Sei sulla pagina 1di 149

Wikiquote

Arthur
Schopenhauer
Filosofo tedesco

Arthur Schopenhauer

Arthur Schopenhauer (1788 – 1860),


filosofo tedesco.
Citazioni di Arthur
Schopenhauer
Chi è amico di tutti non è amico di
nessuno.[1]
È certo che un uomo può fare ciò che
vuole, ma non può volere che ciò che
vuole.[2]
Il bramanesimo e il buddismo, fedeli
alla verità, riconoscono decisamente la
palese parentela dell'uomo, come in
generale con l'intera natura, così
anzitutto con la natura animale e,
mediante la metempsicosi e in altri
modi, rappresentano l'essere umano
come collegato strettamente con il
mondo degli animali.[3]
In India, le nostre religioni non
attecchiranno mai; l'antica saggezza
della razza umana non sarà oscurata
dagli eventi in Galilea. Al contrario, la
saggezza indiana fluirà indietro verso
l'Europa, e produrrà cambiamenti
fondamentali nel nostro pensiero e
nelle nostre conoscenze.[4]
L'Eldorado è sulla terra. Con l'Italia si
vive come con un'amante, oggi in
furibondo litigio, domani in adorazione;
con la Germania invece come con una
donna di casa, senza grosse
arrabbiature ma senza grande
amore.[5]
L'uomo è per sua natura incline a
refuggire dal dolore, e pertanto si
sposta verso situazioni più serene.[6]
La soddisfazione dell'istinto sessuale è
in sé assolutamente riprovevole, in
quanto è la più forte affermazione
della vita. Ciò vale sia nel matrimonio
che al di fuori di esso. Ma il secondo
caso è doppiamente riprovevole, in
quanto è al tempo stesso negazione
dell'altrui volontà: alla ragazza infatti
ne deriverà direttamente o
indirettamente sventura; e l'uomo
dunque soddisfa la sua voglia a spese
della felicità di altri.[7]
Le Upaniṣad sono state la
consolazione della mia vita, e saranno
la consolazione della mia morte.[8]
Ma nulla si conosce interamente
finché non vi si è girato tutt'attorno per
arrivare al medesimo punto
provenendo dalla parte opposta.[9]
Non ho ancora detto la mia ultima
parola sulle donne: credo che, se una
donna riesce a sottrarsi alla massa, e
quindi a sollevarsi al di sopra di essa, è
destinata a crescere continuamente,
molto più di un uomo.[10]
Prima di bruciare vivo Vanini, un
pensatore acuto e profondo, gli
strapparono la lingua, con la quale,
dicevano, aveva bestemmiato Dio.
Confesso che, quando leggo cose del
genere, mi vien voglia di bestemmiare
quel dio.[11]
Quando uno comincia a parlare di Dio,
io non so di cosa parli, infatti le
religioni, tutte, sono prodotti
artificiali.[12]
Se noi potessimo mai non essere, già
adesso non saremmo. La prova più
certa della nostra immortalità è il fatto
che noi ora siamo. Perché ciò dimostra
che su di noi il tempo non può nulla: in
quanto è già trascorso un tempo
infinito. È del tutto impensabile che
qualcosa che è esistito una volta, per
un momento, con tutta la forza della
realtà, dopo un tempo infinito possa
non esistere: la contraddizione è
troppo grossa. Su questo si fondano la
dottrina cristiana del ritorno di tutte le
cose, quella induista della creazione
del mondo che si ripete continuamente
a opera di Brahma, e dogmi analoghi di
Platone e altri filosofi.[13]
Tutta la mia filosofia si lascia
riassumere in una frase: il mondo è la
volontà che conosce se stessa.[14]

Attribuite

Chi non ha tenuto con sé un cane, non


sa cosa sia amare ed essere amato.[15]
[Citazione errata] La citazione viene
spesso attribuita a Schopenhauer,
tuttavia quando il filosofo riporta la
frase nell'opera Parerga e paralipomena
cita esplicitamente lo scrittore
spagnolo Mariano José de Larra e, in
particolar modo, l'opera El doncel de
Don Enrique el doliente.[16]
Dall'albero del silenzio pende il suo
frutto, la pace. (da Aforismi sulla
saggezza del vivere[17])
In realtà, come indicato da
Schopenhauer stesso, si tratta di una
massima araba poco nota.

Aforismi sulla saggezza del


vivere
Incipit

Aristotele (Etica a Nicomaco, I, 8) ha


diviso i beni della vita umana in tre classi:
beni esteriori, dell'anima e del corpo. Non
conservando che la divisione in tre io
dico che ciò che distingue le sorti dei
mortali può essere ridotto a tre
condizioni fondamentali. Esse sono:
1.° Ciò che si è: dunque la personalità nel
suo senso più lato. Per conseguenza qui
si comprende la salute, la forza, la
bellezza, il temperamento, il carattere
morale, l'intelligenza ed il suo sviluppo.
2.° Ciò che si ha: dunque proprietà e
ricchezza d'ogni natura.
3.° Ciò che si rappresenta: è noto che con
questa espressione s'intende la maniera
colla quale altri si figura un individuo,
quindi ciò che questi è nell'altrui
rappresentazione. Tutto ciò consiste
dunque nell'opinione altrui a suo
riguardo, e si divide in onore, grado e
gloria.

Citazioni

I veri vantaggi personali, quali una gran


mente o un gran cuore, sono in
rapporto ad ogni vantaggio di grado, di
nascita, pur anche regale, di ricchezza,
ecc., ciò che i re veri sono rispetto ai re
sul teatro. (p. 7)
[...] le medesime circostanze, i
medesimi avvenimenti esterni
impressionano ogni individuo in modo
affatto differente, e, quantunque tutti
siano posti nello stesso mezzo,
ognuno vive in un mondo differente. (p.
7)
È dunque facile veder chiaramente
quanto la nostra felicità dipenda da ciò
che siamo, dalla nostra individualità,
mentre non si tiene conto il più delle
volte che di ciò che abbiamo o di ciò
che rappresentiamo. (p. 9)
La salute sopratutto prevale talmente
sui beni esteriori che in verità un
mendicante sano è più felice di un re
malato. (p. 9)
[...] la sorte può cangiare, ma la nostra
propria qualità è immutabile. (p. 12)
[...] chi vede tutto nero, chi teme
sempre il peggio e prende le sue
misure in conseguenza, non avrà
delusioni così frequenti come colui che
dà colore e prospettiva ridente ad ogni
cosa. (p. 14)
È certo che l'uomo il più sano, e
fors'anco il più gaio, potrà, capitando il
caso, determinarsi al suicidio; ciò
succederà quando l'intensità dei dolori
o d'una sventura prossima ed
inevitabile sarà più forte dei terrori
della morte. (p. 15)
La bellezza è una lettera aperta di
raccomandazione che ci guadagna i
cuori anticipatamente; [...]. (p. 15)
[...] esteriormente il bisogno e la
privazione generano il dolore; per
contraccambio, gli agi e l'abbondanza
fanno nascere la noia. (p. 15)
Infatti una mente ottusa è sempre
accompagnata da impressioni
grossolane e da una certa mancanza
d'irritabilità. (p. 15)
Ah! se la qualità della società potesse
esser surrogata dalla quantità,
varrebbe la pena di vivere pur anche
nel gran mondo; ma, pur troppo, cento
pazzi messi in mucchio non fanno un
uomo ragionevole. (p. 16)
L'uomo volgare non si preoccupa che
di passare il tempo, l'uomo di talento
che d'impiegarlo. (p. 17)
Ciò che un individuo può essere per un
altro è molto strettamente limitato;
ciascuno finisce col restar solo, [...]. (p.
18)
La mancanza di beni a cui un uomo
non ha mai sognato d'aspirare, non
può affatto privarlo di qualche cosa;
[...]. (p. 25)
La ricchezza è come l'acqua salata: più
se ne beve, più cresce la sete; lo
stesso succede della gloria. (p. 25)
Il solo danaro è il bene assoluto,
perché esso non provvede unicamente
ad un solo bisogno «in concreto,» ma al
bisogno in generale «in abstracto.» (p.
26)
In tutto ciò che facciamo, come in tutto
ciò che ci asteniamo di fare, noi
prendiamo in considerazione l'opinione
altrui quasi prima d'ogni altra cosa, e si
è da una tal cura che in seguito ad un
esame profondo vedremo nascere la
metà circa dei tormenti e delle
angoscie che abbiamo provato. (p. 31)
Intanto l'orgoglio a più buon mercato è
l'orgoglio nazionale. Esso tradisce
presso chi ne è tocco l'assenza di ogni
qualità individuale di cui potesse andar
fiero, perocché, se così non fosse,
questi non sarebbe ricorso ad una
qualità che divide con tanti milioni
d'individui. (p. 33)
Le decorazioni sono cambiali tirate
sull'opinione pubblica; il loro valore si
basa sul credito del traente. (p. 34)
L'onore è la coscienza esterna, e la
coscienza l'onore interno. (p. 34)
Il sesso femminile invoca e si aspetta
dal sesso mascolino assolutamente
tutto; tutto ciò che desidera e tutto ciò
che gli è necessario; il sesso
mascolino non domanda all'altro,
prima di tutto e direttamente, che
un'unica cosa. (p. 37)
D'ordinario la gloria è tanto più tardiva
quanto più sarà durevole, perocché
tutto ciò che è squisito matura adagio.
(p. 45)
L'uomo più felice è dunque colui che
conduce un'esistenza senza dolori
troppo forti sia nel morale, sia nel
fisico, e non colui che ebbe per sua
parte le gioie più vive ed i piaceri più
grandi. (p. 61)
Il pazzo corre dietro ai piaceri della vita
e non trova che disinganni; il saggio
evita i mali. (p. 62)
[...] per non diventare infelicissimi, il
mezzo più certo si è di non domandare
d'esser felicissimo. (p. 63)
Quando si volesse valutare la
condizione di un uomo dal punto di
vista della sua felicità, bisognerebbe
prender notizie non su ciò che lo
diverte, ma su ciò che lo attrista, [...].
(p. 64)
Tenere le pretese il più basso possibile
in proporzione colle proprie risorse
d'ogni specie, ecco la via più sicura per
evitare grandi guai. (p. 64)
[...] quand'anche si vivesse tanto a
lungo, l'esistenza sarebbe sempre
troppo corta in relazione ai piani
prestabiliti; la loro esecuzione reclama
sempre più tempo che non si avesse
supposto; essi sono talmente soggetti,
come tutte le cose umane, alle vicende
della sorte e ad ostacoli d'ogni natura,
che si può ben di rado condurli a
compimento. (p. 64)
[...] la lontananza che impiccolisce gli
oggetti per l'occhio, li ingrandisce per il
pensiero. (p. 67)
Quanto più il nostro cerchio di visione,
di azione e di contatto è ristretto, tanto
più siamo felici; e più esso è vasto, più
ci troviamo tormentati ed inquieti. (pp.
67-68)
Bastare a se stesso, esser per se
stesso tutto in tutto, e poter dire:
«Omnia mea mecum porto» (porto con
me tutte le cose mie), ecco certamente
la condizione più favorevole per la
nostra felicità; [...]. (p. 69)
[...] chi non ama la solitudine non ama
la libertà, perché non si è liberi che
essendo soli. (p. 69)
La così detta buona società apprezza i
meriti di qualsivoglia specie, salvo i
meriti intellettuali; questi anzi non vi
entrano che di contrabbando. (p. 70)
Discorsi sanamente spiritosi o motti
arguti non convengono che ad una
società di persone d'ingegno; nella
società ordinaria essi sono
cordialmente detestati, perocché per
piacere alle persone che la
compongono bisogna essere
assolutamente triviali e dappoco. (p.
70)
[...] per quanto strettamente l'amicizia,
l'amore e il matrimonio uniscano gli
umani, non si vuol bene, interamente e
di buona fede, che a se stessi, o tutt'al
più al proprio figlio. (p. 70)
Ciò che d'altra parte rende gli uomini
sociabili si è che essi sono incapaci di
sopportare la solitudine e di
sopportare sé stessi quando sono soli.
(p. 71)
[...] la sociabilità di ciascuno è in
ragione inversa del valore intellettuale;
[...]. (p. 72)
La solitudine offre all'uomo altolocato
intellettualmente due vantaggi: il primo
d'esser con sé, il secondo di non esser
con gli altri. (p. 72)
[...] salvo rare eccezioni non v'ha scelta
nel mondo tra l'isolamento e la
volgarità. (p. 74)
La solitudine è il retaggio delle menti
superiori; qualche volta succederà loro
che se ne rammarichino, ma la
sceglieranno sempre come il minore
dei mali. (p. 74)
L'invidia è naturale all'uomo, e tuttavia
costituisce in un tempo stesso un vizio
ed un'infelicità. (p. 76)
In faccia d'un avvenimento funesto, già
compito, che per conseguenza non si
può più modificare, bisogna non
abbandonarsi nemmeno all'idea che
forse avrebbe potuto succedere
altrimenti, e meno ancora riflettere a
quanto avrebbe avuto la possibilità di
stornarlo; perocché si è questo
precisamente che porta la gradazione
del dolore fino al punto in cui diviene
insopportabile, [...]. (p. 77)
Per mettersi fra la gente è utile portar
seco una buona provvista di
circospezione e d'indulgenza; la prima
ci garantirà dai danni e dalle perdite,
l'altra dalle contese e dagli alterchi. (p.
84)
Nessuno può vedere al di là di se
stesso. Voglio dire con ciò che non si
può scorgere in altri più di quello che si
è in se stessi, perocché ciascuno
capisce e comprende un altro
solamente nella misura della sua
propria intelligenza. (p. 86)
Si capirà egualmente che in presenza
di imbecilli o di pazzi non v'ha che una
sola maniera di mostrare che si è
forniti di ragione: cioè non parlare con
essi. (p. 86)
Gli uomini, nella maggior parte, sono
talmente personali che, in sostanza,
nessuna cosa ha interesse agli occhi
loro se non essi stessi, e ciò affatto
esclusivamente. (p. 87)
Colui che crede che nel mondo i diavoli
non vadano mai senza corna e i pazzi
senza sonagli sarà sempre loro preda
o loro zimbello. (p. 89)
Guardiamoci bene, in ogni caso, dal
formarci un'opinione molto favorevole
di un uomo appena fattane la
conoscenza; saremmo d'ordinario
disingannati a nostra confusione e
forse pure a nostro danno. (p. 89)
[...] la disposizione e la condotta degli
uomini cangiano altrettanto presto
quanto il loro interesse. (p. 90)
Nessun carattere è tale che si possa
abbandonarlo a se stesso e lasciarlo
andare liberamente; esso ha bisogno
di esser guidato con nozioni e
massime. (p. 90)
Il fatto d'affettare una qualità, di
vantarsene, è confessare di non
possederla. (p. 91)
Nella stessa guisa che si porta il peso
del proprio corpo senza avvertirlo
mentre si sentirebbe il peso di
qualunque oggetto estraneo che si
volesse muovere, così non si scorgono
che i difetti e i vizî degli altri e non i
proprî. (p. 91)
Come la carta monetata circola sul
mercato in luogo del danaro, così
invece della stima e dell'amicizia
genuine sono la loro dimostrazione
esterna ed il loro atteggiamento imitati
quanto più naturalmente è possibile,
che hanno corso nel mondo. (p. 92)
La lontananza e la lunga assenza
portano danno a qualunque amicizia,
sebbene non lo si confessi volentieri.
(p. 93)
Gli amici di casa sono d'ordinario ben
chiamati con questo nome, perché
sono più attaccati alla casa che al
padrone di essa; costoro somigliano ai
gatti piuttosto che ai cani. (p. 93)
Compitezza è prudenza; scortesia
dunque è balordaggine; farsi dei
nemici senza necessità e senza motivo
colla rozzezza è follia: la stessa cosa
come se si desse fuoco alla propria
casa. (p. 94)
La compitezza è stabilita sopra una
convenzione tacita di non osservare gli
uni presso gli altri la miseria morale ed
intellettuale della condizione umana e
di non rinfacciarsela reciprocamente;
d'onde risulta che essa appare meno
facilmente con vantaggio d'ambo le
parti. (p. 94)
Asteniamoci inoltre nel conversare da
qualunque osservazione critica,
quando pure questa fosse fatta nella
migliore intenzione, perciocché
offendere gli uomini è cosa facile,
difficile invece, se non impossibile,
correggerli. (p. 95)
Chi vuole che la sua opinione trovi
credito deve enunciarla freddamente e
spassionatamente. (p. 95)
In generale val meglio manifestare il
proprio senno con ciò che si tace
piuttosto che con ciò che si dice.
Effetto di prudenza nel primo caso, di
vanità nel secondo. (p. 96)
Non v'ha danaro meglio impiegato di
quello che ci siamo lasciato rubare,
imperciocché esso ci ha servito
immediatamente a comperare della
prudenza. (p. 97)
«Non aver amore né odio» compendia
metà della più alta saviezza; «non dir
verbo e non credere in cosa alcuna»,
ecco l'altra metà. Davvero che si
volterà ben volentieri la schiena ad un
mondo che rende necessarie regole
come queste e come le seguenti. (p.
97)
I casi della nostra vita hanno anche
simiglianza colle figure del
caleidoscopio: ad ogni giro vediamo
qualche combinazione nuova mentre
in realtà abbiamo sotto gli occhi
sempre la stessa cosa. (p. 97)
[...] gli avvenimenti e le nostre
risoluzioni più importanti sono
ordinariamente da paragonare a due
forze che agiscono in direzioni
differenti e di cui la diagonale
rappresenta il corso della vita nostra.
(p. 98)
Nella vita le cose passano come nel
giuoco degli scacchi; noi ci facciamo
un piano: questo però rimane
subordinato a quanto piacerà fare nella
partita all'avversario, e nella vita al
destino. (p. 98)
Tra i cervelli ordinarî ed i sensati havvi
una differenza caratteristica che si
produce assai spesso nella vita
privata, ed è che i primi quando
riflettono sopra un pericolo possibile di
cui vogliono apprezzare la grandezza,
non cercano e non considerano se non
ciò che può già esser avvenuto di
simile; mentre gli altri pensano da se
stessi ciò che può accadere, [...]. (p.
100)
Tutto quello che accade, dalle più
grandi alle più piccole cose, accade
necessariamente. (p. 101)
Le piccole traversie che ad ogni ora ci
molestano, si possono considerare
come destinate a tenerci in esercizio
perché la forza necessaria a
sopportare le grandi sventure non
abbia da infiacchirsi nei giorni felici. (p.
101)
D'ordinario sono semplicemente le loro
stesse stupidaggini che la gente
chiama destino. (p. 101)
Non è il carattere violento, ma la
prudenza che fa apparire terribili e
minacciosi; tanto il cervello dell'uomo
è arma più formidabile dell'artiglio del
leone. (p. 102)
Considerata dal punto di vista della
gioventù l'esistenza è un avvenire
infinitamente lungo: da quello della
vecchiezza un passato assai corto, [...].
(p. 107)
Nella stessa guisa che sopra una nave
non ci rendiamo conto del suo
cammino se non perché vediamo gli
oggetti situati sulla riva allontanarsi e
quindi farsi più piccoli, così non ci
avvediamo di divenir vecchi, sempre
più vecchi, se non per il fatto che
persone d'una età ognora più avanzata
ci sembrano giovani. (p. 110)
[...] un'aria di melanconia e di tristezza
è propria della gioventù, ed una certa
serenità della vecchiaja; [...]. (p. 112)
Carattere fondamentale della vecchiajà
è il disinganno; in essa non più di
quelle illusioni che davano alla vita una
bellezza incantevole ed all'attività uno
stimolo; si ha conosciuto la nullità e la
vanità in questo basso mondo di
qualunque magnificenza, [...]. (p. 113)
La vita umana, propriamente parlando,
non può esser detta lunga né corta,
perocché, in sostanza, è la scala su cui
misuriamo tutte le altre lunghezze di
tempo. (p. 114, nota 48)
La differenza fondamentale tra la
gioventù e la vecchiaja rimane sempre
questa: la prima ha in prospettiva la
vita, la seconda la morte; per
conseguenza una possede un passato
corto ed un lungo avvenire, e l'altra
l'opposto. (p. 115)
La vita negli anni della vecchiaia
assomiglia al quinto atto di una
tragedia: si sa che la fine tragica è
vicina, ma non si sa ancora quale
sarà.[18]

Il fondamento della morale


La sconfinata pietà per tutti gli esseri
viventi è la più salda garanzia del buon
comportamento morale e non ha
bisogno di alcuna casistica. Chi ne è
compreso non offenderà certo
nessuno, non danneggerà nessuno,
non farà del male a nessuno, avrà
invece indulgenza con tutti, perdonerà,
aiuterà, fin dove può, e tutte le sue
azioni recheranno l'impronta della
giustizia e della filantropia. [...] io non
conosco nessuna preghiera più bella di
quella che conchiudeva gli antichi
spettacoli teatrali dell'India (come
anche in altri tempi quelli inglesi
terminavano con la preghiera per il re).
Dice: «Possano tutti gli esseri viventi
restare liberi dal dolore!». (III, § 19, 4;
1981, p. 243)
[...] la completa diversità, assunta a
dispetto di ogni evidenza, tra l'uomo e
l'animale [...] fu enunciata nel modo più
risoluto e stridente da Cartesio, come
necessaria conseguenza dei suoi
errori. (III, § 19, 7; 1981, p. 246)
La pietà verso gli animali è talmente
legata alla bontà del carattere da
consentire di affermare
fiduciosamente che l'uomo crudele
con gli animali non può essere buono.
Questa compassione proviene dalla
medesima fonte donde viene la pietà
verso gli uomini. (III, § 19, 7; 1981, p.
249)
A riconoscere l'identità dell'essenziale
nel fenomeno animale e in quello
umano nulla ci guida nettamente come
lo studio della zoologia e
dell'anatomia; che cosa si dovrà
dunque dire oggigiorno (1839) quando
un bigotto zootomo ha l'impudenza di
sollecitare una differenza assoluta e
radicale tra l'animale e l'uomo e arriva
al punto di attaccare e di offendere i
zoologi onesti che, attenendosi alla
natura e alla verità, seguono la loro
strada lontano da ogni pretume, da
ogni vile piaggeria e da ogni
tartufismo? (III, § 19, 7; 1981, pp. 247-
248)
Ma anche in Europa si sta svegliando
sempre più la comprensione per i diritti
degli animali, a misura che gli strani
concetti di un mondo animale
esistente soltanto per essere utile agli
uomini e a divertirli, di maniera che gli
animali vengono trattati come fossero
cose, impallidiscono e a poco a poco
scompaiono. (III, § 19, 7; 1981, p. 250)
A Londra esiste una società di
volontari, Society for the Prevention of
Cruelty to Animals, la quale in via
privata e con notevoli spese fa molto
per impedire la tortura degli animali. I
suoi emissari svolgono opera di
sorveglianza per farsi poi delatori di
chi tormenta esseri privi della parola,
ma sensibili, sicché si teme
dappertutto la loro presenza. Presso i
ponti ripidi di Londra la società
mantiene una coppia di cavalli che
vengono attaccati gratuitamente a
ogni carro troppo carico. Non è forse
una bella cosa? Non si richiama in tal
modo la nostra approvazione come di
fronte a un beneficio fatto agli uomini?
(III, § 19, 7; 1981, pp. 251-252)
Per contro, la mia motivazione trova in
suo favore l'autorità del più grande
moralista di tutta l'epoca moderna:
poiché questo è senza alcun dubbio
Jean-Jacques Rousseau, il profondo
conoscitore del cuore umano, che
attinse la sua sapienza non dai libri,
ma dalla vita e destinò la sua dottrina
non alla cattedra, bensì all'umanità,
nemico com'era dei pregiudizi, alunno
della natura che a lui solo conferì il
dono di predicare la morale senza
diventare noioso, perché colpiva la
verità e toccava i cuori. (III, § 19, 8;
1981, p. 254)
Questa teoria, che ogni molteplicità sia
soltanto apparente, che in tutti gli
individui di questo mondo, per quanto
si presentino in numero infinito l'uno
dopo l'altro e l'uno accanto all'altro, si
manifesti un essere solo e il
medesimo, presente e identico in tutti
e veramente esistente, questa teoria
[...] verrebbe voglia di dire che c'è
sempre stata. Difatti essa è la dottrina
principale e fondamentale dei sacri
Veda, il libro più antico del mondo, del
quale possediamo la parte dogmatica
o, meglio, la dottrina esoterica nelle
Upanishad. Là troviamo, si può dire a
ogni pagina, questa grande dottrina
che instancabilmente viene ripetuta in
forme infinite e commentata con
svariate immagini e similitudini. Non
c'è da dubitare che abbia costituito il
fondamento della sapienza di Pitagora
[...]. Tutti sanno che in essa soltanto
era contenuta quasi tutta la filosofia
della scuola eleatica. In seguito ne
furono pervasi i neoplatonici [...]. Nel
secolo IX la vediamo comparire
all'improvviso in Europa per merito di
Scoto Eriugena il quale, preso
dall'entusiasmo, si affanna a rivestirla
delle forme e delle espressioni della
religione cristiana. La ritroviamo tra i
maomettani quale entusiastico
misticismo dei Sufi. In Occidente però
Giordano Bruno dovette pagare con la
morte ignominiosa e crudele il fatto di
non aver saputo resistere all'impulso di
esprimere quella verità. Tuttavia
vediamo anche i mistici cristiani
invilupparcisi, loro malgrado, quando e
dove compaiono. Il nome di Spinoza è
identico con essa. (IV, § 22; 1981, pp.
277-278)
E l'uomo moralmente nobile, quando
anche gli manchi l'eccellenza
intellettuale, rivela con le sue azioni
l'intuizione più profonda, la più alta
sapienza, ed umilia il più geniale e più
dotto, quando questi con la sua azione
mostra che quella grande verità è pur
rimasta estranea al suo cuore. (IV, §
22; 1981, pp. 279-280)
Il mondo come volontà e
rappresentazione
Incipit

A. Vigliani

«Il mondo è una mia rappresentazione»:


ecco una verità valida per ogni essere
vivente e pensante, benché l'uomo
soltanto possa averne coscienza astratta
e riflessa. E quando l'uomo abbia di fatto
tale coscienza, lo spirito filosofico è
entrato in lui. Allora, egli sa con certezza
di non conoscere né il sole né la terra, ma
soltanto un occhio che vede un sole, e
una mano che sente il contatto d'una
terra; egli sa che il mondo circostante
non esiste se non come
rappresentazione, cioè sempre e soltanto
in relazione con un altro essere, con il
percipiente, con lui medesimo.
[Arthur Schopenhauer, Il mondo come
volontà e rappresentazione, traduzione di
A. Vigliani, Mursia, Milano, 1982]

Paolo Savj-Lopez e Giuseppe De


Lorenzo

«Il mondo è mia rappresentazione»: —


questa è una verità che vale in rapporto a
ciascun essere vivente e conoscente,
sebbene l'uomo soltanto sia capace
d'accoglierla nella riflessa, astratta
coscienza: e s'egli veramente fa questo,
con ciò è penetrata in lui la meditazione
filosofica. Per lui diventa allora chiaro e
ben certo, ch'egli non conosce né il sole
né la terra, ma appena un occhio, il quale
vede un sole, una mano, la quale sente
una terra; che il mondo da cui è
circondato non esiste se non come
rappresentazione, vale a dire sempre e
dappertutto in rapporto ad un altro, a
colui che rappresenta, il quale è lui
stesso.
[Arthur Schopenhauer, Il mondo come
volontà e rappresentazione , traduzione
di Paolo Savj-Lopez e Giuseppe De
Lorenzo, Editori Laterza, Roma, Bari,
1991. ISBN 8842020796]
Citazioni

Altri tempi dovrebbero sorgere invero,


prima che la mia filosofia possa
giungere a una cattedra: sarebbe
davvero bella che questa mia filosofia,
dalla quale non si può trarre guadagno,
raggiungesse l'aria e la luce, e persino
una universale considerazione!
Ciascun individuo, ciascun volto
umano e ciascuna vita non è che un
breve sogno dell'infinito spirituale
naturale, della permanente volontà di
vivere; non è che una nuova immagine
fuggitiva, che la volontà traccia per
gioco sul foglio infinito dello spazio e
del tempo, lasciandola durare un
attimo appena percettibile di fronte
all'immensità di quelli, e poi
cancellandola, per dar luogo ad altre.
(§ 58)
Davanti a un'opera d'arte bisogna
comportarsi come di fronte a un
principe, e mai prendere la parola per
primi. Altrimenti, si rischia di sentire
soltanto la propria voce.
Desiderare l'immortalità è desiderare la
perpetuazione in eterno di un grande
errore.
È davvero incredibile come
insignificante e priva di senso, vista dal
di fuori, e come opaca e irriflessiva,
sentita dal di dentro, trascorra la vita di
quasi tutta l'umanità. È un languido
aspirare e soffrire, un sognante
traballare attraverso le quattro età
della vita fino alla morte, con
accompagnamento d'una fila di
pensieri triviali. (§ 58)
Fenomeno è rappresentazione e nulla
più; e ogni rappresentazione, ogni
oggetto di qualsiasi specie è
fenomeno. Cosa in sé è soltanto la
volontà che a tal titolo non è affatto
fenomeno, anzi ne differisce toto
genere... La volontà è la sostanza
intima, il nocciolo di ogni cosa
particolare e del tutto; è quella che
appare nella forza naturale cieca, e
quella che si manifesta nella condotta
ragionata dell'uomo.
Gli uomini somigliano a orologi che
vengono caricati e camminano, senza
sapere il perché; ed ogni volta che un
uomo viene generato e partorito, è
l'orologio della vita umana di nuovo
caricato, per ripetere ancora una volta,
fase per fase, battuta per battuta, con
variazioni insignificanti, la stessa
musica già infinite volte suonata. (§
58)
I pensieri degli spiriti originali non
tollerano la mediazione di una mente
comune. Trasportati entro l'angusto
alloggio di crani stretti, schiacciati,
massicci [...] essi – nati dietro
spaziose, alte e ben curvate fronti
sotto le quali splendono occhi luminosi
– perdono ogni vita e vigore, non si
riconoscono più.
Il conflitto interno della volontà
oggettivandosi in tutte queste idee si
manifesta nella implacabile guerra di
sterminio che si fanno a vicenda gli
individui di quelle specie... Il teatro e
l'oggetto di questa lotta è la materia, di
cui gli avversari cercano di strapparsi a
viva forza il possesso; è il tempo e lo
spazio, la cui riunione nella forma di
causalità costituisce propriamente la
materia.
Il diritto che ha l'uomo di disporre della
vita e delle forze degli animali ha il suo
proprio fondamento sul fatto che a
mano a mano che la coscienza si
accresce in chiarezza, si accresce in
proporzione anche il dolore [...] In base
a tutto ciò si determina in pari tempo il
grado in cui l'uomo può senza
ingiustizia usufruire delle forze animali;
questo limite viene troppo spesso
infranto, specialmente riguardo alle
bestie da soma e ai cani da caccia;
quindi, a reprimer tale abuso, si sono
istituite apposite società protettrici
degli animali. A parer mio, il diritto
dell'uomo non è neppure tale da
autorizzare le vivisezioni in genere;
tanto meno, se si tratti di animali
superiori. (dall'edizione a cura di
Giuseppe Riconda, Mursia, Milano
2000, p. 415)
Il dolore è in effetti il processo di
purificazione che solo permette, nella
maggior parte dei casi, di santificare
l'uomo, di distoglierlo cioè dalla
volontà di vita. Perciò nei libri di
edificazione cristiana viene così
spesso nominata la virtù salvatrice
della croce e del dolore, e molto
propriamente la croce, strumento di
sofferenza e non di azione, è il simbolo
della religione cristiana.
Il mondo è solo una mia
rappresentazione.
Il nucleo e lo spirito più profondo del
cristianesimo è identico a quello del
bramanesimo e del buddismo: tutti
insegnano la grave colpa della razza
umana causata dalla sua semplice
esistenza.
Il protestantesimo, eliminando l'ascesi
e il suo punto centrale, cioè i meriti del
celibato, ha di fatto rinunciato al
nucleo più profondo del cristianesimo,
e deve quindi venire considerato uno
scarto di questo. Può essere una
buona religione per pastori protestanti
amanti della comodità, sposati e
illuminati: ma non è cristianesimo.
Il riso nasce ogni volta da nient'altro
che dall'incongruenza
improvvisamente scorta fra un
concetto e gli oggetti reali che per
mezzo di esso erano stati pensati in
una qualunque relazione, ed esso
stesso è appunto solo l'espressione di
questa incongruenza. Essa si produce
spesso per il fatto che due o più
oggetti reali vengono pensati per
mezzo di un solo concetto e l'identità
di quest'ultimo viene trasferita a quelli;
ma poi una totale diversità di essi nel
resto rende evidente che il concetto
conveniva loro solo in un aspetto
unilaterale. Altrettanto spesso è
tuttavia un unico oggetto reale, quello
la cui incongruenza con il concetto,
sotto il quale esso era stato da una
parte a ragione sussunto, diventa
improvvisamente avvertibile. Quanto
più giusta poi è da una parte la
sussunzione di tali realtà sotto il
concetto, e quanto più grande e
stridente è d'altra parte la loro
inadeguatezza rispetto ad esso, tanto
più forte è l'effetto del ridicolo che
scaturisce da questo contrasto. Ogni
ridere nasce dunque a motivo di una
sussunzione paradossale e pertanto
inaspettata; è indifferente che si
esprima a parole o a fatti. È questa in
breve la vera spiegazione del ridicolo.
Il suicidio, lungi dall'essere negazione
della volontà [...] è un atto di forte
affermazione della volontà stessa [...]
ne deriva che la distruzione di un
fenomeno isolato è azione in tutto
vana e stolta.
[...] l'antichissima sapienza indiana
dice: «È Maya, il velo ingannatore, che
avvolge gli occhi dei mortali e fa loro
vedere un mondo del quale non può
dirsi né che esista, né che non esista;
perché ella rassomiglia al sogno,
rassomiglia al riflesso del sole sulla
sabbia, che il pellegrino da lontano
scambia per acqua; o anche
rassomiglia alla corda gettata a terra,
che egli prende per un serpente»
(Questi paragoni si trovano ripetuti in
luoghi innumerevoli dei Veda e dei
Purana).
L'unica origine dell'arte è la
conoscenza delle idee; e il suo unico
fine è la comunione di tale
conoscenza.[19]
La causalità non può di per sé essere
rappresentata in modo intuitivo: simile
rappresentazione non è possibile che
per una relazione causale determinata.
D'altra parte, invece, ogni fenomeno
dell'idea, poiché assume, come tale, la
forma del principio di ragione, o del
principium individuationis, deve
manifestarsi nella materia e come
qualità della materia.
La mia opinione invero è (e perciò
trova qui posto la mia spiegazione)
che ogni errore è una conclusione
dall'effetto alla causa, conclusione che
ha valore. Quando si sa che l'effetto
può avere quella causa e nessun'altra;
ma non in altri casi. Chi sbaglia, o
attribuisce all'effetto una causa, che
quello non può punto avere; nel che
dimostra vera mancanza di intelletto,
ossia incapacità di conoscer
direttamente il nesso tra causa ed
effetto: oppure, come accade più
spesso, dato l'effetto determina bensì
una causa possibile, ma alla maggior
premessa del sillogismo, con cui va
dall'effetto alla causa, aggiunge che
codesto effetto costantemente
proviene dalla causa attribuitagli. (§
15; tomo I, pp. 153-154)
La mia filosofia non è per nulla adatta
a che si possa vivere di lei. Essa è priva
dei requisiti primi, essenziali per una
ben retribuita cattedra di filosofia.
La musica, intesa come espressione
del mondo, è una lingua universale al
massimo grado, e la sua universalità
sta all'universalità dei concetti più o
meno come i concetti stanno alle
singole cose.[19]
La sua vita oscilla quindi come un
pendolo, di qua e di là, tra il dolore e la
noia, che sono in realtà i suoi veri
elementi costitutivi. (§ 57; tomo II, p.
244)
La vera filosofia deve in ogni caso
essere idealista: anzi deve esserlo, se
vuole semplicemente essere onesta.
Perché niente è piú certo, che nessuno
può mai uscire da se stesso, per
identificarsi immediatamente con le
cose distinte da lui: bensí tutto ciò che
egli conosce con sicurezza, cioè
immediatamente, si trova dentro la sua
coscienza. [...] Il realismo, che trova
credito presso l'intelletto incolto,
perché si dà l'aria di essere aderente ai
fatti, prende addirittura come punto di
partenza un'ipotesi arbitraria ed è
perciò un edificio di vento campato in
aria, perché sorvola o rinnega il
primissimo fatto: che, cioè, tutto ciò
che noi conosciamo si trova nella
coscienza. (II, 1) [20]
La vita d'ogni singolo, se la si guarda
nel suo complesso, rilevandone solo i
tratti significanti, è sempre invero una
tragedia; ma, esaminata nei particolari,
ha il carattere della commedia.
Imperocchè l'agitazione e il tormento
della giornata, l'incessante ironia
dell'attimo, il volere e il temere della
settimana, gli accidenti sgradevoli
d'ogni ora, per virtù del caso ognora
intento a brutti tiri, sono vere scene da
commedia. Ma i desideri sempre
inappagati, il vano aspirare, le speranze
calpestate senza pietà dal destino, i
funesti errori di tutta la vita, con
accrescimento di dolore e con morte
alla fine, costituiscono ognora una
tragedia. Così, quasi il destino avesse
voluto aggiungere lo scherno al
travaglio della nostra esistenza, deve la
vita nostra contenere tutti i mali della
tragedia, mentre noi riusciamo neppure
a conservar la gravità di personaggi
tragici, e siamo invece inevitabilmente,
nei molti casi particolari della vita, goffi
tipi da commedia. (§ 58)
La vita e i sogni sono fogli di uno
stesso libro: leggerli in ordine è vivere,
sfogliarli a caso è sognare.
Mentre per l'uomo comune il proprio
patrimonio conoscitivo è la lanterna
che illumina la strada, per l'uomo
geniale è il sole che rivela il mondo.
Nella tragedia vediamo le creature più
nobili rinunziare, dopo lunghi
combattimenti e lunghe sofferenze, ai
fini perseguiti con accanimento,
sacrificare per sempre le gioie della
vita, oppure sbarazzarsi liberamente
con gioia del peso dell'esistenza
medesima... bisogna tenere bene a
mente, se si vuol comprendere
l'insieme delle considerazioni
presentate in quest'opera, che
quest'opera suprema del supremo
genio poetico ha il fine di mostrare il
lato terribile della vita, i dolori senza
nome, le angosce dell'umanità, il
trionfo dei malvagi, il poter schernitore
del caso, la disfatta irreparabile del
giusto e dell'innocente; nel che si ha un
indice significativo della natura del
mondo e dell'esistenza.
Nel Nuovo Testamento si parla del
mondo come di qualcosa di estraneo,
che non si ama, dominato dal diavolo.
Questo coincide con lo spirito ascetico
della negazione del proprio Sé e del
superamento del mondo, che insieme
all'illimitato amore per il prossimo,
addirittura per il nemico, è la
caratteristica che il cristianesimo ha in
comune con il bramanesimo e il
buddismo, e ne dimostra l'affinità.
Nessun essere, eccetto l'uomo, si
stupisce della propria esistenza; per
tutti gli animali essa è una cosa che si
intuisce per se stessa, nessuno vi fa
caso. Nella pacatezza dello sguardo
degli animali parla ancora la saggezza
della natura; perché in essi la volontà e
l'intelletto non si sono ancora
distaccati abbastanza l'uno dall'altro
per potersi, al loro reincontrarsi,
stupirsi l'uno dell'altra. Così qui l'intero
fenomeno aderisce ancora
strettamente al tronco della natura, dal
quale è germogliato, ed è partecipe
dell'inconsapevole onniscienza della
grande Madre. Solo dopo che l'intima
essenza della natura (la volontà di
vivere nella sua oggettivazione) s'è
elevata attraverso i due regni degli
esseri incoscienti e poi, dopo essere
passata, vigorosa ed esultante,
attraverso la serie lunga e vasta degli
animali, è giunta infine, con la
comparsa della ragione, cioè
nell'uomo, per la prima volta alla
riflessione: allora essa si stupisce delle
sue proprie opere e si chiede che cosa
essa sia. La sua meraviglia, però, è
tanto più seria, in quanto essa si trova
qui per la prima volta coscientemente
di fronte alla morte, e, accanto alla
caducità di ogni esistenza, le si rivela
anche, con maggiore o minore
consapevolezza, la vanità di ogni
aspirazione. Con questa riflessione e
con questo stupore nasce allora,
unicamente nell'uomo, il bisogno di
una metafisica: egli è dunque un
animal metaphysicum. (citato in
Umberto Antonio Padovani, Andrea
Mario Moschetti, Grande antologia
filosofica, Marzorati, Milano, 1971)
Nessuna verità è più certa, più
assoluta, più lampante di questa: tutto
ciò che esiste non è altro che l'oggetto
in rapporto al soggetto.
Noi ci illudiamo continuamente che
l'oggetto voluto possa porre fine alla
nostra volontà. Invece, l'oggetto voluto
assume, appena conseguito, un'altra
forma e sotto di essa si ripresenta.
Esso è il vero demonio che sempre
sotto nuove forme ci stuzzica. (I, 52 in
Grande Antologia Filosofica, Marzorati,
Milano, 1971, vol. XIX, p. 143)
Presso di me, come presso Spinoza, il
mondo esiste per interna forza e da se
stesso. (citato in Emilia Giancotti,
Baruch Spinoza 1632-1677, Editori
riuniti, Roma 1985)
Quei signori [i professori di filosofia]
vogliono vivere, e precisamente vivere
della filosofia: da questa traggono
sostentamento con moglie e prole, e
tutto – nonostante il «povera e nuda vai
filosofia» del Petrarca – tutto essi
hanno arrischiato su di lei.
Se percepiamo più facilmente l'idea
nell'opera d'arte che nella
contemplazione diretta della natura e
della realtà, ciò si deve al fatto che
l'artista, il quale non si fissa che
nell'idea e non volge più l'occhio alla
realtà, riproduce anche nell'opera d'arte
l'idea pura, distaccata dalla realtà e
libera da tutte le contingenze che
potrebbero turbarla.
Sempre più chiaramente
obbiettivandosi di grado in grado, la
volontà agisce tuttavia ancor del tutto
incosciente, come oscura forza
impulsiva. (§ 27)
[...] se si conducesse il più ostinato
ottimista attraverso gli ospedali, i
lazzaretti, le camere di martirio
chirurgiche, attraverso le prigioni, le
stanze di tortura, i recinti degli schiavi,
pei campi di battaglia e i tribunali,
aprendogli poi tutti i sinistri covi della
miseria, ove ci si appiatta per
nascondersi agli sguardi della fredda
curiosità, e da ultimo facendogli ficcar
l'occhio nella torre della fame di
Ugolino, certamente finirebbe anch'egli
con l'intendere di qual sorte sia questo
meilleur des mondes possibles. Donde
ha preso Dante la materia del suo
Inferno, se non da questo mondo
reale? E nondimeno n'è venuto un
inferno bell'e buono. Quando invece gli
toccò di descrivere il cielo e le sue
gioie, si trovò davanti ad una difficoltà
insuperabile: appunto perché il nostro
mondo non offre materiale per
un'impresa siffatta. (§ 59; tomo II, p.
266)
Tutta la conoscenza, originariamente e
secondo la sua essenza, è al servizio
della volontà. Il punto di partenza della
conoscenza non è altro se non volontà
oggettiva.[19]
Un eterno divenire, una corsa senza
fine, ecco la caratteristica con cui si
manifesta l'essenza della volontà. Di
tal natura sono infine gli sforzi e i
desideri umani, che ci fanno brillare
innanzi la loro realizzazione come
fosse il fine ultimo della volontà; ma
non appena soddisfatti, cambiano
fisionomia; dimenticati, o relegati tra le
anticaglie, vengono sempre, lo si
confessi o no, messi da parte come
illusioni svanite.

L'arte di conoscere se stessi


Incipit
Volere il meno possibile e conoscere il
più possibile è la massima che ha
guidato la mia vita. La Volontà è infatti
l'elemento assolutamente infimo e
spregevole in noi: bisogna nasconderlo
come si nascondono i genitali, benché
siano entrambi le radici del nostro
essere. La mia vita è eroica, e non si può
valutare con un metro da filisteo o con il
cubino del bottegaio, né con una misura
proporzionata alla gente comune, che
non vive altra esistenza se non quella
individuale, limitata a un breve lasso di
tempo. Per questo non devo turbarmi se
penso a quanto mi manchi ciò che fa
parte della regolare vita dell'individuo:
ufficio, casa, vita sociale, moglie e prole.
L'esistenza degli esseri comuni si risolve
in questo. La mia vita invece è una vita
intellettuale, il cui imperturbato
procedere e l'indisturbata operosità
devono dare frutto nei pochi anni della
piena forza mentale e del suo libero
impiego per arricchire secoli
dell'umanità. La mia vita personale è
soltanto la base di questa vita
intellettuale, la conditio sine qua non – un
elemento del tutto subordinato, quindi.

[Arthur Schopenhauer, L'arte di


conoscere se stessi, a cura e con un
saggio di Franco Volpi, Adelphi, Milano
2005]
Citazioni

L'uomo sposato porta sulle spalle tutto


il peso della vita, quello non sposato
solo la metà: chi si dedica alle muse
deve far parte dell'ultima classe.
Perciò si troverà che quasi tutti i veri
filosofi sono rimasti scapoli, come
Descartes, Leibniz, Malebrance,
Spinoza, e Kant. (p. 73, 2005)
Da' al mondo gli inchini dovuti. (p. 104,
2005)

L'arte di insultare
Clio, la musa della storia, è tutta
quanta infetta di menzogne, come una
prostituta di sifilide.
Alla fine tutti quanti siamo e restiamo
soli.
È forse impossibile trovare una donna
veramente sincera, che non finga. Ma
per la stessa ragione le donne
scoprono facilmente la finzione altrui,
e non è consigliabile tentare di
ricorrervi nei loro riguardi.
Gli amici si dicono sinceri, ma in realtà
sinceri sono i nemici.
Gli amici si dicono sinceri, i nemici lo
sono: per cui bisognerebbe utilizzare il
loro biasimo per la conoscenza di se
stessi, come una medicina amara.
La giovinezza senza la bellezza ha pur
sempre del fascino; la bellezza senza
la giovinezza non ne ha alcuno.
Le altre parti del mondo hanno le
scimmie; l'Europa ha i francesi. La
cosa si compensa.
Se le altre parti del mondo hanno le
scimmie, l'Europa ha i francesi. (da Il
mondo come volontà e
rappresentazione)
Non v'è rosa senza spine, ma vi sono
parecchie spine senza rose!
Quando studiavo a Gottingen il
professor Blumenbach ci parlò molto
seriamente, nel corso di fisiologia,
degli orrori delle vivisezioni e ci fece
notare come esse fossero una cosa
crudele e orribile... Invece oggi ogni
medicastro si crede autorizzato a
effettuare nella sua stanza delle
torture gli atti più crudeli nei confronti
delle bestie [...]. Nessuno è autorizzato
a effettuare vivisezioni...
[Riferendosi ad Hegel] Sciupatore di
carta, di tempo e di cervelli.
Si ha pietà di un peccatore, di un
malfattore, ma non di un innocente e
fedele animale che spesso procura il
pane al suo padrone e non riceve che
misero foraggio. «Aver pietà»! Non già
pietà, ma giustizia si deve all'animale!
Si possono conoscere i filosofi solo
attraverso le loro opere, e in nessun
modo con esposizioni di seconda
mano.
Una grande quantità di cattivi scrittori
vive unicamente della stoltezza del
pubblico, che non vuole leggere se non
ciò che è stato stampato il giorno
stesso: sono i giornalisti. Il nome
coglie nel segno! Si dovrebbe dire:
"operaio pagato alla giornata".
Ogni miserabile babbeo, che non abbia
al mondo nulla di cui poter essere
orgoglioso, si appiglia all'ultima risorsa
per esserlo, cioè alla nazione cui
appartiene: in tal modo egli si rinfranca
ed è ora pieno di gratitudine e pronto a
difendere con le unghie e con i denti
tutti i difetti e tutte le stoltezze
caratteristiche di quella nazione.
Tutti i giornalisti sono, per via del
mestiere che fanno, degli allarmisti: è il
loro modo di rendersi interessanti. Essi
somigliano in ciò a dei botoli che,
appena sentono un rumore, si mettono
ad abbaiare forte. Bisogna perciò
badare ai loro squilli d'allarme solo
quel tanto che non guasti la
digestione.
Nel 1857 è comparsa la quinta
edizione di un libro adoperato
all'università: Notions élémentairesde
grammaire comparée, pour servir à
l'étude des trois langues classiques,
rédigé sur l'invitation du ministre de
l'lnstruction publique, par Egger,
membre de l'lnstitut, eccetera. E, invero
– credite posteri! [Orazio, Carmina, 11,
19, 21 - la terza lingua classica di cui si
parla è... la francese. Dunque questo
miserrimo gergo romanzo, questa
pessima mutilazione di parole latine,
questa lingua che dovrebbe guardare
con profondo rispetto alla sua più
antica e assai più nobile sorella,
l'italiano, questa lingua che ha come
esclusiva peculiarità il disgustoso
suono nasale, en, un, un, come pure il
singhiozzante accento così
indicibilmente ripugnante sull'ultima
sillaba, mentre tutte le altre lingue
hanno la penultima lunga, che produce
un effetto così delicato e pacato,
questa lingua, nella quale non esiste
metro ma soltanto la rima, per lo più in
é o on, costituisce la forma della
poesia: questa lingua meschina viene
qui posta come langue classique
accanto al greco e al latino! Invoco il
biasimo dell'Europa tutta per umiliare
questi spudoratissimi fanfaroni.
Preso sensu proprio il dogma diventa
rivoltante. Esso, infatti, prevedendo le
eterne torture dell'inferno, fa scontare
con pene senza fine qualche fallo o
persino la mancanza di fede di una vita
che spesso non giunge neppure a
vent'anni; in più vi è il fatto che questa
dannazione quasi universale è in realtà
la conseguenza del peccato originale e
quindi il risultato inevitabile della prima
caduta dell'uomo. Ma questa caduta
avrebbe dovuto, in ogni caso, essere
prevista da colui che in primo luogo
non ha creato gli uomini migliori di
quello che sono, e poi ha loro
apprestato un tranello, pur sapendo
che vi sarebbero caduti, poiché tutto
era opera sua e nulla gli rimane
nascosto. Secondo questo dogma egli
avrebbe chiamato dal nulla
all'esistenza un genere umano debole
e soggetto al peccato per poi
condannarlo a torture senza fine.
Inoltre c'è da aggiungere che il Dio che
prescrive l'indulgenza e il perdono di
ogni colpa fino a giungere all'amore
per i nemici non manifesta simili
sentimenti, bensì cade in sentimenti
opposti; perché un castigo che
subentra alla fine delle cose, quando
tutto è passato e concluso, non può
avere per scopo né il miglioramento né
l'intimorimento: è, dunque, soltanto
vendetta. Visto così, sembra persino
che l'intero genere umano sia stato in
realtà destinato e creato apposta per
l'eterna tortura e dannazione – tranne
quelle poche eccezioni che, non si sa
perché, sono state salvate mediante la
predestinazione, per grazia di Dio. A
parte queste eccezioni, risulta come se
il buon Dio avesse creato il mondo
affinché il diavolo se lo pigliasse; onde
egli avrebbe fatto assai meglio se vi
avesse rinunciato.
Leggere significa pensare con la testa
altrui invece che con la propria. Il
furore di leggere libri della maggior
parte dei dotti è una specie di fuga
vacui, un fuggire dal vuoto di pensiero
dei loro cervelli, che attira dentro a
forza sostanza estranea: per avere
pensieri devono leggerli altrove, come i
corpi inanimati ricevono il movimento
solo dall'esterno, mentre coloro che
sono dotati di pensiero proprio sono
come i corpi viventi che si muovono da
sé.
L'arte di non leggere è molto
importante. Essa consiste nel non
prendere in mano quello che di volta in
volta il vasto pubblico sta leggendo,
come per esempio libelli politici e
letterari, romanzi, poesie e simili cose,
che fanno chiasso appunto in quel
dato momento e raggiungono perfino
parecchie edizioni nel loro primo e
ultimo anno di vita. Pretendere che un
individuo ritenga tutto quanto ha letto
è come esigere che porti ancora dentro
di sé tutto quanto ha mangiato.
Le persone che hanno passato la vita
leggendo e hanno attinto la loro
sapienza dai libri somigliano a coloro
che, da un gran numero di descrizioni
di viaggi, hanno acquistato la
conoscenza precisa di un paese.
Queste persone riescono a comunicare
notizie su molte cose; ma, in fondo,
non hanno una conoscenza coerente,
chiara e profonda circa la natura di
quel paese.
Sarebbe bene comprare libri, se
insieme si potesse comprare il tempo
per leggerli, ma di solito si scambia
l'acquisto di libri per l'acquisizione del
loro contenuto.
È mia opinione – e la dico qui di
sfuggita – che il colore bianco della
pelle non sia naturale all'uomo, il quale,
per natura, ha invece la pelle nera o
scura, come i nostri antenati, gli indu.
Di conseguenza, dal grembo della
natura non è mai nato originariamente
un uomo bianco, e quindi non esiste
una razza bianca, benché se ne parli
tanto: ogni uomo bianco è solamente
un uomo scolorito.
Le religioni sono figlie dell'ignoranza,
che non sopravvivono a lungo alla loro
madre. L'ha capito Omar quando fece
incendiare la biblioteca di Alessandria.
Il sigaro è per l'uomo limitato un
gradito surrogato dei pensieri.
Il medico vede l'uomo in tutta la sua
debolezza; il giurista in tutta la sua
malvagità; il teologo in tutta la sua
stupidità.
[Riferito ad Hegel] No, quello che
vedete non è un'aquila, guardategli le
orecchie. (p. 76)

L'arte di ottenere ragione


Incipit

La dialettica eristica è l'arte di disputare,


e precisamente l'arte di disputare in
modo da ottenere ragione, dunque per
fas et nefas [con mezzi leciti ed illeciti]. Si
può infatti avere ragione objective, nella
cosa stessa, e tuttavia avere torto agli
occhi dei presenti e talvolta perfino ai
propri. Ciò accade quando l'avversario
confuta la mia prova, e questo vale come
se avesse confutato anche
l'affermazione, della quale però si
possono dare altre prove; nel qual caso,
naturalmente, per l'avversario la
situazione si presenta rovesciata: egli
ottiene ragione pur avendo
oggettivamente torto. Dunque, la verità
oggettiva di una proposizione e la validità
della medesima nell'approvazione dei
contendenti e degli uditori sono due cose
diverse (a quest'ultima è rivolta la
dialettica).
Da che cosa deriva tutto questo? Dalla
naturale cattiveria del genere umano. Se
questa non ci fosse, se nel nostro fondo
fossimo leali, in ogni discussione
cercheremmo solo di portare alla luce la
verità, senza affatto preoccuparci se
questa risulta conforme all'opinione
presentata in precedenza da noi o a
quella dell'altro: diventerebbe indifferente
o, per lo meno, sarebbe una cosa del
tutto secondaria. Ma qui sta il punto
principale. L'innata vanità,
particolarmente suscettibile per ciò che
riguarda l'intelligenza, non vuole
accettare che quanto da noi sostenuto in
principio risulti falso, e vero quanto
sostiene l'avversario.

[Arthur Schopenhauer, L'arte di ottenere


ragione, a cura e con un saggio di Franco
Volpi, Adelphi, Milano 2006]
Citazioni

Gli antichi adoperano logica e


dialettica per lo più come sinonimi, e
altrettanto fanno i moderni. (nota alla
p. 1, p. 75, 2006)
Il mio punto di vista, dunque, è che la
dialettica va separata dalla logica più
nettamente di quanto abbia fatto
Aristotele, lasciando la verità oggettiva,
nella misura in cui essa è formale, alla
logica e limitando la dialettica
all'ottenere ragione: e, in secondo
luogo, che sofistica ed eristica non
vanno separate dalla dialettica così
come fa Aristotele: poiché questa
differenza riposa sulla verità materiale
oggettiva, sulla quale non possiamo
venire in chiaro con certezza
preventivamente [...]. È facile a dirsi
che nel contendere non bisogna avere
di mira altro se non il portare alla luce
la verità: il fatto è che non si sa ancora
dove essa sia: si viene fuorviati agli
argomenti dell'avversario e anche dai
propri. (nota alla p. 19, p. 78, 2006)
Per formulare la dialettica in modo
limpido bisogna considerarla, senza
badare alla verità oggettiva (che è
oggetto della logica), semplicemente
come l'arte di ottenere ragione, la qual
cosa sarà certo tanto più facile se si ha
oggettivamente ragione. [...] Dunque la
dialettica non deve avventurarsi nella
verità: alla stessa stregua del maestro
di scherma, che non considera chi
abbia effettivamente ragione nella
contesa che ha dato origine al duello:
colpire e parare, questo è quello che
conta. (pp. 23 sg., 2006)
Quando ci si accorge che l'avversario è
superiore e si finirà per avere torto, si
diventi offensivi, oltraggiosi,
grossolani, cioè si passi dall'oggetto
della contesa (dato che lì si ha partita
persa) al contendente e si attacchi in
qualche modo la sua persona. (p. 64,
2006)
Quando A apprende che i pensieri di B
sul medesimo oggetto differiscono dai
propri, egli non rivede anzitutto il
proprio pensiero per trovare l'errore,
ma presuppone quest'ultimo nel
pensiero dell'altro: l'uomo, cioè, per
natura pretende di aver sempre
ragione.[...] Da cosa deriva questo?
Dalla naturale malvagità dell'essere
umano. Se questa non ci fosse, se noi
fossimo fondamentalmente onesti, in
ogni dibattito tenderemmo
semplicemente a portare alla luce la
verità, senza curarci che questa risulti
conforme alla nostra opinione
annunciata in precedenza o a quella
dell'altro: ciò sarebbe indifferente o
perlomeno una questione del tutto
marginale. Ma ecco la questione
principale: la vanità innata, che è
particolarmente eccitabile riguardo alle
forze della ragione, non vuole
accettare che ciò che noi abbiamo
enunciato in precedenza risulti falso, e
ciò che ha detto l'avversario, giusto. Di
conseguenza, ciascuno dovrebbe
semplicemente impegnarsi a giudicare
rettamente; e per farlo, dovrebbe prima
pensare e poi parlare. All'innata vanità,
però, si accompagnano nei più il
cicaleccio e l'innata disonestà. Essi
parlano prima di aver pensato, e anche
se poi si rendono conto che la loro
affermazione è falsa, deve tuttavia
sembrare che sia il contrario.
L'interesse per la verità, che è
certamente l'unico movente della
enunciazione della proposizione
ritenuta vera, cede ora del tutto
all'interesse per la vanità: il vero deve
apparire falso, e il falso vero.

L'arte di trattare le donne


Incipit

Il termine «femmina» (Weib) è caduto in


discredito, quantunque sia del tutto
innocente; designa il sesso (mulier).
«Donna» (Frau) è invece la femmina
sposata (uxor); chiamare donna una
ragazza è una stonatura.
[Arthur Schopenhauer, L'arte di trattare le
donne, a cura e con un saggio di Franco
Volpi, Adelphi, Milano 2005]

Citazioni

Le donne sono sexus sequior, il


secondo sesso, che da ogni punto di
vista è inferiore al sesso maschile;
perciò bisogna aver riguardi per la
debolezza della donna, ma è
oltremodo ridicolo attestare
venerazione alle donne: essa ci
abbassa ai loro stessi occhi. (p. 33,
2005)
Il sesso femminile, di statura bassa, di
spalle strette, di fianchi larghi e di
gambe corte, può essere chiamato il
bel sesso soltanto dall'intelletto
maschile obnubilato dall'istinto
sessuale: in altre parole, tutta la
bellezza femminile risiede in
quell'istinto. (p. 33, 2005)
La bellezza dei ragazzi sta a quella
delle ragazze come la pittura a olio sta
a quella a pastello. (p. 40, 2005)
Il coito è soprattutto affare dell'uomo,
la gravidanza, invece, solo della donna.
(p. 42, 2005)
Come la seppia, la donna si avviluppa
nella dissimulazione e nuota a suo
agio nella menzogna. (p. 45, 2005)
Tutte le donne, con rare eccezioni,
sono inclini allo sperpero. Perciò ogni
patrimonio, a parte i rari casi in cui
l'abbiano acquistato esse stesse,
dovrebbe essere messo al sicuro dalla
loro stoltezza. (p. 46, 2005)
La barba, essendo quasi una
maschera, dovrebbe essere proibita
dalla polizia. Inoltre, come distintivo
del sesso in mezzo al viso, è oscena e
per questo piace alle donne. (p. 65,
2005)
La mia metafisica dell'amore sessuale
è una perla. (p. 61, 2005)
Il matrimonio è una trappola che la
natura ci tende. (p. 69, 2005)
Matrimonio = guerra e necessità; vita
da single = pace e prosperità. (p. 70,
2005)
Sposarsi significa fare il possibile per
venirsi a nausea l'uno all'altro. (p. 71,
2005)
Le leggi matrimoniali europee
assumono la donna come equivalente
all'uomo: partono, dunque, da un
presupposto sbagliato. (p. 71, 2005)
Tra ciò che uno ha non ho annoverato
la moglie e i figli, poiché da questi è
meglio dire che si è posseduti. (p. 75,
2005)
Quando le leggi concessero alle donne
gli stessi diritti degli uomini, avrebbero
anche dovuto munirle di un'intelligenza
maschile. (p. 82, 2005)
Alle donne come ai preti non va fatta
nessuna concessione. (p. 82, 2005)
Le donne hanno sempre bisogno di un
tutore; perciò in nessun caso
dovrebbero ottenere la tutela dei figli.
(p. 83, 2005)
Le teste più dotate dell'intero sesso
femminile non sono mai riuscite a
creare un'unica opera effettivamente
grande, genuina e originale nelle belle
arti e, in generale, non sono mai state
capaci di produrre una qualche opera
di valore duraturo ... Singole e parziali
eccezioni non cambiano nulla. (p. 88,
2005)
Più guardo gli uomini, meno mi
piacciono. Se soltanto potessi dire la
stessa cosa delle donne, tutto sarebbe
a posto. (p. 102, 2005)
Poiché non esistono due individui
perfettamente uguali, ci sarà una sola
determinata donna che corrisponderà
nel modo più perfetto a un determinato
uomo. La vera passione d'amore è
tanto rara quanto il caso che quei due
si incontrino.

Parerga e Frammenti
postumi
Bisogna che anche in Europa,
finalmente, si imponga una verità [...]
che non può essere più a lungo celata:
che, cioè, gli animali in tutti gli aspetti
principali ed essenziali sono
esattamente la stessa cosa che noi, e
che la differenza risiede soltanto nel
grado di intelligenza [...]. Infatti,
soltanto quando nel popolo sarà
penetrata quella convinzione, così
semplice e che non ammette nessun
dubbio, gli animali non
rappresenteranno più esseri privi di
ogni diritto [...].[21]
Che cosa rende filosofi? Il coraggio di
non serbare nel proprio cuore alcuna
domanda. (da Sulla filosofia e il suo
metodo, in Parerga e Paralipomena)
Chi ama la verità odia gli dèi, così al
singolare come al plurale.
Dal momento che l'ultima ratio
theologorum, cioè il rogo, non è più di
moda, sarebbe un poltrone colui che
usasse ancora tanti riguardi con la
menzogna e l'impostura.
Demofele — Detto tra noi non mi piace,
mio caro amico, che dall'alto della tua
filosofia tu ti prenda gioco della
religione e a volte, anzi, la schernisca
apertamente. Per ciascuno la sua fede
è sacra, e dovrebbe esserlo anche per
te.
Filalete — Nego consequentiam! Non
vedo perché, se altri si lasciano
abbindolare, io dovrei rispettare la
menzogna e l'inganno. (da Della
religione, in Parerghi e paralipomeni;
citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit,
Mondadori, 1993)
Dio è nella moderna filosofia ciò che
furono gli ultimi re franchi sotto i
majores domus, un vuoto nome che si
conserva per fare più tranquillamente
all'ombra di esso il proprio comodo.
Dio è per i prìncipi lo spauracchio con
cui essi mandano a letto i bambini
grandi quando non c'è più altro che
serva; quindi essi l'hanno in gran
conto. [...] Di più, dopo che cadde in
disuso l'ultima ratio theologorum, quel
mezzo di governo perdette molto della
sua efficacia. Imperocché tu ben sai
che le religioni sono come le lucciole:
per risplendere esse hanno bisogno
dell'oscurità. Un certo grado di
ignoranza generale è la condizione di
tutte le religioni, è il solo elemento nel
quale esse possono vivere.
È fuori di dubbio che le dottrine della
fede – basate sull'autorità, sul
miracolo e sulla rivelazione – sono un
ripiego unicamente adatto all'infanzia
dell'umanità.
Evidentemente è giunta l'ora [...] di
riconoscere, risparmiare e rispettare in
quanto tale l'eterna essenza, che, come
in noi, vive anche in tutti gli animali.
Sappiatelo! Ricordatelo! [...] Bisogna
essere ciechi [...] per non riconoscere
che l'animale, nelle cose essenziali e
principali, è assolutamente la stessa
cosa che siamo noi, e che la differenza
sta soltanto nelle cose accidentali,
nell'intelletto, ma non nella sostanza,
che è la volontà. Il mondo non è
un'opera raffazzonata, né gli animali
sono prodotti di fabbrica per nostro
uso e consumo.[22]
Già dalla sua conformazione fisica si
capisce che la donna non è fatta per
grandi lavori materiali né intellettuali.
La colpa del vivere essa non la sconta
agendo, ma soffrendo: con i dolori del
parto, con l'affanno per i figli, con la
sottomissione all'uomo. (da Sulle
donne, in Parerghi e paralipomeni;
citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit,
Mondadori, 1993)
Gli animali sono, assai più di noi,
soddisfatti per il semplice fatto di
esistere; le piante lo sono interamente;
gli uomini lo sono secondo il grado
della loro stupidità. [...] Questa
dedizione totale al presente, propria
degli animali, è la precipua causa del
piacere che ci danno gli animali
domestici.
I cristiani sono ammaestrati a farsi il
segno della croce in certe occasioni, a
inchinarsi e cosi via; del resto la
religione è, in genere, il vero capolavoro
dell'ammaestramento.
I porcospini stanno bene vicini, ma non
troppo. (da Parerga e Paralipomena, II,
2, cap. 30, 396)
In fondo al cuore le donne pensano
che compito dell'uomo è guadagnare
soldi, e compito loro spenderli. (da
Parerga e Paralipomena)
In nessuna cosa si deve tanto
distinguere fra il nocciolo e il guscio
quanto nel cristianesimo. Appunto
perché io desidero il nocciolo, ne
spezzo talvolta il guscio.
Io so bene che mi sentirò ripetere che
la mia filosofia è disperata; ma solo
perché io parlo secondo verità, e gli
uomini vogliono sentire invece le lodi
di Dio che ha ordinato il tutto secondo
il meglio. Ma allora andate in chiesa e
lasciate i filosofi in pace.
Ho dovuto sopportare molti biasimi,
per il fatto di aver presentato nella mia
filosofia, teoricamente cioè, la vita
come dolorosa e per nulla desiderabile:
tuttavia chi mette in mostra
praticamente il più deciso disprezzo
per la medesima è lodato, anzi
ammirato, mentre chi si sforza
accuratamente di conservarla viene
disprezzato.
L'antichità si presenta a noi rivestita di
tanta innocenza unicamente per il fatto
che essa non conobbe il cristianesimo.
L'intolleranza è unicamente essenziale
al monoteismo: un dio unico è, per la
sua natura, un dio geloso, che non
soffre l'esistenza di alcun altro dio.
L'uomo è in fondo un animale
selvaggio e feroce. Noi lo conosciamo
solo in quello stato di ammansamento
e di domesticità che è detto civiltà:
perciò ci spaventano le rare esplosioni
della sua vera natura. Ma fate che
vengano tolte le catene dell'ordine
legale, e nell'anarchia l'uomo si
mostrerà quale esso è.
La cortesia è per la natura umana
quello che è il calore per la cera. (da
Parerga e Paralipomena)
«La morte venne nel mondo per il
peccato», dice il cristianesimo. Ma la
morte è puramente l'espressione
cruda, stridente e portata al suo
eccesso, di ciò che il mondo è
nell'essenza sua. Onde è più conforme
al vero dire: il mondo è per il peccato.
La religione può dunque venir
paragonata ad uno che prende per
mano un cieco e lo guida dove questi
non può vedere, nel qual caso
l'essenziale è che il cieco raggiunga la
propria meta, e non ch'egli veda ogni
cosa.[...] Questo è infatti l'aspetto più
brillante della religione. Se essa è una
frode, non si può negare che non sia
una pia fraus. E in tal caso i sacerdoti
sono uno strano quid medium tra i
ciurmatori e i moralisti.
La verità quando è nuda è più bella.
Le guerre di religione, i massacri
religiosi, le crociate, l'inquisizione con
gli altri tribunali per gli eretici, lo
sterminio della popolazione originaria
dell'America e la sostituzione di essa
con schiavi africani – furono frutti del
cristianesimo, e nulla di analogo o di
equivalente ci è offerto dagli antichi.
Le religioni sanno di rivolgersi non già
alla convinzione con delle ragioni,
bensì alla fede con delle rivelazioni.
L'età più propizia per queste ultime è la
fanciullezza; per conseguenza esse
hanno soprattutto cura di impadronirsi
di questa tenera età. Con questo
mezzo, ancor più che con minacce o
con narrazioni di prodigi, si riesce a
radicare profondamente le dottrine
della fede.
Nei secoli passati la religione era una
foresta dietro la quale potevano tenersi
e nascondersi gli eserciti. Ora, dopo
tanti tagli, è appena più una macchia
dietro cui possono talvolta appiattarsi
dei furfanti. Bisogna quindi guardarsi
da quelli che la tirano in ballo ad ogni
occasione, e risponder loro col
proverbio sopra citato: «Detrás de la
cruz está el Diablo»[23]
Nelle persone di capacità limitate la
modestia è semplice onestà, ma in chi
possiede un grande talento è ipocrisia.
(da Parerga e paralipomena; citato in
Elena Spagnol, Citazioni, Garzanti,
2003)
Oggi si stanno formando dovunque in
Europa e in America, delle società di
protezione degli animali, le quali
sarebbero per tutta l'Asia incirconcisa
la cosa più superflua del mondo,
essendoché ivi la religione protegge
sufficientemente gli animali e li fa anzi
oggetto di beneficenza positiva [...]. Si
veda invece con quale inaudita
malvagità la nostra plebe cristiana si
comporta verso gli animali, uccidendoli
senza scopo ed anche solo per
sollazzo, mutilandoli o martirizzandoli,
non esclusi quelli da cui essa ricava il
suo principale nutrimento [...]. Ben si
potrebbe dire che gli uomini sono i
demoni della terra e gli animali le
anime tormentate. (1981, p. 298)
Ogni animale ha il suo intelletto
evidentemente solo allo scopo di
trovare e procacciarsi il cibo, e
secondo ciò è anche determinata la
misura del suo intelletto. Non
altrimenti stanno le cose per l'uomo;
solo che la maggiore difficoltà della
sua conservazione e l'infinita
moltiplicabilità dei suoi bisogni ha reso
necessaria una misura maggiore di
intelletto. Soltanto quando questa
misura viene superata, per una
anormalità, si ha un'eccedenza
assolutamente esente dal servizio
della volontà, che, se è considerevole,
si chiama genio. Per questa ragione
soltanto un tale intelletto diventa
dapprima oggettivo; ma può avvenire
che, a un certo grado, diventi anche
metafisico, o per lo meno aspiri a
esserlo. Infatti, proprio in conseguenza
della sua oggettività, la natura stessa,
la totalità delle cose, diventa il suo
oggetto e il suo problema. Soltanto in
lui, cioè, la natura comincia a
percepirsi proprio come qualcosa che
è, e pur tuttavia potrebbe anche essere
diversamente; mentre, nell'intelletto
comune, normale, la natura non si
percepisce chiaramente – come il
mugnaio non ode il rumore della
macina, o il profumiere non sente il
profumo del suo negozio. Sembra per
lui una cosa pacifica: ne è prigioniero.
Solo in certi momenti più chiari la
percepisce, e quasi se ne spaventa: ma
si rassegna ben presto. È facile vedere
che cosa questi cervelli normali
possono dare in filosofia, anche
quando si riuniscono in grandi masse.
Se invece l'intelletto fosse metafisico
per origine e destinazione, essi
potrebbero, specialmente unendo le
loro forze, promuovere la filosofia
come ogni altra scienza. [24]
Ogni uomo prende i limiti del proprio
campo visivo per i limiti del mondo.
Per un periodo di 1800 anni la religione
ha posto la museruola alla ragione. Il
compito dei professori di filosofia è
quello di camuffare da filosofia tutta la
mitologia ebraica.
Quale insidiosa ed astuta insinuazione
nella parola «ateismo»! Come se il
teismo fosse la cosa più naturale del
mondo.
Quando il mondo sarà divenuto tanto
onesto da non impartire alcuna
istruzione religiosa ai fanciulli prima
dei quindici anni, si potrà sperarne
qualcosa.
Se Dio ha fatto questo mondo, io non
vorrei essere Dio; l'estrema miseria del
mondo mi dilanierebbe il cuore.
Solo la luce che uno accende a se
stesso, risplende in seguito anche per
gli altri. (da Parerga e Paralipomena,
volume I, Adelphi)
Tu puoi costantemente osservare che
la fede e la scienza si mantengono
come i due piattelli di una bilancia:
quanto più l'uno s'innalza, tanto più
l'altro si abbassa.
Una compagnia di porcospini, in una
fredda giornata d'inverno, si strinsero
vicini, vicini, per evitare, col calore
reciproco, di rimanere assiderati. Ben
presto, però, sentirono gli aculei l'uno
dell'altro; il dolore li costrinse ad
allontanarsi di nuovo. Quando poi il
bisogno di riscaldarsi li portò ancora a
stare insieme, si ripeté il precedente
inconveniente; di modo che venivano
sballottati fra due mali, finché non
trovarono una moderata distanza
reciproca, che rappresentava per loro
la migliore posizione. (da Parerga e
Paralipomena, Boringhieri, Torino,
1963, pp. 1395-1396)
Verrà il tempo in cui la dottrina di un
Dio-creatore sarà in metafisica
riguardata come ora in astronomia
quella degli epicicli.
Vi è dunque, nel cuore di ogni uomo,
una belva, che attende solo il momento
propizio per scatenarsi e infuriare
contro gli altri. (Parerga, II)

Speculazione trascendente
sull'apparente disegno
intenzionale nel destino
dell'individuo
[Sulla sincronicità] A comprendere
meglio la cosa può servire la seguente
considerazione generale. "Causale"
accenna a un incontro nel tempo gli
elementi non collegati causalmente.
Non vi è nulla però di assolutamente
casuale, e anche ciò che sembra
massimamente tale non è altro se non
qualcosa di necessario, che si realizza
in modo attenuato. Delle cause
determinate, per quanto lontane nella
catena causale, hanno già da lungo
tempo stabilito necessariamente che
esso doveva verificarsi proprio ora, e
contemporaneamente a quell'altra
cosa. Ogni avvenimento cioè è un
termine particolare di una catena di
cause degli effetti, procedente nella
direzione del tempo. (Parerga e
paralipomena, Adelphi, 1981 pp. 296 e
297)
[Sulla sincronicità] La tendenza
dell'uomo a prendere gli auspici, [...] il
suo aprir la Bibbia, i suoi giochi di
carte, le sue colate di piombo e il suo
contemplare il sentimento del caffè,
eccetera, testimoniano la sua
convinzione, contrastante a ogni
fondamento razionale, che sia in
qualche modo possibile riconoscere
da quanto è presente e sta dinanzi agli
occhi ciò che è nascosto nello spazio o
nel tempo, ossia ciò che è lontano o
futuro, che si possa da quello dedurre
questo, se soltanto si possiede la vera
chiave del cifrario. (ivi, p. 299)

Incipit di alcune opere


L'arte di farsi rispettare

L'onore è un sentimento che, sorgendo


dal profondo e con frequenza quotidiana,
è a tutti ben noto e assai familiare. Ma
alle persone in qualche misura inclini e
portate al pensiero astratto potrebbe
essere gradito fissarlo e riconsiderarlo
una buona volta in concetti chiari nello
specchio neutro della riflessione.
[Arthur Schopenhauer, L'arte di farsi
rispettare ovvero trattato sull'onore, a
cura e con un saggio di Franco Volpi,
Adelphi, Milano, 1998]

Saggio sulle apparizioni di


spiriti

Gli spettri, nell'ultra-assennato secolo


scorso, sono stati non tanto banditi
quanto disprezzati, come una volta la
magia. In Germania tuttavia sono stati
riabilitati, negli ultimi venticinque anni, e
forse non a torto.
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit,
Mondadori, 1993]

Citazioni su Arthur
Schopenhauer
Desidero mostrare quanto sia difficile
e allo stesso tempo urgente continuare
la battaglia di Schopenhauer contro
quel vaniloquio [di Hegel] insulso e
piatto... Bisognerebbe aiutare almeno
la nuova generazione ad affrancarsi da
quella truffa intellettuale, la più grande,
forse, nella storia della civiltà e della
lotta contro i nemici. Sarà forse tale
generazione a esaudire la speranza di
Schopenhauer, che, nel 1840,
affermava: "Questa colossale
mistificazione è destinata a fornire ai
posteri un argomento inesauribile di
scherno nei riguardi della nostra
epoca". La farsa hegeliana ha fatto
abbastanza danni. Dobbiamo mettervi
fine. Dobbiamo parlare – a rischio,
magari, di insudiciarci a contatto con
quella vergognosa mistificazione, che,
purtroppo senza successo, fu così
chiaramente smascherata cento anni
or sono. Troppi filosofi hanno ignorato
gli ammonimenti instancabilmente
ripetuti da Schopenhauer; e li
ignoravano non tanto a proprio danno
(perché a loro non andava poi troppo
male) quanto a danno dei loro
discepoli e a danno dell'umanità. (Karl
Popper)
Di Schopenhauer, quel misantropo che
amava i cagnolini, si potrebbe quasi
dire che lui ed il suo cane (il sovrano in
carica del momento) formavano una
società a sé. (David George Ritchie)
Hegel ebbe molti ammiratori: Arthur
Schopenhauer non era uno di loro.
Anzi, pensava che Hegel non fosse
neppure un filosofo, perché gli
mancavano, secondo lui, serietà e
sincerità nell'approccio alla materia.
Per quanto lo riguardava, la filosofia di
Hegel era una stupidaggine. Hegel, per
parte sua, definì Schopenhauer
«ripugnante e ignorante». (Nigel
Warburton)
Il modo, in cui vengono trattati gli
animali da una nazione, è la misura
principale della civiltà di questa. I
popoli latini, si sa, sostengono male
questa prova; noi Tedeschi non
abbastanza bene.
In ciò il Buddismo ha influito più del
Cristianesimo, e Schopenhauer più di
tutti gli altri antichi e moderni filosofi.
La calorosa simpatia verso la natura
sensibile, dalla quale sono
compenetrati tutti i suoi scritti, è uno
dei lati più gradevoli della filosofia di
Schopenhauer, tanto ingegnosa, ma in
molti punti anche malsana e poco
proficua. (David Friedrich Strauß)
Il sistema di Schopenhauer è un
adattamento di quello di Kant [...].
Schopenhauer conservò la cosa-in-sé,
ma la identificò con la volontà.
(Bertrand Russell)
Il vangelo schopenhaueriano della
rinuncia non è molto coerente né molto
sincero. [...] E neppure è sincera la sua
dottrina, se ci è lecito giudicare dalla
vita di Schopenhauer. Abitualmente
pranzava bene, ad un buon ristorante;
ebbe molti amori triviali, sensuali, ma
non appassionati; era eccezionalmente
litigioso ed avaro fuori dal comune.
Una volta lo annoiava una cucitrice di
una certa età che stava chiacchierando
con una amica fuori della porta del suo
appartamento. Egli la gettò giù dalle
scale, causandole lesioni permanenti.
Ella ottenne una sentenza che lo
costringeva a pagarle una certa
somma (15 talleri) ogni trimestre
finché viveva. Quando alfine ella morì,
dopo 20 anni, Schopenhauer annotò
nel suo libro dei conti: «Obit anus, abit
onus».[25] È difficile trovare nella sua
vita prove di una qualunque virtù,
tranne l'amore per gli animali, che
spinse fino al punto di opporsi alla
vivisezione nell'interesse della scienza.
Sotto tutti gli altri aspetti era un
completo egoista. È difficile credere
che un uomo profondamente convinto
della virtù dell'ascetismo e della
rassegnazione non abbia mai fatto
nessun tentativo d'applicare nella
pratica le sue convinzioni. (Bertrand
Russell)
Non era bello: gli sciocchi avrebbero
potuto definirlo piuttosto brutto. Ma
appariva grandioso, se si capiva
l'espressione della sua bellezza
interiore. Allora non si poteva staccare
lo sguardo da lui, non ci si poteva
sottrarre alla forza e al potere della sua
affascinante personalità. E come
parlava!
Chi non l'ha mai sentito parlare non
può farsene un'idea. Certo, ci sono
alcuni che parlano bene e in maniera
vivace; ma il suo discorso era unico,
era la vita stessa. Sapeva metterci la
più profonda serietà e la più grande
bellezza; e ogni argomento da lui
trattato acquistava una nuova
colorazione, acquistava carattere e
contenuto mediante la sua parola e il
suo modo di vedere. A chi sapeva
qualche cosa di filosofia, le sue
cristalline esposizioni riuscivano
comprensibili. Il suo modo di
colloquiare dava un'impressione di
classicità: certamente gli antichi saggi,
esperti nell'arte della conversazione,
avevano parlato come Schopenhauer.
Possedeva una memoria straordinaria
e la facoltà di entusiasmarsi. In breve,
la sua parola parlata era all'altezza di
quella scritta; e il discepolo, che lo
avvicinava per la prima volta, era pieno
di stupefatta ammirazione.[26] (Adam
Ludwing von Doß)

Francesco De Sanctis

Leopardi e Schopenhauer sono una


cosa. Quasi nello stesso tempo l'uno
creava la metafisica e l'altro la poesia
del dolore. Leopardi vedeva il mondo
così, e non sapeva il perché. Arcano è
tutto fuorché il nostro dolor. Il perché
l'ha trovato Schopenhauer con la
scoperta del Wille.
Leopardi s'incontra ne' punti
sostanziali della sua dottrina con
Schopenhauer; ma gli sta di sotto per
molti rispetti. Primamente Leopardi è
poeta; e gli uomini comunemente non
prestano fede ad una dottrina esposta
in versi; ché i poeti hanno voce di
mentitori.
Schopenhauer dev'essere un testone;
ha capito una gran verità, che a
propagare una dottrina bisogna innanzi
tutto render filosofica la spada.
Schopenhauer è un ingegno fuori del
comune; lucido, rapido, caldo e spesso
acuto; aggiungi una non ordinaria
dottrina. E se non puoi approvare tutt'i
suoi giudizii, ti abbatti qua e là in molte
cose peregrine, acquisti svariate
conoscenze, e passi il tempo con tuo
grande diletto: ché è piacevolissimo a
leggere. Leopardi ragiona col senso
comune, dimostra così alla buona
come gli viene, non pensa a fare
effetto, è troppo modesto, troppo
sobrio. Lo squallore della vita che
volea rappresentare si riflette come in
uno specchio in quella scarna prosa; il
suo stile è come il suo mondo, un
deserto inamabile dove invano cerchi
un fiore. Schopenhauer, al contrario,
quando se gli scioglie lo
scilinguagnolo, non sa tenersi; è
copioso, fiorito, vivace, allegro; gode
annunziarti verità amarissime.

Note
1. Citato in Guido Almansi, Il filosofo
portatile, TEA, Milano, 1991.
2. Citato in Albert Einstein, Come io vedo
il mondo.
3. Citato in Ditadi 1994, p. 196.
4. In India, our religions will never at any
time take root; the ancient wisdom of the
human race will not be supplanted by the
events in Galilee. On the contrary, Indian
wisdom flows back to Europe, and will
produce a fundamental change in our
knowledge and thought. (da The World as
Will and Representation, volume I, & 63
pp. 356-357; citato in A Tribute to
Hinduism )
5. Da una lettera da Firenze del 29 ottobre
1822.
6. Da L'arte di essere felice, Adelphi.
7. Da Manoscritti, 1815.
8. Citato in La saggezza indiana, a cura di
Gabriele Mandel, Rusconi, 1999.
9. Da Il primato della volontà, a cura di
Giovanni Gurisatti, Adelphi, Milano, 2002,
p. 94.
10. Da una confidenza a Malwida von
Meysenbug; citato in Rüdiger Safranski,
Schopenhauer e gli anni selvaggi della
filosofia, traduzione di L. Crescenzi,
editore Tea, Milano, 2008; citato in Fausto
Pellecchia, Le donne di Schopenhauer ,
Uncommons.it.
11. Da Der handschriftliche Nachlass,
hrsg. von A. Hübscher, 5 voll., Frankfurt
am Main 1966-68, vol. 4, II, p. 23.
12. Da O si pensa o si crede.
13. Da Der Handschriftliche Nachlass, vol.
III, Manoscritti 1818-1830, p. 643, DTV,
München-Zürich 1985.
14. Da Der Handschriftliche Nachlass, vol.
I, Manoscritti 1804-1818, p. 462, DTV,
München-Zürich 1985.
15. Cfr. Michela Vittoria Brambilla,
Manifesto animalista, Edizioni Mondadori,
2012, p. 42 . ISBN 8852032509
16. Cfr. Arthur Schopenhauer, Parerga e
paralipomena, a cura di Giorgio Colli, gli
Adelphi, 1998, 4ª ediz., tomo secondo, p.
111. ISBN 88-459-1422-4
17. Citato in Dizionario delle citazioni, a
cura di Ettore Barelli e Sergio
Pennacchietti, BUR, 2013
18. Da La saggezza della vita, Newton
Compton Editori, 2012, p. 172 . ISBN
8854142840
19. Citato in Vincenzo Cicero,
Introduzione a «La nascita dell'estetica
moderna da Kant a Schopenhauer»,
Colonna Edizioni, Milano 2002; traduzione
di Vincenzo Cicero.
20. Citato in Grande Antologia Filosofica,
Milano, Marzorati, 1971, vol. XIX, pp. 602-
603.
21. Citato in Ditadi 1994, p. 795.
22. Citato in Ditadi 1994, p. 794.
23. Traduzione: «Dietro la croce v'è il
Diavolo».
24. Da Alcune considerazioni sul
contrasto; in Parerga e paralipomena,
Adelphi, § 67, pp. 128-129.
25. «La vecchia muore, il debito cessa».
26. Citato in Anacleto Verrecchia,
Colloqui, p. 122.

Bibliografia
Gino Ditadi, I filosofi e gli animali,
Isonomia editrice, Este, 1994. ISBN 88-
85944-12-4
Arthur Schopenhauer, Aforismi sulla
saggezza nella vita , traduzione di
Oscar Chilesotti, Fratelli Dumolard,
Milano, 1885.
Arthur Schopenhauer, Il fondamento
della morale, traduzione di Ervino
Pocar, Laterza, Roma-Bari, 1981.
Arthur Schopenhauer, Il mondo come
volontà e rappresentazione , traduzione
di Paolo Savj-Lopez e Giuseppe De
Lorenzo, Editori Laterza, Roma, Bari,
1991. ISBN 8842020796
Arthur Schopenhauer, Il mondo come
volontà e rappresentazione, traduzione
di A. Vigliani, Mursia, Milano, 1982.
Arthur Schopenhauer, L'arte di farsi
rispettare, traduzione di Franco Volpi,
Adelphi.
Arthur Schopenhauer, L'arte di insultare,
traduzione di Franco Volpi, Adelphi,
1999.
Arthur Schopenhauer, Parerga e
Frammenti postumi, traduzione di Piero
Martinetti, Mursia, Milano, 1981.
Arthur Schopenhauer, Parerga e
paralipomena, a cura di Giorgio Colli,
Adelphi, 2003. ISBN 8845914224

Altri progetti
Wikipedia contiene una voce
riguardante Arthur Schopenhauer
Wikisource contiene una pagina
dedicata a Arthur Schopenhauer
Commons contiene immagini o altri
file su Arthur Schopenhauer

Opere

  Il mondo come volontà e


rappresentazione (1819)
  L'arte di ottenere ragione (postumo)
  L'arte di trattare le donne (1851)
  Parerga e paralipomena (1851)
  Sulla quadruplice radice del principio
di ragion sufficiente (1813)

Estratto da "https://it.wikiquote.org/w/index.php?
title=Arthur_Schopenhauer&oldid=933690"

Ultima modifica 4 mesi fa di Spino…


Il contenuto è disponibile in base alla licenza CC
BY-SA 3.0 , se non diversamente specificato.

Potrebbero piacerti anche