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Arthur
Schopenhauer
Filosofo tedesco
Arthur Schopenhauer
Attribuite
Citazioni
A. Vigliani
L'arte di insultare
Clio, la musa della storia, è tutta
quanta infetta di menzogne, come una
prostituta di sifilide.
Alla fine tutti quanti siamo e restiamo
soli.
È forse impossibile trovare una donna
veramente sincera, che non finga. Ma
per la stessa ragione le donne
scoprono facilmente la finzione altrui,
e non è consigliabile tentare di
ricorrervi nei loro riguardi.
Gli amici si dicono sinceri, ma in realtà
sinceri sono i nemici.
Gli amici si dicono sinceri, i nemici lo
sono: per cui bisognerebbe utilizzare il
loro biasimo per la conoscenza di se
stessi, come una medicina amara.
La giovinezza senza la bellezza ha pur
sempre del fascino; la bellezza senza
la giovinezza non ne ha alcuno.
Le altre parti del mondo hanno le
scimmie; l'Europa ha i francesi. La
cosa si compensa.
Se le altre parti del mondo hanno le
scimmie, l'Europa ha i francesi. (da Il
mondo come volontà e
rappresentazione)
Non v'è rosa senza spine, ma vi sono
parecchie spine senza rose!
Quando studiavo a Gottingen il
professor Blumenbach ci parlò molto
seriamente, nel corso di fisiologia,
degli orrori delle vivisezioni e ci fece
notare come esse fossero una cosa
crudele e orribile... Invece oggi ogni
medicastro si crede autorizzato a
effettuare nella sua stanza delle
torture gli atti più crudeli nei confronti
delle bestie [...]. Nessuno è autorizzato
a effettuare vivisezioni...
[Riferendosi ad Hegel] Sciupatore di
carta, di tempo e di cervelli.
Si ha pietà di un peccatore, di un
malfattore, ma non di un innocente e
fedele animale che spesso procura il
pane al suo padrone e non riceve che
misero foraggio. «Aver pietà»! Non già
pietà, ma giustizia si deve all'animale!
Si possono conoscere i filosofi solo
attraverso le loro opere, e in nessun
modo con esposizioni di seconda
mano.
Una grande quantità di cattivi scrittori
vive unicamente della stoltezza del
pubblico, che non vuole leggere se non
ciò che è stato stampato il giorno
stesso: sono i giornalisti. Il nome
coglie nel segno! Si dovrebbe dire:
"operaio pagato alla giornata".
Ogni miserabile babbeo, che non abbia
al mondo nulla di cui poter essere
orgoglioso, si appiglia all'ultima risorsa
per esserlo, cioè alla nazione cui
appartiene: in tal modo egli si rinfranca
ed è ora pieno di gratitudine e pronto a
difendere con le unghie e con i denti
tutti i difetti e tutte le stoltezze
caratteristiche di quella nazione.
Tutti i giornalisti sono, per via del
mestiere che fanno, degli allarmisti: è il
loro modo di rendersi interessanti. Essi
somigliano in ciò a dei botoli che,
appena sentono un rumore, si mettono
ad abbaiare forte. Bisogna perciò
badare ai loro squilli d'allarme solo
quel tanto che non guasti la
digestione.
Nel 1857 è comparsa la quinta
edizione di un libro adoperato
all'università: Notions élémentairesde
grammaire comparée, pour servir à
l'étude des trois langues classiques,
rédigé sur l'invitation du ministre de
l'lnstruction publique, par Egger,
membre de l'lnstitut, eccetera. E, invero
– credite posteri! [Orazio, Carmina, 11,
19, 21 - la terza lingua classica di cui si
parla è... la francese. Dunque questo
miserrimo gergo romanzo, questa
pessima mutilazione di parole latine,
questa lingua che dovrebbe guardare
con profondo rispetto alla sua più
antica e assai più nobile sorella,
l'italiano, questa lingua che ha come
esclusiva peculiarità il disgustoso
suono nasale, en, un, un, come pure il
singhiozzante accento così
indicibilmente ripugnante sull'ultima
sillaba, mentre tutte le altre lingue
hanno la penultima lunga, che produce
un effetto così delicato e pacato,
questa lingua, nella quale non esiste
metro ma soltanto la rima, per lo più in
é o on, costituisce la forma della
poesia: questa lingua meschina viene
qui posta come langue classique
accanto al greco e al latino! Invoco il
biasimo dell'Europa tutta per umiliare
questi spudoratissimi fanfaroni.
Preso sensu proprio il dogma diventa
rivoltante. Esso, infatti, prevedendo le
eterne torture dell'inferno, fa scontare
con pene senza fine qualche fallo o
persino la mancanza di fede di una vita
che spesso non giunge neppure a
vent'anni; in più vi è il fatto che questa
dannazione quasi universale è in realtà
la conseguenza del peccato originale e
quindi il risultato inevitabile della prima
caduta dell'uomo. Ma questa caduta
avrebbe dovuto, in ogni caso, essere
prevista da colui che in primo luogo
non ha creato gli uomini migliori di
quello che sono, e poi ha loro
apprestato un tranello, pur sapendo
che vi sarebbero caduti, poiché tutto
era opera sua e nulla gli rimane
nascosto. Secondo questo dogma egli
avrebbe chiamato dal nulla
all'esistenza un genere umano debole
e soggetto al peccato per poi
condannarlo a torture senza fine.
Inoltre c'è da aggiungere che il Dio che
prescrive l'indulgenza e il perdono di
ogni colpa fino a giungere all'amore
per i nemici non manifesta simili
sentimenti, bensì cade in sentimenti
opposti; perché un castigo che
subentra alla fine delle cose, quando
tutto è passato e concluso, non può
avere per scopo né il miglioramento né
l'intimorimento: è, dunque, soltanto
vendetta. Visto così, sembra persino
che l'intero genere umano sia stato in
realtà destinato e creato apposta per
l'eterna tortura e dannazione – tranne
quelle poche eccezioni che, non si sa
perché, sono state salvate mediante la
predestinazione, per grazia di Dio. A
parte queste eccezioni, risulta come se
il buon Dio avesse creato il mondo
affinché il diavolo se lo pigliasse; onde
egli avrebbe fatto assai meglio se vi
avesse rinunciato.
Leggere significa pensare con la testa
altrui invece che con la propria. Il
furore di leggere libri della maggior
parte dei dotti è una specie di fuga
vacui, un fuggire dal vuoto di pensiero
dei loro cervelli, che attira dentro a
forza sostanza estranea: per avere
pensieri devono leggerli altrove, come i
corpi inanimati ricevono il movimento
solo dall'esterno, mentre coloro che
sono dotati di pensiero proprio sono
come i corpi viventi che si muovono da
sé.
L'arte di non leggere è molto
importante. Essa consiste nel non
prendere in mano quello che di volta in
volta il vasto pubblico sta leggendo,
come per esempio libelli politici e
letterari, romanzi, poesie e simili cose,
che fanno chiasso appunto in quel
dato momento e raggiungono perfino
parecchie edizioni nel loro primo e
ultimo anno di vita. Pretendere che un
individuo ritenga tutto quanto ha letto
è come esigere che porti ancora dentro
di sé tutto quanto ha mangiato.
Le persone che hanno passato la vita
leggendo e hanno attinto la loro
sapienza dai libri somigliano a coloro
che, da un gran numero di descrizioni
di viaggi, hanno acquistato la
conoscenza precisa di un paese.
Queste persone riescono a comunicare
notizie su molte cose; ma, in fondo,
non hanno una conoscenza coerente,
chiara e profonda circa la natura di
quel paese.
Sarebbe bene comprare libri, se
insieme si potesse comprare il tempo
per leggerli, ma di solito si scambia
l'acquisto di libri per l'acquisizione del
loro contenuto.
È mia opinione – e la dico qui di
sfuggita – che il colore bianco della
pelle non sia naturale all'uomo, il quale,
per natura, ha invece la pelle nera o
scura, come i nostri antenati, gli indu.
Di conseguenza, dal grembo della
natura non è mai nato originariamente
un uomo bianco, e quindi non esiste
una razza bianca, benché se ne parli
tanto: ogni uomo bianco è solamente
un uomo scolorito.
Le religioni sono figlie dell'ignoranza,
che non sopravvivono a lungo alla loro
madre. L'ha capito Omar quando fece
incendiare la biblioteca di Alessandria.
Il sigaro è per l'uomo limitato un
gradito surrogato dei pensieri.
Il medico vede l'uomo in tutta la sua
debolezza; il giurista in tutta la sua
malvagità; il teologo in tutta la sua
stupidità.
[Riferito ad Hegel] No, quello che
vedete non è un'aquila, guardategli le
orecchie. (p. 76)
Citazioni
Parerga e Frammenti
postumi
Bisogna che anche in Europa,
finalmente, si imponga una verità [...]
che non può essere più a lungo celata:
che, cioè, gli animali in tutti gli aspetti
principali ed essenziali sono
esattamente la stessa cosa che noi, e
che la differenza risiede soltanto nel
grado di intelligenza [...]. Infatti,
soltanto quando nel popolo sarà
penetrata quella convinzione, così
semplice e che non ammette nessun
dubbio, gli animali non
rappresenteranno più esseri privi di
ogni diritto [...].[21]
Che cosa rende filosofi? Il coraggio di
non serbare nel proprio cuore alcuna
domanda. (da Sulla filosofia e il suo
metodo, in Parerga e Paralipomena)
Chi ama la verità odia gli dèi, così al
singolare come al plurale.
Dal momento che l'ultima ratio
theologorum, cioè il rogo, non è più di
moda, sarebbe un poltrone colui che
usasse ancora tanti riguardi con la
menzogna e l'impostura.
Demofele — Detto tra noi non mi piace,
mio caro amico, che dall'alto della tua
filosofia tu ti prenda gioco della
religione e a volte, anzi, la schernisca
apertamente. Per ciascuno la sua fede
è sacra, e dovrebbe esserlo anche per
te.
Filalete — Nego consequentiam! Non
vedo perché, se altri si lasciano
abbindolare, io dovrei rispettare la
menzogna e l'inganno. (da Della
religione, in Parerghi e paralipomeni;
citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit,
Mondadori, 1993)
Dio è nella moderna filosofia ciò che
furono gli ultimi re franchi sotto i
majores domus, un vuoto nome che si
conserva per fare più tranquillamente
all'ombra di esso il proprio comodo.
Dio è per i prìncipi lo spauracchio con
cui essi mandano a letto i bambini
grandi quando non c'è più altro che
serva; quindi essi l'hanno in gran
conto. [...] Di più, dopo che cadde in
disuso l'ultima ratio theologorum, quel
mezzo di governo perdette molto della
sua efficacia. Imperocché tu ben sai
che le religioni sono come le lucciole:
per risplendere esse hanno bisogno
dell'oscurità. Un certo grado di
ignoranza generale è la condizione di
tutte le religioni, è il solo elemento nel
quale esse possono vivere.
È fuori di dubbio che le dottrine della
fede – basate sull'autorità, sul
miracolo e sulla rivelazione – sono un
ripiego unicamente adatto all'infanzia
dell'umanità.
Evidentemente è giunta l'ora [...] di
riconoscere, risparmiare e rispettare in
quanto tale l'eterna essenza, che, come
in noi, vive anche in tutti gli animali.
Sappiatelo! Ricordatelo! [...] Bisogna
essere ciechi [...] per non riconoscere
che l'animale, nelle cose essenziali e
principali, è assolutamente la stessa
cosa che siamo noi, e che la differenza
sta soltanto nelle cose accidentali,
nell'intelletto, ma non nella sostanza,
che è la volontà. Il mondo non è
un'opera raffazzonata, né gli animali
sono prodotti di fabbrica per nostro
uso e consumo.[22]
Già dalla sua conformazione fisica si
capisce che la donna non è fatta per
grandi lavori materiali né intellettuali.
La colpa del vivere essa non la sconta
agendo, ma soffrendo: con i dolori del
parto, con l'affanno per i figli, con la
sottomissione all'uomo. (da Sulle
donne, in Parerghi e paralipomeni;
citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit,
Mondadori, 1993)
Gli animali sono, assai più di noi,
soddisfatti per il semplice fatto di
esistere; le piante lo sono interamente;
gli uomini lo sono secondo il grado
della loro stupidità. [...] Questa
dedizione totale al presente, propria
degli animali, è la precipua causa del
piacere che ci danno gli animali
domestici.
I cristiani sono ammaestrati a farsi il
segno della croce in certe occasioni, a
inchinarsi e cosi via; del resto la
religione è, in genere, il vero capolavoro
dell'ammaestramento.
I porcospini stanno bene vicini, ma non
troppo. (da Parerga e Paralipomena, II,
2, cap. 30, 396)
In fondo al cuore le donne pensano
che compito dell'uomo è guadagnare
soldi, e compito loro spenderli. (da
Parerga e Paralipomena)
In nessuna cosa si deve tanto
distinguere fra il nocciolo e il guscio
quanto nel cristianesimo. Appunto
perché io desidero il nocciolo, ne
spezzo talvolta il guscio.
Io so bene che mi sentirò ripetere che
la mia filosofia è disperata; ma solo
perché io parlo secondo verità, e gli
uomini vogliono sentire invece le lodi
di Dio che ha ordinato il tutto secondo
il meglio. Ma allora andate in chiesa e
lasciate i filosofi in pace.
Ho dovuto sopportare molti biasimi,
per il fatto di aver presentato nella mia
filosofia, teoricamente cioè, la vita
come dolorosa e per nulla desiderabile:
tuttavia chi mette in mostra
praticamente il più deciso disprezzo
per la medesima è lodato, anzi
ammirato, mentre chi si sforza
accuratamente di conservarla viene
disprezzato.
L'antichità si presenta a noi rivestita di
tanta innocenza unicamente per il fatto
che essa non conobbe il cristianesimo.
L'intolleranza è unicamente essenziale
al monoteismo: un dio unico è, per la
sua natura, un dio geloso, che non
soffre l'esistenza di alcun altro dio.
L'uomo è in fondo un animale
selvaggio e feroce. Noi lo conosciamo
solo in quello stato di ammansamento
e di domesticità che è detto civiltà:
perciò ci spaventano le rare esplosioni
della sua vera natura. Ma fate che
vengano tolte le catene dell'ordine
legale, e nell'anarchia l'uomo si
mostrerà quale esso è.
La cortesia è per la natura umana
quello che è il calore per la cera. (da
Parerga e Paralipomena)
«La morte venne nel mondo per il
peccato», dice il cristianesimo. Ma la
morte è puramente l'espressione
cruda, stridente e portata al suo
eccesso, di ciò che il mondo è
nell'essenza sua. Onde è più conforme
al vero dire: il mondo è per il peccato.
La religione può dunque venir
paragonata ad uno che prende per
mano un cieco e lo guida dove questi
non può vedere, nel qual caso
l'essenziale è che il cieco raggiunga la
propria meta, e non ch'egli veda ogni
cosa.[...] Questo è infatti l'aspetto più
brillante della religione. Se essa è una
frode, non si può negare che non sia
una pia fraus. E in tal caso i sacerdoti
sono uno strano quid medium tra i
ciurmatori e i moralisti.
La verità quando è nuda è più bella.
Le guerre di religione, i massacri
religiosi, le crociate, l'inquisizione con
gli altri tribunali per gli eretici, lo
sterminio della popolazione originaria
dell'America e la sostituzione di essa
con schiavi africani – furono frutti del
cristianesimo, e nulla di analogo o di
equivalente ci è offerto dagli antichi.
Le religioni sanno di rivolgersi non già
alla convinzione con delle ragioni,
bensì alla fede con delle rivelazioni.
L'età più propizia per queste ultime è la
fanciullezza; per conseguenza esse
hanno soprattutto cura di impadronirsi
di questa tenera età. Con questo
mezzo, ancor più che con minacce o
con narrazioni di prodigi, si riesce a
radicare profondamente le dottrine
della fede.
Nei secoli passati la religione era una
foresta dietro la quale potevano tenersi
e nascondersi gli eserciti. Ora, dopo
tanti tagli, è appena più una macchia
dietro cui possono talvolta appiattarsi
dei furfanti. Bisogna quindi guardarsi
da quelli che la tirano in ballo ad ogni
occasione, e risponder loro col
proverbio sopra citato: «Detrás de la
cruz está el Diablo»[23]
Nelle persone di capacità limitate la
modestia è semplice onestà, ma in chi
possiede un grande talento è ipocrisia.
(da Parerga e paralipomena; citato in
Elena Spagnol, Citazioni, Garzanti,
2003)
Oggi si stanno formando dovunque in
Europa e in America, delle società di
protezione degli animali, le quali
sarebbero per tutta l'Asia incirconcisa
la cosa più superflua del mondo,
essendoché ivi la religione protegge
sufficientemente gli animali e li fa anzi
oggetto di beneficenza positiva [...]. Si
veda invece con quale inaudita
malvagità la nostra plebe cristiana si
comporta verso gli animali, uccidendoli
senza scopo ed anche solo per
sollazzo, mutilandoli o martirizzandoli,
non esclusi quelli da cui essa ricava il
suo principale nutrimento [...]. Ben si
potrebbe dire che gli uomini sono i
demoni della terra e gli animali le
anime tormentate. (1981, p. 298)
Ogni animale ha il suo intelletto
evidentemente solo allo scopo di
trovare e procacciarsi il cibo, e
secondo ciò è anche determinata la
misura del suo intelletto. Non
altrimenti stanno le cose per l'uomo;
solo che la maggiore difficoltà della
sua conservazione e l'infinita
moltiplicabilità dei suoi bisogni ha reso
necessaria una misura maggiore di
intelletto. Soltanto quando questa
misura viene superata, per una
anormalità, si ha un'eccedenza
assolutamente esente dal servizio
della volontà, che, se è considerevole,
si chiama genio. Per questa ragione
soltanto un tale intelletto diventa
dapprima oggettivo; ma può avvenire
che, a un certo grado, diventi anche
metafisico, o per lo meno aspiri a
esserlo. Infatti, proprio in conseguenza
della sua oggettività, la natura stessa,
la totalità delle cose, diventa il suo
oggetto e il suo problema. Soltanto in
lui, cioè, la natura comincia a
percepirsi proprio come qualcosa che
è, e pur tuttavia potrebbe anche essere
diversamente; mentre, nell'intelletto
comune, normale, la natura non si
percepisce chiaramente – come il
mugnaio non ode il rumore della
macina, o il profumiere non sente il
profumo del suo negozio. Sembra per
lui una cosa pacifica: ne è prigioniero.
Solo in certi momenti più chiari la
percepisce, e quasi se ne spaventa: ma
si rassegna ben presto. È facile vedere
che cosa questi cervelli normali
possono dare in filosofia, anche
quando si riuniscono in grandi masse.
Se invece l'intelletto fosse metafisico
per origine e destinazione, essi
potrebbero, specialmente unendo le
loro forze, promuovere la filosofia
come ogni altra scienza. [24]
Ogni uomo prende i limiti del proprio
campo visivo per i limiti del mondo.
Per un periodo di 1800 anni la religione
ha posto la museruola alla ragione. Il
compito dei professori di filosofia è
quello di camuffare da filosofia tutta la
mitologia ebraica.
Quale insidiosa ed astuta insinuazione
nella parola «ateismo»! Come se il
teismo fosse la cosa più naturale del
mondo.
Quando il mondo sarà divenuto tanto
onesto da non impartire alcuna
istruzione religiosa ai fanciulli prima
dei quindici anni, si potrà sperarne
qualcosa.
Se Dio ha fatto questo mondo, io non
vorrei essere Dio; l'estrema miseria del
mondo mi dilanierebbe il cuore.
Solo la luce che uno accende a se
stesso, risplende in seguito anche per
gli altri. (da Parerga e Paralipomena,
volume I, Adelphi)
Tu puoi costantemente osservare che
la fede e la scienza si mantengono
come i due piattelli di una bilancia:
quanto più l'uno s'innalza, tanto più
l'altro si abbassa.
Una compagnia di porcospini, in una
fredda giornata d'inverno, si strinsero
vicini, vicini, per evitare, col calore
reciproco, di rimanere assiderati. Ben
presto, però, sentirono gli aculei l'uno
dell'altro; il dolore li costrinse ad
allontanarsi di nuovo. Quando poi il
bisogno di riscaldarsi li portò ancora a
stare insieme, si ripeté il precedente
inconveniente; di modo che venivano
sballottati fra due mali, finché non
trovarono una moderata distanza
reciproca, che rappresentava per loro
la migliore posizione. (da Parerga e
Paralipomena, Boringhieri, Torino,
1963, pp. 1395-1396)
Verrà il tempo in cui la dottrina di un
Dio-creatore sarà in metafisica
riguardata come ora in astronomia
quella degli epicicli.
Vi è dunque, nel cuore di ogni uomo,
una belva, che attende solo il momento
propizio per scatenarsi e infuriare
contro gli altri. (Parerga, II)
Speculazione trascendente
sull'apparente disegno
intenzionale nel destino
dell'individuo
[Sulla sincronicità] A comprendere
meglio la cosa può servire la seguente
considerazione generale. "Causale"
accenna a un incontro nel tempo gli
elementi non collegati causalmente.
Non vi è nulla però di assolutamente
casuale, e anche ciò che sembra
massimamente tale non è altro se non
qualcosa di necessario, che si realizza
in modo attenuato. Delle cause
determinate, per quanto lontane nella
catena causale, hanno già da lungo
tempo stabilito necessariamente che
esso doveva verificarsi proprio ora, e
contemporaneamente a quell'altra
cosa. Ogni avvenimento cioè è un
termine particolare di una catena di
cause degli effetti, procedente nella
direzione del tempo. (Parerga e
paralipomena, Adelphi, 1981 pp. 296 e
297)
[Sulla sincronicità] La tendenza
dell'uomo a prendere gli auspici, [...] il
suo aprir la Bibbia, i suoi giochi di
carte, le sue colate di piombo e il suo
contemplare il sentimento del caffè,
eccetera, testimoniano la sua
convinzione, contrastante a ogni
fondamento razionale, che sia in
qualche modo possibile riconoscere
da quanto è presente e sta dinanzi agli
occhi ciò che è nascosto nello spazio o
nel tempo, ossia ciò che è lontano o
futuro, che si possa da quello dedurre
questo, se soltanto si possiede la vera
chiave del cifrario. (ivi, p. 299)
Citazioni su Arthur
Schopenhauer
Desidero mostrare quanto sia difficile
e allo stesso tempo urgente continuare
la battaglia di Schopenhauer contro
quel vaniloquio [di Hegel] insulso e
piatto... Bisognerebbe aiutare almeno
la nuova generazione ad affrancarsi da
quella truffa intellettuale, la più grande,
forse, nella storia della civiltà e della
lotta contro i nemici. Sarà forse tale
generazione a esaudire la speranza di
Schopenhauer, che, nel 1840,
affermava: "Questa colossale
mistificazione è destinata a fornire ai
posteri un argomento inesauribile di
scherno nei riguardi della nostra
epoca". La farsa hegeliana ha fatto
abbastanza danni. Dobbiamo mettervi
fine. Dobbiamo parlare – a rischio,
magari, di insudiciarci a contatto con
quella vergognosa mistificazione, che,
purtroppo senza successo, fu così
chiaramente smascherata cento anni
or sono. Troppi filosofi hanno ignorato
gli ammonimenti instancabilmente
ripetuti da Schopenhauer; e li
ignoravano non tanto a proprio danno
(perché a loro non andava poi troppo
male) quanto a danno dei loro
discepoli e a danno dell'umanità. (Karl
Popper)
Di Schopenhauer, quel misantropo che
amava i cagnolini, si potrebbe quasi
dire che lui ed il suo cane (il sovrano in
carica del momento) formavano una
società a sé. (David George Ritchie)
Hegel ebbe molti ammiratori: Arthur
Schopenhauer non era uno di loro.
Anzi, pensava che Hegel non fosse
neppure un filosofo, perché gli
mancavano, secondo lui, serietà e
sincerità nell'approccio alla materia.
Per quanto lo riguardava, la filosofia di
Hegel era una stupidaggine. Hegel, per
parte sua, definì Schopenhauer
«ripugnante e ignorante». (Nigel
Warburton)
Il modo, in cui vengono trattati gli
animali da una nazione, è la misura
principale della civiltà di questa. I
popoli latini, si sa, sostengono male
questa prova; noi Tedeschi non
abbastanza bene.
In ciò il Buddismo ha influito più del
Cristianesimo, e Schopenhauer più di
tutti gli altri antichi e moderni filosofi.
La calorosa simpatia verso la natura
sensibile, dalla quale sono
compenetrati tutti i suoi scritti, è uno
dei lati più gradevoli della filosofia di
Schopenhauer, tanto ingegnosa, ma in
molti punti anche malsana e poco
proficua. (David Friedrich Strauß)
Il sistema di Schopenhauer è un
adattamento di quello di Kant [...].
Schopenhauer conservò la cosa-in-sé,
ma la identificò con la volontà.
(Bertrand Russell)
Il vangelo schopenhaueriano della
rinuncia non è molto coerente né molto
sincero. [...] E neppure è sincera la sua
dottrina, se ci è lecito giudicare dalla
vita di Schopenhauer. Abitualmente
pranzava bene, ad un buon ristorante;
ebbe molti amori triviali, sensuali, ma
non appassionati; era eccezionalmente
litigioso ed avaro fuori dal comune.
Una volta lo annoiava una cucitrice di
una certa età che stava chiacchierando
con una amica fuori della porta del suo
appartamento. Egli la gettò giù dalle
scale, causandole lesioni permanenti.
Ella ottenne una sentenza che lo
costringeva a pagarle una certa
somma (15 talleri) ogni trimestre
finché viveva. Quando alfine ella morì,
dopo 20 anni, Schopenhauer annotò
nel suo libro dei conti: «Obit anus, abit
onus».[25] È difficile trovare nella sua
vita prove di una qualunque virtù,
tranne l'amore per gli animali, che
spinse fino al punto di opporsi alla
vivisezione nell'interesse della scienza.
Sotto tutti gli altri aspetti era un
completo egoista. È difficile credere
che un uomo profondamente convinto
della virtù dell'ascetismo e della
rassegnazione non abbia mai fatto
nessun tentativo d'applicare nella
pratica le sue convinzioni. (Bertrand
Russell)
Non era bello: gli sciocchi avrebbero
potuto definirlo piuttosto brutto. Ma
appariva grandioso, se si capiva
l'espressione della sua bellezza
interiore. Allora non si poteva staccare
lo sguardo da lui, non ci si poteva
sottrarre alla forza e al potere della sua
affascinante personalità. E come
parlava!
Chi non l'ha mai sentito parlare non
può farsene un'idea. Certo, ci sono
alcuni che parlano bene e in maniera
vivace; ma il suo discorso era unico,
era la vita stessa. Sapeva metterci la
più profonda serietà e la più grande
bellezza; e ogni argomento da lui
trattato acquistava una nuova
colorazione, acquistava carattere e
contenuto mediante la sua parola e il
suo modo di vedere. A chi sapeva
qualche cosa di filosofia, le sue
cristalline esposizioni riuscivano
comprensibili. Il suo modo di
colloquiare dava un'impressione di
classicità: certamente gli antichi saggi,
esperti nell'arte della conversazione,
avevano parlato come Schopenhauer.
Possedeva una memoria straordinaria
e la facoltà di entusiasmarsi. In breve,
la sua parola parlata era all'altezza di
quella scritta; e il discepolo, che lo
avvicinava per la prima volta, era pieno
di stupefatta ammirazione.[26] (Adam
Ludwing von Doß)
Francesco De Sanctis
Note
1. Citato in Guido Almansi, Il filosofo
portatile, TEA, Milano, 1991.
2. Citato in Albert Einstein, Come io vedo
il mondo.
3. Citato in Ditadi 1994, p. 196.
4. In India, our religions will never at any
time take root; the ancient wisdom of the
human race will not be supplanted by the
events in Galilee. On the contrary, Indian
wisdom flows back to Europe, and will
produce a fundamental change in our
knowledge and thought. (da The World as
Will and Representation, volume I, & 63
pp. 356-357; citato in A Tribute to
Hinduism )
5. Da una lettera da Firenze del 29 ottobre
1822.
6. Da L'arte di essere felice, Adelphi.
7. Da Manoscritti, 1815.
8. Citato in La saggezza indiana, a cura di
Gabriele Mandel, Rusconi, 1999.
9. Da Il primato della volontà, a cura di
Giovanni Gurisatti, Adelphi, Milano, 2002,
p. 94.
10. Da una confidenza a Malwida von
Meysenbug; citato in Rüdiger Safranski,
Schopenhauer e gli anni selvaggi della
filosofia, traduzione di L. Crescenzi,
editore Tea, Milano, 2008; citato in Fausto
Pellecchia, Le donne di Schopenhauer ,
Uncommons.it.
11. Da Der handschriftliche Nachlass,
hrsg. von A. Hübscher, 5 voll., Frankfurt
am Main 1966-68, vol. 4, II, p. 23.
12. Da O si pensa o si crede.
13. Da Der Handschriftliche Nachlass, vol.
III, Manoscritti 1818-1830, p. 643, DTV,
München-Zürich 1985.
14. Da Der Handschriftliche Nachlass, vol.
I, Manoscritti 1804-1818, p. 462, DTV,
München-Zürich 1985.
15. Cfr. Michela Vittoria Brambilla,
Manifesto animalista, Edizioni Mondadori,
2012, p. 42 . ISBN 8852032509
16. Cfr. Arthur Schopenhauer, Parerga e
paralipomena, a cura di Giorgio Colli, gli
Adelphi, 1998, 4ª ediz., tomo secondo, p.
111. ISBN 88-459-1422-4
17. Citato in Dizionario delle citazioni, a
cura di Ettore Barelli e Sergio
Pennacchietti, BUR, 2013
18. Da La saggezza della vita, Newton
Compton Editori, 2012, p. 172 . ISBN
8854142840
19. Citato in Vincenzo Cicero,
Introduzione a «La nascita dell'estetica
moderna da Kant a Schopenhauer»,
Colonna Edizioni, Milano 2002; traduzione
di Vincenzo Cicero.
20. Citato in Grande Antologia Filosofica,
Milano, Marzorati, 1971, vol. XIX, pp. 602-
603.
21. Citato in Ditadi 1994, p. 795.
22. Citato in Ditadi 1994, p. 794.
23. Traduzione: «Dietro la croce v'è il
Diavolo».
24. Da Alcune considerazioni sul
contrasto; in Parerga e paralipomena,
Adelphi, § 67, pp. 128-129.
25. «La vecchia muore, il debito cessa».
26. Citato in Anacleto Verrecchia,
Colloqui, p. 122.
Bibliografia
Gino Ditadi, I filosofi e gli animali,
Isonomia editrice, Este, 1994. ISBN 88-
85944-12-4
Arthur Schopenhauer, Aforismi sulla
saggezza nella vita , traduzione di
Oscar Chilesotti, Fratelli Dumolard,
Milano, 1885.
Arthur Schopenhauer, Il fondamento
della morale, traduzione di Ervino
Pocar, Laterza, Roma-Bari, 1981.
Arthur Schopenhauer, Il mondo come
volontà e rappresentazione , traduzione
di Paolo Savj-Lopez e Giuseppe De
Lorenzo, Editori Laterza, Roma, Bari,
1991. ISBN 8842020796
Arthur Schopenhauer, Il mondo come
volontà e rappresentazione, traduzione
di A. Vigliani, Mursia, Milano, 1982.
Arthur Schopenhauer, L'arte di farsi
rispettare, traduzione di Franco Volpi,
Adelphi.
Arthur Schopenhauer, L'arte di insultare,
traduzione di Franco Volpi, Adelphi,
1999.
Arthur Schopenhauer, Parerga e
Frammenti postumi, traduzione di Piero
Martinetti, Mursia, Milano, 1981.
Arthur Schopenhauer, Parerga e
paralipomena, a cura di Giorgio Colli,
Adelphi, 2003. ISBN 8845914224
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