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1 Vita e Opere
Hegel nacque a Stoccarda nel 1770 dove ricevette una formazione umanistica. Durante il corso
della sua vita, egli seguì gli eventi della rivoluzione francese e conobbe nuove filosofie (Fiche,
Schelling e Kant). Compiuti i suoi studi si trasferì a Berna dove divenne precettore di una nobile
famiglia. Successivamente andò a vivere a Francoforte, dove compose gli scritti teologici
giovanili. Ma la sua prima grande opera fu la Fenomenologia dello spirito, risalente al 1807, nella
cui prefazione (1806) dichiarò il suo distacco dalla dottrina di Schelling. In seguito, egli pubblicò
la Scienza della logica, le cui due parti apparvero rispettivamente nel 1812 e nel 1816. Sempre nel
1816, Hegel divenne professore universitario e l'anno seguente scrisse l'Enciclopedia delle scienze
filosofiche in compendio, in cui venne esposto l'intero sistema hegeliano nella sua formulazione
più compiuta. A Berlino, egli pubblicò nel 1821 quella che, in un certo senso, è la sua opera più
organica, ovvero i Lineamenti di Filosofia del diritto. Alla fine, morì di colera nel 1831.
3 Finito e infinito
Per Hegel la realtà è un organismo unitario di cui tutto ciò che esiste è parte o manifestazione.
Tale organismo coincide con l'Assoluto e con l'infinito, mentre i vari enti del mondo, essendo sue
manifestazioni, coincidono col finito. Pertanto il finito in sè non esiste, ma è un'espressione
parziale dell'infinito, proprio come la parte non può esistere se non in connessione col tutto. Quindi
la filosofia di Hegel si configura come una forma di monismo panteistico, ossia come una teoria
che vede nel mondo (nel finito) la manifestazione di Dio (dell'infinito).
A questo punto il panteismo hegeliano, in cui l'Assoluto si identifica con un soggetto spirituale in
divenire, va distinto da quello spinoziano, dove l'Assoluto era una sostanza statica che coincideva
con la natura.
Dire che la realtà non è sostanza, ma soggetto, significa dire che essa non è qualcosa di immutabile
e di già dato, ma un processo di auto-produzione che con l'uomo (lo spirito) e con le sue attività
più alte (arte, religione e filosofia) riesce a rivelarsi per quello che è realmente.
4 Ragione e realtà
Il soggetto spirituale infinito, che sta alla base della realtà, viene denominato da Hegel idea o
ragione, termini che esprimono l'identità di ragione e realtà. Da ciò deriva un aforisma, presente
nella prefazione ai Lineamenti di filosofia del diritto, che riassume il senso della filosofia
hegeliana: "Ciò che è razionale è reale"; e ciò che è reale è razionale".
Con la prima parte della formula, egli afferma che ciò che esiste deve essere razionale, proprio
perché la ragione governa e costituisce il mondo, mentre con la seconda sostiene che la realtà è la
manifestazione di una struttura razionale.
Con tale frase egli sostiene la necessaria identità di realtà e ragione, la quale si manifesta in modo
inconsapevole nella natura e in modo consapevole nell'uomo. Tale identità implica l'equivalenza
tra essere e dover essere, in quanto ciò che è risulta anche ciò che razionalmente deve essere.
5 La funzione della filosofia ed il giustificazionismo hegeliano
Hegel ritiene che il compito della filosofia consista nel comprendere la realtà e le strutture che la
costituiscono: Comprendere ciò che è è il compito della filosofia, poiché ciò che è è la ragione.
A dire come dev'essere il mondo, la filosofia arriva sempre troppo tardi, giacché essa giunge
quando la realtà ha compiuto il suo processo di formazione, come la nottola di Minerva che inizia
il suo volo sul far del crepuscolo. La filosofia deve dunque rinunciare alla pretesa assurda di
guidare la realtà, mentre deve avere il compito di portare nella forma del pensiero, il contenuto
reale che l'esperienza le offre, dimostrandone la necessaria razionalità. Quindi il compito che
Hegel attribuisce alla filosofia è quello di giustificare razionalmente la realtà.
La filosofia hegeliana pur implicando un atteggiamento giustificazionista nei confronti della realtà,
non impedì ad Hegel, in modo da evitare che essa possa essere scambiata per una banale
accettazione di ogni aspetto della realtà, di puntualizzare che per realtà non si deve affatto
indicare ogni singolo capriccio, ma soltanto l'essenziale. In altri termini, Hegel giustifica una
definizione di realtà che elimini dal suo stesso concetto gli aspetti superficiali o accidentali
dell'esistenza immediata.
7 La dialettica
L'Assoluto, per Hegel, è fondamentalmente divenire. La legge del mondo che regola tale divenire
è la dialettica, che rappresenta, al tempo stesso, la legge ontologica di sviluppo della realtà e la
legge logica di comprensione della realtà. In altri termini ciò che accade nel mondo, secondo Hegel
può accadere soltanto in modo dialettico.
12 Autocoscienza
Attraverso l'autocoscienza, l'attenzione si sposta dall'oggetto al soggetto, cioè all'attività concreta
dell'io considerato nei suoi rapporti con gli altri. Pertanto, tale sezione della Fenomenologia non si
occupa più soltanto di gnoseologia, ma di settori più ampi, riguardanti la società, la storia della
filosofia e la religione.
13 Servitù e signoria
L'uomo, secondo Hegel, è autocoscienza solo se riesce a farsi riconoscere da un'altra
autocoscienza, per questo non può limitarsi a cercare negli oggetti sensibili l'appagamento dei
propri desideri, ma ha necessariamente bisogno degli altri uomini. Si potrebbe pensare che il
reciproco riconoscersi delle autocoscienze debba avvenire tramite l'amore (che è il miracolo per
cui ciò che è due diviene uno), tuttavia l'amore è pur sempre qualcosa a cui mancano la serietà, il
dolore, la pazienza ed il travaglio del negativo. Pertanto, il riconoscimento deve passare attraverso
un momento di lotta e di sfida, ovvero il conflitto tra le autocoscienze. Tale conflitto, nel quale
ogni autocoscienza pur di affermare la propria indipendenza deve essere pronta persino a rischiare
la vita, non si conclude con la morte delle autocoscienze contendenti, ma con la subordinazione
dell'una all'altra nel rapporto servo-signore.
Il signore è colui che, pur di affermare la propria indipendenza, ha messo a repentaglio la propria
vita fino alla vittoria, mentre il servo quello che per aver salva la vita, ha preferito perdere la
propria indipendenza, divenendo uno schiavo. Tuttavia, il rapporto tra servo e signore è destinato
ad invertirsi, perché il signore, che all'inizio appariva indipendente, limitandosi a godere del lavoro
dei servi, si è reso dipendente, mentre il servo, che in un primo momento appariva dipendente,
padroneggiando e lavorando le cose necessarie per il sostentamento del signore, diviene
indipendente.
Questo processo di progressiva acquisizione di indipendenza da parte del servo avviene tramite i
tre momenti della paura della morte, del servizio e del lavoro.
Lo schiavo è tale perché ha tremato dinnanzi alla possibilità della morte, ma proprio in virtù di
questa paura, ossia della perdita della propria esistenza, egli ha capito di essere indipendente da
quel mondo di realtà e di certezze naturali che prima gli apparivano come qualcosa di fisso e con le
quali si identificava. Nel servizio la coscienza si autodisciplina e impara a vincere i propri impulsi
naturali. Nel lavoro il servo trattiene in un certo senso il proprio appetito rimandando il momento
dell'utilizzo dell'oggetto che sta producendo. In questa operazione egli imprime alle cose una
forma, dando luogo ad un'opera che permane e che ha una sua autonomia. In questo senso, l'opera
prodotta rappresenta il riflesso, nelle cose, della raggiunta autonomia del servo rispetto agli
oggetti.
14 Stoicismo e Scetticismo
Il raggiungimento dell'indipendenza dell'io nei confronti delle cose trova la sua manifestazione
filosofica nello stoicismo, dottrina che celebra l'autosufficienza e la libertà del saggio nei confronti
di ciò che lo circonda. Ma nello stoicismo l'autocoscienza, che pretende di liberarsi dai
condizionamenti della realtà, raggiunge soltanto un'astratta libertà interiore, giacché quei
condizionamenti permangono e la realtà esterna non è affatto negata.
La pretesa di occultare completamente quel mondo esterno da cui lo stoico si sente indipendente
appartiene invece allo scetticismo. Tuttavia, l'eccessivo atteggiamento negativo verso la realtà,
porta gli scettici, secondo Hegel, ad auto-contraddirsi, perché se da un lato dichiarano che tutto è
vano e fasullo, dall'altro hanno la pretesa di dire qualcosa di reale e vero.
15 La coscienza infelice
Attraversata la contraddizione tra la negazione della verità e l'affermazione di una verità, la
coscienza scettica trapassa nella figura della coscienza infelice, in cui la contraddizione diviene
esplicita e assume la forma di una separazione radicale tra l'uomo e Dio, la quale produce nella
coscienza una lacerazione che genera infelicità.
- Ebraismo. Il primo momento in cui possiamo notare la netta separazione tra uomo e Dio si
manifesta nell'ebraismo attraverso l'antitesi tra trasmutabile e intrasmutabile, in cui Dio è un
Signore inaccessibile e l'uomo si trova in uno stato di totale dipendenza (come tra servo e signore).
- Cristianesimo. Nel secondo momento, situazione tipica del cristianesimo, Dio assume le
fattezze umane attraverso la figura di Cristo. In quest'esperienza vi è il primo tentativo di colmare
l'abissale distanza tra l'uomo e Dio, tuttavia anche questo momento è destinato a fallire, perché
Cristo pur avendo assunto una forma umana rimane sempre un Dio. Inoltre, non è possibile fare
esperienza di Dio anche perché quando si è incarnato in Cristo nessuno lo considerava un Dio,
mentre ora che è morto non lo si può più conoscere. Questo fallimento è testimoniato dalle
Crociate, quando si cercò il ritrovare il suo cadavere, ma alla fine si trovò un sepolcro vuoto. Di
conseguenza, con il cristianesimo la coscienza continua ad essere infelice e Dio rimane
irraggiungibile.
- Religiosità medievale. Tale fallimento origina la religiosità medievale che si manifesta nei tre
momenti della devozione, del fare ed operare e della mortificazione di se. Nella devozione il
pensiero religioso è necessariamente incapace di elevarsi a concetto. Nel fare e nell'operare la
coscienza cerca di esprimersi nel mondo e nel lavoro e, rinunciando ad un contatto immediato con
Dio, finisce per riconoscere le proprie opere appartenenti a Dio. Nella mortificazione di se si ha la
più completa negazione dell'io in favore di Dio.
16 La Ragione
La coscienza, avendo raggiunto il punto più basso ed infelice del suo travagliato percorso, è
destinata a trapassare dialetticamente nel punto più alto, nel momento in cui, tentando invano di
raggiungere Dio, finisce per rendersi conto di essere lei stessa Dio, cioè l'universale, il soggetto
assoluto. Questo è il passaggio, storicamente avvenuto non nel Medioevo ma nel Rinascimento e
nell'età moderna, in cui la coscienza diviene ragione, cioè consapevole sia della razionalità del
reale, sia di essere l'intera realtà. Proprio in questa consapevolezza, consiste l'idealismo, ossia
nell'affermazione che l'intera realtà è l'idea, ossia il pensiero.
18 L'individualità in se e per se
Lo sforzo individuale della singola coscienza è dunque destinato a fallire, non potendo raggiungere
l'universalità. Quindi, si passa ad una nuova fase della coscienza, denominata dell'individualità
(figure: regno animale dello spirito, ragione legislatrice e ragione esaminatrice delle leggi), che si
considera reale in sé e per se stessa. Hegel mostra che l'individualità, pur potendo raggiungere la
propria realizzazione rimane, in quanto tale, astratta ed inadeguata. In altre parole, se si rimane
fermi al punto di vista dell'individuo, non è possibile raggiungere l'universalità. Allora è necessario
il passaggio all'attività pratica universale, cioè a quella dimensione che Hegel chiama "eticità" e
che consiste nelle consuetudini, nelle istituzioni dei popoli, nelle forme dello Stato. Con ciò Hegel
intende dire che la vera ragione non è quella dell'individuo, ma quella dello Stato che sta alla base
di ogni atto della vita individuale, cioè è l'individuo a fondarsi sulla realtà storico-sociale, non
viceversa. A questo punto la ragione diventa spirito e il suo sviluppo non riguarda più la
coscienza individuale, ma la storia dell’umanità.
20 Lo spirito oggettivo
- Diritto astratto. Il principio essenziale su cui si basa la sfera del diritto astratto è la persona.
Nel diritto astratto (o formale), il volere libero si manifesta innanzitutto come volere del singolo
individuo, considerato, secondo l'antica giurisprudenza romana, come persona fornita di capacità
giuridiche. Il diritto astratto, che coincide con il diritto privato e con una parte di quello penale,
riguarda la manifestazione esterna della libertà delle persone, concepite come puri soggetti
astratti di diritto, indipendentemente dai caratteri e dalle condizioni che diversificano gli
individui.
La persona trova il suo primo compimento in una cosa esterna, che diventa una sua proprietà. La
proprietà diviene però effettivamente tale soltanto in virtù del reciproco riconoscimento tra le
persone, ossia tramite l'istituto giuridico del contratto.
Naturalmente l'esistenza del diritto rende possibile l'esistenza del suo contrario, cioè il torto, che
nel suo aspetto più grave è il delitto. La colpa richiede una sanzione o una pena, che si configura
come un ripristino del diritto violato, necessaria per il vivere comune. Perché la pena sia
efficacemente punitiva e formativa, occorre che sia riconosciuta interiormente dal colpevole, ma
questa esigenza richiama la sfera della moralità.
- Moralità. La moralità è la sfera della volontà soggettiva, che si manifesta nell'azione. Tuttavia,
quest'ultima risulta morale solo se si origina da un proponimento, in cui il soggetto riconosce come
proprie soltanto le azioni che rispondono ad un suo proposito. Allora il proponimento prende la
forma dell'intenzione. Quando l'intenzione si solleva all'universalità, il fine assoluto della volontà
diventa il bene in sé e per sé. Ma il bene in questo caso è ancora un'idea astratta, che per esistere ha
bisogno di un altrettanto astratta volontà soggettiva, che ha l'intenzione di compiere solo il bene.
- Eticità. La separazione tra la soggettività ed il bene, tipica della moralità, viene ricongiunta
nell'eticità, dove il bene diviene esistente. Infatti, mentre la moralità è la volontà soggettiva (cioè
privata) del bene, l'eticità è la moralità sociale, cioè la realizzazione concreta del bene nelle forme
istituzionali della famiglia, della società civile e dello stato.
A questo proposito notiamo che il termine "eticità" (Sittlichkeit), che Hegel oppone a "moralità"
(Moralitat), deriva dalla parola "costume" (ethos in greco, Sitte in tedesco). Con questa scelta
terminologica, il filosofo sottolinea che ogni individuo quando nasce si trova collocato in un
atmosfera storico-culturale che orienterà le sue scelte. Pertanto, la coscienza individuale non può
operare in modo autonomo ed il bene risulta concreto e determinato, ossia costituito da regole
comportamentali condivise che l'individuo acquisisce in modo naturale e istintivo. Questa
concezione del bene era presente nell'eticità greca, che concepiva la vita dell'individuo
necessariamente legata a quella della polis.
Tuttavia, Hegel ritiene che l'immediata, naturale, e felice unità tra individuo e stato, si sia
spezzata nel mondo cristiano e moderno, perché all'antico organicismo è subentrato
l'individualismo liberale borghese, con la rivendicazione dei diritti naturali dell'individuo prima e
indipendentemente da quelli dello Stato.
In ogni caso il passaggio alla moralità moderna da un lato ha un valore positivo, perché nell'antica
Grecia l'unità dell'individuo e della comunità era vissuta in maniera ingenua e inconsapevole, ma
dall'altro lato ha una connotazione negativa, dal momento che è opera dell'intelletto astratto, il
quale introduce una serie di opposizioni e scissioni (tra individuo e stato, particolare e universale).
Per questo motivo Hegel propone un'eticità dei moderni, che recuperi l'antica unità di individuo e
cittadino, ma nella forma della libertà.
L'eticità costituisce la sintesi tra il diritto astratto e la moralità. Configurandosi come una sorta di
morale che ha assunto le forme del diritto o di diritto che ha assunto le forme della morale, l'eticità
risulta in grado di superare le opposte unilateralità del diritto e della morale.
21 I tre momenti dell'eticità
- Famiglia. Il primo momento dell'eticità è la famiglia, nella quale il rapporto naturale tra i sessi
assume la forma di un'unità spirituale fondata sull'amore e sulla fiducia. La famiglia si articola
in matrimonio, patrimonio ed educazione dei figli (seconda nascita).
Una volta cresciuti, i figli escono dalla famiglia originaria per dare origine a nuove famiglie,
aventi ognuna interessi propri. In tal modo si passa alla società civile.
- Società civile. Il superamento della famiglia, nella sua natura semplice e unitaria, si attua con
la società civile, che è il momento razionale negativo, in cui si scinde ed atomizza l’unità nucleare
familiare, in quanto hanno precedenza i soggetti economici privati della società borghese-
capitalistica. La società civile si articola a sua volta nei tre momenti del sistema di bisogni,
dell'amministrazione della giustizia e della polizia e delle corporazioni.
1) Il sistema dei bisogni nasce dal fatto che gli individui, dovendo soddisfare i propri bisogni,
attraverso l’organizzazione della produzione dei beni in base alla divisione del lavoro, danno
origine a diverse classi, ovvero quella sostanziale degli agricoltori (che ha il suo patrimonio nei
prodotti naturali), quella formale degli artigiani, dei fabbricanti e dei commercianti (che ha per
sua occupazione il dar forma al prodotto naturale) e quella universale dei pubblici funzionari
(che ha per sua occupazione gli interessi universali della situazione sociale).
2) L'amministrazione della giustizia concerne la sfera delle leggi e della loro tutela giuridica e si
identifica con il diritto pubblico.
3) La polizia e le corporazioni provvedono alla sicurezza sociale. Nel sistema di Hegel le
corporazioni attuano una sorta di unità tra la volontà del singolo e quella della categoria lavorativa
a cui il singolo appartiene, rappresentano il momento dell'universalità statale.
- Stato. Lo Stato è il momento culminante dell’eticità, ossia la riaffermazione dell’unità della
famiglia (tesi), al di là della dispersione della società civile (antitesi). Nello Stato si ha finalmente
la congiunzione dell'organicità con la consapevolezza soggettiva. Lo Stato è una sorta di famiglia
in grande, nella quale l’ethos (costume) di un popolo esprime consapevolmente se stesso.
Hegel respinge sia il modello liberale di Kant e Locke, dove lo Stato era atto a garantire i diritti
dei cittadini, sia quello democratico di Rousseau, che sosteneva che la sovranità spettasse al
popolo. Egli sostiene che il primo riduca lo Stato a tutore dei particolarismi e che il secondo
consideri il popolo al di fuori dello Stato. La polemica anti-liberale e anti-democratica di Hegel ha
come suo fondamento teorico la prospettiva organicistica, secondo cui non sono gli individui a
fondare lo Stato, ma viceversa, sia dal punto di vista storico-temporale, sia dal punto di vista
ideale. L'ottica organicistica si accompagna ad un rifiuto del modello contrattualistico, dove lo
Stato nasceva da un contratto stipulato tra gli uomini per garantire il reciproco benessere,
considerato da Hegel un insulto all’autorità dello Stato. Hegel contesta anche il giusnaturalismo,
ovvero l’idea dell'esistenza di diritti naturali esistenti prima ed oltre lo Stato, affermando che la
società è la sola condizione in cui il diritto ha la sua realtà. Tuttavia, Hegel condivide con i
giusnaturalisti sia la tendenza di fare dello Stato il punto culminante del processo storico, sia la tesi
della supremazia della legge, concepita come la più alta manifestazione dello Stato. Pur essendo
sovrano, lo Stato non deve essere dispotico, ma operare attraverso le leggi. Hegel sostiene inoltre
che la costituzione non è il frutto di una elucubrazione a tavolino, ma qualcosa che sgorga dalla
vita storica e collettiva di un popolo. Ogni popolo ha la costituzione che gli è adeguata, infatti se si
vuole imporre a priori una costituzione ad un popolo, come fece Napoleone con gli spagnoli,
inevitabilmente si fallisce, anche se la costituzione proposta è migliore di quella in uso.
Hegel identifica la costituzione razionale con la monarchia costituzionale moderna, ossia con un
organismo politico che prevede una serie di poteri distinti, ma non divisi tra loro. Tali poteri sono
quello legislativo, quello governativo e quello principesco.
Il potere legislativo consiste nel "potere di determinare e di stabilire l'universale" e "concerne le
leggi come tali". A tale potere concorre "l'assemblea delle rappresentanze di classi", che trova la
propria espressione in una Camera alta e in una Camera bassa. Hegel sostiene che i membri del
governo "possono fare ciò che è il meglio senza i ceti", in quanto essi possiedono una profonda
conoscenza dei bisogni e degli affari dello Stato, mentre il popolo "non sa ciò che vuole".
Il potere governativo (o esecutivo) che comprende in sé i poteri giudiziari e di polizia operanti a
livello di società civile, consiste nel tradurre in atto l'universalità delle leggi. A questo compito
sono adibiti i funzionari dello Stato.
Il potere principesco (o monarchico) rappresenta l'incarnazione dell'unità dello Stato, in cui la
sovranità di quest'ultimo si concretizza in un'individualità reale a cui spetta la decisione definitiva
riguardo gli affari della collettività. Tuttavia, la funzione di costui sembra consistere nel "dire sì, e
mettere i puntini sulle “i", pertanto il vero potere politico è quello governativo e la vera classe
politica è costituita dai ministri e dai pubblici funzionari.
Per Hegel la monarchia costituzionale rappresenta sia la costituzione della ragione sviluppata,
rispetto alla quale tutte le altre appartengono a gradi più bassi, sia la risoluzione organica in se
stessa delle forme classiche di governo (monarchia, aristocrazia e democrazia).
Il pensiero politico hegeliano mette capo ad una divinizzazione dello Stato, sostenendo che
l'ingresso di Dio nel mondo sia appunto lo Stato. Inoltre, egli afferma che il benessere dello Stato
abbia una giustificazione ben diversa da quella dell'individuo. Hegel dichiara ancora che il solo
giudice in grado di regolare i rapporti interstatali sia lo spirito universale, cioè la storia, la quale ha
come suo momento strutturale la guerra (alla quale Hegel attribuisce alla guerra un carattere di
necessità, ma anche un alto valore morale).