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Hegel

1 Vita e Opere
Hegel nacque a Stoccarda nel 1770 dove ricevette una formazione umanistica. Durante il corso
della sua vita, egli seguì gli eventi della rivoluzione francese e conobbe nuove filosofie (Fiche,
Schelling e Kant). Compiuti i suoi studi si trasferì a Berna dove divenne precettore di una nobile
famiglia. Successivamente andò a vivere a Francoforte, dove compose gli scritti teologici
giovanili. Ma la sua prima grande opera fu la Fenomenologia dello spirito, risalente al 1807, nella
cui prefazione (1806) dichiarò il suo distacco dalla dottrina di Schelling. In seguito, egli pubblicò
la Scienza della logica, le cui due parti apparvero rispettivamente nel 1812 e nel 1816. Sempre nel
1816, Hegel divenne professore universitario e l'anno seguente scrisse l'Enciclopedia delle scienze
filosofiche in compendio, in cui venne esposto l'intero sistema hegeliano nella sua formulazione
più compiuta. A Berlino, egli pubblicò nel 1821 quella che, in un certo senso, è la sua opera più
organica, ovvero i Lineamenti di Filosofia del diritto. Alla fine, morì di colera nel 1831.

2 Le tesi di fondo del sistema hegeliano


Per comprendere al meglio la filosofia di Hegel, risulta utile illustrare le tesi di fondo del suo
idealismo, le quali sono:
- la risoluzione del finito nell'infinito;
- l'identità tra ragione e realtà;
- la funzione giustificatrice della filosofia (anche se essa finisce per derivare dalla prima).

3 Finito e infinito
Per Hegel la realtà è un organismo unitario di cui tutto ciò che esiste è parte o manifestazione.
Tale organismo coincide con l'Assoluto e con l'infinito, mentre i vari enti del mondo, essendo sue
manifestazioni, coincidono col finito. Pertanto il finito in sè non esiste, ma è un'espressione
parziale dell'infinito, proprio come la parte non può esistere se non in connessione col tutto. Quindi
la filosofia di Hegel si configura come una forma di monismo panteistico, ossia come una teoria
che vede nel mondo (nel finito) la manifestazione di Dio (dell'infinito).
A questo punto il panteismo hegeliano, in cui l'Assoluto si identifica con un soggetto spirituale in
divenire, va distinto da quello spinoziano, dove l'Assoluto era una sostanza statica che coincideva
con la natura.
Dire che la realtà non è sostanza, ma soggetto, significa dire che essa non è qualcosa di immutabile
e di già dato, ma un processo di auto-produzione che con l'uomo (lo spirito) e con le sue attività
più alte (arte, religione e filosofia) riesce a rivelarsi per quello che è realmente.

4 Ragione e realtà
Il soggetto spirituale infinito, che sta alla base della realtà, viene denominato da Hegel idea o
ragione, termini che esprimono l'identità di ragione e realtà. Da ciò deriva un aforisma, presente
nella prefazione ai Lineamenti di filosofia del diritto, che riassume il senso della filosofia
hegeliana: "Ciò che è razionale è reale"; e ciò che è reale è razionale".
Con la prima parte della formula, egli afferma che ciò che esiste deve essere razionale, proprio
perché la ragione governa e costituisce il mondo, mentre con la seconda sostiene che la realtà è la
manifestazione di una struttura razionale.
Con tale frase egli sostiene la necessaria identità di realtà e ragione, la quale si manifesta in modo
inconsapevole nella natura e in modo consapevole nell'uomo. Tale identità implica l'equivalenza
tra essere e dover essere, in quanto ciò che è risulta anche ciò che razionalmente deve essere.
5 La funzione della filosofia ed il giustificazionismo hegeliano
Hegel ritiene che il compito della filosofia consista nel comprendere la realtà e le strutture che la
costituiscono: Comprendere ciò che è è il compito della filosofia, poiché ciò che è è la ragione.
A dire come dev'essere il mondo, la filosofia arriva sempre troppo tardi, giacché essa giunge
quando la realtà ha compiuto il suo processo di formazione, come la nottola di Minerva che inizia
il suo volo sul far del crepuscolo. La filosofia deve dunque rinunciare alla pretesa assurda di
guidare la realtà, mentre deve avere il compito di portare nella forma del pensiero, il contenuto
reale che l'esperienza le offre, dimostrandone la necessaria razionalità. Quindi il compito che
Hegel attribuisce alla filosofia è quello di giustificare razionalmente la realtà.
La filosofia hegeliana pur implicando un atteggiamento giustificazionista nei confronti della realtà,
non impedì ad Hegel, in modo da evitare che essa possa essere scambiata per una banale
accettazione di ogni aspetto della realtà, di puntualizzare che per realtà non si deve affatto
indicare ogni singolo capriccio, ma soltanto l'essenziale. In altri termini, Hegel giustifica una
definizione di realtà che elimini dal suo stesso concetto gli aspetti superficiali o accidentali
dell'esistenza immediata.

6 Idea, natura e spirito: le partizioni della filosofia


Hegel ritiene che l'Assoluto per farsi dinamico debba passare attraverso i tre momenti dell'idea in
sé e per sé (tesi), dell'idea fuori di sé (antitesi) e dell'idea che ritorna in sé (sintesi).
1) L'idea in sé e per sé è l'idea considerata in se stessa, a prescindere dalla sua realizzazione nella
natura e nello spirito.
2) L'idea fuori di sé è la natura, ossia l'estraniazione dell'idea nelle realtà spazio-temporali del
mondo.
3) L'idea che ritorna in sé è lo spirito, ovvero l'idea che, dopo essersi fatta natura, acquista la
coscienza di sé nell'uomo.
Tuttavia tale triade non va intesa in senso cronologico, ma ideale, infatti ciò che concretamente
esiste nella realtà è lo spirito (sintesi), il quale ha come sua eterna condizione la natura (l'antitesi) e
come suo eterno presupposto l'idea pura (la tesi).
A questi tre momenti strutturali dell'Assoluto Hegel fa corrispondere le tre sezioni in cui si divide
il sapere filosofico:
1) La logica, cioè la scienza dell'idea in sé e per sé;
2) La filosofia della natura, ossia la scienza dell'idea nel suo estraniarsi da sé;
3) La filosofia dello spirito, ovvero la scienza dell'idea che ritorna in sé.

7 La dialettica
L'Assoluto, per Hegel, è fondamentalmente divenire. La legge del mondo che regola tale divenire
è la dialettica, che rappresenta, al tempo stesso, la legge ontologica di sviluppo della realtà e la
legge logica di comprensione della realtà. In altri termini ciò che accade nel mondo, secondo Hegel
può accadere soltanto in modo dialettico.

8 I tre momenti del pensiero


Nell'Enciclopedia Hegel distingue tre momenti del pensiero:
- Momento astratto. Il momento astratto o intellettuale, che consiste nel concepire l'esistente
sotto forma di una molteplicità di determinazioni statiche, separate le une dalle altre.
- Momento dialettico. Il momento dialettico o negativo-razionale, che consiste nel mostrare
come le determinazioni esigano di essere relazionate con altre determinazioni. Infatti, poiché ogni
affermazione implica una negazione, in quanto per specificare ciò che una cosa è, bisogna chiarire
ciò che essa non è, si deve procedere oltre il principio di identità e mettere in rapporto le varie
determinazioni con le determinazioni opposte.
- Momento speculativo. Il momento speculativo o positivo-razionale, che consiste nel cogliere
l'unità delle determinazioni opposte, ossia nel rendersi conto che tali determinazioni sono aspetti
unilaterali di una realtà più alta che li ricomprende e li sintetizza.
Da questa distinzione, si può notare la contrapposizione individuata da Hegel tra intelletto e
ragione in senso stretto, secondo cui, se l'intelletto (organo del finito) è un modo di pensare
statico, che considera gli enti soltanto nella loro reciproca esclusione, la ragione (organo
dell'infinito) è un modo di pensare dinamico, capace di cogliere la concretezza del reale. In quanto
dialettica, la ragione nega le determinazioni astratte dell'intelletto, mettendole in relazione con le
determinazioni opposte, mentre, in quanto speculativa, coglie l'unità degli opposti realizzandone la
sintesi. Quindi, la dialettica consiste prima nell'affermazione di un concetto astratto e limitato, che
funge da tesi, poi nella negazione di questo concetto come qualcosa di limitato (o finito) e nella
formulazione di un concetto opposto, che funge da antitesi, infine nell'unificazione
dell'affermazione e della negazione in una sintesi positiva che comprenda entrambe.
La sintesi si configura come una riaffermazione (Aufhebung, cioè superamento) potenziata
dell'affermazione iniziale (tesi), ottenuta tramite la negazione della negazione intermedia (antitesi).

9 Puntualizzazioni circa la dialettica


La dialettica corrisponde alla totalità dei tre momenti, la quale non fa che illustrare il principio
della risoluzione del finito nell'infinito. Essa ci mostra come ogni finito, cioè ogni faccia della
realtà, non possa esistere in se stesso, ma solo in un contesto di rapporti che costituiscono la realtà
e che coincidono con l'infinito, di cui sono parte, perché per imporsi il finito deve necessariamente
opporsi a qualcos'altro.
Dato che il tutto, ovvero l'idea, è un'entità dinamica, la dialettica esprime il processo attraverso cui
le varie determinazioni della realtà perdono la loro rigidezza, si fluidificano e diventano momenti
di un'idea unica e infinita. La dialettica ha un significato globalmente ottimistico, mentre il
negativo, per Hegel, sussiste solo come momento del farsi del positivo.

10 La Fenomenologia dello spirito


Il termine fenomenologia indica la descrizione o la scienza di ciò che appare. Poiché l'intera realtà
è spirito, la fenomenologia consisterà nell'acquisizione, da parte dello spirito, della consapevolezza
di essere tutta la realtà, cioè l'Assoluto.
Il principio della risoluzione del finito nell'infinito viene illustrato da Hegel in due modi diversi,
corrispondenti a due differenti prospettive:
- Prospettiva diacronica. Da un lato Hegel, secondo una prospettiva diacronica, si sofferma ad
analizzare la lunga vicenda storica che, dall'alba della civiltà greca fino alla modernità, la
coscienza ha compiuto per arrivare alla consapevolezza di tale risoluzione.
- Prospettiva sincronica. Dall'altro, secondo una prospettiva sincronica, esamina il principio in
questione che appare in atto in tutte le determinazioni fondamentali della realtà.
La fenomenologia è la storia romanzata della coscienza, che attraverso infelicità e dolore, riesce ad
uscire dalla sua individualità, raggiungendo l'universalità e riconoscendosi come ragione che è
realtà e realtà che è ragione. La fenomenologia può essere riassunta nella figura della coscienza
infelice, la quale non sapendo di essere tutta la realtà, si ritrova divisa in opposizioni dalle quali è
tormentata e dalle quali esce soltanto arrivando alla coscienza di essere tutto. La fenomenologia,
come divenire della filosofia, possiede uno scopo pedagogico e didascalico, poiché la filosofia non
potendo considerarsi scienza senza mostrare il divenire, ha bisogno di essa per preparare ed
introdurre il singolo alla filosofia.
La Fenomenologia si divide in due parti, di cui la prima comprende i tre momenti della coscienza
(tesi), dell'autocoscienza (antitesi) e della ragione (sintesi), mentre la seconda comprende le tre
sezioni dello spirito, della religione e del sapere assoluto.
11 Coscienza
La prima tappa della fenomenologia dello spirito è la coscienza, intesa come ciò che si rapporta ad
un oggetto (qualcosa di percepito come esterno da sé), la quale si articola a sua volta:
- Certezza sensibile. Nella certezza sensibile, la quale apparendo a prima vista come la forma di
conoscenza più elevata e sicura, è in realtà la più povera ed astratta, perché ci fornisce la
conoscenza soltanto su una singola, indeterminata e generica cosa. Noi possiamo avere conoscenza
di questo albero o di questa casa, in quanto presenti in questo momento davanti a noi, ma non
dell'albero o della casa in quanto tali. In tal modo Hegel intende criticare tutte le forme di sapere
immediato. La certezza sensibile non può pensare o dire il proprio oggetto, perché per pensarlo o
nominarlo dovrebbe introdurre una mediazione (è un albero e non è una casa), ma si limita a
sentirlo nella sua unicità e immediatezza. La certezza sensibile trapassa in altro, poiché proprio
nella sua immediatezza si delinea la mediazione tra ciò che è in sé e ciò che è per la coscienza,
infatti il questo non dipende dalla cosa, ma dall'io che la considera.
- Percezione. Nella percezione, ossia nel passaggio dal sapere immediato al sapere mediato, il
quale non fa che esplicitare quella distinzione tra soggetto che percepisce e oggetto percepito,
implicitamente presente nella certezza sensibile. Nella percezione il generico questo, che si
cercava di afferrare con i sensi, diventa la cosa, percepita dall'io come sostanza a cui sono
connesse diverse proprietà.
- Intelletto. Nell'intelletto, che consiste nella capacità di cogliere gli oggetti non come tali, ovvero
non in base alle qualità sensibili, ma come fenomeni. Hegel, prendendo spunto da Kant, ritiene che
l'essenza vera dell'oggetto, che è ultrasensibile, non può essere colta mediante l'intelletto. Pertanto,
poiché il fenomeno è soltanto nella coscienza e poiché ciò che è al di là del fenomeno o è un nulla
o è qualcosa per la coscienza, la coscienza a questo punto è diventata autocoscienza.

12 Autocoscienza
Attraverso l'autocoscienza, l'attenzione si sposta dall'oggetto al soggetto, cioè all'attività concreta
dell'io considerato nei suoi rapporti con gli altri. Pertanto, tale sezione della Fenomenologia non si
occupa più soltanto di gnoseologia, ma di settori più ampi, riguardanti la società, la storia della
filosofia e la religione.

13 Servitù e signoria
L'uomo, secondo Hegel, è autocoscienza solo se riesce a farsi riconoscere da un'altra
autocoscienza, per questo non può limitarsi a cercare negli oggetti sensibili l'appagamento dei
propri desideri, ma ha necessariamente bisogno degli altri uomini. Si potrebbe pensare che il
reciproco riconoscersi delle autocoscienze debba avvenire tramite l'amore (che è il miracolo per
cui ciò che è due diviene uno), tuttavia l'amore è pur sempre qualcosa a cui mancano la serietà, il
dolore, la pazienza ed il travaglio del negativo. Pertanto, il riconoscimento deve passare attraverso
un momento di lotta e di sfida, ovvero il conflitto tra le autocoscienze. Tale conflitto, nel quale
ogni autocoscienza pur di affermare la propria indipendenza deve essere pronta persino a rischiare
la vita, non si conclude con la morte delle autocoscienze contendenti, ma con la subordinazione
dell'una all'altra nel rapporto servo-signore.
Il signore è colui che, pur di affermare la propria indipendenza, ha messo a repentaglio la propria
vita fino alla vittoria, mentre il servo quello che per aver salva la vita, ha preferito perdere la
propria indipendenza, divenendo uno schiavo. Tuttavia, il rapporto tra servo e signore è destinato
ad invertirsi, perché il signore, che all'inizio appariva indipendente, limitandosi a godere del lavoro
dei servi, si è reso dipendente, mentre il servo, che in un primo momento appariva dipendente,
padroneggiando e lavorando le cose necessarie per il sostentamento del signore, diviene
indipendente.
Questo processo di progressiva acquisizione di indipendenza da parte del servo avviene tramite i
tre momenti della paura della morte, del servizio e del lavoro.
Lo schiavo è tale perché ha tremato dinnanzi alla possibilità della morte, ma proprio in virtù di
questa paura, ossia della perdita della propria esistenza, egli ha capito di essere indipendente da
quel mondo di realtà e di certezze naturali che prima gli apparivano come qualcosa di fisso e con le
quali si identificava. Nel servizio la coscienza si autodisciplina e impara a vincere i propri impulsi
naturali. Nel lavoro il servo trattiene in un certo senso il proprio appetito rimandando il momento
dell'utilizzo dell'oggetto che sta producendo. In questa operazione egli imprime alle cose una
forma, dando luogo ad un'opera che permane e che ha una sua autonomia. In questo senso, l'opera
prodotta rappresenta il riflesso, nelle cose, della raggiunta autonomia del servo rispetto agli
oggetti.

14 Stoicismo e Scetticismo
Il raggiungimento dell'indipendenza dell'io nei confronti delle cose trova la sua manifestazione
filosofica nello stoicismo, dottrina che celebra l'autosufficienza e la libertà del saggio nei confronti
di ciò che lo circonda. Ma nello stoicismo l'autocoscienza, che pretende di liberarsi dai
condizionamenti della realtà, raggiunge soltanto un'astratta libertà interiore, giacché quei
condizionamenti permangono e la realtà esterna non è affatto negata.
La pretesa di occultare completamente quel mondo esterno da cui lo stoico si sente indipendente
appartiene invece allo scetticismo. Tuttavia, l'eccessivo atteggiamento negativo verso la realtà,
porta gli scettici, secondo Hegel, ad auto-contraddirsi, perché se da un lato dichiarano che tutto è
vano e fasullo, dall'altro hanno la pretesa di dire qualcosa di reale e vero.

15 La coscienza infelice
Attraversata la contraddizione tra la negazione della verità e l'affermazione di una verità, la
coscienza scettica trapassa nella figura della coscienza infelice, in cui la contraddizione diviene
esplicita e assume la forma di una separazione radicale tra l'uomo e Dio, la quale produce nella
coscienza una lacerazione che genera infelicità.
- Ebraismo. Il primo momento in cui possiamo notare la netta separazione tra uomo e Dio si
manifesta nell'ebraismo attraverso l'antitesi tra trasmutabile e intrasmutabile, in cui Dio è un
Signore inaccessibile e l'uomo si trova in uno stato di totale dipendenza (come tra servo e signore).
- Cristianesimo. Nel secondo momento, situazione tipica del cristianesimo, Dio assume le
fattezze umane attraverso la figura di Cristo. In quest'esperienza vi è il primo tentativo di colmare
l'abissale distanza tra l'uomo e Dio, tuttavia anche questo momento è destinato a fallire, perché
Cristo pur avendo assunto una forma umana rimane sempre un Dio. Inoltre, non è possibile fare
esperienza di Dio anche perché quando si è incarnato in Cristo nessuno lo considerava un Dio,
mentre ora che è morto non lo si può più conoscere. Questo fallimento è testimoniato dalle
Crociate, quando si cercò il ritrovare il suo cadavere, ma alla fine si trovò un sepolcro vuoto. Di
conseguenza, con il cristianesimo la coscienza continua ad essere infelice e Dio rimane
irraggiungibile.
- Religiosità medievale. Tale fallimento origina la religiosità medievale che si manifesta nei tre
momenti della devozione, del fare ed operare e della mortificazione di se. Nella devozione il
pensiero religioso è necessariamente incapace di elevarsi a concetto. Nel fare e nell'operare la
coscienza cerca di esprimersi nel mondo e nel lavoro e, rinunciando ad un contatto immediato con
Dio, finisce per riconoscere le proprie opere appartenenti a Dio. Nella mortificazione di se si ha la
più completa negazione dell'io in favore di Dio.

16 La Ragione
La coscienza, avendo raggiunto il punto più basso ed infelice del suo travagliato percorso, è
destinata a trapassare dialetticamente nel punto più alto, nel momento in cui, tentando invano di
raggiungere Dio, finisce per rendersi conto di essere lei stessa Dio, cioè l'universale, il soggetto
assoluto. Questo è il passaggio, storicamente avvenuto non nel Medioevo ma nel Rinascimento e
nell'età moderna, in cui la coscienza diviene ragione, cioè consapevole sia della razionalità del
reale, sia di essere l'intera realtà. Proprio in questa consapevolezza, consiste l'idealismo, ossia
nell'affermazione che l'intera realtà è l'idea, ossia il pensiero.

17 La ragione osservativa e la ragione attiva


Il percorso attraverso cui la coscienza si fa ragione, si articola in fasi, la prima delle quali è quella
della ragione osservativa, cioè la ragione tipica dell'età rinascimentale, in cui la natura è
conosciuta mediante l'osservazione diretta. Tuttavia, la coscienza non si ritrova nella natura
semplicemente osservandola, mentre la ragione non si attua come pura ragione contemplativa,
bensì come ragione attiva, la quale cerca di realizzarsi attraverso lo sviluppo di tre figure.
- Piacere e necessità. La prima è quella del faustismo, in cui l'individuo, deluso dai risultati della
scienza naturale, si lancia alla ricerca della vita, del suo significato più forte e del godimento della
vita stessa. Ma nella ricerca del piacere l’autocoscienza si scontra con la necessità del destino
(Faust seduce Margherita ma deve subire la vendetta dei familiari, mentre Margherita è punita
dalla legge per l’infanticidio), che contrasta il suo desiderio di felicità, mettendo in luce i limiti e
la finitezza dell'individuo.
- Legge del cuore e delirio della presunzione. La seconda è rappresentata come l’esperienza
tipica di un giovane che si contrappone alla società e alle sue leggi con motivazioni altamente
morali. Alle difficoltà e ai mali del mondo (il fanatismo, l'ottusità, la corruzione) contrappone la
legge del cuore (allusione alle filosofie che nel corso del Settecento hanno sviluppato il tema del
sentimento e a Karl Moor, protagonista del dramma di Schiller “I Masnadieri”). Ma, dopo il
fallimento del faustismo, neanche il sentimento riesce ad eliminare tutti i conflitti, così la legge del
cuore si rivela anch’essa ingiusta ed oppressiva.
- Virtù e corso del mondo. La terza è quella rappresentata dal cavaliere della virtù, il quale
denuncia l'ingenuità di chi crede di poter eliminare definitivamente il male dal mondo (come Don
Chisciotte) e l'illusione di chi, vestendo i panni del cavaliere della virtù, crede di poter moralizzare
il mondo in base alle proprie categorie.

18 L'individualità in se e per se
Lo sforzo individuale della singola coscienza è dunque destinato a fallire, non potendo raggiungere
l'universalità. Quindi, si passa ad una nuova fase della coscienza, denominata dell'individualità
(figure: regno animale dello spirito, ragione legislatrice e ragione esaminatrice delle leggi), che si
considera reale in sé e per se stessa. Hegel mostra che l'individualità, pur potendo raggiungere la
propria realizzazione rimane, in quanto tale, astratta ed inadeguata. In altre parole, se si rimane
fermi al punto di vista dell'individuo, non è possibile raggiungere l'universalità. Allora è necessario
il passaggio all'attività pratica universale, cioè a quella dimensione che Hegel chiama "eticità" e
che consiste nelle consuetudini, nelle istituzioni dei popoli, nelle forme dello Stato. Con ciò Hegel
intende dire che la vera ragione non è quella dell'individuo, ma quella dello Stato che sta alla base
di ogni atto della vita individuale, cioè è l'individuo a fondarsi sulla realtà storico-sociale, non
viceversa. A questo punto la ragione diventa spirito e il suo sviluppo non riguarda più la
coscienza individuale, ma la storia dell’umanità.

19 La filosofia dello spirito


La filosofia dello spirito costituisce la terza parte del sistema di Hegel, che si suddivide ancora una
volta in una triade costituita dallo spirito soggettivo, oggettivo ed assoluto.
- Nel primo grado di rivelazione dello spirito, il quale risulta ancora soggettivo, si ha il nascere
della coscienza individuale e il suo progressivo elevarsi verso le forme più alte della volontà.
- Nel secondo grado, la volontà di libertà trova la sua realizzazione nella sfera dello spirito
oggettivo, in cui lo spirito si manifesta in istituzioni sociali concrete. I momenti dello spirito
oggettivo costituiscono anch'essi una triade, formata dal diritto astratto, dalla moralità e
dall'eticità.

20 Lo spirito oggettivo
- Diritto astratto. Il principio essenziale su cui si basa la sfera del diritto astratto è la persona.
Nel diritto astratto (o formale), il volere libero si manifesta innanzitutto come volere del singolo
individuo, considerato, secondo l'antica giurisprudenza romana, come persona fornita di capacità
giuridiche. Il diritto astratto, che coincide con il diritto privato e con una parte di quello penale,
riguarda la manifestazione esterna della libertà delle persone, concepite come puri soggetti
astratti di diritto, indipendentemente dai caratteri e dalle condizioni che diversificano gli
individui.
La persona trova il suo primo compimento in una cosa esterna, che diventa una sua proprietà. La
proprietà diviene però effettivamente tale soltanto in virtù del reciproco riconoscimento tra le
persone, ossia tramite l'istituto giuridico del contratto.
Naturalmente l'esistenza del diritto rende possibile l'esistenza del suo contrario, cioè il torto, che
nel suo aspetto più grave è il delitto. La colpa richiede una sanzione o una pena, che si configura
come un ripristino del diritto violato, necessaria per il vivere comune. Perché la pena sia
efficacemente punitiva e formativa, occorre che sia riconosciuta interiormente dal colpevole, ma
questa esigenza richiama la sfera della moralità.
- Moralità. La moralità è la sfera della volontà soggettiva, che si manifesta nell'azione. Tuttavia,
quest'ultima risulta morale solo se si origina da un proponimento, in cui il soggetto riconosce come
proprie soltanto le azioni che rispondono ad un suo proposito. Allora il proponimento prende la
forma dell'intenzione. Quando l'intenzione si solleva all'universalità, il fine assoluto della volontà
diventa il bene in sé e per sé. Ma il bene in questo caso è ancora un'idea astratta, che per esistere ha
bisogno di un altrettanto astratta volontà soggettiva, che ha l'intenzione di compiere solo il bene.
- Eticità. La separazione tra la soggettività ed il bene, tipica della moralità, viene ricongiunta
nell'eticità, dove il bene diviene esistente. Infatti, mentre la moralità è la volontà soggettiva (cioè
privata) del bene, l'eticità è la moralità sociale, cioè la realizzazione concreta del bene nelle forme
istituzionali della famiglia, della società civile e dello stato.
A questo proposito notiamo che il termine "eticità" (Sittlichkeit), che Hegel oppone a "moralità"
(Moralitat), deriva dalla parola "costume" (ethos in greco, Sitte in tedesco). Con questa scelta
terminologica, il filosofo sottolinea che ogni individuo quando nasce si trova collocato in un
atmosfera storico-culturale che orienterà le sue scelte. Pertanto, la coscienza individuale non può
operare in modo autonomo ed il bene risulta concreto e determinato, ossia costituito da regole
comportamentali condivise che l'individuo acquisisce in modo naturale e istintivo. Questa
concezione del bene era presente nell'eticità greca, che concepiva la vita dell'individuo
necessariamente legata a quella della polis.
Tuttavia, Hegel ritiene che l'immediata, naturale, e felice unità tra individuo e stato, si sia
spezzata nel mondo cristiano e moderno, perché all'antico organicismo è subentrato
l'individualismo liberale borghese, con la rivendicazione dei diritti naturali dell'individuo prima e
indipendentemente da quelli dello Stato.
In ogni caso il passaggio alla moralità moderna da un lato ha un valore positivo, perché nell'antica
Grecia l'unità dell'individuo e della comunità era vissuta in maniera ingenua e inconsapevole, ma
dall'altro lato ha una connotazione negativa, dal momento che è opera dell'intelletto astratto, il
quale introduce una serie di opposizioni e scissioni (tra individuo e stato, particolare e universale).
Per questo motivo Hegel propone un'eticità dei moderni, che recuperi l'antica unità di individuo e
cittadino, ma nella forma della libertà.
L'eticità costituisce la sintesi tra il diritto astratto e la moralità. Configurandosi come una sorta di
morale che ha assunto le forme del diritto o di diritto che ha assunto le forme della morale, l'eticità
risulta in grado di superare le opposte unilateralità del diritto e della morale.
21 I tre momenti dell'eticità
- Famiglia. Il primo momento dell'eticità è la famiglia, nella quale il rapporto naturale tra i sessi
assume la forma di un'unità spirituale fondata sull'amore e sulla fiducia. La famiglia si articola
in matrimonio, patrimonio ed educazione dei figli (seconda nascita).
Una volta cresciuti, i figli escono dalla famiglia originaria per dare origine a nuove famiglie,
aventi ognuna interessi propri. In tal modo si passa alla società civile.
- Società civile. Il superamento della famiglia, nella sua natura semplice e unitaria, si attua con
la società civile, che è il momento razionale negativo, in cui si scinde ed atomizza l’unità nucleare
familiare, in quanto hanno precedenza i soggetti economici privati della società borghese-
capitalistica. La società civile si articola a sua volta nei tre momenti del sistema di bisogni,
dell'amministrazione della giustizia e della polizia e delle corporazioni.
1) Il sistema dei bisogni nasce dal fatto che gli individui, dovendo soddisfare i propri bisogni,
attraverso l’organizzazione della produzione dei beni in base alla divisione del lavoro, danno
origine a diverse classi, ovvero quella sostanziale degli agricoltori (che ha il suo patrimonio nei
prodotti naturali), quella formale degli artigiani, dei fabbricanti e dei commercianti (che ha per
sua occupazione il dar forma al prodotto naturale) e quella universale dei pubblici funzionari
(che ha per sua occupazione gli interessi universali della situazione sociale).
2) L'amministrazione della giustizia concerne la sfera delle leggi e della loro tutela giuridica e si
identifica con il diritto pubblico.
3) La polizia e le corporazioni provvedono alla sicurezza sociale. Nel sistema di Hegel le
corporazioni attuano una sorta di unità tra la volontà del singolo e quella della categoria lavorativa
a cui il singolo appartiene, rappresentano il momento dell'universalità statale.
- Stato. Lo Stato è il momento culminante dell’eticità, ossia la riaffermazione dell’unità della
famiglia (tesi), al di là della dispersione della società civile (antitesi). Nello Stato si ha finalmente
la congiunzione dell'organicità con la consapevolezza soggettiva. Lo Stato è una sorta di famiglia
in grande, nella quale l’ethos (costume) di un popolo esprime consapevolmente se stesso.
Hegel respinge sia il modello liberale di Kant e Locke, dove lo Stato era atto a garantire i diritti
dei cittadini, sia quello democratico di Rousseau, che sosteneva che la sovranità spettasse al
popolo. Egli sostiene che il primo riduca lo Stato a tutore dei particolarismi e che il secondo
consideri il popolo al di fuori dello Stato. La polemica anti-liberale e anti-democratica di Hegel ha
come suo fondamento teorico la prospettiva organicistica, secondo cui non sono gli individui a
fondare lo Stato, ma viceversa, sia dal punto di vista storico-temporale, sia dal punto di vista
ideale. L'ottica organicistica si accompagna ad un rifiuto del modello contrattualistico, dove lo
Stato nasceva da un contratto stipulato tra gli uomini per garantire il reciproco benessere,
considerato da Hegel un insulto all’autorità dello Stato. Hegel contesta anche il giusnaturalismo,
ovvero l’idea dell'esistenza di diritti naturali esistenti prima ed oltre lo Stato, affermando che la
società è la sola condizione in cui il diritto ha la sua realtà. Tuttavia, Hegel condivide con i
giusnaturalisti sia la tendenza di fare dello Stato il punto culminante del processo storico, sia la tesi
della supremazia della legge, concepita come la più alta manifestazione dello Stato. Pur essendo
sovrano, lo Stato non deve essere dispotico, ma operare attraverso le leggi. Hegel sostiene inoltre
che la costituzione non è il frutto di una elucubrazione a tavolino, ma qualcosa che sgorga dalla
vita storica e collettiva di un popolo. Ogni popolo ha la costituzione che gli è adeguata, infatti se si
vuole imporre a priori una costituzione ad un popolo, come fece Napoleone con gli spagnoli,
inevitabilmente si fallisce, anche se la costituzione proposta è migliore di quella in uso.
Hegel identifica la costituzione razionale con la monarchia costituzionale moderna, ossia con un
organismo politico che prevede una serie di poteri distinti, ma non divisi tra loro. Tali poteri sono
quello legislativo, quello governativo e quello principesco.
Il potere legislativo consiste nel "potere di determinare e di stabilire l'universale" e "concerne le
leggi come tali". A tale potere concorre "l'assemblea delle rappresentanze di classi", che trova la
propria espressione in una Camera alta e in una Camera bassa. Hegel sostiene che i membri del
governo "possono fare ciò che è il meglio senza i ceti", in quanto essi possiedono una profonda
conoscenza dei bisogni e degli affari dello Stato, mentre il popolo "non sa ciò che vuole".
Il potere governativo (o esecutivo) che comprende in sé i poteri giudiziari e di polizia operanti a
livello di società civile, consiste nel tradurre in atto l'universalità delle leggi. A questo compito
sono adibiti i funzionari dello Stato.
Il potere principesco (o monarchico) rappresenta l'incarnazione dell'unità dello Stato, in cui la
sovranità di quest'ultimo si concretizza in un'individualità reale a cui spetta la decisione definitiva
riguardo gli affari della collettività. Tuttavia, la funzione di costui sembra consistere nel "dire sì, e
mettere i puntini sulle “i", pertanto il vero potere politico è quello governativo e la vera classe
politica è costituita dai ministri e dai pubblici funzionari.
Per Hegel la monarchia costituzionale rappresenta sia la costituzione della ragione sviluppata,
rispetto alla quale tutte le altre appartengono a gradi più bassi, sia la risoluzione organica in se
stessa delle forme classiche di governo (monarchia, aristocrazia e democrazia).
Il pensiero politico hegeliano mette capo ad una divinizzazione dello Stato, sostenendo che
l'ingresso di Dio nel mondo sia appunto lo Stato. Inoltre, egli afferma che il benessere dello Stato
abbia una giustificazione ben diversa da quella dell'individuo. Hegel dichiara ancora che il solo
giudice in grado di regolare i rapporti interstatali sia lo spirito universale, cioè la storia, la quale ha
come suo momento strutturale la guerra (alla quale Hegel attribuisce alla guerra un carattere di
necessità, ma anche un alto valore morale).

22 La filosofia della storia


Hegel non nega che la storia possa apparire irrazionale, caotica e maligna, ma questa
interpretazione risulta individuale, misurata da coloro che la giudicano in base ai propri ideali.
In realtà la storia del mondo è e deve essere razionale, così come la stessa fede religiosa nella
provvidenza implica la razionalità della storia.
Il fine della storia del mondo deve essere il raggiungimento da parte dello spirito alla conoscenza
di ciò che esso è realmente, così da realizzare questo sapere facendone un mondo esistente. Questo
spirito che si manifesta nella realtà storica è lo spirito del mondo che si incarna negli spiriti dei
popoli che si succedono. I mezzi della storia del mondo sono gli individui con le loro passioni, le
quali sono tuttavia semplici mezzi che conducono nella storia a fini diversi da quelli a cui esse
mirano esplicitamente. Inoltre, poiché lo spirito del mondo è sempre lo spirito di un popolo
determinato, l'azione dell'individuo sarà tanto più efficace quanto più sarà conforme allo spirito del
popolo a cui appartiene.
Tuttavia la tradizione non è solo conservazione, ma anche progresso, inoltre, così come la
conservazione trova i propri strumenti negli individui conservatori, allo stesso modo il progresso
trova i propri strumenti negli eroi della storia del mondo (che ricevono il successo). Solo a tali
individui Hegel riconosce il diritto di lavorare per l'avvenire. In apparenza, gli eroi della storia del
mondo (Alessandro, Cesare, Napoleone) non fanno che seguire la propria ambizione, ma si tratta
di un'astuzia della ragione che si serve degli individui e delle loro passioni come mezzi per attuare
i propri scopi. L'individuo ad un certo punto o perisce o è condotto alla rovina dal suo successo,
questo accade perché l'idea universale che l'aveva suscitato ha raggiunto il proprio fine, rispetto al
quale gli individui o i popoli sono solo mezzi.
La provvidenza della storia si rivela nella vittoria conseguita, di volta in volta, dal popolo che ha
espresso il più alto concetto dello spirito. Il fine ultimo della storia del mondo è quindi la
realizzazione della libertà dello spirito, la quale si realizza nello Stato, il fine supremo. La storia
del mondo è la successione di forme statali che costituiscono momenti di un divenire assoluto. I
momenti della realizzazione della libertà dello spirito del mondo sono quello orientale, dove
uno solo è libero, quello greco-romano, dove alcuni sono liberi e quello germanico, dove sono
tutti liberi, infatti la monarchia moderna, abolendo i privilegi dei nobili e pareggiando i diritti dei
cittadini, rende libero l'uomo in quanto uomo.
23 Lo spirito assoluto
Lo Spirito assoluto è dunque l’Idea che si autoconosce in maniera assoluta. Il processo del ritorno
in sé dell’Idea, la realizzazione della sua piena autocoscienza, si attua completamente solo quando
lo Spirito da oggettivo diventa assoluto, ossia quando risolve in sé ogni realtà finita e manifesta la
sua totale libertà. Tre sono i momenti in cui si articola questo processo dialettico: arte, religione,
filosofia.
Hegel parla del mondo classico come il mondo dell’arte, di quello cristiano-medioevale come il
mondo della religione e di quello moderno come il mondo della filosofia. Tutte e tre sono
manifestazioni dell’Assoluto, ma in tre forme diverse, infatti l’arte nella forma dell’intuizione, la
religione nella forma della rappresentazione e la filosofia nella forma del concetto.
L’arte è dunque un momento della manifestazione dell’Assoluto, che esprime servendosi di
immagini e di elementi naturali, pertanto il bello risulta l’apparenza sensibile dell’Idea. Rispetto
alla tradizionale distinzione tra bello naturale e bello artistico, Hegel riconosce il primato del
secondo, perché la natura è alienazione, ossia assenza di libertà. L’arte esprime il momento
dell’oggettività in forme plastiche e oggettive, in cui la fantasia creatrice dell’artista ha
sicuramente un ruolo primario, ma perché vi sia arte è necessario che essa non vada distinta dalla
sua opera. Hegel distingue tre forme d’arte, ossia quella simbolica (caratterizzata dallo squilibrio
tra un contenuto spirituale povero e una forma bizzarra) in Oriente, quella classica (caratterizzata
dall’equilibrio tra contenuto e forma) nell'Antica Grecia e quella romantica (caratterizzata dallo
squilibrio tra un contenuto spirituale traboccante e una forma inadeguata) nel mondo cristiano-
germanico.
L'ambito successivo, che sorpassa il regno dell’arte, è quello della religione, dove l’Assoluto viene
colto non nell’intuizione della forma sensibile, come segno dell’Idea, ma nella rappresentazione, in
quanto l’Assoluto è trasferito dall’oggettività dell’arte nell’interiorità del soggetto. Anche la
religione ha una prima fase “naturale” (Dio è sepolto nella natura e il culto consiste nella
venerazione di oggetti materiali), una fase intermedia “artistica” (greco-romana) dove il politeismo
passa dal naturalismo alla visione spirituale di Dio e infine quella “assoluta” (il Cristianesimo)
dove Dio è spirito infinito.
La religione viene superata dall’ultima forma dello Spirito Assoluto che è la filosofia, dove
l’Assoluto viene colto nella forma del concetto. Nella filosofia l’Idea raggiunge l’assoluta
autocoscienza e il processo dialettico trova la sua sintesi conclusiva. Nella filosofia sono unificati i
due lati dell’oggettività dell’arte e della soggettività della religione. La filosofia viene così a
coincidere con la storia della filosofia e si dispiega nei tre momenti dell’antichità greca, della
cristianità medioevale e della modernità germanica.
La filosofia non è altro che l’intera storia della filosofia giunta a compimento con Hegel.

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