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Arte di ottenere ragione

38 stratagemmi Schopenhauer
Sunto dei 38 stratagemmi consigliati da Schopenhauer al fine di “ottenere ragione”

Conviene conoscerli, per potersene difendere.

1. L’ampliamento o la riduzione. Attacco: interpretare l’affermazione dell’avversario nella portata più


generale possibile, indi confutarla. Difesa: se la propria affermazione si rivela insostenibile, restringerne a
posteriori la portata.

2. Omonimia. Estendere l’affermazione dell’avversario anche a ciò che non ha nulla in comune a parte
un nome simile, indi confutare questa estensione.

3. Relativo e assoluto. Attacco: interpretare una frase relativa come se fosse presentata in modo
assoluto, indi confutarla. Difesa: precisare una propria frase, dapprima presentata in modo assoluto, come
relativa solo a un certo ambito.

4. Premesse in ordine sparso. Si vuole prendere alla sprovvista l’avversario portandolo a una certa
conclusione, perciò gli si fa ammettere in modo cauto e circospetto una premessa per volta, confusamente,
senza che possa capire dove va a parare il discorso fin quando non è troppo tardi.

5. Premesse false. Se l’avversario non accetta le premesse vere, se ne usano di false, magari affini al
suo modo di pensare. Per esempio, se crede in una setta o un’ideologia, si possono usare i principi teorici
del suo credo e rivoltarglieli contro.

6. Petizione di principio. Si postula, in modo occulto e senza farsene accorgere, ciò che si vuole
dimostrare.

7. Metodo socratico. Porre domande all’avversario per poi dedurre la conclusione vincente in base alle
sue stesse affermazioni. È meglio che le domande siano molte e sfiancanti e se serve fuori argomento, così
da confondere l’avversario, mentre la conclusione deve essere rapida – così chi è lento di comprendonio
non si accorge degli errori.

8. Ira. Fare arrabbiare l’avversario, così si diminuisce la sua capacità di ragionare lucidamente.

9. Domande in ordine sparso. Prendere alla sprovvista l’avversario ponendogli le domande non
nell’ordine logico per arrivare a una certa conclusione, ma in modo diverso e confuso. Affine al IV
stratagemma.

10. Domanda al rovescio. Se ci si accorge che l’avversario risponde per principio di no alle domande
rivoltegli, poiché teme che la risposta affermativa gli sarebbe sfavorevole, gli si chiede il contrario della
conclusione voluta in modo che si danneggi da solo, oppure gli sottopongono ambedue le tesi in modo che
non capisca cosa gli conviene rispondere.

11. Induzione occulta. Si vuole ricavare una legge generale da un insieme di casi particolari (= induzione).
L’avversario ammette alcuni casi particolari; piuttosto che chiedergli se ammette anche la legge generale, la
si introduce in seguito nel discorso dandola già per scontata, fingendo che sia già stata concessa, in modo
da ingannare l’avversario e gli ascoltatori disattenti.

12. Nomi favorevoli. Usare parole che hanno già in sé una connotazione, spesso più emotiva che
razionale, positiva di ciò che si vuole sostenere o negativa di ciò che si vuole criticare. Es. la religione può
essere devozione o superstizione; la conoscenza può essere amicizia o nepotismo. Si tratta in effetti di un
caso molto sottile di petizione di principio.

13. Antitesi estrema. Per far accettare all’interlocutore la tesi voluta, gliela si presenta come alternativa
alla tesi opposta che è opportunamente estremizzata ed enfatizzata. In questo modo la tesi voluta appare
più favorevole e ragionevole di quanto in effetti sia. Schopenhauer scrive che “è come il grigio che
accostato al nero si può chiamare bianco, e accostato al bianco si può chiamare nero”.

(osservo che l’equivalente in politica di questo stratagemma è la demonizzazione dell’avversario come il


Nemico Assoluto – dittatore, fascista, etc.)

14. Sfacciataggine. A un certo punto si esclama in modo trionfante che l’avversario con le sue risposte ha
dimostrato la tesi voluta, anche se non è affatto così. L’interlocutore timido e gli ascoltatori disattenti
possono essere ingannati.

15. Paradosso. Se è stata presentata una tesi paradossale che non si riesce a dimostrare, si propone
all’avversario, come se ne fosse la dimostrazione, una tesi giusta anche se non evidente. Se l’avversario
sospetta qualcosa e la respinge, si dimostra il suo errore e si vince la discussione; se invece l’avversario
accetta la tesi giusta, allora “intanto abbiamo detto qualcosa di ragionevole e poi si vedrà” (sic).

16. Accusa di contraddizione. Si cerca una contraddizione, anche apparente, tra due affermazioni
dell’avversario, o tra una sua affermazione e il suo atteggiamento. “In un modo o nell’altro si riuscirà ben a
cavar fuori un raggiro”.

17. Distinzione a posteriori. Se l’avversario incalza con una controargomentazione a un’affermazione


precedente, si cerca di interpretare la tale affermazione in modo diverso. “Io ho detto la frase A, ma non
intendevo il significato X, bensì il significato Y”.

(osservo che questo stratagemma non è altro che la versione difensiva del II stratagemma; l’autore ha
barato sul numero degli stratagemmi? Non sarebbe una sorpresa…)

18. Sviare il discorso. Se l’avversario sta svolgendo un’argomentazione che lo porterà alla vittoria,
bisogna impedirgli di concluderla, cambiando velocemente argomento.

19. Generalizzare. L’avversario sfida a una controprova su un caso specifico; in mancanza di


argomentazioni adatte, fare un discorso vago e generale.

20. Salto alla conclusione. Se l’avversario ha concesso alcune ma non tutte le premesse volute, dare per
scontate anche le premesse mancanti e saltare direttamente alla conclusione desiderata.

21. Controsofisma. Se ci si accorge che l’avversario fa uso di un argomento sofistico, piuttosto che
evidenziare la capziosità del suo discorso, il che potrebbe richiedere molto tempo, è meglio replicare con
un controargomento altrettanto capzioso e sofistico. “Infatti quello che importa non è la verità, ma la
vittoria”.

22. Accusa di petizione di principio. Se l’avversario chiede di ammettere un argomento che gli darebbe
ragione, rifiutarsi e accusarlo di aver provato a fare una petizione di principio. Così gli si toglie il suo
argomento migliore.

23. Indurre in esagerazione. Stuzzicare l’avversario, infastidirlo, contraddirlo maliziosamente,


inducendolo così ad esagerare la portata della sua tesi oltre i limiti nei quali potrebbe anche essere vera. A
questo punto confutare, assieme all’esagerazione dell’avversario, anche la sua tesi iniziale.

24. Forzatura della consequenzialità. Si storpia e si distorce la tesi dell’avversario, fino a farne
discendere delle conseguenze che non corrispondono a ciò che egli ha detto e che sono palesemente
assurde e pericolose. Dopodiché è facile rigettare, assieme a queste false conseguenze della tesi
dell’avversario, anche la tesi stessa.

25. L’istanza, ovvero l’esempio contrario. Se si espone un principio generale, all’avversario basta trovare
un solo esempio contrario (che Schopenhauer definisce “istanza”) per invalidare il principio. Bisogna allora
rifiutare l’esempio, dicendo che è solo apparentemente pertinente al principio o contraddittorio con esso.

26. Ritorcere l’argomento avverso. Volgere l’argomento usato dall’interlocutore contro di lui. Es.
“poiché è un bambino, bisogna pur concedergli qualcosa”, “proprio perché è un bambino, bisogna punirlo”.

27. Approfittare dell’ira. Se dopo essere stato sollecitato con un certo argomento l’avversario
inaspettatamente si arrabbia, è segno che quell’argomento gli è particolarmente nocivo, dunque insistere
con esso.

28. Approfittare dell’ignoranza del pubblico. Quando due persone colte disquisiscono di fronte a
persone incolte, si può obiettare alla tesi dell’avversario con un argomento che è inconsistente, ma la cui
inconsistenza è ignota al pubblico e per la tecnicità dell’argomento non può essere agevolmente spiegata
dall’avversario. Tanto meglio se l’obiezione fa ridere il pubblico, perché “quelli che ridono li si ha dalla
propria parte”.

29. Dissimulare la sconfitta con una diversione. Se l’avversario ha dimostrato la propria tesi, invece di
ammettere la sconfitta si cambia argomento, parlando di qualcosa che è diverso rispetto all’argomento
originario ma presentandolo come se fosse un controargomento valido.

30. Argomento d’autorità. Tirare in ballo quanto detto da un’autorità riconosciuta dall’avversario o
dall’uditorio; meglio ancora se gli altri non la capiscono, come le frasi retoriche in latino. “All’occorrenza le
autorità si possono non solo distorcere, ma addirittura falsificare o perfino inventare”. Schopenhauer
riporta il bellissimo aneddoto di un curato che per sottrarsi all’obbligo di pavimentare la strada davanti casa
sua, obbligo a cui anche gli altri cittadini erano sottoposti, citò il detto biblico “paveant illi, ego non pavebo”
e così convinse gli amministratori comunali. Anche i pregiudizi e le opinioni diffuse possono essere usati
come autorità.

(il filosofo si dilunga poi in una riflessione su cosa è e come nasce la cosiddetta opinione generale)

31. Dichiararsi ironicamente incapaci di capire. Questo stratagemma può essere usato solo di fronte a
un uditorio presso cui si gode già di stima: ci si dichiara, con percepibile ironia, incapaci di comprendere le
affermazioni dell’avversario. Gli ascoltatori tendono allora a credere che sia una cosa insensata.

32. L’odiosa categoria. Far rientrare l’affermazione dell’avversario in una categoria che non gode di
stima presso l’opinione generale e l’uditorio, “questo è manicheismo, questo è ateismo, questo è
misticismo, etc”.

33. Vero in teoria, falso in pratica. Si ammette la possibile veridicità della tesi dell’avversario
esclusivamente sul piano teorico, mentre la si nega sul piano pratico. Poco importa che la discrepanza tra
teoria e pratica sia impossibile (o sono giuste entrambe, o sono entrambe sbagliate).

34. Incalzare l’avversario. Se l’avversario elude una domanda o un argomento, cercando di sviare il
discorso, è segno che quella è una sua debolezza. Bisogna perciò insistere su quel punto.

35. Argomento di utilità. Far notare che ciò che l’avversario sostiene è controproducente al suo stesso
interesse, oppure all’interesse dell’uditorio: la disputa finirà quasi subito. L’autore fa notare che questo
stratagemma, ove possibile praticarlo, rende superflui tutti gli altri, per motivi abbastanza ovvi.
36. Sproloquiare. Sorprendere l’avversario dicendo cose insensate e facendo finta che abbiano senso,
anzi che siano la palese dimostrazione della propria tesi. Questo stratagemma funziona soprattutto con
quel tipo di persone che sono abituate a sentire cose che non capiscono e a far finta di capirle.

37. Approfittare del cattivo esempio. Se l’avversario, per difendere una tesi corretta, sceglie un cattivo
esempio, procedere alla confutazione dell’esempio e poi far finta che essa confuti anche la tesi.

38. Attaccare la persona stessa dell’avversario. Se si capisce che l’avversario è più bravo e vincerà la
disputa, diventare offensivi e attaccarlo sul piano personale. Si tratta di uno stratagemma molto usato
perché tutti, per quanto stupidi, sono in grado di usarlo.

(Schopenhauer conclude con varie considerazioni di ordine generale sulle dispute dialettiche, e consigli del
tipo “bisogna disputare solo con chi è ragionevole e apprezza la verità e sa riconoscere il torto” che in
effetti, dopo che l’autore ha impartito trentotto spregiudicatissime lezioni su come fregare il prossimo,
inducono chi legge a mandarlo affanculo chiedersi se chi scrive stia scherzando)

Qualche considerazione finale.

Leggendo il trattato di Schopenhauer – che vivente l’autore non fu mai pubblicato e fu dato alle stampe
postumo, forse perché il filosofo se ne era pentito come parrebbe da certe sue epistole, o forse perché ci
son cose che si ha il coraggio di dire solo quando si è morti e non si ha più nulla da perdere – dicevo,
leggendo questo libretto ho avuto l’impressione di conoscere molto bene il suo ideale destinatario.
Frequento il mondo dei blog da qualche anno e in questo lasso di tempo ho preso parte a parecchie dispute
e ancor di più ne ho lette. Su internet si trova di tutto, dal semplice troll al sofista per hobby, dal piccolo
malvagio che rimuove i commenti che lo sputtanano al poeta licenzioso e snob che considera il proprio
ombelico il centro del mondo (e trova il senso della vita appena un po’ più in basso). Molte di queste
astuzie le ho riconosciute immediatamente perché le ho viste eseguite, con vari gradi di destrezza o
goffaggine, decine e centinaia di volte. Internet ha elevato alla enne potenza le possibilità dell’agone
dialettico in cui era abituato a muoversi Schopenhauer e il discepolo ideale di questo trattato, per quanto
sia un personaggio spregevole capace delle peggiori spudoratezze, è ormai ampiamente surclassato dal suo
pronipote virtuale che piega il web 2.0 al proprio egotismo intellettuale.

Il libretto in origine non aveva titolo. Quello datogli dalla casa editrice, i tipi gnostici della Adelphi della
dissoluzione, è particolarmente azzeccato: “l’arte di ottenere ragione”, definizione data dallo stesso
Schopenhauer nella sua premessa. Già ci si pone nell’ottica che la ragione non è qualcosa che si ha o non si
ha, obiettivamente, conseguenza automatica del fatto che ciò che si dice è vero o falso. Il filosofo distingue
tra logica e dialettica: solo la prima attiene alla ricerca della verità, mentre la seconda attiene alla gloria del
disputante, alla lotta bruta degli interlocutori, all’opinione del pubblico (l’importanza di quest’ultimo pare
inversamente proporzionale alla sua intelligenza). Per Schopenhauer la dialettica non è una legge
transeunte della realtà razionale come dice l’aborrito Hegel, ma bensì un’arte, uno sport in cui conta
soltanto vincere. La ragione è il risultato finale della disputa e va non a colui che dice il vero, ma a colui che
è più bravo a fregare gli altri. Bontà sua, l’autore non teorizza l’inesistenza della verità, ma solo la sua
inessenzialità dialettica: può servire ma non è indispensabile. Di nuovo, questo modo di pensare mi ricorda
parecchi disputanti del web a me noti.

A questo punto mi resta un unico dubbio: se quella di Schopenhauer fosse una raffinata forma di
soggettivismo teoretico, oppure semplice stronzaggine. Ma forse non c’è poi tanta differenza.

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