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La Fenomenologia dello Spirito aveva visto la storia romanzata dello Spirito mentre
con la filosofia dello Spirito, Hegel analizza le strutture dello Spirito stesso. La prima
dimensione dello Spirito è quella soggettiva, lo spirito del soggetto. Lo Spirito è
qualcosa che è, siamo noi con la nostra capacità di pensare, provare emozioni,
soffrire, gioire, la coscienza di noi stessi e la coscienza del mondo, lo Spirito si
incarna in ogni soggetto. Lo Spirito soggettivo si divide in: antropologia,
fenomenologia, psicologia. L’essenza dello spirito soggettivo è la volontà di libertà.
Ogni spirito soggettivo per essere tale deve essere libero, perché attraverso questa
libertà lo spirito cerca di essere sé stesso e relazionarsi alla realtà per la propria
realizzazione. Persino alla base di una persona che, per carattere si sottomette sempre
agli altri, c’è sempre la volontà di libertà. Se obblighiamo una persona che vuole
sottomettersi agli altri nelle scelte a prendere una scelta in prima persona, questa
persona si arrabbia, perché stiamo limitando la sua libertà di non essere libera. La
libertà è ciò che caratterizza noi stessi, lo spirito soggettivo. Come si realizza la
volontà di libertà dello Spirito soggettivo? In quanto tale, questa libertà non ha limiti.
Nel proprio non avere limiti, lo spirito soggettivo passa ad essere spirito oggettivo.
Nel momento in cui voglio essere libero, voglio esserlo e fare qualsiasi cosa.
Andiamo a fare shopping, si può considerare un’esperienza frustrante. Vedo un
vestito che sarebbe piaciuto tanto voler comprare, ma non posso. Sono limitato nella
mia volontà di libertà da fattori economici … Cosa faccio io? Entro nel negozio, me
lo prendo e me ne vado via ? Questa sarebbe la logica realizzazione della volontà di
libertà dello spirito soggettivo. Affinché io possa essere così, devo limitare la libertà
dell’altro, il proprietario di quell’oggetto che me lo può tranquillamente dare, ma
dietro una qualsiasi forma di pagamento. La volontà di libertà diventa tale se non lo è
più, se viene limitata dalla legge. Soltanto la legge riesce ad assicurare la volontà di
libertà di tutti. Abbiamo una tesi e un’antitesi. Lo spirito oggettiva si incarna nel
diritto, nella moralità e nell’eticità. Lo spirito oggettivo si contrappone allo spirito
soggettivo e il concetto di Aufhebung, cioè di superare, ma conservare lo vediamo in
opera anche qui. Effettivamente sono libero di affermare la mia volontà, ma questa
mia volontà di libertà è confermata solo attraverso il rispetto della volontà di libertà
degli altri, altrimenti non ci sarebbe modo di realizzare la volontà di libertà. Lo
spirito soggettivo si realizza soltanto nel momento in cui viene negato dalla legge. Il
diritto astratto (astrarre, tirare fuori dalla realtà, la legge in quanto tale, nel suo
aspetto formale) si definisce astratto perché è formale, sono le leggi che a prescindere
dalle situazioni concrete, riescono ad individuare delle forme applicabili a qualsiasi
caso della realtà concreta. Lo spirito soggettivo lo si nega attraverso 3 elementi che
formano il diritto astratto. Il fondamento del diritto astratto è la proprietà, la sfera
esterna, sfera materiale nell’ambito della quale prende concretezza la volontà di
libertà del soggetto. Se voglio qualcosa, me la creo, la ottengo in qualche modo con il
mio impegno personale e ne divengo il proprietario. La proprietà è il riconoscimento,
attraverso la legge, della sfera esterna in cui si va a concretizzare la volontà di libertà.
La proprietà deve essere negata da un’antitesi. La negazione della proprietà avviene
nella vendita di qualcosa, nel passaggio della proprietà da un individuo ad un altro.
Nel furto, avviene perché prendo qualcosa dell’altro e me la porto a casa. Ciò è
contrario alla legge che si base sul riconoscimento del diritto alla proprietà
dell’individuo. Dovrò arrivare ad un contratto, ciò che nell’ambito del diritto astratto
consente la negazione della proprietà. Posso prendermi tranquillamente la torta che
vedo in una pasticceria che non è stata fatta da me, non ne sono il proprietario, ma per
farlo devo stabilire un contratto, cioè vedere quanto costa, uscire i soldi, darli e il
negoziante incarta la torta e mi dà lo scontrino, prova del fatto che si sia realizzata
una transazione sulla base di un contratto. L’essenza del diritto astratto, il punto di
partenza, la proprietà, non può rimanere tale, deve essere negata, perché altrimenti
ognuno di noi fa una cosa e tutti rimaniamo fermi. Mi faccio una torta, me la mangio
o me la tengo. Non c’è libertà di potersi scambiare le cose e, quindi, dare maggiore
concretezza al diritto alla proprietà. Nel momento in cui violo il contratto, pago il
torto e la pena. Se nella pasticceria, prendo la torta e scappo, vengo inseguito, mi
acchiappano e, sulla base del torto, cioè la negazione del contratto, devo scontare una
pena. Una volta che ho scontato la pena, sono una persona nuovamente libera e
inserita nel contesto civile. C’è una riaffermazione del diritto che passa attraverso una
punizione, però una volta che ho onorato il mio errore con lo scontare la pena, sono
di nuovo libero. Il problema è che posso andare in carcere, scontare l’anno di
reclusione, una volta che esco come si fa ad essere sicuri una volta uscito che io abbia
capito dentro di me di aver sbagliato ed essermi realmente pentito? La pena può
riequilibrare il diritto, dopo il torto, ma può farlo solo su un piano oggettivo. Invece
io sono un essere umano, dotato di spirito e posso tranquillamente pentito. La pena
non ha raggiunto l’effettivo riequilibrio della giustizia. La legge, in quanto semplice
legge, non basta a fare in modo che lo spirito divenga reale. Ci vuole la negazione di
questo piano oggettivo. Si passa alla moralità. La moralità è la sfera della volontà
soggettiva, quale si manifesta nell’azione. Nella moralità, noi riconosciamo con il
proponimento quello che noi vogliamo affermare, le nostre azioni, come nostre. La
coscienza del proponimento è l’intenzione: capisco quello che ho fatto. Considero il
furto nella sfera della moralità e capisco che sono stato responsabile dell’azione, l’ho
voluta io e ho commesso l’atto, contrario a una affermazione del bene in sé e per sé.
Alla fine dei conti, mi accorgo che ho sbagliato. Questa è l’essenza della moralità,
accorgersi di aver sbagliato. Ce ne accorgiamo grazie al proponimento, all’intenzione
e al bene in sé per sé. Mi accorgo che sono l’autore, il responsabile di quello che ho
fatto. Io ho inteso fare qualcosa, ma questo qualcosa che ho inteso fare non è giusto,
non riconosce il bene che, in quanto tale, deve essere assoluto. Anche questo non
costituisce un punto di arrivo: siamo ancora in una fase in cui posso imporre a me
stesso un controllo su ciò che io faccio. Per cui, posso non fare un’azione cattiva,
capire benissimo che il furto è un’azione ingiusta, però sotto sotto nella mia
soggettività voglio commettere il furto. C’è il fatto che non rubo perché faccio
violenza a me stesso, dopo essermi controllato. Non sono io, in quanto tale, il bene in
sé e per sé che si realizza nella realtà. Sono un essere capace di riconoscere tutto
quanto questo, ma non di volerlo effettivamente, perché sono un essere che fa la
distinzione tra ciò che è e ciò che deve essere. Ciò che è è che io nella mia
soggettività vorrei ancora rubare, ma capisco perfettamente e mi comporto di
conseguenza che ciò non può essere giusto e dunque mi impongo un dover essere. La
fine della morale kantiana è questa: una frattura tra l’essere e il dover essere. Ci
forziamo a essere in un modo in cui dobbiamo essere, ma noi in realtà siamo diversi.
Il bene in sé e per sé non può prendere concretezza in un individuo. La morale di
Kant è una morale del dover essere, l’imperativo categorico di Kant.
Schopenhauer
Schopenhauer nacque a Danzica, una ridente cittadina della Polonia nel 1778 e morì
nel 1860. La madre era una scrittrice abbastanza famosa. Ebbe un rapporto
tormentato con la madre. Insegnò a Berlino. La sua filosofia non ebbe un grande
successo durante la vita, ma riscosse un successo tardivo. Schopenhauer critica
aspramente Hegel. Le 2 opere principali sono: Il mondo come libertà e
rappresentazione, Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente,
un’opera in cui Schopenhauer analizza le implicazioni del principio di ragion
sufficiente. Schopenhauer fa riferimento a 2 scuole filosofiche: il kantismo. Nella
Critica della Ragion Pura, Kant ci avvertì che noi abbiamo degli strumenti per poter
pensare la realtà: per la sensibilità, sono spazio e tempo; per l’intelletto, le 12
categorie, tra cui spiccava il principio di causalità. Schopenhauer riprende il concetto
di strutture a priori della nostra conoscenza, che ci permettono di capire la realtà, in
quanto fenomeno, però non possono essere superate. Kant parla di strutture a priori e
di impossibilità di conoscere la realtà assoluta. Noi conosciamo il fenomeno, ma mai
il noumeno, la cosa in sé. Vediamo dei fenomeni, non ciò che veramente è. Sono
come gli occhiali che mettiamo, che ci permettono di vedere la realtà. Allo stesso, se
li togliamo, non vediamo nulla, ma indossandoli, guardando la realtà, la distorcono.
Sono degli occhiali colorati che mi permettono di vedere che davanti a me c’è un
qualcosa, ma essendo colorati non potrò mai vedere com’è ciò che vedo. La mia
percezione sarà distorta dalla colorazione degli occhiali. Gli occhiali e la loro
colorazione sono spazio, tempo e il principio di causalità. Non posso immaginare di
aver conosciuto una cosa che possa esistere al di là dello scorrere del tempo o
dell’estendersi dello spazio. Ci sarà qualcosa, sia nel tempo, sia nello spazio. Le cose
nascono e muoiono, ma non posso concepire la possibilità che lo spazio finisca o
inizi, perché se inizia da un punto, da cosa è occupata l’assenza dello spazio da cui
quel punto dove inizia lo spazio ha origine. Posso morire, ma non posso immaginare
che poi finisca il mondo. Tra 5 mld di anni, scoppierà la Terra e il Sistema Solare, ma
la realtà continuerà ad essere. Il secondo riferimento è la filosofia indiana, tramandata
nei libri dei Veda. Schopenhauer è il primo filosofo occidentale a prendere in serie
considerazione, ad usare e ragionare, mutuare nella propria filosofia la tradizione
della filosofia indiana. Il velo ingannatore del fenomeno. Con Kant abbiamo detto
che quella che definiamo come realtà è un fenomeno, ciò che veramente è non è mai
raggiungibile dall’uomo. Vediamo fenomeni, li colleghiamo tra di loro, ma il
noumeno, la cosa in sé, la verità assoluta, non la possiamo conoscere perché siamo
costretti a ragionare in termini di tempo, spazio e causalità. Non possiamo scoprire la
causa che dà origine a tutto, ma non è causata da niente. La realtà ci è sempre
nascosta nella verità assoluta. Ci appare come un fenomeno. Questo concetto è tratto
dalla tradizione orientale: il velo di Maya. Il velo di Maya era un velo ingannatore, ti
fa apparire le cose, ma allo stesso tempo le nasconde. Il velo non occulta, perché
posso vedere qualcosa. Una persona ricoperta da un velo posso vedere quant’è alta, se
è robusta o magra. Non la riconosco se il giorno dopo la vedo senza velo. Il velo fa
vedere, ma nasconde nella sua essenza. Il velo di Maya è il concetto che esprime
cos’è il fenomeno. Il fenomeno è qualcosa di reale, di pensabile, sperimentabile, ma
non consiste nell’essenza della cosa. La sua opera principale è Il mondo come volontà
e rappresentazione. Abbiamo 3 parole fondamentali: mondo, volontà e
rappresentazione. Il mondo è ciò che ci circonda, la realtà. Ciò che esiste fuori di noi
esiste oggettivamente. Facciamo attenzione a non sbattere contro ad un muro, a
bruciarci … Il mondo ci condiziona oggettivamente. Sono soggetto determinato da un
oggetto, dal mondo che mi circonda. Oggettivamente, esiste solo un Sole. Esistono
tanti Soli per quanti sono i soggetti che lo pensano. È vera questa affermazione,
perché nessuno potrebbe mai dire nulla del Sole che non obbedisca alla legge che è
implicita in questa mia osservazione. Il mondo è sempre una nostra soggettiva
rappresentazione. È vero che il Sole è unico, ma è anche vero che per parlare del Sole
ci deve essere un soggetto. Ogni soggetto parlerà del Sole in maniera diversa, non
esiste un qualcosa di uniforme. Il pensiero di qualcosa di oggettivo è sempre
soggettivo, poiché rappresentazione del soggetto. Il Sole è unico, ma il pensiero che
noi abbiamo è soggettivo, è la nostra rappresentazione del Sole. Persino ciò che
percepiamo materialmente del Sole non è uguale. Ogni cosa che pensiamo
dell’oggetto che appartiene al mondo che ci circonda è sempre soggettivo, è sempre
una nostra rappresentazione. Il mondo come volontà: con Kant, rappresentiamo le
cose che ci circondano, cercando delle ragioni nello spazio e nel tempo. Abbiamo
spazio e tempo per la sensibilità, 12 categorie per ciò che concerne l’intelletto. Mi
rappresento la realtà oggettiva, descrivendo ciò che accade nello spazio e nel tempo,
secondo il principio di casualità. 2 atomi di idrogeno e 1 di ossigeno si sono uniti. Lo
dico, perché nel tempo e nello spazio li ho visti separati e poi uniti. Mi sono spiegato
che si sono uniti per una causa, perché hanno condiviso i loro orbitali sui quali
ruotano gli elettroni intorno al nucleo e, quindi, gli atomi hanno formato una
molecola. Sarebbe possibile che gli atomi non si uniscano? Dato che si sono uniti,
non era possibile. Siamo deterministi, ragioniamo con il principio di ragion
sufficiente. 2 atomi di idrogeno e 1 di ossigeno prima erano separati, poi si sono uniti,
hanno condiviso gli elettroni e hanno formato una molecola. Tutto ciò che è deve per
forza essere. Tutto ciò che è razionale è reale, e tutto ciò che è reale è razionale. I 3
atomi si sono uniti, perché si sono uniti per forza. Ciò che ha spinto i 3 atomi ad
unirsi è stata una legge. La legge esprime una volontà capace di realizzarsi. Le leggi
della natura sono volontà che coincide con il potere. Volere è potere, non sempre per
noi, ma per la natura volere è potere. Ciò è confermato dalla coincidenza del reale
con il razionale. Una cosa è perché deve essere. Le leggi che spiegano il perché una
cosa diviene in un modo, anziché in un altro, esprimono la volontà della natura, si
intende obbligo di essere in un modo che si realizza, la cui forza è testimoniata dal
fatto che poi si è realizzata. La volontà del mondo è il fatto che vi sono delle leggi
oggettive che fanno sì che il mondo diventi per come deve per forza essere. Gli atomi
di idrogeno ed ossigeno obbediscono ad una volontà cosmica, che è alla base di
qualcosa che può essere. La loro volontà non coincide con la libertà, coincide con un
essere determinati a divenire in una certa maniera. Gli atomi si legano perché la loro
volontà coincide con le leggi cosmiche, determinanti, per cui il razionale diviene
reale. Il reale è pensabile in quanto razionale. L’uomo si pone il problema
dell’esistenza della volontà cosmica. Perché io, essere umano, mangio e bevo? Perché
voglio interferire con una volontà cosmica, con i quali faccio i conti per poter vivere.
Se non mangio e bevo o non mi muovo cercando le leggi della natura, io non
continuo ad essere. L’uomo, per la coscienza del proprio essere, ha a disposizione la
possibilità di continuare ad essere. La nostra volontà è la conoscenza della volontà
cosmica, la conoscenza della natura con la scienza, i desideri. Io voglio bere, perché
altrimenti non continuo ad essere. L’essenza della soggettività non è soltanto il fatto
che il mondo è una mia rappresentazione, ma che il mondo nel suo essere è volontà e
che il soggetto è caratterizzato dal rappresentare il mondo, anche dalla volontà di
vivere. Bere, camminare sono espressioni della volontà di vivere in quanto
conoscenza del mondo che serve per continuare ad essere. La natura continua ad
essere per come è determinata dalla leggi della natura, che non conosciamo e non
potremo mai conoscere. Noi possiamo continuare ad essere solo se interpretiamo
questa volontà della natura, perché noi siamo dei soggetti che vogliono essere. La
volontà della natura è oggettiva, mentre con l’uomo si parla di volontà soggettiva. La
volontà dell’essere della natura consiste nelle leggi inesorabili della natura che non
possiamo padroneggiare, e la volontà soggettiva.
ottimismo cosmico: la legge della natura, che dice alla realtà come e perché deve
essere, l’umanità si illude derivi da Dio. Dio è ciò che consente di giudicare il
dolore reale come apparenza ed eliminabile dalla Grazia di Dio. Dio è la ragione
sufficiente di tutto ciò che esiste e, in quanto buono, elimina il nostro dolore.
Schopenhauer sostiene le tesi di Feuerbach circa la religione: Dio è un’illusione
attraverso la quale l’uomo tenta di sfuggire al dolore della propria essenza;
ottimismo sociale: la lotta di tutti contro tutti, anche tra le persone. È falso pensare
che la nostra esperienza insieme agli altri ci possa portare ad una riflessione
capace di farci diventare più buoni. Noi, vivendo con gli altri, siamo egoisti. Non
riusciamo a superare l’egoismo. Siamo naturalmente egoisti;
ottimismo storica: la Storia ha consentito all’uomo di superare i propri difetti,
migliorare la propria condizione. La Storia è una linea che va avanti nel tempo,
nel senso del progresso. Schopenhauer dice no. Di solito, pensiamo che gli uomini
primitivi erano malvagi, la loro società era avvezza alla guerra. Questo è falso. Le
società primitive potevano essere pacifiche. Nelle nostre società industriali, il
livello di violenza che si produce è > rispetto a quello delle società arretrate.
Friedrich Nietzsche was born in 1844 in a quiet village in the eastern part of Germany
where his father was the priest. He did exceptionally well at school and university
and so excelled at Ancient Greek that he was made a professor at the University of
Basel when still only in his mid – twenties. His official career didn’t work out. He got
fed up with his fellow academics, gave up his job and moved to Sills Maria in the
Swiss Alps, where he lived quietly, working on his masterpieces. Among them, the
Birth of tragedy, All too Human, The Gay Science, Thus Spoke Zarathustra, Beyond
Good and Evil, On the Genealogy of Morals. He had lots of problem: he didn’t get on
with his family; women kept rejecting him; his book didn’t sell and when he was only
44, he had a mental breakdown, precipitated when he was a horse in a Turin street
being beaten by its driver and ran over to embrace him shouting “I understand you”.
He never recovered and died eleven years later. His philosophy was full of heroism
and grandeur. He was the prophet of what he called: Selbstuberwindung (the process
of self – overcoming), the process by which a great – soulded person, what he called
ubermensch, rises above their circumstances and difficulties to embrace whatever life
throws at them. He wanted his work to teach us “how to become who we really are”.
His thought centers around 4 main recommendations:
1. own up to envy (inc. Envy is a big part of life. Yet the lingering effects of
Christianity teaches to be feel ashamed of (vergognarsi) our envious feeling.
They seem an indications of evil. We hide them from ourselves and others.
There’s nothing wrong with envy, so long as we use it as a guide to what we
really want. Every person who makes us envious should be seen as an
indication of what we could one day become. The envy –inducting writer,
tycoon or chef is hinting at who you are capable of one day being. Nietzsche
insisted that we must face up to our true desires, put up a heroic fight to honour
them, and then mourn failure with solemn dignity. That is what it means to be
an Ubermensch;
2. don’t be a Christian. Nietzsche had some extreme things to say about
Christianity. “In the entire New Testament, there is only person worth
respecting: Pilate, the Roman governor”. Nietzsche resented Christianity from
protecting people from their envy. Christianity had in Nietzsche’s account
emerged in the late Roman Empire, in the minds of timid slaves, who had
lacked the stomach to get hold of what they really wanted and so had clung a
philosophy that made a virtue of their cowardice. He called this Sklavenmoral.
Christians, whom he rather rudely termed Die Heerde, the herd – had wished to
enjoy the real ingredients of fulfilment (a position in the world, sex, intellectual
mastery, creativity) but had been too inept to get them. They had therefore
fashioned a hypocritical creed denouncing what they wanted but were too
weak to fight for while praising what they did not want but happened to have.
So, in the Christian value system, sexlessness turned into purity, weakness
became goodness, submission – to – people – one – hates became obedience
and, in Nietzsche phrase, “Not – being- able – to – take – revenge, turned into
forgiveness. Christianity amounted to a giant machine for bitter denial.
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