sull’intelligenza artificiale e l’industria d’intratte-
nimento. In questo senso dobbiamo ribadire che il maggior
merito di Façade è di essere, fino a ora, l’unico esempio di
dramma interattivo giocabile. Come nota un intervento nel
congresso AI and Games Symposium del 2009, in cui gli autori
comparavano gli esiti della ricerca sull’intelligenza artificiale
con l’ambito dei videogiochi, esiste una scollatura tra l’ormai
ampia letteratura nel campo delle storie interattive, i nume-
rosi esperimenti di dramma interattivo gestito da procedu-
re computazionali, e la produzione di intrattenimento e/o
artistica che può essere effettivamente fruita dal pubblico.
Sebbene le case di produzione di videogiochi siano sempre
più attente alle tecniche di IA, è altrettanto vero che queste
ultime non sempre sono implementate nei prodotti commer-
ciali. Gli autori sostengono che, probabilmente, ciò è dovuto 189
a una serie di ragioni così riassunte: i computer dei giocatori
sono ancora poco potenti per gestire i processi computazio-
nali necessari; gli sviluppatori di videogiochi non si fidano dei
metodi di intelligenza artificiale e sono più legati a modelli
produttivi che assicurino un risultato commerciale, e le case
di produzione non incoraggiano la ricerca e lo sviluppo che
non siano direttamente spendibili sul mercato. D’altro lato,
la ricerca accademica, anche se ha avuto una influenza sui
prodotti, resta spesso legata all’implementazione specifica in
singole aree d’intervento. In generale sembra esserci un’in-
comprensione tra gli sviluppatori di videogiochi e i ricerca-
tori di intelligenza artificiale; i primi sono legati al prodotto
(senza distinzione per i fondamenti computazionali che lo
realizzano); i secondi sono interessati a questioni di base e
non sono orientati alle richieste dei prodotti1. Ciò detto, gli
esempi che abbiamo elencato fanno emergere una matri-
ce descrittiva di tipo costruttivista, che aggiunge una nuova

1. E.A.A. Gunn, B.G.W. Craenen, E. Hart, A taxonomy of video games and AI cit.,
p. 1.
Neodrammatico prospettiva allo studio di un oggetto culturale complesso e
digitale antico come il dramma.
Antonio Pizzo
Nel discorso, al quale pure abbiamo accennato nel pri-
mo capitolo, sulla specificità del dramma e sui metodi che
definiscono la drammaturgia multimediale, l’influenza della
rappresentazione informatica e algoritmica della conoscenza
apre un orizzonte nel quale s’intravedono interessanti possi-
bilità. Cosa intendiamo con il termine “drammatico” e come
individuiamo e descriviamo la drammaturgia di un testo o
di un evento, resta un problema aperto. Abbiamo visto che
il dramma ha una caratteristica che gli assicura un luogo
autonomo nella letteratura in generale, e mantiene un’im-
prescindibile rapporto con la sua rappresentazione in tempo
reale, in scena. Ciò che abbiamo voluto mettere in evidenza
è che, proprio alla luce degli ultimi esempi, si fa più forte la
nozione di testo drammatico come uno dei possibili modi di
annotazione dell’azione. Più precisamente il dramma può
essere considerato come la più consueta modalità di rappre-
sentazione di comportamenti. In questo senso le battute del
testo appaiono come sintesi codificata di complessi processi
190 deliberativi ed emotivi. Del resto, come si è visto nel terzo
capitolo, esiste una buona parte di letteratura critica (dalla
Poetica fino ai più recenti manuali di drammaturgia per il
cinema) che fanno poco o per nulla riferimento al tipo di
versificazione o prosa da utilizzare se non come necessaria
aderenza all’azione e al personaggio da rappresentare. In
sostanza, il modello di dramma moderno al quale siamo abi-
tuati dal nostro consumo di fiction non ritiene che ci sia una
regola specifica di elaborazione stilistica della battuta (per
esempio: un dato verso, una data prosa, uno specifico uso
dei termini, ecc.) bensì solo una conformità al tipo di even-
to da rappresentare. Le indicazioni riguardano piuttosto il
tipo di azioni da selezionare e il modo in cui devono essere
orchestrate insieme. In altre parole, si tratta di individuare i
comportamenti e articolarli in un processo, cosìcché si indu-
ca un effetto drammatico.
Ecco, quindi, che l’elaborazione di sistemi che sono in
grado di rappresentare ed esprimere questi stessi processi
ma in modo diverso e formalmente meno ambiguo, apre
lo studio a interessanti possibilità. Da un lato emerge una
più precisa influenza del dramma, e della cultura tea­trale in
generale, in ambiti di intrattenimento digitale (dal cinema
Conclusioni interattivo ai videogiochi). Dall’altro può fornire un model-
lo di lettura delle opere in cui, non prescindendo dal pur
necessario atto soggettivo dell’interpretazione, si mettano in
evidenza i valori azionali del testo senza dover far necessaria-
mente riferimento a una proiezione verso la messa in scena,
bensì attenendosi all’enunciato dell’opera. Ciò permette di
individuare e leggere la drammaturgia degli eventi (dal vivo o
rappresentati in qualche medium) marcando un’attenzione
alla lettura delle caratteristiche più individuatamente dram-
matiche prima che di allestimento o messa in scena.

191
Neodrammatico Fonti
digitale
Antonio Pizzo

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Media
Assassin’s Creed. Diretto da Patrice Désilets. Prodotto by Sébastien
Puel. Distribuito da Ubisoft, 2009.
Black and White, Ideato da Peter Molyneux. Distribuito da Electronic
Arts. 2001.
The Gateaway è stato pubblicato da Sony per Playstation2 nel 2002 ed
ha avuto un sequel nel 2004.
Heavy Rain, creato da Quantic Dream nel 2010
Babel. Diretto da Alejandro González Iñárritu. Prodotto da Para-
mount Pictures. 2006.
Neodrammatico Crash. Diretto da Paul Haggis. Prodotto da Bob Yari Productions.
digitale 2004.
Antonio Pizzo
Hamlet. Diretto da Laurence Olivier. Prodotto da Two Cities Films.
Interpretato da Laurence Olivier. 1948.
Hamlet. Diretto da Franco Zeffirelli. Prodotto da Warner Bros, Canal
Plus. Interpretato da Mell Gibson e Helena Bonham Carter. War-
ner Bros, 1990.
Hamlet. Diretto da Kenneth Branagh. Prodotto da Castle Rock Enter-
tainment. Interpretato da Kenneth Branagh e Kate Winslet. Sony
Pictures Entertainment, 1996.
Magnolia. Diretto da Paul Thomas Anderson. Prodotto da New Line
Cinema. 1999.
The Sims. Ideato da Will Wright. Distribuito da Electronic Arts. 2000
poi 2004 (The Sims2) e 2009 (The Sims3).
Spores. Ideato da Will Wright. Distribuito da Electronic Arts. 2008.

212
Neodrammatico Indice dei nomi
digitale
Antonio Pizzo

213
Aarseth, Espen, 51-55, 57, 63, 159 Barthes, Roland, 77
Abelson, Robert P., 136 Bartolucci, Giuseppe, 10
Amaris, Lian, 19 Bates, Joseph, 165
Anderson, Thomas, 126 Baumann, Alain, 18
Antúnez Roca, Marcel·lì, viii, ix, 36- Beckett, Samuel, 67, 76
40, 42 Behrndt, Synne K., 3, 30
Archer, William, 90-92 Belfiore, Elizabeth, 169
Arinbjarnar, Maria, 160, 165, 166 Bentley, Eric, 111
Aristotele, 8, 43-46, 54, 69, 70, 73, 74, Berghaus, Günter, 14
81, 82, 99, 100, 123, 124, 130, 139, Bernardo, Allan B.I., 120
168, 169, 187 Bianconi, Lorenzo, 6
Aronson, Linda, 116 Big Art Group, 25, 26
Auslander, Philip, 24, 25, 49 Birringer, Johannes, 17, 18
Aylett, Ruth, 178 Bleeker, Maaike, 26
Bloom, Harold, 76
Baker, Collin F., 184 Blue Man Group, 19
Balet, Olivier, 177 Blumberg, Bruce M., 126, 160
Balzola, Andrea, viii-xi, 3, 4, 16, 18-21, Bolter, J. David, 21
34, 36, 40, 55, 157 Bordwell, David, 69, 70
Bandettini, Anna, 35 Borelli, Maia, 161
Bandini, Stefania, 180 Borges, Jorge Louis, 48
Barber, Heather, 160, 165 Bradbury, Ray, 47
Barberi, Daniele, 78, 82 Branagh, Kenneth, 143
Barberio Corsetti, Giorgio, 15, 31 Branco, Vasco, 106
Barker, Anthony, 106 Brandt, George W., 4, 90, 91
Barker, Timothy S., 155, 159 Bratman, Michael E., 103
Barry, Barbara, 106 Brecht, Bertolt, 10, 12, 75, 76, 126
Neodrammatico Brontë, Charlotte, 47 Del Favero, Dennis, 155, 159
digitale Brooks, Cleant, 74 Delgado, Maria, 13
Antonio Pizzo Brooks, Kevin, 106 DeMaria, Rusel, 158
Brown, Neil C.M., 155, 159 De Marinis, Marco, 6, 7, 77
Brunetière, Ferdinand, 90, 92, 93 Deriu, Fabrizio, 170
Bruns, John, 126 Devereux, Robert, 85
Builders Association, 15, 25, 27, 29, 30 Diderot, Denis, 68, 83-85, 89, 100
Burril, Alexander, 161, 162 Dixon, Steve, ix-x
Donikian, S., 178
Čajkovskij, Pëtr Il’ič, 9 Donini, Pierluigi, 73, 81, 99, 100, 130,
Capra, Frank, 48 131, 138
Carlson, Marvin, 4, 70, 80, 83, 86, 90 Dukore, Frank, 4, 77, 90
Carroll, Noël, 127-129, 133, 137-139 Durham, Leslie Atkins, 27, 28, 31, 32
Carson, Christie, vii
Cascetta, Annamaria, 6, 9 Eco, Umberto, 77
Casetti, Francesco, 170 Egri, Lajos, 5, 93-96, 111, 116, 118, 119
Cataldi, Mario, 179, 180, 184 Elam, Keir, 4, 7, 60, 69-71, 76, 101, 120,
Cavazza, Marc, 77, 172, 173, 178 162
Charles, Fred, 173 Elisabetta I, 85
Chellas, Brian F., 183 Erlbaum, Lawrence, 136
Chiarini, Paolo, 5, 85 Eschilo, 79
Choi, Sunghyun, 173 Eskelinen, Markku, 159
Ciotti, Fabio, 136 Esslin, Martin, 5, 34, 46, 67
Clore, Gerald L., 104, 122, 145, 183
Coeta, Luisa, 91 Falso Movimento, 15
Cohen, Philip R., 103 Ferry, Luc, 50
214 Cohn, Roy, 128 Field, Syd, 5, 34, 46, 67, 98, 113, 116
Coleridge, Samuel T., 13 Filipe, Joaquim, 183
Collins, Allan, 104, 122, 145, 183 Fillmore, Charles J., 184
Combs, Nathan H., 49 Flaubert, Gustave, 173, 174
Corneille, Pierre, 86 Charles Bovary, 128
Corneille, Thomas, 85 Emma Bovary, 62, 118, 128, 172-174
Couldry, Nick, 27 Forster, Morgan, 58, 60, 61
Craenen, B.C.W., 190 Fossati, Paolo, 20
Craig, Gordon, 10 Fosse, Bob, 61
Crawford, Chris, 54, 55 Fred, Ana, 183
Crisafulli, Fabrizio, 12, 20 Freytag, Gustav, 106, 107, 110-112, 117-
Croce, Benedetto, 76 119, 122, 153
Cruciani, Roberto, 59 Fura dels Baus, 37
Cunningham, Merce, x, 9 Furse, Anna, 33
Currie, Gregory, 77, 78, 128, 137, 153
Gallagher-Ross, Jacob, 26
Damasio, Antonio, Rosa, 104 Galyean, Tinsley Azariah, 156
Damiano, Rossana, xii, 61, 129, 137, Georgeff, M.P., 103
139, 179, 180, 183, 184 Gerrig, Richard J., 120
Dampne, Christiane, 16 Gervás, Pablo, 164
D’Angeli, Concetta, 72 Giannachi, Gabriella, 25
Danziger, Jason, 155 Gibbs, James, 29, 30
D’Aubignac, abate, 83 Gibson, Mel, 143
Davenport, Glorianna, 155, 156 Gigliozzi, Giuseppe, 136
De Filippo, Eduardo, 119 Giovannelli, Alessandro, 129, 131, 132,
Domenico Soriano, 119, 129 138
Filumena Marturano, 118, 128, 129 Glassner, Andrew S., 168, 171
Dehn, Natalie, 165 Göbel, Stefan, 175
DeLahunta, Scott, 174 Goethe, Johann Wolfgang von, 86, 111
Indice Goy, Anna, 102, 163 Kudenko, Daniel, 165
dei nomi Gregor Samsa, 62 Kurosawa, Akira, 48
Greimas, Algirdas Julien, 77, 101 Kushner, Tony, 126
Grilli, Marialuisa, 68
Gruppo OZ, 160 La Bore, Catherine, 177, 178
Grusin, Richard, 21 Lady Gaga, 19
Gullì Publiatti, Paola, 101 Laurel, Brenda, 34, 35, 43, 44, 46, 49,
Gunn, E., 190 51, 53-55, 62-64
Lavandier, Yves, 5, 97, 112
Hagebölling, Heidi, 157, 158 Lavender, Andy, 13
Haggis, Paul, 125 Lebowitz, Michael, 164, 165
Hanjalic, Alan, 173 Leclerc, Yvan, 173
Harrigan, Pat, 164 Lehmann, Hans-Thies, vii, viii, 23, 24,
Hart, E., 190 27, 37, 41, 42, 74, 94, 96, 167
Hatcher, Jeffrey, 59, 98, 112, 113, 116 Leone, Massimo, 102
Hayes-Roth, Barbara, 160, 165 Leskinen, Heikki, 155
Hegel, Georg Wilhelm Friedrich, 87- Lespérance, Luck, 183
89, 117 Lespérance, Sen, 183
Heilman, Robert B., 74 Lesser, Victor, 103
Hiltunen, Ari, 168 Lessing, Gotthold Ephraim, 5, 85, 86,
Honzl, Jindrich, 77 111
Hoppe, Ulrich, 178 Lévy, Pierre, 25
Horswill, Ann, 129 Lienhart, Rainer, 173
Houtman, Coral, 155 Lightwork, 32
Huntley, Chris, 119 Lombardo, Vincenzo, xii, 61, 179, 180,
Huxley, Aldous, 47 183, 184
Lorenz, Ruth M., 155 215
Ibsen, Henrik, 76, 91, 118 Lowe, John B., 184
Nora, 128 Loyall, A. Bryan, 165
Imitating the Dog, 33 Lugrin, Jean-Luc, 172, 173
Iñárritu, Alejandro González, 125 Lukács, György, 91, 99, 100
Isbell, Charles L., 166 Lumière, fratelli, 42
Isherwood, Christopher, 61 Lyotard, Jean-François, 50
Israel, David J., 103
MacEwan, Elias J., 106
Jauss, Hans-Robert, 127 Magli, Patrizia, 101
Jenkins, Harold, 140, 142 Magliano, Anthony, 17
Jennings, Nicholas, 103 Mamet, David, 5, 116
Johnson, W. Lewis, 177, 178 Mancini, Franco, 20
Jones, Henry Arthur, 92, 93 Mango, Lorenzo, 5, 6, 10, 11, 13-15, 20,
Jordan, Ken, x, 34 24, 31, 33, 34, 37, 42, 74
Manovich, Lev, 50, 155, 157, 159
Kander, J., 61 Manzoni, Sara, 180
Kantor, Tadeusz, 9 Marranca, Bonnie, 21, 28
Kay, Judy, 178 Marsella, Stacy C., 177, 178
Kaye, Nick, 25, 29 Marty, Olivier, 177
Kemeny, Tomaso, 101 Masteroff, J., 61
Kent, Steven L., 158 Mateas, Michael, 160, 167-169, 171
Khan, Keith, 27 Mauri, Albert, 37
King, Lucien, 158 Mazali, Tatiana, ix, 6, 42
Kirby, Michael, 41 Mazzocchi, Federica, ix, xii, 3, 6, 42
Kitto, H.D.F., 142, 143 McKee, Robert, 97, 113-116
Klich, Rosemary, 21, 22, 32, 36 Melo, G.D., 184
Konic Thtr, 17, 18, 21 Merker, Nicolao, 87
Kratky, Andreas, 155 Miller, Arthur, 92, 95
Neodrammatico Miller, George A., 184 Planchon, Roger, 10
digitale Miller, Gilbert Heron, 93 Platone, 42, 123, 124
Antonio Pizzo Miller, Heidi R., 29 Ione, 123, 124
Moffat, David, 160, 166 Pollack, Martha E., 103
Mondot, Adrien, 16 Polti, Georges, 78-83, 100, 105, 125
Monteverdi, Anna Maria, ix, x, xi, 18, Ponte di Pino, Oliviero, ix, x
22, 27, 36 Pontremoli, Alessandro, 3, 6
Moor, James H., 49 Pozzato, Maria Pia, 101
Morgan, Jerry L., 103 Prampolini, Enrico, 20
Motiroti, 27, 35 Prasad, Anand R., 173
Müller, Jürgen E., 170 Prono, Franco, ix
Murray, Janet H., 34, 35, 46-51, 55, 56, Propp, Vladimir Jakovlevič, 77
62, 63, 161, 163, 164
Murtaugh, Michael Luke, 156 Ramis, Harold, 48
Rao, Anand S., 103, 173
Nain, Delphine, 126, 160 Reale, Giovanni, 124
Nass, Clifford Ivar, 46 Reed Doob, Penelope, 52
Negroponte, Nicholas, 44 Reeves, Byron, 46
Newman, Ira, 138 Réty, Jean-Hugues, 177
Nicoll, Allardyce, 71 Riedl, Mark O., 121
Nilsen, Don L.F., 49 Roberts, David L., 166
Nilsen, Allen Pace, 49, 61, 116 Romano, Daniela, 160, 166
Noro, Satchie, 16 Rosa, Paolo, 4, 16, 18, 40, 55, 157
Rosenberg, Marvin, 141
Olivier, Laurence, 143 Rotman, Brian, 26
Olle, Alex, 37 Rousseau, Daniel, 165
216 Olson, Elder, 67, 105, 111, 120, 122, Ryan, Marie-Laure, 56-58, 62-64, 72,
123 159, 161, 171
Omero, 124 Ryngaert, Jean-Pierre, 98, 101, 102
Ong, Walter, 27
Ortony, Andrew, 104, 122, 145, 183 Saarinen, Leena, 156
Ovidio Nasone, Publio, 100 Saltz, David Z., ix
Sanchez, Rosa, 18
Packer, Randall, x, 34 Sapienza, Annamaria, 31
Paiva, Ana, 173, 178 Sarcey, Francisque, 80
Parker-Starbuck, Jennifer, 27 Savarese, Nicola, 161
Pavis, Patrice, 11, 127, 137 Schank, Roger C., 136
Pease, A., 184 Schechner, Richard, 29, 30
Peck, Gregory, 119 Scheer, Edward, 21, 22, 32, 36
Atticus, 119 Schelling, Friedrich, 86
Peja, Laura, 6, 9 Schiller, Friedrich, 86, 87, 111
Perrelli, Franco, 4 Schino, Mirella, 4
Petipa, Marius, 9 Scout (Mary Badman), 119
Pfister, Manfred, 6-8, 58, 59, 61, 69, Seger, Linda, 98
111, 114, 115, 125 Segre, Cesare, 69
Phillips, Melanie Anne, 119 Senger, Phoebe, 122
Pias, Claus, 158 Sequeira, Pedro, 178
Picon-Valin, Béatrice, viii, ix Serpieri, Alessandro, 101
Pirandello, Luigi, 36, 38, 76, 126 Shakespeare, William, 67, 69, 76, 79,
Pirrone, Roberto, 184 100, 106, 108, 128, 139-142, 186
Pitozzi, Enrico, viii, 24 Amleto, 35, 47, 49, 50, 62, 65, 76,
Pizzi, David, 77, 172, 173 108-110, 117, 139, 140-153
Pizzo, Antonio, ix, 6, 26, 31, 32, 42, 49, Claudio, 141, 144
62, 129, 137, 139, 154, 160, 165, Giulietta, 66, 106, 117, 120
180, 184 Mercuzio, 183
Indice Ofelia, 108-110, 140, 142-153 Tomlinson, Bill, 126, 160
dei nomi Polonio, 141, 142 Tonucci, Giulia, 24
Romeo, 66, 106, 117, 120, 183, 186 Torguet, Patrice, 177
Tebaldo, 183, 186 Torre, Ilaria, 102, 163
Sharp, Bernadette, 183 Truffaut, François, 47
Shaw, George Bernard, 90, 156 Tuomola, Mika, 155, 156
Sheer, Edward, 21 Turner, Cathy, 3, 30
Smith, Greg M., 117, 120, 132-136, 138
Societas Raffaello Sanzio, 9 Vala, Marco, 178
Socrate, 123, 124 Valentini, Valentina, viii
Sofocle, 111 Valgimigli, Manara, 131
Edipo, 62, 128, 139 Van der Hoek, Kaminka, 183
Sorbello, Filippo, 184 Van Druten, J., 61
Souriau, Etienne, 101 Verde, Giacomo, 34
Spencer, Stuart, 75, 95, 98, 114, 116, Vicentini, Claudio, xii, 123
128 Vilà Barceló, Pere, 37
Sprague, Arthur Colby, 141 Virtual Theatre, 62, 160, 165
Stanlio e Ollio, 126 Volpini, Letizia, 98
Stelarc (Stelios Arkadiou), x
Stern, Andrew, 158, 167, 168, 171 Wardrip-Fruin, Noah, 164, 167
Strindberg, August, 91 Weems, Philippa, 27, 28, 30
Studio Azzurro, 31 Wehle, Philippa, 30
Styan, John L., 74, 111, 112, 169 Weibe, Peter, 156
Subsol, Gérard, 177, 180 Weizenbaum, Joseph, 49
Suchanek, F., 184 Wickstrom, Maurya, 29
Sussman, Mark J., 27 Wilson, Dover, x, 21, 142, 158
Svich, Caridad, 13 Wooldridge, Michael J., 103, 160 217
Sweet, Jeffrey, 97, 112 Wooster Group, X, 21
Synthetic Characters Group, 126, 160
Szilas, Nicolas, 174, 175, 176, 177 Young, R. Michael, 121
Szondi, Peter, 7, 67, 69
Zagalo, Nelson, 106
Terenzio Afro, Publio, 86 Zaidi, Ali. 27, 32, 35
Thalhofer, Florian, 155 Zarrilli, Phillip B., 41
Thompson, Kristin, 69, 70 Zeffirelli, Franco, 143
Ticconi, Luca, 157 Zemeckis, Robert, 48
Tierno, Michael, 168
Neodrammatico Antonio

Neodrammatico digitale
«Mimesis Journal» non è soltan- Le opere drammatiche ci hanno emo-
to il titolo di una rivista, è anche il digitale. Pizzo zionato per secoli con una miriade di
nome di un progetto che riunisce Scena storie e personaggi. Il loro modo spe-
autori di diversi paesi e generazioni multimediale ciale di tessere i racconti, anche al di
interessati all’oggi del teatro e delle e racconto là della verosimiglianza, usando ogni
arti sceniche – ovvero un plesso che intreccio possibile di parole e azioni,
comprende tutto il xx secolo, oltre interattivo ragioni e sentimenti, per indurci a pen-
alle ricerche e alle teoresi più avanza- sare che sempre fossero anche un po’
te del presente – in una prospettiva i nostri, è ancora attuale e si espande
multidisciplinare, interdisciplinare e ben al di fuori dei confini del teatro.
transdisciplinare, dunque non esclu- Perlustrando questi confini, il volume
sivamente storiografica ma piuttosto propone una ricognizione sul tema
fenomenologica. della drammaturgia alla luce dell’evo-
Questo è il terzo volume della colla- luzione dei linguaggi informatici e
na, altri ne sono in preparazione, su delle tecnologie digitali negli ultimi
Carmelo Bene e su Martin Buber. tre decenni. In particolare, il saggio

aA
analizza alcune nozioni chiave della
scrittura drammatica e guida il lettore
in un percorso tra la scrittura scenica
multimediale e la drammaturgia delle
aA aAaAaAaAaAaAaAaA ccademia procedure algoritmiche. La dramma- aA
university turgia, intesa come arte di progettare
aAccademia University Press press e scrivere lo spettacolo, non è immune
dai cambiamenti causati nel mondo
della comunicazione dall’affermazio-
ne dei nuovi media digitali e interattivi.
Il saggio individua i punti fondamenta-
li di questa contaminazione, accompa-
gnando gli elementi teorici con moltis-
simi esempi pratici.

Antonio Pizzo
€ 5,00

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