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1 Premessa
Nel 1942, quando il conflitto aveva ormai raggiunto il suo apice ed il suo esito era ancora incerto,
si contrapponevano due grandi coalizioni, da una parte Germania, Italia e Giappone, dall'altra
USA, URSS e Gran Bretagna. Eppure, negli anni Venti e persino qualche mese dopo lo scoppio
delle ostilità (nel 1939), nessuno avrebbe potuto determinare con certezza le forze in campo e le
loro alleanze.
Per quanto complesse siano le discussioni sui rapporti tra le democrazie occidentali e l'Unione
Sovietica, sul patto russo-tedesco e sull’atteggiamento delle potenze antinaziste alla vigilia del
settembre 1939, rimane inalterato il giudizio che allora si formò, nell'opinione pubblica, sulla
responsabilità del nazismo e del fascismo per lo scoppio del conflitto e sul peso determinante che
ebbero, in contrasto con le aspirazioni dei loro popoli e con gli interessi delle loro nazioni, le scelte
dei due dittatori. Nello stesso stato maggiore tedesco, oltre che nell'opposizione politica
clandestina al regime, vi furono serie perplessità riguardo i progetti di Hitler, che prima di iniziare
le operazioni dovette sostituire sia il ministro della guerra von Blomberg, sia il capo delle forze
armate von Fritsch ed assumere il comando della Webrmacht (ossia delle forze armate). I popoli
coinvolti, consapevoli dall'esperienza del 1914-1918, accettarono la guerra come una tragica
necessità. Inoltre, la diffusa convinzione che fosse stata imposta dal nazismo le diede il carattere
sempre più marcato di scontro non solo tra nazioni ma soprattutto tra ideologie e sistemi politici.
10 Intervento italiano
Mussolini ritenne che l’Italia dovesse in questo momento intervenire per potere condividere con la
Germania i frutti della vittoria. Sulla base del Patto d'acciaio, l’Italia avrebbe dovuto intervenire
immediatamente dopo lo scoppio della guerra, ma Mussolini sin dal maggio del 1939 aveva
fatto presente ad Hitler (con il cosiddetto «memoriale Cavallero») che l'Italia non era ancora
preparata militarmente e politicamente per la partecipazione alla guerra e non avrebbe potuto
esserlo prima del 1943. Più tardi, mentre la Germania procedeva a porre sul tappeto la questione di
Danzica, «lasciando sempre l’Italia nell’ignoranza, sia sul piano politico che su quello militare, di
ciò che essa preparava» a questo proposito (così si esprimeva, il 21 agosto 1939, il ministro degli
esteri italiano), Mussolini pose come condizione per l’intervento la fornitura da parte tedesca di
ingenti quantità di materiale bellico e strategico, caldeggiando nello stesso tempo una soluzione
politica della controversia per Danzica, «tale da dare piena soddisfazione morale e materiale alla
Germania». Hitler rispose (26 agosto 1939) dichiarando l'impossibilità di fornire il materiale
richiesto ed autorizzando l’Italia a mantenere una posizione di non belligeranza nell'ormai
imminente conflitto.
Il clamoroso successo delle armate tedesche in Francia spinse Mussolini ad abbandonare il suo
atteggiamento iniziale di cautela e così l'Italia entrò, senza una preparazione adeguata, in una
guerra che sarebbe stata in realtà assai meno facile di quel che il crollo francese poteva far pensare.
13 L’attacco italiano
Per dimostrare analogo dinamismo, Mussolini decise di attaccare improvvisamente la Grecia (28
ottobre 1940), con la convinzione di poter ottenere un rapido successo. Tuttavia, all’attacco
corrispose una controffensiva greca che penetrò in Albania e che colpì duramente il prestigio di
Mussolini e dei comandi militari. La situazione diventò sempre più grave quando ci si rese conto
che il paese non era nelle condizioni per poter condurre una guerra parallela ed autonoma rispetto
all'azione della Germania, ma era sempre più costretto a porsi sotto la tutela delle armate tedesche.
In Africa settentrionale, infatti, le truppe inglesi avanzavano fino a Bengasi, mentre in Grecia
falliva un nuovo tentativo di offensiva ad opera del generale Cavallero (divenuto capo di stato
maggiore in seguito alle dimissioni di Badoglio). L’esercito britannico penetrava anche in Africa
Orientale, facendo rientrare in Etiopia il negus Selassié Hailé.
La Germania dovette dunque impegnarsi direttamente sia nell’Africa settentrionale, dove fu
inviato un corpo di spedizione sotto il comando del generale Erwin Rommel che ricacciò gli
inglesi dalla Cirenaica, sia in Grecia e nei Balcani. Nella prima metà del 1941 le armate tedesche
occuparono la Bulgaria e, insieme a quelle italiane, la Iugoslavia, la Grecia (che capitolò nel mese
di aprile) e l'isola di Creta.
A controbilanciare questi successi tedeschi, che rendevano più difficile la posizione britannica nel
Mediterraneo, intervenne in quei mesi l'adozione della legge affitti e prestiti da parte degli Stati
Uniti, in base alla quale il governo era autorizzato a fornire, con prestiti a lunga scadenza,
materiale bellico agli Stati stranieri, la cui protezione rappresentava un «interesse vitale per gli
Stati Uniti». In tal modo, la solidarietà tra Stati Uniti e Gran Bretagna, sostenuta vigorosamente da
Roosevelt, contro le tendenze « isolazioniste», divenne operante, comportando anche da parte
americana un impegno di protezione dell'Atlantico. Nell’agosto del 1941 Churchill e Roosevelt si
incontrarono nell’isola di Terranova e redassero la Carta Atlantica, in cui furono enunciati i
principi che avrebbero dovuto presiedere alla riorganizzazione del mondo dopo la guerra: la lotta
contro i paesi dell'Asse acquistava sempre più nettamente un'impronta ideologica di lotta contro il
nazismo ed il fascismo.
18 La Resistenza
Uno degli aspetti più significativi della seconda guerra mondiale fu il sorgere, nel momento stesso
in cui le armate tedesche avevano esteso il loro dominio su tutta l’Europa, di movimenti di
liberazione nazionale formati da gruppi di volontari (partigiani) che si organizzarono nelle
montagne o nelle campagne e formarono corpi di terroristi e Sabotatori che agirono nelle città
occupate, riuscendo talvolta a conseguire notevoli risultati e ad intralciare le operazioni belliche
dell’Asse. La loro azione fu diretta dai partiti antifascisti, i quali, pur mantenendo le loro
differenze ideali e politiche, operarono in genere in modo unitario contro il nemico comune. In
Polonia, in Russia e in Iugoslavia i movimenti di resistenza sorsero subito dopo l'occupazione,
impegnando i tedeschi in una lotta senza quartiere. Nel caso della Iugoslavia, i partigiani comunisti
guidati da Josip Broz (Tito), ingaggiarono la lotta sia contro i nazisti che contro i partigiani
monarchici e nazionalisti guidati dal generale Mihailović.
La resistenza non si limitò soltanto alla lotta contro l'occupazione straniera, ma si accompagnò
anche ad un'opera di preparazione politica in vista del riordinamento interno degli Stati dopo
la fine della guerra. In Italia, il problema del coordinamento tra le forze antifasciste e le varie
formazioni di partigiani fu affrontato con la creazione di Comitati di liberazione nazionale,
composti da sei partiti (democratico-cristiano, comunista, socialista, d’azione, liberale e
democratico del lavoro), i quali, nell'Italia centro-settentrionale, promossero la guerra contro i
tedeschi ed i fascisti. Sotto la loro direzione fu formato il Corpo dei volontari della libertà, i cui
comandanti furono il generale Raffaele Cadorna, Ferruccio Parri e Luigi Longo. Un contributo
importante all’unità delle forze antifasciste ed alla impostazione della politica di ricostruzione
dello Stato fu dato da Palmiro Togliatti, segretario del partito comunista, il quale, rientrato dalla
Russia nell'Italia meridionale nel marzo del 1944, mentre fra i partiti antifascisti erano in corso
aspre polemiche sull'atteggiamento da tenere verso la monarchia, dichiarò che il suo partito era
favorevole alla collaborazione con tutte le forze politiche (anche monarchiche), disposte a
combattere contro i tedeschi ed i fascisti, ed all'ingresso in un governo di coalizione con Badoglio.
La questione istituzionale veniva così rinviata alla fine della guerra.
Nell'Italia settentrionale intanto, il CLNAI (Comitato di liberazione nazionale dell'Alta Italia)
aveva assunto la direzione della guerra partigiana, che si svolse con accanimento mentre gli Alleati
avanzavano lentamente dal Sud fino ad attestarsi, nel settembre del 1944, sulla cosiddetta «linea
gotica», in Toscana.
I tedeschi cercarono di stroncare l’attività dei partigiani con il sistema delle rappresaglie nei
confronti delle popolazioni, che aiutavano i partigiani combattenti. Numerosi paesi furono distrutti
per rappresaglia, come Marzabotto, i cui 1800 abitanti furono massacrati indiscriminatamente. Un
episodio particolarmente doloroso avvenne a Roma, dove, dopo un attentato compiuto contro una
colonna tedesca a via Rasella, 335 civili, in gran parte precedentemente arrestati perché sospetti di
antifascismo o detenuti come ostaggi, furono uccisi nelle Fosse Ardeatine (24 marzo 1944).
Anche in Germania la resistenza al nazismo (formata da diversi gruppi, tra i quali uno dei più noti
fu quello studentesco della “rosa bianca”) si fece più attiva a mano a mano che diventava palese
l'insuccesso dei piani hitleriani. L'episodio più clamoroso fu l'organizzazione di un attentato contro
Hitler da parte di un gruppo di ufficiali (20 luglio 1944). Al fallimento dell’impresa seguì
l'allucinante vendetta di Hitler, durante la quale furono uccisi migliaia di militari e di civili (tra i
quali anche il generale Rommel) sospettati di avere partecipato all'organizzazione antihitleriana o
di averne condiviso i propositi.