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La crisi economica attuale

Una spiegazione della crisi finanziaria ed economica attuale


Quando gli Stati Uniti starnutiscono il mondo prende il raffreddore. Questo detto del Ventesimo secolo
non è mai stato tanto azzeccato quanto lo è oggi, momento in cui le economie d’Europa incespicano per
via di una crisi economica creata a migliaia di chilometri di distanza. Ciò che era cominciato con degli
incauti prestiti concessi negli Stati Uniti è andato espandendosi a macchia d’olio sull’intero pianeta e ha
generato una nuova grande depressione di portata globale.
(FONTE: Dave Keating, giornalista statunitense)

Tutto è cominciato con un mutuo


La crisi ha raggiunto proporzioni allarmanti. Tutto ha avuto inizio con lo scoppio della bolla del
mercato immobiliare americano nel 2004, dopo un lungo periodo in cui i prezzi delle case erano
cresciuti costantemente. A un numero crescente di famiglie veniva data l’opportunità di accendere un
mutuo, in maniera quasi indiscriminata. I creditori, infatti, si erano dati ad una pratica chiamata dei
“prestiti subprime” – concedendo prestiti a persone poco solubili, gente a cui normalmente non
sarebbe mai stato accordato un mutuo per comprar casa. I mutui subprime prevedevano un tasso
d’interesse molto basso per i primi anni e un brusco aumento nei successivi. Di solito i rischi non
venivano spiegati nei dettagli, mentre i debitori imboniti con la prospettiva di poter rifinanziare il
mutuo negli anni a venire per mantenere il tasso di interesse ai livelli iniziali. Alcuni economisti misero
in guardia riguardo ai rischi che si correvano, ma la maggioranza non volle interrompere l’atmosfera
festosa che regnava nel mercato immobiliare statunitense. Sembrava che tutti ci stessero
guadagnando: compagnie di costruzione, agenti immobiliari, istituti bancari e produttori di materiali
edili. I felici consumatori diventavano, spesso per la prima volta nella loro vita, proprietari di una casa.
Il settore passò praticamente inosservato agli occhi del Governo americano, dopo anni di
deregolamentazione costante ad opera del partito repubblicano.

La festa è finita
Nel periodo 2004-2006 arrivò il momento di ripagare. I tassi d’interesse sui mutui subprime
schizzarono alle stelle. Molti debitori non erano semplicemente in grado di ripagare o rifinanziare. La
crisi sarebbe potuta rimanere confinata agli Stati Uniti. Sfortunatamente le banche e i creditori di
questi prestiti avevano venduto i debiti ad altri investitori. I debiti sminuzzati in obbligazioni
(bond) erano stati venduti a investitori stranieri e ad istituti bancari di tutto il mondo sotto forma di
cavillosi pacchetti finanziari incomprensibili ai più. Nel 2007, 1,3 milioni di proprietà immobiliari
sono state messe all’asta per insolvenza, il 79% in più rispetto al 2006. Fu il panico:; nessuno
sembrava sapere di chi fossero questi debiti “senza valore”, sparsi nel sistema finanziario a tutte le
latitudini del globo. Improvvisamente le banche non erano più disposte a farsi prestiti a vicenda,
diffidenza che risultò in un cosiddetto “credit crunch” ossia un periodo in cui c’è poca liquidità (cioè
soldi contanti) nel sistema perché nessuno presta denaro. Le perdite cominciarono ad accumularsi. A
luglio 2008, grandi banche e istituzioni finanziarie a livello mondiale denunciarono perdite per circa
435 miliari di dollari.
Oggi, banche e istituti finanziari non riescono a ottenere crediti e sono in fase di stallo con valori
negativi nei loro libri contabili. Molti hanno dovuto dichiarare fallimento o sono sul punto di farlo. I
governi sono stati obbligati a venire in soccorso di questi istituti per scongiurare un collasso
dell’economia dalle conseguenze disastrose.
Sentori di bancarotte imminenti hanno spinto il Governo americano a predisporre un pacchetto di
salvataggio (bailout) del valore di 700 miliardi di dollari per scongiurare i fallimenti prima che
avvengano.
La crisi dei mutui subprime e il credit crunch non sono le uniche preoccupazioni a turbare i sonni degli
europei. Il prezzo del petrolio ha raggiunto il record nel 2008 per la continua domanda delle economie
emergenti di Cina e India. Ciò ha colpito i consumatori in Nord America e in Europa in due modi.
Obbligati a pagare prezzi esosi per il carburante delle loro auto e per i riscaldamenti domestici, i prezzi
in aumento hanno fatto schizzare anche i prezzi dei beni primari di alimentazione, e tutto ciò ha creato
una spirale senza fine. Il cibo è diventato così costoso che in alcuni casi si sono verificate vere e
proprie rivolte nei paesi in via di sviluppo. Nel 2008 il greggio ha raggiunto un costo che la gente non
si può più permettere, con un prezzo al barile di più di 100 dollari a gennaio, qualcosa mai visto prima
nella storia… nulla in confronto col prezzo di luglio che è stato di 147 dollari al barile. C’è stato un
sensibile rallentamento nelle economie americana ed europea. Il 30 Settembre 2008 la Gran Bretagna
ha ammesso di avere avuto una crescita pari a zero nell’ultimo quarto dell’anno. Insieme alla Germania
è entrata sostanzialmente in recessione sul finire del 2008. Dopo l'estate 2008 la bolla speculativa si è
sgonfiata rapidamente, per via della crisi economico-finanziaria globale e della Grande Recessione
scoppiata in America con i mutui subprime. Nell'ultimo trimestre 2008 il prezzo del greggio è crollato a
picco di circa $100 in poche settimane, sotto quota $40, per poi risalire nel corso del primo semestre
2009 verso quota $70. Tra fine 2009 e primo trimestre 2010 il prezzo del greggio è salito di nuovo
verso quota $80 al barile, dove si è attestato in pratica per tutto il 2010. Oggi costa oltre $90 a barile.
La crisi economica è il risultato di scelte umane errate negli Stati Uniti e del naturale sviluppo delle
economie orientali. I prezzi del petrolio non torneranno mai più ai livelli del passato e il mondo deve
imparare ad accettare questa nuova realtà e agire di conseguenza.

Vocabolario economico: cos’è lo Spread?


Lo spread (pronuncia: sprèd) non è una bevanda alcolica, ma un numero, che indica una differenza
percentuale, ad esempio fra rendimenti. Lo spread a cui si fa spesso riferimento in questi giorni è quello
fra il rendimento dei Bund tedeschi e dei Btp (buoni del tesoro poliennali) italiani, di durata decennale.
Bund e Btp sono obbligazioni governative (rispettivamente tedesche e italiane), ossia titoli grazie ai
quali gli stati incassano subito dei soldi, per esempio quando i cittadini vanno in banca e comprano tali
obbligazioni, per poi restituirli dopo un certo numero di anni, con gli interessi.
Ovviamente, più uno stato è affidabile dal punto di vista economico, minore sarà l’interesse che viene
pagato a chi compra le sue obbligazioni. E lo spread? In sostanza, se il Bund rende il 2 per cento
all’anno e il Btp italiano rende il 7 per cento all’anno si dirà che fra i due vi è uno spread, una
differenza, del 5,00 per cento (o, ed è la stessa cosa, di 500 punti). Dati questi rendimenti, ciò significa
che se oggi compro diecimila euro di Bund, il mio capitale (teorico) fra un anno sarà di 10.200 euro; se
invece compro diecimila euro di Btp italiani, fra un anno il mio capitale sarà di 10.700 euro. La
differenza (o spread) di 500 euro è causata dal fatto che lo stato italiano è considerato meno affidabile
di quello tedesco e quindi c’è una maggiore probabilità (ipotetica) che fallisca e non sia in grado di
restituire il denaro dei Btp con i dovuti interessi.
Insomma, comprare Bund significa accontentarsi di un rendimento molto basso ma essere quasi certi di
ricevere indietro i soldi con gli interessi; comprare Btp italiani significa puntare a un rendimento più
elevato confidando che l’Italia non fallirà. Ma quanto più lo spread aumenta, tanti più interessi lo stato
italiano dovrà pagare e tanto meno apparirà economicamente affidabile: una spirale che al nuovo
governo Monti spetterà di contrastare… Meglio berci sopra uno spread con ghiaccio!
(professor Ugo Fourier, Ph.D)

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