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Vaclav Fomič Nižinskij

Vita
Nasce in Ucraina, a Kiev, il 12 marzo 1889, secondogenito della coppia di ballerini Thomas
Nizinskij ed Eleonora Bereda. L’infanzia è segnata dalla vita povera e precaria degli artisti di strada
quali erano i suoi genitori, ma ben presto (nel 1900), seguendo le sue inclinazioni, riesce a
trasferirsi, insieme alla sorella Bronislava, a San Pietroburgo, dove viene accolto dalla Scuola di
Ballo Imperiale. Qui il giovane Vaclav si forma con maestri quali Enrico Cecchetti, Nikolaj Legat e
Paul Gerdt. Una prima piccola esperienza, gli sarà offerta da quello che poi diverrà in seguito uno
dei massimi coreografi di tutti i tempi, considerato il primo grande coreografo del balletto classico
moderno, Michail Fokin, il quale gli riserva una parte nella rappresentazione scolaresca del balletto
“Acis e Galatea”. A diciotto anni si esibisce sul palcoscenico del Teatro Mariinskij in ruoli da
protagonista per diversi spettacoli, tra i quali “Armida Papillon” e “Cleopatre” (ispirato alla novella
di Puskin, “Notte egiziane”), entrambi ancora allestiti di Fokin (da qui in poi le collaborazioni
Nizinskij-Fokin saranno moltissime). Nel 1909 c’è la svolta della sua carriera: Vaclav, finita la
scuola, incontra Sergej Djagilev, membro dell’ èlite di San Pietroburgo e ricco mecenate, che
promuove le arti visive e musicali russe all’estero. Quell’anno Djagilev fonda la compagnia Les
Balletts Russes, la quale avrà come ètoile (stella) proprio Nizinskij (nei balletti la sua partner il più
della volte fu Anna Pavlova) , mentre come coreografo Michail Fokin. Tra Nizinskij e Djagilev nasce
una tormentata storia amorosa e l’impresario da questo momento in poi prende in mano la
direzione della carriera del ballerino. Dal 1909 al 1913 Nizinskij balla in una elaborazione
orchestrale delle musiche di Chopin, la “Chopiniana”, e poi, una volta stabilitosi a Parigi si esibisce
come protagonista in spettacoli come “Le Pavillon d’Armide” (musiche di Nikolaj Cerepnin),
“Sheherazade” (basato su una suite orchestrale di Riminskij-Korsakov), “Le Festin” e “Les
Orientales”. In seguito, una volta tornato a San Pietroburgo per interpretare Albrecht nello
spettacolo “Giselle” (ballando con Tamara Karsavina), fu espulso dal Teatro di Mariinskij. I motivi
sono imprecisati: c’è chi afferma che sia stato per il fatto di essersi presentato in scena con un
costume giudicato allora sconveniente, rifiutando di entrare indossando, come Loys (nome scelto
da Albrect come corteggiatore di Giselle), i calzoncini allora in uso sopra la calzamaglia; c’è chi
invece afferma che fu cacciato per la scoperta della sua omosessualità. Svincolato ormai dagli
obblighi del Teatro Mariinskij, parte per una nuova tournè europea del Balletto Russo con quattro
nuovi balletti di Fokine: “Le spectre de la rose” e “Narcisse” a Monte Carlo, “Le Carneval” (a
Berlino), in cui interpreta Arlecchino e “Petrouchka”, di Stravinskij, e in autunno la compagnia è
ospite a Londra con un’edizione in due atti de “Il lago dei Cigni”, dove interpreta il principe
Siegfried. Col supporto e l’incoraggiamento di Djagilev, Nizinskij iniziò a lavorare egli stesso come
coreografo, influenzato dall’euritmica di Emile Jacques-Dalcroze, producendo tre balletti: “Il
pomeriggio di un fauno” e “Jeux” su musiche di Claude Debussy, e “La sagra della primavera” su
musiche di Stravinskij. Nel 1913 la compagnia parte per un tour in America del Sud senza Djagilev
e a Buenos Aires sposa Romola de Pulszky, una contessa ungherese. Numerose furono le ipotesi
sulle vere ragioni che stavano dietro a questo matrimonio: la più diffusa vuole che Nizinskij vide
nella ricchezza e nel titolo nobiliare della de Pulszky un mezzo per affrancarsi dalla dipendenza da
Djagilev. Tornato in patria Nijinskij viene licenziato da Diagilev, così il ballerino prende a calcare le
scene in un teatro londinese con una propria compagnia, ma l’esperienza termina con un fiasco
finanziario. Nel 1914 nasce sua figlia Kyra a Vienna e allo scoppio della prima guerra mondiale
viene internato con la sua famiglia in Ungheria, a Budapest. In seguito la frattura tra lui e Djagilev
sembra in parte ricomporsi, così che nel 1916 l’impresario riesce a farlo espatriare per un tour negli
Stati Uniti, dove fu di nuovo coreografo e primo ballerino della compagnai de “Balletti russi”,
mettendo in scena “I tiri burloni di Till Eulenspiegels”, composizione di Richard Strauss. In questi
anni iniziarono però a manifestarsi i segni della schizofrenia: Nizinskij aveva paura degli altri
ballerini e temeva che le botole del palcoscenico venissero lasciate volutamente aperte per farlo
cadere dentro. Avviene una nuova rottura con Djagilev e Nizinskij cerca pace e serenità recandosi
con la sua famiglia in Svizzera. Dopo un esaurimento nervoso avvenuto nel 1919 durante una
rappresentazione (la sua ultima) avventa in un albergo di San Moritz, la sua carriera giunse di fatto
alla fine. La moglie lo fece ricoverare affidandolo alle cure dello psichiatra Eugen Bleuler. Il
ballerino avrebbe trascorso il resto della sua vita entrando e uscendo da ospedali psichiatrici fino a
quando, l’8 aprile del 1950 morì. Fu sepolto a Londra, dove rimase fino al 1953, quando la salma
venne traslata al cimitero di Montmartre a Parigi, in una tomba accanto a quelle di artisti celebri
quali Gaetano Vestris, Thèophile Gautier e Emma Livry.

Lo stile
Considerato uni dei ballerini più dotati della storia, Nizinskij, chiamato in seguito “il ballerino di
Dio”, divenne celebre per il suo virtuosismo e per la profondità e intensità delle sue
caratterizzazioni. La sua eccezionalità apparve subito evidente, già dai primi mesi della Scuola, a
fronte di una conformazione fisica non del tutto felice (basso, con un fisionomia esotica e petto
esile), che, tuttavia, non gli impedì di eccellere nel salto (grazie a una particolare conformazione
della caviglia effettuava salti altissimi), nei giri e nelle batterie. I fatti riportati in proposito dalle
cronache, ossia la facilità con cui batteva l’entrechat huit (salto di batteria virtuosistico) e l’aver
raggiunto il douze, si collocano al limite del credibile, ma, proprio perché appaiono leggendari,
sono spie rivelatrici di possibilità del tutto non comuni. Emerse sugli altri allievi della scuola non
soltanto per il suo talento ma anche grazie alla sua capacità quasi maniacale di applicazione allo
studio. Tutte le testimonianze dell’epoca concordano infatti sul suo perfezionismo, attento
all’analisi minuziosa delle tecniche e degli strumenti espressivi. Dal punto di vista della tecnica
classica si rivelò subito un virtuoso straordinario. Chi infatti assisteva alle sue esibizioni,
soprattutto quelle prima della sua esperienza come coreografo, vedeva la soave leggerezza insita
negli esseri avere miracolosamente la meglio sulla gravità e l’essere umano riscattarsi dalla greve
pesantezza che lo incatenava alla terra. Volando sulla scena, il suo essere fluiva con inappuntabile
eleganza nel fluviale susseguirsi delle note e sprigionava forza, energia, vita. Più tardi invece, da
coreografo, attratto dal pensiero formale, intraprese un cammino di sperimentazione radicale che
lo avrebbe sempre più allontanato dal riformismo di Fokin di cui criticava l’approssimazione del
metodo coreografico e la libertà concessa al singolo interprete. Ciò legava infatti Fokin ancora al
modello dello spettacolo romantico ottocentesco. Nizinskij invece pretese dai ballerini una
disponibilità assoluta ad essere modellati dal suo pensiero scenico mettendoli in difficoltà e
suscitando in molti di essi malumore e risentimento. Come coreografo infatti mirava ad una
codificazione integrale della performance dei ballerini. Un esempio di questa codificazione è l’
“Après-midi d’un Faune”. Un viaggio in Grecia insieme al pittore simbolista Leon Bakst,
impressionato dagli scavi visitati, fruttò l’idea di un balletto che sembrasse un bassorilievo in
movimento. Lo spettacolo infatti fu interamente costruito su un’idea di rappresentazione
bidimensionale dello spazio e del corpo umano, quindi prevedeva per i danzatori una sola
possibilità di movimento, da sinistra verso destra e viceversa, secondo linee orizzontali parallele al
proscenio, rielaborando pose spigolose estrapolate dalla scultura greca in modo da accentuarne
l’aspetto primitivo e da alludere fortemente alla carica erotica. I loro corpi si offrivano di profilo
allo sguardo del pubblico, con il busto e il volto spesso rivolti verso la platea: erano come schiacciati
e si muovevano senza mai una piroetta o un salto. I movimenti furono strutturati in modo da
evocare la Grecia arcaica e non quella classica: braccia ad angolo, torso presentato frontalmente,
testa, gambe e piedi invece visti di profilo, movimenti animaleschi, espressione primitiva. Per
questo motivo lo spettacolo, accompagnato dalle musiche di Debussy, può essere considerato una
riflessione sulle potenzialità di movimento del corpo umano in una dimensione architettonica e
plastica ideale, antinaturalistica. Già tutto questo era così inconsueto da essere al limite dello
scandalo, senza contare che quanto così concepito era impiegato per rappresentare il desiderio
sessuale quasi animalesco, che culmina con un esplicito atto sessuale solitario, venato di feticismo
per l’uso della sciarpa abbandonata dalla ninfa. L’Apres-midi inaugurò la modernità nella storia del
balletto e introdusse nella tradizione classica l’esplorazione del movimento come sostanza vera
della danza. I suoi radicali movimenti angolari, uniti alla forte carica di sottintesi sessuali, furono
riproposti anche in “Jeaux” e “Sacre du Printemps”, causando disordini al teatro degli Champs-
Elysées. In “Jeux” la rottura con la tradizione è ancora più profonda che nel “Fauno”: l’azione si
svolge in un campo da tennis e la gestualità deriva in gran parte dai movimenti di quello sport. Ma
l’idea coreutica di base fa di questa creazione il primo balletto moderno: in grande anticipo rispetto
ai tempi Nizinskj cercò di unire la tecnica accademica a passi assolutamente liberi aprendo così la
strada ai futuri tentativi di sintesi tra danza classica e danza moderna. Per quanto riguarda il
“Sacre”, dal momento che la partitura di Stravinsky presentava grandi difficoltà ritmiche, Nizinskj
si fece aiutare da Marie Rambert, assistente di Dalcroze, perché migliorasse il senso del ritmo dei
suoi collaboratori con le teorie e le metodologie sviluppate dall’euritmia. Per suggerire la libertà
primitiva e la religiosità arcaica e per restituire visivamente l’idea di primordiale, Nizinskj concepì
posizioni e movimenti assolutamente inusuali e antiaccademici: salti a piedi uniti, gambe tese e
spalle incurvate, cadute e disequilibri, teste inclinate, pugni chiusi, tremolii. Di rilievo è l’idea di
utilizzare le false posizioni, ossia l’en dedans già presente nella commedia dell’arte, ma qui per
esprimere ben altro: la pesantezza dei corpi, e, attraverso questa, il legame profondo dell’uomo alla
terra. In generale si può dire che per Nizinskj la tecnica del danzatore aveva senso soltanto se
poteva essere un ponte verso una condizione psichica totale: il dolore di Albrecht in “Giselle”, la
grazia angelica e insieme carnale de “Le spectre de la Rose”, il desiderio panico che anima le piatte
e mitiche figure dell’ “Apres-midi”, il totale sacrificio di sé dell’Elettra nel rito collettivo del “Sacre”,
la spensierata leggerezza dei tre giocatori di tennis che flirtano in “Jeux”. La sua ultima
rappresentazione, “Matrimonio con Dio”, fu un intenso assolo sul tema della guerra e della morte
davanti a un pubblico di amici, conoscenti e ricchi villeggianti. Lo spettacolo fu improvvisato,
composto davanti agli spettatori sulle note di un pianoforte. Fu preceduto da una lunga mezzora in
cui l’artista, seduto su una sedia posta al centro della scena vuota, fissava intensamente il pubblico
senza parlare.

I diari
I quattro Diari di Nizinskj furono scritti nel 1919, immediatamente prima dell’ingresso ufficiale
dell’artista nel mondo dell’alienazione mentale. La scrittura dei Diari, è il prodotto di
un’incandescenza psichica che a volte forma vortici ossessivi e monotoni ma che altre volte
sviluppa imprevedibili percorsi di libere associazioni, interrotte soltanto dalle intrusioni di chi
controlla la vita del danzatore (domestici e parenti) o dalla stanchezza della sua mano incapace di
reggere il ritmo interiore del pensiero. E’ una scrittura-viaggio quella dei quaderni, una scrittura-
fiume, che è stata paragonata a quella dell’ “Ulisse” di Joyce e che si muove sul confine poco
protetto che separa il disagio mentale dall’esperienza mistica. E’ dal corpo che Nizinskj inizia i suoi
Diari, ma non il corpo idealizzato e artificiale della scena teatrale, ma quello biologico dei bisogni
primari: egli parte proprio da ciò che ha mangiato quella mattina a colazione, uova e fave,
inaugurando una tecnica di esplorazione della realtà e insieme di narrazione che manterrà
saldamente fino alla fine dei Diari. Egli parte quindi quasi sempre dal quotidiano, dal qui e adesso,
qualunque cosa sia. Nizinsky, iniziando dall’atto del mangiare, mette in relazione il cibo secco con
le persone secche e senza vita (gli Svizzeri, la cameriera) che non “hanno sentimento”, presentando
subito l’opposizione tra vita-sentimento e morte-intelletto che sarà il tema nucleare dei Diari.
Come la lettura dei Diari sembra a più riprese indicare, Nizinskij sta sviluppando, ormai da qualche
anno, una visione del mondo anticonvenzionale in cui ogni suo singolo atto, ogni sua minima
azione sono finalizzati a un lavoro su se stesso rigoroso, incessante: l’alimentazione, il sentire, il
danzare fanno parte di un unicum, un solo e inseparabile universo in cui i fenomeni organici, del
mondo fisico e biologico, le emozioni, il mondo psichico e quello delle forme e dei modi della
comunicazione artistica non sono separati ma si condizionano a vicenda e condizionano lo sviluppo
globale dell’individuo. Per Nizinskj scrivere è un’azione, è un movimento del pensiero. Attento al
gesto, ai suoi modi, al suo valore, ai suoi significati, il danzatore nei Diari ci appare come catturato
dall’atto dello scrivere, tanto da voler inventare una nuova penna stilografica, a cui darà il nome di
Dio. Si tratta qui di una vera e propria assunzione della materialità del mezzo a divinità, una
concezione sacrale della tecnica. E’ sorprendente come il Nizinskj scrittore si soffermi tante volte
sull’analisi del corpo della scrittura (la penna, il foglio, la calligrafia, la stanchezza della mano, il
luogo propizio), così come danzatore e coreografo si era a lungo interrogato sulla scrittura del
corpo, ripensando dalle basi il concetto stesso di gesto e di pantomima. E’ come se appunto l’artista
ripercorresse sentieri da lui già sperimentati nella pratica teatrale. Perfezionare l’uso della
stilografica, rendere fluido il gesto, potenziarne la capacità di durare, vincendo la stanchezza,
diventano per Nizinskj un lavoro su se stesso, la ricerca di una qualità particolarmente sensibile
dell’essere. Dimenticare la scrittura scrivendo significa per Nizinskj incorporare il divino, unificare
la carne e lo spirito. Nizinskij lanciò una sfida ad ogni forma di convenzione e di finzione teatrale,
profetizzando nei suoi Diari, così come Artaud nei suoi scritti, la fine del predominio del Logos
sulla scena. Per Artaud e Nizinskj il palcoscenico doveva ridiventare il luogo dell’irruzione del
sacro, della manifestazione della vita nella sua immediatezza dirompente e rivelatrice. Nizinskj
chiamava questo tipo di teatro, il “teatro vivente”, e per vivere questo teatro non poteva affidarsi
alla tradizione, fatta di quinte squadrate e di convenzioni sceniche. Lui preannuncia l’avvento di un
nuovo teatro, un teatro circolare. Il danzatore russo era infatti come ossessionato dall’idea del
cerchio: la figura del cerchio, come immagine e come principio di strutturazione formale, appare
nelle sue coreografie, nei disegni, nei Diari e anche nel suo originale sistema di notazione della
danza. Il suo teatro circolare dovrebbe possedere la stessa energia irradiante dell’occhio spirituale:
Nizinskj immagina una scena-occhio, una scena circolare, circondata a sua volta da un pubblico-
cervello: “l’occhio è il teatro. Il cervello è il pubblico. Io sono l’occhio nel cervello (…) Io sono
l’occhio di Dio”. Si tratta di una visione sacrale del teatro fondata sul potere sciamanico e visionario
dell’artista che ancora una volta ci riconduce alle teorie di Artaud. La circolarità come principio
creatore appare evidente anche analizzando le macrostrutture delle sue coreografie più note e
documentate. Essa interviene sia sulla dimensione del tempo sia in quella dello spazio dello
spettacolo. L’ “Apres-midi” si iscrive in una dimensione atemporale e mitica, tipica dell’eterno
ritorno, inoltre lo spettacolo inizia con il fauno seduto su un grasso sasso e finisce in una posizione
simile. “Jeaux” comincia con una pallina di tennis che entra in scena e termina con un’altra pallina
di tennis che entra in scena. Nel “Sacre” che ha la struttura di un rituale, l’Elettra danza accerchiata
dal coro. L’elemento sempre presente del sentimento nei suoi Diari, avvicina molto il ballerino
russo al pensiero di Lev Tolsoj, di cui Nizinskj era un accanito lettore. Nelle “Confessioni” infatti,
autobiografia della conversione di Tolstoj, l’autore critica con veemenza la conoscenza razionale e
afferma che la sua ricerca di Dio non fosse un ragionamento, ma un sentimento, giacchè aveva
origine non dal corso dei suoi pensieri, bensì dal suo cuore. Va poi detto che Nizinskj fa emergere
nei Diari la sua versione della storia dei Balletti Russi. Diaghilev vi appare come un essere
demoniaco, in brevi squarci memorabili, non privi di una loro comicità; Stravinsky come uno
spirito avido e calcolatore; e via via gli altri protagonisti di quella turbinosa vicenda appaiono qui
trafitti da uno sguardo inesorabile: lo sguardo dell’innocente che si è sentito tradito dalla malignità
del mondo, del folle che ormai oscilla tra l’identificazione con Cristo e un’atroce prostrazione,
visitata dagli incubi del sangue e della guerra. Per quanto riguarda la storia editoriale dei Diari,
questa fu molto tumultuosa. La prima edizione, curata dalla moglie Romola, risale al 1936, e su di
essa la donna aveva operato una vera e propria censura. Dopo il 1978, anno della morte di Romola,
i manoscritti di Nizinskj sono stati oggetto di vicende non sempre lineari e di numerosi passaggi di
mano: hanno viaggiato tra l’Inghilterra, gli Stati Uniti e la Svezia, sempre blindati dal rigoroso
dettato testamentario della moglie del danzatore che ne impediva la pubblicazione e ne rendeva
difficile l’accesso agli studiosi. Soltanto agli inizi degli anni ’90, la seconda figlia di Nizinskj,
Tamara, dà il via libera alla pubblicazione integrale in francese dei primi quaderni. Per la
pubblicazione completa bisogna attendere il 1999 quando, curato da Joan Acocella, esce negli Stati
Uniti “The Diary of Nijinskj. Unexpurgated Edition” che comprende finalmente anche il quarto
quaderno di lettere e poesie.

Riflessioni personali
Guardando attentamente il video dello spettacolo “L’Apres-midi d’un Faune” mi sono accorto di
quanto la ricerca coreografica e di movimento che Nizinskj fa in questa sua opera sia vicina al
primo studio intrapreso con Gabriella riguardo al concetto di indagare lo spazio nella sua
tridimensionalità. Nizinskj più che ricercare una forma borghese del “bello” in scena, attraverso
pose antinaturalistiche e non codificate, si muove, insieme alle altre ballerine, su una linea scenica
precisa che va da sinistra a destra e viceversa, andando ad occupare soltanto la zona “orizzontale”
del palcoscenico. Tuttavia, con il susseguirsi di figure su diversi piani, come ad esempio il fauno
posto in alto fermo mentre le fanciulle sono in basso in movimento, è palese come i vari quadretti
bucolici prendano vita, animandosi insieme agli interpreti. Viene quindi occupato sia il piano
orizzontale, attraverso i movimenti in superficie, sia quello verticale, con la costruzione di più
livelli, alti e bassi, che si vanno configurando con il proseguire della storia. Paradossalmente però,
la volontà scenica di bidimensionalità che Nizinskj intraprende nell’arco di tutto il balletto, mi
mette nella condizione di fare attenzione soprattutto alla terza dimensione, quella della profondità.
Questa profondità si manifesta non nel corpo singolo in movimento, ma nella concertazione tra un
corpo e l’altro, tra la distanza del piccolo coro delle fanciulle che si crea e lo sfondo ameno. Questa è
la stessa sensazione che ho avuto io quando studiavamo il corpo nello spazio giocando sulle tre
dimensioni. Anche se decidevo di concentrarmi ad esempio solo sulla verticalità, mi accorgevo di
come fosse impossibile slegarmi dalle altre due dimensioni, legate ad esempio all’orizzontalità che
c’era tra me e i muri laterali o alla profondità tra me e lo specchio. Certo, dal punto di vista estetico
“Apres-midi” dà l’idea di figure schiacciate sullo sfondo all’occhio dello spettatore, ma ciò che
voglio dire che in ogni caso questa bidimensionalità è mostrabile soltanto se chi la interpreta si
sente totalmente immerso in uno spazio che è irrimediabilmente tridimensionale. Uno spazio,
quello del mio corpo, immerso in un altro spazio, quello della sala o del teatro. Solo in questo modo
io riesco a modellarmi nel mio “piccolo cubo” e a mia volta a modellare il “grande cubo” che è lo
spazio che mi circonda, il quale oltre alla forma della sala che mi ospita cambia in base al rapporto
spaziale che ho con gli altri compagni.

Fonti
- Di Bernardi, Vito, Cosa può la danza – Saggio sul corpo, Biblioteca teatrale, Bulzoni, 2012
- De Marco, Maximo, (18 maggio 2018), Nijinskj il genio della danza e il suo diario
leggendario, Rome Central, estratto il 17 marzo 2020, da
https://www.romecentral.com/nijinsky-il-genio-della-danza-e-il-suo-diario-leggendario/
- Palleschi, Marino, (23 novembre 2005), Nijinskj, Vaslav, Balletto.net, estratto il 17 marzo
2020, da https://www.balletto.net/magazine/personaggi/nijinsky-vaslav
- Vaslav Nijinskij, (5 novembre 2017), Balletto Classico, estratto il 17 marzo 2020, da
https://ballettoclassicoblog.wordpress.com/2017/11/05/vaslav-nijinskij/
- https://www.youtube.com/watch?v=4qjvGIMeIhU
Simone Guaragna

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