Quaderno n ° 5
COLLANA
1) LO SCUDO ALIMENTARE
2) PRINCIPI FONDAMENTALI PER UNA EQUILIBRATA NUTRIZIONE
3) LA DIETA MEDITERRANEA
4) GUIDA PER L’ACQUISTO E IL CONSUMO DEGLI ALIMENTI
5) AGRICOLTURA SOSTENIBILE (ECOCOMPATIBILE) LE FILIERE AGROALIMENTARI
INDICE
Premessa pag. 4
Le tipologie di prodotti fitosanitari pag. 6
Bambini e pesticidi pag. 8
La Legislazione Fitosanitaria: il DL 194/95 pag. 12
Da coltivazioni sane si ottengono alimenti sani pag. 16
La produzione integrata pag. 18
Produzione biologica pag. 26
Lettura delle etichette pag. 28
Le oasi pag. 32
O.G.M. pag. 33
Quali rischi dalle piante GM? pag. 41
Nel carrello della spesa pag. 45
Valutare i rischi dei cibi OGM pag. 48
BSE e Aviaria pag. 50
Prodotti tipici pag. 56
Conclusione pag. 60
Bibliografia pag. 61
Sedi A.R.R.T. pag. 62
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Premessa
Agricoltura e alimentazione
Il compito primario dell’agricoltura è quello di produrre alimenti per
soddisfare i bisogni dell’uomo. Questo obiettivo può ritenersi raggiun-
to nei paesi più progrediti e industrializzati (1/3 degli abitanti della
terra). Unitamente al problema quantitativo, esiste per l’agricoltura
l’esigenza di garantire una quantità della produzione che consenta il
perseguimento di un regime alimentare sano e razionale e di salva-
guardare e migliorare l’ambiente in cui opera.
La concezione quantitativa della produzione agricola, con sfruttamen-
to massimo del terreno ha contribuito ad inquinare i comparti naturali
(aria, acqua e suolo).
Oggi possiamo rilevare che l’accusa rivolta all’agricoltura di essere di
volta in volta inquinata e inquinante è eccessiva e non tiene conto che
le situazioni di degrado ecologico e di inquinamento vanno ben oltre
le responsabilità attribuibili alle pratiche agricole: produzione e tra-
sporto di energia elettrica, inquinamento dell’autotrasporto, discariche
e incenerimento dei rifiuti, ecc...
E’ tuttavia indubbio che certe forme di agricoltura fortemente intensi-
va sono poco rispettose dell’ambiente e inadeguate a fornire alimenti
della qualità desiderata. Gli esempi più ricordati al riguardo sono l’uso
indiscriminato di grandi quantità di concimi chimici, l’irrazionale utiliz-
zazione di pesticidi e diserbanti, l’allevamento industriale. Altri effetti
negativi sull’ambiente possono derivare dal drenaggio eccessivo, dal-
l’irrigazione mal eseguita, dalla meccanizzazione, dalla monocoltura.
Le conseguenze di tali fenomeni negativi possono così sintetizzarsi:
• Inquinamento dei prodotti agricoli per permanenza di
residui di per sé tossici (principi attivi di antiparassitari);
• Immissione nell’atmosfera di molecole fisiologicamente
attive (tossiche) con la distribuzione di antiparassitari e
diserbanti;
• Inquinamento delle acque superficiali per rilasci dai terreni agrari di
azoto, fosforo e fitofarmaci;
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Bambini e pesticidi
Nel 1995 sono stati trovati residui di pesticidi nel 43,4% dei campioni di
frutta e verdura analizzati. Questo rappresenta un rischio gravissimo
soprattutto per i bambini perché i residui ammessi sono calcolati dimen-
ticando che i bambini non sono piccoli adulti. È quanto risulta dal rap-
porto scientifico del National Research Council (NRC) americano. “Il
sistema normativo attualmente in vigore” si legge nel rapporto “non con-
sidera specificatamente i neonati e i bambini. Di conseguenza, le varia-
zioni dell’esposizione alimentare ai pesticidi e i rischi per la salute lega-
ti all’età non sono presi in considerazione dall’attuale pratica normativa”.
Anche da noi, ammesso e non concesso che le misure adottate pro-
teggano effettivamente gli adulti, di certo non proteggono i neonati e i
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Nel 2000 sono stati pubblicati i risultati sulla stima del rischio ambien-
tale da prodotti fitosanitari nella provincia di Forlì - Cesena.
Il progetto di studio realizzato dall’Osservatorio agroambientale in col-
laborazione con le A.USL di Forlì e di Cesena e il gruppo di ecotossi-
cologia dell’Università di Milano.
Il Prof. Vighi Marco, responsabile scientifico dello studio, ha utilizzato
il modello SOILFUG per determinare la concentrazione, nelle acque
superficiali, dei pesticidi utilizzati in due bacini prescelti: pianura forli-
vese (Roncadello), collina cesenate (Carpineta).
Il campionamento mensile per un anno ha rilevato che tutti gli insetti-
cidi considerati sono in concentrazioni doppie di quella che permette
la vita acquatica (WQO) del Rabbi - Montone, Ronco, Savio e quattro
volte superiore nel Rubicone, in particolare tra marzo e ottobre.
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Tabella: stima del rischio mensile per l’ambiente acquatico nella provincia di Forlì-Cesena
++: rischio elevato (più di 2 ordini di grandezza sopra il valore WQO); +: rischio significativo
(tra 1 e 2 ordini di grandezza sopra il valore WQO): ±: rischio moderato (meno di 1 ordine
di grandezza sopra il valore WQO); -: rischio nullo (al di sotto del valore WQO).
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La produzione integrata
La comparsa dei sistemi di produzione integrata è il frutto di un’evolu-
zione graduale che parte dalla messa a punto di metodi di riduzione
dell’uso di pesticidi (fitofarmaci) per giungere alla scelta di sistemi pro-
duttivi dove tutte le pratiche agricole sono soggette a principi di razio-
nalizzazione. È possibile individuare le principali “tappe” di questo
percorso, intrapreso a partire dagli anni ‘70 nei principali paesi del
Nord Europa. Fino ad allora la lotta a calendario era quella prevalen-
temente applicata; essa seguiva il principio della copertura permanen-
te a fini preventivi, e prevedeva uno schema automatico di intervento
che non aveva come riferimento il parassita, bensì la pianta nelle sue
diverse fasi fenologiche.
La produzione integrata è l’integrazione tra metodi a basso impatto
ambientale per la difesa fitosanitaria e le tecniche ecocompatibili adot-
tate anche in altre fasi del processo produttivo che hanno dato origi-
ne al concetto di Produzione Integrata.
Effetti sull’agroecosistema:
vengono maggiormente salvaguardati i delicati equilibri che regolano
il rapporto litofago*/fattori naturali di controllo, sia per il numero di
interventi che per il rispetto dell’attività dei nemici naturali dei fitofagi
(predatori e parassiti).
La lotta guidata
La lotta guidata è stata una tappa che ha preceduto il metodo di produ-
zione integrale perché utilizza ancora i prodotti chimici, ma introduce
alcuni concetti fondamentali: il controllo della presenza dei parassiti e la
soglia di intervento, impiegando i trattamenti in modo più appropriato.
Si tratta, in sostanza, di condurre la lotta coi soli mezzi chimici, che
andranno tuttavia usati con la massima cautela ed accogliendo alcu-
ni principi base:
Soglia di intervento - cioè “la più bassa densità di popolazione di una
specie dannosa capace di produrre dei danni economici” (Stern et al.,
1969). È inutile, in molti casi, combattere gli insetti al loro semplice
apparire. La lotta andrà effettuata solo se la densità della specie dan-
nosa raggiunga un valore minimo, tale da giustificare il costo dei trat-
tamenti; tale valore viene definito soglia di tolleranza.
Selettività - sarà bene impiegare prodotti che, pur
essendo efficaci contro la specie che si vuole combat-
tere, risparmiano invece, per quanto possibile, gli
insetti utili (parassiti, predatori, pronubi).
Sfruttamento dei nemici naturali - salvaguardandoli sia attraverso
la scelta dei prodotti da usare, sia evitando di intervenire quando essi
siano particolarmente numerosi, oppure si trovino in uno stadio parti-
colarmente sensibile.
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La lotta biologica
Una recente definizione di lotta biologica in agricoltura è quella che con-
sidera “biologico” l’uso degli organismi viventi e dei loro prodotti, allo
scopo di proteggere le piante dagli agenti biotici dannosi. Tale definizio-
ne è un ampliamento del concetto classico, in base al quale la lotta bio-
logica era da intendersi come utilizzazione del controllo abitualmente già
esercitato, in prima persona, dagli agenti biologici di contenimento.
La lotta biologica, basata sull’utilizzazione dell’antagonismo natura-
le, è stata notevolmente ampliata, considerando di pertinenza biologi-
ca anche l’utilizzazione dei prodotti naturali degli stessi organismi
viventi (feromoni, ormoni, tossine). Il concetto può essere poi amplia-
to ulteriormente interessando tecniche diverse, quali quelle utilizzanti
le energie atomica, luminosa, acustica o addirittura mezzi chimici di
derivazione non naturale (fagostimolanti, disappetenti, chemiosteriliz-
zanti, ecc..). Comunque, la stessa moderna definizione consente
l’esclusione di tecniche fisiche o chimiche. Essa considera includibili
tutti quei mezzi che traggono origine dagli organismi dannosi stessi
(es. ormoni giovanili, feromoni sessuali, ecc.) o che si valgono di que-
sti stessi organismi per ottenere abbassamenti di popolazione (steri-
lizzazione dei maschi, introduzione di geni letali, incroci sterili, ecc.) o
quei mezzi derivanti comunque da componenti biotici limitanti in natu-
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La difesa integrata
Riduce ulteriormente l’uso di fitofarmaci chimici sostituen-
doli con mezzi biologici, agronomici, fisici e genetici. Un
esempio di biotecniche è l’impiego di dispenser impregna-
ti di feromone sintetico abbinati ad apposite “trappole” ses-
suali , per monitorare l’entità demografica di un insetto, e
l’impiego di feromoni artificiali per rendere introvabile la
femmina del patogeno.
Oppure l’utilizzo di feromone serve per attirare il maschio in
trappola per ridurre la densità della popolazione fitofoga.
L’impiego di batteri o funghi, virus antagonisti dei Fitofagi.
La produzione integrata è un sistema agricolo di produzio-
ne degli alimenti e di altri prodotti di alta qualità, sistema
che utilizza risorse e meccanismi di regolazione naturale
per rimpiazzare apporti dannosi all’ambiente e che assicu-
ri un’agricoltura vitale nel lungo periodo.
In generale la Produzione Integrata, laddove applicata su prodotti
destinati al mercato con specifici marchi, prevede i seguenti requisiti:
- tutte le aziende fanno parte di programmi predefiniti all’inizio
della campagna di coltivazioni; numero, nome, superficie coinvol-
ta e quantità previste da ciascuna di esse deve essere dichiarato
preventivamente ai clienti.
- È obbligatoria per il produttore, la tenuta di un quaderno di cam-
pagna ove vanno registrati tutti gli interventi eseguiti.
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La commercializzazione
L’inizio della commercializzazione delle produzioni integrate in Italia
risale al 1986. È dell’autunno di quell’anno infatti il primo test realizza-
to dal gruppo APO di Cesena e dal CONAD con il limitato quantitativo
di mele con il marchio “Naturae”.
La novità commerciale vera e propria arriva però nel 1987. Le fragole
prodotte con la lotta biologica riscuotono un notevole consenso sia
presso i consumatori che i media. Giornali e TV danno ampio risalto a
queste produzioni apprezzando lo sforzo degli agricoltori di produrre
con una maggior attenzione alla salvaguardia dell’ambiente e della
salute, sia dei produttori che dei consumatori.
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Produzione biologica
Il principio base dell’agricoltura biologica
è la conservazione e il ripristino della fer-
tilità del suolo: impiego di fertilizzanti
organici (bandendo i concimi chimici
inorganici), composti e residui delle col-
ture. L’agricoltura biologica producendo colture adatte ad un determinato
ambiente e resistenti per loro natura ai parassiti, riduce al massimo l’im-
piego di antiparassitari e favorisce i sistemi di policoltura/allevamento.
La restrizione in materia di concimazioni e di uti-
lizzazione dei prodotti fitosanitari garantiscono
l’offerta di prodotti agricoli sani e privi - di norma
- di residui di origine chimica e diminuendo i
rischi di contaminazione e inquinamento dell’am-
biente sia a livello di terreno che delle falde frea-
tiche. Ne è un esempio la salvaguardia o il ripristino di siepi e di sta-
gni: ecoambienti che offrono ospitalità a numerosi nemici naturali dei
parassiti: insetti utili, uccelli insettivori, micromammiferi.
Con l’entrata in vigore della legge europea (Reg. n. 2092/91), delle
leggi nazionali e in Italia di alcune leggi regionali (Toscana n. 31/94 e
454/95), l’agricoltura biologica è un’attività ufficialmente riconosciuta,
con normative precise che ne regolano ogni minimo aspetto e questo
va indubbiamente a tutto vantaggio dell’ambiente e dei consumatori.
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Organismi di controllo
Gli organismi di controllo verificano il metodo e la produzione, che siano
conformi a quanto dispone il Reg. CEE 2092/91 e successive modifiche
e aggiornamenti. In Europa ce ne sono circa 160. Sulle etichette dei
prodotti provenienti da coltivazioni di agricoltura biologica, deve compa-
rire il marchio o il nome di uno dei seguenti organismi di controllo:
Autorizzati in Italia
ASSOCIAZIONE SUOLO E SALUTE Fano (PU)
BIOAGRICERT Casalecchio di Reno (BO)
BIOS srl Marostica (VI)
CCPB Consorzio per il Controllo dei Prodotti Biologici (BO)
CODEX Scordia (CT)
ECOCERT ITALIA Catania
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L’industria di traformazione
Anche l’industria di trasformazione mostra interesse per il prodotto
biologico: a livello nazionale i principali trasformatori interessati da
questo particolare segmento di mercato sono la CAS di Castagnaro
(VR), la ZIPPERLE di Merano (BZ), il COTRAPO di Fiesso
Umbertiano (RO), ALLIONBE di Cuneo e, a livello regionale, la AGRI-
MOLA di Casalfiumanese (BO), e la CESENATE (FC).
I supermercati che vendono ortofrutta bio sono circa 1500, di cui 1000
sono ubicati nel Nord Italia. Il trend di crescita è stato elevato visto e
considerato che nel 1996 vi erano solo 130 supermercati che vende-
vano biologico.
I negozi specializzati sono oggi più di 1000, di cui 700 sono nel Nord.
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Le oasi
Il progetto delle oasi ecologiche ha come esclusivo siste-
ma di produzione di materie prime alimentari, destinate ai
prodotti per l’infanzia, esenti da residui nocivi di contami-
nati chimici.
Questa esigenza parte dalla constatazione, condivisa
dagli organismi scientifici internazionali, che l’organismo
giovane è più sensibile agli effetti tossici causati dall’espo-
sizione ai prodotti chimici, quali additivi alimentari intenzionali e non
intenzionali, in particolare nei neonati e nei bambini, ciò scaturisce
dall’immaturità dei meccanismi immunitari, della disintossicazione
enzimatica e dell’incompiuta funzionalità degli organi escretori (rene,
ecc.).
Considerando come le materie prime possano essere contaminate
dai seguenti composti chimici:
L’unico modo efficace per evitare la loro presenza è quello di una pro-
duzione diretta e guidata dei prodotti agroalimentari in ambienti pro-
tetti da tali contaminazioni.
In particolare il progetto “oasi plasmon” ha notevolmente ridotto i limi-
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O.G.M.
Televisione e giornali ci hanno abituati ad associare il termine “biotec-
nologia” ad applicazioni spettacolari come test del DNA per diagnosti-
care malattie o generazione di pecore clonate e piante di mais che
sterminano i propri parassiti. Ma la biotecnologia non è solo questo.
La rivoluzione del DNA ricombinante è una scienza poliedrica ed in rapi-
da evoluzione, ricca di promesse di possibilità e di incertezze, come
tutte le nuove scienze. Essa coinvolge le bioscienze in tutti i loro aspet-
ti, può essere applicata alle aree più diverse ed ha consentito e consen-
te di sviluppare e migliorare processi per la produzione industriale di
ogni tipo di prodotto: dai farmaci ai prodotti chimici e alimentari.
La biotecnologia è una disciplina che comprende tecniche produttive
utilizzate da millenni, quali l’agricoltura, la zootecnia e lo sfruttamento
delle attività fermentative dei microrganismi ( per esempio nella pro-
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ci. Così è per gli aerei e per le automobili, che pure sono causa di
migliaia di morti all’anno, o per la penicillina che salva milioni di vite,
anche se, qualche volta, uccide per shock anafilattico. Non sfugge a
questa regola l’agricoltura: può avvelenarci e inquinare l’ambiente con
fitofarmaci e fitoregolatori, scatenare allergie, trasmetterci veleni e
tossine fungine, ridurre la biodiversità naturale. L’agricoltura “biologica”
è esente dal primo di tali pericoli, non certo dagli altri. Il fatto è che i rischi
dell’agricoltura sono considerati accettabili in rapporto ai benefici.
Perché dunque pretendere che solo le piante transgeniche siano
assolutamente esenti da rischi? Una proposta sensata sembra quella
che stabilisca che il massimo livello di rischio accettabile per tale tipo
di piante sia lo stesso di quelle tradizionali. Potremmo anche chiede-
re alle nuove tecnologie di abbassare questo livello, ma è utopistico
pretendere che le piante transgeniche siano del tutto innocue!
Ma vediamo quali sono le cause mosse alle piante geneticamente modi-
ficate: effetti tossici sull’uomo, danni per l’ambiente, inutilità per i paesi ric-
chi, incapacità di risolvere il problema della fame nel mondo, pericolosa
gestione commerciale. E’ evidente che molti dei rischi loro attribuiti siano
comuni alle altre piante coltivate; però le piante transgeniche hanno un
potenziale fattore di rischio in più: il gene esogeno (estratto).
Qual è la sua pericolosità?
Cominciamo dai dubbi relativi alla salute dell’uomo. Le piante transge-
niche vengono accusate di scatenare allergie alimentari. In realtà, già
oggi, in tutto il mondo, il 2-4 per cento dei bambini e l’1-2 per cento
degli adulti soffre di allergie scatenate da proteine contenute nel cibo,
soprattutto soia, latte vaccino, uova, farina, riso, noci, arachidi, pesci
e crostacei. L’unica cura efficace è evitare tali cibi.
Nel caso delle piante transgeniche, il gene esogeno potrebbe effetti-
vamente codificare per una proteina allergenica; le legislazioni dei
diversi paesi prevedono che si analizzino preventivamente: la fonte
del gene, si richiedono i parametri fisico-chimici della proteina specifi-
cata dal gene (somiglianza con proteine allergeniche, stabilità alla
digestione e alla cottura), gli effeti del gene esogeno sulla produzione
degli allergeni endogeni della pianta ospite ed i risultati di saggi in vitro
(test cutanei, simulazione alimentare).
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un virus, il CMV, distrugge oggi sino al 40 per cento del raccolto. Il pro-
blema è già stato affrontato dalla ricerca italiana, integrando nel DNA del
pomodoro, in orientamento <<antisenso>>, una sequenza del virus che
codifica per la proteina dell’involucro. Il San Marzano esente da infezio-
ni virali è già pronto, ma è stato bloccato perché transgenico!
Un secondo esempio: la coltivazione del
melo tipico della Valle d’Aosta è messa a
rischio dalle larve di un insetto, Melolontha
melolontha, che, mangiando le giovani
radici, impedisce la messa a dimora di
nuovi impianti. Anche in questo caso, entro
pochi anni questa coltivazione, con tradi-
zioni secolari, diverrà un ricordo. Si può
rimediare sfruttando il fatto che il melo è
costituito da una porzione radicale (il por-
tainnesto) e da una aerea (la varietà che
produce il frutto). Integrando un gene Bt
nel portainnesto, preferibilmente con pro-
motore inducibile da ferita, si otterrebbero
radici resistenti all’insetto, mentre la parte
aerea resterebbe la stessa.
Chi teme effetti negativi e inaspettati dalle
biotecnologie parla della possibilità che il
gene esogeno interferisca con il resto del genoma. In realtà, da un
punto di vista scientifico, è senz’altro più prevedibile il comportamen-
to di un gene isolato, caratterizzato e trasferito in una pianta, rispetto
a un mutante ottenuto per mutagenesi chimica o indotta da radiazio-
ni, o a un nuovo ibrido ottenuto incrociando due piante.
L’integrazione del gene esogeno avviene, per ora, in siti apparente-
mente causali del genoma vegetale e quindi si teme che ciò possa
scatenare inattivazione di geni utili. Ma tali fenomeni avvengono natu-
ralmente e spesso nelle piante, sia in seguito a stress biologici, clima-
tici o di altra origine, sia come conseguenza di operazioni di migliora-
mento genetico tradizionale.
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BSE e Aviaria
Nel 2005 la comunità europea ha riammesso il commercio della
bistecca con osso (“la fiorentina”), vietata per il principio di precauzio-
ne “per il caso BSE”, e ha confermato la sicurezza alimentare della
filiera avicola italiana, “per il caso aviaria”.
Ritengo opportuno “per i due casi” di darne un’informazione scientifi-
ca valida.
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Cos’è la BSE?
L’Encefalopatia Spongiforme Bovina (BSE), nota comunemente come
“malattia della mucca pazza” è una malattia neurologica di tipo degene-
rativo ad esito fatale che colpisce i bovini. Si tratta di un tipo di patologia
che appartiene ad un gruppo di malattie provocate dai “prioni”, conosciu-
te con il nome di Encelopatie Spongiformi Trasmissibili (TSE). Le TSE
sono malattie mortali che provocano una degenerazione del cervello,
trasformandolo in una massa spugnosa, e
gravi problemi neurologici.
L’origine della BSE è tuttora sconosciuta.
Secondo una teoria, l’agente responsabi-
le del morbo è rappresentato da “prioni
modificati trasmissibili” capaci di interagi-
re con i prioni normali (proteine presenti in
natura, soprattutto nel cervello ma anche
in altri tessuti di esseri umani e animali) e di indurli a trasformarsi in
“prioni trasmissibili”. Si ritiene che anche altri fattori siano coinvolti
nello sviluppo della BSE e le ricerche in questo campo continuano.
La modalità di trasmissione non è stata determinata
La modalità di trasmissione della BSE non è ancora stata determina-
ta. Si ritiene al momento che i bovini possano essere stati infettati dal
morbo attraverso l’assunzione di farine di carne e ossa o di mangimi
ricavati da carcasse di animali affetti da BSE. Non si escludono altre
possibili modalità di trasmissione del morbo.
Nel Regno Unito, dopo la crisi del 1992, l’incidenza della BSE ha mostra-
to ogni anno un significativo declino. Nel 1999, i casi resi noti erano
2.300; questa cifra scese a 1.443 nel 2000 e a 526 a settembre 2001.
Un numero molto inferiore di casi di BSE sono stati registrati in Austria,
Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania,
Grecia, Irlanda, Italia, Giappone, Liechtenstein, Lussemburgo, Paesi
Bassi, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Spagna e Svizzera.
Ad oggi, la BSE è stata riscontrata solo nei bovini. Esiste il rischio teo-
rico che possa contagiare anche gli ovini, ma nessun caso di pecora
affetta da BSE è stato finora dimostrato, tranne casi sperimentali rea-
lizzati in condizioni particolari in laboratorio.
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Prodotti tipici
DOP - Denominazione di Origine Protetta
Sono prodotti strettamente legati alla regione da cui sono originari. Le
materie prime originarie e la loro trasformazione sono effettuate nella
regione di cui il prodotto porta il nome. Le qualità organolettiche e le
caratteristiche particolari sono date dall’ambiente (clima, qualità del
suolo, fattori umani, conoscenze tecniche e del territorio).
Dal 15 settembre 2005 è stato riconosciuto dal Ministero delle
Politiche Agricole e Forestali la denominazione “Gran Suino Padano”.
Si tratta della carne fresca del suino tradizionale italiano, che è inse-
rito nel circuito DOP, nella cui produzione convengono gli stessi ele-
menti di tutela qualitativa, tracciabilità, controllo e garanzia che carat-
terizzano la materia prima dei salumi a denominazione di origine, a
partire dai prosciutti di Parma e di San Daniele.
Nel 2005 i suini macellati nell’ambito del circuito Parma e San
Daniele, che equivale al circuito del Gran Suino Padano, sono stati
8.964.496 pari a circa il 68% del totale dei capi macellati in Italia.
Le imprese interessate a questo prodotto ammontavano nel 2005 a
5.252 allevamenti e 135 stabilimenti di macellazione e sezionamento.
L’azienda Martini è fra queste imprese e garantisce la qualità di pro-
duzione attuando un sistema di rintracciabilità del singolo suino alle-
vato e degli alimenti consumati attraverso una modulistica in grado di
seguirlo fino l’intero percorso di trasformazione delle sue carni.
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Conclusione
Le informazioni riportate nei vari capitoli di questo quaderno eviden-
ziano come solo una produzione agroalimentare che rende disponibi-
le materie prime prive o con tracce di contaminanti può garantire una
nutrizione sana e può essere definita agricoltura sostenibile e pertan-
to ecocompatibile.
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BIBLIOGRAFIA:
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Impaginazione e stampa
IL DIGITALE - Cesena 0547.630808
Stampato nel mese di maggio 2006
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