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LA CRITICA DELLA RAGION PRATICA

LA PRIMA FORMULA DELL'IMPERATIVO CATEGORICO


La Fondazione della metafisica dei costumi precede di tre anni la Critica della ragion pratica rispetto alla quale
presenta sì differenze sul piano metodologico, ma una sostanziale somiglianza sul piano dei contenuti. Tra l'altro
si trova già nella Fondazione quella che comunemente viene definita la prima formula dell'imperativo
categorico.Kant la ricava dall'analisi del concetto stesso di imperativo categorico, infatti l'imperativo categorico,
che si differenzia da quello ipotetico per essere incondizionato, non puòche avere un carattere formale, cioè non
contiene altro che la legge nella sua universalità: agisci soltanto secondo quella massima che, al tempo stesso, puoi
volere chedivenga una legge universale. È interessante notare che subito dopo Kant propone unavariante di tale
formula in cui compare il concetto di natura e aggiunge quattro esempiche, almeno nelle sue intenzioni,
dimostrano com'è possibile applicare efficacementenel particolare e nel concreto ciò che nella regola risulta
universale e astratto.
Il brano è tratto da I. Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, in Scritti morali, a cura di P. Chiodi, Utet, Torino 1986,
pp. 78-82.

Quando penso un imperativo ipotetico in generale, non so ciò che conterrà finchénon me ne sia data la condizione.
Se invece penso un imperativo categorico, so immediatamente che cosa contiene. Infatti l'imperativo, oltre alla
legge, non contiene che lanecessità, per la massima, di essere conforme a tale legge, senza che la legge sottostiaa
nessuna condizione; di conseguenza non resta che l'universalità d'una legge ingenerale, a cui deve conformarsi la
massima dell'azione, ed è soltanto questa conformità che l'imperativo presenta propriamente come necessaria.
Non c'è dunque che un solo imperativo categorico, cioè questo: agisci soltanto secondo quella massima che, al
tempo stesso, puoi volere che divenga una legge universale 1.
Ora, se da quest'unico imperativo possono essere tratti, come dal loro principio, tuttigli imperativi del dovere,
anche senza decidere se in generale ciò che si chiama doveresia un concetto vuoto, potremo almeno far vedere ciò
che noi intendiamo con esso eciò che questo concetto sta a significare.
Siccome l'universalità della legge, in base alla quale si producono effetti, costituisceciò che è detto propriamente
natura nel senso più generale (quanto alla forma), ossia èl'esistenza delle cose in quanto determinata da leggi
universali, l'imperativo universaledel dovere potrebbe esser formulato così: agisci come se la massima della tua
azionedovesse essere elevata dalla tua volontà a legge universale della natura 2.
Vogliamo ora enumerare alcuni doveri, secondo la suddivisione ordinaria di essi indoveri verso noi stessi e doveri
verso gli altri, in doveri perfetti e doveri imperfetti.
1) Un uomo, indotto alla disperazione da una serie di mali, prova disgusto per lavita, pur conservando il dominio
della propria ragione quanto occorre per chiedersi sesia in contrasto col dovere verso se stesso togliersi la vita.
Cerca allora di stabilire se lamassima della sua azione possa diventare una legge universale della natura. Ma la
suamassima è: «Per amore di me stesso assumo a principio di abbreviarmi la vita se la suaulteriore durata mi fa
prevedere più mali che piaceri». Tutto sta nel sapere se questoprincipio dell'amor di sé possa diventare legge
universale della natura. Ma è facilevedere che una natura la cui legge consistesse nel distruggere la vita proprio in
virtù diquel sentimento che è destinato a promuoverla, cadrebbe in contraddizione con sestessa, quindi non
sussisterebbe come natura; è quindi impossibile che quella massimapossa valere come legge universale della
natura, perciò risulta contraria al principiosupremo di ogni dovere 3.
2) Un tale è costretto dal bisogno a farsi prestare del denaro. Si rende ben conto chenon sarà mai in grado di
pagare, ma vede anche chiaramente che non avrà il più piccoloprestito se non si impegnerà seriamente a pagare
entro un determinato tempo. Gli vienvoglia di fare questa promessa, ma conserva ancora sufficiente coscienza per
domandarsi: Non è illecito e contrario al dovere trarsi d'impaccio in questo modo?. Suppostotuttavia che egli

1
L'imperativo categorico avrà un carattere formale,non prescriverà il «che cosa fare» ma la forma chedeve avere il nostro
volere per essere morale. La prima formula dell'imperativo categorico (che nellaCritica verrà definito legge fondamentale)
dunquemette in evidenza l'esigenza dell'universalità: un'azione è morale se la massima ditale azione può essere
universalizzata.
2
Da questo imperativo possono esserededotti tutti i vari doveri, ma Kant prima esponeuna variante della prima formula in
base alla quale,in sostanza, per sapere se un'azione è morale bisogna chiedersi se la sua massima potrebbe dar luogoad un
ordine universale, ovvero ad una «natura», incui gli uomini potrebbero vivere senza contraddizione

3
Nel primo degli esempi risulta evidente, Kant, l'immoralità del suicidio perché esso nononcepibile come legge di natura: la
natura cadrebbe in contraddizione con se stessa se avesse come legge quella della negazione della vita appoggiandosi proprio
sull'amor di sé, cioè sul sentimento che è alla base della vita.
decida di farlo, la massima della sua azione prenderebbe questa forma:«Quando credo di aver bisogno di denaro,
ne prendo a prestito promettendo di restituirlo, benché sappia che non lo farò mai». Ora, è possibile che tale
principio dell'amordi sé o dell'utilità personale si accordi in pieno con l'intero mio benessere futuro, ma ilproblema
a questo punto è di sapere se sia giusto. Converto allora l'esigenza dell'amordi sé in una legge universale e pongo
così il problema: Cosa accadrebbe se la miamassima divenisse una legge universale? Mi rendo subito conto che
essa non potrebbemai valere come legge universale della natura ed essere in accordo con se stessa,perché è
necessariamente autocontraddittoria. Infatti, assumere come legge universaleche ogni uomo, quando crede di
essere in bisogno, può promettere qualsiasi cosa colproposito di non mantenere, renderebbe impossibile il
promettere stesso e il fine chepromettendo ci si propone, perché nessuno crederebbe più a ciò che gli
vienepromesso e riderebbe di dichiarazioni del genere come di inutili pretesti 4.
3) Un terzo vede in sé un talento tale che, con un po' di cultura, potrebbe divenireun uomo utile sotto molti
riguardi. Ma sa di essere in condizioni agiate e preferiscedarsi al piacere piuttosto che impegnarsi per
l'ampliamento e il miglioramento dellesue felici disposizioni naturali. Tuttavia si pone il problema se la sua
massima, di nonprendersi cura dei suoi doni naturali, che ben si accorda con la sua inclinazione algodimento, si
accordi altrettanto bene con ciò che prende il nome di dovere. Ora, eglisi rende conto che potrebbe certamente
esistere una natura secondo questa legge universale, anche se l'uomo (allo stesso modo degli abitanti del Mare del
Sud) lasciassearrugginire il proprio ingegno e decidesse di dedicare la propria vita soltanto all'ozio,al piacere, alla
propagazione della specie, in una parola, ai piaceri; ma egli non puòassolutamente volere che questa diventi una
legge universale della natura o che unistinto naturale la radichi come tale in noi. Infatti, essendo un essere
ragionevole, vuolenecessariamente che tutte le facoltà siano sviluppate in lui, perché sono utili e gli sonostate date
per tutti i fini possibili.
4) Infine, un quarto, al quale tutto va bene, vedendo che gli altri (che egli potrebbebenissimo aiutare) si dibattono
fra gravi difficoltà, ragiona così: 'Che me ne importa?L'altro sia felice quanto piace al Cielo o quanto può esserlo
da solo; io non lo priverò dinulla, anzi neppure lo invidierò; ma non intendo dare alcun contributo al suo
benesseree soccorrerlo nel bisogno'.. Ora, se questo modo di vedere divenisse una legge universale di natura, il
genere umano potrebbe senz'altro continuare ad esistere e certamente incondizioni migliori di quelle in cui tutti
vanno cianciando di simpatia e benevolenza omagari affaccendandosi per metterle in pratica in certi casi, ma
anche, appena possono,ingannando, e intrallazzando ai danni di terzi e cercando di recar loro ogni sorta di
danno.Anche se è possibile che esista una legge universale della natura conforme a quella massima, è però
impossibile volere che tale principio abbia valore universale di legge dellanatura. Infatti una volontà che
prendesse partito per esso, cadrebbe in contraddizione conse stessa, perché sono possibili i casi in cui quest'uomo
potrebbe aver bisogno dell'amoree della simpatia altrui e in cui priverebbe se stesso di ogni speranza di ricevere
l'aiuto desiderato, proprio in virtù della legge di natura istituita dalla sua volontà. 5

Fondazione della metafisica dei costumi

4
Anche il chiederedenaro a prestito sapendo di non poterlo restituirerisulta chiaramente immorale. La massima di taleazione,
se fosse legge di natura, farebbe sì che lepromesse non avrebbero più alcun valore perchénessuno ci crederebbe. (Sul fatto
che Kant in questi esempi siattenga davvero ad un criterio puramente formalistico e non invece ad un criterio
contenutisticosono stati sollevati molti dubbi).
5
Il terzo e quarto esempio riguardanodoveri detti imperfetti perché lasciano un certomargine di discrezionalità
nell'applicazione all'individuo; ma soprattutto hanno in comune il fattoche le massime delle relative azioni non sono auto-
contraddittorie e potrebbero essere concepitecome leggi naturali. È il caso del lasciarsi andarealla pigrizia, all'ozio e ai piaceri
trascurando leproprie doti naturali. Kant deve ammettere chenulla vieta di pensare che ciò possa costituire unalegge di natura,
ma aggiunge che però nessunopuò volere che diventi legge di natura. Egli ritienedi poter affermare con tutta certezza che
l'uomo,essendo un essere ragionevole, non può nonsentire il dovere di sviluppare le sue doti naturali.Analogo il caso di chi,
non avendo problemi, nondanneggia gli altri, ma nemmeno si cura dei loroproblemi. Anche qui Kant per dimostrare
l'immoralità di un comportamento del genere non puònegare che esso sia universalizzabile ed allorateorizza l'impossibilità di
volere che esso diventiuniversale, aggiungendo un'osservazione di carattere utilitaristico che però mal si concilia
conl'impostazione rigoristica della sua filosofia morale.

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