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LE INNOVAZIONI NEL MELODRAMMA: DEBUSSY E STRAUSS A CONFRONTO

La fine dell’800 e gli inizi del ‘900 segnano grandi innovazioni nel campo della musica orchestrale, con i
lussureggianti poemi sinfonici di Richard Strauss, le sinfonie di Mahler, le prime opere strumentali di
Schonberg, come il sestetto Verklarte Nacht e il poema sinfonico Pélléas et Mélisande, e naturalmente la
produzione di Debussy. L’orchestra è sempre più ricca e variegata, e i vari compositori la impiegano in
modo creativo con degli effetti spesso inediti. Inoltre la ricerca formale tende a superare le forme classiche
per proporre un nuovo modo di raccontare tramite la musica, che spesso lascia spazio all’immaginazione
dell’ascoltatore e ne suscita la sensualità, lasciando un po’ da parte i messaggi intellettuali e sentimentali
della precedente produzione classico-romantica. La musica tende a diventare veicolo di un messaggio che
tende a cogliere l’istante più che un lungo progetto, nella sua bellezza e irripetibilità.

Un percorso similare lo possiamo individuare anche nel campo del melodramma europeo. Dopo le grandi
avventure rappresentate da Verdi e Wagner, la nuova generazione in parte deve fare i conti con l’eredità
del passato, se accettarla e continuarla, oppure cercare nuove vie compositive. In realtà a inizi ‘900
vengono compiuti in questo campo due esperimenti che porteranno i loro frutti nel corso poi del secolo, e
che sono il Pélléas et Mélisande di Debussy e la Salome di Richard Strauss, rappresentate a pochi anni di
distanza una dall’altra, nel 1902 e nel 1905. Queste due opere segnano due diversi percorsi compositivi,
quello di Debussy che partendo da Wagner finisce poi per trovare un suo linguaggio e una sua estetica
particolarissima, e quello di Strauss che apparentemente prosegue invece la lezione Wagneriana, ma
svuotandola dei contenuti romantici per inserirne di nuovi assai più moderni e in parte inquietanti.

PELLEAS ET MELISANDE (1902)

La gestazione dell’unica opera portata a termine dell’autore fu piuttosto lunga, dato che durò quasi una
decina d’anni, dal 1892 in cui Debussy scoprì il dramma di Maeterlinck leggendolo e poi assistendo ad una
sua rappresentazione teatrale l’anno seguente, fino al 1902 in cui l’opera andò in scena all’Opéra Comique
con un esito non felicissimo alla prima rappresentazione. Maeterlinck era un autore simbolista, il cui
dramma a tinte smorzate e con atmosfere suggerite si adattava bene alle esigenze del musicista, che infatti
si era espresso così a proposito di un testo eventuale da musicare: “ Di un poeta che, dicendo le cose a
metà, possa permettermi di unire il mio sogno al suo; ove i personaggi non siano di un tempo o di un luogo,
ove non ci sia una “scena da fare”. Non seguirò gli errori del teatro lirico dove la musica predomina
insolentemente, dove la poesia è relegata in secondo piano, soffocata da un rivestimento musicale troppo
pesante. Bisogna cantare solamente quando ne vale la pena.” E più tardi in una brochure del 1902, sempre
il musicista dichiarava a proposito del Pélléas: “Da lungo tempo cercavo di fare della musica da teatro, ma la
forma nella quale volevo scriverla era così poco comune che vi avevo quasi rinunciato. Io volevo dare alla
musica quella libertà che essa merita più di qualsiasi altra arte, non essendo limitata ad una riproduzione
della natura ma alle corrispondenze misteriose tra la natura e l’immaginazione. Il dramma di Pélléas
che,nonostante la sua atmosfera da sogno, contiene molta più umanità di quella che c’è n tanti lavori
veristi, mi sembrò convenisse alle mie intenzioni. Ecco un linguaggio evocatore, la cui sensibilità poteva
trovare una continuazione nella musica e nella scrittura orchestrale . I personaggi di questo dramma
cercano di cantare come persone naturali e non con un linguaggio saturo di tradizioni antiquate. Non
pretendo di aver tutto scoperto in Pélléas, ma ho provato a tracciare una via che altri potranno seguire
allargandola con trovate personali che forse toglieranno la musica drammatica dalle strettoie in cui vive da
tanto tempo.” Da questo si capisce come Debussy avesse le idee chiare ormai su come trattare un testo da
musicare. Dopo che inizialmente era stato ammiratore e sostenitore di Wagner quale musicista innovatore
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e anti-borghese,se ne distaccò poi criticandolo soprattutto per la prevedibilità e pesantezza delle scelte
operate dal musicista tedesco, anche se in realtà il suo retaggio è visibile in filigrana nell’opera debussiana.
In effetti appaiono nel Pélléas delle specie di leit-motiv, chiamate con l’appellativo di “évocations
thématiques”, come il motivo della “lontananza” di sapore modale, il “tema di Golaud” incerto tonalmente,
l’idea “dolce ed espressiva di Mélisande”, e così via. Ma come afferma Maurice Emmanuel : “Non bisogna
affibbiare ai temi del Pélléas l’appellativo wagneriano di “temi conduttori”, perché in Debussy queste
évocations hanno un ruolo più discreto, a tratti le si vede cambiare, senza apparentemente valore
significativo. Bisogna piuttosto tenersi unicamente al simbolo, alle associazioni sottili di sentimenti e di
immagini, per indovinare attraverso quale intenzione segreta l’autore le fa riapparire.” Dunque
un’esperienza wagneriana filtrata e depurata secondo la sensibilità dell’autore francese.

La trama dell’opera sembra ricalcare in parte quella del Tristano e Isotta, con l’incontro casuale fra
Mélisande e il vecchio re Golaud, il loro matrimonio, la successiva infatuazione e innamoramento di lei col
giovane Pélléas, la graduale scoperta della relazione da parte del re, e il finale tragico, con l’uccisione di
Pélléas da parte di Golaud, e la successiva morte di Mélisande. L’opera è divisa in cinque brevi atti, e le
scene sono collegate fra di loro con degli interludi orchestrali che l’autore compose di fretta dopo che gli
erano stati richiesti per effettuare i cambi scena. Come nel Tristano, anche qui ,nel terzo atto però, c’è un
primo duetto d’amore fra i due giovani, che però è ben lontano dagli slanci appassionati dell’opera
romantica, ma è invece pervaso da una calda sensualità, evocata anche attraverso lo sciogliersi della
capigliatura di lei. Il canto nell’opera non è mai un canto spiegato, con lunghe melodie alla maniera di Verdi,
o con il declamato alla maniera wagneriana, bensì un modellarsi della musica intorno alle parole, quasi una
specie di “recitar cantando” di nuova fattura, che assomiglia al procedimento attuato da Mussorgksij nel
suo Boris Godunov, che Debussy conosceva e apprezzava. Il procedimento dell’autore apre la strada a un
tipo di recitazione intonata e non tipica di alcuni autori del ‘900, specie della scuola di Vienna, come
Schonberg e Berg (ad es. nel Pierrot lunaire, o nel Wozzeck).

L’effetto nell’opera non è poi uniforme, la drammaticità delle situazioni viene comunque conservata ed
evocata, non solo attraverso il canto ma anche con l’uso sapiente e magistrale dell’orchestra, che diviene
un personaggio essa stessa, e sottolinea ed esprime i sentimenti e le situazioni che si vengono a creare nel
corso della vicenda, come nella scena del Terzo atto con Golaud e Yniold, oppure nel secondo duetto fra
Pelléas e Mélisande nel quarto atto,in cui finalmente i due protagonisti si confessano il loro amore, e che è
uno dei culmini dell’opera. Il quinto atto vede lo spegnersi graduale di Mélisande, e anche della musica
stessa.

SALOME (1905)

Dalle brume nordiche di Maeterlinck e Debussy passiamo qui all’oriente sensuale e decadente evocato da
Oscar Wilde e da Richard Strauss. Il dramma di Wilde era stato scritto in francese nel 1891 e rappresentato
poi sempre in francese a Parigi nel 1896. La pubblicazione in inglese con la traduzione di Sir Alfred Douglas
è invece del 1893, ma il lord ciambellano ne vietò le rappresentazioni in Inghilterra, e solo nel 1931 il
dramma poté essere rappresentato senza censure. Anche l’attrice Sarah Bernhardt si rifiutò di interpretare
il ruolo principale, ma soprattutto a causa dello scandalo che aveva travolto l’autore nel frattempo. Era
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comunque all’epoca una “pièce” scomoda da mettere in scena, per la sensualità provocatoria e la
perversione evocate dalla trama. Strauss compie dunque un’operazione coraggiosa nel metterla in musica.
Egli l’aveva vista a teatro nel 1902 a Berlino, con la regia di Max Reinhardt, e ne era rimasto folgorato. Da
quel momento decise di mettere in scena una sua versione di quel dramma di sangue, voluttà e morte. Il
poeta Anton Lindner, amico di Strauss, curò una prima riduzione del dramma in tedesco, ma in seguito il
compositore decise di affidare la traduzione del testo di Wilde ad Hedwig Lachmann, molto fedele
all’originale. E’ forse la prima volta che viene messo in musica un dramma teatrale senza passare per un
librettista che lo modifichi, anche se sappiamo che Strauss in realtà fece alcune modifiche lui al testo. La
composizione dell’opera andò avanti dal 1902 fino alla prima rappresentazione del 9 dicembre 1905
all’opera di Dresda. Lungi dall’attenuare con una musica gradevole gli orrori compiacentemente descritti da
Wilde, Strauss aveva rincarato la dose. Uno spettacolo indecente e un lungo grido isterico, sostenuti con
piena potenza da centoventi orchestrali, tale fu l’impressione avuta da buona parte degli invitati alla prima.
Ciò nondimeno l’opera ebbe un successo clamoroso, e fu diretta da Strauss stesso l’anno dopo a Torino, e
negli anni successivi a Milano da Toscanini, poi a Bruxelles, e a Parigi. Al Metropolitan di New York il
puritanesimo del pubblico americano reagì così violentemente che le rappresentazioni furono proibite. Il
soggetto di Salome venne ripreso in un balletto di Florent Schmitt che fu rappresentato negli anni seguenti,
e anche una versione del testo di Wilde messa in musica da Antoine Mariotte nel 1908 a Lione, e poi ripresa
negli anni seguenti. La versione di Strauss entrò nel repertorio dell’Opéra nel 1910 sotto la direzione di
Messager con Mary Garden, la creatrice di Mélisande, nel ruolo principale.

Il linguaggio musicale adoperato dall’autore prende le mosse da quello wagneriano, adoperando una
grande orchestra, l’uso della tonalità allargata e anche dei leitmotiv, usati dall’autore in forma
drammatizzata. In effetti i temi principali sono riconducibili ai personaggi di Salome e Jokanaan; essi sono
semplicemente evocati nella due prime scene, ma poi appaiono con più forza e si scontrano fra di loro nella
scena successiva dell’incontro fra i due, in cui il profeta ribadisce il suo orrore per le provocazioni della
fanciulla ma anche il suo messaggio di una futura salvezza rappresentata dalla venuta di Gesù, mentre
invece la principessa insiste nel suo atteggiamento provocatorio e sensuale, che culmina nel desiderio di
baciare la bocca del profeta. Alla fine del duetto, i due filoni tematici conflagrano pesantemente in
orchestra, facendo esplodere le contraddizioni insite nel testo di Wilde in maniera plateale ma di indubbio
effetto. Al contrario del teatro musicale di Debussy, fatto di allusioni e di sentimenti più suggeriti che detti,
nella Salome il suo autore esterna molto chiaramente pulsioni e desideri della protagonista, e anche dei
personaggi che la circondano, all’eccezione di Jokanaan che rimane saldo nel suo mondo puro e intoccabile.
Nonostante le affermazioni dell’autore nelle sue Memorie, che descrive Salome come una casta vergine dai
gesti semplici e nobili, in realtà il personaggio che ne esce fuori dalla sua penna e da quella di Wilde
assomiglia a quelle prime forme di isteria che Freud descriveva proprio in quegli anni nelle sue pazienti.

Comunque sia, l’opera inaugura un nuovo modo di intendere il melodramma che l’autore continuerà nella
successiva Elettra del 1909, in cui il linguaggio viene ancor più estremizzato e portato ai limiti della tonalità.
Dopo di che Strauss non proseguirà su questa strada innovatrice nel melodramma, bensì rientrerà nei
ranghi di una sorta di neo-classicismo con il successivo Cavaliere della Rosa e con le opere che seguirono.

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