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Quaderno

Colture erbacee
Cereali, Foraggere industriali
QUADERNO
QUADERNO COLTURE ERBACEE

ISBN 9788896578094

Coordinatore
Luigi Tedone
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali - Università di Bari

Testi e ricerche
Gianluca Brunetti1, Fedele Casulli2, Eugenio Cazzato1, Giuseppe De Mastro1,
Grazia Disciglio3, Mariano Fracchiolla1, Nicola Grassano1, Francesco Pinto4,
Emanuele Tarantino3, Luigi Tedone1, Leonardo Verdini1.
1
Università degli Studi di Bari - Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali, Facoltà
di Agraria
2
Università degli Studi di Bari - Dipartimento di Protezione delle Piante e Microbiologia Ap-
plicata, Facoltà di Agraria
3
Università degli Studi di Foggia - Dipartimento di Scienze Agro-Ambientali, Chimica e Dife-
sa Vegetale, Facoltà di Agraria
4
Università degli Studi di Bari - Dipartimento di Produzione Animale, Facoltà di Agraria

Progetto editoriale
Maria Grazia Piepoli1, Antonio Cardone1, Matteo Antonicelli2,
Pietro Suavo Bulzis3, Fabrizio De Castro4, Vito Nicola Savino5
1
Centro di Ricerca e Sperimentazione in Agricoltura “Basile Caramia” di Locorotondo
2
COGEA Srl di Roma
3
Federazione Regionale Coldiretti Puglia
4
Agriplan Srl di Bari
5
Università degli Studi di Bari – Facoltà di Agraria

Redazione
Settore Biblioteca - Centro di Ricerca e Sperimentazione in Agricoltura “Basile
Caramia” di Locorotondo (Ba)

Editore
Centro di Ricerca e Sperimentazione in Agricoltura “Basile Caramia” di Loco-
rotondo (Ba)

Finito di stampare nel mese di aprile 2009 / Stampa GRAFICA MERIDIONALE


Tutti i diritti sono riservati – È vietata la riproduzione con qualsiasi mezzo
INDICE

Presentazione 7

1. I cereali: importanza economica e specie coltivate


nell’areale pugliese 9
1.1 Introduzione 9
1.2 Aree di coltivazione, superfici, produzioni e la PAC 9
1.3 Frumento duro: qualità, certificazione e rintracciabilità 11
1.4 Cereali minori 16
1.5 Cenni sulle tecniche di coltivazione dei cereali autunno-vernini 18
1.6 Cerealicoltura biologica 19
1.7 Conclusioni 22

2. Biologia dei cereali autunno-vernini 27


2.1 I cereali 27
2.2 Morfologia dei cereali autunno-vernini 27
2.3 Ciclo biologico 34
2.4 Esigenze ambientali 38

3. Tecnica colturale 43
3.1. Avvicendamento 43
3.2. Lavorazione del terreno 44
3.3 Semina 46
3.4 Scelta varietale 47
3.5 Concimazione 48
3.6 Irrigazione 53

4. Il controllo della flora infestante nei cereali 55


4.1 La flora infestante dei cereali 55
4.2. Caratteristiche della flora infestante e rapporti di competizione
con le colture 57
4.3. Danni causati dalla flora infestante 58
4.4. Periodo critico della competizione 58
4.5. Gestione agronomica della flora infestante 59
4.6. Controllo meccanico delle malerbe in presenza della coltura 61
4.7. Il diserbo chimico 61


4.8. Fenomeni di resistenza agli erbicidi 64

5. Aspetti fitopatologici dei cereali 67


5.1 Introduzione 67
5.2 Oidio o mal bianco 67
5.3 Ruggine 69
5.4 Septoriosi 71
5.5 Stagonosporiosi 72
5.6 Alternariosi 73
5.7 Mal del piede 74
5.8 Fusariosi della spiga 74
5.9 Carbone 75
5.10 Carie totale 76
5.11 Elmintosporiosi o striatura bruna dell’orzo 77

6. Raccolta, stoccaggio e destinazione del prodotto 81


6.1 Raccolta 81
6.2 Consegna e stoccaggio 82
6.3 Parassiti animali 84
6.4 Controllo delle infestazioni 86
6.5 Utilizzazione e aspetti qualitativi 88

7. Le colture foraggere in Puglia: diffusione e caratteristiche


agronomiche delle specie coltivate 91
7.1 Importanza e diffusione delle foraggere in Puglia 91
7.2 Cenni sulle principali specie da foraggio 93

8. Problematiche agronomiche delle colture foraggere e del


miglioramento dei pascoli in Puglia 107
8.1 La coltivazione degli erbai 107
8.2 Miglioramento dei pascoli 111
8.3 La raccolta e conservazione del foraggio 118
8.4 L’insilamento 119

9. Aspetti nutrizionali degli alimenti di origine vegetale ed


esempio pratico di razionamento 123
9.1 Introduzione 123
9.2 La valutazione qualitativa delle materie prime
per l’alimentazione animale 124
9.3 I fabbisogni nutritivi degli animali 128


9.4 La fibra 131
9.5 Il flusso energetico degli alimenti durante la digestione 134
9.6 Il calcolo della razione alimentare 136

10. Le colture industriali: importanza economica e specie


coltivate nell’areale pugliese 143
10.1 Introduzione 143
10.2 Colture da semi oleosi 144
10.3 La barbabietola da zucchero 154

11. Girasole (Helianthus annus L.) 165

12. Colza (Brassica napus L. subsp. Oleifera DC) 179

Allegato
Schede tecniche di coltivazione delle principali
colture cerealicole, foraggere e industriali 193



Presentazione

Nell’ambito delle superfici emerse (circa 13,5 miliardi di ha) circa 1,4 miliardi di
ettari sono destinati alle coltivazioni erbacee, colture strategiche per l’alimenta-
zione umana, sia in via diretta, attraverso l’utilizzo delle materie prime, sia per
via indiretta, esempio come nel caso delle materie prime destinate alla zootecnia
ed all’industria di trasformazione. Da considerare anche la rilevante presenza
(circa 3 miliardi di ettari) di superfici destinate alla pastorizia (prati, pascoli e
boschi) e le superfici, sempre più crescenti negli ultimi anni, per la produzione
di energia.
La Puglia possiede una superficie agraria e forestale di 1.350 mila ettari nei quali
la destinazione a coltivazioni erbacee è consistente: 650 mila ettari a seminativi,
90 mila ettari a prati e pascoli 100 mila ettari a boschi.
Da questa premessa si evince l’enorme importanza strategica che assumono
queste colture nelle economie e nelle politiche internazionali.
Il manuale è strutturato in tre parti, dimensionate in base all’importanza econo-
mica che le colture rivestono a livello regionale:
- le colture cerealicole da granella, con particolare attenzione al frumento, orzo,
avena;
- le colture foraggere, con particolare attenzione agli erbai autunno vernini e ai
pascoli;
- le colture industriali, con maggior attenzione a girasole, colza e cenni su colture
quali barbabietola e pomodoro da industria.
Di tutte le colture, si fa comunque una trattazione che tiene in conto che la ge-
stione dell’azienda agricola si intreccia con una serie di problematiche:
- produrre con metodi di coltivazione che siano sostenibili sia economicamente
ma anche dal punto di vista ambientale, considerando che le risorse naturali non
sono rinnovabili.
- assicurare la continuità di approvvigionamento, possibilmente senza fluttuazio-
ni negli anni.
- garantire un prezzo dei beni di prima necessità che sia conveniente sia per gli
imprenditori agricoli che per la popolazione.
- garantire la sicurezza dei prodotti in termini salubrità qualitativi e sanitari.
Il quaderno nasce quindi con l’intento di fornire agli imprenditori agricoli un sup-
porto e un aggiornamento sulle tecniche di coltivazione, al fine di ottimizzare il
reddito degli agricoltori nel rispetto del mandato più ampio oggi affidato agli agri-
coltori che è quello assicurare il benessere alimentare e sociale delle comunità.



1- I CEREALI: IMPORTANZA ECONOMICA
E SPECIE COLTIVATE NELL’AREALE PUGLIESE
Emanuele Tarantino, Grazia Disciglio
Dipartimento di Scienze Agro-Ambientali,
Chimica e Difesa vegetale della Facoltà di Agraria,
Università degli Studi di Foggia

1.1 Introduzione
I cereali comprendono diverse specie di piante erbacee annuali coltivate per i
loro frutti o semi secchi (cariossidi) ricchi di amido, utilizzati nell’alimentazione
umana o animale come sfarinati o come prodotti ottenuti dagli stessi (pane, pa-
sta, biscotti ecc.).
Oggi più della metà delle terre arabili nel mondo è coltivato a cereali. La loro
importanza deriva da alcune positive caratteristiche, prima tra tutte, quella di
dare un prodotto secco (10-12% di acqua) concentrato, facilmente trasportabi-
le e conservabile ad alto potere calorico, con apprezzabile contenuto proteico,
lipidico e di sali minerali. L’altra peculiare caratteristica è l’ampia adattabilità ad
ambienti molto diversi. Infatti, alcune specie si sono adattate a climi tempera-
ti (specie microterme a ciclo autunno-vernini: frumento, orzo, avena, segale,
triticale), altre specie, originate nei climi caldo tropicali, sono caratterizzate da
elevate esigenze termiche (specie macroterme: mais, sorgo, riso, miglio, panico
ecc.).

1.2 Aree di coltivazione, superfici, produzioni


I cinque Continenti sono interessati in misura diversa alla coltivazione dei cerea-
li; in Asia i cereali più diffusi sono: il riso, il frumento, il mais, il miglio e il sorgo.
Nel centro e nord America si coltivano maggiormente: frumento, mais, avena e
sorgo. L’Europa è interessata maggiormente alla coltivazione dei cereali vernini,
anche se una rilevante superficie è destinata alla coltivazione del mais (Basso,
2007). Anche nell’areale pugliese le specie più interessate sono quelle autunno-
vernine, e in particolare, il frumento duro, il frumento tenero, l’orzo da granella e
alcuni cereali minori come l’avena.
Nel 2008, l’offerta cerealicola mondiale, in particolare in Europa si è abbondan-
temente ripresa rispetto agli anni precedenti, in particolare, con un balzo di circa
il 20% rispetto al 2007. Ciò è avvenuto sia per un aumento della superficie colti-
vata (+ 6,6%), sia per la resa che è passata da 4,6 a 5,2 t ha-1 (Coceral, 2008).
Molti Paesi hanno denunciato però una qualità inferiore alla norma per effetto
delle cattive condizioni climatiche durante il ciclo vegetativo e delle piogge re-
gistrate al momento della raccolta. La nota dolente è data anche dai prezzi di


mercato. L’abbondanza ha influito negativamente e ha determinato la discesa
dei prezzi. Ciò ha destato qualche preoccupazione tra le organizzazioni agricole
europee, tanto da richiedere alla Commissione Europea di introdurre nuova-
mente i dazi all’importazione in modo da proteggere il mercato comunitario.
Anche in Italia, la superficie destinata a cereali negli ultimi anni ha subito no-
tevoli variazioni. Dalla tabella 1 si nota, infatti, una fase di declino a partire dal
2004 (ultimo anno di regime “accoppiato” pre-riforma), quando la superficie in-
vestita a cereali autunno-vernini ammontava a circa 2.8 milioni di ettari) fino al
2006, anno in cui si è toccato il minimo storico (circa 2.4 milioni di ettari). Tra i
cereali il frumento duro, di cui l’Italia è leader mondiale, ha subito la maggiore
flessione a causa della perdita della quota di superficie, ove la coltivazione era
giustificata soprattutto per la presenza dell’incentivo comunitario. Successiva-
mente nel 2007 e 2008 le superfici totali investite a cereali autunno-vernini sono
aumentate fino a raggiungere circa 2.8 milioni di ettari nel 2008, grazie ad un
aumento del loro valore di mercato.

Tabella 1 – Evoluzione delle superfici dei cereali autunno-vernini in ITALIA


dal 2004 al 2008 (Fonte: ISTAT, 2008)

SUPERFICIE (.000 ha)

Colture 2004 2005 2006 2007 2008

Frumento duro 1.772,1 1.520,0 1.342,9 1.439,2 1.521,0

Frumento tenero 581,8 602,8 582,8 661,2 717,8

Orzo da granella 304,9 319,9 332,6 344,7 353,5

Avena da granella 146,6 174,8 160,9 154,5 160,9

Segale 2,9 2,6 2,8 3,1 1,6

Altri cereali minori 7,2 6,8 8,2 10,6 23,2

Totale Cereali 2.815,5 2.626,9 2.430,2 2.613,3 2.778,0

Lo stesso frumento duro nel 2008 ha fatto registrare una superficie di circa 1.5
milioni di ettari dai quali sono stati ottenuti circa 5.6 milioni di tonnellate di gra-

10
nella, circa il 47% della produzione totale europea e il 14% di quella mondiale
(Tabella 1 e Inform. Agr. 2008).
Subito dopo, a partire dalla primavera del 2008, le quotazioni dei cereali, come
già accennato precedentemente, hanno subito una nuova flessione. La riduzio-
ne dei listini, in particolare del grano duro, l’aumento continuo dei costi e gli ef-
fetti della crisi sul livello dei consumi hanno spostato l’interesse degli agricoltori
verso colture ritenute più remuneranti.
Infatti, gli ultimi dati ISTAT 2009 registrano un calo degli investimenti a livello na-
zionale pari all’8,7%, per il frumento tenero e al 2,9% del frumento duro (Pizzo e
Rossetto, 2009). Ciò viene giustificato oltre, che dai prezzi stagnanti anche dalle
avverse condizioni climatiche che in alcune regioni italiane hanno ostacolato le
semine.
E’ noto, inoltre, che il mercato italiano dei cereali dipende fortemente dalle di-
namiche che si realizzano a livello internazionale in conseguenza agli elevati
quantitativi importati. Il ricorso alla sola produzione nazionale, infatti, non con-
sentirebbe di soddisfare la domanda proveniente dall’industria di trasformazio-
ne. Per coprire i consumi interni è comunque necessario ricorrere al prodotto di
importazione nella misura del 60% per il frumento tenero, nel 30% del frumento
duro e del 15% dell’ orzo (Montanaro, 2008).
Anche le produzioni sementiere hanno subito oscillazioni negli anni, eviden-
ziando un tracollo delle superfici portaseme nel 2005 e 2006 e una ripresa nel
2007 con 94.380 ha (+30%) per il frumento duro; 23.972 ha (+13%) per il fru-
mento tenero e 12.849 (+6%) per l’orzo (ENSE, 2007).
Nel 2008 in Puglia le superfici investite a cereali sono state in totale 398.559
ha, ripartite in 366.258 ha, 4.173 ha e 28.028 ha, rispettivamente per il frumento
duro, frumento tenero e orzo da granella, le cui rese medie sono state di 3.4,
2.94 e 2.76 t ha-1 (Tabella 2, 3, 4).
Le varietà più diffuse nelle aree meridionali sono riportate nella Tabella 5.

1.3 Frumento duro: qualità e certificazione


Per il frumento duro, coltura più importante per la Puglia, è da considerare oltre
che la quantità anche la qualità della granella.
Le tipologie della qualità del frumento duro variano in relazione al segmento
della filiera considerato e alla tipologia del prodotto trasformato. Come è noto
esiste una qualità agronomica legata alla potenzialità, alla stabilità e alla qualità
produttiva, una qualità molitoria legata alla resa della semola, al contenuto in
ceneri, al grado di umidità della granella e alle impurezze, una qualità tecnolo-
gica che varia in relazione alla tipologia del prodotto trasformato e che dipende
essenzialmente dal contenuto proteico, dalla quantità e qualità del glutine e dal
colore giallo e, infine, una qualità igienico-sanitaria, sensoriale e di salute per il

11
consumatore (Troccoli, et al., 2000).
Molti dei fattori che contribuiscono alla qualità ruotano intorno al contenuto pro-
teico delle cariossidi (sia in termini quantitativi, sia qualitativi), che costituisce
di fatto l’aspetto più delicato per la promozione dell’alta qualità nella filiera del
frumento duro (Tabella 6).
Da diverse indagini dell’Istituto Sperimentale per la Cerealicoltura risulta che il
50% della produzione media nazionale ha un contenuto proteico oltre il 12,5%,
valore capace di soddisfare le esigenze qualitative dell’industria di trasformazio-
ne (De Vita et al., 2007).
Tuttavia, essendo ancora carente in Italia la diffusione dello stoccaggio diffe-
renziato, parte della qualità prodotta non viene di fatto utilizzata dall’industria di
trasformazione che, conseguentemente si rivolge all’importazione di grano di
alta qualità dei Paesi esteri più organizzati commercialmente (principalmente
Canada, USA, Australia e Francia).

Tabella 2 – Superfici, produzioni e rese del frumento duro in PUGLIA nel-


l’anno 2008 (Fonte AGRIT, 2008)

Frumento duro Frequenza


Superficie Produzione Resa media
Superf.
classe di resa (ha) (t) (t ha-1)
(%)
(t ha-1)

0 – 0,5 -- -- -- --

0,5 – 1,0 0,3 1.204 939,1 0,78

1,0 – 1,5 0,9 3.371 3804,0 1,13

1,5 – 2,0 5,0 18.301 30.895,1 1,69

2,0 – 3,0 35,1 128.588 323.806,1 2,52

3,0 – 4,0 46,0 168.319 559.955,3 3,33

4,0 – 5,0 11,4 41.659 170.705,6 4,10

5,0 – 6,0 1,2 4.575 23.236,0 5,08

>6,0 0,1 241 1.446,0 6,00

Totale 100,0 366.258 1.114.7870 3,04

12
Tabella 3– Superfici, produzioni e rese del frumento tenero in PUGLIA nel-
l’anno 2008 (Fonte AGRIT, 2008)

Frumento tenero Frequenza


Superficie Produzione Resa media
superf.
classe di resa (ha) (t) (t ha-1)
(%)
(t ha-1)

0 – 0, 5 -- -- -- --

0,5 – 1,0 -- -- -- --

1,0 – 1,5 5,9 245 244,0 1,0,

1,5 – 2,0 -- -- -- --

2,0 – 3,0 41,2 1.719 4.224,4 2,4,

3,0 – 4,0 41,2 1.718 5.350,1 3,11

4,0 – 5,0 -- -- -- --

5,0 – 6,0 11,8 491 2.455,0 5,0

> 6,0 -- -- -- --

Totale 100,0 4.173 12.273,5 2,94

13
Tabella 4 – Superfici, produzioni e rese dell’orzo in PUGLIA nell’anno 2008.
(Fonte AGRIT, 2008)

Orzo da granella Frequenza


Superficie Produzione Resa media
Superf.
classe di resa (ha) (t) (t ha-1)
(%)
(t ha-1)

0-5 0.8 228 91,5 0,4

5 - 10 2,4 683 568,0 0,83

10 - 15 6,5 1.823 2.369,9 1,3

15 - 20 7,3 2.051 3.190,7 1,56

20 - 30 30,9 8.659 21.123,2 2,44

30 - 40 45,5 12.761 41.815,1 3,28

40 - 50 5,7 1.595 6.767,1 4,24

50 - 80 -- -- -- --

80 0,8 228 1.368,0 6,0

Totale 100,0 28.028 77.293,5 2,76

TOTALE CEREALI -- 399.559 -- --

Tabella 5 – Varietà più diffuse nelle aree meridionali


Arcangelo, Ciccio, Claudio, Colorado, Colosseo, Creso,
Frumento duro Duilio, Norba, Ofanto, Pietrafitta, Platani, Quadrato, Ra-
dioso, Rusticano, Simeto, Svevo, Torrebianca.

Frumento tenero Bolero, Palladio, Centauro, Palesio.

Orzo Otis, Scarlet, Arda, Pilastro.

14
Tabella 6 – Qualità del frumento duro: annata agraria 2007-2008
(www.cerealicoltura.it)
N. Proteine Glutine
Provincia
rilievi (% s.s.) (% s.s.)

Min Max Media Min Max Media

Bari 112 9,24 14,45 11,60 6,15 11,00 8,53

Foggia 1805 8,78 18,74 13,27 5,43 15,54 10,34

La qualità della produzione del frumento duro è sempre più determinante per
il valore commerciale del prodotto che, come è noto, può fluttuare da un anno
all’altro in relazione sia alle variazioni dei fattori pedoclimatici e agronomici
che alla componente genetica.
Si fa rilevare, inoltre, che insieme alle suddette caratteristiche intrinseche del
prodotto, per fornire una visione olistica della qualità occorrono altri elementi
che non si riferiscono al prodotto stesso, ma al contesto di produzione che
influenzano la percezione della qualità da parte del consumatore (Ruggiero
e Maggio, 2004; Peri, 1998).
In particolare sono importanti tre requisiti: l’origine territoriale e la cultura,
l’ambiente e la sua protezione e la deontologia dei sistemi produttivi. Que-
sti potremmo definirli requisiti psicologici che insieme a quelli di qualità del
prodotto (sicurezza, merceologici, nutrizionali e sensoriali) sono importanti
ai fini alimentari. Ci sono, infine, dei requisiti di garanzia che considerano il
prodotto come oggetto di mercato e sono la certificazione e la rintracciabilità
di azienda e di filiera (Tabella 7).
Un altro aspetto di qualità dei cereali riguarda gli effetti salutistici attribuiti
a composti biologicamente attivi (nutraceutici) presenti nelle diverse com-
ponenti della cariosside (pericarpo, germe ed endosperma), che incidono
sulla diminuzione di malattie cardiovascolari, diabete e cancro. Sembra che
il principale effetto positivo della granella integrale di cereali sia la capacità
antiossidante totale (Flagella, 2006).

15
Tabella 7 – Caratteristiche qualitative di frumento duro e derivati in relazio-
ne al prodotto, al contesto produttivo e ai requisiti di garanzia (Flagella,
2006)

Requisiti del prodotto


Sicurezza (assenza di residui, basso contenuto in metalli pesanti etc.)
Nutrizionali (contenuto in macronutrienti, micronutrienti e composti bioattivi)
Tecnologici (contenuto proteico, indice di glutine etc.)

Requisiti del contesto produttivo


Origine territoriale, tradizione
Rispetto per l’ambiente (produzione integrata e biologica)

Requisiti di garanzia
Certificazione (prodotti DOP, IGP e marchi collettivi)
Rintracciabilità (Reg. UE n. 178-2002)

1.4 Cereali minori


L’introduzione del disaccoppiamento, se da un lato ha indubbiamente indebolito
l’azione di indirizzo della PAC, spingendo gli agricoltori verso la ricerca di nuovi
percorsi aziendali in un’ottica di orientamento al mercato, dall’altro ha favorito
una maggiore attenzione all’impiego degli avvicendamenti colturali e di corrette
tecniche agronomiche, nonché di una più efficace selezione dei terreni vocati
per ciascuna coltura. Alla luce di questo nuovo contesto deve essere letto il
trend positivo che negli ultimi anni ha interessato i cereali minori (avena, segale,
farro e triticale), così definiti sia perché complessivamente occupano soltanto il
4% del totale delle superfici destinate a cereali, sia per il limitato interesse da
parte del mercato. Tuttavia, essi possono apportare un contributo significativo ai
conti economici delle aziende agricole, in quanto contraddistinti da bassi costi
di produzione.
Questi cereali trovano impiego nel settore zootecnico, in particolare l’avena ha
un uso mirato e specifico per alcune specie animali, come gli equini, che hanno
questo cereale come base della propria nutrizione, sia come granella che come
paglia.
Per il farro e la segale, invece, cresce l’interesse per l’alimentazione umana.

16
All’attualità i cereali minori riscuotono notevole interesse in agricoltura biologica
e rappresentano un’opportunità sia agronomica, per le loro caratteristiche di ru-
sticità che ben si possono inserire negli avvicendamenti colturali, sia economica,
soprattutto con la nuova apertura al mercato agro-alimentare.
Le superfici investite a cereali minori in Italia si sono attestate nel 2007 a circa
154.000 ha (ISTAT, 2008). La loro diffusione cambia da regione a regione.
L’avena è la specie coltivata maggiormente in Puglia (con 33.890 ha e 89.860
t di produzione) e in Sardegna (Figura 1); la segale in Calabria e Lombardia,
mentre il triticale e il farro specialmente in Lombardia e Toscana (Belletti et al.,
2008).

Avena

50
Superfici (.000 ha))

40
30
20
10
0
ia
ia

a
na

i
on
an
br
gl

at
eg
Pu

gi
ic

la

sc
rd

sil

 re
Ca

To
Sa

Ba

tre
Al

 
Figura 1 - Superficie di avena riportata per regioni (Fonte ISTAT, 2006)

E’ interessante la situazione del farro che, entrato nella dieta umana per una
sorta di “moda” alimentare, si è progressivamente affermato sulla tavola degli
italiani, sia come cereale integrale per consumo diretto, che macinato come ma-
teria per prodotti da forno come pane, pasta, biscotti e dolci.
Il crescente interesse del consumatore a favore di prodotti cosiddetti “naturali”
a base di farro ha dato impulso a un rilancio produttivo ed economico di questa
coltura nei sistemi agricoli biologici.
Il futuro della produzione del farro rimane comunque molto legato all’andamento
dei prezzi di altri cereali: pur trovando il forte interesse del mercato e degli agri-
coltori, soprattutto nelle aree marginali, oggi risente della competitività di altri
cereali come il frumento duro e tenero che, con il recente rialzo, mantengono
ancora prezzi molto alti (Della Botta, 2007).
Nella Tabella 8 sono indicate le varietà più diffuse nelle aree meridionali.

17
Tabella 8 - Cereali minori: varietà consigliate nella aree meridionali
Avena Rogar 8, Argentina, Ombrone, Donata

Segale Fasto

Triticale Bienvenu, Catria, Oceania, Rigel, Wilfried, Trincat, Cuma

Spelta: Ubel, Sertel, Oberkulmer, Pietro


Farro
Dicocco: Farro del Molise

1.5 Cenni sulle tecniche di coltivazione dei cereali autunno-vernini


Le tecniche di lavorazione del terreno variano in funzione della sua natura,
della precessione colturale, del grado di infestazione delle malerbe. Tra i lavori
principali, l’aratura è ancora oggi la modalità più diffusa nei terreni argillosi ed in
quelli molto inerbiti, nonché in quelli con presenza di residui colturali. Negli ultimi
anni il tema delle lavorazioni è stato profondamente modificato in relazione al
contenimento dei costi di produzione, infatti, si parla oggi di minimum tillage ri-
ferendosi a tecniche di lavorazione ridotte, realizzate con un unico passaggio di
fresatrice al fine di predisporre il terreno per la semina; si parla anche di zero til-
lage quando non si effettua nessuna lavorazione e la semina viene eseguita con
apposite macchine su terreno sodo in presenza di residui colturali. Altri problemi
della tecnica colturale dei cereali interessano l’epoca, la densità e la profondità
di semina, nonché gli interventi agronomici riguardanti la concimazione, il diser-
bo e la raccolta (Basso, 2007).
Particolarmente nei riguardi della qualità della produzione del frumento duro,
come già accennato precedentemente, essa è direttamente collegata al conte-
nuto proteico della granella, la cui espressione dipende dalla base genetica e
può variare in relazione all’ambiente di coltivazione, alla fertilità del suolo, alla
concimazione, alla piovosità stagionale e alla temperatura; tutti fattori che pos-
sono modificare l’azoto disponibile nel terreno. Pertanto la qualità del frumento
duro non può prescindere da una buona tecnica di coltivazione (Tabella 9).

18
Tabella 9 – Tecniche per esaltare le proteine nel grano duro (Troccoli et
al.,2008)

L’azoto rappresenta il principale fattore limitante sia della produzione, sia del teno-
re proteico del grano duro.

L’azoto disponibile per le piante deriva solo in parte dalla concimazione minerale:
una fonte importantissima è quello già presente all’inizio della stagione colturale.

La rotazione migliora la risposta quali-quantitativa del frumento duro: ottimi risultati


si ottengono dalla precessione annuale con il maggese nudo o maggese nudo
biennale.

La semina su sodo non comporta alcun effetto negativo, a parità di concimazione,


sulle caratteristiche quanti-qualitative del frumento duro.

L’azoto accumulato o dato dopo la fioritura ha poco effetto sulla resa, ma può au-
mentare il contenuto proteico della granella. Questo però non è consigliabile per
gli ambienti meridionali, perché normalmente durante la fase terminale del ciclo
vegetativo la scarsità di acqua disponibile nel terreno non consente alle piante di
sfruttare la maggiore disponibilità azotata.

Nel frumento il massimo assorbimento di azoto avviene dopo l’accestimento e


prima della fioritura.

1.6 Cerealicoltura biologica


Nella U.E. il 44% della produzione di colture biologiche è rappresentato da ce-
reali biologici che a loro volta sono lo 0,8% del totale della produzione cerealico-
la (Flagella, l.c. 2006).
In Italia, primo paese produttore con metodo biologico a livello europeo, la
superficie coltivata a cereali rappresenta il 20% della SAU biologica e in parti-
colare quella coltivata a frumento duro rappresenta il 43% della SAU totale dei
cereali.
Nella tabella 8 è riportata la ripartizione tra le diverse specie (Andreotti, 2008).
Le prime tre regioni a maggior sviluppo di cereali biologici sono la Puglia, la Si-
cilia e la Toscana (Figura 2)

19
Tabella 10 – Superfici a cereali biologici (2007)
Colture Ettari
Grano tenero e Farro 24.742

Grano duro 118.856

Orzo 32.025

Mais 10.135

Segale 974

Avena 21.349

Triticale 892

Riso 11.593

Altri cereali 19.817

Totale 240.383

ha t
ha t
60.000

50.000

40.000

30.000

20.000

10.000

0
Puglia sicilia Toscana

Figura 2 – Le prime tre regioni cerealicole per SAU


  e produzione biologica, 2003 (Fonte ISMEA, 2005)

In Puglia il cereale più coltivato con il metodo biologico è il frumento (68%)


(Figura 3), mentre tra le diverse province quella di Bari è la più diffusa per la
cerealicoltura biologica (Figura 4).
Nella Tabella 11 sono elencati i punti di forza e di debolezza insieme alle oppor-
tunità, minacce e strategie di rilievo della cerealicoltura pugliese (De Blasi et al.,

20
2006). Particolarmente, per il frumento duro, sia la resa produttiva che gli stan-
dard qualitativi rappresentano aspetti critici del sistema di produzione biologica.
Ambedue gli aspetti, come già detto, sono fortemente influenzati dalla disponibi-
lità di azoto nel terreno in alcune fasi fenologiche della coltura.

Figura 3 – Distribuzione in % delle colture cerealicole biologiche in Puglia (ha), 2003 (Fonte
ISMEA, 2005)

Figura 4 – Cereali - Distribuzione in % delle superfici bio per provincia, 2004 (Fonte ISMEA, 2005)

21
Tabella 11 - Puglia Bio: filiera cerealicola analisi Swot (De Blasi et al., 2006)
PUNTI DI FORZA PUNTI DI DEBOLEZZA

- Disgregazione della filiera


- Scarsa domanda locale
- Problemi di qualità
- Consistenza della produzione - Debole orientamento al mercato
- Basso valore aggiunto (pastificazio-
ne ecc.)
- Dipendenza dal premio comunitario

OPPORTUNITA’ MINACCE

- Politiche comunitarie e regionali


- Sviluppo tecnologico - Concorrenza di altri prodotti
- Innovazione

STRATEGIE DI SVILUPPO

Politiche della domanda:


- informazione al consumo
- promozione

1.7 Conclusioni
La cerealicoltura, un settore strategico del nostro agro-alimentare, sta vivendo
un momento determinante. Il MIPAAF sta per varare, dopo aver ascoltato le va-
rie parti interessate delle filiere, il Piano Nazionale del settore, uno strumento in
grado di finanziare azioni tese ad aumentare la competitività, che dopo la riforma
Fischler vede le aziende agricole affrontare le conseguenze del disaccoppia-
mento, a causa del tramonto degli aiuti diretti alle colture.
A riguardo le azioni da intraprendere devono essere concrete con l’obiettivo di
aumentare la competitività delle aziende (la maggior parte di ridotte dimensioni
fisiche ed economiche), che si traduce nell’elevare i ricavi e abbassare i costi
del sistema.
In particolare, per aumentare i prezzi, occorre differenziare il prodotto (cioè la
qualità) e concentrare l’offerta.
Per questo è fondamentale: affinare le caratteristiche della granella attraverso

22
il miglioramento genetico e l’azione di agrotecniche orientate alle esigenze del
consumatore; adeguare le strutture di stoccaggio e logistica; sostenere gli ac-
cordi interprofessionali, anche con la diffusione di contratti di filiera in grado di
incentivare la fiducia reciproca tra operatori e di garantire una larga condivisione
di benefici (introduzione di prezzi minimi garantiti, fissazione del prezzo al mo-
mento del contratto, incentivazione alla qualità) (Zanni, 2009).
Secondo le stesse indicazioni dell’Unione Europea, oggi un fattore strategico
per la valorizzazione e lo sviluppo dell’agricoltura oltre a quello di assicurare
produzioni di qualità, include anche altri obiettivi quali lo sviluppo di un’agricol-
tura sostenibile, il raggiungimento di standard elevati di sicurezza alimentare, lo
sviluppo di attività di valorizzazione del territorio (rispetto dell’equilibrio territoria-
le, salvaguardia del paesaggio e dell’ambiente) per contribuire al suo sviluppo
socio-economico.
A questo proposito al fine di consentire al settore di centrare l’obiettivo di una
maggiore competitività, è auspicabile che il Piano Nazionale consideri come
aspetti strategici la ricerca, la sperimentazione e il trasferimento tecnologico.

23
Bibliografia

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25
26
2- BIOLOGIA DEI CEREALI AUTUNNO-VERNINI
Nicola Grassano
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali – Facoltà di Agraria
Università degli Studi di Bari

2.1 I Cereali
I cereali comprendono un gruppo di specie, prevalentemente appartenenti alla
famiglia delle Poaceae (o Graminaceae), la cui caratteristica principale è quella
di produrre frutti o semi secchi, amidacei, dall’elevato potere calorico (da 10.000
a 15.000 kJ/kg, 10 - 20 volte superiore al contenuto calorico di frutta ed ortag-
gi).
Le più importanti colture cerealicole coltivate a livello mondiale includono frumento,
riso, mais, orzo, sorgo, avena, miglio e segale.
Una importante distinzione riguardante tali colture è fatta in base alle esigenze termi-
che e all’adattamento ambientale delle diverse specie, classificabili in due gruppi:
- cereali microtermi (frumento, orzo, avena, segale e triticale) che possono germina-
re a temperature di poco sopra gli 0 °C; sono idonei a semine autunnali per cui nei no-
stri ambienti a ciclo autunno-primaverile; noti anche come cereali vernini o a paglia;
- cereali macrotermi (mais, riso, sorgo, miglio e panico), necessitano di una tem-
peratura minima per la germinazione intorno ai 10 °C; negli areali dell’Italia meridio-
nale sono idonei a semine primaverili con ciclo primaverile-estivo; noti come cereali
estivi.
Di seguito si riporta una descrizione degli aspetti morfologici e delle esigenze
ambientali dei cereali maggiormente diffusi nei sistemi colturali dell’Italia meri-
dionale: frumento duro (Triticum turgidum L. ssp. durum Desf.), frumento tenero
(Triticum aestivum L. ssp. aestivum), orzo (Hordeum vulgare L.) e avena (Avena
sativa L.).

2.2 Morfologia dei cereali autunno-vernini


Radici
L’apparato radicale
è di tipo fascicolato
con radici primarie
(o seminali) che si

Figura 1 – Apparato
radicale dei cereali:
radici primarie (1) e
secondarie (2-3).

27
originano direttamente dal seme e radici secondarie (o avventizie) che prendono
origine dalla base del fusto quando le giovani piante hanno 3-4 foglie e costitui-
scono la maggior parte della massa radicale (Figura 1).

Fusto
Il fusto è cilindrico e cavo ed è detto culmo (Figura
2). Presenta degli ingrossamenti, detti nodi; la por-
zione di fusto tra due nodi successivi è chiamata
internodo.
L’altezza del culmo è in funzione della varietà, ma
anche delle condizioni pedoclimatiche.
Le vecchie cultivar di frumento raggiungevano 180-
220 cm di altezza; le varietà attuali presentano taglia
più ridotta, tra i 70 e i 130 cm. Il miglioramento gene-
tico ha infatti ridotto l’altezza della pianta per indur-
Figura 2 – Particolari del
re una maggiore resistenza all’allettamento. Il culmo
culmo: nodo (a) porta le foglie che prendono origine dai nodi e, nella
e internodo (b) parte apicale, l’infiorescenza.

Foglie
Le foglie sono costituite dalla guaina che avvolge il culmo, dalla lamina, che è la
parte espansa e, nel punto di congiunzione tra le due, dove la lamina si distacca
dal fusto, dalla ligula e da due auricole; la ligula è la continuazione della guaina
e come questa abbraccia il culmo, mentre le auricole sono formazioni falciformi
poste alla base della lamina (Figura 3). Queste ultime nell’orzo sono molto svi-
luppate e costituiscono un facile segno di riconoscimento di questa specie nei
primi stadi vegetativi, rispetto al grano e all’avena.

Figura 3 – Parti che costituiscono la foglia (A=guaina; B=auricole;


C=lamina; D=ligula) e differenza tra le ligule e le auricole
nelle tre specie (1=frumento; 2=orzo; 3=avena).

28
Il numero delle foglie è variabile ed è legato a fattori genetici, ma anche ambien-
tali e nutrizionali.
L’ultima foglia apicale, situata immediatamente sotto la spiga (foglia a bandiera),
svolge una funzione determinante nel produrre gli assimilati che si accumulano
nella granella.

Infiorescenza
Nel frumento e nell’orzo l’infiorescenza si chiama spiga. È costituita da un asse
centrale (rachide) sul quale sono inserite le spighette, che portano al loro interno
i fiori (Figura 4).

Figura 4 – La spighetta e le parti che la compongono: 1=gluma;


2=glumetta inferiore aristata (può essere mutica come indicato in 2a);
3=fiore; 4=glumetta superiore; 5=cariosside; 6=rachilla.

Ogni spighetta è racchiusa da due glume all’interno delle quali troviamo uno (orzo)
o più fiori (frumento). Ogni fiore è costituito
da 2 brattee dette glumette, una superiore
(palea) e una inferiore (lemma), che ne rac-
chiudono gli organi. La glumetta inferiore
può portare all’apice un prolungamento det-
to arista o resta (Figura 4).
Il frumento tenero può presentare varietà
con reste, dette aristate, e varietà sprovvi-
ste di reste, dette mutiche. Tutte le varietà
di grano duro, invece, hanno spighe ari-
state (Figura 5).
Figura 5 – Spighe di frumento duro

29
Nel frumento su ogni nodo del rachide è inserita
una spighetta, che contiene più fiori. Il numero di
spighette per spiga varia molto con la specie, la va-
rietà e le condizioni di crescita: 20-25 può essere
considerato il numero medio di spighette presenti
sulla spiga delle attuali forme di frumento.
La spiga dell’orzo è costituita da un rachide con
20-30 nodi su ognuno dei quali, in posizione al-
terna, sono portate tre spighette uniflore, una me-
diana e due laterali. Se solo la spighetta centrale
di ogni nodo del rachide è fertile e le due laterali
sono sterili, la spiga porta due sole file di cariossi-
di e ha una forma fortemente appiattita: sono i co-
siddetti orzi distici. Se le tre spighette presenti su
Figura 6 – Spighe di orzo distico e
polistico ogni nodo del rachide sono tutte fertili, si hanno
gli orzi polistici (o esastici), a sei file (Figura 6).

L’infiorescenza dell’avena è detta invece pan-


nocchia (Figura7); consiste in un asse princi-
pale (rachide) su cui si inseriscono assi secon-
dari; sia l’asse principale che le ramificazioni
portano spighette con 2-3 fiori, che sono ge-
neralmente aristate e si trovano pendule su un
peduncolo. Le cariossidi, nella maggior parte
delle varietà coltivate, sono strettamente rac-
chiuse tra la glumette e vi rimangono alla rac-
colta (cariossidi vestite).

Frutto
Quello che comunemente viene indicato come
seme in realtà è un frutto denominato cariosside,
ricco in amido. La forma, le dimensioni, il colore, Figura 7 – Pannocchia di avena
la composizione variano con la specie e la va-
rietà. Al momento della trebbiatura nel frumento le glumette si staccano dalle
cariossidi (semi nudi), mentre aderiscono alle cariossidi nell’orzo e nell’avena
(semi vestiti).
La cariosside del frumento (Figura 8) è di forma ellittica, ovoidale con gra-
dazioni di colore che vanno dal bianco avorio, crema, giallo fino al rosso o
bruno; si può distinguere una parte dorsale convessa e una parte ventrale
solcata da una infossatura più o meno profonda detta solco ventrale; le ca-

30
riossidi di frumento tenero hanno una sezione
farinosa, quelle di frumento duro, sezionate,
hanno consistenza cornea o dura. La forma è
più arrotondata nel tenero, più spigolosa nel fru-
mento duro, mentre il peso della cariosside è
maggiore nel duro (peso di mille semi 30-55 g)
rispetto al tenero (30-40 g).
Nell’orzo, invece, le cariossidi (Figura 9) hanno
un colore giallognolo, talvolta biancastro, con-
sistenza farinosa,
con peso dei 1000
semi variabile tra
30 e 55 g. Nelle
varietà distiche le
dimensioni e l’uni-
formità delle ca-
riossidi sono ca-
ratteri positivi per
l’impiego maltario.
Le cariossidi di ave- Figura 8 – Cariossidi di
na sono oblunghe, frumento tenero (in alto)
e frumento duro (in basso)
affusolate, di colo-
re dal bianco al giallastro al rosso, al nero; sono
racchiuse tra le glumette ed hanno un peso dei
mille semi che va da 20 a 45 g (Figura 9).
Per quanto riguarda invece le componenti struttu-
rali della cariosside dei cereali (Figura 10), essa
Figura 9 – Cariossidi di orzo (in
risulta costituita da:
alto) e avena (sotto). - tegumenti (14 - 17%);
- endosperma amilaceo (72 - 75%);
- aleurone (8-9%)
- germe o embrione (2 - 3 %).
I tegumenti sono costituiti dal pericarpo e dagli involucri seminali ricchi in fibra,
vitamine e minerali e, durante la macinazione vengono separati dalla parte en-
dospermatica andando a costituire i sottoprodotti (crusca e farinaccio).
L’endosperma amilaceo costituisce la riserva energetica che l’embrione utilizza
quando germina per produrre una nuova pianta, ed è costituito per gran parte
da amido ma contiene anche un certo tenore di proteine, ed anche zuccheri.
L’endosperma ha struttura farinosa nel frumento tenero, mentre in quello duro
ha generalmente consistenza vitrea, poiché l’amido viene inglobato nella matri-

31
ce proteica a dare una
sezione cornea. Nel-
l’utilizzo industriale da
tale frazione, in fase di
macinazione, si ottiene
il prodotto principale
costituito dalle farine
(frumento tenero) o
dalla semola (frumen-
to duro). Per quanto
Figura 10 – Costituenti della cariosside
riguarda invece l’orzo
e l’avena, l’endosperma ha consistenza farinosa.
L’aleurone è uno strato che circonda l’endosperma, formato da cellule ricche
di proteine sotto forma di granuli, che durante la molitura va a finire nella
crusca.
Il germe o embrione, situato nella parte dorsale e basale della cariosside, contie-
ne le parti della futura pianta (radichetta, piumetta e fusticino) ed è ricco di lipidi,
vitamine liposolubili, sali minerali e proteine; nel frumento viene separato, in fase
di molitura, dalle farine, ed entra a far parte della crusca.
Sempre in relazione alla composizione tra le diverse specie variazioni si eviden-
ziano nel contenuto in principi nutritivi della cariosside (Tabella 1).

Tabella 1 – Composizione chimica delle cariossidi nelle diverse specie (va-


lori medi g /100g s.s.)
Carboidrati
Cereali Proteine Lipidi Fibra Ceneri
(amido)
Frumento
duro 13 70,0 1,9 2,5 1,5
tenero 12 71,7 1,9 2,5 1,4

Orzo
vestito 11,0 71,0 2,1 6,0 3,1
nudo 9,0 78,8 2,1 2,1 2,3

Avena
vestita 14,0 62,0 5,5 11,8 3,7
nuda 16,0 68,2 7,7 1,6 2,0

32
In particolare il contenuto in amido è maggiore nei frumenti e nell’orzo, rispetto
all’avena; mentre la quantità e la struttura delle proteine presenti nelle cariossidi
di frumento sono i fattori principali che determinano l’attitudine delle farine o
delle semole alla produzione di pane e pasta; in genere il contenuto proteico dei
frumenti varia tra l’11 e il 14%, mediamente tale tenore nel grano duro è gene-
ralmente superiore di un punto percentuale rispetto al tenero.
Una migliore rapporto tra i nutrienti e la presenza di un buon contenuto in fibra
rendono invece le cariossidi di orzo ed avena più adatte all’utilizzo zootecnico; in
particolare l’orzo distico, ad elevato contenuto in amido e basso tenore proteico,
è invece adatto per la produzione di malto.

Tabella 2 – Sintesi dei principali caratteri morfologici delle specie


Frumento Frumento
Carattere Orzo Avena
duro tenero
Ultimo internodo pieno cavo cavo cavo
Altezza (cm) 80-130 70-120 70-150 100-150
Infiorescenza

Tipo spiga spiga spiga pannocchia


aristata o aristata
Presenza reste aristata aristata
mutica o mutica
Cariosside
nuda nuda
Presenza glumette nuda nuda
o vestita o vestita
Consistenza vitrea farinosa farinosa farinosa

33
2.3 Ciclo biologico
I cereali autunno-vernini vengono così definiti poiché negli ambienti italiani la
semina avviene di solito in autunno, tra la fine di ottobre e l’inizio di dicembre,
mentre il ciclo si completa con la raccolta che va dalla prima metà di giugno (per
l’orzo, ma anche per il frumento negli ambienti più caldi della Sicilia, Sardegna e
Puglia) fino agli inizi di luglio (Italia settentrionale). Il ciclo biologico è molto simile
per le diverse specie e si compone delle seguenti fasi vegetative e riproduttive.

Semina - emergenza
Dopo la semina, la cariosside assorbe acqua dal terreno, rigonfiandosi e rag-
giungendo una umidità del 35-40%. L’embrione, grazie alle sostanze di riserva
contenute nell’endosperma, si accresce e si ha la germinazione (Figura 11), che
si evidenzia con la fuoriuscita dell’apice radicale seguito dall’apice del germoglio
rivestito dalla prima foglia embrionale (coleottile). Poi la plantula fuoriesce dalla
superficie del terreno e si ha l’emergenza. Questa fase dura mediamente 10-15
giorni.

Accestimento
Dopo l’emergenza la plantula continua ad emettere nuove foglie. Dopo l’emis-
sione delle prime 3-4 foglie, dai nodi basali si originano nuovi germogli o culmi
secondari; questa proprietà è chiamata accestimento e porta alla formazione
di culmi secondari o di accestimento, ciascuno dei quali può portare una spiga,
per cui da una singola pianta si possono originare più
spighe (Figura 12).
Il primo culmo di accestimento si origina in gene-
re dalla prima foglia in autunno, successivamente
l’accestimento procede piuttosto lentamente du-
rante l’inverno per poi riprendere all’innalzarsi delle
temperature.
Ogni culmo di accestimento produce apparato ra-
dicale avventizio.
Figura 11 – Fase di germina- L’indice di accesti-
zione nel frumento
mento, rappresen-
tato dal numero di
culmi prodotti da una singola pianta, può
essere influenzato da fattori genetici, am-
bientali o dalla tecnica colturale adottata.  
Le diverse specie infatti evidenziano una
Figura 12 – Schema di accestimento
diversa attitudine ad accestire: l’avena e (a sinistra) e frumento in fase di inizio
l’orzo normalmente producono più culmi accestimento (a destra)

34
secondari rispetto a frumento tenero e duro. Diversa è inoltre la capacità di
accestimento delle varietà, per cui nell’ambito della stessa specie possono
presentarsi notevoli differenze. Inoltre tale attitudine risulta essere influenza-
ta dalla densità di semina, dall’epoca di semina e dalla fertilità del terreno:
più bassa è la densità di semina, più precoce è la semina, più elevata è la
fertilità e maggiore risulta l’accestimento. In presenza di fallanze, l’accesti-
mento consente di compensare condizioni di insufficiente fittezza delle pian-
te attraverso un maggior numero di culmi secondari. Un forte accestimento
presenta però caratteri sfavorevoli per l’eccessiva disformità delle spighe, le
quali presentano dimensioni ed epoca di maturazione differenti. La fase di
accestimento termina quando l’apice non differenzia più foglie, ma dà origine
agli abbozzi delle future spighette, segnando il passaggio dalla fase vegeta-
tiva a quella riproduttiva, chiamata viraggio.
Durante il viraggio l’apice del fusto è ancora vicino al suolo (nel frumento si parla di
“stadio di spiga a 1 cm”); se le condizioni nutrizionali e ambientali sono ottimali si
ottengono spighe ricche di fiori e quindi potenzialmente con un numero elevato di
cariossidi.
In certe varietà il viraggio avviene solamente se le piante sono state sottoposte
a uno stimolo termico dovuto a basse temperature (vernalizzazione); queste va-
rietà devono essere obbligatoriamente seminate in autunno e sono dette varietà
autunnali o non alternative.
Al contrario, le varietà che non hanno bisogno della vernalizzazione vengono
definite primaverili o alternative perché, per queste, è possibile sia la semina
primaverile sia quella autunnale (vedi Esigenze termiche).

Figura 13 – Frumento duro: botticella (sinistra) e spigatura (destra)

35
Figura 14 – Campo di avena (sinistra) ed orzo (a destra) in fase di spigatura

Levata e spigatura
Con l’innalzarsi della temperatura si assiste all’allungamento rapido degli inter-
nodi, fase definita di levata. Gli internodi raggiungono lunghezze via via cre-
scenti dalla base all’apice, portando verso l’alto la spiga.
Quando la spiga arriva all’altezza dell’ultima foglia (foglia a bandiera), vi rimane av-
volta evidenziando un ingrossamento; tale stadio è definito di botticella (Figura 13).
La spigatura avviene con l’evidenziarsi della spiga, spinta fuori dall’allungamen-
to dell’ultimo internodo (Figura 13-14).

Fioritura ed impollinazione
Qualche giorno dopo la spigatura, nei
fiori della spiga avviene l’impollinazione,
cioè le antere rilasciano il polline in esse
contenuto. A impollinazione avvenuta, gli
stami fuoriescono all’esterno e la pianta
fiorisce (Figura 15). All’impollinazione se-
gue poi la fecondazione.

Crescita e maturazione della cariosside


Dopo la fecondazione si forma l’embrio-
ne che darà origine alla cariosside. La
formazione delle cariossidi prevede una
prima fase in cui si ha un aumento di
Figura 15 – Spighe di frumento in fase di fio- dimensioni con l’accumulo di sostanze
ritura: gli stami fuoriescono dalle glumette. di riserva a cui segue la fase di matura-

36
zione, con perdita progressiva
di umidità fino a valori del 12-
14%, fase in cui si procede alla
raccolta.
La fase di formazione e matura-
zione della cariosside (Figura 16)
si può suddividere nelle seguenti
sottofasi:
- maturazione lattea: le cariossi-
di raggiungono il massimo volu-
me e peso, sono di colore verde
e ripiene di un liquido lattiginoso
costituito da amido e proteine
(65-70% umidità); l’embrione è
completamente sviluppato (ma-
turazione fisiologica).
- maturazione cerosa: la carios-
side perde il colore verde, la
consistenza è cerosa (umidità
30%), le foglie sono secche, re-
stano verdi i nodi;
- maturazione piena o di rac-
colta: la cariosside raggiunge
un contenuto del 12-14% di
Figura 16 - Fasi di maturazione lattea (frumento tenero) umidità, condizione ideale per
e cerosa (frumento duro)
la conservazione senza essic-
camento.
Nelle condizioni climatiche del-
l’Italia meridionale è il momento
ottimale per la raccolta.

 
Figura 17 – Spighe di frumento tenero (a sinistra) e duro
(a destra) in fase di maturazione piena o di raccolta

37
2.4 Esigenze ambientali

Esigenze termiche
I cereali a paglia, come già sottolineato, sono rappresentati da specie microter-
me, e ben si adattano, nei climi mediterranei, a compiere parte del proprio ciclo
durante la stagione fredda.
Nel frumento (Tabella 3) la resistenza alle basse temperature è una caratteristi-
ca che dipende dalla varietà e dallo stadio vegetativo in cui si trova la pianta. La
sensibilità al gelo è infatti elevata nelle fasi di germinazione ed emergenza, in cui
temperature di pochi gradi sotto lo zero possono provocare danni considerevoli.
Nelle fasi successive tra l’emergenza e la 4a foglia aumenta la resistenza al fred-
do, che raggiunge il massimo in pieno accestimento; in questo stadio, gran parte
delle varietà resistono senza gravi danni fino a 8 – 10 gradi sotto lo zero, anche
se raggiunte in breve tempo; se invece la temperatura scende gradualmente
sotto lo zero, la pianta subisce un processo di adattamento (indurimento) che le
permette di resistere fino a -15, -20 °C.

Tabella 3- Esigenze termiche del frumento

Fasi Temperature ottimali

Germinazione e accestimento 2-5 °C

Vernalizzazione 0 °C

Levata 10 °C

Fioritura 15 °C

Maturazione 18-20 °C

La resistenza al freddo diminuisce drasticamente dall’inizio della levata e suc-


cessivamente in spigatura e fioritura.
L’orzo è meno resistente al freddo rispetto al frumento; la temperatura adatta
per l’accrescimento si aggira intorno ai 15 °C, mentre l’optimum per la fioritura
è di 17-18 °C. Eventuali gelate tardive possono danneggiare severamente le
piante allo stadio di botticella-fioritura. Anche l’avena mostra minore resistenza
alle basse temperature rispetto ai frumenti, tuttavia negli ambienti a clima medi-
terraneo, come il Sud Italia, si adatta bene ad una semina autunnale.

38
L’esposizione dei cereali vernini alle basse temperature (3 – 10°C), è importante
per l’espletamento della “vernalizzazione” che consente il passaggio dallo sta-
dio vegetativo a quello riproduttivo (viraggio), ed è quindi indispensabile per la
produzione.
A tal riguardo le varietà di frumento, orzo e avena vanno distinte in:
- invernali o non alternative: necessitano di vernalizzazione;
- primaverili: non necessitano di vernalizzazione, lo sviluppo procede in funzione
delle temperature;
- alternative: si ha la differenziazione riproduttiva anche in assenza di vernaliz-
zazione, ma le basse temperature rendono più rapida la differenziazione ripro-
duttiva.
Nei riguardi delle alte temperature, invece, l’orzo è la specie che si adatta meglio,
poiché tollera temperature fino a 38°C, anche in condizioni di limitate disponibi-
lità idriche. L’avena non tollera bene le alte temperature, così come il frumento
che, in condizioni di stress termici ed idrici in fase di maturazione, può subire
perdite di produzione; difatti se il processo di maturazione viene accelerato da
fattori climatici avversi (es. venti caldi) che causano il rapido essiccamento e la
brusca interruzione della fase di riempimento della cariosside, questa risulterà
striminzita; è il cosiddetto fenomeno della “stretta”.

Esigenze idriche
I cereali vernini, negli ambienti a clima mediterraneo, non necessitano in genere
di apporti irrigui, poiché beneficiano delle piogge del periodo autunno–primave-
rile.
Ad esempio per il frumento si stima un consumo idrico, per una coltura che pro-
duce 10 t ha-1 di biomassa totale, pari a circa 400-500 mm di acqua, valori molto
prossimi alla piovosità autunno-primaverile degli areali meridionali.
La variabilità nella quantità e distribuzione delle precipitazioni nelle diverse
annate può comunque condizionare fortemente i risultati produttivi. Eccessi di
piovosità nel periodo invernale sono dannosi poiché determinano asfissia del
terreno e condizioni favorevoli allo sviluppo di malattie fungine. Nella fase finale
del ciclo, piogge battenti unite a vento forte possono determinare fenomeni di
allettamento, specie in varietà di frumento a taglia elevata e nell’avena. In fase di
pre-raccolta piovosità elevate possono determinare scadimento qualitativo delle
cariossidi che nei frumenti duri può risultare slavata o bianconata. In casi estremi
possono verificarsi fenomeni di pre-germinazione.
Carenze idriche invece determinano riduzione di produzione a causa dell’incom-
pleto riempimento della cariosside. Le fasi critiche per la disponibilità idrica sono
l’impollinazione, la fecondazione e il riempimento della cariosside. Nelle fasi di
impollinazione, fioritura e fecondazione, stress idrici causano riduzione di fertilità

39
della spiga, con conseguente minore numero di cariossidi per spiga. Nella fase
finale del ciclo, invece, condizioni di carenze idriche ed elevate temperature, de-
terminano una brusca interruzione del trasferimento di sostanze nelle cariossidi,
che risultano come detto striminzite (“stretta”).
Tra i cereali vernini l’orzo è la specie più resistente alla siccità, per cui in tali
condizioni supera in produttività l’avena e i frumenti; inoltre la precocità dell’or-
zo, che ha un ciclo più breve rispetto alle altre due specie, consente un anticipo
nella maturazione sfuggendo alle condizioni caldo-aride tipiche degli areali me-
ridionali.
Esigenze pedologiche
I cereali vernini si adattano ad un’ampia gamma di condizioni pedologiche, ma
forniscono i risultati migliori in terreni tendenzialmente argillosi, ben drenati e
ben dotati di sostanza organica. I terreni troppo sciolti, sabbiosi non sono ideali
a causa della bassa capacità di trattenuta idrica. Alcune differenze tra le specie
si rilevano in relazione all’adattamento a condizioni particolari di terreno, come
il pH o la salinità. A tal proposito vi è da rilevare la maggiore adattabilità a terre-
ni con pH acido o sub-alcalino dell’avena, mentre frumento e orzo prediligono
terreni con pH intorno alla neutralità; le specie mostrano in generale una buona
tolleranza alla salinità, in particolare l’orzo produce normalmente fino a valori di
ECe (conducibilità elettrolitica dell’estratto saturo) di 8-10 dS m-1.

40
BIBLIOGRAFIA

AA.VV., 2007. Il grano. Collana coordinata da R. Angelini. Bayer CropScience,


Milano.
BALDONI R., GIARDINI L., 2000. Coltivazioni erbacee. Cereali e proteaginose.
Pàtron Editore, Bologna.
BORGHI B., 1985. Il frumento. Reda edizioni, Roma.
AA.VV., 1995. Le tecniche di coltivazione delle principali colture agroindustriali.
A cura di Agronomica s.r.l.

41
42
3- TECNICA COLTURALE
Luigi Tedone
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali – Facoltà di Agraria
Università degli Studi di Bari

L’applicazione delle tecniche


di coltivazione più opportune
rappresenta una fase molto
importante, fra le scelte azien-
dali, al fine dell’ottenimento
della massima redditività della
coltura. In Figura 1 si riporta-
no le componenti da tenere in
considerazione nella tecnica
colturale del frumento
Figura 1 – Aspetti da considerare nella tecnica colturale dei
cereali
3.1 Avvicendamento
Nell’azienda agricola buona pratica agronomica è quella di non ripetere la stes-
sa coltura per più anni di seguito, al fine di evitare i fenomeni di “stanchezza”,
determinanti una più o meno sensibile diminuzione di produzione. Tale feno-
meno era già noto nell’antichità: “La terra si riposa producendo cose diverse” è
una massima dei georgici romani che già applicavano la pratica dell’alternanza
delle colture. La pratica di pianificare la successione delle colture, turnando pe-
riodicamente ed opportunamente il ritorno di una coltura, viene chiamato avvi-
cendamento. Attraverso tale pratica è possibile sfruttare le azioni positive che
l’alternanza delle colture esercitano sul terreno in cui sono coltivate (Figura 2),
valutabili in azioni fisiche (miglioramento della struttura del terreno), chimiche
(arricchimento in elementi nutritivi), biologiche (aumento di una flora microbica
favorevole, riduzione della carica infestante, riduzione dei parassiti).
Per avere una indicazione di massima che permetta una guida alla predisposi-
zione di un’avvicendamento, è opportuno suddividere le colture in:
- colture miglioratrici, che aumentano il livello di fertilità del suolo, tipo le legumi-
nose che attraverso l’azotofissazione lasciano il terreno arricchito di azoto (prati
ed erbai di leguminose, leguminose da sovescio, leguminose da granella);
- colture da “rinnovo”, che lasciano il terreno in migliori condizioni di fertilità per
le cure colturali praticate (lavorazioni profonde, sarchiature, etc) es. barbabieto-
la, colza, girasole, pomodoro, patata;
- colture depauperanti, che lasciano il terreno ad un livello di fertilità inferiore
rispetto all’inizio della coltura (cereali vernini in genere) .

43
E’ necessario rilevare che le defini-
zioni appena date non hanno valore
assoluto. Per esempio, un prato di
leguminose, coltura miglioratrice per
l’arricchimento in sostanze nutritive,
se si sussegue per più cicli di seguito
potrebbe anche diventare depaupe-
rante, a causa dell’eccessivo compat-
tamento del terreno, della comparsa
di infestanti specifiche, dell’insorgen-
za di problematiche fitopatologiche
che porterebbero alla riduzione della
Figura 2 – Influenze di diverse successioni col- produttività della coltura. Gli indub-
turali sulle rese di granella del frumento
bi vantaggi dell’avvicendamento si
(Policoro (MT))
scontrano frequentemente, special-
mente nell’Italia meridionale, con le
esigenze economiche dell’azienda, per la difficoltà di trovare colture alternative
al frumento di buona redditività nella categoria delle colture miglioratrici e da
rinnovo, che inducono in molti casi alla pratica del “ringrano”.
Gli avvicendamenti più diffusi sono quelli quadriennali (es. rinnovo-frumento-le-
guminosa-frumento) o triennali (rinnovo-frumento-frumento) (Figura 3).
Le attuali norme sulla condizionalità sconsigliano, oltre un determinato numero
di anni, la monosuccessione cerealicola, imponendo l’avvicendamento o la pra-
tica del maggese. L’avvicendamento, con la rotazione delle colture è una pratica
prevista anche nei disciplinari di produzione integrata e biologica.

Figura 3 – Esempi di rotazione quadriennale (sinistra) o triennale (destra)

3.2 Lavorazione del terreno


Le lavorazioni del terreno sono necessarie per una ottima preparazione del letto
di semina, premessa indispensabile per una perfetta emergenza delle plantule
ed il buon sviluppo della coltura.

44
Il tipo di lavorazione da eseguire deve tenere conto delle condizioni del terreno
dopo la raccolta della coltura precedente e, contemporaneamente, deve con-
siderare le esigenze della coltura che segue. Il risparmio energetico, abbinato
a considerazioni sull’effetto a lungo termine delle lavorazioni profonde, stanno
determinando la diffusione di tecniche finalizzate alla riduzione delle lavorazioni
e la semina diretta, con conseguenti risparmi economici. Da ricordare, inoltre,
che non tutti i cereali hanno uguali esigenze per quanto riguarda la preparazione
del terreno. Per esempio, l’avena si adatta
bene a terreni preparati in maniera molto
grossolana.
Per i cereali, le possibili soluzioni applicabili
sono da ricondurre, quindi, a tre modelli:
1. Lavorazione principale a 25-30 cm (Figu-
ra 4) di profondità durante il periodo estivo
seguita da lavori complementari di frangizol-
latura ed erpicatura all’inizio dell’autunno.
Tali interventi permettono la perfetta siste-
mazione del terreno che risulta ben livellato Figura 4 - Lavorazione principale
con aratro a vomere
e non zolloso. E’ la tecnica classica utilizzata
su terreni mal strutturati e molto compatti.
2. Minima lavorazione: viene eseguita a
10-15 cm di profondità utilizzando erpici a
dischi (Figura 5), estirpatori, erpici e frese
rotative.
Generalmente, è sufficiente un secondo
passaggio con un erpice per la preparazio-
ne di un idoneo letto di semina.
3. Semina diretta: si attua con macchine se-
minatrici appositamente predisposte (Figura Figura 5 - Lavorazione minima
6), su terreni non compattati o danneggiati. con aratro a dischi
Richiedono l’accortezza di un terreno libero
da residui colturali, per evitare problemi di in-
golfamento. Nel caso fossero presenti erbe
infestanti, può essere eseguito un trattamento
erbicida disseccante prima della semina.
Come regola generale è indispensabile che il
terreno venga preparato in maniera tale da otte-
nere un letto di semina ben livellato, non zolloso,
in cui la cariosside possa trovare le condizioni
ottimali per germinare. Figura 6 - Seminatrice per
semina su sodo

45
3.3 Semina
- Epoca di semina. La semina dei cereali autunno vernini in areale meridionale
è di solito consigliata durante il periodo compreso tra la seconda metà di novem-
bre e la prima di dicembre. Per quanto riguarda l’avena è possibile anticipare la
semina ad ottobre, utilizzando varietà autunnali. Un forte anticipo dell’epoca di
semina, soprattutto se si utilizzano varietà alternative o troppo precoci, potrebbe
determinare un anticipo della levata durante l’inverno, specialmente se questo
risulta essere piuttosto mite. Altresì sfavorevole risulta l’eccessivo ritardo, con
marcata riduzione della produttività.
L’epoca di semina va anche variata in base alle caratteristiche di precocità delle
varietà. E’ importante che all’arrivo dei freddi la pianta sia allo stadio di 3a-4a
foglia; in questo stadio infatti la resistenza al freddo è massima.
Quando per l’andamento climatico non fosse possibile la semina autunnale, si
può effettuare la semina a fine inverno (febbraio), utilizzando varietà alternative
e aumentando opportunamente le dosi di semina in quanto l’indice di accesti-
mento è minore.
Modalità e densità di semina. La semina viene eseguita con seminatrici uni-
versali a file distanti 14-20 cm e con una deposizione del seme a una profondità
omogenea di 3-4 cm.
La densità di semina ottimale è influenzata da molti fattori tra i quali citiamo:
- il tipo di terreno: con terreni compatti è consigliabile aumentare la densità di
semina del 10%;
- condizioni pedoclimatiche: nelle zone aride e in terreni più poveri, le densità
consigliate possono essere inferiori;
- epoca di semina: le semine effettuate in epoca ottimale consentono una ridu-
zione della dose di seme mentre, superato il periodo ottimale, è utile aumentare
la dose del 5% per ogni settimana di ritardo.
La densità di semina viene espressa come numero di piante/m2 e poi convertita
in kg/ha, tenendo conto del peso di 1.000 semi della varietà e della loro germina-
bilità. In generale, il quantitativo da utilizzare si aggira intorno a 400-500 semi
germinabili/m2 per il frumento tenero, 400 semi germinabili/m2 per il frumento
duro, 300 semi germinabili per l’orzo e l’avena, specie con maggiore capacità
di accestimento.
Dose di seme: è possibile calcolare la quantità di seme con la formula di seguito
riportata:

(Peso dei 1000 semi (g) x n° semi germinabili per m2)


Kg/ha =
Germinabilità (%)

46
ESEMPIO DI CALCOLO

Peso 1000 semi: 52 g 52 X 400
kg/ha= = 217
2
Numero di semi germinabili per m : 400 96
germinabilità: 96%

 
Tenendo conto del peso di 1.000 semi delle differenti varietà e delle diverse va-
riabili che si riscontrano alla semina, le dosi più frequenti sono di 160-240 kg/ha
per il frumento (le più basse per il tenero, le più alte per il duro), 130-150 kg/ha
per l’orzo, 150-200 kg/ha nell’avena.

3.4 Scelta varietale


E’ un fattore determinante per la buo-
na riuscita della coltura.
Il contributo della ricerca genetica
in tale campo è stato importante nel
selezionare varietà più produttive ed
adattabili all’innovazione delle tecni-
che colturali, permettendo il forte au-
mento nella produttività. Inoltre è stato
possibile avere un ampio panorama Figura 7 - Da sinistra: cartellino del
di varietà in base alla destinazione produttore, cartellini di seme certi-
d’uso, aspetto molto importante per il ficato di I e II riproduzione

settore molitorio. Pur essendo pianta


autogama, l’utilizzo di seme prodotto in azienda appare una soluzione da limita-
re a un solo anno. La buona semente deve avere un’elevata purezza (maggiore
del 98%), elevata germinabilità (minimo di legge 85%, meglio se 90-95%), deve
essere indenne da malattie fungine, esente da semi di erbe infestanti. Il seme
certificato dà maggiori garanzie in quanto possiede queste caratteristiche (Figu-
ra 7).
La scelta delle varietà va operata in funzione del clima, del terreno, della tecnica
colturale più o meno intensa che si vuole impiegare e della destinazione com-
merciale della granella.
L’agricoltore può disporre di informazioni inerenti alle numerose varietà in com-
mercio consultando le pubblicazioni periodiche che riportano i risultati delle
prove condotte nelle diverse regioni italiane (vedi schede allegate). E’ possibile
stabilire la varietà già prima della semina, con contratti stipulati con le industrie
di trasformazione.

47
3.5 Concimazione
La concimazione è fondamentale per il
conseguimento di buone produzioni anche
in relazione alla disponibilità di varietà ge-
neticamente migliorate più produttive.
La quantità di elementi nutritivi necessa-
ri per la coltura è strettamente correlata
alla fertilità potenziale dell’ambiente ed
alle caratteristiche varietali. Gli elementi
nutritivi fondamentali alla vita della pianta
Figura 8 - Campo sperimentale rete naziona-
si distinguono in:
le frumento duro
- macroelementi quali azoto, fosforo, po-
tassio, calcio, magnesio, zolfo spesso non presenti in quantità sufficienti nel
terreno, per cui è necessario il loro apporto con i fertilizzanti;
- microelementi quali boro, manganese, molibdeno, zinco, etc. da apportare in
caso di gravi carenze.
In genere per il frumento, gli elementi da tenere in considerazione sono l’Azoto,
il Fosforo e il Potassio, mentre la somministrazione degli altri elementi è prevista
solo in casi di eccezionalità.
Concimazione fosfatica e potassica
Per questi elementi, sarebbe consigliabile avere delle analisi del terreno, consi-
derando che la loro disponibilità è influenzata da diverse variabili pedoclimatiche
(Tabella1). Infatti, in terreni con buona dotazione, la sperimentazione non ha
evidenziato effetti di particolare rilievo in caso di una ulteriore somministrazione
di concimi a base fosfatica o potassica. Pur tuttavia, almeno per il fosforo, non è
da trascurare l’apporto di dosi intorno a 70-100 kg ha-1 di P205, soprattutto sulle
nuove varietà più produttive di frumento (Figura9). Per entrambi i fertilizzanti,
l’epoca di distribuzione consigliabile è al momento della semina.

Tabella1 - Dotazioni normali orientative di fosforo e potassio dei terreni

P (ppm) (metodo  K (ppm) (metodo 
Tipo di                        
terreno Olsen) BaCl2)
Sabbioso 18-25 85-120
Medio impasto 23-28 100-149
Argilloso 30-39 120-179
Fonte: disciplinari di produzione integrata Emilia Romagna 
Fonte: disciplinari di produzione integrata Emilia Romagna

48
Concimazione azotata
I più cospicui contributi della sperimen-
tazione agronomica sul frumento hanno
riguardato la concimazione e in modo
particolare quella azotata, la cui azione è
rivolta non solo a favorire l’aumento delle
rese, ma anche a migliorare le caratteri-
stiche qualitative delle cariossidi. L’azoto
favorisce l’accestimento, un maggior ri-
Figura 9– Effetti della carenza di fosforo
goglio vegetativo, l’aumento del numero
delle spighe per pianta e del numero di spighette per spiga, il peso delle carios-
sidi ed il relativo contenuto proteico, ma allo stesso tempo può favorire l’allet-
tamento, in particolar modo nelle varietà a taglia alta, e la stretta nelle annate
siccitose. Pertanto, le risposte a dosi crescenti di fertilizzanti azotati sull’entità
delle rese sono molto differenti a causa della sensibile influenza delle condizioni
pedoclimatiche e per effetto della precessione colturale.
Un andamento climatico ottimale nella fase di riempimento delle cariossidi può
favorire sia l’accumulo di sostanze amidacee che di proteine, per cui la disponi-
bilità di azoto nel terreno in questo periodo è fondamentale per il miglioramento
qualitativo della granella. Nelle condizioni in cui si tende a ridurre le dosi di ferti-
lizzante azotato, come negli ambienti caldo-aridi meridionali, può verificarsi una
carenza di azoto nella fase di maturazione della coltura, per cui tutto l’azoto della
granella deriva dalla mobilitazione di quello presente nelle foglie; se queste van-
no incontro ad un rapido processo di senescenza, ne deriva un basso contenuto
di azoto nella granella e di conseguenza, la presenza di granella bianconata.
Pertanto, in situazioni di stress idrico, anche l’accumulo di amido è influenzato
negativamente, si verifica il fenomeno della “stretta”, con la presenza di carios-
sidi striminizite, che pur presentando un buon contenuto in proteine, presentano
altresi valori aleatori di peso ettolitrico. Vanno inoltre evitati eccessi di apporto
azotato, dannosi sia all’ambiente, per il facile dilavamento, sia per la pianta che
risulta più suscettibile a fenomeni di allettamento e alle malattie.
L’azoto determina l’accumulo di proteine nella granella, componente molto impor-
tante sia per il frumento tenero, influenzante positivamente le proprietà reologiche
della farina, sia per il frumento duro, per l’attitudine alla pastificazione. Discorso a
parte va fatto per l’orzo, ove le proteine, utili in caso di destinazione alimentare della
granella, determinano invece problemi per la produzione di malto; in tal caso, la
dose di concime azotato va moderata.
E’ evidente, quindi, la complessità della fisiologia della nutrizione azotata e la sensi-
bile interazione con le condizioni ambientali e con le caratteristiche varietali.

49
  FABBISOGNO FRUMENTO - DOTAZIONE DEL TERRENO  =
UNITA' DI AZOTO DA 
APPORTARE :
 asportazioni  di  rimanenza coltura 
0-60
resa prevista (t/ha) x N (kg): precedente
mineralizzazione 
20-40
35 F.duro sostanza organica
eventuali rotture di 
20-40
30 F.tenero prati precedenti
eventuali apporti di 
20 Orzo letame precedenti

Esempio: frumento duro con 
produzione di 4 t/ha, senza  140 kg - 30 = 110 kg/ha di azoto
letamazione e in rotazione con un 
erbaio misto

Figura 10– Esempio di calcolo delle unità di azoto da apportare


La buona programmazione della distribuzione di concimi azotati richiede la co-
noscenza del ritmo di assorbimento dell’azoto nella pianta, al fine di mettere
a disposizione della coltura tale elemento nei momenti critici della crescita, al
fine del consegumento della massima produttività e del più elevato contenuto in
granella (Figura 12).
In genere è consigliabile distribuire
la quasi totalità dell’azoto neces-
sario durante il periodo compreso
tra l’accestimento e la levata della
coltura, fase di massima richiesta
di azoto. Nei nostri areali non è
opportuno intervenire con la con-
cimazione troppo in ritardo, per
l’elevato rischio di stress idrico in
corrispondenza della tarda prima-
vera.
In commercio sono presenti diver-
Figura 11– Fenomeni di carenza di azoto per cattiva
si gruppi di concimi azotati: distribuzione del concime (Fonte: Porfiri)
- Ammoniacali: ad azione legger-
mente più rallentata, da usare alla semina o durante le prime fasi di crescita (es.
solfato ammonico, fosfato biammonico).
- Nitrici: sono concimi prontamente utilizzabili, per cui da utilizzare durante le fasi
di massimo assorbimento della pianta.
- Nitrico-ammoniacali: hanno la caratteristica di presentare entrambe le moleco-
le, con effetto intermedio.
- A lento effetto o ritardanti: rilasciano l’azoto molto lentamente per la presenza
di sistemi di protezione o di ritardo, per cui sono consigliabili negli areali a forte
è il rischio di lisciviazione oppure se si vuole intervenire con tutto l’azoto in un
solo intervento.

50
1a Foglia 2a-3a Foglia Accestimento Levata Botticella Spigatura

Figura 12 – Programmazione degli apporti di azoto nel frumento in base alle esigenze colturali

- Urea: concime organico di sintesi, avente azione mediamente rapida.


Il loro differente impiego è naturalmente legato all’epoca di distribuzione, all’or-
ganizzazione aziendale e soprattutto al costo dell’unità fertilizzante. In generale
il concime a costo più basso è l’urea agricola, seguita dal nitrato ammonico.
Ultimamente si stanno diffondendo strumenti che, con la lettura fogliare, sono in
grado di dare indicazioni sullo stato nutrizionale azotato della pianta. Alcuni di
questi si basano sulla misura della clorofilla (N-tester, SPAD) (Figura 13), che è
un indice della disponibilità di azoto e possono essere utilizzati dalla levata in poi
per decidere e modulare il quantitativo di azoto da apportare.
Altri si basano su sensori montati sul-
la trattrice (N sensor) (Figura 14), in
grado di fornire, attraverso opportu-
ne misurazioni della luce riflessa dal-
la coltura, informazioni sul suo stato
nutrizionale e quindi contemporanea-
mente modulare la distribuzione del
concime.

Figura 13 - Utilizzo dello SPAD per rilevare lo


stato nutrizionale delle piante

51
Figura 14 - Sistema N sensor montato su trattrice per ottimizzare la distribuzione dell’Azoto

Tabella 2 – Concimazione consigliata per i cereali


ELEMENTO SPECIE SEMINA ACCESTIMENTO LEVATA

FRUMENTO 0-30 50-70 20-30

AVENA 20-30 40-50


AZOTO (N)
ORZO - 70-90

FRUMENTO 0-70* - -
FOSFORO
AVENA 0-70* - -
(P2O5)
ORZO 0-70* - -

FRUMENTO 0** - -
POTASSIO
AVENA 0** - -
(K2O)
ORZO 0** - -
* Dose massima nei terreni carenti
** In caso di specifiche carenze intervenire con 60 Kg/ha

52
3.5 Irrigazione
Il frumento normalmente è una coltura in asciutto che si avvale delle piogge
frequenti nel periodo autunno-primaverile. Una buona piovosità durante il ciclo
colturale, è stimata intorno ai 400-500 mm, purchè ben distribuiti nei mesi, spe-
cialmente nelle fasi di levata-allegagione e di inizio di maturazione. Nei climi
caldo-aridi gli interventi irrigui possono essere utili, come anche nelle annate
anomale e siccitose sono opportune irrigazioni di “soccorso”, ovviamente dove
l’acqua è disponibile e il suo utilizzo trova una giustificazione economica.

53
BIBLIOGRAFIA

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Milano.
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GRIMALDI A., BONCIARELLI F., LORENZETTI F. 1983. Coltivazioni Erbacee.
Edagricole

54
4- IL CONTROLLO DELLA FLORA INFESTANTE
NEI CEREALI
Mariano Fracchiolla
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali
Università degli Studi di Bari

4.1 La flora infestante dei cereali


La flora infestante presente nelle colture cerealicole italiane è composta da circa
200 specie. Tra queste, in Puglia si registrano circa 70 specie, di cui si riportano
le più diffuse nella tab 1.
Dal punto di vista agronomico, le infestanti sono di solito divise in due grup-
pi: graminacee e dicotiledoni. Le graminacee, appartenenti alla stessa famiglia
del frumento, orzo, avena ecc., sono comunemente chiamate “malerbe a foglia
stretta”. Il gruppo delle dicotiledoni, invece, è composto da numerose famiglie
botaniche e tutte le specie che vi appartengono sono comunemente chiamate
“malerbe a foglia larga”.
Tra le specie “a foglia stretta”, quelle che in Puglia rivestono maggiore im-
portanza sono l’Avena sterilis (avena maggiore o rossa), il Lolium multiflo-
rum (loietto), il L. perenne (loglio comune), l’Alopecurus myosuroides (coda
di volpe), la Phalaris paradoxa (scagliola sterile), la P. brachystachys (sca-
gliola cangiante) e la P. minor (scagliola minore). In alcuni areali, sia pur
ancora confinati, si comincia inoltre a registrare una presenza crescente del
forasacco(Bromus spp.).
Le specie “a foglia larga”, o dicotiledoni, sono invece assai più numerose, ben-
ché le infestazioni più importanti e massicce siano rappresentate da Papaver
rhoeas (rosolaccio), Veronica spp. (veronica), Galium aparine (caglio o attac-
caveste), Polygonum aviculare (poligono degli uccellini), Fumaria officinalis
(fumaria), Stellaria media (mordigallina), Sinapis arvensis (senape selvatica) e
Cirsium arvense (stoppione).
Tale elencazione senza dubbio non copre l’elevato numero di specie che può
infestare i campi di cereali in Puglia come nel resto dell’Italia. La comunità flori-
stica presente nei vari areali è assai variabile in base a fattori climatici e pedo-
logici e soprattutto in dipendenza delle tecniche colturali adottate (rotazioni, tipo
di aratura, diserbo, specie coltivata, ecc.). Queste ultime possono determinare,
anche a parità di condizioni ambientali, un cambiamento della flora nel tempo.
Un esempio di questo fenomeno sono gli incrementi di infestazione di Anthemis
arvensis (camomilla bastarda), Calendula arvensis (fiorancio), Scandix pecten
veneris (pettine di Venere) e Viola arvensis (viola), conseguenti all’utilizzo ripe-
tuto di erbicidi scarsamente attivi verso queste malerbe.

55
Tabella 1: Specie infestanti più diffuse nei cereali
Famiglia Specie Nome comune
Caryophyllaceae Stellaria media (L.) Vill. centocchio comune
Compositae Anthemis arvensis L. camomilla bastarda
Compositae Cirsium arvense (L.) Scop. stoppione
Compositae Lactuca spp. L. lattuga selvatica
Compositae Matricaria chamomilla L. camomilla comune
Compositae Senecio vulgaris L. senecione comune
Compositae Sonchus spp. grespino spinoso
Compositae Silybum marianum Adans cardo mariano
Convolvulaceae Convolvulus arvensis L. vilucchio comune
Cruciferae Cardaria draba (L.) Desv. cocola
Cruciferae Raphanus raphanistrum L. ravanello selvatico
Cruciferae Sinapis arvensis L. senape selvatica
Graminaceae Alopecurus myosuroides Hudson coda di volpe
Graminaceae Avena sterilis L. avena selvatica
Graminaceae Lolium spp. L. loglio
Graminaceae Phalaris spp. L. scagliola
Labiatae Lamium amplexicaule L. erba ruota
Leguminosae Medicago spp. erba medica lupulina
Leguminosae Trifolium spp. L. trifoglio
Leguminosae Vicia sativa L. veccia comune
Liliaceae Gagea pratensis (Pers.) Dum. cipollaccio dei prati
Liliaceae Leopoldia comosa (L.) Parl. lampagione
Papaveraceae Fumaria officinalis L. fumaria comune
Papaveraceae Papaver rhoeas L. papavero comune
Polygonaceae Fallopia convolvulus (L.) Holub poligono convolvolo
Polygonaceae Polygonum aviculare L. correggiola
Ranunculaceae Ranunculus ficaria L. ranuncolo favagello
Rubiaceae Galium aparine L. caglio-attaccaveste
Scrophulariaceae Veronica spp. veronica
Umbelliferae Bifora radians Bieb. coriandolo puzzolente
Umbelliferae Daucus carota L. carota selvatica
Violaceae Viola arvensis Murray viola dei campi

Un altro esempio è rappresentato da Eryngium campestre (eringio), Ferula com-


munis (ferula), Ranunculus ficaria (ranuncolo) e Silybum marianum (cardo della
Madonna). Tali specie stanno diventando sempre più presenti nei campi di cereali
in virtù di un mancato utilizzo di diserbanti specifici, della riduzione della profondità

56
delle lavorazioni, della pratica del ringrano e della messa a coltura di terreni ad alto
contenuto di scheletro.

4.2 Caratteristiche della flora infestante e rapporti di competizione con le colture


La competizione coltura-infestante si esercita soprattutto per l’acqua, le sostan-
ze minerali e la luce, fattori fondamentali per la crescita delle piante (Figura 1).
Tutte le infestanti sono in grado di utilizzare l’acqua presente nel terreno più veloce-
mente rispetto alla pianta coltivata anche perché posseggono radici più sviluppate.

Figura 1 - Principali caratteristiche che rendono le malerbe più competitive


rispetto alla pianta coltivata
Per esempio, lo sviluppo dell’apparato radicale di un’avena selvatica può arri-
vare fino a 400 m, mentre quello del frumento non raggiunge neanche la metà.
Le malerbe hanno anche una maggiore efficienza di utilizzo dell’acqua; quindi,
persino a parità di consumo di acqua rispetto alla coltura, esse sono in grado di
produrre molta più biomassa e quindi di crescere più vigorose. Questo è uno dei
motivi per i quali, in situazioni di siccità, la competizione con le infestanti provoca
più danni alla coltura.
La competizione per le sostanze nutritive riguarda soprattutto l’azoto. Per questo
elemento vale quanto detto per l’acqua e cioè che le infestanti sono in grado di
utilizzarlo in quantità maggiori e più efficientemente. In virtù di tale fenomeno,
concimazioni azotate non accompagnate da un efficace controllo delle malerbe,
possono addirittura deprimere la produzione di cereali, dal momento che vanno
ad avvantaggiare molto di più le infestanti che la coltura.
Infine, occorre evidenziare che la competizione per l’acqua e per l’azoto sono
intimamente correlate fra loro: più bassa è la disponibilità di acqua, maggiore è
la competizione che le infestanti esercitano per l’azoto.
Un altro effetto competitivo si ha nei riguardi della luce. Infestanti che riescono

57
ad accrescersi molto più velocemente della coltura, tenderanno ad ombreggiarla
e quindi a deprimere la sua attività fotosintetica.
In aggiunta ai fenomeni di competizione sopra descritti, possono registrarsi ef-
fetti negativi sulla coltura dovuti all’emissione di sostanze tossiche per il cereale
(sostanze allelopatiche).

4.3 Danni causati dalla flora infestante


I fenomeni competitivi descritti nel paragrafo precedente sono i maggiori respon-
sabili di cali di produzione. Nel frumento, una delle colture più studiate, si stima
che il mancato controllo delle infestanti può determinare una perdita che può
arrivare fino al 60% della resa potenziale. Oltre ai danni quantitativi, sono da
considerare quelli qualitativi e che riguardano le caratteristiche della granella e il
conseguente peggioramento delle attitudini merceologiche.
Infine, spesso si riscontrano inconvenienti non trascurabili riguardanti l’inquina-
mento della semente e il rallentamento delle operazioni di mietitura.
L’entità dei danni riscontrabili è ovviamente variabile in base al livello di infestazione
oltre che alle specie presenti. In linea del tutto generale e in base alla letteratura
presente sull’argomento, le infestanti più dannose per i cereali sono, in ordine decre-
scente, l’avena selvatica (Avena sterilis), i logli (Lolium spp.), le scagliole (Phalaris
spp.), seguite da infestanti dicotiledoni quali la senape selvatica (Sinapis arvensis),
il Galium aparine (caglio) o il papavero (Papaver rhoeas). Tuttavia, l’estrema varietà
di situazioni non permette di fornire indicazioni generalizzabili a tutte le annate e a
tutti i campi. Rimane tuttavia valida l’indicazione che il danno causato dalle malerbe
è tanto più alto quanto maggiore è il grado di infestazione e quanto più lungo è il
periodo nel quale queste rimangono nella coltura.
Tale danno è inoltre aggravato qualora, a parità di intensità, l’infestazione sia
composta solo da poche specie predominanti (es. forte infestazione di avena
selvatica), piuttosto che da una comunità floristica nella quale nessuna specie
è prevalente rispetto alle altre (es. presenza bilanciata di graminacee e dicoti-
ledoni).

4.4 Il periodo critico della competizione


Il concetto di periodo critico della competizione è utile ai fini di razionalizzare
gli interventi di diserbo. In generale, qualunque coltura presenta un periodo del
ciclo produttivo nel quale essa è particolarmente sensibile alla presenza delle
infestanti. Per esempio, il frumento e l’orzo tollerano bene la presenza di infe-
stanti nelle prime fasi del ciclo di crescita, mentre subiscono danni consistenti
nella fase di levata.
Per individuare il periodo critico, vanno considerati due parametri: la Durata della
Competizione Tollerata (DCT) e il Periodo di Richiesta di Assenza delle Malerbe

58
(PRAM).
La DCT viene definita come
“il periodo massimo di per-
manenza delle infestanti
perché si abbiamo danni
produttivi inferiori ad una so-
glia critica fissata a priori”. Il
PRAM viene definito come
“il periodo minimo di tempo,
a partire dall’emergenza,
durante il quale la coltura
deve rimanere priva di ma-
lerbe affinché subisca danni
Figura 2: Definizione del periodo critico della competizio- produttivi inferiori alla stessa
ne per il frumento duro soglia limite”.
Da questi due parametri si
può calcolare il periodo critico (PC), il quale è sempre compreso tra la fine della
DCT e quella del PRAM. Per meglio comprendere i concetti, si guardi la figura
2 la quale illustra l’andamento della DCT e del PRAM nel caso del frumento. Si
evince come, per questa coltura, il PC si colloca tra la fine dell’accestimento e il
primo nodo. E’ sufficiente lasciare la coltura libera da malerbe in questo periodo
per avere perdite produttive tollerabili.
Anche in questo caso, pur salvando la validità dei concetti, è difficile dare delle
leggi generalizzabili a tutte le situazioni pedoclimatiche, alle varietà, alle specie
e alle singole situazioni aziendali. Pur facendo riferimento alla regola di interve-
nire al momento opportuno, all’agricoltore e al tecnico è comunque affidata la
razionale valutazione del caso specifico.

4.5 Gestione agronomica della flora infestante


Tutti gli interventi agronomici sono in grado di influenzare lo sviluppo della flora
infestante. Pertanto, non è possibile prescindere dalla corretta esecuzione delle
operazioni colturali al fine di ridurre la presenza di malerbe e per aumentare l’ef-
ficacia degli interventi di controllo diretti che verranno illustrati in seguito.
Lavorazioni del terreno: Gli effetti delle lavorazioni sullo sviluppo delle malerbe
dipendono essenzialmente dalla profondità, dal tipo di attrezzo utilizzato e dal-
l’epoca nella quale queste vengono effettuate.
La riduzione della profondità di lavorazione avvantaggia lo sviluppo delle ma-
lerbe i cui i semi verrebbero invece devitalizzati dall’interramento. In partico-
lare sono favorite le infestanti graminacee quali la coda di volpe, il loglio, le
scagliole. Pertanto, sarebbe buona norma prevedere arature profonde ogni

59
qualvolta, nella stagione precedente, ci sia stata una forte infestazione di
queste specie.
In caso di infestazione composta da specie perenni, l’aratura estiva è in grado
di portare in superficie gli organi riproduttivi vegetativi (bulbi e rizomi) e quindi di
facilitare la loro devitalizzazione.
Inoltre, soprattutto quando non è previsto l’intervento chimico, sarebbe buona nor-
ma effettuare la “falsa semina”.
Consiste nel preparare il terreno mettendo in condizioni le erbe infestanti di germi-
nare, allorché le pioggie autunnali sopraggiungono. La successiva lavorazione di
affinamento consente l’eliminazione di una buona parte della carica infestante prima
di seminare.
Avvicendamento colturale: L’avvicendamento colturale è una delle pratiche
agronomiche più efficaci per prevenire problemi malerbologici particolarmente
gravi. Le colture di cereali posizionate in una corretta rotazione presentano una
flora infestante equilibrata, cioè composta da un numero di specie elevato, ma
ciascuna composta da pochi individui. Il controllo di questo tipo di infestazioni,
oltre ad essere più agevole, è anche meno costoso. La rotazione ideale è quel-
la nella quale il cereale è preceduto da una coltura primaverile-estiva (in aree
irrigue), da maggese, da foraggio o da una leguminosa. Trovandosi comunque
nella necessità di coltivare un cereale per più anni di seguito, si potrebbero se-
minare l’orzo o l’avena prima del frumento. Tali specie, infatti, hanno un potere
competitivo maggiore nei confronti delle malerbe e, quindi, lasciano il terreno
meno infestato.
Inoltre, non è da trascurare il ruolo che l’avvicendamento esercita nel prevenire l’in-
sorgenza di fisiopatie e nel favorire un buono sviluppo vegeto-produttivo della coltu-
ra che quindi risulta più competitiva nei confronti della flora infestante.
Concimazione azotata: E’ bene tener presente che l’apporto di concimi azotati, se
da una parte innalza la produttività della coltura, dall’altra favorisce lo sviluppo delle
piante infestanti; pertanto, è sempre buona norma non eccedere.
La localizzazione lungo la fila del concime dato al momento della semina conferisce
alla coltura maggior potere competitivo rispetto alle malerbe.
Le nitrature di febbraio-marzo favoriscono le infestanti emerse in autunno (gramina-
cee, papavero, senape, ecc.); le infestazioni primaverili, invece, vengono ridotte in
quanto trovano la coltura più vigorosa e competitiva. In ogni caso, è sempre consi-
gliabile effettuare le concimazioni di copertura dopo le operazioni di diserbo.
Densità di seme: Semine più fitte possono avere effetti positivi sul contenimento
dello sviluppo delle infestanti.
Scelta varietale: L’utilizzo di varietà a taglia bassa e con basso potere di accestimen-
to favorisce, ovviamente, le infestanti rispetto alla coltura.

60
4.6 Controllo meccanico delle malerbe in presenza della coltura
Il controllo meccanico delle malerbe con la coltura in atto, comunemente definita
“strigliatura”, viene eseguita con erpici strigliatori a denti flessibili o snodati. Tali at-
trezzi sono caratterizzati dall’avere denti articolati tra loro in grado di smuovere gli
strati superficiali di terreno e quindi di sradicare le malerbe. L’efficienza di tale siste-
ma dipende prima di tutto dalle specie infestanti presenti e dal loro stadio fenologico
al momento dell’intervento. In secondo luogo, anche il tipo di attrezzo utilizzato e le
caratteristiche del terreno possono avere una discreta influenza.
Riguardo alle specie infestanti, senza dubbio bisogna segnalare la scarsa efficacia
della strigliatura nei confronti delle graminacee. Un controllo soddisfacente è invece
da registrasi su specie dicotiledoni facilmente estirpabili quali la senape selvatica o
il papavero. Per quanto concerne, invece, lo stadio fenologico, il diserbo meccanico
ha maggiore successo su piante ai primi stadi di sviluppo, le quali presentano appa-
rati radicali meno sviluppati.
L’epoca ottimale per il diserbo meccanico dei cereali è quello compreso tra l’ini-
zio dell’accestimento e l’inizio della levata, fermo restando la necessità di inter-
venire su malerbe non molto sviluppate.
Il controllo meccanico rappresenta l’unica alternativa in sistemi di coltivazione
nei quali non è previsto il ricorso al diserbo chimico. Tuttavia, in ragione della
sua non completa efficacia, deve essere assolutamente abbinato ad un’attenta
e razionale gestione agronomica e preventiva delle malerbe; in questo senso,
assumono particolare importanza la falsa semina, le rotazioni e la razionale ese-
cuzione delle concimazioni azotate.

4.7 Il diserbo chimico


Il diserbo chimico rappresenta la strategia più diffusa di controllo diretto delle
malerbe, soprattutto nei comprensori cerealicoli specializzati. L’epoca di esecu-
zione degli interventi può essere prevista sia in “pre-emergenza” che in “post-
emergenza” della coltura.
Diserbo di pre-emergenza
Può essere eseguito subito dopo la semina, o pochi giorni dopo, utilizzando
erbicidi che vengono assorbiti dalle plantule delle malerbe nei primissimi stadi
di sviluppo (assorbimento radicale) o impediscono completamente la germina-
zione dei semi (antigerminello). Tali erbicidi hanno anche azione “residuale”,
cioè permangono attivi nel terreno per alcuni mesi. Nel caso in cui si intenda
diserbare in pre-emergenza, è importante prevedere un buon interramento della
cariosside del cereale al fine di evitare possibili effetti fitotossici sui semi in via di
germinazione. Il diserbo effettuato in quest’epoca ha il vantaggio di eliminare la
competizione con le malerbe sin dalla nascita della coltura. Inoltre, esso assicu-
ra l’intervento di diserbo anche nel caso in cui, una stagione troppo piovosa, non

61
consenta di entrare in campo per effettuare il diserbo di post-emergenza.
Ciò nonostante, gli interventi di pre-emergenza presentano numerose limitazioni:
- l’azione residua difficilmente perdura fino al periodo di febbraio-marzo, fase critica sia
per la nascita di nuove malerbe che per la sensibilità della coltura alla competizione;
- una ridotta piovosità potrebbe diminuire notevolmente l’azione degli erbicidi;
- la scelta delle sostanze attive non può essere eseguita in funzione del reale
tipo di infestazione, ma solo in funzione di previsioni;
- l’efficacia erbicida è scarsa nei confronti di specie particolarmente temibili quali
l’avena selvatica.
Per tutti questi motivi, aggiunti all’aumentata disponibilità di sostanze attive di
post-emergenza ad elevata performance, l’esecuzione del diserbo in pre-emer-
genza è una pratica non più molto diffusa.
Diserbo di post-emergenza.
Il diserbo di post-emergenza, eseguito con erbicidi ad azione fogliare selettivi
per la coltura, presenta notevoli vantaggi:
- può essere evitato in caso si riscontri un’infestazione bassa;
- permette una valutazione dell’infestazione reale e quindi una scelta razionale
delle sostanze attive (Figura 3);
- i prodotti utilizzati hanno poca persistenza nel terreno;
- ha un’azione soddisfacente nei confronti degli organi vegetativi (bulbi e rizomi)
delle specie perenni;
- può essere effettuato anche su terreni non perfettamente livellati e ricchi di
scheletro.

Figura 3: Schematizzazione del periodo ottimale del diserbo di post-emergenza in base alle cur-
ve di emergenza delle principali infestanti.

62
63
Figura 4: Alcuni dei principali erbicidi di post-emergenza utilizzabili nei cereali
Tra gli svantaggi del diserbo di post-
emergenza, quello più significativo
riguarda il fatto che, in caso di stagio-
ni particolarmente piovose, potrebbe
non essere possibile entrare in cam-
po per eseguire i trattamenti in modo
tempestivo.
Particolare attenzione va posta alla
scelta dell’erbicida, la quale va sem-
pre fatta in base alla coltura, al tipo di
infestazione presente e al momento
dell’intervento. A scopo esemplificati-
vo, la figura 4 riporta le principali so-
stanze attive disponibili e la loro epo-
ca di impiego. Queste possono essere
divise in tre gruppi, a seconda che sia-
no efficaci su infestanti dicotiledoni,
graminacee o abbiano una duplice at-
titudine. Ciascuna di queste sostanze
attive può comunque avere una diver-
sa efficacia nei confronti della singola
specie infestante. Si rimanda a trat-
tazioni specifiche l’approfondimento
riguardo lo spettro d’azione dei diversi
Figura 5 – Razionale sequenza delle operazioni erbicidi. Infine, un’attenzione partico-
di pianificazione del diserbo di post-emergenza
lare va posta alla miscibilità tra diser-
banti graminicidi e dicotiledonicidi. E’
sempre consigliabile scegliere prima il graminicida e poi verificare quali dicoti-
ledonicidi è possibile usare in miscela con esso. A tale scopo, occorre ribadire
l’utilità di leggere sempre le etichette a corredo delle confezioni del diserbante!

4.8 Fenomeni di resistenza agli erbicidi


Tra i problemi agronomici che possono sorgere a causa di non corretto utilizzo
dei mezzi chimici, riveste grande importanza l’insorgere del fenomeno della “re-
sistenza” (Figura 6). Essa è definita come la naturale ed ereditabile capacità di
alcuni individui di una popolazione infestante di sopravvivere alla dose di erbici-
da che normalmente viene utilizzata per il loro controllo.
Nei cereali e soprattutto nel frumento, le infestanti che hanno già mostrato al-
terata sensibilità agli erbicidi sono l’Avena sterilis, la Phalaris paradoxa, il Lo-
lium multiflorum e il Papaver rhoeas. Occorre pertanto mettere in atto opportune

64
strategie che consentano di limitare l’insorgere di questo problema, così come
mostrato in figura 7.

Figura 6 – Dinamica di insorgenza, negli anni, del fenomeno della resistenza

Figura 7 – Strategie consigliate per ridurre i rischi di insorgenza della resistenza agli erbicidi

65
Bibliografia

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66
5- ASPETTI FITOPATOLOGICI DEI CEREALI
Fedele Casulli
Dipartimento di Protezione delle piante e Microbiologia Applicata
Università degli Studi di Bari

5.1 Introduzione
Sono numerosi i patogeni fungini che, singolarmente o in associazione fra loro,
possono interferire sul regolare sviluppo dei cereali e compromettere quanti-
tativamente e qualitativamente la produzione (INEA, 1996; Pancaldi e Alberti,
2001; Pasquini e Delogu, 2003). Di seguito sono riportate alcune delle principali
malattie che interessano questa coltura.

5.2 Oidio o Mal Bianco


L’agente causale, Blumeria (Erysiphe) graminis, è un patogeno obbligato,
prevalentemente ectofita e dotato di una elevata specializzazione fisiologi-
ca, pertanto con numerose forme speciali e razze fisiologiche. Il micelio ha
uno sviluppo superficiale ed invia all’interno dei tessuti (cellule epidermiche)
gli austori attraverso i quali assorbe le sostanze nutritive. Esso si sviluppa
su tutte le parti verdi della pianta formando tipiche plagule bianche feltrose
o farinose (Figura 1), costituite dal micelio, dai conidiofori e dai conidi del
fungo, disposti a catenella. Questi ultimi, trasportati dal vento, servono alla
diffusione su larga scala e a lunga distanza, del pato-
geno. La malattia si sviluppa maggiormente in primave-
ra, in quanto il fungo non necessita di elevata umidità
e si avvantaggia di una temperatura intorno ai 20°C.
In condizioni ambientali o alimentari sfavorevoli, sugli
organi attaccati si formano i cleistoteci sferoidali - visi-
bili come tanti puntini neri - portanti aschi e ascospore
(forma sessuata), che servono per la sua sopravviven-
za. Le infezioni primarie possono essere causate dalle
ascospore, prodotte dai cleistoteci, o dai conidi prove-
nienti da ospiti secondari o campi infetti. I cereali, sono
molto suscettibile durante la fase di levata, ma i danni
più gravi si hanno nella fase di spigatura-fioritura. Le
piante infette perdono vigoria e la produzione subisce
un danno sia quantitativo che qualitativo. Nell’Italia me-
ridionale, a causa del clima caldo-arido, generalmente
non si hanno gravi epidemie perché gli attacchi sono Figura 1 – Foglie di
limitati alle foglie basali. frumento con attacchi di
oidio

67
Tabella 1 – Principali malattie fungine del frumento.

Patogeno Malattia Organo colpito

Blumeria (Erysiphe) graminis Guaine, foglie, cul-


Oidio o mal bianco
f.sp. tritici (Oidium monilioides) mo, spighe

Ruggine gialla o stria-


Puccinia striiformis f.sp. tritici Guaine, foglie, spiga
ta o delle glume

Ruggine bruna o fo-


Puccinia triticina Foglie
gliare o puntiforme

Ruggine nera o dello Guaine, culmo, fo-


Puccinia graminis f.sp. tritici
stelo glie, spiga

Mycosphaerella graminicola
Septoriosi Foglie
(Septoria tritici)

Phaeosphaeria nodorum (Stago- Guaine, culmo, fo-


Stagonosporiosi
nospora nodorum) glie, spiga

Ustilago tritici Carbone volante Spiga

Tilletia caries Carie totale Cariossidi

Fusarium spp. (F. graminearum,


Fusariosi della spiga
F. avenaceum, F. culmorum, Spiga
o scabbia.
ecc.), Microdochium nivale

Fusarium spp. (F. graminearum,


F. avenaceum, F. culmorum,
ecc.), Microdochium nivale, Rhi- Radici, colletto, cul-
Mal del piede
zoctonia cerealis, Tapesia yal- mo
lundae, Gaeumannomyces gra-
minis

Alternaria spp., Cladosporium Guaine, culmo, fo-


Nerume o volpatura
spp., Epicoccum spp. glie, spiga

68
Per il contenimento dell’oidio, il metodo più efficace, sicuro e non inquinante
è il ricorso a cultivar dotate di resistenza poligenica (orizzontale), a miscugli
di varietà con differenti livelli di resistenza o a varietà multigeniche o multili-
nee.
In ogni caso, per prevenire la comparsa e la diffusione di nuovi patotipi è da
evitare la coltivazione su vasta scala sia di varietà molto suscettibili che di
varietà dotate di elevata resistenza monogenica. Inoltre, si può tentare di
ridurre l’inoculo primario eliminando gli ospiti alternanti o le “piante ponte”,
sebbene il beneficio di queste pratiche è spesso vanificato dall’abbondanza
e dalla elevata mobilità dei conidi. Quando necessario, bisogna intervenire
con trattamenti fungicidi al fine di mantenere sani ed efficienti le due foglie
apicali, l’ultimo internodo e la spiga: i principali organi preposti alla sintesi
delle sostanze di riserva.

5.3 Ruggine
Fra le malattie fogliari, le ”ruggini” sono quelle più temibili e dannose, sin dai
tempi biblici, per le gravi epidemie che possono provocare. Come l’oidio, anche
le ruggini sono causate da patogeni obbligati, con numerose forme speciali e
dotati di una elevata specializzazione fisiologica, (razze o patotipi). La malattia
appare prevalentemente sulle foglie - ma talvolta anche sui culmi e le spighe
- con pustole polverulente (sori) di forma e colore variabile (dal giallo al rosso
scuro), erompenti dall’epidermide e contenenti numerosi propaguli polverulen-
ti (uredoconidi). Quando le condizioni diventano difficili,
il fungo forma delle spore durevoli scure (teleutospore),
racchiuse in teleutosori, capaci di estivare o svernare. I
patogeni responsabili di questa malattia, sono dei Ba-
sidiomiceti appartenenti al genee Puccinia. Alquanto co-
mune è la P. hordei su orzo, la P. coronata su avena e la
P. sorghi su mais. Tuttavia, per l’importanza che riveste
il frumento, di seguito vengono brevemente descritte le
ruggini rinvenibili su questa coltura.
Fra le tre ruggini che interessano il frumento, la rug-
gine gialla o striata (Figura 2), causata da Puccina
striiformis f.sp. tritici è quella che compare più preco-
cemente ed è più ricorrente nelle regioni centro-setten-
trionali, dove il clima è relativamente fresco. Sebbene
le epidemie di ruggine gialla avvengono saltuariamen-
te, infettando le spighe ed in particolare le glume, può
Figura 2 – Pustole
causare lo striminzimento delle cariossidi o la perdita di ruggine gialla
dell’intera produzione. Nelle aree cerealicole del nord, su foglie di frumento

69
dove il tempo intercorrente tra raccolta e semina è breve, il fungo può passa-
re facilmente da un ciclo colturale al successivo. Le prime infezioni posso-
no derivare anche da uredoconidi trasportati a lunga distanza dalle correnti
aeree. In Italia, quasi tutte le cultivar di frumento tenero sono più o meno
suscettibili alla malattia mentre i frumenti duri sembrano più resistenti anche
perché, essendo coltivati prevalentemente nelle regioni meridionali, sfuggo-
no alla malattia.
La ruggine bruna o fogliare (Figu-
ra 3), causata da Puccina triticina, è
la più comune malattia del frumento
perché presente ogni anno in tutte le
aree cerealicole italiane. L’optimum
termico per lo sviluppo del fungo è di
20°C. Esso, oltre al genere Triticum,
può attaccare anche altre gramina-
cee spontanee dei generi Aegilops
e Agropyron e può perpetuarsi sugli
ospiti secondari (Thalictrum flavum L.
e Anchusa sp.) sui quali completa il
Figura 3 – Foglie con attacchi di ruggine bruna
ciclo biologico ed evolve la sua pato-
genicità. Le prime infezioni possono
derivare dagli ecidioconidi prodotti sugli ospiti alternanti, da uredoconidi giunti da
brevi o lunghe distanze, oppure da graminacee spontanee che spesso fungono
da “piante ponte” tra due cicli colturali successivi. Diverse
cultivar italiane di frumento sono resistenti a P. triticina ed
alcune, come ‘Creso’, sembrano dotate di “resistenza du-
revole”. Il fungo può estivare sui ricacci, sulle piante nate
dopo le prime piogge estive, su paglie e stoppie infette o
su piante marginali abbandonate. Nelle aree cerealicole
meridionali, le infezioni interessano maggiormente la par-
te basale delle piante mentre al nord, la parte alta delle
stesse. Oggi, soprattutto nell’Italia meridionale, la sua in-
cidenza è diminuita a causa del cambiamento climatico e,
in particolare, per la diminuita piovosità.
La ruggine nera o dello stelo (Figura 4), causata da
Puccina graminis f. sp. tritici oltre al genere Triticum, può
attaccare piante appartenenti ai generi Hordeum, Oryza,
Avena e diverse altre piante spontanee. Il fungo attacca
tutte le parti verdi della pianta, ma, avendo un optimum Figura 4 – Culmi con
termico di 22-24°C, interessa maggiormente le cultivar a infezione di ruggine nera

70
ciclo lungo. Esso, oltre a sottrarre nutrienti alla pianta e compromettere la resi-
stenza meccanica dei fusti, causa perdita di grandi quantità d’acqua, attraverso
le ampie lacerazioni.
I criteri generali di contenimento di questi patogeni, sono simili a quelli preceden-
temente esposti per l’oidio. Infatti, essendoci notevoli differenze di suscettibilità
varietale, il metodo più efficace e sicuro è il ricorso a cultivar dotate di resistenza
poligenica (orizzontale), a miscugli di varietà con differenti livelli di resistenza
o a varietà multigeniche o multilinee. Comunque, per prevenire la comparsa e
la diffusione di nuovi patotipi, è da evitare la coltivazione su vasta scala sia di
varietà molto suscettibili che di varietà dotate di elevata resistenza monogenica.
Inoltre, si può tentare di ridurre l’inoculo primario eliminando gli ospiti alternanti
o le “piante ponte”, sebbene il beneficio di queste pratiche è spesso vanificato
dall’abbondanza e dalla elevata mobilità dei conidi. Nelle annate e località più
umide, le ruggini possono essere parzialmente contenute da alcuni iperparassiti
naturali come Sphaerellopsis (Darluca) filum. Quando necessario, bisogna in-
tervenire con trattamenti fungicidi al fine di mantenere sani ed efficienti le due
foglie apicali, l’ultimo internodo e la spiga: i principali organi preposti alla sintesi
delle sostanze di riserva.

5.4 Septoriosi
Causata da Mycosphaerella graminicola (Anamor-
fo = Septoria tritici). Questo patogeno si sviluppa
soprattutto su frumento tenero e frumento duro ed
altre specie coltivate o spontanee del genere Tri-
ticum. Esso attacca prevalentemente le foglie, in
tutte le fasi vegetative della coltura, ma soprattutto
quelle basali perché più vicine al suolo.
Sulle foglie il fungo forma macchie tendenzial-
mente allungate con contorno non ben definito,
all’inizio color grigio-verdognolo chiaro, che poi in
breve tempo necrotizzano. Se le infezioni sono
numerose, esse confluiscono e causano un dis-
seccamento generale dell’apparato fogliare. Sui
tessuti infetti, appaiono subito numerosi piccoli
Figura 5 – Septoriosi con picnidi
corpi fruttiferi (picnidi) globosi, di colore bruno-ne- del fungo
rastro, alquanto superficiali (Figura 5). In condi-
zioni di elevata umidità, da essi fuoriescono i conidi a formare un cirro o una
gocciolina gelatinosa color bianco o bruno lucido. Insieme ai picnidi, e di forma
ad essi molto simile, possono trovarsi gli pseudoteci contenenti numerosi aschi
clavati con le ascospore.

71
La malattia può insediarsi sulle piante sin dall’autunno e poi esplodere in forma
epidemica in primavera. Le infezioni, possono avere origine dal micelio o da
conidi rimasti o prodotti dalle stoppie e residui della vegetazione precedente
oppure dalle ascospore o dai conidi trasportati dal vento e dalla pioggia da gra-
minacee spontanee o da campi vicini
M. graminicola è più aggressiva nel periodo più fresco del ciclo vegetativo ed
è favorita dalla suscettibilità varietale, da frequenti piogge, da varietà a taglia
bassa e con abbondante fogliame. Inoltre, favoriscono la malattia le mancate
rotazioni, concimazioni con eccesso di azoto, la presenza di residui colturali e la
mancata o non uniforme bruciatura delle stoppie.
In Italia la septoriosi riveste una notevole importanza nelle aree cerealicole a cli-
ma fresco e alquanto umide. Essa ha assunto notevole importanza dal momento
in cui sono state introdotte varietà a taglia bassa, con abbondante apparato
fogliare e resistenti alle ruggini e all’oidio.
La lotta, più che sulla resistenza genetica, è basata su criteri preventivi e accor-
gimenti di tipo agronomico come rotazioni, bruciatura completa e uniforme delle
stoppie o interramento profondo delle stesse, riduzione dell’intensità di semina,
spaziatura delle file e praticando concimazioni bilanciate. Quando necessario
ed opportuno, si può ricorrere alla lotta chimica con imidazoli o triazoli.

5.5 Stagonosporiosi
Questa malattia è causata
da Phaeosphaeria nodorum
(anamorfo = Stagonospora no-
dorum), sino ad un decennio
addietro annoverata come Sep-
toria nodorum.
Detto patogeno si sviluppa pre-
valentemente sulle guaine, le
foglie, il culmo e la spiga (glu-
me, glumetta e rachide) (Figura
6) ma spesso le infezioni posso-
no interessare anche le carios-
sidi. Esso attacca soprattutto il
frumento tenero e il frumento
Figura 6 – Stagonospora su frumento duro
duro ed altre specie coltivate o
spontanee del genere Triticum.
A seguito dei suoi attacchi, il fungo forma macchie necrotiche tendenzialmen-
te lentiformi con un bordo giallo-verdastro a contorno ben definito. Sui tessuti
infetti, appaiono alcuni piccoli corpi fruttiferi (picnidi) di color bruno, alquanto

72
infossati. Da essi, in condizioni di elevata umidità, fuoriescono numerosi conidi
cilindrici, 1-3 settati, a formare un cirro o una piccola gocciolina color roseo. La
massima espressione della malattia si ha in spigagione-fioritura e quando la
temperatura raggiunge i 22-24°C. Se le infezioni sono numerose, esse conflui-
scono e causano un disseccamento generale degli organi attaccati. Gli attacchi
ai nodi possono portare alla distorsione o alla rottura dei culmi con danni diretti
nei confronti della produzione
Le fonti primarie di inoculo del patogeno possono essere le cariossidi infette
oppure i corpi fruttiferi presenti sui residui colturali che, conservandosi vitali per
molti mesi o anni, permettono al fungo di estivare o svernare. Il fungo, oltre che
sui residui colturali, può conservarsi anche su Graminacee spontanee ed essere
diffuso dall’acqua e dal vento e talvolta anche da insetti e animali.
La malattia è favorita dalla suscettibilità varietale, da frequenti piogge, una tem-
peratura intorno ai 24°C e da varietà a taglia bassa e con abbondante fogliame.
Inoltre favoriscono la malattia le mancate rotazioni, concimazioni con eccesso
di azoto, la presenza di residui colturali e la mancata o non uniforme bruciatura
delle stoppie.
In Italia Phaeosphaeria nodorum è più importante nei climi caldi ed umidi, ma
spesso causa danni anche in areali relativamente aridi come quelli meridionali.
Come per la septoriosi, la lotta è basata prevalentemente su criteri preventivi e
accorgimenti di tipo agronomico come rotazioni, bruciatura completa e unifor-
me delle stoppie o interramento profondo delle stesse, riduzione dell’intensità
di semina, spaziatura delle file, praticando concimazioni bilanciate e ricorrendo
all’uso di semente sana od opportunamente conciata con idonei principi attivi.
Qualora fosse necessario, si può ricorrere alla lotta chimica con imidazoli o tria-
zoli.

5.6 Alternariosi
Causata principalmente da Alternaria triticina ma anche altre specie del genere
Alternaria, per lo più saprofite. Il fungo attacca il frumento ed altre specie coltiva-
te o spontanee del genere Triticum. Questa malattia è molto spesso confusa con
la septoriosi o la stagonosporiosi. Talvolta è associata ad una batteriosi, causata
da Pseudomonas syringae pv. atrofaciens, avente sintomatologia simile. La ma-
lattia ha assunto una certa importanza dopo il 1960 a seguito della costituzione
di cultivar a taglia bassa e con abbondante fogliame.
Sono colpite soprattutto le foglie, durante tutto il ciclo vegetativo della pianta, e
la spiga, dalla fioritura in poi. Il fungo, per lo più saprofita, causa piccole macchie
ovali dapprima clorotiche, con alone giallastro, e poi necrotiche che confluendo
portano alla morte totale o parziale delle foglie. I tessuti attaccati, specie in con-
dizioni di elevata umidità, diventano neri per la comparsa delle abbondanti frut-

73
tificazioni conidiche del fungo. Sulla spiga causa necrosi ed annerimenti parziali
o totali delle spighette e, sulle spighe mature, il caratteristico “nerume”.
Le prime infezioni cominciano dalle foglie basali, per poi gradualmente risalire
sino alla spiga. La malattia ha un optimum di temperatura intorno a 20°C ed è
più frequente nelle annate piovose o molto umide e nei campi a ringrano ove ab-
bondano i residui colturali e si sono praticate laute concimazioni azotate. Il fungo
si insedia maggiormente sulle foglie senescenti o che hanno subito uno stress
idrico o da freddo; le spighe invece, sono più suscettibili dalla fioritura in poi e,
in particolare, in prossimità della maturazione. Il patogeno, può estivare o con-
servarsi sia sui residui colturali che su Graminacee spontanee ed essere diffuso
oltre che dai semi infetti, anche dall’acqua, dal vento e talvolta pure da insetti.
Anche in questo caso, la lotta, più che sulla resistenza genetica, è basata su cri-
teri preventivi e accorgimenti di tipo agronomico come rotazioni, bruciatura com-
pleta e uniforme delle stoppie o interramento profondo delle stesse e praticando
concimazioni bilanciate. Quando è necessario, si può ricorrere anche alla lotta
chimica ma soprattutto all’uso di semente sana od opportunamente conciata con
idonei principi attivi.

5.7 Mal del piede


Gli agenti causali includono Rhizoctonia cerealis,
Tapesia yallundae e Gaeumannomyces graminis,
ma quelli più frequenti sono varie specie di Fusa-
rium (F. graminearum, F. culmorum, F. avenaceum,
ed altri) e Microdochium (Fusarium) nivale. Tali pa-
togeni sopravvivono nel terreno ma possono esse-
re diffusi anche da semi infetti o contaminati. Essi
si avvantaggiano di stress idrici, subiti dalla pianta
durante il suo ciclo vegetativo. Singolarmente o in
associazione possono causare marciume dei semi
e moria dei germinelli, moria delle giovani plantule,
imbrunimenti delle guaine (Figura 7), dei culmi e
dei nodi basali, marciume del colletto e delle radi-
Figura 7 – Mal del piede
ci e crescita stentata. Le infezioni tardive possono
causare la morte dei culmi di accestimento e il ca-
ratteristico fenomeno delle spighe bianche con conseguente striminzimento o
mancata formazione delle cariossidi. Inoltre, se i propaguli di Fusarium spp. o
M. nivale, veicolati dal vento, schizzi d’acqua o insetti, raggiungono le spighe
possono causare la fusariosi della spiga.
Un mezzo efficace e poco costoso per il contenimento del mal del piede è la
concia con appropriati principi attivi. Inoltre, si può contenere, almeno in parte,

74
con adeguate rotazioni colturali, concimazioni bilanciate, regolazione dell’umi-
dità, scelta di cultivar idonee all’ambiente di coltivazione, uso di semente sana,
giusta profondità, densità ed epoca di semina, allontanamento o bruciatura dei
residui colturali ed eliminazione delle infestanti.

5.8 Fusariosi della spiga


E’ una malattia dovuta al concorso di uno o più specie di Fusarium (oltre 15),
anche se in Italia quelle prevalenti sono F. graminearum, F. culmorum, F. avena-
ceum, F. poae e Microdochium (Fusarium) nivale. La fase di maggiore suscetti-
bilità è la fioritura sebbene la spiga possa essere attaccata dalla fine della spiga-
tura sino allo stadio di maturazione latteo-cerosa. A seguito dell’infezione, si ha
il disseccamento di una o più spighette (Figura 8) sulle quali, in periodi umidi o
piovosi, si può riscontrare la presenza di un feltro micelico rosa. Quando il fungo
giunge ad invadere il rachide, parte o tutta la spiga può
disseccare, compromettendo la formazione delle carios-
sidi. Anche le cariossidi apparentemente sane possono
essere infette o contaminate e costituire uno dei principali
mezzi di diffusione dei patogeni. La fusariosi della spiga,
oltre ad essere un problema importante per le produzioni
sementiere, lo è anche per quelle destinate al consumo
zootecnico o umano a causa della contaminazione da mi-
cotossine prodotte da parte di alcuni dei funghi coinvolti.
Questa malattia può essere contenuta coltivando i cereali
in ambienti non molto umidi e ventilati, con l’impiego di
cultivar poco suscettibili o che sfuggono agli attacchi e,
comunque, adottando tutti gli accorgimenti che riduco-
no gli attacchi di mal del piede e l’inoculo dei patogeni
presente sui residui colturali. Nelle aree e/o nelle anna-
te favorevoli allo sviluppo dei Fusarium spp., la malattia Figura 8 – Fusariosi
può essere ridotta con trattamenti eseguiti all’inizio della della spiga
fioritura.

5.9 Carbone
La malattia è causata da Ustilago hordei, nell’orzo, U. avenae, nell’avena, e
Ustilago tritici nel frumento tenero e nel frumento duro ma anche su altre specie
coltivate o spontanee del genere Triticum, Aegylops spp., Agropyron spp., Hay-
naldia spp. ed Elymus spp. I patogeni causano la distruzione totale delle spighe
i cui organi appaiono trasformati in una polverina nera (Figura 9) costituita dalle
teleutospore o clamidospore del fungo. Queste, trasportate dal vento anche a
lunghe distanze, arrivano sullo stimma, germinano ed infettano le spighe delle

75
piante sane. Il micelio, penetra nell’ovario e si localizza
nell’embrione, ove si mantiene vitale per lungo tempo,
senza interferire con la formazione e la germinabilità della
cariosside. Sono queste cariossidi infette che permettono
la diffusione della malattia. La massima sensibilità degli
ospiti alle infezioni di Ustilago, è al momento della fioritu-
ra. In tale fase vegetativa, l’infezione è favorita da giorna-
te ventose e con elevata umidità relativa. Tali condizioni
favoriscono la diffusione e la germinazione delle teleuto-
spore sulle spighe sane.
Questa malattia, pur essendo molto pericolosa e distrutti-
va, tuttavia non desta notevoli preoccupazioni in quanto il
patogeno ha una sola generazione all’anno e può essere
Figura 9 – Spiga di fru- agevolmente ed efficacemente contenuto mediante una
mento con carbone semplice concia delle cariossidi. Il carbone, oltre una cer-
ta quantità, influenza notevolmente la qualità della produ-
zione sementiera.
Tale malattia può essere facilmente controllata mediante l’impiego di seme sano,
di varietà resistenti o effettuando la concia delle cariossidi con appropriati princi-
pi attivi e, in casi particolari, trattando i semi con acqua calda.

5.10 Carie totale


La malattia può essere causata da Tilletia caries (sin. T.
tritici) o da Tilletia foetida (sin. T. laevis). Le due specie si
differenziano per la morfologia delle teleutospore, retico-
late nella prima e lisce nella seconda. Entrambi i patogeni
determinano la “carie totale” del frumento ossia la trasfor-
mazione delle cariossidi in sori oscuri, contenenti una pol-
verina nera (teleutospore del fungo) con acuto odore di
pesce fradicio (trimetillamina). Oltre al frumento, attacca
altre specie coltivate o spontanee del genere Triticum ma
può infettare anche piante del genere Secale, Triticale,
Agropyron, Elymus. Figura 10 – Spiga con
cariossidi cariate
Le spighe attaccate presentano le reste divaricate e tutte
le cariossidi, trasformate in sori scuri, spesso fuoriuscenti dalle glume in quanto
leggermente più grandi delle cariossidi normali (Figura 10). La contaminazione
delle cariossidi sane avviene dal momento della trebbiatura sino alla semina ad
opera delle teleutospore (clamidospore) del fungo fuoriuscenti dalle cariossidi
infette.
Al momento della germinazione delle cariossidi, anche le teleutospore, presenti

76
sui semi o nel terreno, germinano e il micelio infetta le plantule prima della loro
emergenza o al massimo sino allo stadio di prima foglia. Il micelio segue in modo
sistemico l’accrescimento della pianta localizzandosi infine nell’ovario che viene
così invaso e trasformato in un soro.
Dopo l’infezione delle plantule, le condizioni ambientali non hanno alcuna in-
fluenza sullo sviluppo del fungo all’interno della pianta.
Anche questa è una malattia molto pericolosa e distruttiva ma praticamente
non desta notevoli preoccupazioni in quanto i due patogeni hanno una sola ge-
nerazione all’anno e possono essere agevolmente ed efficacemente contenuti
mediante la semplice concia delle cariossidi. In caso di gravi contaminazioni ci
possono essere problemi di carattere igienico-sanitario per le farine e derivati.

5.11 Elmintosporiosi o striatura bruna dell’orzo


La malattia, causata da Pyrenophora graminea, Ana-
morfo = Drechslera graminea, compare su tutti gli or-
gani epigei, con preferenza per le foglie, e può por-
tare alla morte totale o parziale della pianta con gravi
ripercussioni sulla resa quantitativa e qualitativa della
granella. Oltre all’orzo, può attaccare il frumento ed al-
tre specie di Graminacee. Detta malattia si presenta
con striature longitudinali clorotiche lungo le nervature
della foglia che successivamente diventano bruno ne-
rastre e le foglie si presentano sfilacciate (Figura 11).
Le piante ed i culmi di accestimento colonizzati dal pa- Figura 11 – Elmintosporio-
togeno, possono non passare alla fase di levata o risul- si dell’orzo
tare sterili. La spiga può non emergere o emergere solo
parzialmente dalla guaina della foglia a bandiera e seccare precocemente
oppure rimanere parzialmente sterile. I primi sintomi possono manifestarsi
già in autunno-inverno ma è in primavera e nello stadio vegetativo antece-
dente la spigagione che si ha la massima espressione della malattia. Sulle
parti infette, si ha una abbondante produzione di conidi 3-6 settati e di colore
marrone scuro. Detti conidi, trasportati dal vento, possono infettare i nuovi
semi in via di formazione, sino alla maturazione cerosa. Su detti semi infetti,
il fungo si conserva come micelio quiescente. Esso si riattiva al momento del-
la germinazione del seme e attraverso la coleoriza, penetra nelle redici e nei
vasi xilematici e si diffonde nella pianta. La malattia è favorita da seme infetto
e non conciato, da semine ritardate e temperature relativamente basse, che
fanno ritardare l’emergenza, e da primavere fresche e ventilate tra l’antesi
e la maturazione lattea. P. graminea si perpetua sul seme ma si conserva
anche sui residui colturali e su Graminacee spontanee.

77
In Italia sembrano esserci poche cultivar resistenti alla malattia, pertanto la lotta
dovrebbe basarsi soprattutto su criteri preventivi e accorgimenti di tipo agro-
nomico come rotazioni, bruciatura completa e uniforme delle stoppie o interra-
mento profondo delle stesse, non seminare in ritardo e praticare concimazioni
bilanciate. E’ anche importante l’impiego di semente sana od opportunamente
conciata con idonei principi attivi.

78
BIBLIOGRAFIA

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spora species on cereals. Proc. 4th International Workshop on: Septoria of Ce-
reals. IHAR Radzików (Poland), 15-19.
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WILCOXSON R.D., SAARI E.E. , 1996. Bunt and Smut Diseases of Wheat:
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79
80
6- RACCOLTA, STOCCAGGIO E DESTINAZIONE
DEL PRODOTTO
Luigi Tedone
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali – Facoltà di Agraria
Università degli Studi di Bari

6.1 Raccolta
La raccolta del frumento viene eseguita allorché la vegetazione è secca e le carios-
sidi hanno raggiunto la maturazione piena con un contenuto in umidità del 13-14%.
A livello di contrattazione commerciale il valore di riferimento è del 12,5%.
La trebbiatura inizia verso la fine di maggio nelle zone più calde del sud e pro-
segue fino a tutto giugno-inizio di luglio nel Centro-Nord. La raccolta è ormai
completamente meccanizzata con l’impiego di mietitrebbie, che provvedono in
un unico passaggio al taglio della pianta e la separazione della granella dalla pa-
glia (Figura 1). Quest’ultima può essere raccolta, pressata in balle o in rotoballe,
oppure interrata (previo intervento con una concimazione azotata per favorire
l’attività microbica di decomposizione), o in alternativa bruciata, rispettando in
tal caso le modalità previste nell’ambito della condizionalità.

Figura 1 – Operazione di raccolta della granella (a sinistra) e della paglia (sinistra)

Le rese sono molto variabili in relazione agli ambienti pedoclimatici ed alla spe-
cie. In generale le produzioni sono più elevate nel frumento tenero rispetto a
quello duro, risultano inoltre maggiori nell’Europa centrale ed in Italia nella pia-
nura Padana e tendono a ridursi procedendo verso le regioni meridionali ed
insulari dell’area mediterranea. La resa media normale è stimata intorno a 4,8
tha-1 per il frumento tenero, 2,8 tha-1 per il duro.

81
6.2 Consegna e stoccaggio
La fase successiva alla raccolta è rappresentata dallo stoccaggio, fase fonda-
mentale per il successivo utilizzo del prodotto. Il frumento alimenta infatti una
filiera agroindustriale, quella molitoria e pastaria, ben articolata e organizzata
(Figura 2).

Figura2 – Schema di flusso della filiera cerealicola


Lo stoccaggio della granella dei cereali può essere realizzato direttamente in
azienda, pratica che tende attualmente a scomparire per una serie di proble-
matiche legate alle normative a cui è sottoposto, tra cui l’obbligo del sistema
HACCP (Hazard Analisis Crytical Control Points) che rendono più complicata
tale pratica. In genere si provvede alla consegna presso centri di stoccaggio,
privati o cooperative, con modalità contrattuali differenti.
Durante la fase di ricevimento del grano, momento in cui viene effettuato il con-
trollo del peso e l’ispezione della
partita, si effettua il campionamento,
fase molto importante perché questo
deve rappresentare l’intera massa
(lotto). Per il campionamento ci si
avvale in genere di sonde a due tubi
cilindrici di varia forma e dimensione
(corte, lunghe, a spirale, per sacchi,
etc) ad azione manuale o meccani-
ca.
Il campione finale viene infine sotto-
posto al controllo qualità della materia Figura 3 – Fase di campionamento del grano

82
prima, i cui risultati permettono la valutazione della partita di frumento. La determina-
zione delle caratteristiche qualitative di una partita di frumento sono molto importanti
in quanto inseriti in preventivi contratti tra stoccatori e molini, oppure sono definiti
sulla base dei valori di riferimento stabiliti dalle borse merci (contratti tipo). In Italia
si fa riferimento a contratti tipo nazionali, facendo riferimento alla Borsa merci di
Bologna (contratti tipo 101 per il grano tenero nazionale e 102 per il duro). Il man-
cato rispetto di alcuni parametri di controllo può determinare il deprezzamento della
partita o addirittura la mancata accettazione della partita.
I principali parametri sottoposti a monitoraggio analitico in questa fase sono:
-Scarti e impurità: permette di valutare la presenza di semi estranei, di inerti, di
semi rotti, cariossidi avariate, cariossidi di altri cereali, cariossidi germinate etc.
In genere viene determinata attraverso una selezione visiva e viene espressa
come % in peso.
-Semi spezzati e striminziti: permette di valutare la presenza di semi che han-
no subito difetti di riempimento. Sono i semi che passano attraverso vagli di 1,9-
2,0 mm e si esprime come % in peso.
-Bianconatura (frumento duro): E’ un difetto dei grani duri dovuto a carenza
di azoto che determina una frattura farinosa anziché vitrea. Il contenuto proteico,
a seguito di tale difetto, si abbassa e le cariossidi presentano, in modo parziale
o totale, una zona endospermatica a frattura farinosa anziché vitrea e traslu-
cida. Ha grande importanza perché influenza negativamente le caratteristiche
organolettiche della semola e della pasta. E’ un parametro considerato a livello
commerciale.
-Peso ettolitrico: E’ un parametro molto utilizzato a livello commerciale. Si ef-
fettua utilizzando la bilancia di Schopper ed esprime il peso per unità di volume
di granella (kg/hl). E’ molto importante in campo molitorio perché un maggior
peso ettolitrico è indice di maggior resa in macinazione. Un peso ettolitrico alto
è indice di una granella dalle ottime caratteristiche di riempimento, da cui è pre-
vedibile una resa molitoria elevata. Un peso ettolitrico basso è indice di granella
striminzita, da cui è probabile una bassa resa molitoria, per la maggior incidenza
delle parti corticali.
-Umidità: definisce la perdita di peso che subisce un campione sottoposto a
temperatura di 105°C. Per il frumento si effettua su campione macinato e che
passa attraverso maglie di 0,5 mm. E’ un parametro commerciale molto impor-
tante.
-Contenuto proteico: Il contenuto proteico influenza la qualità degli sfarinati
delle semole determinando l’attitudine alla pastificazione.
Il contenuto proteico viene determinato in modo tradizionale attraverso la me-
todica Kjeldhal. In alternativa sono utilizzate la metodica Dumas e quella NIR.
Negli ultimi anni la spettroscopia NIR (Near Infra Red) si sta dimostrando un

83
metodo valido per la caratterizzazione compositiva del frumento, utile sia in fase
di accettazione che per il monitoraggio on-line di processi, permettendo di ana-
lizzare i campioni in modo non distruttivo e in tempi molto contenuti.
Altri indici possono fornire ulteriori informazioni, soprattutto presso l’industria
molitoria, e sono rappresentati dall’ indice di caduta di Hagberg o Falling Num-
ber, la slavatura la pregerminazione, la volpatura

Settimana: al giorno

14-20/05/ 2006 24-05-2006


CEREALI
min max min max

G R A NO DUR O F I NO
(peso K g 80 ed oltre per hl. ;
umidità 11-12%,spezzati max 6% ;
farinosi 1%, bianconati fino al 20% ;
nulli 0,50%, volpati 4% ; tonn 156 159 154 157

G R A NO DUR O B UONO M E R C A NT I L E
(peso K g. 78-79 per hl. ; umidità 11-12%;
11-12% ; spezzati max 6%;
farinosi 1-2%; bianconati dal 21% al 35%;
nulli 0,50% ; volpati 6% ; tonn 153 156 151 154

G R A NO DUR O M E R C A NT I L E
(peso K g. 76-77 per hl.; umidita'
11-12% ; spezzati max 6%;
farinosi 1-2% ; bianconati 36%
ed oltre ; nulli 0,50% ; volpati 6% ; tonn 150 153 148 151

 
Figura 3 – Esempio di listino della Borsa merci di Foggia e Bologna e suddivisione merceologica
orientativa dei frumenti

6.3 Parassiti animali e controllo delle infestazioni


La granella, prima di essere stoccata, deve essere sottoposta a pre-pulitura me-
diante aspirazione e vagliatura. In genere lo stoccaggio può essere eseguito in
sili orizzontali o verticali. Tali strutture di norma sono separate, per consentire
la differenziazione delle partite secondo parametri qualitativi, per una miglior
valorizzazione del prodotto. Particolare attenzione viene rivolta inoltre alla pro-
tezione dalle infestazioni, poiché forte è il rischio rappresentato dagli attacchi da
parte di diverse specie di insetti, specializzati nel danneggiare la granella, di cui
si cibano.
Questi piccoli animali possono provocare: a) danni diretti, dovuta alla perdita in
peso della derrata, perdita della germinabilità dei semi, b) danni indiretti, quali
inquinamento, riscaldamento della massa della derrata, con conseguante com-
parsa di muffe e micotossine, etc
A seguito di tali attacchi la partita subisce un deprezzamento commerciale,
con perdita notevole in termini economici.
Le principali specie di insetti sono fondamentalmente coleotteri e lepidotteri, di
seguito elencate:

84
Calandra o punteruolo del frumento (Sitophilus
granarius e S. oryzae)
E’ un insetto Curculionide di piccole dimensioni (circa
3-5 mm di lunghezza), di colore marrone, con tonalità
variabili chiare o scure. Presenta un lungo rostro ed
antenne rossastre genicolate. Le ali posteriori sono
assenti, per cui è incapace di volare; le zampe sono
bruno-rossastre.
Gli adulti vivono a lungo (12-14 mesi) e depongono le
uova entro fori compiuti con il rostro delle cariossidi. Il
danno si manifesta sulle cariossidi ed è determinato
dagli adulti, ma soprattutto ma soprattutto dalle larve.
Nei nostri ambienti compiono diverse generazioni all’anno, con presenza con-
temporanea di individui in diversi stadi di sviluppo.
Struggigrano (tenebroides mauritanicus)
Appartenente alla famiglia dei coleotteri, l’adulto di colore nero
lucente sul dorso, mentre l’addome, le antenne e le zampe
sono marrone-rossiccio; corpo molto appiattito con una evi-
dente strozzatura tra il torace e l’addome; lunghezza 8-9 mm.
Larve biancastre, caratterizzate da testa, parte superiore del
torace e due appendici addominali, molto scure; la larva é lun-
ga circa 15 mm. La deposizione delle uova e lo sviluppo delle
larve avviene in mezzo alle cariossidi dei cereali; le larve per
raggiungere il cibo possono forare cartone, tela, legno ed altro
materiale da imballaggio. Il ciclo evolutivo in condizioni normali
dura poco meno di un anno. Attacca i cereali e loro derivati (caratteristica la
completa asportazione dell’embrione nelle cariossidi)
Vera tignola del grano (Sitotroga cerealella)
Lepidottero con adulto avente ali anteriori di colo-
re paglierino con qualche piccola macchia marrone
scuro appena distinguibile e quelle posteriori di co-
lore grigio argenteo; le ali hanno una lunga frangia
e aperte misurano circa 15mm.; larva matura color
paglierino, munita di 6 corte zampe e di 4-5 paia di
false zampe (pseudopodi). Le uova vengono depo-
ste (100-200) fuori dei chicchi; le larve neonate pra-
ticano un piccolo foro e penetrano nell’interno del-
le cariossidi; il loro sviluppo si accompagna con la
quasi completa distruzione dell’interno (endocarpo)
del chicco. La farfallina abbandona la cariosside pas-

85
sando attraverso l’opercolo praticato in antecedenza nell’involucro esterno
(pericarpo) dalla larva matura; tale opercolo quando é visibile indica quindi la
sottostante presenza di una larva matura o di una crisalide di vera tignola. In
Italia le generazioni annuali possono essere da 1 a 5.
Altri insetti attaccano il frumento in stoccaggio: la falsa tignola del frumento
(Tinea granella), la tignola grigia delle provviste alimentari (Ephestia kuh-
niella), la tignola fasciata del grano (Plodia interpunctella), il punteruolo del
riso (Calandra oryzae), il Trogoderma dei cereali (Trogoderma granarium), il
bostrico del grano (Rhizoperta dominica)

6.4 Controllo delle infestazioni


Parte preliminare ed essenziale per la difesa antiparassitaria è rappresentata
dalla prevenzione. In tal caso diventa fondamentale assicurarsi che:
- L'infestazione non venga introdotta in stabilimento;
- La riproduzione dei parassiti non si verifichi nei materiali grezzi, nelle attrez-
zature e nelle strutture dello stabilimento;
Grande importanza va data alla pulizia e disinfezione degli ambienti, alla
gestione delle aperture, in particolare delle porte, e al controllo dello stato di
sanità della granella che deve essere introdotta. Il posizionamento di trap-
pole collanti in prossimità delle porte ha il duplice scopo di consentire un
monitoraggio sulle specie presenti e sul livello di infestazione.
In presenza di infestazioni i metodi di intervento sono:
1. Ambiente: mantenere condizioni ambientali tali da renderle il meno favore-
vole possibile agli insetti infestanti (evitare condizioni che consentano infiltra-
zione dell’acqua, eliminare i residui di derrate precedentemente conservate). E’
importante che, prima della nuova stagione cerealicola, vengano puliti opportu-
namente tutti gli impianti (fosse di carico, coclee, nastri trasportatori, sistemi di
aereazione)
2. Interventi meccanici: chiusura e sigillatura di crepe, fessure, passaggi da
cui i coleotteri possono entrare, rasature delle pareti per rendere più facile la
pulizia.
Per i lepidotteri il posizionamento di elettrolampade (UVA) a cattura per inset-
ti volanti (con cartoncini collanti) all’interno di locali a rischio di infestazione,
rimane un ottimo sistema perché consente un numero di catture elevato
senza l’utilizzo di composti chimici pericolosi; inoltre le elettrolampade e le
trappole adesive possono essere utilizzate efficacemente come sistema di
monitoraggio al fine di segnalare la presenza, la tipologia e il grado di infe-
stazione di insetti volanti e/o striscianti.
3. Interventi chimici: L’uso di insetticidi può essere effettuato o attraverso
l’utilizzo di insetticidi di contatto.

86
La disinfestazione con interventi chimici può essere effettuata in diversi modi:
impiego di insetticidi di contatto e la fumigazione con gas tossici. Esistono
anche tecniche alternative, alcune già disponibili, come le polveri inerti, le
atmosfere modificate o l’impiego delle temperature estreme; altre sono an-
cora in fase sperimentale, come le radiazioni ionizzanti e le microonde, che
stentano a decollare a causa degli elevati costi.
Insetticidi di contatto: vengono impiegati durante l’introduzione della gra-
nella, in modo da rendere uniforme il contatto con la massa. Con tali tratta-
menti occorre poi sempre fare molta attenzione al problema dei residui, con-
siderando i limiti di residuo sempre più stringenti. I principi attivi più noti sono
l’Azadiractina A, il Clorpirifos Metile, la Deltametrina, il Diclorvos, le piretrine,
il Pirimifos metile. Grande attenzione va posta nel controllo delle registrazioni
dei principi attivi, considerando che queste vengono riviste anno per anno.
Fumigazioni : vengono effettuate applicando dei gas tossici ad alta volatilità,
che esplica la propria attività biocida in forma volatile, distruggendo qualsiasi
forma volatile presente.
Fondamentalmente, con norme molto stringenti, i gas tossici impiegabili nelle
derrate sono il bromuro di metile, il cui utilizzo è consentito fino al 2010, e la
fosfina o idrogeno fosforato. Il loro utilizzo è possibile solo attraverso perso-
nale autorizzato.
Nuove tecniche di intervento
Negli ultimi si stanno diffondendo al fine di soddisfare requisiti di riduzione
dell’impatto ambientale, limitazione dei residui chimici sui prodotti destinati
all’alimentazione. Si ricordano:
- fosfina in combinazione con anidride carbonica
- atmosfere controllate
- polveri inerti (polveri silicee a base di farina fossile di Diatomee (alghe
unicellulari dall’esoscheletro siliceo) o di zeoliti (minerali silicei di origine vul-
canica)
- temperature estreme. Sotto i 13°C o sopra i 35 °C normalmente lo svi-
luppo degli insetti si arresta. A temperature più estreme la maggior parte di
essi cessa ogni attività molto rapidamente e la morte sopraggiunge in pochi
minuti a -20 °C o a +60 °C.
- lotta microbiologica. Per ora questa tecnica non ha dato ancora risultati
concreti, tranne che per l’impiego di un virus che attacca la Plodia interpun-
ctella (la tignola fasciata). Tuttavia il limite di questo virus consiste nella sua
estrema specificità, per cui non solo non agisce sui coleotteri che attaccano
le derrate, ma neppure sugli altri lepidotteri.

87
6.5 Utilizzazione e aspetti qualitativi
Il frumento presenta aspetti qualitativi, composizionali e reologici, differenti, influen-
zati dalla varietà, dall’areale di coltivazione, dalla tecnica colturale adottata e dall’an-
damento climatico. In funzione delle caratteristiche qualitative, una partita di grano
può essere adatta ad una destinazione d’uso piuttosto che ad un’altra. Il consegui-
mento di determinati parametri qualitativi è anche condizionato dall’insieme delle
pratiche agronomiche applicate, dall’utilizzo di varietà dalle buone caratteristiche
qualitative, confidando infine nel buon andamento meteorologico.
Per quanto riguarda la farina di frumento tenero, i parametri da tenere in partico-
lare considerazione sono, oltre il già citato tenore proteico, gli indici ottenuti al-
l’alveografo di Chopin, che fornisco informazioni sulla “forza” della farina, quindi
il tipo di panificazione idonea. Un altro indice è quella del farinografo di Braben-
der, che fornisce indicazioni invece sulla stabilità dell’impasto nel tempo.

Tabella 4 – Classificazione del frumento tenero in base ai principali carat-


teri qualitativi

Tenore Indici Indice


Indice
Classe Tipo proteico alveografici farino-
tecnologica di caduta
di utilizzazione (N x 5,7) grafico
(FN) sec
% s.s. (CD) min
W P/L
Merendine
semisfoglie
Frumento
Brioches >14,5% >300 <1,0 >15 >300
di forza
Panettoni
Farine da taglio
Pane tipo
michetta
Frumento
Panini soffiati 0,4-
panificabile >13,5 >220 >10 >250
Crackers 0,6
superiore
Pasticceria
artigianale
Frumento Pane comune
160- 0,4-
panificabi- Fette biscottate >11,5 >5 >250
220 0,6
le comune Pan carrè
Biscotti, prodotti
Frumento non lievitati o a 0,2-
< 10,5 <140 >220
biscottiero breve 0,5
lievitazione
* L’indice farinografico non è importante per i biscotti, per i quali non è necessaria una elevata lievitazione

88
Per quanto riguarda la semola di frumento duro, i parametri tenuti in considera-
zione sono il contenuto proteico e il contenuto e qualità del glutine, che fornisce
indicazioni sulle caratteristiche di tenuta in cottura della pasta ottenibile. Altro
parametro molto considerato è l’indice di giallo, che misura l’intensità di giallo
della semola e della pasta ottenibile.

Tabella 5 – Classificazione del frumento duro in base ai principali caratteri


qualitativi

Classificazione Tenore proteico Qualità del glutine Indice di


tecnologica e (N x 5,7) % s.s. (giudizio giallo
tipo di utilizzazione complessivo) (b Minolta)
del frumento duro

Frumenti duri ad > 14,0 Ottimo > 24


alto valore di pa-
stificazione

Frumenti duri a > 13,0 Da medio a sufficiente >21


buon valore di pa-
stificazione

Frumenti duri a < 12,0 sufficente <21


basso valore di
pastificazione

Frumenti duri per < 14,5 * > 24


paste all’uovo

Il controllo della qualità nella filiera cerealicola è diventato un procedimento mol-


to rigoroso nella filiera produttiva dell’industria alimentare, le cui esigenze sono
determinate non solo dalla politica di innovazione tecnologica in un settore molto
competitivo nell’offerta dei prodotti, sempre più confacenti alla domanda di mer-
cato, ma anche nel rispetto delle norme di sicurezza nell’igiene degli alimenti e
nel mantenimento dei requisiti salutistici.

89
BIBLIOGRAFIA
AA.VV. 2007- Dal Grano al Pane. A Cura di Raffaele Nigro. Adda Editore
AA.VV. 1995 Le tecniche di coltivazione delle principali colture agroindustriali. A
cura di Agronomica srl
GELOSI A., BAGAROLLO D. 2004. La protezione dei cereali: principali insetti e
acari e mezzi di lotta. A cura di NEWPHARM s.r.l.
Carrai B., 2001. Arte bianca, materie prime, processi e controlli. Calderini Eda-
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settembre, 63-65

FLAGELLA Z. (2006). Qualità nutrizionale e tecnologica del frumento duro. Ita-


lian Journal of Agronomy. vol. 1. 203-239
KENT-JONES D.W., AMOS A.J. (Ed.). 1969. Modern Cereal Chemistry, 6th
Food Trade Press Ltd, London, 1969. pp. 612
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na ed.
POGNA N.E., LAFIANDRA D. 1996. Proteine e qualità , tecnologia del grano
duro. Ed. Premio Barilla dal grano alla pasta. Parma, p. 29-38.

90
7- LE COLTURE FORAGGERE IN PUGLIA:
diffusione e caratteristiche agronomiche
delle specie coltivate
Eugenio Cazzato
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali – Facoltà di Agraria
Università degli Studi di Bari

7.1 Importanza e diffusione delle foraggere in Puglia


La superficie destinata a colture foraggere in Puglia ammonta complessivamen-
te a 292.265 ettari pari al 23,4% della Superficie Agricola Utilizzata (SAU). I pa-
scoli (159.420 ettari) e gli erbai (126.825 ettari) rappresentano le categorie di fo-
raggere più diffuse, mentre ridotta, 6.000 ha circa, risulta la coltivazione dei prati
(Figura 1). Tra gli erbai, prevalgono quelli in miscuglio (costituiti cioè da due o
più specie) che rappresen-
tano il 60% della superficie
totale; il restante 40% della
superficie è costituito da er-
bai monofiti (colture costi-
tuite da una sola specie) di
cui il 29 % di graminacee e
l’11% di leguminose (Figura
Figura 1 - Superficie complessiva (ha) di erbai, prati e
2). La maggiore diffusione
pascoli in Puglia nel 2007 (Istat) dei miscugli rispetto alle col-
ture in purezza, in Puglia, è
presumibilmente legata all’accentuata concentrazione della piovosità nel perio-
do invernale ed all’elevata discontinuità dell’evento piovoso nei periodi autunnali
e primaverili durante i quali è fondamentale un’adeguata piovosità per ottenere
una buona crescita delle specie ed elevate rese in fieno. In queste condizioni
l’erbaio polifita assicura una maggiore
stabilità di produzione nel corso degli
anni. Alla ridotta piovosità del periodo
primaverile-estivo è anche legata la net-
ta prevalenza degli erbai sui prati. Nel-
l’ambito degli erbai, di gran lunga pre-
valenti sono quelli autunno-primaverili
(98%) su quelli estivi. Tra questi ultimi è
presente solo il mais, raccolto allo stadio
Figura 2 - Diffusione degli erbai monofiti di
di maturazione latteo-cerosa da destina- graminacee e leguminose e dei miscugli da
re all’insilamento, che viene coltivato su erbaio in Puglia (dati Istat, 2007)

91
2.620 ettari, gran parte dei quali in provincia di Foggia (2.100 ha). L’esame della
tabella 1, che riporta i dati più recenti della statistica ufficiale sulla diffusione
degli erbai nelle diverse province pugliesi, permette di evidenziare che gli erbai
sono più coltivati nelle province di Foggia (52.000 ha) e Bari (48.000 ha); segue
la provincia di Taranto con 19.000 ha, mentre ridotta risulta la presenza di queste
colture nelle province di Brindisi (circa 6.000 ha) e Lecce (circa 1.700 ha). Tra le
varie specie autunno-primaverili la statistica evidenzia la coltivazione dell’orzo
in erba (raccolto alla spigatura ed affienato) su 9.830 ha con una prevalenza
nelle province di Foggia e Bari, mentre l’orzo ceroso (destinato all’insilamento) e
il loietto sono coltivati prevalentemente nella provincia di Foggia.
Prendendo in considerazione le altre due categorie foraggere, classificate con la
denominazione “altri erbai monofiti” e “leguminose”, tali colture sono coltivate su una
superficie totale regionale rispettivamente pari a circa 20.000 e 13.000 ha, e sono in
gran parte diffuse nella provincia di Bari. Sotto la voce “altri erbai monofiti” le specie
più utilizzate nel territorio sono l’avena ed il triticale; quest’ultimo in particolare risulta
in continua espansione come coltura raccolta allo stadio di maturazione latteo-cero-
sa da destinare all’insilamento. Nella categoria delle “leguminose” rientrano invece i
trifogli annuali quali trifoglio incarnato, trifoglio alessandrino e trifoglio squarroso.

Tabella 1 - Superficie (ettari) coltivata ad erbai in Puglia nel 2007 (dati Istat)
Altri
Mais Orzo Orzo Legumi- Altri mi-
Province Loietto erbai Totale
ceroso in erba ceroso nose scugli
monofiti
Foggia 2.100 5.000 3.000 1.000 600 - 40.300 52.000
Bari - 4.230 - - 11.500 10.500 21.800 48.030
Taranto 190 270 115 30 5.245 - 13.150 19.000
Brindisi 260 250 180 - 2.500 2.870 - 6.060
Lecce 70 80 120 120 380 220 745 1.735
Totale 2.620 9.830 3.415 1.150 20.225 13.590 75.995 126.825

I prati si differenziano dagli erbai perché hanno una durata superiore all’anno
e si distinguono in prati avvicendati e prati permanenti, a seconda che entrino
o meno in una rotazione. I prati permanenti possono essere naturali o artificiali
(cioè costituiti dall’uomo) e sono generalmente polifiti, cioè costituiti , da mol-
te specie. I prati avvicendati, al contrario, sono monofiti od oligofiti, per lo più
costituiti da una graminacea ed una leguminosa. Queste colture, nei sistemi
più intensivi, possono essere utilizzate solo per ottenere più tagli a fieno ed, in
questo caso, si effettuano per lo più in coltura irrigua; nei sistemi estensivi, tipici

92
dell’areale pugliese, in coltura asciutta, l’utilizzazione prevalente è quella del
prato-pascolo. In Puglia, a motivo della scarsa piovosità del periodo primaverile-
estivo, la superficie destinata al prato è molto modesta e le specie più utilizzate
sono erba medica, lupinella e sulla, prevalentemente presenti nelle province
di Foggia e Bari (Tabella 2); queste specie, tutte appartenenti alle leguminose,
sono in possesso di un apparato radicale fittonante molto sviluppato,e pertanto
sono in grado di utilizzare al meglio le scarse risorse idriche del sottosuolo.

Tabella 2 - Superficie (ettari) coltivata a prati in Puglia nel 2007 (dati Istat)
Altre
Erba Prati avv. Prati per-
Province Lupinella Sulla specie Totale
medica polifiti manenti
Foggia 1.800 200 100 - - - 2.100
Bari 1.150 230 - - - 280 1.660
Taranto 190 - - 110 - 850 1.150
Brindisi 450 - - - 300 - 750
Lecce 200 - - 30 40 90 360
Totale 3.790 430 100 140 340 1.220 6.020

Le specie graminacee perenni sono


molto poco utilizzate e risultano ge-
neralmente presenti nella composi-
zione di miscugli da prato-pascolo
o da pascolo alle maggiori altitudini,
dove la piovosità risulta più abbon-
dante.
In Puglia i pascoli risultano mag-
giormente presenti nelle province di
Foggia (92.000 ha), Bari (42.000 ha)
e Taranto18.250 ha) mentre esigua Figura 3 - Diffusione (ha) dei pascoli
risulta la loro presenza nelle province nelle diverse province della Puglia
(dati Istat, 2007)
di Brindisi e Lecce (Figura 3).
Di seguito vengono riportate le prin-
cipali caratteristiche delle specie da erbaio autunno primaverile e delle specie
leguminose da prato più diffuse in Puglia.

7.2 Cenni sulle principali specie da foraggio


Specie leguminose da erbaio autunno-primaverile
Le principali specie che contribuiscono alla costituzione degli erbai autunno-pri-
maverili sono graminacee come avena, orzo, segale, triticale e loiessa mentre

93
più ampio risulta il ventaglio di scelta tra le leguminose (trifoglio incarnato, trifo-
glio alessandrino, trifoglio squarroso, trifoglio resupinato, veccia comune, veccia
villosa, favino, favetta, trigonella o fieno greco); più recentemente sono state
provate con successo alcune leguminose annuali prelevate dalla flora sponta-
nea e sottoposte a miglioramento selettivo prima dell’inserimento nel mercato
sementiero. Si ricordano tra queste alcune mediche annuali (Medicago polymor-
pha L., M. scutellata (L.) Mill., M. truncatula Gaertner) e trifogli annuali (Trifolium
michelianum Savi, T. vesiculosum Savi, T. resupinatum L.). Queste specie trova-
no una crescente utilizzazione come colture di copertura (cover crops) di vigneti,
oliveti, arboreti e per la difesa del suolo.
Le leguminose forniscono un foraggio qualitativamente più pregiato perché
più ricco di proteine (15-20%), sali minerali e vitamine rispetto a quello pro-
dotto dalle graminacee. La loro capacità produttiva è però scarsa e, ad ec-
cezione di alcune specie, quali trifoglio, fava e soia, non sono autoportanti e
necessitano di un tutore. Pertanto, le leguminose vengono spesso utilizzate,
in consociazione con le graminacee, per la costituzione di erbai misti. Ancor
più delle graminacee, devono essere raccolte precocemente perché, dopo
la fioritura, lo stelo lignifica con rapidità e molte foglie basali ingialliscono e
cadono.

Trifoglio alessandrino
(Trifolium alexandrinum L.)
E’ una pianta, di aspetto e taglia simili all’erba
Medica, con apparato radicale fittonante. Le
foglioline sono sessili, ellittico-arrotondate; i
fiori sono riuniti in un capolino di colore bianco.
Il t. alessandrino si accresce molto bene nei
climi a inverno mite. Predilige i terreni alluvio-
nali, sciolti, siliceo-argillosi. Ha una spiccata
capacità di ricaccio e, in condizioni irrigue, è in
grado di fornire 2-3 tagli nel corso della stagio-
ne vegetativa. Peso di 1000 semi: 3 g. Dose di
seme consigliata per la coltura in purezza:30-
40 kg/ha.

Trifoglio incarnato (Trifolium incarnatum L.)


E’ una pianta annuale originaria del Mediterraneo, tomentosa, con 3 foglioli-
ne sub-ovate e denticolate all’apice e infiorescenza spiciforme (un capolino

94
allungato di colore rosso scarlatto). Si adatta
ai terreni acidi e rifugge quelli ricchi di calcare
attivo. Si adatta molto bene al pascolamento
nel periodo novembre-marzo.
A differenza del t. alessandrino, non ributta
dopo il taglio effettuato alla fioritura ma, in com-
penso, è molto più resistente al freddo. Peso
1000 semi: 3,5 g. Dose di seme consigliata per
la coltura in purezza: 40 kg/ha.

Trifoglio squarroso
(Trifolium squarrosum Savi)
E’ una pianta annuale, originaria del Mediterraneo,
con steli cilindrici più o meno cavi, alti fino a 1 me-
tro o più. Foglie
trifogliate, con foglioline lunghe (2-5 cm) e lanceola-
te; fiori in capolini ascellari con corolla bianco-gial-
lastra o bianco-rosea. Non ha particolari preferenze
per i terreni, adattandosi bene sia a quelli calcarei
che a quelli argillosi. E’ dotato di buona resistenza
al freddo simile a quella del trifoglio incarnato; tut-
tavia è meno adatto, rispetto a quest’ultimo, ad una
utilizzazione a pascolo molto intensa.
Si adatta molto bene, come il t. incarnato, alla con-
sociazione con le graminacee annuali quali Avena,
Orzo e Loiessa. Peso di 1000 semi: 5,5 g. Dose di
seme consigliata per la coltura da erbaio in purez-
za: 40-50 kg/ha.

Trifoglio resupinato (Trifolium resu-


pinatum L.)
E’ una pianta erbacea che presenta
steli prostrato-ascendenti e foglie trifo-
gliate (Figura 4) lungamente picciola-
te le basali, sessili o quasi le superiori;
fiori piccoli a corolla roseo-porporina
in capolini ascellari più o meno pro-
fumati. Nell’ambito di questa specie,
sulla base delle dimensioni delle fo-
glioline, si distinguono 3 varietà bota-

95
niche: minus, resupinatum e majus.
Pianta da pascolo e da fieno vegeta bene nei terreni sciolti ed umidi ma si adatta
bene nei terreni argillosi; manifesta un’elevata resistenza al freddo.
Come il t. alessandrino evidenzia una notevole capacità di ributto e, in con-
dizioni favorevoli di temperatura e umidità, si possono ottenere fino a 4 tagli,
con caratteristiche qualitative molto vicine a quelle del t. alessandrino. Peso
di 1000 semi: 0,8 g. Dose di seme consigliata per la coltura da erbaio in pu-
rezza: 15-20 kg/ha.

Vecce
Al genere Vicia appartengono circa 150 specie. Le più importanti, in ordine
decrescente sono Vicia sativa L. (Veccia comune), V. villosa Roth. (Veccia
villosa o vellutata), V. narbonensis L. (Veccia di Narbona), V. ervilia (L.) Wil-
ld., V. pannonica Crantz (Veccia ungherese), V. dasycarpa Auct. an Ten. e V.
hirsuta (L.) S.F. Gray.
Le vecce vengono generalmente utilizzate come foraggio fresco, come fieno
o come silo. Le vecce possono anche essere coltivate per la produzione di
seme che viene utilizzato come mangime (sfarinato) per gli animali o per la
riproduzione della specie. In alcune specie di veccia (come ad esempio V.
hirsuta) i semi contengono un elevato contenuto di acido cianidrico che può
provocare avvelenamento negli animali per cui la somministrazione dei semi
dovrebbe essere preceduta da macerazione in acqua oppure da cottura. In
questa sede vengono descritte le specie più diffuse in Puglia che sono: Vec-
cia comune e Veccia villosa.

Veccia comune (Vicia sativa L.)


Pianta annuale con fusto eretto, prostrato o rampican-
te, angoloso, ramoso lungo fino a 1 metro. Predilige
i climi miti. Si adatta a tutti i tipi di terreno, predilige
i terreni compatti, argilloso-calcarei, fertili e profondi.
Peso di 1000 semi: 40-120 g.Dose di seme consi-
gliata per la coltura da erbaio: 100-150 kg/ha a cui
si aggiungono 8-10 kg di avena che funge da tutore
mantenendo in posizione eretta gli steli della veccia
che tendono naturalmente a prostrarsi.
Veccia villosa
(Vicia villosa Roth.)
Pianta annuale, biennale o perenne nei centri di
origine (Ungheria e Russia), con steli esili molto
ramificati e pubescenti di solito lunghi oltre il me-

96
tro. E’ una pianta dalle
scarse esigenze, resiste
molto bene ai rigori in-
vernali (anche a parec-
chi gradi sottozero) e al-
l’alidore estivo; prospera
in tutti i terreni, adattan-
dosi a quelli poveri e
prediligendo quelli sab-
biosi (è chiamata anche
“veccia delle sabbie”);
nei riguardi delle esigenze nutritive è simile alla V. sativa. Anche la tecnica
colturale non si discosta granché da quella descritta per la Veccia comune.
Il foraggio si utilizza generalmente allo stato fresco; può anche essere af-
fienato; per lo più si consocia con l’avena. Peso di 1000 semi: 35-45 g. La
dose di seme/ha si riduce a circa la metà rispetto a quella della V. comune.
Altra specie di veccia di un certo interesse pratico è la veccia di Narbona che
somiglia molto al favino; si distingue da questo per la presenza di un viticcio
terminale della foglia. Questa specie è meno produttiva della veccia comune
e della villosa e fornisce un foraggio grossolano. Inoltre, questa specie non
resiste molto ai freddi invernali ed è molto suscettibile alla peronospora e alle
ruggini.

Specie graminacee da erbaio autunno-primaverile


Le graminacee si caratterizzano per l’elevata produttività ma il loro foraggio
è grossolano, povero di proteine (8-10% sulla s.s.) e piuttosto ricco di fibra.
Le piante sono a portamento eretto, con buona resistenza all’allettamento
e, quindi, adatte per erbai in coltura pura facilmente meccanizzabili oppure
come componenti dei miscugli a sostegno delle leguminose. La grossolanità
dello stelo e la sua maggiore durezza, con il procedere della maturazione,
hanno sempre costretto a raccolte piuttosto anticipate per evitare vistose
riduzioni di appetibilità del foraggio e conseguenti perdite per scarti alla man-
giatoia. Le attuali possibilità di meccanizzazione con trinciatura diretta in
campo hanno notevolmente ridotto l’importanza di questo fattore.

Avena (Avena sativa L.)


L’Avena è una pianta annua cespitosa, eretta, con culmi lisci o scabri. Foglie a
lamina allargata più o meno scabra, Pannocchia terminale lunga, aperta, rada.
Il frutto è una cariosside allungata, rivestita da glumette che ad essa aderiscono
anche dopo la trebbiatura; solo in una specie (Avena nuda L.) dopo la trebbia-

97
tura le cariossidi perdono le glumette. Il peso di
1000 semi oscilla da 20 a 40g.
L’avena preferisce i climi umidi, temperati ad
inverno non troppo rigido ed estate non molto
calda. Predilige terreni fertili e rifugge i terreni
poveri e ricchi di scheletro. Oltre che come col-
tura da granella, è largamente impiegata come
specie foraggera per la costituzione di erbai mo-
nofiti con sfalcio alla spigatura (fieno) o alla ma-
turazione latteo-cerosa della granella (silo) o di
erbai consociati con veccia, pisello da foraggio,
favino, trifoglio incarnato ecc. Dose di seme con-
sigliata per la coltura di erbaio in purezza: 100-
150 kg/ha. La coltura fitta viene praticata in caso
di pascolamento invernale dell’erbaio. Quando
entra nella costituzione di erbai misti, la percentuale di avena nel miscuglio di
semina, a motivo dell’alto potere competitivo di questa specie, non deve essere
superiore al 20-25% della dose di seme complessiva.

Loiessa (Lolium multiflorum Lam.)


Originatasi probabilmente dall’incrocio tra Lolium perenne L. e Lolium temulen-
tum L., è nativa del bacino del Mediterraneo, del Medio-oriente e del Nord-Afri-
ca. E’ una specie cespitosa, assai più del L. perenne, dal quale differisce per la
taglia più alta (80-110 cm ed oltre), per un maggior numero di fiori per spighet-
ta, per le glumette esterne aristate e per la minore
durata (da annuale a biennale). Pianta adatta ai
terreni freschi, neutri, calcarei; resistente al freddo,
ma meno del L. perenne. Poco resistente alla sicci-
tà estiva prolungata. La loiessa, detta anche loglio
o loietto italiano (da non confondere con il loietto
inglese o perenne che è una foraggera perma-
nente), è una graminacea di tipo prativo che trova
utilizzazione come foraggera da erbaio autunno-
primaverile. Sono disponibili forme di tipo annuale
classificate come Lolium multiflorum Lam. subsp.
westerwoldicum Mansh. e Lolium multiflorum su-
bsp. italicum A. Br. alla quale appartengono i logli
di origine italiana derivati dalla cosiddetta “loies-
sa delle marcite lombarde”. I primi, di più rapido
accrescimento, sembrano più idonei per gli erbai

98
mentre i secondi dovrebbero essere preferiti nella formulazione dei miscugli per
prati polifiti con lo scopo di aumentare la produzione nei primi anni. Peso di 1000
semi: 2 g circa. Dose di seme consigliata per la coltura da erbaio in purezza: 30-
40 kg/ha. Se consociato con leguminose, come per l’avena, costituisce circa il
20% in peso del miscuglio di semina.

Orzo (Hordeum vulgare L.)


Pianta annua a culmi eretti e
foglie a lamina lanceolata, guai-
ne terminanti con auricole ben
sviluppate e avvolgenti il culmo.
Spighe formate da spighette
uniflore per lo più aristate e ca-
riosside vestita. Peso di 1000
semi: 30-45g
L’orzo si adatta a tutti i tipi di ter-
reno ed è in grado di fornire rese
elevate anche nei terreni sciolti
e ricchi di scheletro. E’ una pianta alofila e, pertanto, vegeta bene nei terreni sa-
lini ed anche in condizioni di elevata aridità. L’orzo è una pianta prevalentemente
coltivata per la produzione di granella e meno utilizzata nella costituzione degli
erbai misti, per i quali si preferisce l’avena e, in misura minore, la loiessa.
Dose di seme consigliata per la coltura in purezza per l’erbaio da fieno o da silo
180-200 kg/ha. Quando è utilizzato nei miscugli, la dose di seme non deve su-
perare il 20-25% del peso complessivo.

Segale (Secale cereale L.)


E’ una specie originaria del-
l’Asia minore e del Caucaso.
Pianta annua, rustica, ver-
de-bluastro. Culmi flessibi-
li, eretti (80-160 cm) foglie
a lamina larga con guaina
lunga e priva di auricole e
ligula breve. Infiorescenza
a spiga, lunga 10-20 cm,
spesso ricurva e aristata;
cariosside nuda, cilindrica
di colore verdognolo. Peso
di 1000 semi: 20-30g. Fra

99
tutti i cereali, manifesta la maggiore resistenza ai freddi invernali e si
adatta a tutti i tipi di terreno compresi quelli ciottolosi, acidi e poveri di so-
stanze nutritive. Il foraggio è abbastanza scadente contenendo molta fibra
e diventa poco utilizzabile dopo la spigatura. La spiga, una volta matura,
sgrana facilmente.
Dose di seme consigliata per la coltura in purezza dell’erbaio da fieno o da silo
160-180 kg/ha.

Triticale (Tritico secale Witt.) Questa specie (Figura x) è stata ottenuta dal-
l’incrocio tra frumento e segale. Esistono triticali esaploidi (Triticum sp. x
Secale cereale L.), che sono quelli più stabili, e Triticali ottoploidi (Triticum
aestivum L. x Secale cereale L.) che sono geneticamente meno stabili. I tri-
ticali secondari si ottengono incrociando i triticali esaploidi con i triticali otto-
ploidi. Peso di 1000 semi: 35-45 g Il triticale si adatta a tutti i tipi di terreno. Le
caratteristiche più salienti sono rappresen-
tate da un’elevata rusticità e resistenza al
freddo e all’allettamento, ripresa primave-
rile e fioritura abbastanza precoci. L’utiliz-
zazione foraggera del triticale come erbaio
autunno-primaverile è in prospettiva abba-
stanza interessante per il foraggiamento
verde, e soprattutto per l’insilamento po-
tendosi contare su una maturazione lenta
e quindi su un’epoca di raccolta piuttosto
lunga. Allo stato attuale, tuttavia, le cono-
scenze sull’argomento, sono ancora piut-
tosto modeste e sembrano esistere delle
giustificate perplessità sulle caratteristiche
qualitative del foraggio (culmo lignificato
come la segale). Dose di seme consiglia-
ta per la coltura in purezza per l’erbaio da
fieno o da silo 180-200 kg/ha.

100
Specie leguminose da prato
Erba medica (Medicago sativa L.)
Pianta poliennale, alta fino a 80 cm, ad ap-
parato radicale fittonante, profondo; steli
prostrato-ascendenti o eretti; foglie alterne
trifogliate e dentate all’apice con la fogliolina
mediana picciolata; fiori in racemi ascella-
ri, numerosi, con corolla di colore variabile
dall’azzurro-biancastro al violetto; frutto: le-
gume spiralato polisperma, contenente 2-7
semi piccoli giallo-olivastri, reniformi. Peso
di 1000 semi: 2g.
I motivi che hanno determinato la grande
diffusione dell’erba medica nel mondo, con
esclusione delle aree caratterizzate da ter-
reni acidi e da climi molto freddi, possono
così sintetizzarsi:
1) elevate produzioni di foraggio rispetto ad
altre specie da prato avvicendato;
2) alto valore nutritivo dell’erba che supera quello di tutte le altre colture pratensi
ad eccezione del solo trifoglio ladino;
3) buona resistenza alla siccità ed alle basse temperature;
4) abbondanza di residui radicali che contribuiscono al miglioramento della fer-
tilità del terreno;
5) elevata capacità di fissazione dell’azoto atmosferico a beneficio della coltura
successiva;
6) capacità di utilizzare, per la presenza di un apparato radicale profondo, le
risorse idriche del sottosuolo e di mobilizzare elementi nutritivi dislocati nel ter-
reno al di fuori della portata delle radici di altre colture;
7) in coltura irrigua, è in grado di fornire, negli ambienti pugliesi, 5-6 tagli all’anno
con una produzione complessiva (media di un triennio) di 10-15 t/ha di biomas-
sa secca. In regime asciutto la produzione è fortemente legata all’andamento
climatico e l’utilizzazione prevalente è a prato-pascolo, costituito da un taglio a
fieno primaverile (4-6 t/ha di s.s.) e dal successivo ributto utilizzato per il pasco-
lamento degli animali. In condizioni favorevoli di piovosità primaverile è possibile
ottenere 2 tagli a fieno, entro il mese di giugno, anticipando il primo taglio. Seb-
bene venga spesso utilizzata nel miscugli con graminacee, la medica è preva-
lentemente coltivata come prato monofita da vicenda. Dose di seme consigliata
per il prato monofita: 30-40 kg/ha.
Tecnica colturale

101
Scelta della cultivar:
Le cultivar (varietà ed ecotipi) di erba medica, in funzione del periodo di dor-
mienza, si distinguono in: non dormienti, che vegetano anche d’inverno (adatte
ai climi con inverni miti); semidormienti (che evidenziano una buona resistenza
al freddo); dormienti (tipi molto resistenti al freddo) ma meno produttivi, Per gli
ambienti pugliesi è opportuno puntare sui tipi semidormienti.
Epoca e modalità di taglio dell’erba:
Numerose ricerche sperimentali hanno posto in evidenza che l’epoca migliore del
taglio, ai fini della produzione globale, è quella corrispondente all’inizio della fioritura
(comparsa dei primi fiori). Infatti, in tale stadio vegetativo: a) il foraggio contiene i
diversi elementi nutritivi in quantità quasi ottimale; b) buono risulta il livello delle riser-
ve nutritive dell’apparato radicale che sarà perciò in grado di soddisfare un pronto
ed uniforme accrescimento della parte aerea subito dopo il taglio; c) poco prima di
questo stadio la velocità di accumulo di sostanza secca decresce rapidamente per
cui non risulta conveniente ritardare ulteriormente il taglio. Molta importanza riveste
anche l’altezza dal terreno della barra falciante in considerazione del fatto che, al
momento del taglio, nuovi getti si sono già formati sulla corona della pianta ed hanno
raggiunto un’altezza di 3-5 cm; pertanto, è buona norma regolare su questi valori
l’altezza della barra falciante, Il 1° taglio, dopo il riposo invernale, va generalmente
effettuato alla comparsa dei bottoni fiorali, cioè, in epoca leggermente anticipata,
allo scopo di evitare un’esagerata competizione delle erbe infestanti presenti in no-
tevole quantità in quest’epoca, nel caso in cui (ed è la norma) non sia stato effettuato
il diserbo durante l’inverno (dicembre-gennaio). Se il grado d’infestazione non risulta
eccessivo ma le piante di medica manifestano sensibili danni da freddo, è buona
norma ritardare l’epoca del 1° taglio intorno al 50% di fioritura allo scopo di per-
mettere una graduale ripresa delle piante danneggiate; infatti, tagli anticipati, in tali
circostanze, finirebbero per l’indebolire ancor più le piante, determinando in breve
tempo un evidente diradamento del medicaio. Nelle zone più fredde, infine, è oppor-
tuno, dopo l’ultimo taglio autunnale, permettere un certo accrescimento di massa verde
(15-20 cm di altezza) allo scopo di favorire un discreto accumulo di sostanze di riserva
nell’apparato radicale e rendere così le piante più resistenti ai rigori invernali.

Sulla (Hedysarum coronarium L.)


Pianta della regione mediterranea, naturalizzata un pò dovunque in Sud-Europa,
viene coltivata come foraggera nell’Italia centro-meridionale, Sicilia e Sardegna,
Spagna, Portogallo, Grecia e Nord Africa. E’ una pianta erbacea perenne, alta 80-
120 cm, con apparato radicale fittonante assai sviluppato; fusto cavo e fistoloso, a
portamento prostrato ascendente; Il frutto (lomento) consta di 2-4 segmenti appiat-
titi, spinosi; seme discoidale di colore giallo più o meno chiaro. Peso dei 1000 semi:
4.5 g se sono nudi e 9 g se sono vestiti.

102
La sulla è pianta dei climi ad
inverno mite, si adatta ai ter-
reni profondi anche fortemen-
te argillosi e calcarei; non si
adatta invece, ai terreni acidi,
salini e poveri di calcare. E’
considerata una pianta pio-
niera dei terreni fortemente
argillosi e calanchivi e, in vir-
tù del suo apparato radicale
profondo e robusto, frena il
fenomeno erosivo. In Puglia
la sulla vegeta durante tutto
il periodo invernale e il ritmo di crescita aumenta rapidamente in corrispondenza
della fioritura. Nel periodo estivo, per il suo fotoperiodismo (brevidiurna) e per
l’elevata temperatura, la pianta entra in fase di riposo. La mancanza di umidità
non è determinante per la quiescenza e l’irrigazione estiva si rivela, perciò, di
scarsa utilità. In seguito, con il sopraggiungere delle prime piogge autunnali, la
pianta riprende l’attività vegetativa, iniziando il secondo anno del ciclo. La rige-
nerazione autunnale del sulleto è dovuta sia al ricaccio delle piante dell’anno
precedente, che in questo caso si comportano come perenni, sia alla nascita di
nuove piante dai semi duri prodotti in anni precedenti e nel frattempo divenuti
germinabili, nel caso delle leguminose annuali autoriseminanti.
Utilizzazione e qualità del foraggio di sulla: negli ambienti semi-aridi meridionali
le modalità di utilizzazione prevedono sia il pascolamento che il taglio a fieno,
secondo criteri d’intervento localmente diversi in funzione anche delle esigenze
aziendali. Nella maggior parte delle situazioni, comunque, tale tecnica consiste
in un taglio a fieno nella primavera del 1° anno, nel pascolamento del ricaccio
autunnale fino ai primi di febbraio, in un taglio a fieno del ricaccio primaverile del
2° anno ed, infine, nel pascolamento di modesti ricacci dopo la fienagione. Tale
tipo di utilizzazione non soddisfa adeguatamente le esigenze di un rifornimento
foraggero stabile nel tempo. Infatti, la sulla viene sfalciata ad uno stadio fenolo-
gico avanzato, in quanto la fase biologica ottimale in grado di massimizzare la
produttività e la qualità della coltura, viene generalmente raggiunta in un periodo
in cui non è possibile realizzare la fienagione a causa dei ricorrenti eventi pio-
vosi. La conservazione con l’insilamento, non è una pratica frequente e risulta
ampiamente effettuata in Tunisia dove “fasce” di sulla e di avena vengono colti-
vate alternativamente; lo sfalcio effettuato perpendicolarmente rispetto ad esse
consente di mescolare bene il foraggio delle due specie già nel carro di raccolta,
operazione che risulterebbe difficile nel silos. La sulla può essere pascolata a

103
fondo ma con un ampio intervallo tra un pascolamento e il successivo, cercando
di non danneggiare eccessivamente la corona con il calpestamento degli anima-
li. È una delle pochissime piante, fra le leguminose, che non presenta problemi
di meteorismo per gli animali al pascolo. La sulla fornisce un’elevata quantità di
foraggio se si effettua il taglio all’inizio della fioritura. Tagli più ritardati determina-
no una rapida lignificazione degli steli con sensibile perdita del valore nutritivo.
Un buon sulleto dura mediamente 2 anni e, con il taglio a fieno primaverile,
produce 40-60 t/ha di foraggio fresco per anno. Dose di seme da impiegare in
semina pura: 40-60 kg/ha di seme nudo e 200 kg di seme vestito.

Lupinella (Onobrychis viciifolia Scop.)


E’ una pianta erbacea perenne alta 40-80 cm, dotata di
apparato radicale fittonante molto robusto; steli grossolani,
ramificati, più o meno cavi, verdi con venature rossastre,
a portamento da prostrato a eretto; foglie alterne, impa-
ripennate, con 6-14 paia di foglioline ovato-oblunghe; in-
fiorescenza ascellare, con numerosi fiori rosa o rossastri
con venature più scure, riuniti in racemi portati da lunghi
peduncoli;
La lupinella è una pianta tipica degli ambienti a clima mite
dell’Italia centro-meridionale, adatta ai terreni di qualsiasi
natura, anche argillosi, purché permeabili, ma predilige
quelli calcarei, asciutti e sciolti. Normalmente viene coltivata nei terreni poco adatti
all’erba medica, della quale rappresenta una valida sostituta. Si distinguono 2 tipi di
lupinella: “comune” e “gigante”. Il primo fornisce, nell’anno, un solo e abbondante
taglio; il secondo, 2-3 tagli, in condizioni di buona umidità del suolo. Il tipo “comune”,
per il portamento prostrato e per la sua longevità, si presta meglio al pascolamento
La lupinella, come la sulla, è una specie idonea alla costituzione di prati monofiti ma, a
differenza di questa, è più longeva. Negli ambienti più freschi, l’utilizzazione prevalente
è il prato-pascolo con sfalcio a fieno effettuato alla fine della primavera e successivo
pascolamento dell’eventuale ributto nel periodo estivo-autunnale. Peso di 1000 semi: 15
g (nudi), 20 g (vestiti). Dose di seme da impiegare 60-80 kg/ha di seme nudo o 150-180
kg/ha di seme vestito. E’ preferibile effettuare la semina nel periodo autunnale per otte-
nere, già dal 1° anno, una buona produzione di foraggio con il taglio primaverile (15-25
t/ha di massa verde). Si adatta al pascolamento meglio dell’erba medica ma, rispetto a
questa e alla sulla, manifesta una maggiore difficoltà d’insediamento.

104
Bibliografia

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109.
CAZZATO, E., LAUDADIO, V., CORLETO, A. 1999. Influenza delle modalità di
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CORLETO, A., CAZZATO, E., A., ANNESE, V., DI FRANCIA, A., PROTO, V.,
2001. Prospettive di miglioramento agronomico degli erbai autunno-primaverili
nei territori delle Comunità Montane “Monti Dauni Meridionali”, “Ufita” e “Vulture”.
In ‘Il miglioramento delle risorse foraggere nei territori delle Comunità Montane
“Monti Dauni Meridionali”, “Ufita” e “Vulture”’. Opuscolo presentato al convegno
conclusivo del Progetto P.O.M. A13 – Miglioramento quanti-qualitativo delle pro-
duzioni bovine ed ovicaprine negli allevamenti semibradi dell’Appennino Dauno,
Irpino e Lucano. Castel Lagopesole (PZ), 14 novembre, Tip. Vigilante, Napoli:
22-56.

105
106
8- PROBLEMATICHE AGRONOMICHE
DELLE COLTURE FORAGGERE E DEL
MIGLIORAMENTO DEI PASCOLI IN PUGLIA
Eugenio Cazzato
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali – Facoltà di Agraria
Università degli Studi di Bari

Gli erbai ed i pascoli naturali costituiscono le fonti foraggere che contribuisco-


no in misura preponderante al fabbisogno foraggero della Puglia. Di seguito si
illustrano le principali pratiche agronomiche della coltivazione degli erbai, del
miglioramento dei pascoli e della raccolta e conservazione dei foraggi da erbaio
nella regione.

8.1 La coltivazione degli erbai


Come già riferito nel precedente capitolo, notevole è la diffusione delle foraggere
a ciclo autunno-primaverile.
Per quanto riguarda tali colture, le problematiche agronomiche meritevoli di
maggiore considerazione sono:
- scelta delle specie e del tipo di erbaio (in purezza od oligofita), la concimazio-
ne, la preparazione dei miscugli di semina, l’epoca e la densità di semina, la
modalità di utilizzazione dell’erbaio e la modalità di conservazione del foraggio.
P ascolo-erbaio   E rbaio 
M onofita  

M odalità di utilizzazione  
S celta delle specie  T ipo di erbaio  

A m biente pedoclim atico 
O ligofita 
 
T ipo  di  alleva m ento  ed 
Epoca organizzazione aziendale 

S em ina  C oncim azione 

M odalità di conservazione  
D ensità 

F ieno  S ilo  F ieno-silo  

Figura 1 – Principali aspetti agronomici della coltivazione


degli erbai autunno-primaverili in Puglia.

107
Molte delle problematiche suddette sono influenzate dalle caratteristiche pedo-
climatiche dell’ambiente in cui è situata l’azienda, dal tipo di allevamento (ovica-
prino o bovino) e dall’organizzazione aziendale (allevamento bovino con animali
al pascolo o no) (Figura 1).

Scelta del tipo di erbaio. L’erbaio autunno-primaverile viene generalmente colti-


vato per la produzione di fieno, silo o fieno-silo, destinati a costituire le scorte di
foraggio da utilizzare nei periodi di mancanza di foraggio verde. In molte aree
della Puglia, l’utilizzazione degli erbai autunno-primaverili varia soprattutto in
relazione a specifiche esigenze aziendali e alle tradizioni locali. Generalmente
questi erbai vengono coltivati per la produzione di fieno. Tuttavia, in alcune aree
(Murgia barese e tarantina ad es.), è pratica comune la tecnica del pascolamen-
to invernale, con sospensione tra metà o fine marzo per consentire il ricaccio,
che viene successivamente affienato. Le sperimentazioni condotte in ambiente
mediterraneo hanno evidenziato la tendenza degli erbai, sia puri che misti, ad
una maggiore produttività, se coltivati per la sola produzione di fieno (erbaio
indisturbato), rispetto a quelli utilizzati durante il periodo invernale con il pasco-
lamento destinando il ricaccio a fieno (pascolo-erbaio).
Si preferisce comunque
la tecnica del pascolo-
erbaio, in particolare
dell’erbaio misto, per
la miglior distribuzione
dell’erba nel corso del-
l’anno, la riduzione dei
costi di produzione, la
maggiore disponibilità
di foraggio verde per
l’animale, derivanti dal
pascolamento del be-
stiame, anche in aree
Figura 2 – Confronto fra produttività degli erbai indisturbati e
dove i pascoli naturali
pascolati nell’Italia meridionale
sono abbastanza diffusi,
ma per le forti condizioni di degrado non sono in grado di assicurare una buona
distribuzione e qualità dell’erba nel corso della stagione vegetativa.
La scelta delle specie e delle varietà, così come la preferenza da accordare
all’erbaio in purezza od oligofita, sono in funzione di numerosi fattori, tra i quali
l’ambiente pedoclimatico e il tipo di utilizzazione dell’erba assumono un’impor-
tanza preminente. Negli ambienti più favorevoli risulterà indifferente puntare
sull’erbaio monofita od oligofita perché entrambi potranno assicurare rese ele-

108
vate e costanti nel tempo. In queste situazioni potrà risultare conveniente colti-
vare una specie graminacea (avena, orzo, triticale, loiessa, fumento tenero) o
un erbaio formato da due-tre specie (veccia comune-avena o veccia comune-
trifoglio incarnato-avena). Con l’erbaio di sole graminacee si potrà spingere la
concimazione azotata per elevare
le rese di sostanza secca e si potrà
anche puntare sulla coltura dell’er-
baio con raccolta alla maturazione
latteo-cerosa della granella. Que-
sto tipo di coltura, rispetto all’er-
baio raccolto alla spigatura/fioritura
e da destinare alla produzione di
fieno, è in grado di fornire un ele-
vato numero di U.F (4.000- 6.000
U.F./ha) sensibilmente superiore a
Figura 3 – Erbaio misto veccia-avena quello dello stesso erbaio (orzo o
triticale ad esempio) raccolto alla
spigatura (2.000 – 3.500 U.F./ha). Circa la scelta delle specie e varietà da utiliz-
zare all’impianto di erbaio–silo, ricerche svolte in ambienti diversi evidenziano la
convenienza a coltivare l’orzo, il frumento tenero o il triticale (quest’ultimo risulta
in continua espansione) che sono in grado di fornire produzioni di massa verde
nella fase della maturazione latteo-cerosa della granella, variabili da 15 a 35
t/ha a seconda delle condizioni pedoclimatiche
di coltivazione.
L’erbaio da fieno è generalmente costituito da
due-tre specie, una graminacea (avena, orzo,
loiessa) e due leguminose (veccia e trifoglio in-
carnato o trifoglio alessandrino).
Molto importante risulta nel caso dell’erbaio da
fieno oligofita, la preparazione del miscuglio di
semina. Come già accennato in precedenza,
gli erbai di questo tipo più diffusi sono: vec-
cia-avena, trifoglio incarnato-avena, trifoglio
incarnato-veccia-avena, trifoglio alessandrino–
avena-orzo. Tuttavia, recenti ricerche pongono
in evidenza l’utilità di utilizzare nel miscuglio di
semina il triticale che permette un ottimo pro-
lungato pascolo e anche la loiessa che dopo lo
sfalcio a fieno, in condizioni di buona umidità
di terreno, fornisce un ulteriore pascolamento; Figura 4 – Erbaio misto avena-trifoglio

109
ottima a tal fine risulta al consociazione di questa specie con il trifoglio alessan-
drino, anch’esso come la loiessa dotato di buona capacità di ricaccio dopo il
taglio a fieno. La dose complessiva di seme da adottare per ettaro risente molto
delle condizioni pedoclimatiche in cui si opera, ma è anche legata al tipo di uti-
lizzazione dell’erbaio.
Facendo il caso di un erbaio veccia-avena, laddove l’erbaio non viene pasco-
lato, è consigliabile adottare una dose complessiva di seme compresa tra 80 e
120 Kg/ha mentre nel caso di pascolamento invernale è opportuno aumentare
sensibilmente la dose di seme a 140-160 kg/ha allo scopo di ottenere a emer-
genza ultimata un manto uniforme per permettere un sollecito pascolamento
da parte del bestiame .
Composizione del miscuglio. Circa i rapporti di semina tra le specie formanti
il miscuglio, le ricerche svolte evidenziano risultati spesso contraddittori. In linea
generale si può affermare che la percentuale delle graminacee, notoriamente
più aggressive delle leguminose, dovrà essere compresa tra il 20 e il 40 % del
totale del miscuglio di semina. In genere i miscugli maggiormente adottati sono
quelli avena-veccia. Nella tabella si riportano indicazioni circa la dose di seme,
la composizione del miscuglio e la produttività di diversi erbai in 3 differenti am-
bienti dell’Italia meridionale.

Tabella 1 – Contributo specifico e produttività di 8 differenti miscugli in


erbaio autunno-primaverile in 3 areali meridionali
M.ti Dauni Meridionali Ufita Vulture Media
miscugli dose seme  Contrib.spec. prod.  Contrib.spec. Contrib.spec. prod.  Contrib.spec.
prod. s.s. prod. s.s.
(*) leg. gram s.s. leg. gram leg. gram s.s. leg. gram
(kg/ha) (%) (t/ha) (%) (t/ha) (%) (t/ha) (%) (t/ha)
veccia comune+ avena 150 48 41 8,7 64 19 11,2 75 15 9,0 62 25 9,6
t.squarroso+avena 60 54 41 8,3 39 31 9,8 92 7 8,6 61 26 8,9
t.squarroso+loiessa 60 56 35 6,2 44 31 9,0 92 2 9,9 64 23 8,4
t.alessandrino+avena 60 39 43 6,9 34 43 8,0 48 20 8,5 40 35 7,8
t.alessandrino+loiessa 60 50 27 5,8 14 48 10,1 45 5 7,7 36 27 7,8
orzao esastico 200 94 9,2 89 9,6 65 4,7 83 7,8
t.incarnato+loiessa 60 51 35 9,4 8 53 6,2 60 15 5,5 40 34 7,0
t.incarnato+avena 60 43 43 6,2 39 24 9,5 50 18 5,4 44 28 7,0
veccia comune+ loiessa 120 58 29 5,7 34 33 9,0 88 2 5,8 60 21 6,9
triticale 200 70 6,8 56 8,9 60 2,3 62 6,0

media miscuglicon avena 46 42 7,5 44 29 9,6 66 15 7,9 52 29 8,3


media miscugli con loiessa 54 32 6,8 25 41 8,6 71 6 7,2 50 26 7,5
Media 50 37 7,2 35 35 9,1 69 11 7,6 51 27 7,9

* nelmiscugliosi è adottato un rapporto pari al70% per leleguminose,30% per le graminacee

 
Epoca di semina. La tempestività dell’epoca di semina è fondamentale per la riu-
scita dell’erbaio autunno-primaverile. In linea generale questa è compresa tra la fine
di agosto e l’inizio di settembre, quando la modalità di utilizzazione prevista è quella
del pascolo-erbaio mentre per l’erbaio indisturbato e per quelli di sole graminacee

110
(ferrane) la semina può effettuarsi durante tutto il mese di ottobre.
Notevole importanza assumono, nella scelta delle specie e delle cultivar che
compongono il miscuglio, il loro grado di precocità ed il ritmo di accrescimento.
Ad esempio tra le graminacee l’orzo, oltre ad essere la specie più precoce come
ciclo vegetativo, evidenzia una maggiore vivacità di accrescimento invernale ri-
spetto all’avena. Analoga attitudine presentano la loiessa ed il triticale. Tra le le-
guminose la veccia comune, rispetto ai trifogli annuali (t. incarnato, t. squarroso
e t. alessandrino), ha un maggiore accrescimento invernale mentre questi ultimi
risultano più vivaci durante il periodo primaverile e maggiori capacità di ricaccio
quando sottoposti a pascolamento invernale. La veccia villosa risulta utile nel
miscuglio di semina, perché in piccole dosi (5-10%) offre un notevole contributo
alla massa verde totale prodotta senza arrecare particolari difficoltà alle opera-
zioni di raccolta.
Nelle aziende di maggiori dimensioni è possibile attuare un vero e proprio ca-
lendario di utilizzazione dell’erba nel periodo invernale e primaverile facendo
ricorso ad erbai in purezza di graminacee, in grado di fornire l’erba nel periodo
invernale e ad erbai misti di graminacee e leguminose, più produttivi nei periodi
autunnali e primaverili.

Concimazione. La concimazione minerale fosfo-azotata rimane uno dei mezzi più


sicuri per incrementare la produzione. Molti agricoltori hanno purtroppo la tenden-
za a effettuare modesti interventi fertilizzanti nei confronti di queste colture. Tale
atteggiamento si può giustificare solo nelle annate molto siccitose. Tuttavia è bene
rammentare che azoto e fosforo assumono una fondamentale importanza nell’ac-
crescimento delle piante. Ricerche svolte in tal senso hanno evidenziato una buona
efficacia dell’azoto nella dose di 80 Kg/ha; per quanto riguarda il fosforo, questo
elemento in presenza di azoto, favorisce un vigoroso accrescimento della legumi-
nosa, migliorandone l’effetto competitivo e fornendo così un foraggio più equilibrato
dal punto di vista qualitativo. Perciò, salvo particolari condizioni pedoclimatiche, è
necessario intervenire con perfosfato o altro concime fosfatico o fosfo-azotato in
modo da fornire alla coltura non meno di 40-60 unità di fosforo e 60-80 unità di azo-
to, utilizzando ad esempio, in dosi opportune, il fosfato biammonico alla semina e
urea o nitrato ammonico in copertura verso la fine di gennaio.

8.2 Miglioramento dei pascoli


Per molte aree marginali della Puglia il pascolo, insieme al bosco, rappresen-
ta uno dei mezzi più razionali di utilizzazione dei territori collinari e montani in
quanto, riducendo l’erosione, contribuisce in maniera marcata alla stabilità del
suolo, oltre a fornire una buona produzione foraggera. La distribuzione della
produzione nel corso dell’anno è però notevolmente influenzata dalle condizioni

111
pedoclimatiche e dall’altitudine. In Puglia
si possono identificare 2 differenti curve
di crescita dell’erba (Figura5). La prima è
tipica delle aree poste a quota più bassa,
non oltre i 500-600 m s.l.m., caratterizzate
da un clima tipicamente mediterraneo dove
le specie prevalenti sono annuali; alle alti-
tudini più elevate l’attività vegetativa è più
accentuata nel periodo primaverile-esti-
vo, a motivo della maggiore piovosità e di
temperature meno elevate che favoriscono
l’insediamento di specie graminacee e le-
guminose perenni.
Numerosi sono i metodi per ottimizzare l’uti-
lizzazione del pascolo, la produzione totale
di biomassa e la sua migliore distribuzione
Figura 5 – Curve di crescita dell’erba nei
nel corso della stagione vegetativa. Essi
pascoli meridionali vengono distinti in mezzi di miglioramento
indiretti (recinzione, approvvigionamento
idrico, costruzione di strade di accesso) e diretti (riposo del pascolo, la conci-
mazione minerale, l’introduzione di arbusti foraggeri, la semina di idonee specie
foraggere).

Il riposo del pascolo e la scelta del carico di bestiame. Il ricorso a un periodo


più o meno prolungato di riposo del pascolo, è dettato dalla necessità di favorire
un accumulo, nell’apparato radicale delle piante, di sostanze di riserva sufficienti
per un rapido ricaccio o per permettere la disseminazione naturale delle specie.
Il riposo prolungato, non sembra trovare valida giustificazione anche alla luce
di recenti ricerche. Più proponibile sembra, invece, il riposo turnato o turno di
pascolamento, attuato nell’arco di una stagione mediante recinzione di appez-
zamenti di adeguata ampiezza. In questo caso, il turno di pascolamento può
variare dai 50-60 giorni per le zone a prevalente pascolo autunno-primaverile,
durante i mesi invernali, ai 20-30 giorni nei mesi primaverili e autunnali. Nelle
zone a maggiore altitudine e latitudine il turno di pascolamento tende ad allun-
garsi con il progredire della stagione secca. Nei casi più difficili di clima e di ter-
reno sembra sconsigliabile ipotizzare turni di pascolamento, essendo il periodo
di intensa attività vegetativa limitato ad 1-2 mesi nell’intero anno.
Il carico ottimale è strettamente legato alla produttività del pascolo, al relativo
coefficiente di utilizzazione e alle esigenze alimentari del bestiame. Tenendo
conto che la produzione stagionale dei pascoli pugliesi oscilla tra 400 e 1.500

112
U.F., si può stabilire il carico ottimale dei capi provvedendo, però, per i periodi
di improduttività, a integrare il fabbisogno alimentare con scorte di foraggio otte-
nute da colture falciabili, oppure ricorrendo al mercato per l’acquisto del fieno e
dei concentrati. Per quanto riguarda, infine, il tempo di permanenza degli animali
nello stesso lotto di pascolamento (carico istantaneo), è consigliabile osservare
un periodo non superiore ai 2-3 giorni allo scopo di evitare che a breve intervallo
la stessa pianta venga recisa due volte, danneggiando i giovani germogli del
ricaccio, specialmente quando l’erba è in fase di attiva vegetazione.

La concimazione minerale
Rappresenta in molti casi l’unico intervento agronomico proponibile e di facile attua-
zione. Come orientamento generale è
preferibile intervenire con apporti bina-
ri fosfo-azotati. A questo fine il fosfato
biammonico risulta un eccellente fertiliz-
zante da utilizzare in autunno con l’ag-
giunta, nelle condizioni migliori, di urea,
da distribuire alla fine dell’inverno. Circa i
quantitativi di elementi nutritivi da appor-
tare al pascolo non esistono ricette pre-
cise da prescrivere. E’ bene, in tutti i casi,
evitare, per ovvie ragioni di costo, inutili
sciupii. Nei pascoli migliori, caratterizzati
da andamento climatico fresco e piovo- Figura 6 – Atriplex halimus L. (sopra)
so nel periodo primaverile-estivo, risul- Figura 7 – Medicago arborea (sotto)
tati soddisfacenti sono stati ottenuti con
apporto di almeno 100-120 kg/ha di ani-
dride fosforica ed altrettanti di azoto. In
presenza di minore piovosità e di terreni
poveri è prudente ridurre sensibilmente
le suddette dosi. Esperienze condotte in
Puglia hanno evidenziato buoni risultati
produttivi con la somministrazione, a fine
autunno, di 40 kg/ha di N e 60 kg/ha di
P2O5; è stato anche osservato un buon
effetto residuo nei due anni successivi.

Introduzione di arbusti foraggeri


Una possibilità di miglioramento del-
la produzione foraggera dei pascoli

113
è rappresentata dalla possibile utilizzazione di specie arboree ed arbustive quale
fonte sussidiaria di alimentazione del bestiame nel periodo estivo, quando, gene-
ralmente, l’accrescimento dell’erba si arresta. Tra le numerose specie provate in
Puglia, è emerso il buon adattamento di alcune di esse quali: Atriplex halimus L. (Fi-
gura 6), Medicago arborea L. (Figura 7), Coronilla emerus L., Robinia pseudoacacia
L., Ulmus pumila L. e Prunus mahaleb L.
Medicago arborea risulta più idonea per le condizioni di clima mediterraneo perché
caratterizzata da accrescimento invernale e da stasi estiva e non è molto resistente
al freddo invernale. Le altre due specie arbustive sempreverdi (Atriplex halimus e
Coronilla emerus) manifestano una maggiore resistenza ai rigori invernali e possono
essere introdotte anche alle maggiori altitudini. Tra le specie arboree caducifoglie,
Robinia pseudoacacia L., Ulmus pumila L. e Prunus mahaleb L., sono in grado di
offrire una buona biomassa derivante dal ributto che segue la ceduazione di piante
di almeno 5-6 anni di età, effettuata alla fine dell’inverno.
Da esperienze effettuate in Puglia è emerso che la probabilità di ottenere un buon attec-
chimento ed una buona produzione di queste specie, risulta più elevata in terreni arabili
marginali che non nei pascoli naturali dove le difficoltà delle operazioni colturali necessa-
rie per l’impianto aumentano sensibilmente. Un arbusteto razionale dovrebbe contenere
600-800 piante/ha disposte in file binate con distanza tra le piante di circa 2 m e distanza
tra le bine di 10-15 m realizzando, nell’interbina, un cotico erboso.

Semina di specie foraggere


In questa sede verranno brevemente illustrate solo alcune specie leguminose
annuali con spiccata attitudine autoriseminante che, in numerose esperienze
svolte in ambiente mediterraneo, si sono segnalate per l’elevata capacità di in-
sediamento e di produzione in molte aree pascolive.

Trifoglio sotterraneo
(Trifolium subterraneum L.)
Esistono nell’ambito di tale specie 3 va-
rietà botaniche o sottospecie:
- subterraneum, adatto a terreni tenden-
zialmente acidi;
- brachycalycinum, adatta per terreni
neutri o tendenzialmente alcalini
- yanninicum, che vegeta bene in terreni
umidi e acquitrinosi.
Il trifoglio sotterraneo pertanto si adatta a Figura 8 – Trifoglio sotterraneo

tutti i tipi di terreno e, in funzione del pH e del grado di umidità, si può far ricorso alla
sottospecie più adatta alla particolare situazione edafica. In commercio esistono di-

114
verse cv, importate prevalentemente dall’Australia, ma da qualche anno ottenute in
Italia. Per gli ambienti pugliesi, dove i terreni sono neutri o tendenzialmente alcalini,
la sottospecie più adatta è brachycalycinum, nell’ambito della quale, la varietà che
ha sempre fornito i risultati migliori è ‘Clare’ di provenienza australiana. Abbastanza
simile a questa, come adattamento e produzione, è la cv italiana ‘Antas’. Per la
sua preziosa caratteristica di autorisemina, questa specie, se ben utilizzata, diventa
perennante e può risultare utilissima per il miglioramento del cotico erboso dei pa-
scoli naturali e dei terreni arabili, dove è difficile operare speditamente con i mezzi
meccanici. Il t. sotterraneo, per la sua velocità di accrescimento e per il portamento
prostrato, è in grado di ricoprire rapidamente la superficie di terreno, formando così,
un ottimo cotico erboso, utile per il pascolamento del bestiame di ogni tipo. La dose
di seme per la costituzione di un pascolo artificiale è di 40 kg/ha.
Epoca di semina consigliata: settembre - ottobre
Dalle numerose esperienze condotte nell’ambiente mediterraneo, il t. sotterraneo
si è sempre dimostrato un’ottima pianta miglioratrice dei pascoli perché in grado
di aumentare considerevolmente la biomassa totale fruibile da parte dell’animale
e di estendere il periodo di pascolamento migliorando, nel contempo, la qualità
dell’erba.
Mediche annuali (Medicago spp.). Nel genere Medicago esistono numerose
specie annuali, originarie dell’areale mediterraneo, che sono molto diffuse nei
pascoli dell’Italia meridionale dove forniscono un concreto contributo alla pro-
duzione del cotico erboso. Generalmente prediligono terreni di origine calcarea
con pH alcalino; talvolta sono presenti anche su terreni tendenzialmente acidi.
Solo recentemente sono state selezionate, in Australia e negli U.S.A., varietà di
diversa precocità e produzione, utilizzate come specie da pascolo o per la co-
pertura invernale del terreno contro l’erosione o per l’arricchimento in azoto dello
stesso a vantaggio della coltura successiva. In Italia, queste specie sono tuttora
poco conosciute ma possono trovare utile applicazione per il miglioramento dei
pascoli e per la conservazione del suolo nei terreni fortemente calcarei ed alca-
lini dove i trifogli evidenziano generalmente difficoltà d’insediamento e di accre-
scimento. Le specie di maggiore interesse agronomico per l’Italia meridionale,
sembrano essere:
- Medicago polimorfa (Medicago polymorpha L.) è la specie più diffusa in tutto il
territorio dell’Italia centro-meridionale. Si adatta a tutti i tipi di suolo, preferendo quelli
ricchi di calcare e a pH alcalino. Presenta un’elevatissima percentuale di semi duri.
In Australia, dove viene coltivata in rotazione con il frumento duro (ley farming),
questa caratteristica risulta vantaggiosa perché permette di coltivare nel 2° anno il
frumento duro senza un’eccessiva competizione con la leguminosa. In commercio
esistono le seguenti varietà: ‘Anglona’, ‘Circle Valley’, ‘Santiago’.
- Medicago truncatula (Medicago truncatula Gaertner) Esistono in commercio le

115
seguenti varietà: ‘Borung’, ‘Jemalong’, ‘Hannaford’, ‘Sephy’, ‘Ascot’, ‘Cyfield’, ‘Mo-
gul’, ‘Paraggio’. Per quanto concerne gli aspetti agronomici si può fare riferimento al
trifoglio sotterraneo.
Nuove specie da pascolo per l’ambiente mediterraneo
Il mezzo più efficace per incrementare la produzione di s.s dei pascoli mediterranei
è, senza dubbio, costituito dall’utilizzazione di specie provenienti dalla flora sponta-
nea e sottoposte a miglioramento genetico prima di essere introdotte in coltura. Il
centro di ricerca australiano C.L.I.M.A. (Centre for Legumes in Mediterranean Agri-
colture) del Western Australia è, nel mondo, fra le strutture di ricerca più efficienti in
questo tipo di attività. Negli ultimi anni, dopo un intenso lavoro di ricerca, C.L.I.M.A.
ha immesso sul mercato nuove specie foraggere da pascolo in grado di fornire ec-
cellenti produzioni di biomassa (10-12 t/ha di s.s.) in aree caratterizzate da terreni
molto poveri e degradati e da scarsa piovosità (250-400 mm annui). In questa sede
si ritiene opportuno riportare, in sintesi, le caratteristiche botaniche ed agronomiche
più salienti di alcune specie (Biserrula pelecinus L., Ornithopus sativus Brot., Orni-
thopus compressus L.) ritenute di un certo interesse per le aree pascolive dell’Ap-
pennino meridionale.

Biserrula (Biserrula pelecinus L.) Biserrula


pelecinus si è affermata in Australia dopo che
è stato selezionato il rizobio specifico in grado
di accrescersi in ambiente acido. Si adatta a
suoli molto poveri e sabbiosi (dove è spesso
una delle pochissime leguminose presenti)
vegetando bene anche nei terreni di medio
impasto con valori di pH compresi tra 4,5 e
8,5; tollera molto bene lunghi periodi di siccità
grazie ad un apparato radicale fittonante mol-
to profondo (2 m) e circa 3 volte più esteso
Figura 9 – Biserrula
rispetto al trifoglio sotterraneo. In esperienze
australiane di pieno campo, con piovosità annuale di 400 mm, B. pelecinus raggiunge
produzione di s.s. pari a 10-12 t/ha con valori di proteina grezza del 24% sulla s.s. I semi
riescono in gran parte a sopravvivere alla digestione da parte degli animali al pascolo in
estate sul materiale secco di questa specie (soppie e legumi), per cui, il pascolamento
non pregiudica la banca del seme e la ricostituzione autunnale del cotico erboso (Figura
9). Dose di seme da utilizzare per la semina di un pascolo: 8-10 kg/ha, avendo cura di
interrare il seme ad una profondità inferiore ad 1 cm.
‘Casbah’ è l’unica varietà al mondo di biserrula; è una cv australiana, medio-pre-
coce, che fiorisce 105-110 gg dopo l’emergenza, caratterizzata da un’elevatissima
presenza di semi duri.

116
Serradella francese
(Ornithopus sativus Brot.)
E’ una pianta annuale (Figura 10), pu-
bescente, originaria delle regioni occi-
dentali del bacino del Mediterraneo.
Ornithopus sativus è particolarmente
adatta per suoli acidi e sabbiosi dove
altre leguminose annuali come il trifo-
glio sotterraneo e le mediche annua-
li stentano. Rifugge i terreni alcalini
e ricchi di CaCO3 che inibiscono la
simbiosi batterica e la crescita della Figura 10 – Serradella francese Brot.

pianta. A differenza di Biserrula pelecinus non presenta semi duri e, pertanto, dopo la
raccolta, non è necessaria la scarificatura. Se utilizzata come pianta da pascolo, i semi
disseminati assicurano l’anno successivo un eccellente cotico erboso. Non avendo
semi duri è soggetta alle “false partenze” causate da modeste piogge estive. In Australia
è stata selezionata una varietà medio-precoce (‘Cadiz’) che fiorisce a 105-110 giorni
dopo l’emergenza.
La produzione, con lo sfalcio alla fioritura, è pari a 8-10 t/ha di s.s., purchè siano assicu-
rati almeno 400 mm di pioggia annui.
Dose di seme: 20-40 kg/ha.
Serradella gialla (Ornithopus compressus L.)
Detta anche ornitopo o “piede d’uccello”, per la particolare disposizione dei baccelli
che richiamano questa forma, è una pianta
annuale (Figura 11) munita di apparato radi-
cale profondo (anche 2 m) con fusti ascen-
denti e pubescenti in alto. Come la serradella
francese, è un’ottima foraggera che colonizza
facilmente i terreni acidi e sabbiosi ma a dif-
ferenza di questa i semi sono duri (100%) e,
pertanto, il 2° anno è preferibile far succedere
una coltura cerealicola mentre dal 3° anno in
poi, il terreno può essere lasciato a pascolo per
più anni poichè la percentuale di seme germi-
nabile aumenta di anno in anno assicurando
un’ottima autorisemina. In Australia sono state
selezionate le cv Santorini e Charano che, a
differenza di precedenti varietà, hanno porta-
mento eretto. La produzione di s.s. si aggira
intorno a 10 t/ha con 400 mm di piovosità an- Figura 11 – Serradella gialla

117
8.3 La raccolta e con-
servazione del forag-
gio
Le tecniche di raccolta e
conservazione dei forag-
gi sono sostanzialmente
tre: fienagione tradizio-
nale o in due tempi, insi-
lamento e disidratazione
artificiale. In Puglia sono
utilizzati i primi due men-
tre il terzo viene impie-
gato a livello industriale
Figura 12 – Sfalcio con falcia- condizionatrice
per la produzione di erba
medica disidratata. La fienagione rappresenta il sistema più diffuso nella regio-
ne per la conservazione dei foraggi e consiste nel taglio dell’erba, successivo
essiccamento della stessa fino ad un valore di umidità non superiore al 20%,
andanatura attraverso l’utilizzo di ranghinatori, raccolta. Il processo di essicca-
mento può essere completato in modo naturale in campo (fienagione tradizio-
nale) oppure può essere condotto parzialmente in campo (pre-essiccamento)
e successivamente completato in modo artificiale in azienda (fienagione in due
tempi). Durante l’essiccamento in campo vengono condotte le operazioni di ri-
voltamento del foraggio, per accelerare ed uniformare l’essiccamento dell’erba
e di andanatura per consentirne la raccolta. Queste operazioni vengono ese-
guite con i ranghinatori, presenti in commercio in numerose varianti (a stella, a
pettine, ecc.). Le modalità operative di esecuzione di rivoltamento ed andana-
tura sono fondamentali
per ridurre le perdite di
fienagione e presuppon-
gono notevole sensibilità
ed esperienza dell’ope-
ratore per individuare
sia il momento ottimale
nell’arco della giornata
per l’esecuzione delle
operazioni (il mattino e
la sera se il foraggio è
quasi secco, le ore cen-
trali della giornata se il
foraggio è ancora umi- Figura 13 – Raccolta del foraggio in rotopresse

118
do) che la velocità di avanzamento della trattrice che determina l’intensità delle
sollecitazioni che subisce il foraggio.
La fienagione tradizionale comporta sempre delle perdite di sostanza secca
(s.s.) e di valore nutritivo che sono principalmente di tre tipi:
1) perdite di respirazione dovute alla respirazione endogena cellulare che si
verifica allorché il foraggio non raggiunge un’umidità di circa il 40%;
2) perdite meccaniche dovute al distacco di parti di pianta durante le operazioni
di rivoltamento, andanatura e raccolta;
3) perdite di fermentazione che si verificano durante la conservazione in fienile
e dipendono dall’umidità del foraggio al momento dello stoccaggio (per i fieni si
considerano ottimali valori di umidità inferiori al 18-20%).
Complessivamente, con una fienagione condotta in modo accurato, le perdite
di s.s. si aggirano intorno al 20-30% mentre in termini di valore nutritivo risul-
tano ancora più elevate (30-50%), considerando le perdite in zuccheri dovute
alla respirazione e l’eventuale fermentazione in fienile, e le perdite meccaniche
che interessano le parti più fragili (foglie e piccioli) notoriamente più ricche di
proteine e di valore nutritivo.
Per ridurre l’entità delle perdite si consiglia di utilizzare, in sostituzione delle
tradizionali falciatrici, le falciacondizionatrici che oltre ad effettuare l’operazio-
ne di taglio operano la schiacciatura dell’erba (soprattutto a carico delle parti
più grossolane come gli steli) accelerando il processo di essiccamento e ri-
ducendo, pertanto, i tempi di permanenza in campo del foraggio ed il relativo
rischio meteorologico. Una notevole riduzione delle perdite si ha anche con la
fienagione in due tempi che prevede il pre-essiccamento naturale in campo
fino ad un contenuto di umidità del 50% circa ed il successivo essiccamento
artificiale in fienile. Tuttavia, questa tecnica non ha incontrato, ad oggi, il favore
degli agricoltori a motivo degli elevati costi di impianto e di gestione di questa
tecnologia.

8.4 Insilamento
L’insilamento è un sistema di conservazione del foraggio, basato sulla fermen-
tazione spontanea operata da batteri lattici (batteri utili) che avviene in un fo-
raggio conservato in assenza di ossigeno, i quali metabolizzano gli zuccheri
fermentescibili del foraggio producendo acido lattico (preferito) ed altri acidi
organici quali acido acetico ed acido propionico che acidificano la massa. I
microrganismi capaci di deteriorare l’insilato (clostridi, muffe, lieviti, ecc.) sono
inibiti dall’effetto congiunto del basso pH, della pressione osmotica elevata ot-
tenuta da un giusto tenore di sostanza secca al momento dell’insilamento e
dalla contemporanea assenza di ossigeno.
Per l’ottenimento di un insilato di buona qualità sono importanti le seguenti

119
caratteristiche del foraggio da insilare:
- contenuto in sostanza secca (compreso tra 35 e 55%).
- contenuto di zuccheri fermentescibili (Z) e rapporto zuccheri proteine (Z/P)
- potere tampone
In generale le graminacee (orzo, triticale) presentano un elevato contenuto in
zuccheri, un favorevole Z/P ed un basso potere tampone, pertanto si prestano
ad essere insilate con relativa facilità, mentre le leguminose presentano un Z/P
piuttosto basso ed un elevato potere tampone; per queste ultime pertanto è
fondamentale aumentare il contenuto s.s. per assicurare il buon decorso della
fermentazione lattica ed ostacolare lo sviluppo di microrganismi degenerativi
della massa.
Nell’ambito degli insilati è possibile distinguere 4 categorie di prodotto, diffe-
renziati fondamentalmente in base al contenuto in sostanza secca del foraggio
alla raccolta:
- erba-silo (28 % di s.s.)
- insilato standard (35 % di s.s.)
- fieno-silo umido (45 % di s.s.)
- fieno-silo classico (55 % di s.s.)
L’erba-silo e l’insilato standard vengono prodotti in sili orizzontali a platea od a
trincea attraverso le seguenti fasi operative:

Per ottenere un insilato di qualità è


importante utilizzare alcune accor-
tezze quali:
- raccogliere il foraggio con il giusto
grado di maturazione, al fine di otte-
nere un idoneo tenore di s.s.
- trinciare il foraggio alla giusta lun-
ghezza a seconda del tipo di forag-
gio (in genere 7-20 mm)
- riempire rapidamente il silo, per
evitare l’insorgenza di fermentazioni
Figura 14 – Tecnica classica di insilamento indesiderate
- comprimere accuratamente la mas-
sa, fin dalle prime fasi, per eliminare quanto più possibile la presenza di aria
(effettuare il caricamento del silo in strati sottili utilizzando per la compressione

120
una trattrice di peso adeguato)
- chiudere ermeticamente il silo con teli di buona qualità (oggi sono disponibili
sul mercato film plastici con bassa permeabilità all’ossigeno, da preferire ri-
spetto ai classici film di poilietilene)
- appesantire adeguatamente ed uniformemente il silo dopo la chiusura (per
ridurre lo spessore del “cappello”, vale a dire la parte periferica dell’insilato, che
va incontro a fenomeni degradativi)
- lasciare sigillato il silo ermeticamente per 3-4 settimane al fine di ottenere una
buona stabilizzazione della massa.
Attualmente è in fase di espansione una tecnica di conservazione alternativa
alla fienagione rappresentata dal fieno silo, interessante per quelle aziende
medio-piccole che non trovano convenienza economica nella costruzione ed
utilizzazione della trincea. La produzione di fieno-silo in rotoballe fasciate è un
sistema di conservazione flessibile
che non richiede ingenti investimen-
ti in quanto è necessario l’acquisto
di una semplice macchina fasciatri-
ce da aggiungere ad una normale
rotoimballatrice per completare il
cantiere di raccolta. Con questo si-
stema di conservazione del foraggio
si ha la medesima semplicità opera-
tiva della fienagione ma si riducono
drasticamente le perdite che questa
comporta. Per le aziende di piccole
dimensioni può risultare convenien-
te ricorrere al contoterzismo. Figura 15 – Tecnica di produzione del fieno silo

121
Bibliografia

CORLETO, A., 1987. Gli erbai in Italia meridionale. Italia Agricola, 124, 2: 99-
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CAZZATO, E., LAUDADIO, V., CORLETO, A. 1999. Influenza delle modalità di
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il miglioramento dei pascoli nei territori delle Comunità Montane “Monti Dauni
Meridionali”, “Ufita” e “Vulture”. In ‘Il miglioramento delle risorse foraggere nei
territori delle Comunità Montane “Monti Dauni Meridionali”, “Ufita” e “Vulture”’.
Opuscolo presentato al convegno conclusivo del Progetto P.O.M. A13 – Migliora-
mento quanti-qualitativo delle produzioni bovine ed ovicaprine negli allevamenti
semibradi dell’Appennino Dauno, Irpino e Lucano. Castel Lagopesole (PZ), 14
novembre, Tip. Vigilante, Napoli: 74-94.
CORLETO, A., CAZZATO, E., A., ANNESE, V., DI FRANCIA, A., PROTO, V.,
2001. Prospettive di miglioramento agronomico degli erbai autunno-primaverili
nei territori delle Comunità Montane “Monti Dauni Meridionali”, “Ufita” e “Vulture”.
In ‘Il miglioramento delle risorse foraggere nei territori delle Comunità Montane
“Monti Dauni Meridionali”, “Ufita” e “Vulture”’. Opuscolo presentato al convegno
conclusivo del Progetto P.O.M. A13 – Miglioramento quanti-qualitativo delle pro-
duzioni bovine ed ovicaprine negli allevamenti semibradi dell’Appennino Dauno,
Irpino e Lucano. Castel Lagopesole (PZ), 14 novembre, Tip. Vigilante, Napoli:
22-56.

122
9- ASPETTI NUTRIZIONALI degli alimenti
di origine vegetale
ed esempio pratico di razionamento
Francesco Pinto
Dipartimento di Produzione Animale – Facoltà di Agraria
Università degli Studi di Bari

9.1 Introduzione
L’alimentazione degli animali è strettamente connessa al mondo vegetale in
quanto da essa trae l’energia ed i nutrienti per le funzioni vitali. A differenza delle
piante verdi, che fabbricano le sostanze organiche attraverso il processo foto-
sintetico, gli animali, essendo organismi eterotrofi, traggono il proprio nutrimento
da sostanze organiche più o meno complesse già esistenti. Come ogni essere
vivente, interagiscono con l’ambiente che li circonda per ottenere ciò che loro
necessita per svilupparsi, accrescersi e riprodursi. Il materiale per ottenere tutto
ciò è costituito dal mondo vegetale che, rappresentando un’entità molto vasta,
solitamente, per comodità di studio, viene distinto in:
- foraggi propriamente detti – di solito rappresentano l’alimento base, copren-
do la maggior parte del fabbisogno alimentare. Possono essere consumati fre-
schi (foraggi verdi) o dopo essiccazione per essiccamento (fieni) o per insila-
mento (foraggi insilati).
- mangimi concentrati – comprendono alimenti naturali di origine vegetale od
animale e residui industriali, caratterizzati dall’alta concentrazione in principi ali-
mentari, con basso contenuto in acqua. Possono essere ricchi di protidi digeri-
bili, altri di glucidi, alcuni anche di lipidi. Di solito non vengono impiegati da soli
nell’alimentazione degli erbivori ma si usano come integratori per bilanciare la
razione e sostenere le alte produzioni.
- prodotti complementari dei foraggi – comprendono svariati sottoprodotti
dell’industria e dell’agricoltura, caratterizzati dalla loro voluminosità e dal basso
costo. L’utilizzazione di questi prodotti paglie (Ciruzzi et al., 1987; Ciruzzi et
al.,1988a; Ciruzzi et al.,1988b; Ciruzzi et al.,1988c; Ciruzzi et al.,1989a; Ciruzzi
et al.,1989b; Ciruzzi et al.,1990; loppe, sarmenti di vite (Benatti et al., 1979;
Pinto et al.,1990), foglie d’albero (Marsico et al., 1995a; Marsico et al., 1995b;
Marsico et al., 1996; Marsico et al., 1998); mallo di mandorla (Pinto et al., 1992;
Vicenti et al., 1993), ecc.) come alimento per il bestiame ha un’importanza che
esorbita da quella dell’economia dell’azienda per assurgere a quella dell’econo-
mia alimentare della nazione, in quanto permetterebbe di aumentare il carico di
bestiame oppure di destinare una maggior quantità di terreno ad altre colture ad
altre destinazione.

123
Negli allevamenti, con l’eccezione di quelli allo stato brado, l’ambiente con il
quale interagire è quello pensato e creato dall’uomo, nel quale si integrano fat-
tori estranei pressoché inevitabili e imprevedibili. In una stalla, in un ovile o in
un allevamento di acquacoltura, l’ambiente non è naturale, ma è rappresentato
da tutte le variabili estranee all’animale stesso, ovvero, in particolare, patologie
latenti o conclamate, tecnologie utilizzate e, soprattutto, qualità, quantità e ca-
ratteristiche dell’alimentazione. Inoltre, un allevamento ha lo scopo di produrre
in modo economicamente conveniente, pertanto gli animali a destinazione zoo-
tecnica sono stati migliorati per le varie produzioni.

9.2 La valutazione qualitativa delle materie prime per l’alimentazione ani-


male
La produzione zootecnica è la risultante di un insieme di fattori, fra i quali l’ali-
mentazione gioca un ruolo preminente. Questo lo sanno bene nutrizionisti e
allevatori che giornalmente sono chiamati a risolvere il problema del raziona-
mento del bestiame ed a somministrare degli alimenti salubri e nutritivi al fine di
ottenere delle produzioni, latte e carne, in linea alle ultime normative della C.E.
e con il minor costo possibile.
Per assolvere a questo è necessario che l’allevatore conosca:
a) i fabbisogni nutritivi dei capi in allevamento in quel momento;
b) i principi nutritivi degli alimenti in dotazione;
c) la quantità di alimenti in grado di ingerire da parte dei capi allevati.
Per quanto riguarda il primo punto limitandosi ai fabbisogni di mantenimento
e di produzione, il problema non dovrebbe sussistere in quanto sappiamo con
precisione quali sono i valori che dobbiamo applicare, infatti sulla base della co-
noscenza di alcuni parametri quali specie, razza, peso ed età del capo allevato,
è possibile applicare i dati delle tabelle presenti nei manuali, sia se applichiamo
il sistema TDN (Total Digestible Nutrients) proposto agli inizi degli anni ’30 dai
tedeschi Wolf e Lehmann e dall’americano Forbes, modificato poi negli anni ’90
da Cornell per i ruminanti, sia applicando il sistema francese delle unità foragge-
re latte e carne (UFL, UFC).
Oltre a tali due sistemi esistono molte altre varianti ma, fondamentalmente, ci
si rifà sempre alle basi teoriche. Diventa in ogni caso fondamentale esprimere i
fabbisogni degli animali cui gli alimenti sono destinati negli stessi termini e nelle
stesse unità di misura.
Per quanto riguarda il punto b, generalmente foraggi non hanno la stessa con-
centrazione in termini di sostanze nutritive, in quanto queste variano secondo
l’ambiente dove sono state coltivate. Le temperature moderatamente calde – so-
prattutto notturne - aumentano il metabolismo dei foraggi in accrescimento; nelle
regioni a clima caldo, come può essere la Puglia, le piante accumulano pochi

124
carboidrati digeribili, mentre è abbondante la produzione di fibra. Al contrario, nei
climi freddi le foglie e gli steli accumulano carboidrati digeribili e proteine, per cui
le piante di queste regioni hanno un valore nutritivo più elevato. I vegetali utiliz-
zano la luce solare per produrre composti ad alta energia; lunghi periodi di nuvo-
losità o di scarsa illuminazione portano alla produzione di foraggi meno digeribili
di quelli prodotti in condizioni di elevata luminosità. Gli effetti dell’umidità del
suolo sono variabili: leggeri stress idrici rallentano la maturazione delle piante e
quindi non ne peggiorano il valore nutritivo; forti stress idrici, al contrario, cau-
sano sempre un aumento della fibrosità della pianta e la diminuzione del valore
nutritivo. La fertilità del suolo ha poca influenza sul valore nutritivo dei foraggi,
e leggeri cambiamenti sono talora evidenti solo nella loro dotazione in elementi
minerali. L’aumento della concimazione azotata provoca un incremento del te-
nore in proteina grezza, ma non influenza la digeribilità dell’erba; al contrario,
una eccessiva fertilizzazione azotata può talora aumentare il contenuto di nitrati
nelle piante. Per quanto riguarda la concentrazione proteica, la fibra, le tossine o
la presenza di altre sostanze dannose variano a seconda della specie vegetale
o della varietà. Le leguminose (trifogli, veccia, erba medica), hanno general-
mente concentrazioni più elevate di proteina rispetto alle graminacee, mentre in
queste ultime il tenore di fibra e zuccheri è maggiore; le graminacee annuali e
alcune infestanti possono avere contenuti elevati di nitrati. Con l’avanzare della
maturità, la percentuale di fibra (che è meno digeribile rispetto ad altre compo-
nenti nutritive) aumenta; ciò deprime la concentrazione di energia digeribile e
di energia netta della pianta. Inoltre, con l’avanzare della maturità della pianta,
l’incremento di fibra e - conseguentemente – di “ingombro” nel rumine, fa sì che
l’animale ingerisca sempre meno alimento. Le foglie - soprattutto di leguminose
- contengono più proteina ed energia digeribile degli steli; questi sono più ricchi
in fibra. Il rapporto foglie/steli peggiora con l’avanzare della maturità della pianta,
di conseguenza le condizioni di raccolta e di conservazione che consentono di
salvaguardare le foglie forniranno un foraggio più ricco in proteina ed energia.
Per quanto riguarda infine la raccolta, è noto che le cellule vegetali continuano
a respirare durante l’essiccazione, riducendo in tal modo la concentrazione di
energia digeribile residua della pianta.
La pioggia sul foraggio tagliato diminuisce la concentrazione di sostanze nutriti-
ve solubili e aumenta la perdita di foglie. Tecniche in grado di velocizzare l’essic-
camento, di diminuire il tempo di permanenza in campo e di ridurre le perdite di
foglie consentono di ottenere un prodotto a più elevato valore nutritivo. Bisogna
ottenere un foraggio con un tasso di umidità compreso tra intervalli precisi e
caratteristici di ogni prodotto:
- il fieno troppo umido perde energia e sostanza secca a causa del riscaldamen-
to e del danneggiamento indotto;

125
- insilati troppo umidi possono percolare e fermentare per periodi più o meno
lunghi, perdendo in tal modo le sostanze nutritive solubili;
- insilati troppo secchi favoriscono la crescita di muffe e il surriscaldamento.
Ancora più delicata è la valutazione degli alimenti, da effettuarsi attraverso un
compromesso tra l’accuratezza scientifica, l’applicabilità del momento ed il co-
sto. In generale si fa ricorso a metodi di determinazione fisici e chimici. Per
una corretta valutazione degli alimenti - soprattutto se di origine aziendale (fieni,
erbe, insilati) è consigliabile utilizzare entrambi i metodi, in modo da avere un
indicazione puntuale dei foraggi presenti in azienda, la cui composizione risulta
molto influenzata dalle condizioni pedo-climatiche.
Ad esempio, nel trifoglio incarnato la proteina varia, sul secco, dal 9,8 al 14,5% e
oltre; nel fieno di un prato misto, dal 8,5 al 16%. Inoltre, è consigliabile destinare
i foraggi di migliore qualità nel razionamento di animali più produttivi o quando
la richiesta di sostanze nutritive è alta. I foraggi di minor qualità vanno impiegati
nel razionamento di animali con fabbisogni nutrizionali inferiori.
L’analisi dei foraggi è essenziale per stabilire il loro valore economico. Con l’ana-
lisi chimica si può stabilire che tipo di foraggio utilizzare, comprare o vendere; i
dati analitici servono anche a stimare l’eventuale influenza delle tecniche agro-
nomiche e valutare eventuali correzioni (Figura1).
Gli animali producono meglio e di più quando sono alimentati con razioni bi-
lanciate che soddisfano i loro fabbisogni. Sfortunatamente, le razioni bilanciate
utilizzando solo valori medi tabulati non possono garantire una ottimizzazione
della razione: i manuali sono una utile guida che però, a seconda dei casi, so-
vrastimerà o sottostimerà il valore dei foraggi aziendali. Con l’analisi chimica dei
foraggi aziendali è possibile ottimizzare la razione abbassandone notevolmente
il costo.
Certe volte l’allevatore è portato
a sottovalutare le indicazioni fin
qui riportate e si affida alla sua
esperienza mettendo in atto le
sole valutazioni fisiche. Vista,
olfatto e tatto sono utili indicato-
ri, anche se talvolta ingannevoli,
del valore nutritivo di un alimen-
to. Lo stadio di maturazione del-
la pianta, i materiali estranei o
inquinanti e la fogliosità posso-
no essere stimati a vista e forni-
Figura 1 – Campo di avena, una delle specie gramina- scono informazioni utili; muffe e
cee più diffuse come foraggera odori sgradevoli sono indicatori

126
di scarsa qualità dovuta, ad esempio, a errori di conservazione.
Una interessante analisi fisica consiste nel determinare la quantità di fibra effet-
tivamente utilizzabile dall’animale per la ruminazione (“eNDF” o NDF effettiva);
essa corrisponde alla quota apportata da foraggi e insilati (e non da granelle e
mangimi) di dimensione superiore a 1,18 cm. La determinazione della “eNDF” si
effettua setacciando un’aliquota di unifeed su griglie a maglie variabili e sovrap-
poste. Il valore potenziale di un alimento quale apportatore di un determinato
principio alimentare è indicato dall’analisi chimica, ma il suo reale valore per
l’animale può essere stimato solo dopo aver tenuto conto delle inevitabili perdite
che si verificano nel corso della sua digestione, dell’assorbimento e della sua
utilizzazione metabolica. L’analisi dei principi nutritivi di un alimento è comune-
mente eseguita per via chimica in laboratorio; essa è essenziale per formulare
previsioni accurate delle performance degli animali, i cui fabbisogni sono riferiti
ai medesimi principi nutritivi presenti negli alimenti e sono espressi nelle stesse
unità di misura (kg, g, mg, UFL, Mcal, MJ, etc.). Tra i nuovi sistemi analitici è da
ricordare la tecnica NIR (Near-Infrared, o Vicino Infrarosso), rapida, economica
(se applicata a un grande numero di campioni) e computerizzata. Con il NIR, gli
alimenti sono analizzati in pochi minuti o secondi, mentre con l’analisi chimica
tradizionale sono necessari ore o giorni. Al vantaggio dovuto alla riduzione dei
tempi e dei costi di analisi si contrappone il rischio di non poter effettuare l’analisi
su tutta la gamma degli alimenti oggi in commercio o su tutti i parametri richie-
sti.
Molte delle nozioni che si hanno sulla composizione degli alimenti derivano da
un metodo analitico piuttosto sommario descritto come “metodo standard (o
usuale) di analisi degli alimenti”, o “secondo Weende”, proposto oltre un secolo
fa da due scienziati tedeschi. Questo metodo suddivide l’alimento in sei frazioni:
acqua,ceneri (sostanze minerali), proteine grezze, estratto etereo (o – impro-
priamente – grassi), fibra grezza (carboidrati strutturali o della parete cellulare)
e estrattivi inazotati (carboidrati non strutturali o del contenuto cellulare). Que-
st’ultima frazione non viene in realtà determinata analiticamente, ma deriva dal
complemento a 100 delle altre.
Il “metodo standard” è stato da più parti criticato per la sua grossolanità e im-
precisione; la maggior parte delle critiche riguarda le frazioni della fibra grezza e
degli estrattivi inazotati. Il chimico americano Van Soest ha proposto una diver-
sa valutazione analitica della quota fibrosa degli alimenti, che va sotto il nome
di NDF (Fibra Neutro Detersa) e ADF (Fibra Acido Detersa); se poi si utilizza il
modello CNCPS , il principio del “frazionamento” va applicato non solo ai carboi-
drati, ma anche a tutti i composti contenenti azoto: dall’urea alle proteine com-
plesse. I dati così ottenuti sono utilizzabili per stimare quanta parte dell’alimento
– e in quanto tempo - viene degradata dai batteri ruminali, o digerita e assorbita,

127
o escreta indigerita nelle feci.
Di fronte a tutto questo sussiste sempre il principio economico, in quanto è prati-
camente impossibile affrontare sempre una mole notevole di analisi analizzando
tutti gli alimenti. Secondo noi sarebbe opportuno analizzare solo gli alimenti che
possono modificare in modo sostanziale il costo della razione e le performances
degli animali. L’analisi è fondamentale quando si prevedono grosse differenze
tra composizione chimica stimata e reale.

9.3 Fabbisogni nutritivi degli animali


I fabbisogni nutritivi di un animale sono i quantitativi necessari, giornalmente, dei
seguenti principi nutritivi:
- energia
- proteine
- vitamine
- minerali
e, per i ruminanti, si dovrà aggiungere
- fibra
A tal proposito bisogna considerare che i ruminanti sono i soli animali domestici
utilizzati dall’uomo che per soddisfare i propri bisogni non entrano direttamente
in competizione con l’uomo in quanto utilizzano i foraggi. In virtù della presenza
dei prestomaci, tale categoria di animali riesce ad utilizzare la fibra e quindi i
foraggi.
Le esigenze nutritive di questi animali variano, in funzione dei seguenti 7 fattori:
1.peso corporeo o, più precisamente, peso metabolico;
2.ritmo di accrescimento, per i giovani in accrescimento;
3.ritmo di variazione ponderale (ingrassamento o dimagrimento), soprattutto ne-
gli adulti;
4. livello produttivo (carne e/o latte)
5. stadio riproduttivo, limitatamente alle femmine in gestazione avanzata (ultimo
terzo della gravidanza) ed ai maschi in attività riproduttiva (periodo di monta);
6. attività motoria, limitatamente agli animali al pascolo e/o in stabulazione libera;
7. dispendio energetico per termoregolazione
Sulla base di tali esigenze, è possibile poi considerare 2 differenti aspetti: nutri-
zionale e funzionale.
Sotto l’aspetto nutrizionale le esigenze sono le seguenti :
- energetiche;
- proteiche, o più in generale azotate;
- minerali;
- vitaminiche;
- idriche;

128
- carboidrati strutturali (fibrose);
- carboidrati non strutturali;
- lipidiche;
Sotto l’aspetto funzionale le esigenze sono le seguenti:
- di mantenimento, comprensive anche di quelle del normale movimento o deam-
bulazione;
- di percorrenza, limitatamente agli animali in stabulazione libera e/o pascolanti;
- di variazione ponderale (ingrassamento o dimagrimento), comprensive — limi-
tatamente ai giovani però — anche di quelle di accrescimento;
- di produzione, intesa sia come quantità che come qualità, la quale è identificata
di fatto con il contenuto lipidico del latte;
- di riproduzione (di gestazione per le femmine e di monta per i maschi);
- di termoregolazione.

Di tutti questi parametri che abbiamo elencato, è opportuno soffermarsi su quelli


più importanti.
L’energia è indispensabile ad un animale per svolgere tutti i processi biochimici
necessari alla sopravvivenza, ma anche alla riproduzione, in senso lato, ed alla
produzione. La fonte energetica per un animale è la sostanza organica da ossi-
dare, ed in particolare glucidi e lipidi.
L’energia contenuta in un alimento si misura in calorie (cal) o, più modernamen-
te, in Joule (J).
E’ più comodo utilizzare Kcal e KJ o addirittura Mcal e MJ

1J = 0,239 cal o 1 MJ = 0,24 Mcal


1 cal = 4,18 J o 1 Mcal = 4,18 MJ

di Energia digeribile DE, oppure di Energia metabolizzabile ME, oppure di Ener-


gia netta NE, oppure di Energia netta differenziata secondo la funzione produtti-
va e le categorie animali (di mantenimento NEM per animali in mantenimento; di
accrescimento e/o ingrasso NEG, per animali in accrescimento e/o ingrasso; di
lattazione NEL, per femmine in lattazione, in asciutta e/o in gravidanza), secon-
do lo standard americano.
In effetti, gli americani utilizzano questa misura diretta dell’energia negli alimenti
e nei fabbisogni alimentari del bestiame. In Europa continentale, invece, è più
diffusa la misura indiretta, ricavata tramite l’equivalenza dei diversi alimenti con
un alimento di riferimento: l’orzo.
Dall’inizio del ventesimo secolo, come abbiamo accennato poc’anzi, l’unità di
misura utilizzata in Europa è stata l’unità foraggera (UF), poi modificata in due
nuove unità: UFL e UFC. Unità foraggere differenziate per attitudine oppure per

129
destinazione produttiva degli animali (Unità foraggere latte UFL per animali da
latte e simili oppure Unità foraggere carne UFC per animali da carne e simili),
secondo lo standard francese, ormai in uso anche in Italia.
L’unità foraggera corrisponde all’energia contenuta in un kg di orzo (semi).

1 UF = 1760 kcal (1,76 Mcal) = 7,365 MJ

Questa misurazione non tiene conto della destinazione produttiva dell’alimento.


Da ricerche effettuate si è potuto verificare che è più esatto utilizzare le nuove
unità di misura (UFL e UFC) in quanto tengono conto anche della destinazione
produttiva, latte o carne.

1 UFL = 7,11 MJ = 1,699 Mcal


1 UFC = 7,62 MJ = 1,821 Mcal

Il valore energetico di una UFC (7,62 MJ) corrisponde all’energia netta (EN) com-
prensiva di mantenimento e accrescimento (cioè produzione) contenuta in 1 kg di
orzo. Questo perché, secondo stime dei ricercatori francesi che hanno proposto
questo sistema (INRA, 1978 e 1980), il 60% dell’energia metabolizzabile EM è uti-
lizzata per il mantenimento ed il restante 40% per l’accrescimento e ingrasso. Nel
caso della produzione del latte, le percentuali cambiano, e una UFL vale meno di
una UFC (7,11 MJ) in termini di energia netta di produzione. Quindi il valore nutritivo
dell’orzo è diverso se diversa è la sua utilizzazione produttiva.
Un altro parametro di grande importanza nella nutrizione del bestiame riguarda le pro-
teine, sostanze plastiche per eccellenza con funzione strutturale negli organismi dei
vertebrati. Un’altra grande funzione delle proteine è quella enzimatica. Negli animali, il
fabbisogno proteico deriva dalla necessità di rifornirsi di aminoacidi per costruire nuove
strutture (membrane cellulari, tessuti etc.) o per rinnovare quelle esistenti (ricambio o
turn-over) oppure per produrre enzimi e altre proteine speciali. Le sostanze proteiche
non forniscono energia all’animale.
Anche per quanto riguarda l’aspetto del contenuto in sostanze proteiche, in questi
ultimi quindici anni, sono stati introdotti i concetti di qualità e quantità. Poiché l’ap-
porto delle sostanze azotate con gli alimenti è finalizzato a fornire all’animale gli ami-
noacidi necessari per le sintesi proteiche connesse alle sue attività metaboliche vitali
di mantenimento e produzione. I sistemi proposti per esprimere il valore proteico si
basano proprio sulla misura, o sulla stima, della qualità e quantità degli aminoacidi
resi disponibili per digestione ed assorbiti e dell’efficienza con cui questi vengono
utilizzati nelle sintesi anaboliche delle proteine. La quantità e qualità della miscela di
aminoacidi assorbiti dipendono dalle caratteristiche di composizione in aminoacidi
dell’alimento e della sua digeribilità nei monogastrici, ma non nei ruminanti, nei quali

130
va considerata l’attività microbica di degradazione delle proteine alimentari e di sin-
tesi di quelle microbiche. Il ruminante, infatti, si trova a digerire non le proteine che
erano presenti nell’alimento, come è il caso del monogastrico, bensì anche le protei-
ne microbiche neo formate nel rumine. Da qui la constatazione di individuare negli
alimenti tre gruppi di frazioni proteiche, a cui corrispondono diverse caratteristiche di
solubilità e degradabilità ruminale, oltre che una diversa digeribilità intestinale:
- Frazione A (NPN:aminoacidi e peptidi, NH3, No3, urea) – scompaiono nel rumine,
non giungono nell’intestino;
- Frazione B (B1, B2, B3) – sono parzialmente e diversamente degradate nel rumi-
ne e utilizzate nell’intestino;
- Frazione C (aminoacidi legati alla lignina) – sono completamente inutilizzati sia a
livello del rumine che dell’intestino.
In pratica le proteine hanno diversa digeribilità intestinale a secondo della quantità di
energia a disposizione nel rumine e a secondo della quantità di proteine e quindi di N
a disposizione. Quando le proteine giungono nel rumine la micropopolazione presente
inizia una degradazione che termina quando tutto l’azoto presente si esaurisce, oppure
quando si esaurisce l’energia disponibile per operare la sintesi (questo nell’ipotesi che
l’azoto per la sintesi sia presente in quantità non limitata). Nel primo caso il calcolo si fa
considerando l’azoto come il fattore limitante, nel secondo, invece, considerando l’ener-
gia come fattore limitante. Quindi l’entità delle proteine microbiche viene definita con
due diversi valori: proteine microbiche la cui sintesi è permessa dall’energia (PDIME) e
proteine microbiche la cui sintesi è permessa dall’azoto (PDIME). Per approfondimenti
del tema si rimanda il lettore al manuale dell’INRA (1980).
Un altro aspetto da considerare riguarda le vitamine e i minerali. Trattasi di sostanze di natu-
ra chimica di varia natura aventi specifiche nel metabolismo. Alcune fungono da coenzimi,
altre sono mediatori dell’azione ormonale., etc. Sono indispensabili, in quanto gli animali non
possono produrle a partire da altre sostanze.
I minerali svolgono importanti funzioni come cofattori enzimatici, o sono costituenti di
tessuti specifici (Ca, P Fe) o servono per regolare la pressione osmotica, la permeabilità
cellulare e la contrazione muscolare (Na, K, Ca, Mg).
Sia le vitamine che i sali minerali sono generalmente necessari in quantità molto picco-
le, fatta eccezione per Ca, P, Fe, assorbiti in quantità maggiore e da tenere in attenta
considerazione.

9.4 La fibra
Altro parametro molto importante nei ruminanti è la fibra grezza. Si tratta dell’insieme
dei costituenti della parete cellulare dei vegetali o, a volte, l’insieme degli alimenti che ne
sono ricchi. E’ costituita da:
- Cellulosa
- Emicellulosa

131
- Lignina
- Altri polisaccaridi
La ragione dell’indispensabilità dei carboidrati strutturali per i ruminanti risiede in due
aspetti:
a) La fermentazione ruminale, ad opera della microflora ivi operante, avviene a carico di
tutte le sostanze, ma la cellulosa regola la fermentazione rendendola più lenta e control-
lata, e portando ad una produzione di AGV (acidi grassi volatili) ottimale da punto di vista
del rapporto acetato\propionato, senza effetti negativi per l’animale;
b) La necessità di masticare a lungo gli alimenti fibrosi stimola la produzione di saliva (si
è calcolato a tal riguardo fino a 150 l/d nei bovini e 10 l/d per gli ovini), che mantiene il pH
ruminale nei valori normali (5,5 – 6,5) grazie al suo sistema tampone.
Altra cosa è la lignina. Non si tratta di un polisaccaride, e nemmeno di un glucide, è
invece un miscuglio di polimeri aromatici derivati da alcuni precursori quali:
- Alcool cumarilico
- Alcool coniferilico
- Alcool sinapilico
Esistono vari tipi di lignina in dipendenza dalle piante in cui si forma: nella composi-
zione della lignina delle piante erbacee, principalmente delle graminacee, prevale tra i
precursori l’alcool cumarilico. L’alcool coniferilico è invece il precursore più abbondante
della lignina delle conifere, e infine la lignina delle angiosperme legnose (latifoglie) deriva
soprattutto dall’alcool sinapilico. Dopo i polisaccaridi la lignina è il polimero organico più
abbondante nel mondo vegetale.
La determinazione chimica della fibra grezza, come abbiamo accennato prima, pre-
vede due metodi: il sistema Weende, molto semplice con determinazione della sola
fibra grezza ed il sistema Van Soest che prevede la determinazione dell’NDF (com-
prende principalmente cellulosa, emicellulose e lignina) ed è una misura della inge-
ribilità del foraggio: più alta è l’NDF, meno foraggio può essere ingerito dall’animale;
l’ADF (comprende principalmente cellulosa e lignina) ed è una misura della digeribi-
lità del foraggio: più è alta è l’ADF, minore è la digeribilità, e ADL (da indicazioni sul
contenuto in lignina) residua ed indica la quantità di lignina contenuta nell’ADF: più è
alta l’ADL, minore è la digeribilità).
Il contenuto in fibra dei foraggi dipende da numerosi fattori quali la specie, la varietà,
lo stadio di maturazione, l’epoca di sfalcio, le condizioni ambientali. Solo l’NDF misura
il contenuto totale in fibra e permette di quantificare le differenze tra i diversi foraggi
(Tabella1) e tra foraggi e concentrati. L’NDF rappresenta i componenti strutturali degli
alimenti che richiedono una maggiore attività di masticazione per la riduzione delle di-
mensioni ed influenza la costante di passaggio degli alimenti (Kp).
Inoltre l’NDF è il migliore indice chimico correlato all’assunzione volontaria di sostan-
za secca. ADF e ADL sono correlate più con la digeribilità che con l’assunzione di
sostanza secca.

132
Tabella 1 - Valori orientativi di FG NDF ADF e cellulosa nelle principali clas-
si di foraggio

La degradazione della fibra a livello ruminale, come abbiamo accennato sopra, consiste
nell’idrolisi dei carboidrati e nella loro fermentazione con produzione di AGV, gas di fer-
mentazione e calore. I polisaccaridi della fibra vengono lentamente degradati in un pro-
cesso tempo dipendente (3-9%/h vs 10-20%/h dei carboidrati non strutturali). La lignina
è identificata come il costituente fibroso che maggiormente limita la degradabilità della
fibra. I principali fattori che influenzano la degradabilità della fibra sono:
- proprietà chimico-fisiche della fibra (composizione, dimensione delle particelle, ca-
pacità di idratazione, azione tamponante, capacità di scambio cationico);
- trattamenti e modalità di conservazione;
- composizione della dieta (quantità e costante di fermentazione dei carboidrati non
strutturali);
- livello di ingestione e tasso di passaggio;
- modalità di distribuzione degli alimenti;
- stadio fisiologico.
L'entità della degradazione effettiva della fibra dipende dalla degradabilità e dalla
costante di degradabilità (Figura2), nonché dal tempo di ritenzione ruminale.

Tabella 2 - Valori di sostanza secca, degradabilità costante di degradabili-


tà di alcune foraggere

133
Inoltre bisogna considerare, a proposito dell’NDF, la sua natura fisica, a seconda
se supera o meno un setaccio avente i fori di 1,18 mm. In questo modo avremo
due NDF, peNDF, valore più grossolano, rappresenta una misura della capacità di
un alimento di stimolare la masticazione e la ruminazione, nonché di influenzare
la natura bifasica del contenuto ruminale. Tale parametro è correlato alle caratteri-
stiche fisiche dell’NDF, principalmente alle dimensioni delle particelle. Altro valore
è l’eNDF, costituita dalle particelle che superano il setaccio di 1,18 mm. In pratica
si tratta di quella quota dei NDF che riscontriamo spesso nei concentrati. Siccome
il peNDF si riferisce esclusiva-
mente alle proprietà fisiche del-
la fibra è un termine più ristretto
dell’eNDE (Merteus, 1992). Il
valore di peNDF sarà sempre
minore del valore di NDF, laddo-
ve l’eNDF può essere sia mino-
re che superiore al contenuto di
NDF di un alimento (Figura2). I
valori di peNDF di alcuni alimen-
ti, stimati utilizzando misure chi-
mico fisiche, sono riportati nella
Tabella3.
Figura 2 – Interazione fra valori di NDF, peNDF ed eNDF

9.5 Il Flusso energetico durante la digestione


Con l’alimentazione degli alimenti al bestiame viene somministrata dell’energia, che
inizialmente viene detta energia lorda e soggetta a successive perdite durante la
digestione ed il metabolismo fino a giungere all’energia netta, effettivamente dispo-
nibile per lo scopo finale cui è destinata (Figura3).
Le perdite di energia con le feci sono dovute alle sostanze non digerite, che finisco-
no appunto nelle feci. Resta l’energia digeribile (ED), ma, nel metabolismo, essa
subisce una perdita dovuta alle sostanze presenti nelle urine e ai gas di fermenta-
zione, che vengono espulsi all’esterno. Si arriva all’energia metabolizzabile (EM),
che ancora deve essere però diminuita dell’energia corrispondente all’incremento di
calore dovuto alla sua stessa utilizzazione. In totale, le perdite vanno dal 35 all’85%.
Ciò che destinato tutto all’utilizzazione finale: mantenimento e produzione.
Una parte dei principi nutritivi deve necessariamente e costantemente ricostitui-
re i diversi componenti cellulari e dei tessuti (turn-over); servono semplicemente
a mantenere in vita l’animale, deve essere continuamente reintegrata. La quota
di principi nutritivi così utilizzata, è destinata al mantenimento dell’anima-
le. Il fabbisogno di mantenimento indica proprio tale quota.

134
Tabella 3 – Valori di peNDF in alcuni alimenti

La quota di principi nutritivi


che, una volta soddisfatto il
fabbisogno di mantenimen-
to, resta disponibile per ac-
crescere la massa corporea
(scheletro, muscoli, adipe) e
le produzioni cutanee (lana)
o per la sintesi del latte, vie-
ne definita fabbisogno di
produzione.
Le produzioni zootecniche
riguardano carne e grasso,
lana, latte e uova. Nei sog-
getti destinati alla macel-
lazione, esclusi gli adulti a
Figura 3 – Flusso dell’energia degli alimenti durante la fine carriera, la produzione è
digestione

135
strettamente connessa con l’accrescimento e lo sviluppo corporeo: sono cioè
animali giovani. Le altre produzioni provengono invece per lo più da adulti, che
hanno cessato, o quasi, di accrescersi e svilupparsi.
I fabbisogni di mantenimento, così come sono stati definiti, sono teoricamente
pari ai consumi necessari al metabolismo basale. In realtà, tuttavia, l’animale
deve anche muoversi, regolare la propria temperatura rispetto a quella ambien-
tale, masticare e digerire gli alimenti, produrre sudore, saliva etc. Pertanto i fab-
bisogni di mantenimento sono sempre superiori al puro metabolismo basale.
Essi aumentano all’aumentare del peso vivo (PV) degli animali, ma in misura
meno che proporzionale.
I fabbisogni di produzione sono ovviamente direttamente proporzionale alla
quantità della produzione. Distinguiamo fabbisogni di:
- accrescimento: principi nutritivi accumulati dall’animale in accrescimento più
il consumo energetico relativo; nei giovani serve più proteina e meno energia,
l’opposto nei meno giovani. Riguarda la produzione della carne (vitelli, vitelloni,
suini, agnelli);
- gravidanza: principi nutritivi ed energia necessari all’accrescimento e lo svilup-
po del feto; il fabbisogno diventa sensibile solo nelle ultime settimane;
- lattazione: principi nutritivi ed energia accumulati nel latte prodotto, compreso
il consumo energetico per la sintesi.

9.6 Il calcolo della razione


Affinché vengano soddisfatti i fabbisogni (accrescimento, gravidanza e/o latta-
zione) è necessario conoscere la quantità di ingesta, a tal fine è necessario
calcolare la quantità di sostanza secca (SS) ingerita. Nel caso dei ruminanti l’in-
gestione corrisponde alla quantità di alimenti, espressa in kg di SS, ingeriti
volontariamente nelle 24 ore.
Questo dato è piuttosto importante, dato che l’intero fabbisogno giornalie-
ro di un animale deve essere necessariamente compreso nella quantità di
alimenti che esso è in grado di ingerire volontariamente. Qualora non ne
tenessimo conto, forniremmo una razione che potrebbe non essere ingerita
completamente, non colmando i fabbisogni dell’animale, o potrebbe essere
insufficiente, spingendolo ad ulteriore consumo (es. di paglia della lettiera
o di alimenti destinati ad altri animali). L’ingestione si deve misurare in SS
e non in termini di alimento tal quale (tq) poiché l’acqua contenuta negli ali-
menti viene continuamente eliminata con l’urina. Inoltre, alimenti con conte-
nuti in umidità diversi non vengono ingeriti nelle stesse quantità in termini di
tq. Lo stimolo ad ingerire o meno alimenti è dovuto allo stato di riempimento
o ingombro (replezione) del rumine, a sua volta condizionato dalla SS totale
fino ad allora ingerita nonché al contenuto in FG ed allo stato di lignificazione

136
degli alimenti utilizzati. A tal proposito nella Figura 4 indichiamo come con-
vertire i dati della composizione chimica tra SS e tq e viceversa.

Figura 4 – Formule di conversione per sostanza secca (ss), valori tal quale (tq)

Recentemente si è data la giusta importanza alla previsione della capacità di


ingestione di sostanza secca, anche se limitatamente ai bovini, ai fini di una
corretta e realistica formulazione delle razioni. Fra le proposte avanzate da varie
scuole, due ci sembrano da citare come le più usate per la pratica del raziona-
mento: il sistema che chiameremo di Mertens (1987), che considera il contenuto
di NDF della razione ed il sistema francese dell’INRA. Tralasciando quest’ultimo
in quanto estremamente complicato descriviamo, anche se molto sommaria-
mente, il “sistema Mertens”.
Partendo dalla considerazione che gli animali consumano sostanza secca ali-
mentare, allo scopo primario di soddisfare i propri fabbisogni energetici e sulla
base di questo assunto, si può impostare la seguente equazione per la previsio-
ne del consumo volontario di sostanza secca (Css), basata sulla conoscenza del
fabbisogno energetico dell’animale (FB) e della concentrazione in energia netta
dell’alimento (EN):

Css = FB/EN

Va da sé che, se si sceglie un livello diverso di energia, ad esempio la metabolizzabile,


sia il fabbisogno che la concentrazione energetica alimentare devono essere espres-
si nella stessa unità di misura. È un’equazione parzialmente teorica, valida per gli ali-
menti il cui consumo non è limitato dall’ingombro. In pratica alimenti non ingombranti
in assoluto non esistono: non è pensabile che un alimento caratterizzato da una con-

137
centrazione energe-
tica vicina allo zero
possa essere con-
sumato in quantità
pressoché infinita.
Sull’asse delle ascis-
se in basso (Figu-
ra5), sono riportati
i valori di concen-
trazione di energia
netta della razione
in MJ/kg di sostanza
secca.
Esempio numerico:
la dieta che viene
offerta ad una bo-
vina di 600 kg di
Figura 5 – Valori di concentrazione di energia netta nella razione peso vivo, in latta-
alimentare
zione, che abbia
un fabbisogno in energia netta di 20 UFL, ovvero di 142 MJ al giorno, contiene
6 MJ di EN/kg ss. Applicando la formula si ha una previsione di consumo di 23,7
kg di sostanza secca al giorno:

Css = 142/6 = 23,7 Kg ss

D’altra parte, si può impostare una seconda equazione, questa volta che tenga
conto del cosiddetto volume di ingombro dell’alimento.
Il concetto di volume di ingombro tiene conto dei fattori fisici di regolazione del
consumo, quelli che, distendendo le pareti degli organi dell’apparato gastro-en-
terico, fanno cessare lo stimolo a consumare. Poiché gli alimenti per i ruminanti
sono sicuramente di origine vegetale, il loro contenuto in fibra neutro detersa
(NDF) si è rivelato un ottimo indicatore del volume d’ingombro. Pertanto la se-
conda equazione proposta per la previsione della capacità di ingestione (CI) è
la seguente:

Css = CI/NDF

Nella stessa figura 5, sull’asse delle ascisse la qualità della razione è anche
espressa in contenuto di NDF in frazioni dell’unità di peso della sostanza secca,
per cui la dieta dell’esempio numerico ha il 40% di NDF. Anche in questo caso la

138
curva corrispondente all’equazione precedente è parzialmente teorica: una ra-
zione povera di NDF è scarsamente ingombrante e una razione con il 20% (0,2
kgJkg ss) di NDF potrebbe, in teoria essere consumata nella misura di oltre 30
kg di sostanza secca. La qual cosa è impossibile perché una razione del genere
ha un’elevata concentrazione energetica ed il suo consumo viene limitato che-
miostaticamente. Se la capacità di ingestione della bovina dell’esempio è di 6,9
kg di NDF al giorno (indicativamente corrisponde all’1,25% del peso corporeo),
il consumo previsto in questo caso è:

Css = 6,90/0,4 = 17,3 Kg ss

In definitiva, allora, cosa succede nella pratica? Ciascuna delle due curve pre-
senta una porzione possibile (quella a tratto pieno) e una porzione praticamente
impossibile (quella tratteggiata) Andando ad esaminare il grafico vediamo che
la nostra razione, con 4 MJ di EN e 0,6 kg di NDF per kg di sostanza secca,
viene consumata, secondo la prima formula, per 23,7 kg di sostanza secca e,
secondo la seconda formula, per 17,3 kg. Il consumo previsto possibile nella
pratica è sempre il valore più basso dei due, quello che si trova sulla porzione
a tratto pieno delle curve, in questo caso 17,3. Sul grafico c’è una linea tratteg-
giata verticale che fa da spartiacque fra due zone del grafico. Tale linea ha un
valore di ascissa che corrisponde al punto in comune delle due curve, là dove la
curva crescente si incontra con la curva decrescente. Se ci troviamo a sinistra di
questa linea di demarcazione, siamo nella zona di deficit energetico e sarà !’in-
gombro fisico dell’alimento a limitarne il consumo. Se ci troviamo a destra della
linea tratteggiata siamo nella zona di soddisfacimento energetico e sarà la con-
centrazione energetica il fattore limitante. Si noti l’apparente confusione finora
fatta fra i due termini consumo volontario e capacità di ingestione. È il momento
di fare chiarezza. Si tratta, in effetti, di sinonimi, ma il primo è condizionato da
fattori chemiostatici: l’animale mangia fino a raggiungere un consumo di sostan-
za secca che gli garantisca il soddisfacimento dei suoi fabbisogni energetici;
il secondo è condizionato da fattori fisici: l’animale consuma l’alimento fino al
volume permesso dalla capacità di ingestione del suo apparato digerente. Uno
solo dei due è possibile, l’altro è puramente teorico.
Detto questo veniamo ad una applicazione pratica calcolando la razione di una
vacca da latte di 600 Kg di PV che produce 30 Kg di latte al 4,2% di grasso.
La prima cosa che dobbiamo fare e rintracciare sulle tavole di qualsiasi testo di
alimentazione animale i fabbisogni di mantenimento e di produzione, per es. il
Mc Donald et al. (1988) è uno di questi, ma c’è ne sono altri, dove troviamo:

Fabbisogno di mantenimento = 5,1 UFL + 530 g di PG

139
Fabbisogno di produzione = 13,5 UFL + 3000 g PG
Totale = 18,6 UFL + 3530 g PG

Ingestione = 19,2 Kg di SS
(ogni Kg di SS somministrata dovrà contenere)

18,6/19,2 = 0,97 UFL


3530/19,2 = 184 g PG
Adesso dobbiamo ipotizzare di prendere in esame due alimenti (dipende dall’or-
dinamento colturale dell’azienda, dalle disponibilità economiche, dalla necessità
di smaltire dei sottoprodotti, etc. etc.)

1. 1,12 UFL\Kg SS; 113 g PG\Kg SS


2. 0,51 UFL\Kg SS; 387 g PG\Kg SS

Eseguiamo il calcolo applicando il quadrato di Pearson (Dell’Orto e Savoini,


2005; Figura 6)
In conclusione, combinando l’alimento 1 con 1,12 UFL e l’alimento 2 con 0,51
UFL per ottenere un miscuglio con 0,97 UFL, dovremo usare il 75,4% dell’ali-
mento 1 ed il 24,6% dell’alimento 2. Fortunatamente tale miscuglio è anche
pressoché sufficientemente dotato in PG (180 f ca.), quindi la razione è all’incir-
ca a posto, altrimenti, a tentativi, dovremmo riconsiderare il tutto.

Figura 6 – Esempio di calcolo di razione alimentare

140
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142
10- LE COLTURE INDUSTRIALI:
IMPORTANZA ECONOMICA
E SPECIE COLTIVATE NELL’AREALE PUGLIESE
Giuseppe De Mastro
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali – Facoltà di Agraria
Università degli Studi di Bari

10.1 Introduzione
In generale la classificazione delle colture riflette vari elementi ad esse collegati
includendo il ciclo colturale (temporanee o permanenti), la specie di appartenen-
za, la varietà (comuni o ibridi), la stagionalità (frumento invernale/primaverile),
l’uso (alimentare umano/zootecnico), la tipologia di prodotto (fresco/secco), il
tipo di trasformazione (colture industriali), il tipo di coltivazione (colture protette,
da pieno campo).
Esigenze più specificatamente statistiche impongono una categorizzazione del-
le colture più rigida in cui spesso prevale la stretta correlazione con la classifi-
cazione dei prodotti da esse ottenibili, anche se non sempre biunivoca. Talvolta,
infatti, una stessa coltura consente l’ottenimento di più prodotti così come a titolo
di esempio è il caso del cotone dove oltre la fibra si ottiene seme ricco in proteine
e grassi.
A tal proposito il Dipartimento di Economia ed Affari Sociali - sezione di statistica
delle Nazioni Unite ha proposto una revisione della classificazione delle colture
(Indicative Crop Classification - ICC) per il censimento dell’agricoltura del 2010,
basato su tre componenti principali: tipo di prodotto (cereali, ortaggi, ecc…) e
per ciascun gruppo una ulteriore suddivisione in base al tipo di coltura; genere e
specie della coltura; tipo di ciclo colturale (colture annuali o perennanti).
La stessa FAO al fine di standardizzare i dati statistici relativi ai prodotti agricoli
ha adottato un criterio di raggruppamento per il quale a ciascun prodotto prima-
rio di origine agricola vengono abbinati i relativi prodotti trasformati. Al gruppo
cereali, nella classificazione FAO, vengono ascritti 17 cereali primari con codice
di riferimento, nome botanico e breve descrizione, e relativi prodotti ottenuti at-
traverso processi di trasformazione meccanici o chimici dalla granella o dei suoi
derivati (farina, amido, ecc..).
Nell’ambito dei 20 gruppi identificati dalla FAO sono citate colture oleaginose,
da fibra, tabacco, colture da tuberi e radici, leguminose, ecc... e rispettivi derivati
ottenuti dalla loro trasformazione.
E’ opportuno, però, precisare come a livello di singoli Paesi possa sorgere l’esi-
genza, a fini statistici, di mantenere separati i diversi usi dei prodotti di diverse

143
colture – alimentare o foraggero, fresco o secco, industriale o non industriale.
A livello nazionale l’Istat, relativamente ai dati sulle coltivazioni agrarie erbacee,
raggruppa le diverse colture in cereali, legumi secchi, piante da tubero, ortaggi in
piena aria, legumi freschi, radici e bulbi, fusti foglie e infiorescenze, frutti, funghi
di coltivazione e coltivazioni industriali.
Nella classificazione proposta dall’ISTAT per coltivazioni industriali sono da in-
tendersi colture che producono semi oleosi, piante tessili, tabacco e barbabie-
tola da zucchero.
Più genericamente le colture industriali sono rappresentate da specie vegetali
diverse, coltivate per l’ottenimento di un prodotto il cui utilizzo è vincolato a pro-
cessi di lavorazione e/o di trasformazione.
Nella presentazione della nuova rivista internazionale ‘Industrial Crops and Pro-
ducts’ la redazione del gruppo editoriale Elsevier definisce colture industriali
quelle da cui è possibile ottenere gomme, oli e acidi grassi, cere, resine, polime-
ri, fibre, oli essenziali, molecole biologicamente attive, utilizzate come lubrifican-
ti, carburanti, alcool, carta e aromatizzanti, fragranze, farmaceutici, cosmetici
ecc,,, includendo, oltre a quelle tradizionali (frumento, mais ed altri cereali, soia
e altre leguminose, patata, barbabietola e canna da zucchero, noce di cocco,
cotone, jojoba, cassava, colza, girasole, ecc,,), colture nuove come guayule,
kenaf, canapa, crambe, cuphea, lesquerella, vernonia, guar, plantago, cartamo,
piretro, agave, grindelia, ecc…
Pur riconoscendo l’ampiezza del settore appare evidente che, a parte le esigen-
ze puramente statistiche, a livello locale l’importanza di queste colture è dovuta
a vocazionalità territoriali oltre a diretti interessi industriali nella trasformazione
della materia prima e agli orientamenti di politiche agricole nazionali e comuni-
tarie che nel tempo hanno condizionato non poco l’evoluzione delle superfici ad
esse dedicate.
Nell’ultimo quinquennio i dati statistici nazionali relativi alle coltivazioni industriali
fanno riferimento a colture oleaginose quali soia, girasole e colza; alla barbabie-
tola da zucchero, al pomodoro da industria, al tabacco e alle tessili quali canapa
e lino, da considerarsi attualmente come colture minori, Nei capitoli successivi si
riporta un analisi per gruppo di coltura sopracitato.

10.2 Colture da semi oleosi


Importanza economica e diffusione
Le colture oleaginose includono piante a ciclo annuale o poliennale i cui semi,
frutti o mesocarpo e mandorla sono apprezzati commercialmente per l’olio ad
uso alimentare o industriale che ne è possibile estrarre.
Alcune di queste sono anche colture da fibra in quanto seme e fibre vengono
raccolti dalla stessa pianta. Colture di questo tipo sono: cotone, lino, kapok, ca-

144
napa e noce di cocco.
Il mercato mondiale dei semi oleosi e dei suoi derivati rappresenta una quota
rilevante di quello globale: in termini di valore, infatti gli scambi commerciali di
questi prodotti si collocano al secondo posto nell’ambito delle commodity agrico-
le. Il mercato, di per sé, è influenzato dal valore unitario e dalla domanda dei due
principali co-prodotti ottenibili dalla prima trasformazione dei semi oleosi: gli oli,
ulteriormente impiegabili in numerosi processi produttivi, ed i panelli o le farine,
dotate di un tenore variabile in proteine, destinati, prevalentemente, ma non in
via esclusiva, all’alimentazione animale.
La produzione mondiale di semi oleosi ha subito a partire dagli anni ’60 un fortis-
simo incremento con una rapida ascesa, nell’ultimo quinquennio (2003-2007), di
Paesi come Indonesia e Malesia divenuti Paesi leader con a seguito Stati Uniti,
Brasile, Cina, India ed Argentina (Tabella1).

Tabella 1 – Evoluzione delle produzioni di semi oleosi nel Mondo (2003-07)


2003 2004 2005 2006 2007 media
Paesi
produzione (t)
Indonesia 14.385.420 16.193.165 18.663.711 20.529.147 21.553.246 18.264.938

Malesia 15.137.412 15.780.458 16.906.570 17.854.410 18.423.550 16.820.480

Stati Uniti 14.479.964 17.842.887 18.119.300 18.137.980 15.109.549 16.737.936

Cina 14.817.907 16.598.887 16.292.161 15.620.360 14.689.293 15.603.722

Brasile 10.296.046 10.100.773 10.445.672 10.551.695 11.665.241 10.611.885

India 8.498.078 9.000.534 10.460.625 9.925.341 9.947.150 9.566.346

Argentina 7.939.115 7.159.093 8.749.514 8.998.270 9.922.686 8.553.736

altri 38.566.408 41.775.844 43.550.232 44.233.138 43.494.784 42.540.218

totale 124.120.350 134.451.641 143.187.785 145.850.341 144.805.499 138.699.260

FAOSTAT | © FAO Statistics Division 2009

La forte crescita registrata nell’ultimo decennio in questi Paesi è da attribuire al


grande interesse per la palma da olio la cui produzione e superficie coltivata in
Indonesia e Malesia, nell’ultimo decennio, si è quasi raddoppiata (Figura 1 e 2)
a seguito dell’incremento della domanda mondiale di olio per fini energetici.

145
a Indonesia Malaysia

5000000

4500000

4000000
Produzione (t)

3500000

3000000

2500000

2000000

1500000
1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007

b Indonesia Malaysia

5000000

4500000

4000000
Supeficie (ha)

3500000

3000000

2500000

2000000

1500000
1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007

FAOSTAT | © FAO Statistics Division 2009


Figura 1 - Evoluzione delle produzioni (a) e delle superfici coltivate (b) a palma da olio in Indone-
sia e Malesia

146
Nell’ambito delle colture oleaginose la produzione di gran lunga più rilevante è quella
della soia che rappresenta una quota superiore al 32% (Tabella 2), la cui coltivazione è
concentrata per oltre l’80% negli Stati Uniti, Brasile, Argentina e Cina (Tabella 3).
In termini di quantitativi alla soia seguono le produzioni di palma da olio, cotone,
noce di cocco, colza, arachide e girasole.

Tabella 2 – Ripartizione per coltura delle produzioni in semi oleosi nel Mondo
(2003-07)
Prodotti 2003 2004 2005 2006 2007 media
  produzione (t)

Soia 190.766.963 205.483.881 214.244.613 222.403.973 216.144.262 209.808.738

Palma da
150.047.849 163.338.590 173.272.168 180.939.136 192.490.298 172.017.608
olio
Cotone 55.599.200 70.461.012 69.446.228 71.455.708 72.504.406 67.893.311
Noce di
54.782.625 55.570.252 57.957.636 55.300.185 54.716.444 55.665.428
cocco
Colza 36.698.343 46.302.975 49.696.285 48.916.075 49.479.378 46.218.611
Arachide 36.215.190 36.214.031 38.094.423 34.471.314 34.856.007 35.970.193
Girasole 27.466.546 26.005.897 30.692.313 31.241.240 26.958.205 28.472.840
altri 30.123.178 30.443.295 28.717.016 25.990.728 25.668.005 29.533.476
             
totale 581.699.894 633.819.933 662.120.682 670.718.359 672.817.005 645.580.206
FAOSTAT | © FAO Statistics Division 2009

Tabella 3 – Evoluzione delle superfici coltivate ad oleaginose nel Mondo (2003-07)


Paesi 2003 2004 2005 2006 2007 media
  superficie (ha)
Stati Uniti 29.330.310 29.930.060 28.834.570 30.190.680 30.562.400 29.769.604
Brasile 18.524.769 21.538.990 22.948.874 22.047.349 20.637.643 21.139.525
Argentina 12.421.000 14.320.000 14.037.000 15.097.388 16.100.000 14.395.078
Cina 9.312.715 9.581.835 9.593.710 9.100.085 8.900.100 9.297.689
altri 14.063.007 16.235.379 17.019.902 18.490.785 18.699.073 17.043.538
             
totale 83.651.801 91.606.264 92.434.056 94.926.287 94.899.216 91.645.434

FAOSTAT | © FAO Statistics Division 2009

A livello europeo le principali colture oleaginose sono rappresentate da colza


e girasole con una quota superiore al 35% di quella mondiale per la prima e di

147
circa un 60% per la seconda (Figura 2).
Asia Europe Am erica Oceania Africa

3% 0%
20%
42%

35%

46.218.611 t - produzione m edia m ondiale di colza (2003-07)


FA OSTA T | ©  FA O Statis tic s  Div is ion 2009 | 02 June 2009 

Europe Am erica Asia Africa Oceania

3% 0%
18%

60%

19%

28.472.840 t - produzione m edia m ondiale di girasole (2003-07)


FA OSTA T | ©  FA O Statis tic s  Div is ion 2009 | 02 June 2009 

Figura 2 – Distribuzione della produzione di colza e girasole nei principali Paesi

148
La superficie investite a colture oleaginose nell’Unione Europea (EU-27) ha su-
bito variazioni del tutto modeste (Tabella 4).

Tabella 4 – Superfici investite a colture oleaginose nell’Unione Europea


Colture 2003 2004 2005 2006 2007 media
  superficie (ha)
colza 4.161.306 4.557.222 4.867.009 5.406.945 6.532.191 5.104.935
girasole 4.245.848 3.716.073 3.599.920 3.933.457 3.366.655 3.772.391
cotone 472.299 465.534 453.582 437.734 365.448 438.919
soia 422.878 386.726 419.319 487.461 355.283 414.333
altre 485.938 408.870 416.316 330.934 271.653 411.730
             
totale 9.788.269 9.534.425 9.756.146 10.596.531 10.891.230 10.142.308
FAOSTAT | © FAO Statistics Division 2009. Nota: escluso le superfici olivetate

La colza è la più importante coltura da olio coltivata nell’EU-27, seguita da


girasole, cotone e soia. In risposta alla crescita della domanda di olio di
colza per l’industria del biodiesel e a seguito dell’aumento del prezzo pagato
per la granella si è assistito ad un incremento della superficie coltivata che
ha superato nel 2007 i 6,5 milioni di ettari.
La produzione in semi oleosi a partire dal 2004 si è stabilizzata sui 25 milioni
di tonnellate con una lieve flessione della produzione di girasole nel 2007
dovuto a decorsi stagionali primaverili piuttosto siccitosi, in particolar modo
in Bulgaria e Romania (Tabella 5).

Tabella 5 – Produzione di semi oleosi nell’Unione Europea


Colture 2003 2004 2005 2006 2007 media

  produzione (t)

colza 11.065.363 15.461.818 15.649.381 16.122.541 18.304.558 15.320.732

girasole 6.337.891 6.829.806 6.021.541 6.759.827 4.846.908 6.159.195

cotone 1.393.218 1.527.174 1.577.108 1.176.144 1.126.038 1.359.936

soia 890.143 1.105.478 1.192.773 1.215.091 802.777 1.041.252

altre 559.749 564.802 589.372 261.579 210.006 530.381


             
totale 20.246.364 25.489.078 25.030.175 25.535.182 25.290.287 24.411.497
FAOSTAT | © FAO Statistics Division 2009 nota: escluso le superfici olivetate

149
Interessante è rilevare come ancora l’utilizzo alimentare degli oli vegetali
nell’Unione Europea interessi oltre il 50% dell’uso totale, anche se è da con-
statare come in realtà sia il settore biodiesel a governare il mercato degli oli
vegetali nell’EU-27.
Si prevede, infatti, un incremento nell’uso degli oli vegetali per autotrazione di
circa un 35%, per la maggior parte soddisfatto dalla produzione comunitaria
di oli, mentre la crescita nel consumo alimentare avrà un peso marginale.
Oltre il 50% della produzione comunitaria di semi oleosi è realizzata in quattro
Paesi: Francia, Germania, Spagna ed Italia.

Tabella 6 – Principali produttori di semi oleosi a livello europeo


2003 2004 2005 2006 2007 media
Paesi
produzione (t)
Francia 1.952.361 2.173.974 2.401.244 2.208.936 2.333.973 2.214.098

Germania 1.418.748 2.044.422 1.959.591 2.061.857 2.046.818 1.906.287

Spagna 1.997.458 1.509.864 1.071.400 1.471.048 1.606.270 1.531.208

Italia 981.683 1.235.343 1.081.005 980.459 963.539 1.048.406

altri 3.874.853 4.933.284 4.802.451 5.163.401 5.011.446 4.757.087

             

totale 10.225.103 11.896.887 11.315.691 11.885.701 11.962.046 11.457.086

FAOSTAT | © FAO Statistics Division 2009 nota: escluso le superfici olivetate

Le superfici investite a semi oleosi in Italia, nell’anno 2007, sono state pari a 264,233
ettari (con un calo del 18,0% circa rispetto all’anno precedente), di cui 7,000 ettari a
colza (+99,9%), 126,475 ettari a girasole (-12,5%) e 130,335 ettari a soia (-26,0%).
La produzione di semi oleosi ha registrato una diminuzione del 18,4% passando
da 8,607,251 del 2006 a 7021,737 tonnellate del 2007. Nel confronto tra le due
annate sia la produzione di semi di soia che di girasole hanno fatto registrare
una diminuzione rispettivamente del 25 e 10%, mentre un consistente incremen-
to si è registrato per il colza (+599,2%).
La produzione di semi set-aside, non food ed energetici è stata valutata in 99,500
tonnellate contro le 24,000 tonnellate del 2006, con un aumento del 314,6%.
Rispetto alla situazione nazionale in Puglia si evidenzia una diffuso decremento – se
non annullamento – delle superfici dedicate alle colture oleaginose (Tabella 8).
Ad eccezione della soia, dalla irrilevante diffusione nella sola provincia di Bari, le
modificazioni intervenute per colza e girasole sono decisamente cospicue. Sono
infatti scomparsi più di 5,000 ha di colza, concentranti prevalentemente nel lec-

150
cese e di 11,000 ha di girasole, fortemente diffusi in provincia di Foggia.

Tabella 7 – Principali produzioni in semi oleosi in Italia


2003 2004 2005 2006 2007 media
Colture
superficie (ha)
Arachide       164 164 164

Colza 4.826 2.872 3.478 3.535 7.065 4.355

Girasole 150.781 123.997 129.874 144.566 126.475 135.139

Ravizzone 8 6 6 5 4 6

Soia 152.052 150.368 152.331 176.134 130.335 152.244

Sesamo 170 170 160 160 190 170

             

totale 307.837 277.413 285.849 324.564 264.233 291.979

Il fenomeno è da attribuirsi in maniera univoca alla eliminazione del sostegno


diretto alle colture oleaginose in attuazione della riforma della PAC.

Tabella 8 – Produzione di semi oleosi in Puglia


2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007
Coltura Provincia
superficie (ha)

Foggia 100 100 100 50 - - - -


Bari 1.078 753 544 24 - - - -
Taranto 380 320 220 175 165 140 130 120
Colza Brindisi 860 400 100 - - - - -
Lecce 4.050 4.000 25 - - - - -
totale 6.468 5.573 989 249 165 140 130 120

Foggia 7.799 4.500 3.000 3.000 2.000 1.500 1.300


1.400
Bari 65 60 55 40 16 5 5 5
Girasole Taranto 120 80 50 42 35 25 25 30
Brindisi 1.290 1.200 700 - - - - -
Lecce 4.270 3.950 39 - - - 50 -
totale 13.544 9.790 3.844 3.082 2.051 1.530 1.480 1.335

Il girasole, oleaginosa più importante in Puglia, ha fatto registrare nel 2007 una

151
superficie coltivata di 1335 ha, di contro il colza nonostante le attenzioni risposte
per una destinazione non alimentare ha di poco superato i 100 ha coltivati. La
ripartizione territoriale delle colture da olio vede la provincia di Foggia interes-
sata alla quasi totalità delle superfici regionali coltivate a girasole, mentre è la
provincia di Taranto a mostrare più attenzione al colza.

Oleaginose: uso alimentare ed energetico


Le sostanze grasse presenti nelle cellule di diverse specie vegetali risultano essere
accompagnate da una matrice proteica che le supporta; i semi contengono sostan-
ze grasse, come riserva di energia disponibile per la riproduzione, ma solo alcuni le
contengono in quantità così elevata da essere utilizzabili per l’estrazione. Tecnologie
di estrazione, più o meno semplici, consentono la separazione di questi componenti
(grassi e proteine), fra loro immiscibili, pervenendo all’isolamento di ciascuna con il
massimo di purezza e di rendimento, al costo minore, evitando inoltre l’insorgere di
reazioni collaterali.
Gli oli vegetali non sono tutti uguali, ogni specie oleaginosa produce un olio con ca-
ratteristiche specifiche, alcune delle quali ne influenzano le modalità di utilizzo.
Le differenze tra i vari tipi di oli vegetali riguarda principalmente la composizione
in acidi grassi. La maggior parte degli oli vegetali contengono in prevalenza grassi
mono e polinsaturi, e pochi grassi saturi, fanno eccezione gli “oli tropicali” che invece
contengono una grossa percentuale di grassi saturi.
Gli acidi grassi più rappresentativi sono quelli con 18 atomi di carbonio, rappresen-
tati prevalentemente da acido oleico e linoleico.

Tabella 9 – Composizione acidica dei semi oleosi


Gisasole
Girasole
 Composto (Basso Colza Soia Arachide Oliva Cotone
(alto oleico)
oleico)

Proteine 24-26 23-26 36-39 26-28 30,3


Grassi 45-49 44-46 19-20 48-50 94-95 29,6
Palmitico C 16:0 tr. 5-8 1-4 10-13 10-11 8-16 22
Stearico C18:0 3-4 3-6 1-2 3-5 2-3 1-4 2.2
Oleico C18:1 86-88 18-45 nov-30 20-23 44-46 63-88 18,31
Linoleico C18:2 3-5 40-70 30-60 48-58 28-30 3-15 50,3
Linolenico C18:3 tr. tr. 7-10 4-10 = tr. tr
Erucico C22:1 = = = = = = =
                 

152
La composizione in acidi grassi dell’olio di semi non varia solo da specie a spe-
cie, ma dipende anche dalle condizioni climatiche e dal tipo di terreno.
Da un punto di vista dietetico l’apprezzamento degli oli vegetali è tanto più ele-
vato quanto più alta è la percentuale di acidi grassi insaturi che favoriscono
l’eliminazione dei trigliceridi dal flusso sanguigno ed incrementano i livelli di co-
lesterolo HDL (colesterolo buono). Di contro, però, un eccesso di acidi grassi
polinsaturi rendono gli oli vegetali poco idonei alla cottura in quanto alle alte
temperature diventano instabili e producono residui nocivi per la salute. Parti-
colare attenzione è stata rivolta agli oli vegetali per la presenza di una serie di
componenti con specifica azione benefica sulla salute dell’uomo, aprendo tutta
una serie di prospettive per lo sviluppo di nuovi oli vegetali funzionali.
Tra questi un potente antiossidante liposolubile il tocoferolo (vitamina E) di cui
molti oli vegetali ne sono una delle fonti primarie.
Viene, inoltre, ritenuto che i livelli naturali di fitosteroli contenuti in molti oli vege-
tali possano contribuire notevolmente all’abbassamento del colesterolo (4).
L’utilizzo non alimentare al pari di quello alimentare risente molto delle carat-
teristiche degli acidi grassi. Oli ad alto contenuto in acidi grassi a catena corta
con un numero di atomi di carbonio da 1 a 4 trovano impiego sia nell’industria
alimentare, sia sotto forma dei loro alcoli come surfattanti. Gli oli vegetali sono
da anni sotto attenzione come potenziale fonte di carburante alternativo a quelli
di origine fossile. Gli oli più interessanti per la trasformazione in biodiesel sono
quelli ad elevato contenuto in acido oleico (C18:1) e linoleico (C18:2) dotati di
una facilità di combustione e buona stabilità ossidativa. In particolare, composi-
zioni ottimali sono riscontrabili in nuove linee di girasole e colza.
Un’importante alternativa alla filiera del biodiesel è la filiera degli oli vegetali grez-
zi. In linea generale, gli oli, rispetto ai metilesteri, risultano interessanti per i minori
costi di produzione e il migliore bilancio energetico, sono inoltre facili da produrre
e quindi tutto sommato si dimostrano interessanti per quelle realtà (paesi in via di
sviluppo) dove i principali obiettivi sono l’auto-produzione di energia a bassi costi
e il massimo vantaggio energetico. Ma anche nei paesi industrializzati l’olio grez-
zo può essere utilizzato in impianti di media taglia (5-15 MWe) con motori diesel
navali o turbine a gas per la produzione di calore e elettricità.
L’interesse energetico delle colture agricole è stato portato nuovamente alla ri-
balta a seguito della crisi energetica degli ultimi anni.
Naturalmente la sostenibilità delle colture bio energetiche richiede che vengano
soddisfatti i seguenti obiettivi:
- produzione di derrate agricole da energia a basso costo;
- bilancio energetico positivo (input/output);
- riduzione dell’impatto ambientale; complementarità fra produzione energe-
tica e produzione di alimenti;

153
- compatibilità fra produzione energetica ed i tre principi della nuova Pac:
- disaccoppiamento, modulazione e condizionalità (eco-compatibilità)
Un interesse particolare riveste la possibilità di produrre energia direttamente
nell’azienda agricola, ormai diventata una realtà. Molto interesse potrebbe avere
la produzione di energia elettrica utilizzando motori endotermici alimentati a olio
vegetale puro.

10.3 La Barbabietola da zucchero


Nell’ambito delle colture annoverate dall’Istat nelle colture da industria, particola-
re interesse ha rivestito nel nostro Paese la barbabietola da zucchero, seconda
coltura da zucchero a livello mondiale (dopo la canna da zucchero), adattabile
ai climi temperati e quindi coltivata nei paesi europei. La produzione mondiale
di barbabietola da zucchero ammonta a circa 250 milioni di tonnellate, esten-
dendosi su una superficie di più di 5 milioni di ettari, in gran parte concentrato in
Europa, in minor misura in Asia e Nord America (Tabella 10).

Tabella 10 – evoluzione delle produzioni e superfici di barbabietola da zuc-


chero nel mondo (dati FAO)
Aree
2005 2006 2007   2005 2006 2007
Geografiche

  Produzione (t) Superficie (ha)


   
Africa 6.731.075 7.851.690 8.600.000 135.805 151.300 175.000
Nord America 25.494.600 31.501.990 32.674.000 516.390 542.760 518.402
Sud America 2.621.096 2.225.876 1.833.150 33.091 29.478 24.650
Asia 34.354.415 36.267.338 35.164.780 850.836 792.353 799.453
Europa 182.470.824 175.366.471 169.606.963 3.871.553 3.883.871 3.777.410
   
Mondo 251.672.010 253.213.365 247.878.893   5.407.675 5.399.762 5.294.915

I Paesi maggiori produttori di barbabietola sono Francia, USA, Federazione


Russa (Tabella 11), con andamento in crescita e produzioni, per Paese, che si
attestano e superano le 30 milioni di tonnellate. Particolarmente vocate a tale
coltivazione risultano le Nazioni nord europee, con rese per unità di superficie
molto elevate.
In Italia la produzione, mantenutasi stabile su valori compresi tra 12 e 14 milioni di
tonnellate, ha subito, a partire dalla campagna 2006-2007, una consistente contra-
zione, portando la produzione a valori di poco superiori alle 4 milioni di tonnellate.
La riduzione è dovuta all’organizzazione comune di mercato dello zucchero

154
Tabella 11 – Evoluzione delle produzioni e superfici di barbabietola da zuc-
chero nei Paesi maggiori produttori (dati FAO)
Paesi 2005 2006 2007   2005 2006 2007
  (Produzione (t) Superficie (ha)
   
Francia 31.149.552 29.878.767 32.338.000 378.489 379.080 393.000
USA 24.886.800 30.631.090 31.912.000 502.990 527.760 504.602
Federazione Russa 21.420.110 30.861.230 29.000.000 758.720 948.520 1.000.000
Germania 25.387.000 20.646.600 26.114.000 420.100 357.600 406.000
Ucraina 15.467.800 22.420.700 16.978.000 623.300 787.600 635.000
Turchia 15.181.247 14.452.162 14.800.000 335.812 325.699 330.000
Polonia 11.912.444 11.474.820 11.057.800 286.175 262.046 248.800
Cina 7.881.000 10.536.000 8.931.000 210.100 157.900 160.000
Gran Bretagna 8.687.000 7.150.000 6.500.000 148.000 131.000 122.000
Belgio 5.983.173 5.666.621 5.746.892 85.527 82.912 82.701
Egitto 3.429.535 5.300.000 5.600.000 70.305 102.000 115.000
Olanda 5.931.000 5.414.100 5.400.000 91.300 82.781 84.000
Iran 4.902.387 5.100.000 5.300.000 152.875 153.000 160.000
Spagna 7.291.092 6.045.400 5.141.000 102.104 86.900 73.500
Italia 14.155.683 4.769.614 4.629.900   253.043 91.230 85.600

(ocm), uno dei comparti ove maggiore è l’incidenza delle misure di sostegno:
per tale ragione si è reso necessario intervenire con la riduzione dei prezzi di
riferimento e degli incentivi. A seguito di tale riorganizzazione, rapide sono state
le ripercussioni a livello colturale e industriale, in special modo per l’Italia, clima-
ticamente meno vocato rispetto agli altri, con “riduzione” di una consistente quo-
ta di zucchero, quasi il 50%, destinato al nostro Paese, e riorganizzazione del
comparto con chiusura definitiva della maggior parte degli stabilimenti nazionali
e difficoltà, da parte degli agricoltori, a produrre se non negli areali limitrofi gli
stabilimenti. Ciò ha determinato l’abbandono pressoché totale della coltura in
diverse regioni quali Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Umibria,
Lazio, Campania, Basilicata, Calabria, Sardegna.
Nel caso della Puglia, la chiusura dell’unico stabilimento attivo, quello di Borgo
Incoronata (FG), con possibilità di conferimento presso lo stabilimento di Termoli
(CB), ha determinato una drastica riduzione delle superfici, passate da più di
17,000 ettari nel 2005 a circa 8,000 ettari del 2007. L’eccessiva distanza dallo
stabilimento di Termoli ha determinato l’abbandono totale della coltura nelle pro-
vince di Lecce e Taranto, ove tradizionalmente la coltura ha avuto una buona

155
diffusione, con concentrazione delle superfici a coltura nel tavoliere foggiano.

Tabella 12 – Superfici e produzioni di barbabietola da zucchero nelle regio-


ni dell’Italia (dati Istat)
Regioni 2005 2006 2007   2005 2006 2007

(Produzione (t) Superficie (ha)


   
Emilia-Romagna 5.558.335 1.947.048 1.993.694 82.141 31.826 32.902
Veneto 3.544.213 963.076 55.599 44.977 13.929 857
Marche 1.781.337 756.964 528.799 34.675 14.194 12.345
Lombardia 1.545.819 559.435 537.564 21.967 7.401 7.591
Piemonte 822.185 129.741 13.715 2.495  
Puglia 752.398 486.881 448.846 17.105 11.572 8.591
Friuli-Venezia Giulia 522.948 104.642 27.883 6.485 1.655 449
Toscana 367.586 7.598  
Abruzzo 276.682 73.581 81.192 5.929 1.788 1.718
Lazio 274.916 53.293 16.723 5.586 1.393 264
Umbria 263.117 4.627  
Molise 143.399 128.214 89.976 3.420 3.615 2.044
Sardegna 83.533 1.805  
Basilicata 61.041 33.735 19.974 1.289 627 358
Calabria 53.087 19.896 886 339  
Campania 39.580 20.178 4.208 838 396 106
   
Nord 11.993.500 3.703.942 2.614.740 169.285 57.306 41.799
Centro 2.686.955 810.257 545.523 52.486 15.587 12.609
Mezzogiorno 1.409.718 762.486 644.196 31.272 18.337 12.817
               

Gli accordi sopraggiunti fra organizzazioni agricole e le società saccarifere


consentono una previsione di stabilità della coltivazione almeno fino al 2011,
data di scadenza della vigente regolamentazione del settore zucchero. Indi-
spensabile diventa, con la ulteriore riduzione degli aiuti accoppiati, un conso-
lidamento e riorganizzazione del settore.
Fra le alternative di utilizzo della barbabietola, va ricordata quella energetica.

156
con possibilità di trasformare il saccarosio contenuto in esso in etanolo, bio-
carburante da utilizzare come alternativa alla benzina, o in miscela con esso.
Già esistono, a livello mondiale, realtà operanti in tal senso (es. Brasile), sul cui
esempio è stata presupposta la riconversione energetica di alcuni zuccherifici
nazionali.

Figura 3 – Distribuzione della produzione


Bari                           
Taranto                         di barbabietola nelle province pugliesi
; 0,60% ; 0,10% (istat 2007)

Foggia                         
; 99,30%

Pomodoro da industria
La coltura del pomodoro da industria è praticata un po’ in tutto il mondo, estesa
su una superficie, in crescita, di più di 4.5 milioni di ettari, e produzione di 126
milioni di tonnellate.

Tabella 13 – Superfici e produzioni di pomodoro da industria per aree geo-


grafiche (dati FAO)
Area
2005 2006 2007   2005 2006 2007
geografica
  Produzione (t) Superficie (Ha)
Asia 65.877.263 67.409.833 67.798.472 2.690.174 2.834.707 2.827.803
Europa 23.042.921 21.678.868 20.497.562 646.221 616.098 594.643
Africa 14.665.085 14.457.993 14.507.140 678.914 655.009 660.215
Nord America 11.822.163 12.115.067 12.107.973 173.695 179.506 182.944
Sud America 6.425.495 6.351.825 6.415.428 142.736 140.980 141.088
Centro America 2.731.472 3.446.538 3.360.793 87.452 140.870 144.610
Oceania 503.200 546.320 563.790 9.074 8.937 9.300

Mondo 126.223.688 126.996.058 126.246.708 4.501.698 4.639.712 4.626.232

157
La produzione, a livello di continenti, è fortemente concentrata in Asia, estesa
su una superficie di 2.8 milioni di ettari, con una produzione di quasi 68 milioni
di tonnellate (Tabella13).
La Cina è il Paese maggior produttore mondiale di pomodoro, seguito da USA,
Turchia, Egitto (Tabella14). L’Italia ha sempre avuto una consolidata tradizione
nella coltivazione del pomodoro da industria, rappresentando il primo produttore
di pomodoro nell’ambito della comunità Europea.

Tabella 14 – Superfici e produzioni di pomodoro da industria per nazioni (dati FAO)

Paese 2005 2006 2007   2005 2006 2007

  Produzione (t) Superficie (Ha)

Cina 31.618.462 32.540.040 33.645.000 1.304.765 1.405.103 1.455.200


USA 10.982.790 11.298.040 11.500.000 164.970 170.860 175.000
Turchia 10.050.000 9.854.877 9.919.673 270.000 270.000 270.000
India 8.637.700 9.361.800 8.585.800 497.600 534.500 479.200
Egitto 7.600.000 7.650.000 7.550.000 195.000 196.000 194.000
Italia 7.187.014 6.351.202 6.025.613 138.759 122.192 118.224
Iran 4.781.018 4.800.000 5.000.000 138.791 139.000 140.000
Spagna 4.810.301 3.679.300 3.615.000 72.285 57.300 55.600

La Puglia rappresenta la prima regione produttrice di pomodoro a livello


nazionale, seguita dall’Emilia Romagna. La superficie destinata a tale col-
tivazione è in gran parte concentrata nel tavoliere pugliese, areale partico-
larmente vocato per tale tipo di coltivazione, e strettamente collegato alle
industrie conserviere della Puglia e della Campania (Tabella15).
Anche nel comparto del pomodoro vi sono comunque incertezze in merito all’im-
patto della nuova ocm, con applicazione del disaccoppiamento, la cui applica-
zione graduale ha evitato, almeno fino al 2010 l’eventuale abbandono della col-
tura, con problemi all’intera filiera, che rappresenta l’asse portante dell’industria
agro-alimentare nazionale, in termini di reddito e di occupazione.
La gradualità prevede che per il periodo 2008-2010 la metà del fondo sia desti-
nata all’aiuto totalmente disaccoppiato dalla coltivazione e l’altra metà a un aiuto
per ettaro destinato ai produttori storici e non, che attraverso le organizzazio-
ni dei produttori consegneranno pomodoro all’industria. Gli accordi fra settore
agricolo ed industriale ha permesso, inoltre, una buona redditività della coltura,
con superfici in crescita nel 2009. Anche in tale settore fondamentale diventa la

158
riorganizzazione, con una stretta collaborazione fra mondo agricolo ed industria
per la programmazione delle raccolte e conferimenti.

Tabella 15 – Distribuzione delle superfici e produzioni di pomodoro a livel-


lo nazionale (dati Istat)
Paese 2005 2006 2007   2005 2006 2007

  Produzione (t) Superficie (Ha)


Puglia 25.760 28.950 25.350 1.775.950 1.897.200 1.616.750
Emilia-Romagna 23.496 22.310 22.799 1.493.556 1.485.419 1.359.949
Lombardia 5.905 5.751 6.561 342.224 389.006 455.855
Campania 5.365 5.275 5.283 316.124 296.215 308.186
Sicilia 11.280 11.340 11.240 234.260 229.650 230.300
Toscana 2.342 2.742 2.816 141.070 194.070 191.713
Basilicata 3.852 4.271 3.238 204.092 240.315 165.376
Lazio 2.000 2.000 2.030 141.450 149.198 150.493
Calabria 4.057 4.218 3.537 135.869 150.304 123.009
Veneto 1.431 1.506 1.442 80.908 89.121 80.090
Piemonte 1.352 1.315 1.336 69.620 68.564 69.255
Umbria 858 733 820 63.910 55.320 61.998
Abruzzo 1.192 1.139 1.124 55.225 51.795 52.145
Molise 600 600 600 39.000 36.000 36.000
Marche 729 720 720 26.437 26.555 26.332
Sardegna 433 463 462 20.300 21.638 21.589
Liguria 10 7 10 500 325 500
Friuli-Venezia Giulia 4 1.006 5 140 40.200 170

Nord 32.198 31.895 32.156 1.986.948 2.072.635 1.965.954


Centro 5.929 6.195 6.386 372.867 425.143 430.536
Mezzogiorno 52.539 56.256 50.834 2.780.820 2.923.117 2.553.356
               

Altre colture
Da ricordare, fra le specie industriali, il tabacco, specie diffusa in paesi quali
Cina, Brasile e India (Tabella16), e che ha avuto una buona diffusione anche in
Italia (Campania, Umbria, Veneto e Toscana) (Figura 4).

159
Tabella 16 – Superfici e produzioni di tabacco per nazioni (dati FAO)
Paese 2005 2006 2007   2005 2006 2007

  Produzione (t) Superficie (Ha)

Cina 2.685.743 2.746.193 2.397.200 1.364.500 1.376.100 1.401.200


Brasile 889.426 900.381 919.393 493.761 495.706 461.482
India 549.100 552.200 555.000 366.500 372.800 380.000
USA 290.170 329.918 353.177 120.610 137.188 144.068
Indonesia 153.470 177.895 180.000 198.212 215.012 215.000
Argentina 163.528 165.000 170.000 90.000 90.000 92.000
Pakistan 100.500 112.600 126.000 50.500 56.400 62.000
Malawi 110.000 115.000 118.000 150.000 155.000 155.000
Italia 115.983 110.000 100.000 34.372 36.000 35.000
Turchia 135.247 98.137 98.000 185.342 146.166 146.000

Mondo 6.698.999 6.615.424 6.326.252 3.950.411 3.906.369 3.927.568

               

La coltura ha avuto una buona diffusione in areale pugliese, con buone


estensioni nel Salento e nella Murgia nord barese (Poggiorsini, Spinazzo-
la). La coltura, da definirsi una commodity, per la capacità di incorporare un
elevato valore aggiunto durante la filiera di trasformazione, ha rappresentato
una delle principali fonti di sostegno per diverse famiglie contadine famiglie
della provincia di Lecce in modo particolare. Elevata, fino al 2003, è stata la
concentrazione territoriale della tabacchicoltura, con l’80% della produzione
nazionale concentrata in appena 7 provincia: Benevento, Avellino, Caserta,
Lecce, Verona, Arezzo, Perugia.
Tale aspetto era legato, oltre che a peculiarità di carattere climatico, ad aspetti
legati alla necessità di elevata specializzazione nella fase di coltivazione, raccol-
ta e cura delle foglie di tabacco, alla presenza di strutture per l’essicazione delle
foglie, nonché di magazzini per la consegna e lavorazione del prodotto essic-
cato. La necessita inoltre di notevole impegno lavorativo nelle fasi colturali e di
post-raccolta del tabacco consentiva, su superfici aziendali ridotte, il raggiungi-
mento di una buona redditività alla famiglia contadina, che veniva impegnata in
toto nelle diverse fasi del ciclo produttivo.
Con il regolamento (CE) 864/2004 del 29 aprile, e successiva rettifica del 9 giu-

160
gno, è stata riformata l’OCM tabacco; il nuovo regime richiama alle norme gene-
rali dettate nel regolamento (CE) 1782/2003, dove vengono introdotti il regime di
pagamento unico, la modulazione e la condizionalità.
La nuova organizzazione comune ha previsto una fase transitoria, dal 2006 al
2009 con pagamento del 40% dei premi storici in regime disaccoppiato, mentre
il restante 60% conferito in regime accoppiato.
Dal 2010 il premio sarà completamente disaccoppiato (premio ad ettaro), ov-
vero ricadrà in regime di pagamento unico, così come disposto dal reg, (CE)
1782/2003. Da questa data l’ammontare complessivo del premio viene decurta-
to del 50%, ovvero viene dimezzato.
Di fatto, a partire dal 2010, la coltivazione del tabacco, secondo alcune analisi
economiche, a condizioni di mercato come quelle attuali, avrà un crollo della
redditività anche nelle realtà più efficienti, rendendo di fatto non convenente
la coltivazione di tale coltura, con tendenza all’abbandono, fenomeno di fatto
già verificatosi in alcune regioni. La possibilità di riscattare i diritti riconosciuti a
titolo di pagamento unico, da soli in grado di garantire livelli di reddito accetta-
bili, consentirebbero l’impianto di altre colture in alternativa al tabacco, divenuto
anticonveniente in termini di bilancio colturale.

Figura 4 – Distribuzione della produzione di tabacco nelle regioni italiane (istat 2007)

Nell’ambito delle colture tessili, una limitata diffusione, pari a poco più di un
migliaio di ettari, hanno colture quali canapa, diffusa in Emilia Romagna e Pie-
monte, e lino, coltivato su poche decine di ettari in Puglia e Basilicata. Nella tra-

161
dizione regionale anche la coltivazione del cotone ha avuto una certa diffusione,
in provincia di Foggia.
La diffusione di tali colture sarebbe possibile impostando opportuni programmi
di valorizzazione dell’intera filiera produttiva, che consentirebbe il rilancio di
produzioni tipiche facenti parte della tradizione locale, Interessanti potrebbero
essere gli usi alternativi delle fibre: queste infatti trovano impiego in settori quali
materiali da imballaggio, fonoassorbenti per l’industria automobilistica e l’edili-
zia, prodotti plastici rinforzati con fibre e materiali compositi.
Oltre le fibre, i semi di lino e cotone presentano un elevato contenuto in fibre e
proteine, Interessante è l’olio contenuto nei semi di lino, molto ricco in acidi gras-
si polinsaturi, lignani e mucillagini che trovano largo impiego in fitoterapia.

162
BIBLIOGRAFIA

Bruni M., Loi A. 2007. Barbabietola ancora competitiva almeno fino al 2011.
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www. Fao.org
www.istat.it

163
164
11- GIRASOLE (Helianthus annus L.)
Leonardo Verdini
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali – Facoltà di Agraria
Università degli Studi di Bari

1. Introduzione
Il girasole è una specie originaria delle regioni occidentali dell’America. In Eu-
ropa è stato introdotto per la prima volta in Spagna attraverso il Messico nel
1500. Si è affermata come pianta oleifera agli inizi del XIX secolo, in Russia, a
seguito della messa a punto del primo metodo industriale di estrazione. In Ita-
lia la sua diffusione ha avuto inizio nei primi anni ’70 fino a raggiungere i circa
230.000 ettari, concentrati nelle regioni centrali (Toscana, Umbria e Marche) e
meridionali (Molise e Puglia), a seguito delle riforme comunitarie di sostegno alle
oleaginose.
Il nome Helianthus, derivante da helios (sole) e anthos (fiore), è stato dato per il
suo tropismo, cioè la capacità di alcuni organi delle piante di reagire agli stimoli
luminosi incurvandosi nella direzione degli stessi.
Il girasole è quasi esclusivamente coltivato per la produzione di olio, contenuto
negli acheni in una percentuale oscillante tra il 30 ed il 50%. Quest’ultimo è
composto da acidi grassi, in particolare acido oleico e linoleico, che con la loro

165
incidenza relativa determinano la destinazione d’uso dell’olio medesimo.
Infatti, in base alla prevalenza di uno dei due acidi grassi, le varietà ven-
gono denominate “alto oleico”, che trovano impiego sia nell’alimentazione
umana che per diverse utilizzazioni in campo industriale, oppure “comuni” o
“convenzionali, a maggior utilizzo in campo industriale, come costituente dei
colori per la verniciatura, in sostituzione dell’olio di lino e per la produzione
di biodiesel.

2. Aspetti morfologici e fisiologici


Il girasole è una pianta erbacea annuale, appartenente alla famiglia delle Aste-
raceae con tipico fiore composito. Presenta apparato radicale principale di tipo
fittonante da cui si dipartono numerosi ramificazioni. Il fusto è singolo, eretto,
cilindrico, peloso e raramente ramificato, con una lunghezza variabile tra 60 e
220 cm. Le foglie, sino a 20-30 per fusto, sono grandi, di colore verde intenso,
a forma di cuore, con superficie rugosa, disposte in modo alterno sul fusto per
intercettare al massimo la luce.
L’infiorescenza, detta calatide, presenta un diametro che può variare dai 10 ai
40 cm a seconda della varietà e delle condizioni colturali, è circondata da una
corona di brattee di colore verde.
Sul ricettacolo si dipartono i fiori ligulati e quelli sessili, i primi disposti radialmen-
te in 1-2 file con fiori asessili, i secondi hanno fiori ermafroditi e sono disposti in
archi spiraliformi che irradiano dal centro del disco (Figura 1).

Figura 1 - Sezione schematica del capolino del girasole.

166
L’impollinazione inizia dalla periferia e procede verso il centro della calatide. Un
indice di stress può essere infatti la presenza di zone centrali della calatide con
presenza di aborti del seme.
Il frutto è un achenio di colore tipicamente scuro, talvolta con strisce bianche o
grigie, largo 3,5-9 mm, lungo 7,5-17 mm. Il peso dei mille semi per le varietà da
olio varia tra i 40-60 g. Dall’estrazione dell’olio residua il panello, ricco in protei-
ne, avente interesse in campo zootecnico.

3. Il ciclo della pianta


Il girasole è una specie a ciclo primaverile-estivo. Presenta la caratteristica di
resistere bene alle basse temperatura, condizione che è possibile sfruttare negli
ambienti meridionali per un anticipo della semina e del ciclo in generale. In tal
modo è possibile ottenere una “sfuggenza” dalle condizioni siccitose estive dei
nostri areali.
Grazie ad un potente apparato radicale, che si espande a notevoli profondità,
la pianta riesce ad utilizzare riserve idriche e nutritive accumulate nel terreno
inaccessibili ad altre specie.
Il girasole è quindi una specie che si adatta meglio di altre piante a ciclo prima-
verile-estivo, alla coltivazione in asciutto negli ambienti dell’Italia centro-meridio-
nale. Infatti, ha trovato una certa diffusione come coltura da rinnovo dei sistemi
colturali privi di disponibilità irrigue.
Il girasole compie il proprio ciclo di sviluppo, dall’emergenza alla maturazione
fisiologica, in 110-145 giorni. I semi germinano anche a 4 °C, ma per una germi-
nazione ottimale sono preferibili temperature di 8-10 °C. Da rilevare che in fase
di emergenza, allorché le plantule presentano le foglie cotiledonari, la coltura
può resistere a temperature anche inferiori a 0°C. Le temperature ottimali nella
fase di crescita della pianta sono comprese tra 21 e 26 °C. Temperature troppo
alte influiscono negativamente sia sul riempimento del frutto che sull’accumulo
di olio negli acheni.
Il ciclo di sviluppo può essere suddiviso nelle seguenti fasi (Figura 2):
- semina - emergenza;
- emergenza - 6 foglie vere;
- 6 foglie vere - bottone fiorale di 15 mm di diametro;
- dal bottone fiorale di 15 mm di diametro - fioritura;
- fioritura;
- fine fioritura - maturazione fisiologica.
La durata del ciclo è condizionata dall’andamento climatico. Con l’avvicinarsi della
maturazione si ha riduzione dell’accumulo di sostanza secca e aumento della re-
spirazione, si completa il trasferimento delle sostanze di riserva che dai vari organi
(fusto, foglie e calatide) migrano verso gli acheni, con l’accumulo delle proteine,

167
fase che si completa prima dell’accumulo dell’olio. La maturazione fisiologica degli
acheni è raggiunta quando i valori di umidità oscillano dal 15% al 35-40% a seconda
delle condizioni ambientali e delle caratteristiche delle cultivar.
La maturazione commerciale si raggiunge quando gli acheni si staccano facil-
mente dalla calatide e i valori di umidità si aggirano intorno 9-10%.

Figura 2 - Schema del ciclo biologico del girasole (da Bonciarelli, 1987).
4. Avvicendamento
Il girasole è una classica coltura miglioratrice da rinnovo. Essendo specie a se-
mina primaverile e con ciclo colturale primaverile-estivo, il girasole richiede una
buona preparazione del terreno. Inoltre, se si effettua la semina precoce, il gi-
rasole libera presto il terreno, entro la fine dell’estate, agevolando in tal modo i
preparativi per l’impianto della coltura cerealicola seguente.
L’efficacia del controllo delle erbe infestanti realizzato dal diserbo e/o dalle sar-
chiature, abbinato al forte potere competitivo proprio del girasole, assicura un
buon rinettamento del terreno. Inoltre, i residui colturali dell’oleifera sono facil-
mente decomponibili e dotati di un discreto coefficiente isoumico. Data la friabi-
lità e lo stato di frammentazione dei residui colturali del girasole, la semina del
cereale successivo previa lavorazione minima o direttamente su terreno non
lavorato non incontra particolari difficoltà di esecuzione.

168
Al fine di evitare problemi determinati dalla flora patogena e infestante, è consi-
gliabile non far ritornare la coltura sullo stesso terreno a intervalli di tempo non
inferiori a 3-4 anni.
Negli ambienti centro-meridionali con ordinamenti colturali in asciutto, si sono
affermati rotazioni triennali con girasole-frumento-frumento, girasole-frumento-
cereale (Figura 3).

Figura 3 – Esempi di rotazioni in cui è comunemente inserito il girasole

In queste rotazioni di breve durata la coltura del girasole ha potuto reggere gra-
zie alla costituzione col miglioramento genetico di ibridi resistenti alla perono-
spora (Plasmopara helianthi Novot) ed alla disponibilità di efficaci prodotti anti-
ficomicetici (metalaxil) capaci di proteggere le piante suscettibili dall’invasione
del patogeno attraverso la concia del seme.
In caso di infestazioni da girasole selvatico bisogna interrompere la coltivazione
dell’oleifera per un congruo numero di anni per favorirne la eradicazione. Buona
pratica agricola è quella di non far seguire al girasole specie ospiti di parassiti
che attaccano anche l’oleifera: tra queste la soia e il colza, suscettibili alla Scle-
rotinia sp.pl., alla Phomopsis sp.pl. e di altre fitopatie.
Dal punto di vista pedologico la coltura mal si adatta a terreni sciolti, per la bassa ca-
pacità di accumulare riserve d’acqua, e quelli poco profondi, perché non consentono
lo sviluppo di un ampio e profondo apparato radicale. Quanto alle caratteristiche chi-
miche del terreno, il girasole si adatta a suoli da subacidi a subalcalini in un campo
di valori del pH da 6 a 8, mentre rifugge dai terreni acidi. Nei confronti della salinità,
rientra nel gruppo di specie classificate “moderatamente tolleranti”.

5. Preparazione del terreno


La resa produttiva del girasole è strettamente correlata all’investimento, pertanto
un’emergenza rapida ed uniforme, ottenibile con un’adeguata preparazione del

169
letto di semina, risulta fondamentale. L’applicazione di pratiche colturali atte ad
aumentare la capacità idrica del terreno sono da preferire per migliorare il rifor-
nimento idrico all’apparato radicale della pianta.
Nei terreni di medio impasto o tendenti all’argilloso la lavorazione principale può
essere mantenuta intorno a 25-35 cm. Quando sussista la necessità di dirompere il
terreno a profondità maggiori è consigliabile adottare una tecnica di lavorazione “a
due strati”, mantenendo la profondità di rovesciamento entro i 25-35 cm.
Salvo che nei terreni limosi o sciolti, la cui preparazione definitiva deve essere ri-
mandata al momento della semina, conviene che gli ultimi lavori superficiali di pre-
parazione del letto di semina vengano effettuati con anticipo rispetto al momento
dell’impianto della coltura. Per controllare le infestanti eventualmente nate tra la pre-
parazione anticipata del terreno e la semina si può intervenire con erpicature molto
leggere e superficiali, oppure con trattamenti disseccanti pre-semina.

6. Semina
La semina rappresenta un momento cruciale della tecnica di coltivazione. Il girasole è
coltura a bassa densità di investimento (5-7 piante m-2). L’aumento della fittezza della
coltura non aumenta la resa in acheni e tanto meno la resa in olio, di contro si creano
condizioni sfavorevoli, quali aumento d’altezza e diminuzione del diametro del fusto,
suscettibilità all’allettamento ed allo stroncamento del fusto.
L’impianto della coltura prevede la semina a file, la cui distanza può variare
da 45-50 a 70-75 cm. La prima condizione da soddisfare nella scelta di tale
distanza è che siano rispettate le esigenze di operatività di tutte le macchine e
gli strumenti impiegati per le varie operazioni colturali: semina, concimazione in
copertura, sarchiatura, rincalzatura, mietitrebbiatura.
La riduzione dell’interfila permette un anticipo della copertura del terreno da par-
te della coltura, aumentandone il potere di competizione sulle erbe infestanti, la

Figura 4 – Seminatrici di precisione di tipo pneumatico

170
disposizione delle piante sul terreno è più regolare e migliora l’intercettazione
della radiazione solare da parte del fogliame. Malgrado gli aspetti positivi appe-
na ricordati, la ricerca sperimentale non ha dimostrato concreti vantaggi produt-
tivi stringendo le file da 75 a 45 cm, per cui la convenienza a stringere le file è
fondamentalmente legato solo ad esigenze di meccanizzazione.
La migliore tecnica di esecuzione della semina è quella che impiega semina-
trici di precisione di tipo pneumatico dotate degli appositi dischi per il girasole
per una regolarità e uniformità di distribuzione del seme (Figura 4).
La giusta profondità di semina è di 4 cm, per cui è importante che tale profon-
dità sia uniforme su tutto l’appezzamento, per garantire emergenze regolari e
contemporanee. Per favorire il contatto tra seme e terreno e per permettere
la risalita dell’acqua per capillarità dagli strati umidi sottosuperficiali è consi-
gliabile una rullatura eseguita subito dopo la semina, con rulli scanalati, che
lasciando il terreno corrugato impedendo la formazione di crosta qualora
dovessero verificarsi piogge intense e battenti.
Commercialmente la semente di girasole viene venduta a “dosi”, confezioni
contenenti un determinato numero di semi (generalmente 70.000) conciati
con prodotti anticrittogamici (metalaxil) dei quali deve essere obbligatoria-
mente indicato il principio attivo e la sua classe di tossicità sul cartellino del
produttore. L’epoca migliore per la semina in ambienti dell’Italia meridionale
è nella seconda metà di febbraio, mentre nell’Italia centrale tale epoca cade
verso il 15-20 marzo. Semine anticipate potrebbero, se la temperatura ri-
mane a lungo su valori troppo bassi, esporre semi e plantule a pericolose
avversità naturali: marciumi, maggior virulenza di certi parassiti, possibilità
di ristagni idrici. Altrettanto, semine ritardate incidono negativamente sulla
produttività della coltura in quanto la fioritura e la successiva fase produttiva
si spostano sempre più verso il periodo caldo e siccitoso dell’estate, con un
decremento delle rese in acheni e in olio.

7. Scelta varietale
Le varietà di girasole disponibili in commercio sono numerose, rappresentate
da ibridi, semplici o a più vie, principalmente differenziati per ciclo di matura-
zione e per composizione in acidi grassi del seme.
In base al ciclo di maturazione gli ibridi sono raggruppati in tre classi princi-
pali:
- precoci;
- medi; medio-precoci; medio-tardivi;
- tardivi.
La maggior parte delle cultivar diffuse in commercio in Italia presentano una
gamma di precocità, espressa come epoca di fioritura, che appartengono alle

171
classi medio-precoce e medio-tardiva. La diffusione di queste ultime sono da ri-
cercare nelle possibilità di adattamento ai diversi ambienti di coltivazione italiani
e alle potenzialità produttive dei genotipi.
Per una corretta scelta varietale nell’ambito di una tanto ampia offerta di cultivar
è necessario tenere conto di alcuni criteri guida:
- adattamento agli ambienti: lunghezza del ciclo; altezza della pianta;
- produttività: resa in acheni e in olio;
- caratteri qualitativi: contenuto d’olio degli acheni; composizione dell’olio;
- resistenza a parassiti, nei confronti di fitopatie diffuse.
La lunghezza del ciclo biologico e l’altezza della pianta sono importanti caratteri
di adattamento di una varietà agli ambienti di coltivazione.
L’altezza della pianta costituisce un importante elemento di valutazione, in quan-
to è carattere potenzialmente correlato con la suscettibilità all’allettamento, re-
clinamento e stroncamento dello stelo.
La produttività deve essere espressa sia quantitativamente che qualitativamente:
infatti, il prodotto economicamente utile è l’olio, qualunque ne sia la destinazione,
alimentazione umana o impieghi industriali. In Italia il mercato per la remunerazione
del girasole fa riferimento alla resa in acheni e non a quello in olio.
L’olio di girasole delle varietà comunemente coltivate è costituito per il 90% circa
dagli acidi oleico (18:1) e linoleico (18:2), che con la loro incidenza determinano
la destinazione d’uso dell’olio medesimo. Le varietà denominate “alto oleico”
contenenti fino all’85% di acido oleico trovano impiego sia nell’alimentazione
umana che per diverse utilizzazioni in campo industriale.

8. Concimazione minerale
Il girasole senza apporti idrici è una specie dotata di potenzialità produttive non
elevate essendo coltura a ciclo primaverile-estivo. Per questi motivi le esigen-
ze nutritive risultano
modeste, special-   F A B B IS O G N I R E S TITU Z IO N I A S P O R TA Z IO N I
mente nei riguardi di 200 160 120 80 40 0 40 80 120 160 200
azoto e fosforo. Va
inoltre ricordato che N  =  1 1 0 35 75
col suo apparato ra-
dicale il girasole è in P 2 O 5  =  4 8 11 37
grado di assorbire
elevate quantità di
K 2 O  =  1 8 2 157 25
nutrienti dagli strati
profondi del terreno
e che percentuali Figura 5 - Fabbisogni, restituzioni ed asportazioni (kg/ha)
rilevanti di elementi per una produzione di 2,5 t ha-1di acheni.

172
assorbiti, specialmente di potassio che è il solo elemento verso cui l’oleifera
presenta esigenze elevate, si localizzano in organi della pianta che ritornano
nel terreno come residui colturali. Ciò comporta un recupero di principi nutritivi
localizzati in profondità a vantaggio degli strati superficiali del terreno nei quali
vengono incorporati i residui colturali.
I dati riportati in figura 5 forniscono un’indicazione sui fabbisogni, sulle restituzioni e
sulle asportazioni della coltura, per una produzione di riferimento di 2,5 t ha-1.
Il girasole ha uno sviluppo rapido fin dagli stadi iniziali dell’accrescimento, per-
tanto l’assorbimento dell’azoto dal terreno è molto intenso. Ne deriva che la
dose d’azoto preventivata può essere distribuita già tutta alla semina, oppure
frazionarla parte alla semina e parte in copertura, la seconda distribuzione da
eseguire prima che le piante chiudano lo spazio tra le file (in concomitanza con
la sarchiatura). La forma di somministrazione dell’azoto è quella ammoniacale
o ureica, scegliendo il formulato che assicura l’apporto alla pianta della dose
prevista al costo più basso.
Il fosforo, avendo limitatissima mobilità nel terreno, per renderlo disponibile alle
radici, va interrato attraverso i lavori preparatori (aratura, fresatura, etc.). Una
variante è costituita dalla localizzazione, consiste nella distribuzione di una quo-
ta della dose preventivata di concime in bande poste in prossimità delle file di
semina, qualche centimetro sotto o a lato del seme. I vantaggi della localizzazio-
ne riguardano: più alta concentrazione di fosforo vicino alle radici della piantina;
riduzione dei fenomeni di insolubilizzazione e di adsorbimento; accelerazione
dello sviluppo iniziale della pianta, che proprio nelle prime fasi di vita risulta
particolarmente bisognosa di fosforo; aumento dell’efficienza di utilizzazione del
nutriente.
Anche il potassio, così come il fosforo, ha ridotta mobilità nel terreno, per cui
risulta indispensabile distribuire il concime in tutto lo strato di terreno che ospi-
terà le radici. Non essendo possibile distribuire i concimi potassici in copertura,
essi debbono essere interrati al momento delle lavorazioni preparatorie (aratura,
zappatrice) o al massimo in concomitanza di quelle complementari utilizzando
attrezzi idonei al conseguimento dell’interramento (erpici a dischi, estirpatori).

9. Irrigazione
Il raggiungimento delle massime potenzialità produttive nel girasole sono
raggiungibili solo ricorrendo all’irrigazione, pratica che però risulta, nei nostri
areali, non proponibile economicamente perché non competitivo con altre
colture irrigue di più alta potenzialità produttiva e di reddito più elevato. Pro-
ponibili sono interventi irrigui di soccorso, necessari in annate particolarmen-
te siccitose.
Gli aspetti da tenere in considerazione sono fondamentalmente due:

173
dall’alto: a) / b) / c)
Figura 6 - a) bottone fiorale; b) bottone fiorale con ligule gialle poste
perpendicolarmente al piano del disco (momento in cui deve essere
effettuato l’intervento irriguo di soccorso); c) ligule del fiore del raggio
in appassimento.

1) il volume d’acqua da fornire, deve essere, tale da portare


alla capacità idrica di campo uno strato di almeno 50-60 cm,
allo scopo di costituire riserve in profondità evitando ecces-
sive perdite per evaporazione superficiale;
2) il momento di intervento corrisponde allo stadio che va
dalla fine della formazione del bottone fiorale sino a quando
le ligule gialle dei fiori del raggio appassiscono (a circa 15
giorni di distanza dalla piena fioritura, Figura 6).

10. Raccolta
La raccolta è effettuata meccanicamente con mietitrebbia-
trice da grano con testata dedicata per la raccolta del gira-
sole (Figura 7). Il momento della raccolta ricade quando le
piante presentano il dorso del capolino di colore bruno, lo
stelo senza traccia di colore verde e tutte le foglie sono completamente secche.
L’indice migliore per procedere alla raccolta è comunque costituito dalla umidità
degli acheni, che deve essere del 10% circa. I parametri base per la commercia-
lizzazione del girasole, quindi del prezzo, sono i seguenti: umidità 9%; impurità
2%. Ogni scostamento da tali indici base determina una proporzionale riduzione
del prezzo conferito al produttore.

Figura 7 - Fase di raccolta del girasole, particolari della mietitrebbiatura.

11. Il controllo delle infestanti


Il controllo chimico delle malerbe prevede l’applicazione di erbicidi alla semina
o in pre-emergenza, più difficile risulta essere un intervento in post-emergenza
perché non sono disponibili prodotti dicotiledonicidi selettivi a largo spettro di

174
azione. Le più comuni infestanti sono dicotiledoni: Chenopodium album, Sinapis
arvensis, Poligunum sp.pl., Solanum nigrum; tra le monocotiledoni: Echinocloa
crus galli, Setaria sp.pl. e Digitaria sp.pl.
L’intervento di diserbo deve assicurare la protezione della coltura, dalla compe-
tizione con le malerbe, nel periodo compreso tra l’emergenza e lo stadio di 6-8
foglie, successivamente la coltura del girasole, se viene messa nelle condizioni
di coprire il terreno, compete egregiamente con le infestanti. Inoltre, per il conte-
nimento delle infestanti, ai trattamenti di sintesi devono seguire necessariamen-
te interventi di tipo agronomico, come fresatura o sarchiatura nell’interfila.

Scheda di diserbo
Epoca
Principi attivi
d’intervento

Pre-semina Glifosate; glufosinate ammonio;

Monocotiledoni + dicotiledoni: pendimetalin;


metolaclor + metobromuron;
Pre-emergenza

Dicotiledoni: aclonifen; fluorochloridone;

Monocotiledoni:
Post-emergenza cicloxidim; fenoxaprop-etil; fluazifop-p-butil;
imazametabenz; setoxidim;

12. Fitopatie e difesa fitosanitaria


Il girasole è ospite di numerosi patogeni. Viene colpito dalle avversità normal-
mente durante la fase vegetativa o all’inizio della fioritura.
In Italia meridionale, dove la coltura del girasole è effettuata quasi esclusivamen-
te in asciutta, poche sono le fitopatie responsabili di danni gravi alla coltura. Da
segnalare sono la peronospora (Plasmopara helianthi), il marciume carbonioso
dello stelo (Sclerotium bataticola, sinonimo Macrophomina phaseolina), lo stelo
nero (Phoma spp.) che tuttavia non determina particolari conseguenze per la
pianta e infine da ricordare il cancro dello stelo dovuto a Phomopsis helianthi. Il
panorama varietale in commercio presente in Italia annovera genotipi resistenti
o tolleranti riguardanti la peronospora, “razza europea” o razza 1, ed il cancro
dello stelo. La lotta chimica risulta di difficile attuazione per la mancanza di fun-
gicidi autorizzati e per la difficoltà di esecuzione del trattamento con la coltura
in atto, resta comunque come mezzo efficace di lotta chimica contro il patogeno

175
della peronospora la concia del seme con metalaxil. Non si conoscono fattori
genetici di resistenza a Sclerotium bataticola ed a Phoma. Per quanto riguarda
la Phomopsis, che non costituisce attualmente un problema in Italia, diverse
varietà offerte in commercio sono resistenti o pochissimo suscettibili.
Di seguito sono riportate delle schede che forniscono indicazioni di carattere
generale che vanno aggiornate periodicamente in base al Disciplinare di Produ-
zione Integrata per il Girasole.

Scheda di difesa fitosanitaria


Avversità Principi attivi
Crittogame
Peronospora Concia delle sementi (metalaxil)
(Plasmopara helianthi) Varietà resistenti
Nessun trattamento
Marciume carbonioso Evitare densità alte d’impianto
(Sclerotium bataticola) Contenere la concimazione azotata
Evitare stress idrico (irrig. di soccorso)
Nessun trattamento
Varietà a minore suscettibilità
Sclerotinia
Evitare densità alte d’impianto
(Sclerotinia sclerotiorum)
Contenere la concimazione azotata
Evitare abbondanti irrigazioni alla fioritura
Muffa grigia
Nessun trattamento
(Botrytis cinerea)
Fusariosi e Septoriosi Nessun trattamento

Fitofagi

Concia delle sementi (metalaxil)


Elateridi
Geoinsetticidi localizzati nel solco alla
(Agriotes spp.)
semina

Nottue terricole Nessun trattamento

Nottue fogliari Nessun trattamento

176
Scheda di difesa biologica
Avversità Interventi

Crittogame

Adottare lunghe rotazioni (5-6 anni)


Peronospora
Impiego di varietà resistenti
(Plasmopara helianthi)
Semine anticipate e troppo profonde

Adottare lunghe rotazioni


Marciume carbonioso Impiego di semente sana
(Sclerotium bataticola) Opportune pratiche agricole atte ad un
adeguato sviluppo delle piante
Adottare lunghe rotazioni (almeno 4 anni)
Sclerotinia Favorire lo sgrondo delle acque in eccesso
(Sclerotinia sclerotiorum) Distruggere tempestivamente le piante
colpite

Fitofagi

Ripetute lavorazioni superficiali nel periodo


della nascite per mantenere asciutto il terre-
Elateridi no in superficie
(Agriotes spp.) Evitare la successione con ortive sensibili
agli elateridi (patata, cipolla, melone), alme-
no per 3 anni
Piralide del girasole
Impiego di varietà resistenti
(Homeosoma nebulellum)

177
Bibliografia

AA. VV., 1995. Le tecniche di coltivazione delle principali colture agroindustriali.


Agronomica.
Baldoni R., Giardini L., 2001. Coltivazioni erbacee. Piante oleifere, da zuc-
chero, da fibra, orticole e aromatiche. Patron Editore Bologna.
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rie. Ed. Edagricole Bologna.
Del Gatto A. et al., 2009. I migliori girasoli per produrre energia. L’Informatore
Agrario 10: 52-54.
GIROTTO G., 1975. Il girasole. Ed. Edagricole Bologna.
Monotti M. et al., 2002. Varietà di girasole a confronto. Varietà di girasole alto
oleico e convenzionali a confronto. L’Informatore Agrario 11: 43-55.

178
12- COLZA
(Brassica napus L. subsp. oleifera DC)
Gianluca Brunetti
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali – Facoltà di Agraria
Università degli Studi di Bari

1. Introduzione
 
La colza è una pianta che appartiene alla fa-
miglia delle Cruciferae o Brassicaceae; è una
coltura annuale con fusto eretto alto da 1,5 a
2,0 m, con una grande radice fittonante che
può raggiungere i 70-80 centimetri di profondi-
tà, anche se la sua gran parte è concentrata nei
primi 30-40 cm del profilo del suolo. L’infiore-
scenza è un racemo con fioritura scalare, con i
fiori costituiti da 4 petali di colore giallo disposti
a forma di croce, mentre il frutto è una siliqua
con due carpelli separati da un setto. Il numero
di semi in un frutto è una caratteristica varietale
e può variare da 15 a 40. Il peso dei mille semi
può variare da 3,5 a 5,0 g circa.

2. Esigenze ambientali
Questa coltura è ben adattata a una vasta gamma di terreni, ma può crescere
anche nei suoli argillosi e con elevato contenuto di carbonati, anche se ha bisogno
di un buon drenaggio. Essa dimostra anche una buona tolleranza nei confronti di
valori anormali di pH e ad un alto contenuto di salinità delle acque. Per quanto
riguarda la temperatura, la colza sembra essere abbastanza tollerante al freddo
ed è in grado di svilupparsi anche ad altitudini elevate, è resistente alle gelate so-
prattutto nelle fasi iniziali, anche se la crescita viene arrestata già a circa 6 - 8 °C;
durante la fase di fioritura preferisce moderate temperature, ma può superare an-
che temperature elevate solo in assenza di stress idrico. Punti critici della coltura
possono essere individuati nella germinazione e nelle fasi di emergenza; durante
la germinazione la temperatura non deve scendere al sotto di 2 °C altrimenti la
percentuale di germinazione è generalmente ridotta; nella fase fenologica della
rosetta (internodi non rilevabili) la resistenza al freddo è maggiore e si possono
raggiungere anche temperature di -3 0° C senza alcuna problematica.
Altra importante caratteristica ambientale ai fini della produttività è l’esigenza

179
in freddo; alcune forme, definite biennali o non alternative, necessitano di un
periodo di almeno 40 giorni a temperature inferiori a 10 °C per indurre la for-
mazione degli abbozzi fiorali, viceversa le cultivar definite annuali o alternati-
ve non richiedono alcuna vernalizzazione per entrare nella fase riproduttiva.
Di conseguenza l’epoca di semina condiziona fortemente l’adozione di una
determinata tipologia di cultivar.

3. Ciclo
Nelle condizioni climatiche dell’Italia meridionale la colza ha un ciclo autunno pri-
maverile, con possibilità di semina primaverile. Negli areali dell’Italia meridionale
il periodo ideale di semina è l’autunno (preferibilmente in ottobre) per garantire
un idoneo sviluppo della coltura prima dell’arrivo del freddo. La semina a volte
può essere ritardata sino all’ultima parte della stagione fredda, ma la riduzione
della fase vegetativa ha come conseguenza una riduzione consistente della pro-
duzione ottenibile.
L’intero ciclo colturale può variare da 120 a 180 giorni. L’emergenza richiede da
10 a 20 giorni e la fase vegetativa ha una durata di 40-50 giorni per il ciclo breve
e 100-120 giorni nel normale ciclo vegetativo. La fioritura è scalare partendo dal
basso verso la parte superiore del fiore; la durata di questa fase oscilla da 20
a 30 giorni e dal riempimento dei semi fino al raccolto sono necessarie circa 4
settimane. Per quanto riguarda le fasi fenologiche di crescita, il ciclo delle colture
può essere suddiviso nelle seguenti fasi:
- Germinazione
- Sviluppo fogliare (rosetta)
- Formazione di germogli late-
rali
- Allungamento stelo
- Comparsa Infiorescenza
- Fioritura
- Sviluppo del frutto
- Maturazione
- Senescenza

Figura 1 - Alcune delle principali fasi


fenologiche della colza.
Stadio cotiledonare
Bottoni fiorali riuniti
Piena fioritura
Maturità fisiologica

180
4. Avvicendamenti
Viene classificata come coltura da rinnovo, con i numerosi benefici che derivano
dall’introduzione negli avvicendamenti colturali: le produzioni di frumento che
seguono nella successione traggono notevole vantaggio da tale rotazione. Il
controllo delle infestanti, specialmente delle graminacee, risulta migliore. L’im-
portanza della rotazione delle colture non deve essere mai sottovalutata; questa
coltura inserita in rotazione può avere un effetto sul miglioramento della struttura
del suolo e nella lotta contro le malattie. Per gli stessi motivi, è sconsigliabile la
coltivazione di questa coltura nello stesso appezzamento per più di un anno o in
successione ad alcune colture, come il girasole e barbabietola da zucchero, per-
ché l’incremento e la diffusione di alcune malattie (ad esempio Sclerotinia scle-
rotiorum) possono compromettere le produzioni. Un ottimale avvicendamento è
quello quadriennale che prevede il ritorno della coltura dopo un tempo ragione-
volmente ampio tale da ridurre le potenziali problematiche di tipo fitosanitario.

5. Gestione del suolo


Un’aratura principale, seguita da frangizzolature prima della semina consentono
l’interramento dei residui della coltura precedente, una buona preparazione del
letto di semina e contribuiscono al controllo delle erbe infestanti.
La preparazione del letto di semina è influenzata dal livello di umidità del
suolo, aspetto importantissimo per l’ottenimento di una buona emergenza,
tenendo in considerazione le dimensioni ridotte dei semi. Con andamento
autunnale siccitoso, allorché viene impedita un’adeguata preparazione del
letto di semina, si tende ad incrementare il quantitativo di semente impiegata,
aspetto che non sempre produce i risultati sperati. Durante la preparazio-
ne del terreno deve essere distribuita la necessaria quantità di concime da
interrare con le lavorazioni di affinamento e preparazione del letto di semi-
na. Un’operazione accessoria eventualmente consigliabile in condizioni di
terreno molto soffice è la rullatura del terreno nella fase immediatamente
precedente alla semina; in condizioni di terreno asciutto al fine di agevolare
un miglior contatto del seme con l’umidità del suolo è possibile effettuare una
rullatura subito dopo la semina.
Oltre alle tecniche tradizionali di preparazione del terreno è possibile anche
in tale coltura adottare tecniche di minima lavorazione o semina su sodo;
entrambe queste tecniche prevedono una trinciatura dei residui colturali della
coltura precedente al fine di rendere più agevole le successive operazioni
colturali. Nella minima lavorazione questa operazione è seguita da una fre-
satura ed erpicatura del terreno nelle fasi di presemina, mentre nella semina
su sodo non è richiesto alcun ulteriore passaggio anche se però si rende
necessario il ricorso ad idonee seminatrici.

181
6. Semina
La semina è influenzata dalla temperatura e dal livello di umidità del suolo; le semi-
ne troppo tardive in prossimità dell’arrivo dei freddi non sono favorevoli perché spes-
so l’emergenza può essere ritardata e irregolare e le piantine arrivano in inverno in
uno stadio poco resistente al freddo. Epoca ideale di semina nella nostra regione
è nella seconda metà del mese di Ottobre fino al massimo alla prima decade di
Novembre.
I risultati migliori possono essere ottenuti con seminatrici pneumatiche, tarate con
interfila uguale a quella del grano, oppure chiudendo in modo alternato i distributori
in maniera tale da ottenere una distanza tra le file di 30-35 cm. La taratura della
macchina seminatrice è un fattore da tenere in attenta considerazione. Il seme da
distribuire deve consentire l’ottenimento di un investimento ottimale alla semina di
circa 70-90 piante/m2 nel caso delle cultivar tradizionali.
Una bassa densità di semina oltre a ridurre le produzioni ottenibili può avere effetti
sulla raccolta in quanto il basso numero di piante per metro quadrato è strettamente
correlato con l’aumento del diametro del fusto e possono così insorgere problemi in
fase di trebbiatura.
In genere l’impiego di circa 8-10 kg di semi è sufficiente per un ettaro di coltura,
se hanno un elevato tasso di germinazione. Tale dose di seme può ridursi qualora
vengano utilizzate seminatrici di precisione o vengano adoperate varietà ibride. Tali
varietà ibride infatti generalmente vengono seminate in modo da ottenere una den-
sità di piante alla semina che oscilla tra le 50 e le 60 piante/m2; nelle varietà ibride
a taglia ridotta la densità ottimale alla semina è ulteriormente ridotta a circa 45-50
piante/m2. Si consiglia comunque di controllare la densità di semina suggerita dalle
ditte sementiere in relazione alla cultivar adottata.
Importante per il buon esito della coltura è l’adozione del trattamento conciante delle
sementi; fungicidi di contatto possono offrire protezione contro malattie come il mar-
ciume delle piantine (Pythium e Fusarium) e cancro delle radici e dello stelo (Rhi-
zoctonia solani). In genere le ditte sementiere forniscono il seme già conciato con
anticrittogamici attivi contro tali attacchi. Le sementi sono spesso confezionate in unità
contenenti da 1 a 1,5 milioni di semi che sono sufficienti per seminare da 2 a 3 ettari.

7. Scelta varietale
La scelta varietale è di solito determinata dalla lunghezza della stagione di cre-
scita; nelle nostre regioni caratterizzate da aridità nella fase finale del ciclo le
cultivar devono combinare in modo favorevole precocità e produttività.
La differenza nell’epoca di raccolta tra le varietà precoci e tardive può oscillare da
circa una settimana a dieci giorni. In relazione alle caratteristiche genetiche, le varie-
tà possono essere divise in due gruppi, le linee pure e gli ibridi; gli ibridi sono caratte-
rizzati da un maggiore vigore vegetativo e tendenzialmente sono più produttivi.

182
Tabella 1- Parametri di riferimento per la semina della colza
Parametri per la semina

Quantità di seme (kg ha-1) 8 – 10

70 - 90 (linee)
Densità di piante (piante m ) -2
50 - 60 (ibridi)
45 - 55 (ibridi seminani)

Distanza tra le file (cm) 17 – 35

3,6 - 7,4 (linee)


Distanza sulla fila (cm) 5,2 - 10,7 (ibridi)
5,7 - 11,7 (ibridi seminani)

Profondità (cm) 2–3

Inoltre le cultivar possono essere distinte in relazione alla necessità di vernaliz-


zazione, cioè alla necessità di basse temperature per determinare l’induzione a
fiore; le cultivar, infatti, sono distinguibili in:
- autunnali (forme biennali o non alternative)
- primaverili (forme annuali o alternative)
Le prime subiscono l’induzione alla fioritura solo dopo aver trascorso un perio-
do di basse temperature e pertanto possono essere seminate solo in autunno,
mentre le seconde non essendo legate alla necessità di freddo possono essere
seminate sia in autunno che in primavera.
Altre caratteristiche varietali da considerare nella scelta della cultivar da semina-
re sono la destinazione del prodotto; sono, infatti, disponibili sul mercato diverse
tipologie di colza in base al contenuto di acido erucico e glucosinolati. L’acido
erucico è un acido carbossilico ritenuto tossico per l’organismo umano mentre
i glucosinolati agiscono sul metabolismo della tiroide con un’azione iper-tiroi-
dizzante e pertanto la normativa europea ha vietato sin dal 1990 la presenza di
acido erucico nell’olio estratto ad uso alimentare e l’impiego di farine disoleate
contenenti glucosinolati, per l’alimentazione animale. In base al contenuto di
questi elementi è possibile distinguere quattro tipologie varietali:
- tipo “doppio alto" caratterizzati da un alto contenuto di acido erucico e gluco-
sinolati;
- tipo “0" con un basso tenore di acido erucico;

183
- tipo “00" con un contenuto quasi nullo di acido erucico e non più di 5-10 micro-
moli di glucosinolati per grammo di farina disoleata;
- tipo "000" con basso tenore di acido erucico e glucosinolati e basso tenore in
fibra.
Altro parametro che può condizionare la scelta è la necessità di piante carat-
terizzate da taglia bassa in ambienti molto fertili o ventilati nei quali la pianta
potrebbe essere maggiormente soggetta ad allettamento; in tali casi è consiglia-
bile adottare ibridi semi-nani (semidwarf) che accoppiano l’elevata potenzialità
produttiva con la taglia bassa. Il panorama varietale è molto ampio e consente
un’ampia scelta in relazione alle esigenze aziendali ed ambientali; nelle riviste
specializzate del settore sono annualmente disponibili confronti varietali nei di-
versi areali italiani che possono fornire indicazioni molto utili nella scelta della
cultivar da adottare.

8. Gestione delle infestanti


La gestione delle infestanti in aziende a regime biologico può essere condotta
con l’ausilio di tecniche quali la falsa semina che tendono ad abbattere il poten-
ziale infestante e ricorrendo ad interventi meccanici, quali le fresature interfila.
Nelle aziende convenzionali il controllo può essere realizzato anche con
l’adozione di tecniche di controllo chimico con diversi principi attivi registrati
per questa coltura.
In pre-semina può essere adottato un abbattimento della carica infestante
con un trattamento disseccante a base di glifosate; in pre-emergenza è pos-
sibile adottare alcuni principi attivi come il metazaclor che consentono il con-
tenimento di infestanti graminacee e di alcune dicotiledoni quali Matricaria,
Galium, Papaver, Veronica.
Tale principio attivo può anche essere impiegato in post-emergenza precoce
quando la coltura ha raggiunto almeno 2 foglie vere e le infestanti sono allo
stadio cotiledonare. In post-emergenza, per il controllo delle erbe infestan-
ti graminacee annuali possono essere comunemente usati diversi principi
attivi (graminicidi), mentre per il controllo delle infestanti a foglia larga (di-
cotiledoni) vengono utilizzati solamente erbicidi selettivi nei confronti della
colza; su scala mondiale è molto diffuso l’impiego di erbicidi base di clopiralid
per il controllo di infestanti dicotiledoni quali ad esempio le Compositae. I
trattamenti di post-emergenza devono essere valutati in relazione alla reale
densità di infestanti presenti e tenendo conto del fatto che dopo lo stadio di
4 - 6 foglie lo sviluppo della coltura è molto elevato e quindi la coltura è in
grado di esercitare una forte competizione nei confronti di tutte le infestanti
presenti. Molto importante quindi è la tempestività di intervento per garantire
un corretto sviluppo della coltura.

184
Tabella 2 – Epoca e Principi attivi impiegabili per la gestione delle infestanti.

Epoca Principio attivo

Pre-semina glifosate

Pre-emergenza metazaclor

Monocotiledoni: fluazifop-p-butil
Post-emergenza
Dicotiledoni: clopiralid

9. Fertilizzazione
Un idoneo piano di fertilizzazione può essere redatto solo in seguito ad ana-
lisi chimico-fisiche del suolo che consentono di considerare la quantità di
sostanze nutritive che vengono fornite dal suolo e i fenomeni di mineraliz-
zazione dei residui dei raccolti precedenti. In assenza di tali informazioni a
disposizione, un piano di fertilizzazione può essere realizzato tenendo conto
dell’asportazione dei nutrienti. Si calcola che una tonnellata di granella di col-
za asporta mediamente circa 31 kg di azoto, circa 13 kg di fosforo e appena
10 kg di potassio.
Sulla base di queste considerazioni è possibile suggerire il seguente piano
di fertilizzazione; la concimazione azotata può essere realizzata distribuendo
circa un terzo del quantitativo di azoto richiesto dalla coltura sottoforma di
urea distribuita alla semina e la restante parte può essere distribuita come
urea o nitrato ammonico in copertura in uno o due applicazioni; la fertilizza-
zione fosfatica prevede la distribuzione di 50-70 kg di P2O5, nelle operazioni
preliminari alla semina o in maniera localizzata contestualmente alla semina.
La fertilizzazione potassica è suggerita quando è accertata una carenza nel
suolo di potassio scambiabile (< 100 ppm); in tali casi è sufficiente un appor-
to di K2O variabile dai 70 a 100 kg/ha.
Un altro elemento molto importante per questa coltura oleaginosa è lo zolfo;
spesso è presente in alcuni concimi complessi (solfato ammonico, solfato po-
tassico) per cui una quantità sufficiente può essere somministrata in queste
forme. Va comunque evitato un eccesso di questo elemento in quanto tende
ad incrementare il contenuto di glucosinolati; è consigliabile pertanto non
superare apporti di 70-75 kg/ha di SO3.

185
Tabella 3 - Fertilizzazione comunemente consigliata per la colza
Pre-semina Copertura
Nutriente
(Kg ha )
-1
(Kg ha -1)

Azoto (N) 40-50 80-90

Fosforo (P2O5) 50-70 0

Potassio(K2O) 0* 0

10. Irrigazione
Nei nostri ambienti dato il ciclo autunno vernino della coltura l’irrigazione normal-
mente non è necessaria; un’irrigazione supplementare potrebbe essere prevista
al momento della germinazione se le piogge autunnali non sono sufficienti a ga-
rantire un ottimale affiancamento della coltura. Infatti, l’aridità in questa fase ini-
ziale rallenta l’imbibizione e la germinazione dei semi, e il ritardo nell’emergenza
si può ripercuotere con conseguenze più o meno notevoli sulla crescita e sulla
successiva raccolta. Altre irrigazioni di soccorso potrebbero essere necessarie
durante le fasi più delicate, come la fioritura o il riempimento dei semi, solamente
in annate eccezionalmente siccitose.

11. Avversità e Difesa


Gli insetti parassiti e le malattie associate con la colza raramente sono eco-
nomicamente importanti, ma potrebbero potenzialmente causare qualche pro-
blematica. Infestazioni di insetti, soprattutto nella fase finale del ciclo colturale,
possono avere effetti consistenti sia sulla produzione areica che sulla qualità e
quantità di olio prodotto.
Il punteruolo delle silique (Ceutorrhynchus assimilis) e quello dello stelo (Ceutor-
rhynchus napi) sembrano di grande importanza per questa coltura; C. assimilis
con l’inizio della fioritura passa sulla coltura, dopo essere emersi dai loro siti di
letargo nel suolo. Le giovani silique sono preferite per l’oviposizione, e una sola
femmina può deporre da 25 a 240 uova nel corso di una stagione; le larve dan-
neggiano diversi semi per siliqua mentre gli adulti non hanno alcuna influenza
sul numero di semi per siliqua. Le perdite non sono significative quando le sili-
que attaccate sono inferiori al 25%.
La più diffusa e pericolosa infestazione è causata dal Meligete (Meligethes ae-
neus); questo giovane coleottero emerge dal suolo dopo il letargo quando le
temperatura sono superiori a 10 ° C. Gli adulti si nutrono di polline e nettare di

186
diverse piante e quando le temperatura sono superiori a 15 ° C, passano sulla
colza per deporre le uova nelle gemme. Quando i fiori si aprono, le larve iniziano
ad alimentarsi di polline, ovario e petali, e nel caso di pesanti attacchi si hanno il
disseccamento e la cascola dei fiori e, mentre infestazioni più leggere non pro-
vocano la caduta di fiori, ma ostacolano la formazione delle silique. Le larve e gli
adulti passano da fiori vecchi a quelli più giovani e ai bottoni fiorali. Il meligete
attacca la colza, quando le gemme sono già grandi ed è iniziata l’apertura delle
prime infiorescenze; questo periodo è considerato quello più sensibile per que-
sto coleottero. Per quanto riguarda il valore di soglia per il trattamento chimico
devono essere contati fino a un massimo di 3 adulti, su una pianta.
Tra gli altri gruppi di parassiti, diverse specie di afidi (Homoptera, Aphidae) è
possibile riscontrare sulla colza. Se l’infestazione di afidi inizia precocemente
durante la fase di bottoni fiorali, si possono provocare cascola di fiori, deforma-
zione delle silique e notevoli perdite di produzione; viceversa, se le piante ven-
gono attaccate quando hanno già sviluppato una gran parte delle silique i danni
causati dagli afidi sono impercettibili. Spesso un buon controllo degli afidi può
essere realizzato da alcuni nemici naturali, come alcune specie di coccinellidi e
così sotto la soglia di 2 colonie di afidi per metro quadrato, non dovrebbe essere
fatto alcun trattamento. Un buon controllo degli insetti può essere realizzato con
il riconoscimento dei periodi di volo attraverso trappole cromotropiche gialle e
con il trattamento precoce con insetticidi da contatto; una vasta gamma di pire-
troidi (alfa-cipermetrina, cipermetrina, deltametrina, lambda-cialotrina, tau-fluva-
linato, zeta-cipermetrina) sono attualmente utilizzati. Va comunque sottolineato
che i pesticidi possono avere effetti collaterali indesiderati su numerosi insetti
benefici, compresi i predatori e parassitoidi, e il loro utilizzo può creare alcuni
problemi; pertanto, solo quando le infestazioni sono molto pesanti, il controllo
chimico dei parassiti si rende necessario.
Le malattie fungine possono essere presenti in particolare nelle zone in cui sono
coltivate altre oleaginose come la soia e di girasole o il pisello; i più diffusi sono
Sclerotinia sclerotiorum e Alternaria brassicae. Sclerotinia sclerotiorum può pro-
pagare tra i residui delle colture con alcuni organi chiamati sclerozi. Il miglior
controllo di queste patologie può essere ottenuto dall’impiego degli avvicenda-
menti delle colture evitando che la stessa coltura ritorni per più anni sullo stesso
appezzamento; rotazioni di almeno tre anni possono essere sufficienti a ridurre
l’incidenza di queste malattie.

187
Tabella 4 - Principali avversità e modalità di controllo

Avversità Controllo

Punteruolo delle silique


(Ceuthorrhyncus assimilis)
Ciflutrin;
Meligete Fluvalinate;
(Meligethes aeneus) Lambda-cialotrina
Afide delle Brassicacee
(Brevicoryne brassicae)
Sclerotinia
(Sclerotinia sclerotiorum)
Impiego di cultivar resistenti;
Alternariosi Avvicendamenti
(Alternaria brassicae)

12. Raccolta
La raccolta può essere effettuata meccanicamente impiegando le normali mieti-
trebbie da grano, provvedendo ad un’opportuna regolazione del sistema di ven-
tilazione; qualora si debba procedere alla raccolta di grosse superfici è consi-
gliabile l’adozione di opportune testate per la colza che riducono notevolmente
le perdite di seme. La fase di raccolta è molto delicata, non va ritardata oltre la
data ottimale di maturazione perché trattandosi di una pianta deiscente le silique
possono aprirsi per effetto delle variazioni di umidità o del vento riducendo note-
volmente la produzione ottenibile.
Una corretta valutazione del momento della raccolta è importante per non va-
nificare i risultati produttivi conseguiti. Inoltre, se ciò dovesse accadere rappre-
senterebbe un’infestante per la coltura successiva e richiederebbe ulteriori trat-
tamenti chimici o meccanici per il controllo.
Da un punto di vista pratico la mietitrebbiatura è possibile quando tutti i semi
da verdi diventano gialli, bruni o neri e il tenore di umidità è inferiore al 15%. É
consigliabile inoltre effettuare la raccolta nelle prime ore della giornata; la veloci-
tà della mietitrebbiatrice deve essere ridotta al minimo (circa due terzi di quella
comunemente impiegata per i cereali) e l’altezza di taglio deve essere la più
elevata possibile per evitare un eccessivo ingolfamento della macchina con la
biomassa secca.

188
I principali parametri da rispettare per la commercializzazione dei semi di colza
sono un contenuto di umidità non superiore al 9%, una presenza di impurità
(parti pianta, semi di estranei, ecc.) inferiore al 2% e l’assenza di clorofilla.

13. Usi
La colza è una tipica coltura da olio che potrebbe offrire la possibilità di sfrut-
tare diverse aree del Mediterraneo per scopi agro-industriali; l’olio può essere
impiegato in campo alimentare, per diverse applicazioni industriali (cosmetici,
detergenti, lubrificanti, materiali biodegradabili sostituti delle materie plastiche)
e per la produzione di bio-diesel a seguito di un processo di trasformazione in-
dustriale. Il contenuto in olio varia dal 36 al 45%; supponendo una produzione
areica di 3,0 t/ha, da un ettaro possono essere estratte circa 1,2 tonnellate di
olio. I metodi di estrazione sono fondamentalmente due: uno “meccanico” che
utilizza la pressione come agenti di estrazione ed uno “chimico”, che adotta
diversi solventi. Questi due metodi sono spesso combinati insieme: l’estrazione
meccanica permette di recuperare circa l'85-90%, la chimica invece consente di
recuperare l’olio residuo. Il prodotto di questo processo industriale sono l’olio e
il panello ricco di proteine. L’olio può essere trasformato in bio-diesel, attraverso
un processo chiamato “trans-esterificazione”.
Il discreto contenuto in proteine del panello lo rende utilizzabile in zootecnia per
l’alimentazione del bestiame; le proteine contenute nel panello hanno un elevato
valore biologico in quanto sono caratterizzate da una composizione equilibrata e
da un elevato contenuto in lisina. Anche per l’alimentazione animale la normativa
prevede l’impiego di varietà con bassi valori di glucosinolati; le varietà ad elevato
contenuto di glucosinolati, viceversa, possono essere adoperate come ammen-
danti nei terreni. Oltre all’apporto di elementi nutritivi e sostanza organica è da
segnalare l’attività nematocida determinata dai glucosinolati contenuti in tutte le
porzioni di pianta. Il sovescio verde è consigliato soprattutto in aziende biologi-
che nelle quali le problematiche legate ai nematodi sono di difficile controllo.
La composizione media del seme è di seguito riportata: il contenuto di sostanze
grasse oscilla tra 36 e 45%, le proteine variano dal 19 al 22%, gli estrattivi non
azotati oscillano dal 10 al 24%, la cellulosa è compresa tra il 6% e il 15%, le
ceneri non superano il 4-6% e il contenuto di acqua oscilla generalmente tra il
5 e il 9%.
L’olio delle varietà a basso erucico ha una composizione acidica media con un
preponderante contenuto di acido oleico (C18:3) che raggiunge circa i due terzi
(65,7 %) del totale ; mentre il contenuto di linoleico (C18:2) e linolenico (C18:3)
è rispettivamente il 19,4% e il 9,6%. Il contenuto di acido erucico (C22:1) in que-
ste varietà è sempre inferiore allo 0,5% mentre in quelle ad alto erucico, circa il
45,5% è rappresentato da questo acido grasso monoinsaturo. In queste ultime

189
la composizione acidica è completata dalla presenza dell’acido oleico, circa il
20% mentre linoleico e linolenico sono in quantità inferiori con valori rispettiva-
mente di 13,5% e 8,4%. L’elevata presenza di acido linolenico nell’olio di colza
lo rende poco adatto come olio alimentare per la cottura, poiché le temperature
elevate lo decompongono facilmente e formano composti aromatici che alterano
il gusto degli alimenti.
Una specie molto affine al colza che ha impieghi analoghi è il cavolo abissinicao
(Brassica carinata A. Braun); questa specie, derivata dall’incrocio e dalla suc-
cessiva poliploidizzazione tra la senape nera (Brassica nigra) e il cavolo (Bras-
sica oleracea), si distingue dalla colza per alcune caratteristiche tra le quali è
opportuno ricordare l’assenza di deiscenza delle silique a maturità, la notevole
rusticità ed la maggiore resistenza agli stress idrici. Le prospettive di impiego
negli areali meridionali sono notevoli, e il miglioramento genetico ha già prodotto
discreti risultati sull’incremento della produttività che è lievemente inferiore a
quella della colza.

190
Bibliografia

AA.VV., 1995. Le tecniche di coltivazione delle principali colture agro-industriali.


Agronomica.
BALDONI R., GIARDINI L., 2000. Coltivazioni erbacee. Patron editore. Bolo-
gna.  
C.E.T.I.O.M., 1988. Colza - Insectes et autres ravageurs.
C.E.T.I.O.M., 1992. Les maladies du colza.
RAPPARINI G., 1994. Il diserbo delle colture. Edizioni l’informatore Agrario. Bo-
logna. 496 pp.

191
192
ALLEGATO

SCHEDE TECNICHE DI COLTIVAZIONE


DELLE PRINCIPALI COLTURE CEREALICOLE,
FORAGGERE E INDUSTRIALI
FRUMENTO
Luigi Tedone
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali, Facoltà di Agraria
Università degli studi di Bari

Lavorazione prin- Lavorazione 25-30 cm e lavorazioni di completamento


cipale del terreno oppure
lavorazione minima (inferiore a 15 cm
oppure
semina diretta su sodo
La monosuccessione potrebbe comportare problemi di
Avvicendamento carattere fitosanitario.
Consigliabile un avvicendamento con colture quali legumi-
nose, erbai, colture da rinnovo (pomodoro, colza, girasole)
Comuni le rotazioni quadriennale rinnovo-frumento-legu-
minosa-frumento o triennale rinnovo-frumento-frumento,
leguminosa-frumento-frumento
Frumento duro dalla seconda de-
Semina Epoca
cade di novembre alla prima di di-
cembre. Per il tenero inizio novem-
bre
Spighe alla raccolta Duro 500/m2, tenero 600/m2
Interfila 15-18 cm

Dose di seme 400 semi germinabili/mq duro. 450


semi germinabili/m2 tenero. Au-
mentare il quantitativo in caso di
ritardo della semina e in caso di
semina su sodo. Ridurre in caso di
condizioni di fertilità potenziale del
terreno più bassa
segue...

193
Varietà: vedi tabelle 1,2,3
Concimazione Azotata (N kg/ha) 50 alla semina-accestimento, 70
fine accestimento-levata
Fosfatica (P2O5 kg/ 70 Unità nei terreni carenti (P Ol-
ha) sen < 10 ppm)
Nessun apporto in quelli a dotazio-
ne medio-buona
Potassica (K2O kg/ Nessun apporto nei terreni suffi-
ha) centemente dotati
60 Unità nei terreni carenti (K
scambiabile < 100 ppm)
Controllo delle in- Monocotiledoni e Valutazione delle specie infestanti
festanti dicotiledoni presenti, in fase di accestimento-
levata, con scelta del principo atti-
vo più opportuno (vedi capitolo 4)

Tabella 1 – Elenco delle varietà di frumento duro in prova negli ultimi 3 anni
nell’ambito della rete Nazionale frumento duro in Puglia
Peso
Peso dei Spiga-
Indice di ettoli- Taglia
Varieta Ditta sementiera 1000 semi tura
resa (%) trico (2)
(g) (1)
(kg/hl)
Alemanno Coseme 100,8 82,7 46,3 M MB
Anco Marzio Soc.Italiana Sementi (SIS) 106,6 82,6 38,2 M MA
Ariosto Apsov sementi 98,7 78,3 37,9 ST A
Arnacoris Limagrain Italia 90,2 80,1 41,5 M MB
Asdrubal Monsanto 86,6 80,1 30,7 P A
Canyon Monsanto 99,2 81,5 40,2 SP MA
Capri’ Florimond Desprez 77,0 81,2 34,0 ST MA
Casanova Apsov sementi 105,3 81,7 45,2 M MB
Catervo Eurogen 86,8 81,3 41,6 ST MB
CRA-Istituto Cerealicoltura
Chiara 101,7 79,2 39,9 M MB
Roma
Ciccio Eurogen 103,6 82,7 40,2 P MB
Ciclope CRA-Istituto Cerealicoltura 109,6 79,9 45,5 SP MB
Claudio Soc.Italiana Sementi (SIS) 103,6 83,0 41,1 M A
Creso Isea 88,9 82,1 42,3 ST B
Dario Agroservice spa 94,7 83,4 39,4 M MA
Duilio Soc.Italiana Sementi (SIS) 103,1 81,2 41,5 SP M
Dylan Apsov sementi 95,4 80,7 40,8 ST MB
segue...

194
Mosconi Cesare e Giorgio,
Ercole 90,8 82,0 42,6 T MA
Roma
Apsov sementi, Società Pr.
Grecale 98,6 80,1 35,2 M MB
Sementi (PSB)
Imhotep Limagrain Italia 97,4 80,8 40,9 P MB
Compagnia Generale
Iride 105,0 81,2 35,6 SP MB
Servizi (CGS)
K26 F.lli Menzo 92,8 82,2 42,6 M MB
Compagnia Generale
Latinur 104,8 82,8 43,1 M B
Servizi (CGS)
Maestrale Società Pr. Sementi (PSB) 105,5 79,5 35,9 SP MA
Meridiano Soc.Italiana Sementi (SIS) 109,8 79,8 41,5 M MA
Neolatino Soc.Italiana Sementi (SIS) 100,5 82,8 41,8 SP M
Normanno Società Pr. Sementi (PSB) 105,0 79,9 39,1 M MB
Orfeo Pioneer 72,0 77,2 38,9 T A
Portorico Soc.Italiana Sementi (SIS) 89,5 79,2 36,7 M MA
PR22D89 Pioneer 100,6 81,3 43,4 M MA
Principe Coseme 96,8 82,2 44,4 SP MB
CRA-Istituto Cerealicoltura
Sant’agata 98,1 79,0 43,8 SP MB
Roma
Saragolla Società Pr. Sementi (PSB) 116,0 80,0 37,4 SP MB
CRA-Istituto Cerealicoltura
Sfinge 100,3 81,2 42,5 P MB
Roma
Simeto Proseme 101,3 79,9 46,0 M MB
Sorrento Pioneer 88,0 84,1 39,6 SP MA
Svevo Società Pr. Sementi (PSB) 101,8 81,7 39,9 P A
Tiziana Apsov sementi 95,0 80,4 45,5 M MB
Valerio Proseme 104,0 83,3 43,6 P MB
Vendetta Coseme 103,1 78,9 42,1 M MA
Vinci Apsov sementi 100,6 79,0 36,3 M MB
Virgilio Apsov sementi 104,2 80,0 39,8 M MA

MEDIA 98,4 81,0 40,6


             
(1) P=Precoce; SP=Semi-Precoce; M=media; ST=Semi-ardiva;T=tardiva
(2) B=bassa; MB=medio-bassa;M=media;MA=medio-alta; A=Alta

195
Tabella 2 – Elenco delle varietà di frumento duro biologico in prova negli ultimi 3 anni nell’ambito
della rete Nazionale frumento duro in Puglia
Peso
Indice di Spigatura allettamento Taglia Peso dei 1000
Varieta Ditta sementiera ettolitrico
resa (*) (1) (0-9) (2) semi (g)
(kg/hl)

Anco Marzio Soc.Italiana Sementi (SIS) 92 M 0,1 MA 82,7 41,2

Cappelli CRA-Istituto Cerealicoltura 73 T 4,1 A 83,2 49,4

Ciccio Eurogen 105 P 0,0 M 82,9 44,7

Claudio Soc.Italiana Sementi (SIS) 95 M 0,0 MA 84,0 45,1

Colosseo Eurogen, Artigiansementi 105 M 0,0 M 82,5 45,2

196
Creso Isea 109 ST 0,0 B 82,9 45,7

Duilio Soc.Italiana Sementi (SIS) 101 SP 0,0 M 82,7 48,0

Dylan CO.NA.SE 105 ST 0,0 MB 81,8 42,4

Grazia ISEA 102 ST 0,0 M 82,4 40,0


Compagnia Generale Servizi
Iride 106 M 0,0 MB 81,5 39,6
(CGS)
Karalis CRAS 103 M 0,0 M 82,1 43,2

Meridiano Soc.Italiana Sementi (SIS) 105 M 0,0 M 79,6 42,6


Neolatino Soc.Italiana Sementi (SIS) 101 SP 0,1 M 83,6 46,0

Normanno Società Pr. Sementi (PSB) 106 ST 0,0 MB 80,9 41,3

San Carlo C.E.S.A.C. 113 ST 0,0 B 82,9 45,7

Saragolla Società Pr. Sementi (PSB) 108 SP 0,0 MB 80,6 40,7

Simeto Proseme 108 M 0,1 MB 80,2 50,0

Sorrento Pioneer 90 M 0,1 MA 83,4 43,5

Svevo Società Pr. Sementi (PSB) 93 SP 0,1 A 82,1 43,6

Vinci Apsov sementi 108 M 0,0 MB 79,6 38,8

197
Media 101 0,2 82,1 43,8

               
(1) P=Precoce; SP=Semi-Precoce; M=media; ST=Semi-Tardiva;T=tardiva
(2) B=bassa; MB=medio-bassa;M=media;MA=medio-alta; A=Alta
Tabella 3 – Resa in granella (t/ha) delle varietà di frumento tenero in prova negli ultimi 3 anni nell’ambito
della rete Nazionale frumento tenero in Puglia e Basilicata
Indice Peso Peso
Data Spigatura Taglia
Varietà Ditta sementiera produttivo ettolitrico dei 1000
spigatura (1) (2)
(%) (kg/hl) semi (g)

A416 FP Mosconi Cesare e Giorgio 78,1 75,3 31,6 34 M


M
Abate FP Eurogen 84,5 76,8 28,8 32 M
M
Africa FP Gae Recherche 103,4 75,9 31,4 37 ST
M
Albachiara FPS CONASE 106,8 79,5 39,3 30 SP
MA
Anapo FP Eurogen 107,3 70,5 41,1 25 P
A
Andino FAU Limagrain 106,7 79,4 33,9 28 SP
MA
Antille FP Apsov sementi 103,7 79,0 35,7 30 SP

198
M
Apache FPS Nickerson 100,0 76,1 32,5 41 T
M
Aquilante FP Apsov sementi 101,2 82,4 32,6 31 SP
M
Artico FB Apsov sementi 112,3 76,5 33,8 35 M
M
Aster FF Valle Agricola “Tarditi e ferrando” 86,0 78,6 37,1 33 M
M
Aubusson FP Limagrain 100,1 75,9 33,5 37 ST
M
Avorio FPS Apsov sementi 88,8 78,7 35,1 34 M
M
Azzorre FP Gae Recherche 96,4 74,6 31,2 37 ST
M
Bilancia FP Società Pr. Sementi 117,0 78,2 33,5 32 M
M
Blasco FPS CONASE 102,5 80,6 31,8 31 SP
M
Bokaro FP Florimond desprez 98,4 78,0 30,5 37 ST
M
Bolero FP Venturoli 115,8 77,5 33,1 35 M
M
Bologna FF C.C. Benoist 90,8 78,9 29,4 38 ST
M
Botticelli FP Nickerson 112,5 79,4 39,8 31 SP
MA
Bramante FB Venturoli 103,1 79,4 29,4 38 ST
M
Copernico FP Nickerson 111,9 79,2 34,4 31 SP
M
Egizio FPS Venturoli 91,3 81,1 34,6 31 SP
M
Epidoc FP Semfor 108,7 78,1 35,6 29 SP
M
Exotic FP Adrien Momont 105,9 75,2 37,7 37 ST
B
Galera FF FP 89,0 79,5 34,4 21 P
A
Generale FPS Apsov sementi 109,6 78,2 33,3 32 M
M
Geppetto FP Serasem 111,9 76,2 29,6 38 ST
M
Isengrain FP Soc.Italiana Sementi (SIS) 93,2 74,6 33,3 37 ST
M
Kalango FP Florimond desprez 72,8 78,0 28,0 37 ST

199
M
Mieti FP Apsov sementi 86,6 77,1 29,3 35 M
B
PR22R58 FP Pioneer genetique 108,8 78,0 34,2 35 M
M
Profeta FP Euromalto 91,9 80,1 39,1 29 SP
A
Quatuor FP Unisigma 95,3 75,5 34,1 35 M
M
Sagittario FF Società Pr. Sementi (PSB) 103,6 78,6 37,5 28 SP
M
Serpico FPS Venturoli 82,9 79,8 33,1 34 M
M
Vittorio FPS Isea 110,2 79,8 39,9 28 SP
M
MEDIA 99,7 77,8 33,9 33

* FF=frumento di forza; FPS: frumento panificabile superiore; FP: frumento panificabile;FB: frumento biscottiero; FAU:frumento altri usi
(1) P=Precoce; SP=Semi-Precoce; M=media; ST=Semi-Tardiva;T=tardiva (2) B=bassa; MB=medio-bassa;M=media;MA=medio-alta; A=Alta
ORZO
Luigi Tedone
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali, Facoltà di Agraria
Università degli studi di Bari

Lavorazione 25-30 cm e lavorazioni di completamento


Lavorazione oppure
principale del lavorazione minima (inferiore a 15 cm
terreno oppure
semina diretta su sodo
Avvicenda-
Vedi frumento
mento
Epoca di semina molto variabile.
Può iniziare da inizio novembre
Semina fino a fine gennaio. Aumentare
Epoca
la dose di seme nelle varietà da
malto e con il ritardo dell’epoca si
semina.
Spighe alla raccolta 500-600
Interfila 15-18 cm
Dose di seme 350 semi germinabili/m2
Varietà: vedi tabelle 4 e 5
70-90 unità fra fine accestimen-
Concimazione to e levata. Porre attenzione al-
Azotata (N kg/ha)
l’apporto in caso di produzione di
malto
Fosfatica (P2O5 kg/ha) Vedi frumento
Potassica (K2O kg/ha) Vedi frumento
Controllo delle Monocotiledoni e
Vedi capitolo 4
infestanti dicotiledoni

200
Tabella 4 – Rese produttive (in t/ha) delle varietà di orzo per uso
zootecnico durante il triennio 2006-2008
Tendenza
distico/ indice spigatura ad
Varietà Ditta sementiera Taglia (2)
polistico produttivo (1) allettare
(3)
Aladin Florisem polistico 101 SP MB B
Alce Soc.Italiana Sementi (SIS) distico 92 T MB B
Aldebaran Apsov sementi polistico 98 M M M
Aliseo Eurogen polistico 100 M M A
Amilis Limagrain Italia distico 104 SP M M
Amorosa Soc.Italiana Sementi (SIS) polistico 87 T A B
Archipel Limagrain Italia distico 103 SP M B
Baraka Florisem distico 93 ST M M
Campagne Florisem polistico 91 M A M
Caramel Soc.Italiana Sementi (SIS) polistico 91 ST MB A
Cometa Apsov sementi distico 105 SP MB M
Dasio CRA-Sant’angelo Londigiano distico 101 P B M
Diagonal Sivam polistico 105 M MB M
Emilia Agroservice distico 98 T MB M
Estival Adaglio sementi polistico 103 ST MB M
Explora CRA-GPG Agroservice polistico 101 P MA M
Federal Soc.Italiana Sementi (SIS) polistico 104 M MB M
Gotic Soc.Italiana Sementi (SIS) polistico 99 SP M A
Jouvance Sivam polistico 92 M MA A
Kaleidos Limagrain Italia distico 96 ST MB M
Ketos Limagrain Italia polistico 106 T MA B
Lutece Florisem polistico 102 M MA A
Manava Apsov sementi distico 104 M M M
Marado Florisem polistico 91 T MA M
Mattina Apsov sementi polistico 94 M MA M
Mercur Florisem polistico 100 SP A A
Merveil Florisem distico 103 M M B
Meseta Florisem distico 112 M MB M
Ninfa Apsov sementi distico 105 M MB M
segue...

201
Nure Eurogen distico 98 P M A
Oleron Agroservice polistico 102 SP MB A
Panthesis Limagrain Italia distico 98 ST MB M
Ponente Eurogen polistico 92 M MA M
Rodorz Roderi sementi distico 101 ST A M
Siberia Soc.Italiana Sementi (SIS) polistico 106 M M M
Sixtine Sivam polistico 101 M MA A
Sonora Limagrain Italia polistico 98 M M M
Compagnia Generale Servizi
Vega polistico 104 SP MB A
(CGS)
             
(1) P=Precoce; SP=Semi-Precoce; M=media; ST=Semi-Tardiva;T=tardiva
(2) B=bassa; MB=medio-bassa;M=media;MA=medio-alta; A=Alta
(3) B=basso; M=medio; A=Alto

Tabella 5 – Rese produttive (in t/ha) delle varietà di orzo da malto


durante il triennio 2006-2008
indice Tendenza
spigatura Taglia
Varietà Ditta sementiera produttivo ad allettare
(1) (2)
(media 2006/08) (3)
Barke Saplo 100 M M M
Braemar Agroalimentare sud 120 SP MB M
Carafe Saplo 71 ST M M
Extra Eurogen 99 P MA B
Manava Apsov sementi 110 M MA B
Merveil Florisem 100 M MA B
Orchidea Agroalimentare sud 87 ST M B
Otis Agroalimentare sud 102 P M A
Pariglia Eurogen 93 P MA B
Soc.Italiana Sementi
Prosa 114 SP M B
(SIS)
Regina Saplo 86 T A B
Scarlett Agroalimentare sud 103 M MB M
Italiana sementi elette
Tea 105 P M M
Ancona
Soc.Italiana Sementi
Tunika 109 SP MB B
(SIS)
(1) P=Precoce; SP=Semi-Precoce; M=media; ST=Semi-Tardiva;T=tardiva
(2) B=bassa; MB=medio-bassa;M=media;MA=medio-alta; A=Alta
(3) B=basso; M=medio; A=Alto

202
AVENA
Luigi Tedone
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali, Facoltà di Agraria
Università degli studi di Bari

A differenza del frumento e l’orzo, si ritiene che l’avena


Lavorazione
sia meno esigente in termini di preparazione del terreno,
principale del
per cui consigliabili appaiono le lavorazioni minime e la
terreno
semina su sodo

Avvicendamento Vedi frumento

Nei nostri ambienti è coltura a


semina autunnale. La semina
Semina Epoca
può iniziare ad ottobre fino a fine
novembre

Spighe alla raccolta 500

Interfila 15-18 cm

Dose di seme 300 semi germinabili/m2

Varietà: vedi tabella 6

60-80 unità fra fine accestimento


Concimazione Azotata (N kg/ha)
e levata.

Fosfatica (P2O5 kg/ha) Vedi frumento

Potassica(K2O kg/ha) Vedi frumento

Valutazione delle specie infe-


stanti presenti, in fase di accesti-
Controllo delle Monocotiledoni e dico- mento-levata, con scelta del prin-
infestanti tiledoni cipo attivo più opportuno. Porre
attenzione ai prodotti registrati su
tale specie

203
Tabella 6 – Elenco delle varietà provate in Puglia (Foggia) durante il
periodo 2005-2008
Tendenza
Indice Spigatura ad
Varietà Ditta sementiera Taglia (2)
produttivo (1) allettare
(3)
Alcudia Florisem 112 P M A
Argentina Soc.Italiana Sementi (SIS) 91 M M A
Fondazione Bolognini,
BD 118 88 M MB B
S.Angelo (LO)
Fondazione Bolognini,
BD 134 100 SP M B
S.Angelo (LO)
Fondazione Bolognini,
BD135 94 SP B
S.Angelo (LO)
Fondazione Bolognini,
BD136 114 M M
S.Angelo (LO)
Compagnia Generale
Bionda 103 M M A
Servizi (CGS)
Corneil Sivam 85 ST M M
Donata Soc.Italiana Sementi (SIS) 101 SP MB A
Fulvia Agroservice 106 SP MB A
Genziana Apsov sementi 114 M MB B
Hamel Florisem 116 M M A
Novella
Soc.Italiana Sementi (SIS) 79 M MA
Antonia
Poncho Sivam 81 T MA
Primula Proseme 142 M M A
Ranch Sivam 84 ST MB A
SW01168 Padana sementi 98 T A M
Teo BD
Apsov sementi 71 ST M A
40
           
(1) P=Precoce; SP=Semi-Precoce; M=media; ST=Semi-Tardiva;T=tardiva
(2) B=bassa; MB=medio-bassa;M=media;MA=medio-alta; A=Alta
(3) B=basso; M=medio; A=Alto

204
GIRASOLE
Leonardo Verdini
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali – Facoltà di Agraria
Università degli Studi di Bari

lavorazione 25-35 cm e lavorazioni di completamento


Lavorazione del oppure
lavorazione minima (inferiore a 15 cm)
terreno oppure
semina diretta su sodo in assenza di residui colturali
Coltura da rinnovo
non deve tornare sullo stesso terreno prima di 3-4 anni
Avvicendamento evitare successioni con altre oleifere come colza e soia
comuni rotazioni girasole-frumento-frumento o girasole-frumento-
cereale
Semine anticipate (ove possibile) dai
epoca primi di febbraio
Semina classica Marzo-Aprile
densità d’impianto 5-7 p m-2
interfila 45-50 o 70-75 cm
Semina interfila 45 cm 18-20 cm
distanza sulla fila
interfila 75 cm 30-32 cm
profondità 3-4 cm
a seconda della destinazione finale
scelta varietale resistenti alla fisiopatie fungine (vedi
tabella 7)
70-90 alla semina oppure
azotata (N kg/ha)
50-70 in copertura
70 in pieno campo
fosfatica
50 in localizzazione alla semina
Concimazione (P2O5 kg/ha)
nessun apporto in terreni ben dotati

nessun apporto in terreni ben dotati


potassica (K2O kg/ha)
60 nei terreni carenti

Controllo delle alla semina o in pre-emergenza in pieno campo o localizzato se-


infestanti guito da interventi agronomici (sarchiatura, fresatura)

Pratica consigliabile negli ambienti meridionali per raggiungere una


buona produttività. Massima risposta produttiva durante la fase di
Irrigazione bottone fiorale e riempimento acheni.
Consigliabili dosi e volumi su base guidata (irrigazione di soccorso)
e sistemi irrigui a bassa pressione

205
Tabella 7 – Elenco delle varietà di Girasole provate nel Centro sud nel 2008

Produzione Contenuto
acheni olio
Varietà Ditta distributrice Ciclo Taglia Allettamento
(t ha-1 9% di degli acheni
um.) (% s.s.)

Ardana PR NK Sementi Syngenta medio-precoce media resistente 4,31 46,5


Arena PR NK Sementi Syngenta medio-precoce media resistente 4,00 46,5
Barolo RM Kws medio media ottima tolleranza 4,16 45,1
Best Sis precoce bassa buona 3,17 49,3
Bonita NK Sementi Syngenta precoce media ottima resistenza 3,96 44,8
Camen NK Sementi Syngenta precoce media ottima resistenza 3,59 48,7
Doriana RO Kws medio medio-alta ottima tolleranza 3,95 48,6
Flexisol CL Dekalb medio-tardivo alta resistente 4,41 46,8

206
Heroic Apsovsementi precoce media-alta resistente 3,43 45,0
Iolline Apsovsementi medio-precoce alta ottima resistenza 3,76 47,4
Manola Hgd medio-precoce medio-alta buona 4,19 45,0
Mas 91.A Maïsadour medio-tardivo alta resistente 3,86 44,9
Mas 92.B Maïsadour medio-tardivo alta resistente 4,43 45,1
Mas 92.OL Maïsadour medio-precoce alta resistente 3,83 47,8
Mas 97.A Maïsadour medio-precoce alta resistente 4,14 46,3
Mas 97.OL Maïsadour medio-precoce alta ottima resistenza 3,87 47,6
Methasol Kws medio-tardivo medio-alta ottima tolleranza 4,13 47,1
Oleko NK Sementi Syngenta precoce medio-alta buona 3,65 44,2
Ollimi CL Apsovsementi medio-precoce alta ottima resistenza 3,67 44,0
Paola Hgd medio-precoce alta ottima tolleranza 4,37 46,8
Pikasol Dekalb precoce alta ottima resistenza 4,32 47,7
PR64H41 Pioneer Hi Breed precoce medio-bassa resistente 3,78 46,6
Pretor Limagrain medio-precoce medio-alta ottima resistenza 3,77 46,5
Sanbro MR NK Sementi Syngenta precoce medio-alta resistente 3,86 46,5
Sillouet Apsovsementi medio-precoce media-alta buona 3,76 44,9
Solaris Sis medio-tardivo alta buona 4,23 43,9
Ultrasol Dekalb medio-tardivo medio-alta ottima resistenza 3,99 46,1
Vidoc Maïsadour precoce alta buona 3,93 44,3
             
MEDIA 3,93 46,20
             
In rosso le varietà alto oleico
I dati sono riferiti ad una prova condotta nel 2008 in tre località del centro Italia [Calvi (BN), Cesa (AR), Osimo (AN)]

207
COLZA
Gianluca Brunetti
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali – Facoltà di Agraria
Università degli Studi di Bari

aratura o discissura, frangizollatura, fresatura


oppure
Lavorazione del
trinciatura dei residui e lavorazione minima
terreno oppure
semina diretta su sodo in assenza di residui colturali

Coltura da rinnovo, valida alternativa alla monosucces-


sione
di cereali autunno-vernini;
Avvicendamento
adozione di avvicendamenti triennali o quadriennali;
sconsigliata la successione con altre oleaginose
(girasole e soia)
seconda metà di Ottobre
Epoca
prima decade di Novembre
linee: 70 - 90 p m-2
Densità d’im-
ibridi: 50 - 60 p m-2
pianto
ibridi seminani: 45 - 55 p m-2
Interfila 17 cm 35 cm

linee: 3,6 cm
linee: 7,4 cm
Semina Distanza ibridi: 5,2 cm
ibridi 10,7 cm
sulla fila seminani:
seminani: 11,7 cm
5,7 cm

Profondità 2-3 cm

Linee pure
Ibridi
Scelta varietale
Ibridi semi-nani (semidwarf) (vedi
tabella 8)

208
Azotata 40-50 kg/ha alla semina
(N kg/ha) 80-90 kg/ha in copertura

50-70 kg/ha in pieno campo


Fosfatica 50 kg/ha in localizzazione alla semi-
Concimazione (P2O5 kg/ha) na
nessun apporto in terreni ben dotati

Potassica 70-100 kg/ha nei terreni carenti


(K2O kg/ha) nessun apporto in terreni ben dotati

Controllo delle in pre-semina con disseccanti totali


in pre-emergenza o in post-emergenza precoce con
infestanti prodotti selettivi
Eventuale irrigazione di soccorso alla semina e nella
Irrigazione
fase di riempimento del seme

Tabella 2 - Principali caratteristiche di alcune delle varietà di colza disponi-


bili sul mercato italiano ed europeo nel 2008.

209
210
BIBLIOGRAFIA

AA.VV. 1995 Le tecniche di coltivazione delle principali colture agroindustriali. A


cura di Agronomica srl
BALDONI R., GIARDINI L., 2000. Coltivazioni erbacee. Cereali e proteaginose.
Pàtron Editore, Bologna.
Del Gatto A. et al., 2009. I migliori girasoli per produrre energia. L’Informatore
Agrario 10: 52-54.
E. DESIDERIO ET. AL. 2006. Speciale frumento duro. Informatore agrario. Sup-
plemento 35
E. DESIDERIO ET. AL. 2007. Speciale frumento duro. Informatore agrario. Sup-
plemento 34
E. DESIDERIO ET. AL. 2008. Speciale frumento duro. Informatore agrario. Sup-
plemento 34
GIANINETTI A. ET AL. 2006. Speciale Orzo. Informatore agrario. 32: 26-46
GIANINETTI A. ET AL. 2007. Speciale Orzo. Informatore agrario. 31: 51-75
GIANINETTI A. ET AL. Speciale Orzo. Informatore agrario. 31: 31-44
P. CODIANNI ET. AL. 2006. Speciale frumento tenero: Puglia, Campania, Basi-
licata e Sicilia. Informatore agrario. Supplemento 33
QUARANTA F. ET AL. 2006. Varietà di grano duro a confronto in biologico. 37:
33-49
QUARANTA F. ET AL. 2007. Rese e qualità del grano duro biologico in coltiva-
zione biologica. 36: 51-64
QUARANTA F. ET AL. 2007. Speciale grano bio. 36: 51-64
REDAELLI R., LAGANA’ P. 2006. Alte rese e buona qualità dalle varietà di avena
in prova. Inf.tore agrario. 36: 28-31
REDAELLI R., LAGANA’ P. 2007. Le varietà di avena per le prossime semine.
Informatore agrario. 35: 29-33
REDAELLI R., LAGANA’ P. 2007. Scegliere l’avena migliore per le prossime
semine. Informatore agrario. 35: 35-38
SPINA A. ET AL. 2007. Speciale frumento tenero. Informatore agrario. Supple-
mento 32
SPINA A. ET AL. 2007. Speciale frumento tenero. Puglia, Campania, Basilicata
e Sicilia. Informatore agrario. Supplemento 32
ZANETTI F. ET AL. 2008. Speciale Colza. 33: 31-37

211

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