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Uno dei temi principali dell'enciclica è quello della legge naturale. Sappiamo
che oggi questa nozione è sospetta a molte persone. Da una parte, i giuristi hanno
generalmente una certa difficoltà a impiegare la parola «legge» per designare
quanto non viene letto nei codici; dall'altra, a molti, giuristi o meno, un termine di
portata giuridica, e che dunque, si direbbe, disciplina direttamente i
comportamenti esteriori, sembra poco adatto al campo propriamente morale che è
quello dell'interiorità, della personalità — diciamo un campo esistenziale. Per lo
stesso motivo, l'aggettivo «naturale» può creare difficoltà se si vuole fondare la
«legge naturale» sulle esigenze della natura e più precisamente della natura umana.
Ci si chiederà con quale diritto questa natura, necessariamente finita, possa
prescrivere la sua «legge» a una libertà che, come tale, gode di un'ampiezza in-
finita.
Ci sembra dunque indispensabile, per chiarire la nozione di legge naturale,
dissipare dapprima gli equivoci e i malintesi che gravano sui due concetti chiave
di «legge» e «natura».
Il concetto di «legge»
La celebre definizione con cui Montesquieu apre lo Spirito delle leggi: «Le
leggi sono dei rapporti necessari che derivano dalla natura delle cose»1, non è
senza merito e di primo acchito sembra addirittura meglio convenire alla legge
naturale che non alle leggi positive. Eppure, essa pecca contro la legge laddóve i
rapporti in questione non derivano dalla sola natura delle cose: è questo il caso
delle leggi che si incontrano nelle scien-
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Blondel introduce tra i due termini una distinzione interessante ma che non
sembra essere entrata nell'uso corrente.
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inadatto a esprimere il rispetto e l'amore dovuti a Dio. Infatti, questa natura che
esso oltraggia, negandone la dignità, è in noi l'impronta e l'immagine di Dio. Tali
sono gli atti che sconvolgono l'equilibrio essenziale dell'uomo, essendo la ragione
assoggettata ai fini della sensualità, e quelli dai quali gli altri sono considerati
come pure cose o strumenti.
Non possiamo, conseguentemente, accettare un'«etica della situazione» che
negasse l'esistenza di leggi morali universali, perché fondate sulle relazioni e
sulle esigenze essenziali della natura umana, leggi da cui nessuna «situazione»,
per quanto singolare la si supponga, dispensa mai.
Dobbiamo comunque riconoscere che non sempre regole universali bastano per
determinare perfettamente ciò che si debba fare in una data situazione. In ogni
caso un atto la cui struttura, per quanto concerne intenzionalità, teleologia
immanente, contraddicessero la retta ragione e le esigenze della natura umana,
non potrebbe in nessuna situazione essere sensato. Non bisogna farlo mai6.
Nessuna «situazione» farà mai sì che un atto, cattivo in sé, diventi buono (sebbene
un atto, buono in sé, possa diventare cattivo in seguito a circostanze). La
situazione può però consigliare tale o talaltra maniera d'osservare la legge, di cui
la legge stessa non dice niente. Vi è così nell'ordine morale un processo
d'invenzione. Le nuove situazioni, senza cambiare le leggi essenziali e universali,
suscitano nuove modalità di applicazione, da cui si potranno in seguito trarre leggi
universali più circoscritte e precise. Così a poco a poco si forma la conoscenza
dell'ordine morale dell'umanità. Tuttavia il perfetto adattamento dell'atto alla
situazione richiede qualcosa di più: un habitus specializzato a tale effetto e
facente mediazione tra la legge generale e la particolarità del caso. Tale
dinamismo o progesso, tuttavia, non scaturisce soltanto dal polo oggettivo delle
circostanze esterne al soggetto, ma si dà pure nel soggetto stesso un processo nella
conoscenza della legge morale.
E molto importante osservare che l'uomo è allo stesso tempo composto e uno.
Nessun dualismo di sostanze come in Carte-
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VS 79-83 (il male intrinseco).
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VS n. 50: «Solo in riferimento alla persona umana nella sua "totalità
unificata", cioè "anima che si esprime nel corpo e corpo informato da uno spirito
immortale", si può leggere il significato specificamente umano del corpo».
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diventare idolatria, come anche il rispetto della vita corporale. Questa condiziona
la realizzazione dei valori che partecipano in gradi diversi del Valore Assoluto,
ma essa stessa non è valore assoluto; volerla salvaguardare a ogni costo sarebbe,
in alcuni casi, contrario a quest'ultimo, quindi alla retta ragione (VS 94). Se la vita
fosse un assoluto, bisognerebbe allora condannare il martire, il soldato ucciso per
una giusta causa ecc. Il senso morale comune è d'accordo su questo punto.
Tra gli aspetti della natura umana, nella sua totalità spirituale-corporea, l'aspetto
sessuale merita una considerazione particolare8. Il rapporto interno con la ragione
vi si raddoppia, per
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Per un approfondimento, vedere il mio articolo La notion de loi naturelle, in
Doctor communis 22 (1969) 201-223.
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così dire. La sessualità non partecipa solamente, come tutto ciò che appartiene al
nostro essere, alla dignità della ragione: essa le è intenzionalmente ordinata anche
per il suo oggetto e la sua immanente teleologia. Questo sia che la si consideri
nella sua teleologia di base (una vita umana, quindi spirituale, anche se l'atto
generatore, per virtù sua propria, resti ancora al di qua del piano dello spirito), sia
che la si consideri piuttosto come mirante a esprimere e a raffigurare
sensibilmente l'interiorità dell'amore. Questi due aspetti non possono essere
dissociati. L'apertura alla vita, l'apertura alla comunità umana che il matrimonio è
destinato a perpetuare e ad arricchire9, non dev'essere considerata come
dipendente da una finalità parallela a quella dell'amore: al contrario, è essa a
garantire l'autenticità spirituale e, quindi, veramente umana, dell'amore. C'è
infatti, nell'intenzione profonda dell'amore, un elemento d'universalità. Come
l'intelligenza desidera, radicalmente, tutto conoscere, al punto di ribellarsi contro
quanto le sembri un limite alle proprie ambizioni, così l'amore, nella sua pura
essenza spirituale, non eccettua alcuno: vorrebbe procurare il bene di tutti e
coincidere affettivamente con tutti. Non c'è qualcosa d'irragionevole, qualcosa che
contraddice la vocazione dello spirito, aperto sull'universale, nel fatto di limitare il
proprio amore a un solo essere come se ogni persona, ogni soggetto non
partecipasse essenzialmente alla stessa dignità, allo stesso valore e dunque a ciò
stesso che fonda, in ultima analisi, l'amabilità dell'amato? Ciononostante è il
carattere dell'amore umano, sotto la propria forma integralmente umana, a essere
unico ed esclusivo. Per questo l'umanità nelle sue forme più evolute e già sembra,
in alcune almeno delle sue forme più primitive, ha riconosciuto nel matrimonio
monogamico il solo tipo di unione sessuale che risponda veramente alle esigenze
profonde dell'amore. E ogni tentativo di trasporre sul piano dell'amore umano
l'universalità dell'amore spirituale non finisce che con lo snaturare l'uno e l'altro.
Ma non c'è allora opposizione tra le mire dell'amore come tale e quelle
dell'amore semplicemente umano? Quest'ultimo (e, di conseguenza, il
matrimonio) non appare come una limitazio-
9
G. De Broglie lo ha messo bene in luce nel suo articolo Pour la morale
coniugale traditionnelle, in Doctor communis 21 (1968) 117-152. Aggiungiamo
che se il gesto dell'amore chiede, per essere autentico, l'apertura alla vita, la
trasmissione della vita richiede parimenti il gesto dell'amore. La fecondazione
artificiale non è meno immorale e disumana della contraccezione.
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ne, una chiusura, un arresto e, insomma, un decadimento, dal punto di vista dello
spirito? Sarebbe effettivamente così se, nel matrimonio, tutto lo slancio spirituale
dell'amore venisse a arrestarsi ed esaurirsi nell'altro. Tale amore, però, sarebbe
infedele alla sua verità profonda. L'amore autentico si concentra sulla persona del-
l'eletto per potere, attraverso di lui e con lui, perseguire, sotto un'altra forma, la
propria traiettoria intenzionale. Né la coppia e neppure la famiglia sono per lui un
orizzonte ostruito o un vaso chiuso che l'obbligherebbe a riflettersi
indefinitamente dall'uno all'altro ma, precisamente, un focolare da cui esso si
irraggia e riscalda tutt'intorno. Quest'universalità dell'amore resterà, beninteso, il
più spesso implicita, come una disposizione appena cosciente della volontà, e non
si manifesterà mai che in modo parziale e discontinuo a seconda delle circostanze.
Ma, in quanto espansione dell'amore coniugale, essa ha una forma naturale di
espressione: il bambino, che non è soltanto dono mutuo degli sposi e neppure
soltanto dono di Dio agli sposi, ma dono degli sposi (e di Dio, loro tramite) alla
grande famiglia umana. Segno dunque dell'autenticità spirituale, metafisica e
veramente umana, dell'amore. E questo segno perderebbe la sua forza espressiva
se il bambino restasse per i genitori l'oggetto di un amore ancora egoista, se non
fosse allevato ed educato in vista del suo ruolo futuro nella società, e non
semplicemente per la gioia e l'ornamento del focolare o per la gloria del nome.
La grandezza, la dignità dell'attiva sessuale, il suo significato spirituale
immanente, anteriore alla decisione della libertà, fanno sì che quest'ultima non
possa usarne a suo capriccio come d'uno strumento sprovvisto di senso e valore
propri. Tale attività non è come le altre direttamente a disposizione dell'individuo,
in quanto direttamente ordinata al suo solo bene, ma è — per così dire — affidata
all'individuo per l'umanità. Non certo per la società umana, ma per quella totalità
ideale che si esprime e cerca di compiersi attraverso le generazioni. Totalità ideale
che trova essa stessa la propria verità in un pensiero e in un volere divini.
Conclusione
Non abbiamo parlato dei doveri nei confronti di Dio. Lo si riterrà forse
sorprendente. E evidente che, una volta conosciu-
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Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, I-II, q. 89, a. 6.
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