3 La situazione economico-sociale
Gli effetti disastrosi della guerra si fecero sentire anche sotto il profilo finanziario. Le spese, nel
bilancio statale, erano passate dai 2 miliardi e 501 milioni del 1913-14 a 30 miliardi e 857 milioni
nel 1918-19, mentre il debito pubblico era salito vertiginosamente, dai 14.089 milioni di lire del
1910 a 95.017 milioni nel 1920. Ciò provocò un'enorme svalutazione della lira, infatti se nel 1914
un dollaro era quotato 5,18 lire, nel 1920 28,57 lire, che portò ad un rincaro dei generi importati
dall'estero, passando dal carbone, al grano (dato che un gran numero di contadini erano morti in
guerra). Per placare il malcontento popolare, il prezzo del pane era rimasto basso, ma ciò
continuava ad influenzare negativamente l'economia.
Vi era dunque una forte inflazione che divorava i redditi, le rendite e gli stipendi. I ceti più
scontenti erano quelli medi, posti tra la borghesia ed il proletariato, perché la guerra aveva
arricchito gli industriali mediante la produzione del materiale bellico ed in virtù delle commesse
statali, pertanto i ceti medi avevano visto l'accrescersi del divario che li separava dalla borghesia,
mentre quello che li distingueva dal proletariato era diminuito. Bisogna evidenziare come i vari
ceti risposero in maniera del tutto diversa alla crisi, infatti se la borghesia e le classi medie
reagirono negativamente perché persero potere in seguito alla svalutazione della lira, gli operai,
organizzati dai propri sindacati, seppero anche sfruttarla, in quanto riuscirono ad adeguare i propri
salari al costo della vita. Tuttavia, ad un numero sempre crescente di operai, l'azione sindacale non
bastò, così tra i proletari si diffuse la volontà di attuare una verso e propria rivoluzione socialista,
si diceva di “fare come in Russia”. Anche i contadini erano in fermento, i quali occuparono
progressivamente i territori di varie regioni, perché al momento della disfatta di Caporetto il
governo aveva promesso la distribuzione di terre, ma indugiava a mantenerla.
Queste azioni risultavano alquanto spontanee, perché l'attività organizzativa si era originata solo in
certe zone privilegiate, come la Valle Padana oppure le Puglie. Qui, dopo lotte e scioperi, i
sindacati erano riusciti a controllare il mercato del lavoro, il salario e le ore di lavoro.
11 Lo squadrismo agrario
Nel 1921, dopo che era stato abbandonato il progetto d'annunziano (Natale 1920) e l'Italia aveva
visto la grande stagione delle agitazioni socialiste, culminata nello sciopero dei braccianti emiliani
e nell'occupazione delle fabbriche, vi fu una vera e propria svolta per il movimento fascista, che
divenne lo squadrismo fascista. Sin dall'inizio il movimento dei fasci di combattimento era stato
un fenomeno urbano che investì solo alcune importanti città, prima fra tutte Milano, inoltre
possedeva componenti sia nazionaliste sia antiborghesi. Invece, dalla fine del 1920, il movimento
accentuò il proprio nazionalismo a discapito di ogni rivendicazione socialista, in altre parole
da quel momento i fascisti videro il socialismo come un vero e proprio nemico della patria e si
allearono con la borghesia.
Nella seconda metà del 1920, due clamorose azioni divennero il simbolo del movimento fascista,
da una parte l'incendio dell'Hotel Balkan, sede di associazioni slavofile, il 13 luglio a Trieste,
dall'altra l'assalto al municipio di Bologna, per impedire l'insediamento della giunta comunale
rossa, causando 10 morti e circa 100 feriti, il 21 novembre. Questi eventi possono essere
considerati come l'inizio ufficiale dello squadrismo, un fenomeno che inizialmente investì le
campagne della pianura padana e della Puglia, zone in cui vi erano importanti movimenti sindacali
socialisti.
Inoltre il fascismo si alleò con i grandi agrari, che lo finanziarono, armarono e rifornirono di
mezzi, pertanto nella prima metà del 1921, una volta ottenuti i materiali bellici, iniziarono le prime
spedizioni punitive verso le organizzazioni rosse e bianche, cioè verso i socialisti e cattolici,
bruciando le Case del popolo, distruggendo sedi di riunione ed edicole, uccidendo i dirigenti più
determinati ed obbligando i rossi alle dimissioni.
16 Il delitto Matteotti
Il capo del Partito socialista unificato, Matteotti, dopo aver denunciato le irregolarità delle
elezioni, venne rapito a Roma il 10 giugno 1924 e finito a pugnale. L'assassinio scosse
profondamente il paese, i fascisti si videro perduti ed il governo vacillò. I deputati dell'opposizione
abbandonarono l'aula di Montecitorio e si ritirarono sull'Aventino (uno dei 7 colli di Roma), dando
vita alla cosiddetta secessione dell'Aventino (in memoria delle secessioni plebee nell'antica
Roma), nella fiducia che il loro gesto servisse a scuotere il paese. Il sovrano invece non intervenne,
mentre Mussolini chiuse questo caotico periodo con il celeberrimo discorso tenuto alla Camera dei
deputati il 3 gennaio 1925, con il quale si assunse la responsabilità politica, morale e storica di
quanto era avvenuto in Italia negli ultimi mesi.