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Bioindicatori ambientali: a rischio le api, il più grande sensore

ambientale planetario
Pubblicato il 11/04/2013 di saurosecci

Essendomi occupato per moltissimi anni con


grandissima passione di monitoraggio ambientale della qualità dell’aria intorno a siti
industriali, effettuato con postazioni meteorologiche e chimiche fisse al suolo, meglio note
come “centraline”, sono venuto a contatto più volte con tecniche complementari ed
integrative di valutazione della qualità degli ecosistemi effettuate attraverso il
monitoraggio della vita di esseri viventi afferenti sia al regno vegetale come i licheni, che
animale, una serie di tecniche che si raccolgono sotto il nome di “biomonitoraggio”, o
addirittura andando oltre, quando il bio-elemento prescelto riesce a fornire anche
indicazioni sulle concentrazioni di taluni inquinanti, elevandosi al livello di
“bioaccumulatore”.
Sono tanti i ricordi nei quali ho incrociato la mia esperienza professionale con il
biomonitoraggio, ne ricordo uno molto significativo, fatto molti anni fa in un liceo del
territorio in cui vivo, dove ho avuto il piacere di coinvolgere insegnanti ed alunni in una
ricerca sull’evoluzione dei trasporti nel territorio ed organizzato una campagna di misura
dei flussi di traffico fatta proprio dagli alunni. In quella circostanza, una volta raccolti i dati
sui flussi veicolari, questi erano elaborati (dati in pasto) insieme ad alcuni dati
meteorologici raccolti sul territorio, ad un modello di simulazione di ENEA, che dava come
risultati, le concentrazioni al suolo degli inquinanti da traffico veicolare come PM10 e CO e

quindi della  qualità dell’aria. Proprio in quella


circostanza, per validare e valutare la precisione dei dati elaborati dal modello matematico
da noi utilizzato, un altro gruppo di studenti, assistiti da un specialista di ARPAT e
l’insegnante di biologia, si erano cimentati proprio in una campagna di biomonitoraggio
lichenico (simbiosi perfetta tra un alga ed un fungo) e quindi atmosferico (vedi foto a
sinistra) effettuata sugli alberi dei tratti stradali sotto studio.
Indubbiamente un settore fondamentale ed integrativo sia delle tecniche strumentali che
modellistiche del monitoraggio ambientale il biomonitoraggio, che come dicevamo utilizza
anche la mappatura di esseri viventi animali come per esempio il rospo, che come anfibio,
 rappresenta una componente fondamentale
dell’equilibrio ecologico dei nostri ecosistemi, nonostante molte persone conoscono poco
questo animaletto e magari non apprezzandolo. Animali i rospi che, oltre a contribuire al
contenimento delle popolazioni di insetti parassiti dell’uomo come la zanzara e di altri
invertebrati dannosi per l’agricoltura come le lumache, rappresentano grandissimi
bioindicatori dal momento che possono vivere bene solo in determinate condizioni,
altrettanto favorevoli per l’uomo, e sensibilissimi al verificarsi di drastiche alterazioni dei
vari parametri ambientali, specie per quanto riguarda l’igrometria e la presenza di
inquinanti, essendo tra i primi animali a soffrirne.
Ma il bioindicatore animale “integrale” per eccellenza è senza dubbio l’ape, questo
straordinario insetto che oltre ad offrirci frutti di inestimabile valore di vita, come miele,
papa reale, cera, etc, è l’unico che ogni giorno è capace di esplorare tutte le tre dimensioni
ambientali come l’atmosfera (aria), l’idrosfera (acqua) e la litosfera (suolo), a tal
punto che una loro riduzione anomala o moria, è sicuramente riconducibile a gravi
scompensi ambientali ed a presenze di contaminati nei diversi ambiti di riferimento. Un

insetto l’ape,  capace di esplorare ed acquisire


informazioni importantissime su chilometri e chilometri di aria, acqua (vedi foto a
destra) e suolo. Da anni sentiamo parlare di drastica riduzione di questo straordinario
“vettore di vita” e “sensore ambientale integrale”, quale è l’ape, indice sicuro di un
degrado nella qualità complessiva dei nostri ecosistemi, ma le indicazioni scaturite
dall’ultimo rapporto di GreenPeace, dal titolo “Api in declino”, scaricabile in calce al
post, mi ha non poco e ulteriormente allarmato. Assieme al Rapporto di GreenPeace,
sempre in calce al post, riporto con immenso piacere un sintetico documento che parla
delle tante modalità di utilizzo della api come bioindicatore, in tre fondamentali ambiti
come pesticidi, metalli pesanti ed addirittura radionuclidi elaborato
dal Professor Claudio Porrini del Dipartimento di Scienze e Tecnologie
Agroambientali (DiSTA), Entomologia, Università di Bologna dal titolo “Le api
come bioindicatori dell’inquinamento ambientale“. Un Rapporto, quello della
grande organizzazione ambientalista, che evidenzia come il mondo senza api potrebbe
anche essere maggiormente esposto alla fame. Infatti la carenza di api e di altri insetti
dediti all’impollinazione, metterebbe a rischio almeno il 75% delle colture con una
“riduzione della produttività” i cui danni sarebbero stimati in un valore pari a 265 miliardi.
Tra i settori food più colpiti ovviamente frutta e verdura, ma anche mangime per
l’allevamento, con riflessi negativi soprattutto sulle produzioni di mele, fragole, pomodori e
mandorle. Un importanza fondamentale in chiave ecologica ed economica secondo il
Rapporto GreenPeace che imputa ad alcuni pesticidi il fattore principale della drastica
diminuzione di popolazione di questi fondamentali insetti.
Secondo il report, come dicevamo, “la stima più recente dei benefici economici a
livello globale legati al valore delle colture che dipendono dall’impollinazione
ammonta a circa 265 miliardi di euro“, anche se, la stessa Greenpeace precisa che
calcolare il valore reale dell’impollinazione sarebbe praticamente impossibile. Da
considerare inoltre che dagli insetti che si dedicano all’impollinazione dipende anche la
riproduzione di fino al 90% delle piante selvatiche, al pari di tanti altri servizi ecosistemici
e habitat naturali.
Criticità fondamentali nella valutazione della salute di questi insetti oltre a malattie e
parassiti secondo il Rapporto, la mancanza di dati sulle popolazioni e quindi la difficoltà ad
accorgersi del declino, un aumento della produzione alimentare superiore alla crescita
della popolazione globale di api domestiche, le differenze a seconda delle regioni e le
pratiche agricole industriali e i cambiamenti climatici. Ma non vi è dubbio per Greenpeace
che “alcuni pesticidi costituiscono un rischio diretto per gli insetti impollinatori”, ed in
particolare per le api. Per questo e tenendo conto anche della valenza ambientale di
bioindicatore ambientale integrale di cui parlavo in premessa, GreenPeace ha lanciato una
nuova campagna europea per salvare le api (link sito salviamoleapi.org), orientata alla
promozione di una agricoltura di stampo ecologico. In particolare ci si concentra su “alcuni
pesticidi, tra i quali i neonicotinoidi che rivestono il ruolo di veri e propri killer”. Tra questi
ne sono stati individuati ben sette che per l’associazione ambientalista “devono essere
subito vietati a causa della loro tossicità estremanente alta”. Greenpeace chiede ai governi
europei un impegno per sostenere una recente proposta della commissione Europea su tre
neonicotinoidi, già sospesi in Italia fino dal 2008. Federica Ferrario, Responsabile
campagna agricoltura sostenibile di Greenpeace sostiene che “Non possiamo
permetterci di perdere le api e il resto degli impollinatori naturali e l’Italia e
gli altri Paesi europei devono agire per vietare queste sostanze“. Uno studio
davvero importante e fondamentale che ci ricorda che, anche attraverso la loro grande
valenza di bioindicatori “gli altri animali ci guardano e dobbiamo fare si che continuino a
farlo, nel loro e nel nostro interesse, oltre al fatto di ricordarci, ogni volta che vediamo uno
di questi esseri viventi, la loro importanza per la nostra vita .
A seguire, ad ulteriore supporto di quando dicevo nella prima parte dell’articolo circa l’ape
come bioindicatore assoluto, specificatamente per inquinamento radioattivo da
radionuclidi, questo interessante servizio del TG scientifico del TG3, TG LEONARDO che
ci parla di questo utilizzo delle api come biondicatore a Rorondella in Provincia di Matera,
che ospita il centro ENEA TRISAIA all’interno del quale la società preposta alla gestione
dei rifiuti radioattivi nazionali, SOGIN, sta gestendo la dismissione e la messa in sicurezza
di rifiuti liquidi ad alta radioattività, con un contributo anche del Professor Porrini, autore
del piccolo approfondimento sul tema allegato in calce. Pensate che a conferma di quanto
dicevo precedentemente, ogni ape può coprire e dare indicazioni su un territorio di
addirittura 7 Km2, a conferma della loro conclamata operosità.

Scarica il Rapporto GreenPeace “Api in declino”


Scarica il documento del Prof. Claudio Porrini UNIBO “Le api come
bioindicatori dell’inquinamento ambientale

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