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(PARLA GIULIA)

L’infanzia di Pirandello

Luigi Pirandello nacque ad Agrigento nel 1867 in una famiglia borghese, agiata grazie al
commercio e all’estrazione dello zolfo.
La sua infanzia fu serena, ma trovò difficoltà nel comunicare con gli adulti; per superare questa sua
incapacità si mise ad affinare le sue capacità espressive e a studiare il modo di comportarsi delle
persone.

Inizialmente ebbe un’istruzione elementare privata e nel 1878 venne iscritto a una scuola tecnica,
ma durante l'estate preparò il passaggio agli studi classici. Si innamorò della letteratura e seguì la
sua passione la quale lo portò a laurearsi nel 1891 a Bonn.

(FINISCE DI PARLARE GIULIA)

(PARLA LUCIA)

Nella vita di Pirandello fondamentali sono le miniere di zolfo.

Miniera di zolfo

Lo zolfo ha grande importanza per l'attività della famiglia di Pirandello, perché si occupava nella
gestione delle miniere di zolfo e del suo commercio.
In molte sue novelle lo zolfo è motivo ispiratore, infatti, la miniera ed il suo mondo sono da sfondo
alla produzione letteraria di Pirandello.
Grazie ai guadagni ottenuti dall’azienda della famiglia, visse una vita agiata, infatti Luigi si può
permettere di andare a studiare fuori..
Fin da quando era piccolo lo zolfo incide molto sulla sua vita, infatti a causa di una mossa
finanziaria non andata a buon fine ci furono grandissime perdite per la famiglia che li porta a
trasferirsi a Palermo dove il padre lavorava nell’azienda del fratello.
Una volta ritornati a Porto Empedocle, l’attività riprese e gestì alcune miniere vicino ad Aragona.
Proprio durante questo periodo svolge il tirocinio presso l'attività del padre e durante questi anni va
a contatto diretto con la vita misera degli operai, tanto misera da vergognarsi, che poi in età adulta
descriverà nelle sue opere come Ciàula scopre la Luna.
Nel 1887 decide di trasferirsi a Roma dove continua i suoi studi.
Nel 1894, Luigi sposa la figlia del cugino Calogero Portolano, Maria Antonietta, questo matrimonio
non è stata una scelta d’amore ma una scelta finanziaria per investire la dote della moglie nelle
miniere di zolfo della famiglia.

(FINISCE DI PARLARE LUCIA)

(PARLA ZOUH)

Rapporto con la moglie

Può capitare che un letterato, si trovi a vivere in prima persona, situazioni simili a quelle che aveva
raccontato nelle proprie opere, quasi come uno scherzo del destino. Ed è ciò che, più o meno,
accadde a Luigi Pirandello nel rapporto con la moglie Antonietta Portulano. Un matrimonio,
sicuramente non facile, ricco di momenti bui, simili alle profondità degli abissi, una vita coniugale
fin troppo presto dominata dallo spettro della follia della donna. I due, forse, non si ameranno mai,
come già detto infatti sarà un matrimonio voluto dalle famiglie, vedendo nelle nozze un grande
affare, poiché entrambi avevano interessi nel commercio dello zolfo.
Luigi aveva perfettamente intuito, già prima del matrimonio, che la sua futura sposa non sarà in
grado di seguirlo nel suo mondo letterario.
Effettivamente, non sarebbe stato semplice per chiunque seguire Pirandello nei suoi ragionamenti,
rendersi conto del quotidiano irrazionale e illusorio. Nonostante le profonde differenze, Luigi e
Antonietta si piacevano, così il 27 Gennaio 1894 i due si sposarono ad Agrigento per trasferirsi
subito dopo a Roma. DA ELIMINARE PERCHE’ GIA’ SCRITTO DA LUCIA
Antonietta Portulano, era ''affetta da delirio paranoide'', che la renderà ''pericolosa per sé e per gli
altri'', in primo luogo per la sua famiglia.
La Portulano iniziò a manifestare i primi segni della malattia mentale già a partire dal 1899 ma la
situazione cominciò a peggiorare dopo il 1903, cioè dopo il disastroso allagamento della miniera di
zolfo di Aragona, un durissimo colpo per tutta la famiglia. La situazione era disastrosa: la dote era
completamente prosciugata, i debiti incombevano e i guadagni provenienti dalla miniera erano un
lontano ricordo, per cui di fronte ad una situazione del genere, Antonietta, che già non stava bene,
iniziò ad allontanarsi sempre di più dalla realtà, per lei il terrore della povertà, il rischio di poter
cadere nell’indigenza divennero insopportabili.
Pirandello resterà per molti anni accanto alla moglie, i cui comportamenti diventeranno
imprevedibili, ossessivi e imbarazzanti, per cui nasceranno risentimenti, i due coniugi si
scambieranno frasi pesanti e accuse reciproche, ormai l’astio e l’amarezza dominavano il rapporto.
Ma nonostante ciò e nonostante il consiglio dei medici di ricoverare la donna, Pirandello continuerà
a tenerla in casa, con un dispendio incredibile di energie e denaro, probabilmente per amore dei
figli, non volendoli privare della madre ma anche perché il grande drammaturgo siciliano credeva
nella famiglia, in quanto istituzione, rifugio, luogo quasi sacro da difendere a ogni costo. La
situazione divenne insostenibile nel momento in cui Antonietta cominciò a prendersela con la figlia
Lietta, la quale arriverà addirittura a tentare il suicidio: ormai la donna era diventata un pericolo per
i figli.
Quando una notte Pirandello troverà la moglie con un coltello in mano, dinanzi al letto, allora lo
scrittore capirà che la strada verso il ricovero era ormai tracciata per la donna e il 14 gennaio 1919, i
figli Stefano e Fausto Pirandello la accompagneranno nella casa di cura psichiatrica Villa
Giuseppina, sulla via Nomentana, dove rimarrà fino alla morte, avvenuta il 17 dicembre 1959. Nei
primi anni del ricovero, Pirandello si recava spesso a trovare la moglie e da quegli incontri ne
usciva ogni volta sconvolto. Antonietta era in preda a un continuo delirio di persecuzione
specialmente verso il marito, Sono comparse inoltre allucinazioni auditive e si e' accentuato in
modo evidente un grave globale deficit mentale''. Opponendosi sempre a ogni cura, le annotazioni
periodiche sulla Portulano non sembravano mai dare adito a speranze di miglioramento: nel corso
degli anni i medici parlavano infatti di ''allucinazioni'' che si alternavano a ''un delirio sistematizzato
di persecuzione'', di personalità ''dissociata'', accompagnata a ''delirio di grandezza''.

( FINISCE DI PARLARE ZOUH)

Grazie alla dote della moglie, la coppia godeva di una situazione molto agiata.
Nel 1897 Luigi ottiene l’incarico all’istituto Superiore di Magistero di Roma. Questo va a
rassicurare il padre, il quale era diffidente dagli studi del figlio però non garantiva un’entrata stabile
alla famiglia.
Nel 1903 la situazione finanziaria peggiora a causa di un allagamento e di una frana, che
distrussero la miniera di zolfo in cui la moglie aveva investito la sua dote. E, dopo essere venuta a
conoscenza del disastro finanziario conseguente, ha un crollo mentale e inizia a soffrire di paralisi
isterica e di una paranoia che la tormenterà per tutta la vita.
LO TOGLIEREI PERCHE’ IN PARTE LO DICE ZOUH E IN PARTE COMPLICATO DA
COLLEGARE

(RIPARLA LUCIA)

La malattia della moglie portò lo scrittore ad approfondire, portandolo ad avvicinarsi alle nuove
teorie sulla psicoanalisi di Freud, lo studio dei meccanismi della mente e ad analizzare il
comportamento sociale nei confronti della malattia mentale.
Nel gennaio del 1904 egli scrive ad un amico: “…non solo non voglio risposarmi, ma non posso,
non posso più. Sappi che da circa un anno le condizioni finanziarie della mia famiglia, per
un’improvvisa sciagura, non sono più quelle di prima.
Una grande zolfara, che dava a mio padre e a tutti noi l’agiatezza, s’è allagata, e l’allagamento ha
prodotto danni per più di quattrocento mila lire…io sono rimasto con tre figliuoli e la moglie…”
Oltre alla crisi mentale della moglie, i genitori di Luigi Pirandello si ritrovano poveri.
Per prendersi cura della moglie malata e per sostenere economicamente la famiglia, l’instancabile
Pirandello inizia ad impartire lezioni private di italiano e tedesco, aumenta il numero di
collaborazioni con i giornali ed accetta la proposta della “Nuova Antologia” di pubblicare un
romanzo a puntate: scrive così il suo più grande successo, “Il Fu Mattia Pascal”.
Lo zolfo è un tema ricorrente nelle opere dello scrittore agrigentino, ma del mondo che gravita
attorno allo zolfo, come simbolo di forti sentimenti, di emozioni, di tristezza, di radici antiche e
profonde che fanno parte della terra siciliana.
Nelle sue pagine affiora la sofferenza dei minatori, di coloro che gestivano la zolfara, di quelli che
partecipavano all’estrazione del minerale giallo, fonte di tragedie, di denaro guadagnato sulle
fatiche immani dei minatori e dei carusi.

(FINISCE LUCIA)

(PARLA GIULIA)

Figlio in guerra

Altra grave preoccupazione che turbò la vita dello scrittore fu la partecipazione alla grande guerra
di uno dei figli.

Stefano Pirandello era il primogenito di tre fratelli, lui fu molto vicino al padre poiché entrambi
condividevano interessi culturali.
Nel 1915, all’età di 20 anni, abbandonò gli studi di lettere per arruolarsi come volontario
nell’esercito durante la Grande Guerra.
Fu una esperienza stressante per tutta la famiglia, il 2 Novembre del 1916 venne impiegato in
prima linea, in una trincea sul monte Podgora, e venne fatto prigioniero dagli Austriaci.
Il padre si rivolse al Vaticano per ottenere la liberazione del figlio come testimoniano delle lettere
conservate dai discendenti di Pirandello. Il vaticano e gli austriaci tentarono di fare uno scambio di
persona: in cambio del giovane Pirandello si chiedeva il ritorno di tre generali e di un alto ufficiale.
Dopo due mesi di trattative e nonostante la fama di Pirandello, l’accordo non avvenne, solo nella
primavera del 1919 il figlio fece ritorno a casa gravemente malato e con i postumi di una ferita.

(FINISCE DI PARLARE GIULIA)


(PARLA ILARDI)

Novelle, Teatro e nobel

Perché arrivi il vero successo si deve arrivare al 1922 quando si dedicò interamente al teatro.
Importanti per il suo successo sono anche le novelle che scrisse durante tutta la sua vita.

Le novelle erano considerate le opere più durature, ma i critici moderni hanno cambiato tale
opinione ritenendo le opere teatrali più degne di essere ricordate.
Distinguere i contenuti delle novelle da quelli delle opere teatrali è difficile, in quanto molte novelle
sono state messe in opera a teatro. Anche da “Il fu Mattia Pascal” è stato estratto il tema e
l’ambientazione della Grande Guerra (NON CAPISCO, IL FU MATTIA PASCAL NON PARLA
DELLA GRANDE GUERRA, SE LA GRANDE GUERRA E’ RIFERITA A “LIOLA” QUAL E’ IL
TEMA ESTRATTO DAL FU MATTIA PASCAL?) per l’opera teatrale: Liolà. La lingua originale di
quest'opera è l’agrigentino, fu scritta nel 1916 e lo stesso anno fu messa in scena al teatro Argentina
di Roma.

Pirandello era uno dei piú grandi scrittori di novelle. Le raccolse prima nell’opera “Amori senza
amore”, ma poi si dedicó, per tutta la sua vita, a completare “Novelle per un anno”. L’ha intitolata
così perché il suo intento era quello di scrivere una novella per giorno dell’anno, quindi 365. Non
riuscì a completarla, arriverà a 241 nel 1922 e postume se ne aggiungeranno 15.

Analizzando le novelle, si nota che ció che manca è una delineazione tematica, una cornice. Infatti
le novelle scritte da Pirandello si presentano come un susseguirsi di personaggi e eventi che
possono anche non c’entrare niente l’uno con l’altro.

Il tempo in cui sono ambientate non è definito, si collocano all’incirca tra la fine del XIX secolo e i
primi vent’anni del XX. Al contrario, nelle novelle siciliane, il tempo non è fissato ma è un tempo
antico.

I paesaggi delle novelle sono vari, per quelle siciliane si ha spesso un'ambientazione rurale. Ma ci
sono altre novelle ambientate a Roma.

I protagonisti sono sempre alle prese con il caso e la morte. Non sono mai rappresentanti dell’alta
borghesia, ma sono quelli che potrebbero essere vicini a loro, quindi sarte, professori, proprietari di
negozi e tendenzialmente hanno una vita sconvolta da drammi familiari.
Le fisionomie dei personaggi sono spesso eccentriche e hanno sempre un carattere diverso da come
paiono.

Per quanto riguarda il teatro, è proprio per quest’ultimo che divenne famoso. Il suo teatro, che lui
chiama teatro dello specchio, rappresenta la vita vera, senza la maschera dell’ipocrisia, questo per
far sì che lo spettatore si guardi come in uno specchio come realmente è, e diventi migliore. È
considerato dai critici uno dei grandi drammaturghi del XX secolo. Scriverà tante opere, che
vengono divise in quattro fasi, in base alla maturazione dell’autore. Rispettivamente le fasi si
dividono in: teatro siciliano, teatro umoristico, teatro nel teatro e infine in teatro dei miti.
Durante la prima fase Pirandello è alle prime armi e utilizza la lingua siciliana perché, secondo lui,
è la lingua italiana che piú appare capace di esprimere meglio la realtà.
La seconda fase è caratterizzata dall’umorismo. I personaggi incrinano le certezze del mondo
borghese, e con questo vuole rappresentare la dimensione autentica della vita.
Nella terza fase adotta una tecnica già usata da Shakespeare, ossia il palcoscenico multiplo, in cui si
possono osservare due scene recitate contemporaneamente da una parte e dall’altra del palco. In piú,
vuole coinvolgere il pubblico, che, invece di essere passivo, rispecchia la propria vita in quella
recitata dagli attori.
La quarta è a se stante. Gli vengono attribuite solo 3 opere, e ha temi mitici.

Luigi raggiunse il suo massimo successo grazie al romanzo “IL fu Mattia Pascal”. (GIA’ STATO
DETTO) Divenne il drammaturgo di maggior fama nel mondo e 8 novembre 1934 Pirandello
ricevette il premio Nobel per la letteratura a Oslo “per il suo ardito e ingegnoso rinnovamento
dell’arte drammatica e teatrale”.
Fu probabilmente l’unico, almeno fino al 1934, a non pronunciare un discorso ufficiale dopo la
consegna del premio. Non si sa bene il motivo ma Andrea Camilleri ipotizza che non abbia detto
niente perché avrebbe dovuto fare riferimento al fascismo, a Mussolini. Quindi non disse niente per
prenderne le distanze.

(FINISCE DI PARLARE ILARDI)

(PARLA CAVAGNARO)

Avvicinamento al fascismo

Nel 1922 abbandona la cattedra universitaria e segue la sua passione per il teatro che lo porta a
viaggiare seguendo compagnie teatrali per l’America e l’Europa. (GIA’ DETTO E POCO
INERENTE AL RESTO) Pirandello non aderisce subito ai fasci di combattimento ma solo nel
1924,dopo il delitto Matteotti, si iscrive al partito fascista per ottenere appoggi per la fondazione
della propria compagnia teatrale .Fu un avvicinamento passivo siccome non era interessato alla
politica infatti più volte si definirà apolitico perché riteneva che qualsiasi tipo di governo non
poteva cambiare la realtà del singolo individuo, ma vi aderì perché vedeva la figura del duce come
una figura riorganizzatrice della società in pezzi dopo la guerra. Inoltre il fascismo lo riconduceva a
quegli ideali di patriotici e risorgimentali di cui Pirandello era sostenitore anche per le radici
garibaldine del padre.
Nel 1925 diventa direttore del Teatro d’Arte di Roma grazie allo Stato,(in questo periodo si lega a
Marta Abba,attrice,alla quale dedica delle novelle).
Nel 1929 viene nominato Accademico d’Italia da Mussolini.
Non furono comunque infrequenti i suoi scontri con le autorità fasciste e le sue dichiarazioni di
apoliticità anche se una rottura aperta con il fascismo non ci sarà mai.
Nel 1936 Pirandello scrive “C'è qualcuno che ride”,novella dove critica le parate fasciste,che
considera un evento dove le persone indossavano maschere.
Questa scelta di adesione rimase sempre ambigua e anche il contenuto delle sue opere spesso venne
condannato dalla critica fascista che non le riteneva conformi ai suoi ideali.
Negli ultimi anni della sua vita viaggerà molto tra Francia e stati uniti. In un involontario esilio dal
clima culturale italiano di quei anni. Anche la sua morte andrà a scontrarsi con il regime infatti nelle
sue ultime volontà Pirandello chiese di che non ci fosse nessun funerale e celebrazione e di venir
trasportato e sepolto come un povero,questo andava contro le idee fasciste e Mussolini ordinò che
sui giornali si pubblicasse solo la notizia di morte.

(FINISCE DI PARLARE CAVAGNARO)


(PARLA GIULIA)

Morte

Mentre assisteva a Cinecittà alle riprese di un film tratto dal suo romanzo: Il fu Mattia Pascal, nel
novembre 1936 si ammalò di polmonite. La malattia si aggravò in poco tempo e morì lasciando
incompiuto il suo ultimo lavoro teatrale: “I giganti della montagna”.

Per sua volontà il corpo, senza alcuna cerimonia, fu cremato e le sue ceneri deposte in un'anfora
greca di sua proprietà e venne tumulato al cimitero di Verano.
Nel 1947, grazie ad Andrea Camilleri e altri quattro studenti lo fecero seppellire nel giardino della
villa di contrada "Caos", dove era nato; ma solo quando vennero trovate altre ceneri rimaste
nell’anfora, poi fatte disperdere, il desiderio originario di Pirandello venne esaudito.

(FINISCE DI PARLARE GIULIA)

(PARLA ZITO)

Concetto di vita e forma

La visione del mondo di Pirandello è pessimista e piuttosto articolata.


Il pensiero di Luigi Pirandello si basa sul rapporto dialettico tra vita e forma. Sebbene la vita scorra
costantemente, spesso essa cerca di calarsi in una forma in cui è ancora prigioniero e cerca di uscire
e adottare una nuova forma, ma non riesce mai a trovare pace.
Il concetto di vita e di forma è il motivo per il quale, secondo Pirandello, l’uomo si maschera e
finisce per essere costretto ad utilizzarla.
La vita secondo Pirandello è in continuo movimento, l’essere cerca invece, di aggrapparsi a forme
fisse, fallendo.
La vita e la forma sono sempre in contrasto e l’uomo finisce per non essere e non riconoscere sé
stesso; quindi è costretto poi a vivere in una realtà che non gli appartiene dando un’immagine di sé
falsa.
Pirandello affronta il problema del rapporto fra vita forma, analizzando la contraddizione tra forma
e vita, fra norme,
consuetudini e ideali.
Quando il meccanismo che ci costringe a vivere immersi nella forma si interrompe, viene a mancare
l'adesione alla società, alle consuetudini e allora guardiamo, con distacco, noi stessi agire in essa:
diventiamo, cioè, estranei a noi stessi.
Oppure, in altri momenti, percepiamo il caos della vita, un qualcosa che si muove, un vuoto che ci
fa paura, e contemporaneamente avvertiamo tutta la miseria di una vita ridotta ad un puro
meccanismo sociale, a un gioco di maschere, ad un gioco delle parti.
“Avevo già effettuato da capo a piedi la mia trasformazione esteriore: tutto sbarbato, con un paio di
occhiali azzurri chiari e coi capelli lunghi, scomposti artisticamente: parevo proprio un altro!”

Da qui nasce anche il concetto di maschera di Pirandello. (MODIFICATO PER RENDERLO


UNIFORME E COMPLEMENTARE AL DISCORSO DELLE MASCHERE)

La visione del mondo di Pirandello è pessimista e piuttosto articolata.


Il pensiero di Luigi Pirandello si basa sul rapporto dialettico tra vita e forma. Pirandello dice che la
vita è un eterno divenire ed è una continua trasformazione; la vita è “un magma incandescente”, un
“fluido morbido” dal quale si staccano degli elementi che danno vita alla “Forma”. La forma quindi
nasce dalla vita ma nel momento in cui la vita diventa forma essa si cristallizza così come il magma
solidificato diventa duro e immobile. Questo concetto è ben evidenziato nel “fu Mattia Pascal” dove
Mattia simboleggia la forma: egli infatti vive un’esistenza che gli sta stretta e che gli altri gli hanno
cucito addosso, immutabile; Adriano è invece la vita perché può agire liberamente, staccato dagli
schemi, ma questo lo costringe a una vita solitaria, quando decide di interagire nuovamente con gli
altri finirà anche lui per diventare forma. Ogni uomo per Pirandello tende a cristallizzarsi in una
forma che in parte ci attribuiamo da soli e in parte ci viene attribuita dagli altri. Il problema nasce
dal fatto che la forma che noi ci attribuiamo non coincide con quella che ci affibbiano gli altri e
spesso addirittura la forma che noi assumiamo è in contrasto con la vera natura della nostra persona
e l’uomo finisce così per non essere e non riconoscere sé stesso; quindi è costretto poi a vivere in
una realtà che non gli appartiene dando un’immagine di sé falsa.
Pirandello arriva alla conclusione che l’uomo , scoperto il contrasto tra forma e vita, può reagire in
tre modi: passivamente, ironicamente-umoristicamente, drammaticamente. La reazione passiva è
quella dei deboli che si rassegnano alla prigionia della forma in cui sono costretti; è l'atteggiamento
per esempio di Mattia Pascal prima della sua prima morte o nell’ultima parte del romanzo quando si
rassegna ad essere un morto. Il passivo si lascia vivere e sente la dolorosa frattura tra la vita che
vorrebbe vivere e quella che è costretto a vivere. La reazione ironico umoristica è quella di coloro
che non si rassegnano alla forma ma non potendosene liberare stanno al gioco assumendo un
atteggiamento ironico-umoristico verso essa. Questa reazione è ben descritta nella commedia “La
Patente”. Infine la reazione drammatica è quella di chi non si rassegna ma non è neppure in grado di
sorridere alla forma in cui è cristallizzato e si chiude allora in una disperata solitudine che lo porta o
al suicidio o alla pazzia. Reazione questa ben documentata dal protagonista di “Uno, nessuno,
centomila”. Per Pirandello le forme che la vita dell’uomo assume sono maschere.

(FINISCE DI PARLARE ZITO)

(PARLA BINI)

Maschera

Tutti i concetti di Pirandello legati alla vita, forma, maschere sono frutto della crisi dell’uomo del
900 che vive in una realtà contraddittoria e frammentata dove è impossibile vivere in modo
autentico. Lo scrittore influenzato dalle teorie filosofiche che circolano nel primo 900 e in
particolare quella di Freud sulla pluralità dell’io, quella di Bergsong sulla pluralità della realtà e
quella di Simmell sul relativismo conoscitivo arriva ad affermare che per vivere nella società gli
uomini devono indossare delle maschere, interpretare dei ruoli. La maschera serve per oscurare la
personalità di un individuo e far emergere un’identità diversa, inventata; per Pirandello è
quell’identità che ogni individuo sceglie o gli viene attribuita a poter interpretare il suo corretto
ruolo all’interno della società. Ad ogni individuo viene attribuita da se stesso e dagli altri una
funzione che deve essere assecondata perché rispecchia il suo ruolo all’interno della società. Coloro
che non accettano queste maschere non possono inserirsi nella società che non li riconosce e che
sono quindi privi di una identità definita. Questo concetto è perfettamente espresso nel romanzo di
Pirandello del 1904: Il fu Mattia Pascal. In esso il protagonista Mattia vive da inetto, maschera
questa che lui non sente propria ma che la collettività gli attribuisce. Quando per una serie di
casualità avrà l’opportunità di essere creduto morto, Mattia, decide di sfruttare l’occasione e
cambiare identità creando un nuovo individuo: Adriano Meis libero da maschere. Adriano però
sente la solitudine della sua esistenza lontano dagli altri e finirà per riavvicinarsi alla colletività così
facendo però tornerà a indossare una nuova maschera che porterà il protagonista a ritornare
prigioniero di essa. Questo spingerà Adriano a inscenare un nuovo suicidio per riportare in vita
Mattia Pascal ma ormai Mattia è diventato una “maschera nuda” ovvero un soggetto senza identità.
I suoi famigliari e la società ormai lo considerano morto. A Mattia non resta che estraniarsi da ogni
meccanismo sociale diventando un osservatore della vita: un “fu” Mattia Pascal. La questione delle
maschere viene poi ripresa da Pirandello e approfondita nel romanzo “uno, nessuno, centomila”. In
questo romanzo la vita del protagonista Vitangelo Moscarda ci mostra come ognuno di noi è “uno”
perché ognuno è unico e ha una propria personale esperienza che non potrà mai essere uguale a
quella di un altro che ne forma appunto l’identità personale. Nello stesso tempo egli è centomila
perché ognuno può avere tante personalità in base al diverso contesto in cui agisce: scuola lavoro
famiglia. Il protagonista del romanzo una volta appreso che non è una sola persona ma che è
centomila ovvero una per ogni persona che conosce e una anche per se stesso realizza di non essere
nessuno. Unico strumento per sfuggire da tutte queste maschere è la follia che lo taglia però fuori
dalla società che non riconosce più in lui i vari Vitangelo che ognuno dei suoi conoscenti aveva
costruito nelle proprie menti.
Entrambi questi romanzi portano alla conclusione che l’uomo se vuole esistere nella società deve
accettare di indossare le maschere che questa le impone; quando non lo fa l’uomo smette di esistere
nella collettività. Se la conclusione del fu Mattia Pascal è solo negativa uno, nessuno, centomila
invece vuole proporre un messaggio più positivo ovvero esorta a cogliere l’attimo, a rendere la
propria identità flessibile, ad accettare tutte le maschere che di volta in volta vogliamo o siamo
costretti ad indossare per non affogare nella crisi dell’io che porta alla follia e alla non esistenza.
I romanzi e tutte le altre opere di Pirandello comunque non sconfinano mai nella drammaticità
perché sono pervase dall’umorismo Pirandelliano il quale secondo Pirandello non va confuso con il
comico. Il comico è l’avvertimento che nasce dal contrasto tra apparenza e realtà e genera la risata.
L’umorismo invece scaturisce dalla riflessione su quel contrasto che porta spesso a generare un
sentimento di compassione. L’umorismo quindi porta a sorridere dei contrasti tra maschera e realtà
e non a riderci sguaiatamente sopra.

(FINISCE DI PARLARE BINI)

(FINE PRESENTAZIONE PIRANDELLO)

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