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Edizioni Regione Toscana

realizzazione editoriale, grafica e stampa


Centro Stampa Giunta Regionale
Via di Novoli, 73/a - 50127 Firenze

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 PRESENTAZIONE

 INTRODUZIONE

Scopi della ricerca


Unità tipologiche e loro articolazione gerarchica
Specie indicatrici
Struttura della guida. le chiavi e le schede
Clima
Chiave per l’individuazione delle categorie
Chiave per l’individuazione dei tipi

 I TIPI FORESTALI

 1. LECCETE

1.1. Lecceta tipica a Viburnum tinus - 1.2. Lecceta di transizione a boschi di cadu-
cifoglie - 1.3. Orno-lecceta con roverella delle zone interne - 1.4. Lecceta rupicola
relitta submontana e montana

 2. MACCHIE MEDITERRANEE

2.1. Macchia media mesoditerranea - 2.2. Macchia bassa mesomediterranea


2.3. Macchia termomediterranea - 2.4. Macchia rupestre a Olea europaea sylvestris
ed Euphorbia dendroides - 2.5. Ginepreto dunale a Juniperus macrocarpa
e J. phoenicea - 2.6. Ginepreto rupestre a Juniperus phoenicea - 2.7. Boscaglia
di consolidamento dunale a tamerici

 3. SUGHERETE

3.1. Sughereta mista sopra ceduo di leccio e altre sempreverdi - 3.2. Sughereta
mista sopra ceduo di sempreverdi e caducifoglie - 3.3. Sughereta specializzata
 4. PINETE DI PINO D’ALEPPO

4.1. Pineta costiera di pino d’Aleppo


4.2. Pineta di pino d’Aleppo di rimboschimento


 5. PINETE DI PINO DOMESTICO

5.1. Pineta dunale mesomediterranea di pino domestico - 5.2. Pineta dunale


termomediterranea di pino domestico - 5.3. Pineta dunale di pino domestico a
leccio - 5.4. Pineta planiziale mesoigrofila di pino domestico - 5.5. Pineta collinare
di pino domestico a eriche e cisti - 5.6. Pineta collinare di pino domestico a roverella
con arbusti del Pruneto

 6. PINETE DI PINO MARITTIMO

6.1. Pineta di clima suboceanico di pino marittimo a Ulex europaeus - 6.2. Pineta
sopramediterranea di pino marittimo - 6.3. Pineta mediterranea di pino marittimo
su macchia acidofila - 6.4. Pineta costiera di pino marittimo - 6.5. Pineta di pino
marittimo su ofioliti

 7. CIPRESSETE

7.1. Cipresseta a roverella e Spartium junceum - 7.2. Cipresseta su gramineto


xerofilo

 8. BOSCHI PLANIZIALI DI LATIFOGLIE MISTE

8.1. Alneto igrofilo e mesoigrofilo di ontano nero e frassino meridionale - 8.2.


Bosco interdunale di pioppi con farnia e frassino meridionale - 8.3 Querco-carpi-
neto extrazonale di farnia.

 9. BOSCHI ALVEALI E RIPARI

9.1. Saliceto e pioppeto ripario - 9.2 Alneto ripario di ontano nero

 10. QUERCETI DI ROVERELLA

10.1. Querceto mesotermofilo di roverella a Rosa sempervirens - 10.2. Querceto me-


sofilo di roverella e cerro - 10.3. Querceto mesoxerofilo di roverella a Cytisus
sessilifolius - 10.4. Querceto acidofilo di roverella a cerro - 10.5. Querceto termofilo
di roverella con leccio e cerro

 11. CERRETE

11.1. Cerreta eutrofica ad Acer opalus s.l. - 11.2.Cerreta mesofila collinare -11.3.
Cerreta mesoxerofila - 11.4. Cerreta acidofila montana - 11.5.Cerreta acidofila
dei terrazzi a paleosuoli - 11.6. Cerreta acidofila submediterranea a eriche -
11.7. Cerreta mesofila planiziale - 11.8. Cerreta termoigrofila mediterranea -
11.9 Querceto di cerro e farnetto a Pulicaria odora

 12. BOSCHI MISTI CON CERRO ROVERE E/O CARPINO BIANCO


12.1. Carpino-querceto mesofilo di cerro con rovere - 12.2. Querceto acidofilo di
rovere e cerro - 12.3. Carpineto misto collinare (-submontano) a cerro

 13. OSTRIETI

13.1. Ostrieto pioniero dei calcari duri delle Apuane - 13.2. Ostrieto mesofilo a Sesleria
argentea delle Apuane - 13.3. Ostrieto pioniero delle balze marnoso-arenacee appen-
niniche - 13.4. Ostrieto delle aree calanchive delle alte valli dell’Arno e del Tevere
- 13.5. Ostrieto termofilo dei calcari marnosi ad Asparagus acutifolius - 13.6.
Ostrieto mesofilo dei substrati silicatici

 14. CASTAGNETI

14.1. Castagneto mesofilo su arenaria - 14.2. Castagneto mesotrofico su rocce


vulcaniche del Monte Amiata - 14.3. Castagneto acidofilo - 14.4. Castagneto
neutrofilo su rocce calcaree e scisti marnosi

 15. ROBINIETI

15.1. Robinieto d’impianto

 16. BOSCHI MISTI CON BETULLA

16.1. Betuleto misto

 17. ALNETI DI ONTANO BIANCO E ONTANO NAPOLETANO

17.1. Alneto autoctono di ontano bianco -17.2. Alneto d’impianto di ontano


napoletano (v. punto 23.1.)

 18. PINETE DI RIMBOSCHIMENTO DI PINO NERO

18.1. Pineta eutrofica (acidofila) di pino nero - 18.2. Pineta neutro-acidoclina di


pino nero - 18.3. Pineta neutro-basifila di pino nero
 19. IMPIANTI DI DOUGLASIA

 20. ARBUSTETI DI POST-COLTURA

20.1. Pteridieto - 20.2. Pruneto - 20.3. Ginestreto collinare di Spartium junceum


20.4. Ginepreto di Juniperus communis - 20.5. Ginestreto Cytisus scoparius - 20.6.
Calluneto di quota

 21. ABETINE

21.1. Abetina altimontana di origine artificiale - 21.2. Abetina montana di origine


artificiale - 21.3. Abetina sotto quota di origine aritificiale - 21.4. Abetina mista
autoctona del monte Amiata - 21.5. Piceo-abieteto autoctono con faggio
dell’Abetone


 22. FAGGETE

22.1. Faggeta eutrofica a dentarie - 22.2. Faggeta appenninica mesotrofica a Geranium


nodosum e Luzula nivea - 22.3. Faggeta oligotrofica a Luzula pedemontana, Luzula
nivea e Festuca heterophylla - 22.4. Aceri-faggeto appenninico di quota - 22.5.
Faggeta cespugliosa di vetta - 22.6. Faggeta apuana a Sesleria argentea - 22.7.
Faggeta amiatina inferiore - 22.8. Faggeta amiatina superiore ad Adenostyles au-
stralis - 22.9. Aceri-frassineto

 23. IMPIANTI DI SPECIE NON SPONTANEE DI MINORE IMPIEGO

23.1. Ontano napoletano - 23.2. Cedro dell’Atlante - 23.4. Cipresso dell’Arizona


23.5. Larice giapponese - 23.6. Larice europeo - 23.7. Quercia rossa - 23.8. Abete
greco - 23.9. Pino strobo - 23.10. Pino eccelso 23.11. Eucalipti

 BIBLIOGRAFIA


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Nel 1997, per una coincidenza in parte fortuita in parte conseguente alla con-
nessione esistente fra vari studi condotti o commissionati dalla Regione, è emersa
una ricca serie d’informazioni sulle foreste, sui boschi, le macchie e le altre aree
naturali (boscaglie, arbusteti, garighe) della Toscana. L’Amministrazione regionale
ha ritenuto di raccoglierle e pubblicarle in una collana che porta il titolo di BOSCHI
E MACCHIE DI TOSCANA. La collana è aperta anche a futuri apporti di studio
sulla vegetazione forestale della regione, ma fin d’ora ne presenta un quadro organico
attraverso cinque volumi che riguardano il suo rilevamento, la classificazione, la
rappresentazione cartografica, la descrizione dei principali Tipi di bosco, l’elabora-
zione statistica di molti parametri relativi alla loro composizione, coltura e accresci-
mento.
Nel volume I tipi forestali i boschi e gli arbusteti della Toscana sono classificati
secondo unità di vegetazione omogenee da un punto di vista floristico, ecologico ed
evolutivo. I Tipi individuati sono 88, raggruppati in 22 categorie. Essi sono fondati
su unità fitosociologiche di vario rango sistematico individuate nel volume La vege-
tazione forestale, che apre la collana sui Boschi e macchie di toscana. La trattazione
è svolta in forma di guida, a schede, che consente non solo d’individuare la fisionomia
dei vari tipi forestali, ma anche di coglierne l’ecologia, le tendenze dinamiche, oltre
che la gestione più appropriata, aspetto, quest’ultimo, rilevantissimo da un punto di
vista operativo.
Lo studio è stato condotto dall’Istituto per le Piante da Legno e l’Ambiente -
I.P.L.A. S.p.A. di Torino, attraverso ricerche e rilevamenti durati tre anni, effettuati
da uno staff interdisciplinare validamente diretto dal prof. Gian Paolo Mondino. Al
lavoro ha dato un contributo determinante, soprattutto per la parte selvicolturale, il
prof. Giovanni Bernetti, direttore dell’Istituto di Selvicoltura dell’Università di Fi-
renze. A questi due Autori si deve anche la chiara stesura del testo.
Vorrei qui, a nome anche di tutta la Giunta regionale, esprimere compiacimento
per l’alto livello tecnico e scientifico dell’opera e ringraziare quanti hanno contribuito
alla sua riuscita. Compiacimento e ringraziamento che non vogliono essere formali,
ma intendono sottolineare l’utilità di un lavoro che consente a tutti, operatori del


settore e semplici amanti o fruitori dei boschi della Toscana, di conoscere meglio il
nostro patrimonio forestale, per contribuire alla sua difesa e valorizzazione.
L’Amministrazione regionale vive un momento particolarmente impegnativo
nella rimodulazione della propria politica forestale: l’intento è quello di sviluppare
tutte le connessioni fra le varie dimensioni del bosco, quella ambientale, quella
paesaggistica e quella economica, e d’investire al meglio le risorse finanziarie pub-
bliche, che, per essere limitate, non consentono errori di destinazione e d’indirizzo.
La migliore conoscenza della risorsa è un contributo positivo per la Regione
e per tutti gli altri soggetti, pubblici e privati, che concorrono al buon governo
della foresta.
MORENO PERICCIOLI
Assessore regionale all’agricoltura e alle foreste


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Nell’inquadrare il criterio metodologico che ha informato il presente studio, per
tipologia forestale si deve intendere un sistema di classificazione dei boschi e degli
arbusteti in unità distinte su base floristica, ecologica, dinamica e selvicolturale,
utilizzabile ai fini pratici di pianificazione degli interventi forestali e, più in generale,
di quelli territoriali. La tipologia forestale (DEL FAVERO, ined.) distingue quindi
fitocenosi omogenee per quanto riguarda gli aspetti ecologici, floristici e sel-
vicolturali, consentendo così di:
costituire unità di riferimento (con standardizzazione del lessico scientifico), de-
rivanti spesso da unità fitosociologiche di vario livello, che permettono al selvicoltore
di interpretare correttamente ai propri fini il territorio forestale;
stabilire un linguaggio comune agli studiosi e ai tecnici con una sintetica descrizione
delle fitocenosi;
agevolare scambi di conoscenze fra gli studiosi del settore;
facilitare l’attuazione di politiche forestali volte a ottimizzare l’uso degli investi-
menti nel campo forestale.

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L’unità di base della tipologia è il Tipo; più Tipi affini per quanto riguarda lo
strato arboreo dominante si raggruppano nella Categoria. All’interno dei Tipi possono
essere distinti Sottotipi e/o Varianti. Queste unità si possono così descrivere:
La Categoria è un’unità fisionomica che prende nome dalla dominanza della o
delle specie costruttrici e che corrisponde spesso alle unità distinte nel normale lessico
forestale (macchie, cerrete, faggete, abetine, ecc.).
Il Tipo è l’unità di base, omogenea sotto l’aspetto floristico, nella cui denomi-
nazione ricorrono spesso indicazioni circa caratteristiche ecologiche ed, eventual-
mente, floristiche o geografiche che ne permettano un più agevole riconoscimento.


Il Sottotipo distingue in genere all’interno del Tipo variazioni floristiche minori,
causa il prevalere di alcune specie del sottobosco che rivelano con la loro presenza
o abbondanza qualche differenziazione a livello ecologico (del substrato, meso - o
microclimatiche, ecc.).
La Variante viene distinta quando, senza che il sottobosco subisca variazioni
di rilievo, cambi in modo sensibile la composizione dello strato arboreo.
In certi casi i concetti di Sottotipo e Variante vengono a coincidere, quando cioè
alle variazioni nello strato arboreo si accompagnino cambiamenti di un certo rilievo
anche della vegetazione subordinata: ovviamente, in questo caso, si deve parlare
di Sottotipo in quanto le differenziazioni principali avvengono sulla base della
composizione del sottobosco, proprio per l’impostazione ecologica data a questa
guida. Tra le unità distinte sono stati evidenziati a parte, dato il loro particolare
interesse, una Categoria (Boschi misti con cerro, rovere e/o carpino bianco) e tre
Tipi (Betuleto misto, Aceri-frassineto e Piceo-abieteto autoctono con faggio dell’Abe-
tone) sebbene, per la loro composizione, queste unità avrebbero potuto considerarsi
puramente a livello di Sottotipi. Ciò è stato fatto per evitare una loro dispersione in
più Tipi lontani fra loro, mentre si riteneva invece necessario farne una trattazione
unitaria a livello gestionale.

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Sono quelle specie di riferimento (arboree accessorie, arbustive ed erbacee) utili
per il riconoscimento dei Tipi, in quanto, in tali ambiti, sono più frequenti così da
trovarvi un ambiente favorevole oppure - in certi casi - ottimale.
Così si può dire che:
i Tipi vengono riconosciuti, oltre che dalla fisionomia del popolamento e, talvolta,
dalla fisiografia del terreno, tramite le specie più frequenti, considerando in primo
luogo quelle considerate costanti, presenti cioè in almeno metà dei rilievi; in certi
casi vengono pure elencate specie presenti meno frequentemente, localizzate, op-
pure addirittura rare, ma comunque di buon valore indicatore; esse vengono con-
trassegnate rispettivamente con le sigle (loc.) e (r.).
Talune specie, particolarmente legate ad un determinato Tipo nell’ambito di una
stessa Categoria, sono scritte in carattere maiuscolo in quanto di particolare valore
descrittivo del Tipo stesso, anche se talvolta presenti, ma meno tipicamente, in
altri ambienti.
Le liste delle specie proprie di ciascun Tipo vengono denominate specie indicatrici
(o specie guida) seguendo la terminologia di PIGNATTI (1982). Esistono talvolta
anche liste di specie differenziali per la distinzione di alcuni Sottotipi fra loro
all’interno del Tipo.
I Tipi vengono ulteriormente distinti sotto l’aspetto ecologico prendendo in


considerazione il clima, la geomorfologia e il suolo nelle rispettive aree di distri-
buzione.
I Tipi descritti per la Toscana, relativi a soprassuoli arborei e arbustivi, sono in
totale 88, raggruppati in 22 Categorie, più 11 unità non descritte nei particolari e
riunite in una categoria a parte, prendendo in considerazione le specie non spontanee
di minore impiego negli impianti.
Alcuni Tipi, come la Faggeta mesotrofica, la Lecceta tipica a Viburnum tinus,
la Cerreta acidofila submediterranea a eriche, il Castagneto mesofilo su arenaria,
l’Ostrieto mesofilo dei substrati silicatici, ecc., sono presenti su vaste aree regionali,
anche con superfici più o meno continue, e sono state delimitate come tali nelle
cartine. Altri Tipi invece interessano zone più limitate e/o frammentate come il
Querceto mesoxerofilo di roverella a Cytisus sessilifolius, la Macchia media meso-
mediterranea, le sugherete, ecc.; in questi casi si sono usati simboli grafici.
Alcuni di questi Tipi sono presenti in poche zone isolate del territorio regionale;
comunque anche questi sono stati definiti e localizzati allo stesso modo, o per il loro
interesse naturalistico, come la Lecceta rupicola relitta submontana e montana e la
Macchia a Olea europaea sylvestris ed Euphorbia dendroides, oppure perché testi-
moni relitti di un’antica vegetazione forestale, eliminata dalle bonifiche delle colture
agrarie, oggi, solo più, o quasi, allo stato potenziale come il Querco-carpineto ex-
trazonale di farnia.
Alcuni Tipi, infine, estremamente frammentati sul territorio come quelli che
rientrano nella Categoria Arbusteti di post-coltura, sono stati rappresentati cercando
di localizzarli nelle aree di maggior diffusione.

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La guida si apre con le Chiavi per l’individuazione delle Categorie e dei Tipi,
studiate ai fini di un primo inquadramento tipologico del bosco in esame.
Le prime servono per attribuire il popolamento alla Categoria, le seconde per
un provvisorio inquadramento del Tipo subordinato a quest’ultima. Occorre poi
controllare questa prima attribuzione con l’attento esame delle schede i cui contenuti
verranno esposti più avanti.
L’operazione di prima classificazione in certi casi non è facile, specialmente in
aree dove la realtà forestale è assai variabile soprattutto per quanto riguarda i diver-
sificati interventi dell’uomo, oppure in zone dove il mosaico vegetazionale è esaltato
da frequenti differenziazioni geomorfologiche, microclimatiche e pedologiche. Va
notato poi che, per ragioni di semplicità e di necessaria astrazione, il numero dei
Tipi è stato contenuto entro determinati limiti, demandando alle unità subordinate
ulteriori differenziazioni; però, coll’approfondimento dei Sottotipi e delle Varianti,
si può ottenere una maggior corrispondenza con la realtà, giungendo, al limite, a


definire stadi di transizione fra Tipi diversi. A questo proposito si può osservare che,
talvolta, Sottotipi appartenenti a Tipi diversi possono costituire situazioni di questo
genere. Inversamente le sugherete, ad es., sono state considerate a parte per il loro
intrinseco interesse anche se Quercus suber non risulta sempre la specie dominante.
Le fasi attraverso le quali deve passare la classificazione tipologica di una cenosi
forestale, come suggerito da DEL FAVERO e Coll. (1991), sono le seguenti:

1 - osservazione della composizione arborea del soprassuolo per l’attribuzione alla


Categoria;
2 - analisi di altri elementi caratterizzanti di carattere generale per il riconoscimento
provvisorio del Tipo;
3 - confronto delle caratteristiche ecologiche della stazione in esame con quelle descritte
nella scheda del Tipo su indicato;
4 - confronto fra l’elenco delle specie indicatrici del Tipo provvisoriamente assegnato
e quelle del sottobosco della stazione in esame per l’attribuzione definitiva.

A questo proposito sarà ovviamente necessario possedere una discreta cono-


scenza floristica a livello regionale anche, se di norma, si tratta di specie ben diffuse
e frequenti. Le fasi 1 e 2 si risolvono mediante le chiavi mentre quelle ulteriori
vengono definite utilizzando le varie voci contenute nelle schede (v. oltre).
Per l’individuazione delle Categorie e dei Tipi le chiavi sono state predisposte
in modo analogo a quelle in uso per la determinazione delle specie botaniche, con
una successione alternativa di più caratteri, da escludere via via, scegliendo ogni
volta fra questi ultimi quello che si adatta al caso in esame, sino al raggiungimento
della cenosi ricercata. La prima chiave (delle Categorie) è di uso molto semplice in
quanto basata sulla fisionomia del piano arboreo, mentre per l’uso della seconda (dei
Tipi) occorre procedere con metodo alla scelta delle diverse caratteristiche tutte
considerate congiuntamente.
Le chiavi contengono, quando necessario, rimandi ad altri Tipi similari il che
dovrebbe permettere l’eliminazione di confusioni o eventuali errori di interpre-
tazione. A livello di Categoria la relativa scheda comprende in primo luogo un
sottocapitolo sull’importanza e caratterizzazione (ed, eventualmente, cenni storici)
della Categoria stessa, contenente dati generali sulla distribuzione dei boschi della
o delle specie che le conferiscono il nome, indicazioni di carattere ecologico e ve-
getazionale generale, oltre a dati inventariali e notizie sugli aspetti selvicolturali che
interessano nel loro complesso tutti i Tipi subordinati.
Vengono date notizie sulla gestione tradizionale e attuale e dati di riferimento
circa le odierne condizioni colturali (forma di governo, composizione, densità);
quasi sempre vengono forniti anche parametri dendrometrici relativi alle classi
di fertilità.


Nell’ambito della scheda relativa ai singoli Tipi si ritrovano i seguenti
elementi.
• Denominazione del Tipo (titolo della scheda) associazioni mentre, in qualche caso, non è
•Cartina schematica della regione stato possibile far riferimento ad una data uni-
In essa, con l’aiuto dell’idrografia, vengono tà fitosociologica o per mancanza di specie
localizzate, compatibilmente con la scala, a veramente indicatrici (v. ad es. il Betuleto
campitura piena le aree più estese occupate misto) o perché il Tipo ha un significato quasi
dal Tipo e, mediante asterischi, le aree pun- esclusivamente fisionomico (per es. la Fag-
tiformi o disperse, non delimitabili come le geta cespugliosa di altitudine).
precedenti. La rappresentazione cartografica, Una più puntuale definizione delle unità fi-
seppur solo orientativa, permette di identifi- tosociologiche ed eventuali gradi minimi e
care le aree con maggior diffusione dei singoli massimi di abbondanza - dominanza delle
Tipi, almeno a livello delle attuali conoscenze. specie indicatrici avrebbero potuto essere
•Diagramma ecologico presi in considerazione se si fossero potute
Permette di valutare lo “ spazio” ecologico consultare tutte le tabelle fitosociologiche di
occupato dal Tipo e da eventuali Sottotipi rilevamento che, al momento dell’elaborazio-
rispetto a due importanti fattori per la vita ne di questo lavoro, non erano ancora dispo-
delle piante (ELLENBERG e KLÖTZLI, 1972): nibili in forma definitiva.
in ordinata, grado medio di umidità del suolo Ai fini pratici, come già accennato, possono
(paludoso, umido, fresco, asciutto, arido) e, venire indicate eventuali fasi di transizione
in ascissa, relativa ricchezza di elementi nu- fra unità fitosociologiche, di norma ignorate
tritivi (suolo povero, mediamente ricco, ric- dalla fitosociologia classica che attribuisce
co). Questi diagrammi hanno ovviamente una determinata cenosi all’unità predominan-
solo un valore indicativo e sono confrontabili te come numero di specie, con i relativi valori
fra loro soltanto nell’ambito dei Tipi di cia- di abbondanza-dominanza, relegando fra le
scuna Categoria. “ compagne” specie di altre unità, talvolta an-
Per quanto riguarda la vegetazione sempre- cora numerose, che hanno spesso un signifi-
verde il poligono indicante lo spazio ecolo- cato ecologico più ampio o comunque diver-
gico del Tipo è stato suddiviso in due parti so. Operando come dianzi detto, le varie uni-
in modo da poter valutare, sia pure grossola- tà, formate dal complesso dalle specie più
namente, il periodo umido (soprattutto inver- diffuse che vi appartengono, forniscono utili
nale) e quello asciutto (estivo), facendo ov- indicazioni di carattere ambientale.
viamente astrazione delle stagioni di transi- •Sottotipi e varianti
zione. Seguono nell’ordine la caratterizzazione fi-
•Caratterizzazione fisionomica e fitosociolo- tosociologica del Tipo.
gica •Localizzazione
Quest’ultima viene indicata a livello di Tipo, Riassume la descrizione degli areali e delle
talvolta di Sottotipo, sinché possibile a livello stazioni meno estese raffigurate nella cartina
di associazioni, seguendo quelle enunciate da con indicazioni discorsive circa la distribu-
ARRIGONI (1996, ined.), oppure a livello di zione dei Tipi (ed, eventualmente, Sottotipi)
alleanze od ordini, unità comunque di buon sul territorio.
significato ecologico o, ancora, in forme di •Esposizione
transizione fra diverse unità. Di solito viene indicata quella prevalente,
Talvolta uno stesso Tipo può far capo a più qualora esista.


•Distribuzione altitudinale e del trimestre estivo GLA, più eventuali in-
Vengono indicate le quote minima e massima dicazioni circa altri fattori climatici.
e, tra parentesi, eventuali minimi e massimi • Interventi antropici più frequenti
eccezionali. Sono relativi a: diminuzione areale dei bo-
• Geomorfologia schi, ceduazione, conversione a fustaia, sele-
E’ ovviamente in riferimento alle forme del zione negativa di specie principali meno in-
terreno ed eventualmente alle pendenze e alla teressanti economicamente e/o delle specie
presenza di rocce affioranti. accessorie, sostituzione artificiale con altre
• Substrati specie arboree, invasione, indirettamente fa-
La litologia è stata ripresa dalle Carte geolo- vorita, di specie esotiche e non, incendi, pa-
giche ufficiali all’1:100.000, per lo più con scolo in bosco, ecc.
le opportune semplificazioni contenute nella • Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e
Carta informatizzata prodotta nel 1988 alla tendenze dinamiche
scala 1:250.000 dalla REGIONE TOSCANA, ri- Con questa voce si sono volute indicare lo
dotta all’1:500.000 nel 1993. stadio di maggiore o minore maturità o de-
• Suoli gradazione del bosco, le possibili tendenze
Per ogni Tipo viene fatta una breve descri- evolutive verso cenosi più complesse, gli
zione delle loro principali caratteristiche fi- ostacoli a queste trasformazioni, ecc.
sico-chimiche. • Specie indicatrici (lista)
• Clima Di queste si è già trattato al punto D; in par-
In genere vengono indicati: le temperature ticolare nella stesura delle liste sono state usa-
medie annue e quelle del mese più freddo, i te delle abbreviazioni secondo l’elenco che
quantitativi delle precipitazioni medie annue segue.

                                 $EEUHYLD]LRQL

DEERQG  DEERQGDQWH PDWU  PDWULFLQD


DI  DOWR IXVWR PHULG  PHULGLRQDOH
DUEXVW  DUEXVWLYR U  UDURD
GHJU  GHJUDGDWRD VFRS  VFRSHUWRD
GRPLQ  GRPLQDQWH VHP  VHPHQ]DOH
HYRO  HYROXWRD VHUS  VHUSHQWLQRILWD
IUHT  IUHTXHQWH VSHF  VSHFLDOPHQWH
LPSO  LPSOXYL VSRQW  VSRQWDQHRD
LQI  LQIHULRUH VXERUGLQ  VXERUGLQDWRD
LQWU  LQWURGRWWRD XP  XPLGR
LQYDG  LQYDGHQWH YHUV  YHUVDQWH
ORF  ORFDOL]]DWRD ]  ]RQDH
PDUJ  PDUJLQDOH GL ERUGR

• Selvicoltura alla gestione del bosco già enunciate in modo


Questa voce completa, con gli approfondi- generale a livello di Categoria alla voce “ In-
menti necessari, per la particolare individua- dirizzi selvicolturali” .
lità di ciascun Tipo, le indicazioni relative


&OLPD
Non è questa la sede per trattare le caratteristiche del clima toscano tanto più
che esiste già un’opera, estesa a tutto il territorio regionale, riguardante questo tema
(REGIONE TOSCANA, 1984) e, in particolare, il regime idrico che, in una zona così
ampiamente interessata dagli influssi del clima mediterraneo, può risultare spesso
un fattore limite per certi tipi di vegetazione. L’opera è corredata da una carta, ridotta
alla scala 1:400.000 circa, che suddivide il territorio regionale in otto tipi climatici
- dal semiarido al perumido - che sarebbe stato interessante inserire nelle schede dei
Tipi forestali a livello della voce “ Clima” . Ciò in realtà non è stato giudicato possibile
e questo per varie ragioni.
In primo luogo occorre ricordare da un lato la scala relativamente piccola della
carta suddetta, e, dall’altro, le ristrette aree dove invece il selvicoltore è chiamato ad
agire; il numero delle stazioni pluviometriche esistenti, idoneo per la scala prescelta
per la carta, non risulterebbe sufficiente per studi localizzati; inoltre, spesso, la ve-
getazione risulta a carattere azonale e quindi legata a particolarità microclimatiche
o edafiche locali: si citano, come esempio, nel primo caso la Lecceta rupicola relitta
submontana e montana, e, nel secondo, il Bosco interdunale di pioppi con farnia e
frassino meridionale, il Saliceto e pioppeto ripario e la Cerreta mesofila planiziale
e d’impluvio, tutti Tipi legati alla presenza di una falda utilizzabile dal bosco. Inoltre,
a causa della notevole plasticità di molte specie, quali in primo luogo il cerro e il
castagno, sarebbe risultato poco utile far rilevare la presenza di alcuni Tipi forestali
in più Tipi climatici (anche se a climi più favorevoli corrispondono spesso migliori
produttività a parità di condizioni edafiche).
Va poi considerato che alcune localizzazioni extrazonali di specie chiaramente
termofile sarebbero cadute in un Tipo climatico apparentemente non idoneo in quanto
tali specie, ad es., possono essere presenti in zone notevolmente umide e non molto
calde unicamente per localizzate questioni microambientali (ad es. suolo superficiale
e scosceso) come nel caso già citato della Lecceta rupicola relitta submontana e
montana della Toscana nord-occidentale. Deve infine essere sottolineato il fatto che
molte stazioni meteorologiche sono situate in città o in centri attorniati da ampie
zone a carattere agricolo, dove la vegetazione forestale è solo allo stato potenziale,
per cui non è facile correlare stazioni forestali più o meno lontane ai dati meteorologici
reali di tali stazioni.
Fatte queste precisazioni rispetto alle limitazioni sopra accennate, in sede di
lavori sul terreno si può far comunque riferimento con cautela al tipo climatico,
contenuto nella carta citata, che vige in generale nella zona da studiare.
Per dare quindi un’idea della relazione di alcune tipiche stazioni termopluvio-
metriche con i Tipi forestali esistenti o potenziali sono state scelte 17 stazioni me-
teorologiche che coprono l’ampia gamma di situazioni climatiche toscane. E’ a questo
livello che si è tentato di correlare i tipi climatici contenuti nella pubblicazione già


citata della Regione Toscana con i Tipi forestali locali mediamente i consueti dia-
grammi ombrotermici di Walter e Leith.
Come si vede da tali diagrammi, le stazioni appenniniche non presentano periodi
di aridità estiva; così avviene per i dati delle stazioni settentrionali di Pontremoli,
Abetone, S. Marcello Pistoiese, Eremo di Camaldoli e Vallombrosa. Alcune stazioni
interne, come Volterra e Casteldelpiano (qui per la prossimità al cono elevato ed
isolato dell’Amiata) presentano periodi siccitosi di breve durata. Questi vanno vice-
versa aumentando, nell’ordine, prima in altre stazioni interne (Roccalbegna, Fiesole,
Sansepolcro, Massa Marittima, Larderello, Montelpulciano e Pienza), per raggiungere
infine, logicamente, i valori più elevati di aridità lungo le coste a Viareggio, Porto-
ferraio e Orbetello.
Alcune stazioni con siccità più prolungata, quali Portoferraio, Pienza e Monte-
pulciano, in nessun mese presentano precipitazioni superiori a 100 mm; fra quelle
marittime Viareggio supera questo valore nei mesi autunnali data la sua vicinanza
alla barriera orografica delle Apuane, mentre solo in uno-due mesi ciò avviene per
Livorno e Orbetello. Sugli Appennini, sulle Alpi Apuane e sull’Amiata vi è una
normale possibilità di precipitazioni nevose.
Per quanto riguarda le temperature medie annue, di per sè sole comunque non
molto significative per la vegetazione, esse sono comprese fra i 6.7° e i 10.2° nelle
stazioni appenniniche superiori o quasi ai 1.000 m; per le stazioni interne, nell’ambito
di 370 e 639 m di quota, fra i 12.5° e i 12.8° (Casteldelpiano, Pienza, Volterra, Massa
Marittima); altre, infine (Fiesole, Sansepolcro, Larderello, Montepulciano, Roccal-
begna), presentano medie più elevate (13.5°-14.6°) nell’ambito di 295 e 605 m,
situate come sono in zone più calde nella Valle dell’Arno, nei pressi della Val di
Chiana, oltre che in quella del Cecina aperta direttamente al mare.
Le temperature medie annue delle zone costiere vanno da un minimo di 15.1°
per Viareggio ai 16.6° di Orbetello, passando per i 15.8° di Livorno e i 16.5° di
Portoferraio. Valori un po’ più elevati probabilmente si raggiungono nelle piccole
isole dell’arcipelago.


DIAGRAMMI OMBROTERMICI
DI ALCUNE STAZIONI TERMOPLUVIOMETRICHE

ABETONE - 1.340 m s.l.m.  $EHWLQD DOWLPRQWDQD GL


(Tma 6,7°, Pa 2.524 mm) RULJLQHDUWLILFLDOH
$EHWLQDPRQWDQDGLRULJLQH
DUWLILFLDOH
)DJJHWD DSSHQQLQLFD PH
120 240 VRWURILFDD*HUDQLXPQRGR
VXPH/X]XODQLYHD
200
3LFHRDELHWHWR DXWRFWRQR

PRECIPITAZIONI
TEMPERATURE

80 160 FRQ IDJJLR GHOO·$EHWRQH


SLLQTXRWD
120

40 80

40

0 0
g f m a m g l a s o n d

³³³3UHFLSLWD]LRQL7HPSHUDWXUH

CAMALDOLI - 1.111 m s.l.m.


$EHWLQDDOWLPRQWDQDGLRUL
(Tma 7,3°, Pa 1.687 mm)
JLQHDUWLILFLDOH
$EHWLQDPRQWDQDGLRULJL
QHDUWLILFLDOH
120 240 $EHWLQDVRWWRTXRWDGLRUL
JLQHDUWLILFLDOH
100 200 )DJJHWDDSSHQQLQLFDHX
WURILFDDGHQWDULH
PRECIPITAZIONI
TEMPERATURE

80 160 )DJJHWD DSSHQQLQLFD PH


VRWURILFDD*HUDQLXPQRGR
60 120
VXPH/X]XODQLYHD
40 80 $FHULIDJJHWR DSSHQQLQLFR
GLTXRWD
20 40 $FHULIUDVVLQHWR

0 0
g f m a m g l a s o n d 7LSLSLUDSSUHVHQWDWLYL


)DJJHWD DSSHQQLQLFD HX VALLOMBROSA - 955 m s.l.m.
WURILFDDGHQWDULH (Tma 10,2°, Pa 1.390 mm)
)DJJHWDDSSHQQLQLFDPH
VRWURILFDD*HUDQLXPQRGR
VXPH/X]XODQLYHD
)DJJHWDFHVSXJOLRVDGLYHW 120 240
WD
$FHULIUDVVLQHWR 100 200

PRECIPITAZIONI
$EHWLQDDOWLPRQWDQDGLRUL
TEMPERATURE
80 160
JLQHDUWLILFLDOH
$EHWLQDPRQWDQDGLRULJL 60 120
QHDUWLILFLDOH
$EHWLQD VRWWR TXRWD GL RUL 40 80
JLQHDUWLILFLDOH
20 40

0 0
g f m a m g l a s o n d

 &DVWDJQHWR PHVRWURILFR CASTELDELPIANO - 639 m s.l.m.


VX URFFH YXOFDQLFKH GHO 0 (Tma 12,5°, Pa 1.020 mm)
$PLDWD
&DVWDJQHWRDFLGRILOR
&HUUHWDPHVR[HURILOD 120 240
4XHUFHWR PHVRWHUPRILOR GL
URYHUHOOD D 5RVD VHPSHUYL 100 200
UHQV

PRECIPITAZIONI
TEMPERATURE

80 160

60 120

40 80

20 40

0 0
g f m a m g l a s o n d

/HFFHWDWLSLFDD9LEXUQXPWL PORTOFERRAIO - 32 m s.l.m.


QXV SRWHQ]LDOH (Tma 16,5°, Pa 567 mm)
0DFFKLDPHGLDPHVRPH
GLWHUUDQHD
0DFFKLD EDVVD PHVRPHGL
WHUUDQHD 120 240
*LQHSUHWR UXSHVWUH D -XQL
SHUXVSKRHQLFHD 100 200
PRECIPITAZIONI
TEMPERATURE

80 160

60 120

40 80

20 40

0 0
g f m a m g l a s o n d


S. MARCELLO PISTOIESE. 6DOLFHWRHSLRSSHWRULSDULR
625 m s.l.m.  &DVWDJQHWR PHVRILOR VX
(Tma 12,1°, Pa 1.633 mm)
DUHQDULD
&DVWDJQHWRDFLGRILOR
&HUUHWDPHVRILODFROOLQDUH
120 240 3UXQHWR

100 200

PRECIPITAZIONI
TEMPERATURE

80 160

60 120

40 80

20 40

0 0
g f m a m g l a s o n d

MONTEPULCIANO - 605 m s.l.m. &HUUHWDPHVR[HURILOD


(Tma 13,8°, Pa 635 mm) *LQHVWUHWRFROOLQDUHGL6SDU
WLXPMXQFHXP

120 240

100 200
PRECIPITAZIONI
TEMPERATURE

80 160

60 120

40 80

20 40

0 0
g f m a m g l a s o n d

SANSEPOLCRO - 330 m s.l.m.  &HUUHWD DFLGRILOD GHL WHU


(Tma 13,5°, Pa 921 mm) UD]]LDSDOHRVXROL
 &HUUHWD DFLGRILOD VXEPH
GLWHUUDQHDDHULFKH
&HUUHWDPHVR[HURILOD
120 240 4XHUFHWRPHVRWHUPRILORGL
URYHUHOOD D 5RVD VHPSHUYL
100 200 UHQV
PRECIPITAZIONI
TEMPERATURE

80 160

60 120

40 80

20 40

0 0
g f m a m g l a s o n d


&HUUHWDPHVR[HURILOD VOLTERRA - 536 m s.l.m.
/HFFHWDGLWUDQVL]LRQHDER (Tma 12,5°, Pa 994 mm)
VFKLGLFDGXFLIRJOLH
2UQROHFFHWD FRQ URYHUHOOD
GHOOH]RQHLQWHUQH
120 240
4XHUFHWRDFLGRILORGLURYH
UHOODDFHUUR 100 200
4XHUFHWRWHUPRILORGLUR

PRECIPITAZIONI
TEMPERATURE
YHUHOODFRQOHFFLRHFHUUR 80 160

60 120

40 80

20 40

0 0
g f m a m g l a s o n d

PIENZA - 499 m s.l.m.


&HUUHWD PHVR[HURILOD SR (Tma 12,7°, Pa 636 mm)
WHQ]LDOH
 *LQHVWUHWR FROOLQDUH GL
6SDUWLXPMXQFHXP
120 240

100 200

PRECIPITAZIONI
TEMPERATURE

80 160

60 120

40 80

20 40

0 0
g f m a m g l a s o n d

4XHUFHWR PHVRWHUPRILOR GL ROCCALBEGNA - 525 m s.l.m.


URYHUHOOD D 5RVD VHPSHUYL (Tma 14,6°, Pa 1.132 mm)
UHQV
&HUUHWDPHVR[HURILOD
/HFFHWDGLWUDQVL]LRQHDER
VFKLGLFDGXFLIRJOLH 120 240
2UQROHFFHWD FRQ URYHUHOOD
100 200
GHOOH]RQHLQWHUQH
PRECIPITAZIONI

*LQHVWUHWRFROOLQDUHGL6SDU
TEMPERATURE

80 160
WLXPMXQFHXP
60 120

40 80

20 40

0 0
g f m a m g l a s o n d


PONTREMOLI - 237 m s.l.m. 3LQHWDGLFOLPDRFHDQLFRGL
(Tma 14,1°, Pa 1.640 mm)
SLQRPDULWWLPRD8OH[HXUR
SDHXV
6DOLFHWR H SLRSSHWR ULSDULR
120 240 OLPLWL
$OQHWR ULSDULR GL RQWDQR
100 200 QHUR
 &DVWDJQHWR PHVRILOR VX

PRECIPITAZIONI
TEMPERATURE

80 160 DUHQDULD
&DVWDJQHWRDFLGRILOR
60 120 5RELQLHWR
%HWXOHWRPLVWR SLLQTXRWD
40 80
$OQHWRDXWRFWRQRGLRQWDQR
20 40 ELDQFR SLLQTXRWD
3LQHWDDFLGRILODGLSLQRQHUR
0 0 3UXQHWR
g f m a m g l a s o n d 3WHULGLHWR

LARDERELLO - 400 m s.l.m. 2UQROHFFHWDFRQURYHUHO


(Tma 14,3°, Pa 940 mm)
ODGHOOH]RQHLQWHUQH
6XJKHUHWDPLVWDVRSUDFH
GXRGLVHPSUHYHUGLHFDGX
120 240 FLIRJOLH
4XHUFHWRPHVRWHUPRILORGL
100 200 URYHUHOOD D 5RVD VHPSHUYL
UHQV
PRECIPITAZIONI
TEMPERATURE

80 160 2VWULHWR WHUPRILOR GHL FDO


FDUL PDUQRVL DG $VSDUDJXV
60 120
DFXWLIROLXV
*LQHVWUHWRFROOLQDUHGL6SDU
40 80
WLXPMXQFHXP
20 40

0 0
g f m a m g l a s o n d

MASSA MARITTIMA - 370 m s.l.m. 2UQROHFFHWDFRQURYHUHO


(Tma 12,8°, Pa 899 mm) ODGHOOH]RQHLQWHUQH
6XJKHUHWD PLVWD VRSUD FH
GXRGLVHPSUHYHUGLHFDGX
FLIRJOLH
120 240
4XHUFHWRPHVRWHUPRILORGL
100 200 URYHUHOOD D 5RVD VHPSHUYL
UHQV
PRECIPITAZIONI
TEMPERATURE

80 160 2VWULHWR WHUPRILOR GHL FDO


FDUL PDUQRVL DG $VSDUDJXV
60 120 DFXWLIROLXV
*LQHVWUHWRFROOLQDUHGL6SDU
40 80 WLXPMXQFHXP
20 40

0 0
g f m a m g l a s o n d


FIESOLE - 295 m s.l.m.
 4XHUFHWR PHVRWHUPRILOR (Tma 14,5°, Pa 928 mm)
GLURYHUHOODD5RVDVHPSHU
YLUHQV
2UQROHFFHWD FRQ URYHUHOOD
GHOOH]RQHLQWHUQH 120 240
2VWULHWRWHUPRILORGHLFDOFD
UL PDUQRVL DG $VSDUDJXV 100 200
DFXWLIROLXV

PRECIPITAZIONI
TEMPERATURE
&LSUHVVHWD D URYHUHOOD H 80 160
6SDUWLXPMXQFHXP
60 120

40 80

20 40

0 0
g f m a m g l a s o n d

/HFFHWDWLSLFDD9LEXUQXPWL VIAREGGIO - 5 m s.l.m.


QXV (Tma 15,1°, Pa 965 mm)
*LQHSUHWRGXQDOHD-XQLSHUXV
PDFURFDUSDH-SKRHQLFHD
 3LQHWD SODQL]LDOH PHVRL
120 240
JURILODGLSLQRGRPHVWLFR
3LQHWDGXQDOHGLSLQRGR 100 200
PHVWLFRDOHFFLR

PRECIPITAZIONI
TEMPERATURE

3LQHWDFRVWLHUDGLSLQRPD 80 160
ULWWLPR
 $OQHWR LJURILOR H PHVRL 60 120
JURILOR GL RQWDQR QHUR H
40 80
IUDVVLQRPHULGLRQDOH
%RVFRLQWHUGXQDOHGLSLRSSL
20 40
FRQ IDUQLD HIUDVVLQRPHUL
GLRQDOH 0 0
g f m a m g l a s o n d

ORBETELLO - 5 m s.l.m.
3LQHWDGXQDOHWHUPRPHGL
(Tma 16,6°, Pa 672 mm)
WHUUDQHDGLSLQRGRPHVWLFR
/HFFHWDWLSLFDD9LEXUQXPWL
QXV
*LQHSUHWRGXQDOHD-XQL 120 240
SHUXVPDFURFDUSDH-SKR
HQLFHD 100 200
PRECIPITAZIONI
TEMPERATURE

80 160

60 120

40 80

20 40

0 0
g f m a m g l a s o n d


&KLDYH SHU O·LQGLYLGXD]LRQH GHOOH &$7(*25,(
1 Boschi di leccio prevalente, quasi sempre cedui (forteto), anche con presenza subordinata
di altre sempreverdi della macchia (altezza media a maturità almeno 7 m); sono inclusi
anche gli addensamenti rupicoli di leccio, più o meno lontani dal mare e isolati entro boschi
di caducifoglie
1. LECCETE

Altri tipi di bosco o arbusteto 2

2 Macchia mediterranea di sempreverdi, con leccio anche assente o comunque sempre su-
bordinato, di altezza media a maturità inferiore a 7 m; sono inclusi anche i popolamenti
costieri a ginepri (ginepro coccolone e ginepro fenicio) e quelli ad eriche (erica arborea
e/o erica scoparia) prevalenti

2. MACCHIE MEDITERRANEE

Altri tipi di bosco o arbusteto 3

3 Boschi di sughera, prevalente o pura o, più spesso, come matricina di ceduo di leccio (v.
anche LECCETE) mista ad altre sempreverdi e/o latifoglie legnose

3. SUGHERETE

Altri tipi di bosco o arbusteto 4

4 Boschi con prevalenza di pino d’Aleppo, spesso consociato con macchia mediterranea

4. PINETE DI PINO D’ALEPPO

Altri tipi di bosco o arbusteto 5

5 Boschi costieri o interni con prevalenza di pino domestico, eventualmente consociato a


sempreverdi e/o caducifoglie (il pino è presente talvolta come variante nelle CIPRESSETE
- v. punto 7).
5. PINETE DI PINO DOMESTICO

Altri tipi di bosco o arbusteto 6

6 Boschi con prevalenza di pino marittimo, puro o consociato con varie altre specie legnose,
talvolta con sottobosco arbustivo di sempreverdi o di caducifoglie (anche cedue). Il pino
subordinato è presente come variante anche nei seguenti Tipi (v.): 10.4. QUERCETO
ACIDOFILO DI ROVERELLA A CERRO, 11.5. CERRETA ACIDOFILA DEI TER-
RAZZI A PALEOSUOLI, 11.6. CERRETA ACIDOFILA SUBMEDITERRANEA A ERI-


CHE, 12.2. QUERCETO ACIDOFILO DI ROVERE E CERRO, 3.2. SUGHERETA MI-
STA SOPRA CEDUO DI SEMPREVERDI E CADUCIFOGLIE, 7. CIPRESSETA A
roverella e Spartium junceum, 14.3. CASTAGNETO ACIDOFILO

6. PINETE DI PINO MARITTIMO

Altri tipi di bosco o arbusteto 7

7 Boschetti con prevalenza di cipresso d’impianto (talvolta da rinnovazione naturale)

7. CIPRESSETE

Altri tipi di bosco o arbusteto 8

8 Boschi mesofili o mesoigrofili di pianura in forte prevalenza della fascia costiera (alneti
di ontano nero, boschi misti di latifoglie con pioppi spontanei bianco e nero, frassino
meridionale, anche con presenza di farnia e carpino bianco)

8. BOSCHI PLANIZIALI DI LATIFOGLIE MISTE

Altri tipi di bosco o arbusteto 9

9 Boscaglie o boschi igrofili situati nei greti o lungo le rive dei corsi d’acqua anche nelle
zone interne, costituiti da salici di varie specie, pioppi spontanei, ontano nero

9. BOSCHI ALVEALI E RIPARI

Altri tipi di bosco o arbusteto 10

10 Querceti di roverella prevalente, pura o mista, con cerro talora codominante e anche leccio.
(v. anche 7.1. CIPRESSETA A ROVERELLA E SPARTIUM JUNCEUM, 1.2. LECCETA
DI TRANSIZIONE A BOSCHI DI CADUCIFOGLIE)

10. QUERCETI DI ROVERELLA

Altri tipi di bosco o arbusteto 11

11 Boschi di cerro prevalente rispetto ad eventuali specie consociate (salvo nel caso di mescolanza
con il farnetto (1) dove le due specie possono mescolarsi in proporzioni anche equivalenti),
latifoglie nobili (v. 22.9. ACERI-FRASSINETO), oppure carpino nero

11. CERRETE

(1) La Categoria comprende anche boschi con farnetto.


Altri tipi di bosco o arbusteto 12

12 Boschi misti collinari di caducifoglie dove, oltre ad altre specie consociate, sono presenti,
insieme o separatamente, soprattutto rovere e carpino bianco (v. anche 22.9. ACERI-FRAS-
SINETO)

12. BOSCHI MISTI CON CERRO, ROVERE E/O CARPINO BIANCO

Altri tipi di bosco o arbusteto 13

13 Boschi con prevalenza di carpino nero ceduo, puri o con matricinatura di cerro e/o roverella,
esclusi certi castagneti da frutto abbandonati e invasi da questo carpino (v. soprattutto14.4.
CASTAGNETO NEUTROFILO SU ROCCE CALCAREE E SCISTI MARNOSI)

13. OSTRIETI

Altri tipi di bosco o arbusteto 14

14 Boschi con prevalenza di castagno ceduo o da frutto, in maggioranza abbandonato e allora


con eventuale invasione di altre latifoglie, spesso con carpino nero prevalente nello strato
subordinato (V. anche 15. ROBINIETI, 13.4. OSTRIETO DELLE AREE CALANCHIVE
DELLE ALTE VALLI DELL’ARNO E DEL TEVERE, 13.6. OSTRIETO MESOFILO
DEI SUBSTRATI SILICATICI; nel caso siano presenti latifoglie nobili v. anche 22.9.
ACERI-FRASSINETO)
14. CASTAGNETI

Altri tipi di bosco o arbusteto 15

15 Boschi con prevalenza di robinia (talvolta codominante con castagno: v. 14. CASTAGNE-
TI, o con specie del Tipo 9. BOSCHI ALVEALI E RIPARI)
15. ROBINIETI

Altri tipi di bosco o arbusteto 16

16 Boschi con presenza di betulla (molto di rado dominante)

16. BOSCHI MISTI CON BETULLA

Altri tipi di bosco o arbusteto 17

17 Boschi naturali di ontano bianco e artificiali di ontano napoletano

17. ALNETI DI ONTANO BIANCO E ONTANO NAPOLETANO

Altri tipi di bosco o arbusteto 18


18 Rimboschimenti con prevalenza di pino nero o pino laricio

18. PINETE DI RIMBOSCHIMENTO DI PINO NERO

Altri tipi di bosco o arbusteto 19

19 Rimboschimenti con prevalenza di douglasia


19. IMPIANTI DI DOUGLASIA

Altri tipi di arbusteto 20

20 Arbusteti (felceti nel caso dei popolamenti di felce aquilina, v. 20.1. PTERIDIETO),
costituiti da varie specie cespugliose (eccetto il caso precedente), per lo più caducifoglie
(salvo il ginepro e il brugo), su terreni già a coltura agraria o pascolo

20. ARBUSTETI DI POST-COLTURA

Altri tipi di bosco 21

21 Boschi di abete bianco puro o talvolta misto a faggio, in un unico caso (zona dell’Abetone)
anche con picea di origine spontanea
21. ABETINE

Altri tipi di bosco 22

22 Boschi a prevalenza di faggio, raramente misti a latifoglie nobili (1)

22. FAGGETE
Altri tipi di bosco 23

23 Rimboschimenti puri o misti di specie diverse da quelle sinora citate

23. IMPIANTI DI SPECIE NON SPONTANEE DI MINORE IMPIEGO

(1) Ivi compresi anche castagneti, cerrete e abetine con sensibile presenza delle latifoglie nobili (v. 22.9
ACERI-FRASSINETO).


&KLDYH SHU O·LQGLYLGXD]LRQH GHL   7,3,

/(&&(7(

1 Bosco di leccio di norma ceduo (ivi compreso il “ forteto” a leccio prevalente sulle altre
sclerofille, con altezza media a maturità di almeno 7 m - se meno vedi 2. MACCHIE
MEDITERRANEE - ), di zone tipicamente a clima mediterraneo a sensibile aridità estiva
(perciò della fascia costiera e nelle isole, molto raramente in zone interne come il Chianti),
caratterizzato soprattutto dalla presenza di frequente laurotino

1.1. LECCETA TIPICA A VIBURNUM TINUS

Bosco con altre caratteristiche 2

2 Bosco ceduo di leccio (molto raramente con sughera), dominante con altre specie della
macchia, variamente misto, a seconda delle condizioni locali, a diverse specie di caduci-
foglie, anche di tipo mesoigrofilo e igrofilo (v. altrettanti Sottotipi) ivi comprese le altre
querce, il pioppo bianco e il frassino meridionale, quest’ultimo presente in Maremma e
nella Montagnola Senese), con vegetazione di sottobosco erbaceo in prevalenza di tipo
submediterraneo

1.2. LECCETA DI TRANSIZIONE AI BOSCHI DI CADUCIFOGLIE

Bosco con altre caratteristiche 3

3 Bosco ceduo di leccio misto, in particolare a roverella, con orniello molto frequente, carpino
nero, acero trilobo, sorbo domestico, ecc., a contingente mediterraneo molto ridotto, di
zone a clima relativamente freddo durante l’inverno, diffuso qua e là nelle Alpi Apuane,
Colli alti lucchesi, pistoiesi, fiorentini, aretini e senesi, con vegetazione di sottobosco di
tipo prevalentemente submediterraneo anche in parte con caducifoglie nello strato arbu-
stivo. Fa passaggio al QUERCETO TERMOFILO DI ROVERELLA CON LECCIO E
CERRO.

1.3. ORNO-LECCETA CON ROVERELLA DELLE ZONE INTERNE

Bosco con altre caratteristiche 4

4 Boscaglia a portamento spesso quasi cespuglioso di leccio prevalente, su pendici molto


erte dell’Appennino e delle Apuane, con affioramenti rocciosi a microclima caldo, isolata
in seno a boschi di caducifoglie e quindi extrazonale, povera di arbusti sempreverdi.

1.4. LECCETA RUPICOLA RELITTA SUBMONTANA E MONTANA


0$&&+,(0(',7(55$1((

1 Arbusteto di sempreverdi, spesso con leccio, che a maturità non raggiungono i 3 m d’altezza,
di clima mediterraneo con sensibile siccità estiva

2.1. MACCHIA MEDIA MESOMEDITERRANEA

Boscaglia o arbusteto con altre caratteristiche 2

2 Arbusteto di sempreverdi, quasi ovunque prive di leccio, con frequenti eriche, “ ginestre”
e cisti, che anche dopo qualche decennio non superano m 1.50 d’altezza, e con suffrutici
aromatici di gariga, degli stessi ambienti climatici del tipo precedente

2.2. MACCHIA BASSA MESOMEDITERRANEA

Boscaglia o arbusteto con altre caratteristiche 3

3 Arbusteto o boscaglia alti m 1.50-6, con raro leccio, costituita soprattutto da sclerofille
dove prevalgono le entità più termofile (lentisco, alaterno, mirto), di zone strettamente
costiere, a clima mediterraneo con forte siccità estiva

2.3. MACCHIA TERMOMEDITERRANEA

Boscaglia con altre caratteristiche 4

4 Boscaglia bassa e rada di zone rocciose presso il mare, caratterizzata in particolare dalla
presenza di specie particolarmente termo-xerofile come olivo selvatico e soprattutto eu-
forbia arborescente, a clima mediterraneo con forte siccità estiva

2.4. MACCHIA RUPESTRE A OLEA EUROPAEA SYLVESTRIS ED EUPHORBIA


DENDROIDES

Boscaglia con altre caratteristiche 5

5 Boscaglia di ginepri eretti o più o meno prostrati, a foglie aciculari (ginepro coccolone) e
anche squamiformi (ginepro fenicio), di ambiente strettamente dunale, con alcuni elementi
della macchia sempreverde più specie erbacee alofile e psammofile

2.5. GINEPRETO DUNALE A JUNIPERUS MACROCARPA E J. PHOENICEA

Boscaglia con altre caratteristiche 6

6 Boscaglia di ginepro fenicio a portamento eretto di coste rocciose prossime al mare


2.6. GINEPRETO RUPESTRE A JUNIPERUS PHOENICEA

Boscaglia con altre caratteristiche 7

7 Boscaglia di origine artificiale a Tamarix sp. pl. di dune costiere

2.7 BOSCAGLIA DI CONSOLIDAMENTO DUNALE A TAMERICI

68*+(5(7(

1 Bosco ceduo misto di leccio e sughera, con presenza di matricine di quest’ultima e il


concorso di altre specie sempreverdi della macchia

3.1. SUGHERETA MISTA SOPRA CEDUO DI LECCIO E ALTRE SEMPREVERDI

Bosco con altre caratteristiche 2

2 Bosco ceduo misto di leccio e sughera, con presenza di matricine di quest’ultima e il


concorso di altre specie sempreverdi della macchia e di caducifoglie (in specie cerro,
roverella e anche castagno)

3.2. SUGHERETA MISTA SOPRA CEDUO DI SEMPREVERDI E CADUCIFOGLIE

Bosco con altre caratteristiche 3

3 Bosco d’alto fusto di sughera allo stato puro con sottobosco di macchia mediterranea bassa
e media, quasi priva di leccio
3.3. SUGHERETA SPECIALIZZATA

3,1(7(',3,12'·$/(332

1 Pineta di pino d’Aleppo per lo più mista a leccio e ad altre sempreverdi della macchia
mediterranea, ma anche in un sottotipo rupestre su rocce litoranee, limitata esclusivamente
a zone costiere poco a sud di Livorno
4.1. PINETA COSTIERA DI PINO D’ALEPPO

Bosco con altre caratteristiche 2

2 Pineta di pino d’Aleppo di origine artificiale certa, anche di zone più interne, spesso mista
con cipresso comune e cipresso dell’Arizona

4.2. PINETA DI PINO D’ALEPPO DI RIMBOSCHIMENTO


3,1(7(',3,12'20(67,&2

1 Pineta di pino domestico su macchia mesomediterranea (ivi compreso il leccio) più o meno
rada, su dune litoranee e in clima mediterraneo a sensibile aridità estiva

5.1. PINETA DUNALE MESOMEDITERRANEA DI PINO DOMESTICO

Bosco con altre caratteristiche 2

2 Pineta di pino domestico su macchia termomediterranea (con raro leccio), più o meno rada,
su dune litoranee e in clima mediterraneo a forte aridità estiva

5.2. PINETA DUNALE TERMOMEDITERRANEA DI PINO DOMESTICO

Bosco con altre caratteristiche 3

3 Pineta di pino domestico, su ceduo chiuso di leccio prevalente rispetto alle altre sempreverdi
della macchia mediterranea, su dune antiche e suoli alluvionali a falda profonda

5.3. PINETA DUNALE DI PINO DOMESTICO A LECCIO

Bosco con altre caratteristiche 4

4 Pineta di pino domestico con presenza di varie specie di caducifoglie arboree prevalentemente
mesofile e mesoigrofile (farnia, pioppi bianco e nero, frassino meridionale, cerro, ecc.), oltre
a leccio e anche sughera, adiacente ai BOSCHI PLANIZIALI DI LATIFOGLIE MISTE (v.),
di alluvioni o depressioni interdunali prossime al mare, influenzate dalla falda freatica

5.4. PINETA PLANIZIALE MESOIGROFILA DI PINO DOMESTICO

Bosco con altre caratteristiche 5

5 Pineta di pino domestico di zone interne, eventualmente con pino marittimo e/o cipresso
comune e a piano inferiore costituito da querce (cerro, roverella, talvolta leccio) e altre
latifoglie, con radure e mantello dove sono frequenti le due eriche maggiori, alcune specie
di cisti e altri arbusti acidofili
5.5. PINETA COLLINARE DI PINO DOMESTICO A ERICHE E CISTI

Bosco con altre caratteristiche 6

6 Pineta di pino domestico di zone interne, eventualmente con pino marittimo, pino d’Aleppo
e/o cipresso comune, a piano inferiore caratterizzato soprattutto dalla presenza di roverella
con altre caducifoglie e da arbusti del Pruneto (v. punto 20.2.)
5.6. PINETA COLLINARE DI PINO DOMESTICO E ROVERELLA CON
ARBUSTI DEL PRUNETO


3,1(7(',3,120$5,77,02

1 Pineta di pino marittimo di colline relativamente prossime al mare, a sottobosco dominato


da numerose specie arbustive nettamente acidofile di diversa origine (il più tipico è il
ginestrone), dei settori più piovosi della Toscana nord-occidentale

6.1. PINETA DI CLIMA SUBOCEANICO PINO MARITTIMO A ULEX EUROPAEUS

Bosco con altre caratteristiche 2

2 Pineta di pino marittimo di zone interne, più spesso sopra ceduo di cerro e specialmente
castagno, caratterizzata dalle due eriche maggiori e altre specie acidofile, con scarsità di
entità strettamente mediterranee

6.2. PINETA SOPRAMEDITERRANEA DI PINO MARITTIMO

Bosco con altre caratteristiche 3

3 Pineta di pino marittimo di zone interne su macchia sempreverde acidofila, costituita in


prevalenza da corbezzolo e dalle due eriche maggiori, talvolta con leccio, cerro o castagno

6.3. PINETA MEDITERRANEA DI PINO MARITTIMO SU MACCHIA ACIDOFILA

Bosco con altre caratteristiche 4

4 Pineta litoranea di pino marittimo di origine artificiale su macchia sempreverde (a sud


anche con ginepri mediterranei), esposta spesso direttamente a mare, a difesa delle retro-
stanti pinete di pino domestico
6.4. PINETA COSTIERA DI PINO MARITTIMO

Bosco con altre caratteristiche 5

5 Pineta rada di pino marittimo di modesto sviluppo, spesso mista a cipresso comune,
raramente a leccio e/o roverella, di zone collinari con affioramenti di pietre verdi dei vari
tipi (ofioliti, serpentine, gabbri, ecc.) a suolo superficiale e sassoso

6.5. PINETA DI PINO MARITTIMO SU OFIOLITI

&,35(66(7(

1 Bosco d’impianto artificiale di cipresso comune con sottobosco rado di roverella, ginestra
odorosa ed, eventualmente, arbusti del Pruneto (v. categoria 20. ARBUSTETI DI POST-
COLTURA)


7.1. CIPRESSETA A ROVERELLA E SPARTIUM JUNCEUM

Bosco con altre caratteristiche 2

2 Bosco di cipresso comune di impianto artificiale su tappeto erbaceo di zone aride o asciutte

7.2. CIPRESSETA SU GRAMINETO XEROFILO

%26&+,3/$1,=,$/,',/$7,)2*/,(0,67(

1 Bosco di ontano nero e frassino meridionale su suoli paludosi o con falda freatica molto
superficiale, di terreni alluvionali pianeggianti o di conche interdunali e quindi prossimo
alla costa

8.1. ALNETO IGROFILO E MESOIGROFILO DI ONTANO NERO E FRASSINO


MERIDIONALE

Bosco con altre caratteristiche 2

2 Bosco misto di caducifoglie, composto da specie diverse a seconda delle condizioni locali
(soprattutto importante è la profondità della falda, comunque sempre utilizzabile), di terreni
alluvionali o di conche interdunali e quindi prossimo alla costa

8.2. BOSCO INTERDUNALE DI PIOPPI CON FARNIA E FRASSINO


MERIDIONALE

Bosco con altre caratteristiche 3

3 Bosco relittuale di farnia spesso con carpino bianco, isolato e sempre a gruppi di minima
estensione, dei fondovalle in zone interne a bassa quota nel settore nordoccidentale della
regione, con sottobosco in forte prevalenza mesofilo

8.3. QUERCO-CARPINETO EXTRAZONALE DI FARNIA

%26&+,$/9($/,(5,3$5,

1 Bosco o boscaglia di greto e delle rive dei corsi d’acqua, costituito da salici arborei o
cespugliosi, pioppo bianco e nero, meno spesso con ontano nero o frassino meridionale

9.1. SALICETO E PIOPPETO RIPARIO

Bosco con altre caratteristiche 2


2 Bosco ad ontano prevalente di zone umide poste anche all’interno lungo i corsi d’acqua,
con varie specie di salici, eventualmente pioppi e locali infiltrazioni di robinia

9.2. ALNETO RIPARIO DI ONTANO NERO

48(5&(7,',529(5(//$

1 Bosco di roverella dominante, anche rado, caratterizzato da alcune specie sempreverdi di


sottobosco, di aree collinari calde, su rocce prevalentemente calcaree miste, o anche ofio-
litiche miste con suoli neutro-basici ma anche leggermente acidificati

10.1. QUERCETO MESOTERMOFILO DI ROVERELLA


A ROSA SEMPERVIRENS

Bosco con altre caratteristiche 2

2 Bosco di roverella e cerro (la prima specie è almeno dominante fra le matricine) con altre
latifoglie, privo o quasi di specie sempreverdi, di aree collinari anche più interne e più
fredde del Tipo precedente, su rocce prevalentemente calcaree ma con suoli leggermente
acidificati

10.2. QUERCETO MESOFILO DI ROVERELLA E CERRO

Bosco con altre caratteristiche 3

3 Bosco di roverella prevalente rispetto ad altre caducifoglie (fra le più frequenti il carpino
nero), di zone collinari interne e submontane dell’Appennino, soprattutto sul versante
adriatico, anche a quote un po’ superiori dei tipi precedenti, su rocce scistose delle forma-
zione Marnoso-arenacea a suoli neutro-basici

10.3. QUERCETO MESOXEROFILO DI ROVERELLA


A CYTISUS SESSILIFOLIUS

Bosco con altre caratteristiche 4

4 Bosco di roverella con cerro subordinato o anche castagno, di zone collinari interne, in
prevalenza a quote basse o medie, su rocce silicatiche e suoli acidi (anche paleosuoli)

10.4. QUERCETO ACIDOFILO DI ROVERELLA E CERRO

Bosco con altre caratteristiche 5


5 Bosco di roverella con cerro e leccio, a strato arbustivo comprendente anche sclerofille della
macchia, di zone collinari calde su rocce calcaree o silicatiche e suoli da subacidi a neutri. Fa
passaggio all’ORNO-LECCETA CON ROVERELLA DELLE ZONE INTERNE.

10.5. QUERCETO TERMOFILO DI ROVERELLA CON LECCIO E CERRO

&(55(7(  

1 Bosco di cerro prevalente di elevata fertilità, caratterizzato dalla presenza di acero opalo
(inteso in senso lato), comunque spesso misto a varie altre caducifoglie e, più in quota,
anche all’abete, di zone alto-collinari e submontane, su suoli profondi neutro-subacidi
derivanti da rocce di vario tipo

11.1. CERRETA EUTROFICA AD ACER OPALUS s.l.

Bosco con altre caratteristiche 2

2 Bosco di cerro prevalente, con sottobosco a frequenti arbusti del Pruneto (v. Categoria 20.
ARBUSTETI DI POST-COLTURA), di zone di alta collina abbastanza fresche su rocce
silicatiche e suoli subacidi
11.2. CERRETA MESOFILA COLLINARE

Bosco con altre caratteristiche 3

3 Bosco di cerro prevalente su roverella e orniello, di fertilità modesta, ad ampia distribuzione


altitudinale, di zone interne abbastanza piovose ma localmente asciutte per cause geomor-
fologiche, quasi sempre su rocce calcaree o miste e suoli per lo più neutri-subacidi

11.3. CERRETA MESOXEROFILA

Bosco con altre caratteristiche 4

4 Bosco di cerro prevalente, misto o alternante in alto con il faggio, di fertilità modesta, diffuso
in aree montane (Appennino) su suoli silicatici o da rocce miste, comunque acidificati

11.4. CERRETA ACIDOFILA MONTANA

Bosco con altre caratteristiche 5

5 Bosco di cerro prevalente (spesso è presente il castagno e anche il pino marittimo, più di

(1) Compresi i boschi misti con farnetto.


rado la rovere), con sottobosco di specie subatlantiche prevalenti rispetto alle due eriche
maggiori, di terrazzi fluviali antichi a quote basse, su paleosuoli acidi e lisciviati

11.5. CERRETA ACIDOFILA DEI TERRAZZI A PALEOSUOLI

Bosco con altre caratteristiche 6

6 Bosco di cerro prevalente, variamente misto con roverella, orniello, carpino nero, pino
marittimo, con sottobosco delle due eriche maggiori prevalenti, di rocce silicatiche o
raramente calcaree ma su suoli sempre acidi o acidificati

11.6. CERRETA ACIDOFILA SUBMEDITERRANEA A ERICHE

Bosco con altre caratteristiche 7

7 Bosco frammentario di cerro misto, anche se dominante, con presenza nel piano arboreo
di specie mesofile e mesoigrofile come ontano nero, frassino meridionale, pioppo bianco
e nero, carpino bianco, e talvolta anche farnia, leccio e sughera, con sclerofille assai rare
nel sottobosco, di aree a clima mediterraneo, ma su suoli alluvionali freschi

11.7. CERRETA MESOFILA PLANIZIALE

Bosco con altre caratteristiche 8

8 Bosco di cerro prevalente, misto con leccio, sughera, acero trilobo, sorbo torminale e anche
frassino meridionale, talvolta rovere (o forme intermedie con la roverella), a sottobosco
misto di arbusti sclerofillici con alcuni del Pruneto, in terreni alluvionali di fondovalle a
clima mediterraneo in Maremma

11.8. CERRETA TERMOIGROFILA MEDITERRANEA

Bosco con altre caratteristiche 9


9 Bosco di cerro con farnetto, spesso con le due specie consociate in equilibrio come ab-
bondanza, della parte meridionale della Maremma.

11.9. QUERCETO DI CERRO E FARNETTO A PULICARIA ODORA

%26&+,0,67,&21&(552529(5((2&$53,12%,$1&2

1 Bosco plurispecifico, tenuto a ceduo (spesso composto), a partecipazione prevalente di cerro


e carpino bianco ma misto anche con altre specie quali rovere (o forme intermedie con la
farnia), ciavardello, acero campestre, castagno, più raramente carpino nero e, talvolta,
leccio o faggio; sottobosco prevalentemente mesofilo con sfumature acidofile


12.1. CARPINO-QUERCETO MESOFILO DI CERRO CON ROVERE

Bosco con altre caratteristiche 2

2 Bosco di rovere (o di forme intermedie con la farnia) misto con cerro, castagno, sorbo
ciavardello, raramente faggio o agrifoglio, con arbusti e sottobosco erbaceo prevalente-
mente acidofili dove sono rappresentate le due eriche maggiori, la ginestra dei carbonai,
il brugo, ecc. e altre specie subatlantiche

12.2. QUERCETO ACIDOFILO DI ROVERE E CERRO


3
Bosco con altre caratteristiche

3 Bosco prevalentemente ceduo di carpino bianco, cerro e anche rovere, acero opalo s.l., carpino
nero, ciliegio selvatico, con arbusti del Pruneto e sottobosco di specie mesofile ed esigenti

12.3. CARPINETO MISTO COLLINARE (-SUBMONTANO) A CERRO

2675,(7,

1 Bosco rado di carpino nero del tutto prevalente rispetto a orniello, cerro, acero campestre
e faggio in alto, di aspetto quasi cespuglioso, intercalato a detriti di falda e alle discariche
delle cave di marmo delle Apuane, di suoli molto superficiali, basici e calcarei

13.1. OSTRIETO PIONIERO DEI CALCARI DURI DELLE APUANE

Bosco con altre caratteristiche 2

2 Bosco di carpino nero o misto con cerro, roverella, orniello, acero campestre, acero opalo
s.l., di suoli neutro-basici e calcarei piuttosto superficiali e sottobosco graminoso ben
sviluppato a prevalente Sesleria argentea

13.2. OSTRIETO MESOFILO A SESLERIA ARGENTEA DELLE APUANE

Bosco con altre caratteristiche 3

3 Bosco di carpino nero di aspetto anche quasi cespuglioso, misto ad orniello, maggiocion-
dolo e sorbo montano, presente in aree rupestri di marne (prevalenti sulle arenarie) nel
settore centro-orientale dell’Appennino

13.3. OSTRIETO PIONIERO DELLE BALZE MARNOSO-ARENACEE APPENNINICHE


Bosco con altre caratteristiche 4

4 Bosco ceduo di carpino nero di vario sviluppo, localizzato in aree calanchive su scisti
argillosi alternati ad arenarie, misto ad orniello e maggiociondolo, con eventuali matricine
di cerro o roverella, del settore orientale dell’Appennino

13.4. OSTRIETO DELLE AREE CALANCHIVE DELLE ALTE VALLI


DELL’ARNO E DEL TEVERE

Bosco con altre caratteristiche 5

5 Bosco ceduo di carpino nero, eventualmente matricinato con roverella, cerro e anche leccio,
di suoli calcareo-marnosi, caratterizzato dalla coesistenza nel sottobosco di arbusti della
MACCHIA MESOMEDITERRANEA (v. punti 2.1. e 2.2.) e del PRUNETO (v. punto
20.2.), presente a quote basse nella Toscana centro-settentrionale

13.5.OSTRIETO TERMOFILO DEI CALCARI MARNOSI AD


ASPARAGUS ACUTIFOLIUS

Bosco con altre caratteristiche 6

6 Bosco ceduo con prevalenza talvolta solo relativa di carpino nero con cerro, roverella,
orniello, castagno, acero campestre, acero opalo s.l., ciliegio e prevalenza di arbusti del
Pruneto, proprio di suoli arenacei acidi sulle Apuane, Appennino e Colline Metallifere

13.6 OSTRIETO MESOFILO DEI SUBSTRATI SILICATICI

&$67$*1(7,

1 Bosco ceduo o castagneto da frutto di buona fertilità, talvolta invaso da varie latifoglie
nobili in caso di abbandono (v. punto 22.9. ACERI-FRASSINETO), di suoli freschi,
profondi, non eccessivamente acidi da arenaria, in zone con buone precipitazioni anche
estive, diffuso qua e là sull’Appennino ma con maggiore frequenza ed estensione nel settore
più occidentale

14.1. CASTAGNETO MESOFILO SU ARENARIA

Bosco con altre caratteristiche 2

2 Bosco ceduo o castagneto da frutto spesso ancora in esercizio, per lo più di ottima fertilità,
a sottobosco di specie mesofile in genere prevalenti su quelle acidofile, dei suoli vulcanici
del M. Amiata


14.2. CASTAGNETO MESOTROFICO SU ROCCE VULCANICHE DEL MONTE
AMIATA

Bosco con altre caratteristiche 3

3 Bosco ceduo o castagneto da frutto, per lo più abbandonato, di modesta fertilità, con
sottobosco di arbusti ed erbe acidofili ad impronta subatlantico-mediterranea, diffuso su
tutto il territorio (raramente anche nella fascia mediterranea vera e propria: v: sottotipo
CASTAGNETO SUBXERICO CON ELEMENTI MEDITERRANEI), su arenarie (tal-
volta anche rocce vulcaniche al M. Amiata)

14.3. CASTAGNETO ACIDOFILO

Bosco con altre caratteristiche 4

4 Castagneto da frutto, per lo più abbandonato, di modesta statura, su suoli di natura calcarea
o mista, parzialmente eluviati o argillificati, spesso invaso dal carpino nero

14.4. CASTAGNETO NEUTROFILO SU ROCCE CALCAREE E SCISTI


MARNOSI

52%,1,(7,

1 Bosco artificiale di robinia, diffuso soprattutto nei settori più piovosi della Toscana nord-
occidentale, qui spesso in alternanza con boschi di castagno; si hanno pure sue infiltrazioni
soprattutto nei BOSCHI ALVEALI E RIPARI (v.)

15.1. ROBINIETO D’IMPIANTO

%26&+,0,67,&21%(78//$

Bosco rado appenninico di castagno, faggio e anche cerro, con presenza più o meno consistente
di betulla, molto raramente in boschetti puri

16.1. BETULETO MISTO

$/1(7,',217$12%,$1&2(217$121$32/(7$12

1 Bosco spontaneo di ontano bianco, di zone fresche o umide isolate del settore appenninico
nordoccidentale e, raramente, delle Apuane


17.1. ALNETO AUTOCTONO DI ONTANO BIANCO

Bosco con altre caratteristiche 2

2 Bosco artificiale di ontano napoletano, relativamente diffuso sull’Appennino in zone franose


e fresche, spesso a contatto con il Tipo precedente

17.2. ALNETO D’IMPIANTO DI ONTANO NAPOLETANO (v. punto 23.1.)

3,1(7(',5,0%26&+,0(172',3,121(52

1 Bosco artificiale di pino nero e pino laricio, spesso di buona fertilità, su suoli acidi, in
genere sostitutivo di boschi di castagno

18.1. PINETA EUTROFICA (ACIDOFILA) DI PINO NERO

Bosco con altre caratteristiche 2

2 Bosco di pino nero e laricio, in genere di minore fertilità rispetto al Tipo precedente, di
suoli neutro-subacidi, sovente sostitutivo di cerrete

18.2. PINETA NEUTRO-ACIDOCLINA DI PINO NERO

Bosco con altre caratteristiche 3

3 Bosco di pino nero, quasi sempre di classi di fertilità inferiori rispetto al Tipo precedente,
di suoli argillosi neutro-basici da calcari marnosi e scisti calcarei, sovente sostitutivo di
querceti di roverella (anche con leccio)

18.3. PINETA NEUTRO-BASIFILA DI PINO NERO

,03,$17,','28*/$6,$

Rimboschimenti di douglasia, in prevalenza puri e della fascia appenninica

$5%867(7,',3267&2/785$  

1 Felceto più spesso puro o quasi di felce aquilina (Pteridium aquilinum), ad amplissima
distribuzione altitudinale dal mare sino al piano montano, di suoli acidi e non troppo
asciutti, abbandonati dall’agricoltura o dal pascolo

(1) Vengono compresi in questa categoria anche i felceti di Pteridium aquilinum (PTERIDIETO).


20.1. PTERIDIETO

Arbusteto di varie specie 2

2 Arbusteto collinare (- submontano) in genere misto, di prugnolo, biancospino, sanguinello,


rosa canina, ligustro, tipico di siepi, bordi di boschi e invadente terreni non troppo asciutti
abbandonati dall’agricoltura, talvolta con incipiente ingresso di specie arboree di giovane età

20.2. PRUNETO

Arbusteto con altre caratteristiche 3

3 Arbusteto collinare a ginestra odorosa dominante, di terreni asciutti più spesso calcarei,
abbandonati dall’agricoltura; può evolvere al tipo precedente con forme intermedie

20.3. GINESTRETO COLLINARE DI SPARTIUM JUNCEUM

Arbusteto con altre caratteristiche 4

4 Arbusteto di ginepro comune, di suoli asciutti spesso a pH neutro-basico, più spesso


abbandonati dal pascolo
20.4. GINEPRETO DI JUNIPERUS COMMUNIS

Arbusteto con altre caratteristiche 5

5 Arbusteto spesso puro o alternante a felceti di felce aquilina o a calluneti, di aree da


alto-collinari a montane, di suoli acidi, invadente in genere aree a pascolo abbandonato

20.5. GINESTRETO DI CYTISUS SCOPARIUS

Arbusteto basso con altre caratteristiche 6

6 Arbusteto di bassa statura dominato dal brugo (Calluna vulgaris), della zona montana e su
suoli molto acidi, già pascolati e invasi dopo l’abbandono (1)

20.6. CALLUNETO DI QUOTA

$%(7,1(

1 Abetina d’impianto di fasce prossime ai crinali appenninici (quote superiori), rade e di


modesto sviluppo (appartengono alle classi di fertilità più basse), con sottobosco di specie
esigenti mesofile dell’ACERI-FAGGETO APPENNINICO DI QUOTA (v. punto 22.4.)

(1) Sono escluse le cenosi con brugo, raramente pure, situate mediamente sotto i 1300 m, le quali fanno parte di
altri Tipi di vegetazione come forme di degradazione.


21.1. ABETINA ALTIMONTANA DI ORIGINE ARTIFICIALE

Bosco con altre caratteristiche 2

2 Abetina d’impianto sostituita al faggio in tutta la sua area di distribuzione (salvo le quote
superiori), più spesso di buona fertilità, con vegetazione subordinata ancora tipica
dell’ACERI-FAGGETO sopra citato oppure, più raramente, di tipo acidofilo

21.1. ABETINA MONTANA DI ORIGINE ARTIFICIALE

Bosco con altre caratteristiche 3

3 Abetina d’impianto posta a quote in gran parte non di competenza del faggio come vege-
tazione potenziale, per lo più nell’ambito dei castagneti da frutto e anche di cerrete, di
classi di fertilità basse e con vegetazione di sottobosco variabile, già con infiltrazioni
relativamente termofile

21.3. ABETINA SOTTO QUOTA DI ORIGINE ARTIFICIALE

Bosco con altre caratteristiche 4

4 Bosco relitto di abete bianco di origine naturale misto a cerro o a latifoglie nobili, situato
sul M. Amiata (zone di Piancastagnaio e S. Fiora)

21.4. ABETINA MISTA AUTOCTONA DEL MONTE AMIATA

Bosco con altre caratteristiche 5

5 Bosco naturale di abete bianco di quota, con faggio in basso e picea spontanea in alto
(praticamente pura al limite della vegetazione arborea), limitato ad una piccola zona dell’alta
valle del Sestaione nella zona dell’Abetone

21.5. PICEO-ABIETETO AUTOCTONO CON FAGGIO DELL’ABETONE

)$**(7(

1 Bosco di faggio di alta statura a maturità, delle migliori classi di fertilità, con sottobosco
erbaceo mesofilo ed esigente di erbe a foglia larga del tutto prevalenti, con facies primaverili
a più specie di Cardamine (= Dentaria sp. pl.), di zone fresche, a suoli profondi, con
humus bene incorporato

22.1. FAGGETA APPENNINICA EUTROFICA A DENTARIE


Bosco con altre caratteristiche 2

2 Bosco di faggio di buona statura a maturità, di classi di fertilità variabili (escluse quelle
dalla IV in meno), con sottobosco formato dalle erbe del tipo precedente miste ad altre di
tipo graminoide, proprie di suoli già più acidi e di tipi di humus meno alterabili

22.2. FAGGETA APPENNINICA MESOTROFICA A GERANIUM NODOSUM E


LUZULA NIVEA

Bosco con altre caratteristiche 3

3 Bosco di faggio a maturità di statura più bassa del tipo precedente, talvolta a portamento
tozzo o anche contorto, di classi di fertilità inferiore alla media, con sottobosco tipico di
suoli acidi e di humus di tipo moder

22.3. FAGGETA OLIGOTROFICA A LUZULA PEDEMONTANA, LUZULA NIVEA


E FESTUCA HETEROPHYLLA

Bosco con altre caratteristiche 4

4 Bosco di faggio prevalente, diffuso qua là nella sua fascia superiore di vegetazione, misto
con acero di monte, sorbo degli uccellatori e maggiociondolo alpino, di statura bassa e
mediocre portamento, con sottobosco per lo più formato da erbe mesofile ed esigenti

22.4. ACERI-FAGGETO APPENNINICO DI QUOTA

Bosco con altre caratteristiche 5

5 Boscaglia arbustiva di faggio delle quote più elevate, degradate dall’azione antropica e in
zone climatiche sfavorevoli per l’azione del vento, presente sull’Appennino e sulle Apuane

22.5 FAGGETA CESPUGLIOSA DI ALTITUDINE

Bosco con altre caratteristiche 6

6 Bosco di faggio di relativa fertilità su prevalenti rocce carbonatiche delle Apuane a sotto-
bosco graminoso dov’è particolarmente abbondante Sesleria argentea

22.6. FAGGETA APUANA A SESLERIA ARGENTEA

Bosco con altre caratteristiche 7

7 Bosco di faggio affine a quello eutrofico dell’Appennino, appartenente a classi di media


e anche buona fertilità, su rocce vulcaniche delle quote inferiori (800-1500 m) del Monte
Amiata


22.7. FAGGETA AMIATINA INFERIORE

Bosco con altre caratteristiche 8

8 Bosco di faggio affine al precedente quanto a sottobosco mesofilo, ma di classi di fertilità


mediocri, con portamento tozzo e contorto, proprio delle rocce vulcaniche alle quote
superiori dell’Amiata, dai 1500 m alla vetta (m 1.738)

22.8. FAGGETA AMIATINA SUPERIORE AD ADENOSTYLES AUSTRALIS

Bosco con altre caratteristiche 9

9 Bosco di faggio, castagno (da frutto) o abete, proprio di stazioni fresche (gole o esposizioni
settentrionali), proprio della fascia inferiore di vegetazione delle faggete, ospitante nume-
rose specie di altre latifoglie per lo più mesofile, diverse a seconda delle condizioni locali,
con cenosi che si configurano come forme di infiltrazione, probabilmente transitorie, di
boschi originari alterati o sostituiti, riunite qui per le implicazioni selvicolturali che ne
richiedono una trattazione unitaria, ma da considerare piuttosto dei sottotipi o varianti di
boschi antropizzati oggi in evoluzione

22.9. ACERI-FRASSINETO

Bosco con altre caratteristiche 10

10 Impianti di specie non spontanee di minore impiego

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Importanza, caratterizzazione e cenni storici


Secondo l’Inventario Forestale Toscano le superfici forestali con dominanza
del leccio coprono 60.576 ettari di cui solo poco più di 5.000 ettari sono di alto fusto.
Inoltre la dominanza del leccio è stata ravvisata su 53.200 ettari di “ Macchia medi-
terranea a portamento arboreo” e su circa 9.500 ettari di “ Macchia a portamento
arbustivo” . E’ probabile che ci possano essere altri popolamenti giovani in cui, man
mano che invecchieranno, il leccio assumerà la dominanza.
La ripartizione per province delle superfici dei popolamenti sempreverdi di tipo
mediterraneo (la Categoria 2. v. anche Macchie mediterranee) rivela molto bene una
distribuzione che, a partire dalla costa maremmana, si sfrangia gradualmente verso
nord e verso l’interno.
Il massimo delle superfici compete alle province di Grosseto e di Livorno,
poi interviene la provincia di Pisa e, infine, con l’aggiunta di Siena, si giunge
quasi al 95% del totale. Però, a tutte le altre province interne, comprese quelle
di Arezzo e di Pistoia, l’Inventario attribuisce almeno qualche decina di ettari
che rappresentano le estreme propaggini della vegetazione sempreverde. Questa
progressiva dispersione della distribuzione territoriale può essere sintetizzata nel
modo che segue.
Lungo la costa della Maremma, e più o meno fino a Livorno, i boschi a base di
leccio e di latifoglie mediterranee sono più frequenti e appaiono più caratterizzati
nel senso della prevalenza delle specie sempreverdi.
Alle prime falde delle Apuane (FERRARINI, 1972; MASSEI, 1983) esistono boschetti
isolati di leccio sopra Camaiore e Pietrasanta, presso Montignoso, a Chiatri presso
Massaciuccoli, a Carignano (Fosdinovo), ai piedi del M. Pisano. Nuclei isolati più
interni vengono ricordati da ARRIGONI (1959) e ARRIGONI e FOGGI (1926) presso
Monsummano.
Nelle colline interne della Maremma, i boschi di sempreverdi si intersecano sempre
di più con i boschi di latifoglie decidue e, nella loro compagine, tendono ad ospitare
queste ultime fino a formare mescolanze molto complesse.
Nel resto delle colline toscane il leccio compone ancora chiazze di bosco verde


in inverno, ma distribuito in modo più disperso e accompagnato oramai da poche
altre specie sempreverdi.
Su alcune rupi montane, infine, il leccio fa le sue estreme apparizioni e approfitta
del calore offerto dalla roccia disponendosi a cespugli sparsi, ma talvolta anche
con qualche addensamento.
Ne consegue che i boschi a dominanza di leccio si lasciano suddividere abba-
stanza bene in tipi correlati alla posizione geografica. Questo è dovuto non solo al
variare del clima, ma anche ad una coincidenza geologica per cui le rocce silicatiche
prevalgono nelle colline marittime del sud-ovest mentre quelle carbonatiche, più
favorevoli alle penetrazioni interne del leccio, appaiono più di frequente nei rilievi
settentrionali e interni della Regione.
Le circostanze che regolano l’intercalazione e la mescolanza fra specie sempre-
verdi e decidue sono, orientativamente, le seguenti:

1 Temperature medie del mese più freddo dell’ordine di 3° costituiscono il limite


per la distribuzione in massa delle sempreverdi.
2 Oltre questo limite le sempreverdi meno termofile (come il leccio) tendono a rifu-
giarsi nei rilievi di rocce carbonatiche dove trovano substrati più soggetti all’inari-
dimento (quindi svantaggiosi per le caducifoglie) e un microclima più caldo.
3 Le caducifoglie prevalgono sulle sempreverdi dove (indipendentemente dalle
temperature) beneficiano di apporti di acqua di falda freatica, come avviene in
tutti i fondovalle e nelle pianure costiere.
4 Fra tutte le specie in gioco, sempreverdi e caducifoglie, il leccio è la specie più
tollerante dell’ombra e quella con la chioma più coprente; pertanto le mescolanze
sia con le altre sempreverdi che con le caducifoglie sono facilitate quando le
alterazioni antropiche limitano il naturale potere di dominanza del leccio.

L’altro aspetto della tipologia dei popolamenti mediterranei sta nel distinguere
i diversi stadi di degradazione antropica che vanno dal prototipo ottimale della lecceta
di alto fusto fino agli estremi delle macchie basse, delle garighe o, addirittura, delle
pseudosteppe più aride.
In Toscana il classico paesaggio mediterraneo condizionato da estensioni di
macchie basse è limitato alle coste a scoglio, ai promontori e alle isole dell’Arcipelago.
Nelle colline della Maremma, invece, prevalgono macchie alte e boschi mediterranei.
Il migliore grado di conservazione in cui si trova la vegetazione mediterranea
della Maremma Toscana può essere attribuito ai seguenti fattori:

1 L’alterazione antropica è stata piuttosto recente. Infatti, il periodo di attività


etrusca e romana fu seguito da un lungo periodo di impaludamento e di parziale
inabitabilità (anche per la malaria) che ha consentito un elevato grado di rico-
stituzione forestale naturale. Le successive bonifiche e le riduzioni a ceduo dei


boschi rimasti sono avvenute fra il ‘700 e gli ultimi anni dell’‘800 (GABBRIELLI,
1980, 1985; TARUFFI, 1905).
2 La geomorfologia collinare su rocce silicatiche facilmente alterabili ha certa-
mente impedito le peggiori forme di degradazione irreversibile.
3 L’ordinamento privatistico del territorio (conseguente alla soppressione delle
proprietà collettive avvenuta nella seconda metà del ‘700) si è articolato in
aziende dove l’organizzazione e la sorveglianza interna hanno evitato che al
taglio dei boschi seguisse quel disordinato incremento del pascolo che si è
verificato in altre parti del Mediterraneo (SEIGUE, 1985). Il pascolo è sempre
stato esercitato, ma direttamente da parte del proprietario e, quindi, nel rispetto
del capitale fondiario e delle sue altre forme di reddito.
4 Le aziende forestali di proprietà granducale seguirono a lungo criteri di gestione
privatistica perchè si trattava di aziende che (come quella di Berignone, di
Bibbona ed altre) erano orientate a rifornire di carbone di legna le Imperiali e
Reali Saline di Volterra e la I.R. Magona di Follonica per la fusione del ferro.
Con l’Unificazione, queste foreste granducali divennero i primi nuclei delle
Foreste Demaniali in Maremma che, dopo il 1950, furono ampliate e poi gestite
con criteri più conservativi.
Man mano che procedeva la colonizzazione della Maremma, il criterio generale
di gestione dei boschi sfociava nel governo a ceduo. I turni erano piuttosto brevi e
variavano da 12 a 18 anni. Nei boschi privati, le necessità del pascolo potevano
condurre anche ad una matricinatura relativamente intensa. Nelle foreste demaniali
ci fu un primo tentativo di universale avviamento all’alto fusto, poi un ritorno al
ceduo a turno breve (MERENDI A., 1920).
Le ceduazioni a turno breve su boschi in cui originariamente dominava il leccio,
hanno condotto al formarsi della tipica fisionomia del “ forteto di Maremma” . E’
questo un tipo colturale di popolamento con una fisionomia di mezzo fra quella della
macchia mediterranea e quella della lecceta. Il “ forteto” si forma quando il leccio,
a causa dei tagli ripetuti, perde il suo potere di dominanza e allora si apre l’ingresso
di varie specie esigenti di luce che si infittiscono in un intrico impenetrabile con
anche più di 20.000 ceppaie e più di 100.000 polloni per ettaro.
Visto nella fisionomia di popolamento molto misto, denso e di statura minore,
il forteto viene considerato come una parte della macchia mediterranea. In senso
evolutivo, però, il forteto può essere considerato anche come una fase giovanile della
lecceta. Infatti, con l’aumentare dell’età, aumenta sensibilmente l’aliquota di parte-
cipazione del leccio alla biomassa (PATRONE, 1951). In età più inoltrate, se la fertilità
è sufficiente, il leccio riprende la dominanza finché il forteto si trasforma direttamente
in una lecceta di alto fusto (PIGNATTI & PIGNATTI WIKUS, 1968, BERNETTI, 1987;
HERMANIN & POLLINI, 1990).
Rimangono da stabilire solo i limiti minimi della fertilità (e quindi di potenzialità
di accrescimento) e della densità delle ceppaie di leccio al di sotto dei quali un forteto


risulta incapace di evolversi a lecceta per mantenere invece più a lungo il carattere
di macchia.

Aspetti selvicolturali
Gli orientamenti attuali della selvicoltura dei boschi a dominanza di leccio stanno
nell’avviamento all’alto fusto dei cedui, nella prosecuzione del governo a ceduo ma
con turno più lungo, nelle combinazioni con l’attività zootecnica e nelle sperimen-
tazioni di allevamento di ungulati.
Molto dipende dalla fertilità e, per ogni opportuno orientamento a questo riguar-
do, si riporta la tabella di fertilità stabilita da HERMANIN & POLLINI (1990) sulla
base di rilievi nelle colline di Follonica. E’ possibile che altrove esistano cedui di
fertilità superiore alla I classe contemplata in questa tabella.
L’avviamento all’alto fusto dei cedui soddisfa soltanto a scopi genericamente
conservativi perchè dalle fustaie di leccio non si può ottenere legname da lavoro;
migliori sono le prospettive per il pascolo, ma questo è limitato soltanto al periodo
della ghianda.
L’avviamento all’alto fusto può essere ottenuto per semplice invecchiamento o
con tagli di diradamento. Mancando ogni necessità di selezione dei fusti, i tagli di
diradamento si giustificano principalmente come misura antincendio oppure per una
occasionale raccolta di legna. La lecceta di alto fusto è un bosco di statura compresa
fra 15 e 25 metri e composto da piante più o meno tozze e contorte. L’ombra al suolo
permette la presenza di uno scarso sottobosco.
Le altre specie sempreverdi possono sopravvivere solo ai margini e nelle radure
a suolo più superficiale.

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(1) E’ probabile che i cedui della III classe di fertilità siano da considerarsi propriamente come “ macchie” e non
più come “ leccete” .


Nel confronto con la macchia e con il ceduo (quest’ultimo visto nella sua fase
più composita di “ forteto” ) la lecceta di alto fusto ha lo svantaggio di presentare un
basso grado di biodiversità e di assicurare alla vita animale molto meno catene
alimentari; basti pensare che le sempreverdi mediterranee diverse dal leccio e dalla
quercia da sughero sono tutte specie a frutti carnosi (quindi appetiti da piccoli uccelli)
e con fruttificazione piuttosto duratura e variata nelle stagioni a seconda delle specie
Secondo MARGARIS (1981) all’evoluzione della macchia in foresta mediterranea
corrisponde non solo una riduzione della biodiversità, ma anche di tutte le altre
produzioni dell’ecosistema almeno fino al lontano momento in cui la lecceta di alto
fusto non entri nella fase di riproduzione e poi di decadenza.
Per queste ragioni può essere sconsigliabile praticare l’avviamento a fustaia dei
forteti contemporaneamente e su vaste superfici. Nel Parco Naturale della Maremma
la vita animale viene infatti sostenuta con sistematiche tagliate del ceduo su piccole
superfici.
Per i cedui mediterranei il periodo di interruzione dei tagli conseguente alla crisi
della legna ardere è stato molto più lungo che per quelli di caducifoglie e la ripresa
dei tagli su superfici significative si è verificata solo più di recente.
L’accrescimento dei cedui a base di leccio è piuttosto lento, come si può verificare
sulla tabella per l’accertamento delle classi di fertilità. Pertanto i tagli che oggi si
vanno eseguendo interessano popolamenti di 35-45 anni di età e di stazioni fertili.
E’ dunque verosimile che il nuovo turno da tenere come riferimento sia dell’ordine
di almeno 30 anni e che un vasto insieme di boschi più scadenti resterà trascurato
dal taglio.
Secondo BERNETTI (1994) la sicura convenienza al taglio è possibile solo per
popolamenti che abbiano raggiunto l’ordine di grandezza di 7 metri. Questo criterio
esclude dalla convenienza al taglio i cedui della III classe di fertilità di HERMANIN
& POLLINI (cit.).
Dato il lento sviluppo, la pratica di rilasciare un consistente numero di polloni
per un turno in più appare opportuna. D’altra parte, proprio per il lento accrescimento,
i cedui di leccio della Montagnola Senese sono sempre stati trattati secondo i criteri
del taglio a sterzo. Oggi tale sistema selvicolturale può essere utilmente esteso altrove
con opportune varianti.
Il numero di matricine di alto fusto che si riservano è spesso relativamente alto
a beneficio del pascolo o della selvaggina. Quando sono presenti, si preferiscono le
piante di sughera che, poi, vengono sottoposte a decortica.
Nei cedui a base di leccio la matricinatura crea problemi soltanto per la conser-
vazione delle ceppaie delle specie eliofile mentre il leccio, grazie alla sua tolleranza
per l’ombra, può sopravvivere allo stato di pollone o insediarsi come semenzale
sempre che l’eccesso di numero e di sviluppo delle matricine non provochino una
copertura proibitiva.
Per lo stesso motivo, l’allungamento del turno dei cedui mediterranei porterà ad


una riduzione della grande diversità di specie e ad un aumento della partecipazione
del leccio alla biomassa.
L’insediamento della rinnovazione naturale del leccio ha maggiori possibilità
nelle stazioni più fertili e subito dopo un taglio eseguito con sufficienti rilasci.
Il motivo per cui i boschi della Maremma Toscana sono sempre stati considerati
molto preziosi per il pascolo non sta tanto nella sola presenza dei boschi delle
sempreverdi quanto nella giustapposizione complementare tra il bosco “ vernino” e
quello “ estatino” .
Il modo corrente di praticare il pascolo consisteva nel limitare il carico degli
animali (non fosse altro che facendo trascorrere loro l’inverno in stalla) e nel far
pascolare, poi, tutta l’area in cui i cedui appena tagliati costituivano la frazione più
utile che valeva la pena di sfruttare a rischio di incorrere in sanzioni per avere
contravvenuto alle Prescrizioni di massima e di polizia forestale. Oggi il patrimonio
zootecnico della Maremma è molto ridotto e le poche aziende zootecniche ancora
in esercizio adottano soluzioni piuttosto diverse fra loro.

Lecceta tipica a Viburnum Tinus


Ceduo in conversione con specie della macchia presso Antignano (Livorno)


1.1. LECCETA TIPICA A VIBURNUM TINUS

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Il barrato si riferisce al
periodo invernale

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- ricca perchè il governo a ceduo ha provocato


logica una ampia diffusione degli alberelli scerofil-
Questo tipo raggruppa i boschi aventi la com- lici e degli arbusti pionieri mediterranei a
posizione e la fisionomia più rappresentativa riempire gli spazi fra le ceppaie di leccio.
della vegetazione mediterranea tipica, cioè Pertanto il forteto della Lecceta tipica è co-
con l’alta frequenza e con la dominanza quasi stituito non solo dal leccio, ma anche da lau-
assoluta di sempreverdi sclerofille. rotino, filliree latifoglia e angustifoglia, ala-
La composizione della Lecceta tipica nello terno, lentisco, mirto, cisti, arbusti di legu-
stato di bosco maturo di alto fusto (che in minose e, nei terreni silicatici o acidificati,
Toscana è più una teoria che una realtà) pre- anche dalla sughera, dal corbezzolo e dall’eri-
vederebbe: (1) il leccio come specie domi- ca arborea. E’ anche possibile che il governo
nante, (2) la sughera in posizione subordinata a ceduo faciliti la presenza sporadica, ma
ma solo su terreni acidi, (3) gli alberelli e immancabile, di specie caducifoglie come ro-
arbusti sclerofillici, (filliree, laurotino, lenti- verella, orniello e acero trilobo.
sco, corbezzolo, alaterno, mirto) in posizione Negli stadi più adulti (oltre l’età del raggiun-
di sottobosco o di radura e, infine, (4) arbusti gimento di 6-7 m di altezza) e nelle fustaie
pionieri mediterranei (erica arborea, varie di origine agamica che attualmente è dato
specie di cisti, di ginepri e di leguminose del reperire, il leccio tende a chiudere la sua co-
tipo delle “ ginestre” , ecc.) arroccati nelle pla- pertura e, pertanto, questi boschi evolvono a
ghe a terreno meno fertile. lecceta quasi pura, mentre le altre specie re-
La struttura in cui si trova la Lecceta tipica stano confinate nelle interruzioni di copertura
è quella di bosco ceduo matricinato o, più e nelle plaghe a suolo più superficiale.
raramente, di ceduo composto. Questo Tipo corrisponde all’associazione Vi-
Negli stadi giovanili i cedui della Lecceta burno tini-Quercetum ilicis con quattro sot-
tipica costituiscono popolamenti estrema- totipi, (v. sottotipi e varianti). Per quanto con-
mente densi ed intricati che sono chiamati cerne gli stati più giovanili questo Tipo può
localmente “ forteti” . La mescolanza è molto corrispondere almeno per una parte a popo-


lamenti con fisionomia di Erico arboreae- fra Donoratico e tutto il Parco di Rimigliano
Arbutetum unedi Allier e Lacoste 1980. a S. Vincenzo.

Sottotipi e varianti Esposizione


Il Tipo, peraltro assai vasto, viene diviso in Varia. Forse un poco più nelle esposizioni a
almeno quattro sottotipi che rispecchiano di- Sud e comunque mai in posizioni di fondo-
verse condizioni ecologiche e colturali. valle.
Lecceta con intonazione termofila. Inclu-
de popolamenti di passaggio alle Macchie Distribuzione altitudinale
di tipo mediterraneo (v.). Corrisponde a Nelle colline in esposizione diretta verso il
Viburno tini-Quercetum ilicis (Br. Bl. mare può arrivare anche a 300-400 m di al-
1936) Riv. Martinez 1975 pistacietosum titudine.
Br. Bl. 1952, cioè con minore dominanza
del leccio rispetto ad altre sclerofille: fil- Geomorfologia
liree, lentisco, mirto. Versanti per lo più moderati.
Lecceta di suoli silicatici relativamente de-
gradata. Si manifesta con maggiore parte- Substrati
cipazione dell’erica arborea che, a tratti, Prevalgono i substrati da rocce silicatiche
può formare plaghe di ericeto quasi puro. come in Maremma, Colline livornesi, Isola
Corrisponde a Viburno tini-Quercetum ili- d’Elba, ecc. Popolamenti riferibili a questo
cis (Br. Bl. 1936) Riv. Martinez 1975 eri- tipo su rocce carbonatiche o miste si trovano
cetosum (arboreae) Molinier 1937. sulle Colline senesi (Chianti), in Versilia e al
Lecceta di suoli silicatici con sughera; so- Monte Pisano.
vente governata a ceduo con matricine di
sughera periodicamente sottoposte a de- Suoli
cortica. Corrisponde a Viburno tini-Quer- Suoli bruni o bruni leggermente lisciviati,
cetum ilicis (Br. Bl. 1936) Riv. Martinez sufficientemente profondi, in genere subaci-
1975 suberetosum Br. Bl. 1936. Fa pas- do-neutri, a granulometria per lo più grosso-
saggio alla SUGHERETA MISTA SO- lana (salvo i paleosuoli - “ terre rosse” - ar-
PRA CEDUO DI LECCIO E ALTRE gillose su calcare), o con argillificazione an-
SEMPREVERDI. che su macigno secondo SANESI 1966 ricchi
Lecceta dei suoli calcarei. E’ costituita da di scheletro, con sostanza organica di tipo
popolamenti di fertilità mediocre, comun- mull.
que molto ricchi di leccio anche negli stadi
giovanili. Non distinta fitosociologica- Clima
mente. Temperature media annue fra 14° e 18°. Tem-
peratura media del mese più freddo di 5°-9°.
Localizzazione Nel Senese ai limiti inferiori dei dati suddetti.
Colline poco distanti dalla costa, Elba, Gian- Precipitazioni varie; in estate da 120 mm (a
nutri. Anche su colline interne, ma solo su nord dell’Arno) fino anche a soli 50-80 mm
suoli calcarei. in Maremma.
In pianura e lungo la costa, la Lecceta tipica
è presente solo su posizioni rilevate; così, per Interventi antropici più frequenti
esempio, sulle dune antiche con orizzonti I boschi mediterranei della Maremma (che
concrezionati note col nome di “ panchina” comprendono sicuramente la grande mag-


gioranza della superficie dei boschi di questo ti di maggiore fertilità, nelle aziende private
Tipo) sono stati via via ridotti a cedui fra il anche su superfici notevoli.
‘700 e la fine dell’‘800.
Nelle Foreste Demaniali di Bibbona, Massa Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
Marittima, ecc. per motivi economici, sono denze dinamiche
stati adottati (fra il 1920 e il 1955) anche turni Si tratta di un tipo di bosco in cui l’intervento
molto brevi (11 anni) senza significativo ri- antropico ha influito sulla biomassa arborea
lascio di matricine (MERENDI A., 1920). Ci senza però che siano intervenuti significativi
fu anche qualche tentativo di coniferamento fenomeni di degradazione del suolo (salvo
o di trasformazione in bosco di conifere. che in alcuni sottotipi).
Nell’ambito delle grandi aziende private si Pertanto il soprassuolo, per semplice invec-
usavano turni di poco maggiori (fino a 12-18 chiamento e sviluppo, può evolvere alla ce-
anni) e matricinature più intense legate anche nosi finale costituita dalla fustaia di leccio
al pascolo della ghianda. dominante e con le altre serie evolutive in
All’incirca fra il 1955 e il 1985 i cedui me- posizione subordinata o marginale ma pronte
diterranei sono stati praticamente abbando- ad espandersi in occasione di catastrofi.
nati salvo qualche tentativo di avviamento Questa Lecceta, almeno in alcuni suoi pri-
all’alto fusto. mordi evolutivi, può presentarsi anche come
Presso l’Azienda di Stato per le Foreste De- piano inferiore di Pinete di pino domestico
maniali di Follonica è istituita la Riserva Na- (v. PINETA DUNALE DI PINO DOME-
turale di Pian Cancelli che oggi include lec- STICO A LECCIO) e, sulle colline di Ca-
cete di grande sviluppo. stiglioncello, anche della PINETA COSTIE-
Dopo, i tagli sono stati ripresi sui popolamen- RA DI PINO D’ALEPPO (v.).

Specie indicatrici (1)


Quercus ilex CAREX DISTACHYA
VIBURNUM TINUS Ruscus aculeatus
Rosa sempervirens Luzula forsteri
Phillyrea latifolia Moehringia pentandra
Pistacia terebinthus Cyclamen repandum
Arbutus unedo Asplenium onopteris
Lonicera implexa Rubia peregrina
Rhamnus alaternus Asparagus acutifolius
Clematis flammula Carex hallerana
Osyris alba Stachys officinalis
Teucrium chamaedrys Hedera helix
Smilax aspera Carex olbiensis
Differenziali della subass. pistacietosum
Pistacia lentiscus Euphorbia characias
Differenziali della subass. ericetosum
Erica arborea (abbond.) Arbutus unedo (abbond.)
Differenziali della subass. suberetosum
Quercus suber Teline linifolia
Erica arborea Lavandula stoechas
Cytisus villosus Pulicaria odora
Calicotome spinosa

(1) ARRIGONI (1996, INED.).


Selvicoltura tensa (fino a 150 piante di varia età per ettaro)
La conversione in fustaia corrisponde a criteri non dovrebbe comportare eccessive perdite
naturalistici o paesaggistici. Il taglio di av- sulla produttività delle ceppaie di leccio e
viamento all’alto fusto non ha particolari uti- sulla rinnovazione da seme. L’insediamento
lità salvo che come misura antincendio. La del novellame, bene inteso, è più probabile
conversione in fustaia condotta contempora- in cedui di fertilità buona o ottima.
neamente su una vasta superficie di popola- La matricinatura con sughera (che taluni ope-
menti contigui, può comportare una eccessiva rano lasciando anche 2-3 polloni della stessa
supremazia del leccio con conseguente ab- ceppaia) produce meno ombra al soprassuolo
bassamento del livello della biodiversità e, di quanta ne faccia il leccio. Si tratta, inoltre,
quindi, degli alimenti offerti dal bosco alla di un buon modo di allevare la quercia da
fauna selvatica. sughero; infatti, le piante decorticate negli
Per il governo a ceduo, il turno di riferimento anni intercalari al turno (cioè quando il ceduo
presumibile è di 35 anni. Dato che il leccio è ancora in piedi), non rimangono col fusto
è tollerante per l’ombra, la matricinatura in- esposto al sole.


1.2. LECCETA DI TRANSIZIONE
A BOSCHI DI CADUCIFOGLIE(1)

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Il barrato si riferisce al
periodo invernale

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Il leccio e le altre sempreverdi sono domi-


logica nanti; gli arbusti della macchia mediterranea
Questo Tipo, alquanto diversificato a seconda aumentano di importanza col decrescere della
delle condizioni locali, si manifesterebbe po- fertilità.
tenzialmente come una fustaia con leccio do- Questo elevato livello di biodiversità di pian-
minante mista a specie caducifoglie, soprat- te legnose si attenua molto con l’invecchia-
tutto querce. mento del ceduo quando lo sviluppo a fustaia
La composizione arborea (oltre che del sot- comporta la presa di dominanza del leccio e
tobosco) della Lecceta di transizione è molto la soppressione di quasi tutte le altre specie;
più articolata della Lecceta tipica e assai più le querce caducifoglie rimangono nella mi-
ricca di specie perchè ai componenti sempre- sura in cui alcuni individui (generalmente
verdi (leccio, sughera, alberelli sclerofillici e matricine) possono svettare sulla copertura
arbusti pionieri mediterranei) si possono ag- del leccio.
giungere, di volta in volta: La Lecceta di transizione è probabilmente il
(A) varie specie di querce caducifoglie distri- tipo più diffuso nelle colline della Maremma
buite secondo l’ambiente: cerro, roverel- ed in esso si compendia una gran parte dei
la, rovere e farnia; boschi classificati dall’Inventario Forestale
B) altre caducifoglie: carpino nero, orniello, Toscana come “ Fustaie di leccio” , “ Cedui
acero campestre, acero trilobo, aceri del di leccio” e “ Macchia mediterranea a porta-
gruppo opalo, sorbo domestico, sorbo mento arboreo” .
torminale, olmo campestre, ecc.; Sono boschi che, alla visione panoramica, ap-
(C) latifoglie igrofile: pioppo bianco, pioppo paiono molto uniformi e monotoni. Una os-
tremolo, frassino meridionale; servazione più attenta, però, rivela importanti
(D) arbusti dei Pruneti: biancospino, sangui- variazioni disposte a mosaico. Le posizioni
nello, ligustro, ecc. di fondovalle e di depressione umida sono

(1) Lecceta con caducifoglie secondo HOFMANN AM., 1992


occupate da prevalenti caducifoglie che, a se- Localizzazione
conda del rilievo, possono tornare a prevalere Montagnola Senese, Lucchesia, Colline della
alle quote maggiori. Intercorrono, poi, altre Maremma, forse di più nelle province di Li-
differenze connesse col suolo superficiale o vorno e di Pisa che in quella di Grosseto.
con altri elementi del microrilievo. Foreste demaniali di Valle Benedetta, Beri-
Queste variazioni continue creano difficoltà gnone, Decimo e Buriano, Bibbona, Caselli,
nello stabilire delle unità fitosociologiche ben Lustignano, Sassetta, Montioni, ecc.
definite e delimitabili a causa della irregolare
variabilità delle condizioni floristiche ed eco- Esposizioni
logiche. Varie; alle quote superiori per lo più verso sud.
Comunque le associazioni e subassociazioni
di riferimento di volta in volta sono: Fraxino Distribuzione altitudinale
orni-Quercetum ilicis Horvatic (1956) 1958, Diversa secondo la lontananza dal mare e resa
Viburno tini-Quercetum ilicis (Br. Bl., incerta da vari elementi. E’ chiaro che, oltre
1936) Riv. Martinez 1975 nelle subassocia- 500 m, tendono a prevalere i boschi di cadu-
zioni pubescentetosum Br. Bl. 1952 e quer- cifoglie che, poi, si affermano in tutti i fon-
cetosum robori, “ a contatto con associazio- dovalle.
ni igrofile planiziarie” (ARRIGONI, 1996
ined.), Asplenio-Quercetum ilicis Br. Bl., Substrati
1936, Riv. Martinez 1975, di zone relati- Per lo più silicatici, almeno nel luogo classico
vamente fresche. della Maremma; anche da argille del Pliocene
(Berignone).
Sottotipi e varianti
mesofilo (rivelata dalla relativa frequenza Suoli
del cerro oltre che del carpino nero e Da profondi e mediamente profondi, in genere
dell’acero opalo; possibili anche la rovere subacidi, a varia granulometria, spesso ricchi
e, talvolta, il carpino bianco. Corrisponde di scheletro, asciutti in estate, variamente
a buone fertilità e, spesso, all’ultima asso- provvisti di sostanza organica di tipo mull.
ciazione citata)
mesoigrofilo (di fondovalle; oltre al cer- Clima
ro può ospitare la farnia, il frassino meri- Più freddo rispetto alla Lecceta tipica. Tem-
dionale e anche i pioppi; possibili le pre- peratura media annua fra 13° e 16°; media
senze eterotopiche del faggio; all’estre- del mese più freddo 3°-5°. Minime assolute
mo, il sottotipo sfuma nella prevalenza anche di -12°. Temperature eccezionali nei
di caducifoglie) fondovalle, anche inferiori a -20° (come in
acidofilo (corbezzolo temporaneamente Val di Cecina nel gennaio del 1985), danneg-
dominante nella fasi giovanili del forteto; giano gravemente la vegetazione delle sempre-
erica arborea dominante nelle aree degra- verdi e possono influenzare la proporzione re-
date; fra le caducifoglie possono essere lativa di leccio rispetto alle caducifoglie. Pre-
presenti anche il castagno e la rovere). cipitazioni medie annue da 800 a 1100 mm,
acidofilo con sughera (simile floristica- estive intorno a 120 (150) millimetri.
mente alla precedente e rara). Fa passaggio
al Tipo 3.2. SUGHERETA MISTA SO- Interventi antropici più frequenti
PRA CEDUO DI SEMPREVERDI E CA- Come per la Lecceta tipica. Data la distribu-
DUCIFOGLIE. zione, più interna e più remota dalle strade,


è possibile che una parte dei cedui derivi da delle specie eliofile, rappresentato da un lato
tagli della fustaia originaria avvenuti in anni dalle caducifoglie (originariamente accantona-
relativamente recenti, cioè attorno al 1900 te nelle depressioni umide o nelle posizioni più
(TARUFFI, 1905). elevate e fresche) e, dall’altro, costituito dagli
Nel rilascio di matricine sono stati preferiti alberelli sempreverdi e dalle specie pioniere
spesso la roverella e il cerro. mediterranee originariamente insediati nelle
aree a terreno scadente della Lecceta stessa.
Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten- L’avviamento all’alto fusto o l’abbandono
denze dinamiche allo sviluppo naturale comporta una fase di
Gli effetti dell’azione antropica sui rapporti giovane bosco di alto fusto con il leccio come
fra sempreverdi e caducifoglie sono stati di- specie dominante e privo o quasi di sottobo-
scussi da tempo. L’attuale elevato grado di sco. Le altre specie torneranno alle loro nic-
biodiversità del “ forteto” della Lecceta di chie ecologiche originarie e il grado di bio-
transizione è spiegabile anche col fatto che il diversità potrà essere in parte recuperato solo
governo a ceduo a turno di 12-15 anni può quando la lecceta entrerà nella fase di rinno-
avere favorito l’ingresso di tutto l’insieme vazione e di decadenza.
(1)
Specie indicatrici
Quercus ilex Rhamnus alaternus
Q. pubescens Lonicera implexa
Fraxinus ornus Crataegus monogyna
Q. cerris (loc.) Ilex aquifolium (loc.)
Q. petraea (r) Cornus sanguinea (loc.)
Quercus suber (r) Asplenium onopteris
Q. robur (r) Tamus communis
Acer monspessulanum (loc.) Viola reichembachiana
A. campestre Oenanthe pimpinelloides
A. gr. opalus (loc.) Cyclamen repandum
Ostrya carpinifolia C. neapolitanum
Sorbus domestica Filipendula hexapetala
S. aria (loc.) Oryzopsis virescens
Populus alba (loc.) Ruscus aculeatus
P. tremula (loc.) Viola alba dehnhardtii
Fraxinus oxycarpa (loc.) Clematis vitalba
Phillyrea latifolia Trifolium ochroleucon
Paliurus spina-christi Hedera helix
Erica scoparia Brachypodium sylvaticum
E. arborea Asparagus acutifolius
Lonicera etrusca Rubia peregrina
Rosa sempervirens Carex flacca
Arbutus unedo Poa nemoralis (loc.)
Pyracantha coccinea Teucrium scorodonia (loc.)

Differenziali del sottotipo mesofilo


Carpinus betulus Mycelis muralis
Ilex aquifolium Scilla bifolia
Taxus baccata (r) Hepatica nobilis
Fagus sylvatica (r) Primula vulgaris
Corylus avellana Helleborus viridis
Fragaria vesca Arum maculatum (loc.)
Melica uniflora Sanicula europaea (r)

(1) Arrigoni 1996, (ined.), DE DEMINICIS (1973)


Selvicoltura L’avviamento all’alto fusto o l’abbandono
Come per la Lecceta tipica. Questo bosco di allo sviluppo naturale contemporaneamente
transizione, però, è molto più adatto al pa- su grandi superfici possono portare ad una
scolo. Il cerro è apprezzato per la maggiore riduzione della biodiversità sensibile anche
produttività come ceduo. nella fauna selvatica.


1.3. ORNO-LECCETA CON ROVERELLA
DELLE ZONE INTERNE

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Il barrato si riferisce al
periodo invernale

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Fustaie di leccio facenti parte di parchi di


logica ville: una variante che, a rigore, non è fore-
Chiazze di bosco sempreverde di varia statura stale ma che è molto interessante per il suo
e fertilità alternate nel prevalere dei boschi valore testimoniale
caducifogli. Il leccio è dominante, il contin-
gente di altre specie mediterranee è molto Localizzazione
ridotto; più frequenti possono piuttosto es- Alla base delle Apuane, Monte Pisano, Colli
sere la roverella, l’orniello e il carpino nero. alti lucchesi, pistoiesi e fiorentini, colli aretini
Corrisponde in parte a Viburno-Quercetum verso la Val di Chiana, Colli senesi, Monti
ilicis (Br. Bl., 1936) Riv. Martinez 1975 dell’Uccellina.
pubescentetosum Br. Bl. 1952 e a Fraxino
orni-Quercetum ilicis Horvatic (1956) Distribuzione altitudinale
1958. Fino a 400-500 metri.

Sottotipi e varianti Geomorfologia


Come avviene per le popolazioni di signifi- Pedemontana o collinare, più di frequente
cato relitto, anche in questo tipo esiste una dove la morfologia è un poco più contrastata.
grande variabilità. Una delle tante distinzioni
che sarebbero possibili è quella sulla base del Substrati
limite di alcune specie mediterranee diverse Rocce carbonatiche e argille: calcari, “ albe-
dal leccio mentre risulta più facile la distin- rese” , “ galestro” , ecc., argille scagliose, ar-
zione su base ecologica. gille del Pliocene, ecc.
Cespuglieti e cedui dei versanti collinari
ripidi Suoli
Leccete interne (talvolta anche ad alto fu- Superficiali, asciutti, subacido-neutri, poco
sto) di fondovalle e di esposizione om- evoluti, a granulometria varia a seconda del
breggiate tipo di roccia madre.


Clima rivano dall’avviamento all’alto fusto di un
Temperature medie annue: 10°-15°, medie ceduo.
del mese più freddo: 1°-3°, minimi assoluti:
fino a -15° (-20°) nei fondovalle. Precipita- Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
zioni medie annue: 900-1.500 mm; piogge denze dinamiche
medie estive: intorno a 120 millimetri. La questione se l’intervento antropico abbia
favorito la diffusione delle caducifoglie ov-
Interventi antropici più frequenti vero quella delle sempreverdi è materia con-
Sono popolamenti cedui alternanti a roverella troversa (DE PHILIPPIS, 1955). E’ chiaro che
che ne hanno sempre condiviso il taglio le temperature invernali (in queste aree piut-
al turno di 12 anni, poi di 14, oggi più tosto basse) e le piogge estive sufficientemen-
lungo. te alte possono favorire la caducifoglie. Però
Dove si esercitava il pascolo, il leccio era il leccio, in quanto specie sciafila, è in grado
lasciato volentieri come matricina. I popo- di insediarsi nei cedui di roverella tenuti a
lamenti che sono parchi di ville sovente de- turno più lungo.

(1)
Specie indicatrici

Quercus ilex Asparagus acutifolius


Q. PUBESCENS (freq.) Rubia peregrina
Q. suber (non freq.) Luzula forsteri
Q. cerris Hedera helix
FRAXINUS ORNUS (freq.) Ruscus aculeatus
Sorbus domestica Brachypodium sylvaticum
Ostrya carpinifolia (non freq.) B. rupestre
Acer monspessulanum (loc.) Inula conyza
Sorbus aria (loc.) Cephalanthera ensifolia
Crataegus monogyna Melittis melissophyllum
Ligustrum vulgare Poa nemoralis
Lonicera etrusca Tamus communis
L. implexa Viola reichembachiana
Pyracantha coccinea Oenanthe pimpinelloides
Coronilla emerus Asplenium onopteris
Juniperus communis Cyclamen repandum
Erica arborea Oryzopsis virescens
Arbutus unedo Helleborus bocconei
Rosa sempervirens Melica uniflora (loc.)
Cornus mas Carex flacca
Cytisus sessilifolius (loc.) C. hallerana
Cornus sanguinea (loc.) Teucrium scorodonia
Paliurus spina-christi (loc.) Phillyrea latifolia (loc.)
Smilax aspera

Selvicoltura atteggiamento conservativo per l’apporto di


Questi boschetti o plaghe intercalate ai boschi biodiversità e per la possibilità eventuale di
di roverella potrebbero meritare un minimo di fare espandere il leccio nei cedui di roverella.

(1) ARRIGONI (1996, ined.); DE DEMINICIS (1973), DE DEMINICIS e CASINI (1979)


1.4. LECCETA RUPICOLA RELITTA
SUBMONTANA E MONTANA

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Il barrato si riferisce al
periodo invernale

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Geomorfologia


logica Da accidentata a molto accidentata e rupestre.
Aggruppamenti rupestri di leccio cespu-
glioso o arborescente a quote relativamente Substrati
elevate, talvolta al confine con i boschi di Prevalentemente calcarei alle quote minori
faggio, più o meno impoveriti di specie ma anche rupi di arenaria.
sempreverdi e con specie legate ai querceti
caducifogli. Suoli
Molto superficiali. Anche in tasche nelle fes-
Sottotipi e varianti sure della roccia.
Esiste una certa variabilità sia dovuta al di-
verso substrato e all’ampia fascia altitudinale Clima
interessata sia al fatto che il leccio si trova in Microclimi caldi nell’ambito dei climi gene-
popolamenti marginali. rali che condizionano la prevalenza delle ca-
ducifoglie, cioè con temperatura media di
Localizzazione 10°-15° e temperatura del mese più freddo
Alpi Apuane, Lunigiana, Garfagnana, Appen- da -2° a +3°. Precipitazioni molto variabili,
nino pistoiese, alte colline calcaree pistoiesi. elevate soprattutto sulle Apuane (ARRIGONI
P.V., 1956): da 1.400 a oltre 2.100 mm annui.
Esposizione
Varie, ma per lo più a sud. Interventi antropici più frequenti
Governo a ceduo, in passato e solo in qualche
Distribuzione altitudinale caso.
Da 400 sino ad anche 900-1.000 (1.200)
metri. Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
denze dinamiche
Difficile da prevedere.


Specie indicatrici Selvicoltura
Non vengono elencate trattandosi di popola- Nessun intervento: evoluzione naturale. Bi-
menti distinti soprattutto su base fisionomica sognerebbe possibilmente tenere un atteggia-
e sottoposti a condizioni molto variabili per mento conservativo anche per i popolamenti
quota e substrato. più estesi, un tempo tenuti a ceduo.


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Importanza e caratterizzazione della macchia


L’Inventario Forestale Toscano ha classificato come Macchia mediterranea
68.704 ettari di “ macchia a portamento arboreo” , 41.728 ettari di “ macchia a por-
tamento arbustivo” e 4.240 ettari di “ gariga” . La presente categoria include preva-
lentemente le due ultime forme di vegetazione.
In Toscana le macchie e le garighe sono frequenti soltanto lungo le coste a
scoglio e soprattutto sui promontori e sulle isole. Nelle colline interne della Maremma,
invece, queste formazioni cespugliose sono molto meno appariscenti in quanto si
limitano a formare popolamenti inclusi nell’ambito dei forteti di lecceta oppure si
manifestano come vegetazione di sottobosco o di radura delle pinete.
Le macchie e i cespuglieti mediterranei vengono distinti secondo più criteri come:
l’origine, il livello di degradazione, il clima, la specie dominante e il ruolo ricoperto.
Le macchie primarie sono quelle che non derivano dalla azione antropica, ma
da difficili condizioni naturali difficili per lo sviluppo della vegetazione arborea. Fra
di esse emergono due Tipi che non coprono grandi superfici, ma che tuttavia hanno
una loro importanza paesaggistica e anche protettiva come i ginepreti dunali (v.
GINEPRETO DUNALE a Juniperus phoenicea e anche GINEPRETO DUNALE a
Juniperus macrocarpa e J. phoenicea) e come le macchie rupestri (v. MACCHIA
RUPESTRE a Olea europaea sylvestris ed Euphorbia dendroides).
Le macchie secondarie, assai più frequenti, sono quelle che derivano dall’azione
antropica. Il grado della degradazione può essere stimato in base alla composizione
che, per livelli crescenti, può comprendere: (1) ancora molto leccio; (2) la prevalenza
di alberelli sclerofillici; (p. es. filliree, corbezzolo, lentisco, mirto, alaterno (3) la
prevalenza di arbusti pionieri: erica arborea, ginepri, Spartium, Calicotome, raramente
Ulex, rosmarino, ecc.; (4) la prevalenza di cespugli e suffrutici pionieri come Cistus,
Rosmarinus, Lavandula sp.pl., Helichrysum sp.pl., Erica multiflora, ecc.
Fra le macchie secondarie, alcune sono macchie residuali dove il leccio e le
specie arbustive mediterranee sono sopravvissute agli incendi e al pascolo, altre
invece sono macchie di invasione che si sono costituite per ingresso progressivo
delle sempreverdi in campi o in oliveti abbandonati.


Il FENAROLI (1985) propone la seguente classificazione della vegetazione con
fisionomia di macchia mediterranea.
I popolamenti ancora ricchi di leccio e di fertilità tale da far prevedere prospettive
di sviluppo oltre 7 m di altezza, vengono classificate come Leccete (v.) anziché come
“ macchie” .
Le macchie in cui prevalgono ancora il leccio e gli alberelli sclerofillici con
potenzialità di 3-6 metri di altezza a maturità sono da considerarsi come “ macchie
alte” . Anche queste cenosi vengono descritte nelle Leccete.
Le macchie fra 1,5 e 3 m sono considerate “ macchie medie” e, spesso, vi
prevalgono le eriche o le “ ginestre” .
Sotto la potenzialità di un massimo di 1,5 m d’altezza si hanno “ macchie basse”
dove sovente dominano i cespugli pionieri.
Infine, le macchie che, oltre ad essere basse e ricche di suffrutici, sono interrotte
da frequenti pietraie o da chiazze di graminacee e suffrutici, costituiscono le “ garighe” .
Se si considera il clima, le macchie più diffuse in Toscana sono quelle “ me-
somediterranee” . Invece sono “ termomediterranee” certe macchie costiere, pre-
senti in Toscana nella Provincia di Grosseto e nelle Isole, dove il clima più caldo
evidenziato dall’oleastro, dall’erica multiflora (più frequente nelle pinete), dalla
palma nana, dal carrubo (talvolta), dall’euforbia arborea e dai ginepri fenicio e
coccolone.

Aspetti selvicolturali
Il modo più drastico di migliorare (soprattutto in senso economico) i terreni
coperti da macchie e da garighe consiste nel rimboschimento da eseguirsi essenzial-
mente con pini o con specie come gli eucalipti che, in Toscana sono coltivabili solo
nelle pianure costiere.
Il rimboschimento nelle aree mediterranee comporta la rimozione della vegeta-
zione arbustiva (che farebbe troppa concorrenza alle piantine introdotte) e il miglio-
ramento della capacità idrica del terreno tramite la lavorazione profonda e, nei terreni
che non siano argillosi, mediante l’apertura di ripiani lungo le curve di livello. Sistemi
di impatto paesaggistico più moderato (come la piantagione inserita fra la vegetazione
spontanea indisturbata) sono possibili in casi molto rari come terreni sabbiosi molto
filtranti e dove la vegetazione spontanea sia dominata dai ginepri.
Nella maggioranza dei casi il modo di ridurre gli effetti negativi del rimboschi-
mento va ricercato nella disposizione dei lavori sul terreno e nella scelta delle specie.
Il sistema oggi più seguito è quello di lasciare fasce di vegetazione e di terreno
indisturbato alternate alle fasce lavorate e rimboschite. In molti casi si può anche
proporre il rimboschimento parziale condotto soltanto nelle posizioni più favorevoli
all’attecchimento delle piantine e lasciando a sé stessi i dossi di gariga più arida.
E’ certo che i pini mediterranei (e soprattutto il pino d’Aleppo) attecchiscono
bene anche su terreni molto aridi e molto poveri. Non è vero che i pini siano così


inutili nei riguardi di un’ulteriore evoluzione come è stato affermato; anzi, la pineta
(con l’azione pacciamante della lettiera e tramite la frequentazione degli uccelli, che
sono sempre attivi disseminatori), può facilitare molto il reinsediamento degli alberelli
sclerofillici. Dunque, nel contesto di un rimboschimento, alcune plaghe di pineta,
piantate dove non se n’è potuto fare a meno, hanno un loro significato.
Il rimboschimento con le querce mediterranee e con gli alberelli sclerofillici ha
indubbi vantaggi una volta ottenuto il popolamento, ma necessita di cautele al mo-
mento dell’impianto. Prima di tutto sono da evitare le zone con terreno troppo su-
perficiale o troppo arido; per gli alberelli sclerofillici, poi, è quasi obbligatorio l’im-
piego di piantine allevate in contenitore perché (escluso il corbezzolo) si tratta di
specie che tollerano poco gli strappi alle radici.
La ricostituzione artificiale del forteto imporrebbe delle elevate densità di pian-
tagione e dei conseguenti costi proibitivi. Piuttosto che mettere singole piantine rade
forse è meglio studiare la possibilità di piantare un centinaio di gruppi densi per
ettaro composti da 20 piantine collocate alla distanza di 1x1 o di 0,8x0,8 m. E’
sempre bene che ogni gruppo sia costituito da piantine tutte della stessa specie.
I ginepreti delle dune costiere hanno subito gravi riduzioni di estensione a causa
delle urbanizzazioni (che ci si augura siano oramai terminate) e a causa dell’erosione
marina che costituisce ancora un grave pericolo.
Ulteriori danni derivano dall’aerosol marino inquinato e anche dalla frequenta-
zione dei bagnanti nelle spiagge libere.
Una perfetta ricostituzione dei Ginepreti dunali a Juniperus macrocarpa e J.
phoenicea è impedita dalle difficoltà che si incontrano nell’allevamento dei ginepri
in vivaio e dalla lentezza dell’accrescimento giovanile di queste specie.
L’introduzione del lentisco, delle filliree e di altre specie che (come si vedrà)
sono componenti complementari dei Ginepreti dunali, non è mai stata tentata. In
compenso la ricostituzione totale o parziale della vegetazione verso il mare si presenta
quasi sempre come un problema da risolvere in modo urgente.
Le soluzioni più recenti per gli interventi sulle dune si basano molto sull’uso di
graminacee (Ammophila arenaria, Agropyron junceum, o anche Phragmites australis
ed Erianthus ravennae (se l’umidità e sufficiente) e di arbusti che attecchiscono per
talea come le tamerici e l’olivello di Boemia, quest’ultimo da usare con cautela in
zone d’interesse naturalistico trattandosi di specie esotica.


2.1. MACCHIA MEDIA MESOMEDITERRANEA

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Il barrato si riferisce al
periodo invernale

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Questo Tipo comprende soprattutto l’asso-


logica ciazione Erico arboreae-Arbutetum unedi
Questo tipo raggruppa popolamenti che an- Allier e Lacoste 1980 nelle sottoassociazioni
che dopo 30-40 anni dall’ultimo taglio (o in- quercetosum ilicis, phillyretosum mediae e
cendio) non superano i 3 metri di altezza. cistetosum (zone più degradate). Può com-
La fisionomia è quella di un ceduo o di un prendere anche gli stadi più degradati del Vi-
arbusteto molto denso ed intricato composto burno tini-Quercetum ilicis ericetosum Mo-
da eventuale leccio con molti arbusti-alberelli linier 1937 che sfuma nella prima unità ri-
sclerofillici (corbezzolo, filliree, e, nelle zone cordata. Un’altra forma di macchia medio-
più calde, lentisco e mirto), con arbusti pionieri bassa è il Calicotomo-Myrtetum Guinochet
(eriche, leguminose di tipo “ ginestra” ). Possi- 1944 che corrisponde all’ultimo sottotipo
bili alcuni elementi del bosco di caducifoglie, elencato più avanti.
come per esempio, l’orniello. I sottotipi di mi-
nore degradazione possono essere confusi con Sottotipi e varianti
fasi di ceduo giovane (“ forteto” ) delle leccete. Sono possibili più sottotipi e varianti da de-
Come base per la distinzione si prende una con- finirsi secondo la specie dominante. Fra que-
dizione di sviluppo inferiore a quella prevista sti i più caratterizzati sono i seguenti.
nella III classe di fertilità stabilita da HERMANIN
& POLLINI per le leccete. Sotto tale classe, in- Macchia a leccio e corbezzolo prevalenti
fatti, le piante di leccio non raggiungono l’al- (corrisponde a minori condizioni di degra-
tezza di 6 m neanche a 45 anni di età e, per- dazione)
tanto, non sono in grado di prendere la do- Macchia a erica arborea e corbezzolo pre-
minanza sugli altri arbusti. valenti (con leccio) (di suoli aridi in tratti
Il Tipo, con i suoi sottotipi, può manifestarsi moderatamente degradati o percorsi da in-
anche come sottobosco di Pinete di pino do- cendio)
mestico, di Pinete di pino d’Aleppo e, in par- Macchia a erica arborea prevalente con
te, di Pinete di pino marittimo. poco leccio e corbezzolo (è un sottotipo


di transizione alle garighe, proprio di suoli Interventi antropici più frequenti
silicatici piuttosto degradati) Un parte dei popolamenti di questo tipo è sta-
Macchia a erica e cisti dominanti (propria ta, in passato, tagliata a ceduo.
di pendici e radure su cui gli incendi hanno Dove sono stati fatti rimboschimenti con pini
particolarmente influito) piantati densi, la macchia da prima è scom-
Macchia a calicotome (con leccio) parsa a causa dell’ombra bassa dei giovani
pini, poi si è reinsediata manifestandosi come
Localizzazione sottobosco o come vegetazione di radura del-
Può essere qualificante del paesaggio lungo le pinete adulte.
le coste rocciose, sui promontori, al M. Pelato Nelle macchie con erica arborea (dopo il 1880
di Castiglioncello e nell’isola d’Elba. Nelle circa, epoca dell’entrata di moda delle pipe
colline della Maremma e all’Uccellina si ma- di radica) è stata praticata anche l’estrazione
nifesta per lo più in inclusi più o meno ampi del ciocco da pipe.
nei forteti attribuiti alle leccete. L’abbondanza numerica del corbezzolo è do-
vuta anche alla moltiplicazione per polloni
Esposizioni radicali che i boscaioli stimolavano tramite
Varie, ma per lo più verso sud. la pratica della “ scosciatura della ceppaia”
esplicitamente consentita dalle Prescrizioni
Distribuzione altitudinale di Massima e di Polizia Forestale. L’incendio
Da 0 a 300 m o poco più. ripetuto, invece, comporterebbe la regressio-
ne del corbezzolo e l’affermazione della do-
Geomorfologia minanza dell’erica arborea (NAVEH, 1974).
Varia; i sottotipi di maggiore degradazione Le macchie a sclerofille corrispondono a pun-
sono localizzati su pendici ripide. ti di concentrazione della selvaggina.

Substrati Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-


Prevalentemente silicatici. denze dinamiche
Questi arbusteti non hanno la possibilità di
Suoli svilupparsi subito in Lecceta per semplice in-
Da poco profondi a molto superficiali, più o vecchiamento perché il leccio spesso non è
meno erosi, asciutti, sassosi. presente con la dovuta densità e perché la
fertilità modesta fa perdere alla specie gran
Clima parte del suo potere di concorrenza. L’evo-
Nelle stazioni prevalentemente costiere in cui luzione alla Lecceta pertanto sarà molto più
si trova il Tipo: temperatura media annua fra lenta e legata al miglioramento del suolo e al
15° e 17°; media del mese più freddo fra 6° contestuale ingresso della specie costruttrice
e 9°; minime assolute di -7°, -10°. Precipita- o di altre specie sclerofilliche.
zioni medie annue mm 750-1000, estive tra
60 e 100 mm.


Specie indicatrici

Erica arborea (domin.) Lavandula stoechas


Arbutus unedo (domin.) Pulicaria odora
Quercus ilex (non ovunque) Helichrysum italicum (z. degr.)
Pistacia lentiscus H. stoechas (z. degr.)
Phillyrea angustifolia Rubia peregrina
Myrtus communis Asparagus acutifolius
Cistus monspeliensis (z. degr.) * Calicotome spinosa
C. salvifolius (z. degr.) * Daphne gnidium
C. incanus (z. degr.) Thymus vulgaris (z. degr.)
Smilax aspera * Cneorum tricoccum (loc.)

* Differenziali della macchia a Calicotome spinosa di aree più degradate dove più spesso sono assenti anche il leccio,
l’erica e il corbezzolo. Questo tipo è di passaggio alla MACCHIA BASSA MESOMEDITERRANEA.

Selvicoltura delle piantine introdotte). La specie che può


I sottotipi e le varianti con prevalenza di lec- essere introdotta senza limitazioni è il pino
cio, corbezzolo, filliree, lentisco e mirto co- d’Aleppo (che porta ombra, effetto della
stituiscono un prezioso elemento di biodiver- lettiera e che darebbe ricetto agli uccelli
sità. Al contrario, le macchie dominate dalle facilitando la loro azione di disseminatori),
eriche e dai cisti sono molto monotone e of- ma che dà anche luogo a popolamenti gra-
frono poco nutrimento alla fauna selvatica. vemente soggetti a incendi ripetuti. Il leccio
Il rimboschimento implicherebbe la rimozio- e gli alberelli sclerofillici possono essere
ne della vegetazione esistente (perché essa introdotti limitatamente alle stazioni mi-
esercita una forte concorrenza nei confronti gliori.


2.2. MACCHIA BASSA MESOMEDITERRANEA

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Il barrato si riferisce al
periodo invernale

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Fra le suddivisioni subordinate, in base alle


logica specie, sono più diffusi i Sottotipi:
Cespuglieto da degradazione alto fino a m a sclerofille (per lo più: mirto, lentisco e
1,5, o poco oltre, passante a gariga, conte- fillirea angustifoglia)
nente ancora sclerofille (lentisco, mirto, fil- a erica arborea
liree, corbezzolo) con erica arborea e con pre- a ginestrone, erica arborea ed erica scopa-
senza qualificante di arbusti del genere Ci- ria (solo a nord)
stus, di leguminose (Calicotome, Spartium, a erica scoparia
Ulex - a nord-) e di suffrutici aromatici: la- a mirto e calicotome
vande, rosmarino, timo volgare, ecc. a cisti e Lavandula stoechas (di forte de-
La Macchia bassa e la gariga possono appa- gradazione)
rire anche come sottobosco di Pinete di pino a rosmarino e timo volgare (gariga di estre-
d’Aleppo, di pino domestico e di pino ma- ma degradazione)
rittimo.
Appartiene all’Erico arboreae-Arbutetum Localizzazione
unedi Allier e Lacoste 1980 cistetosum e, nel- Per lo più lungo le coste: propaggini del M.
le zone più degradate, al Calicotomo-Myrte- Pisano, colli di Montenero (Livorno), pro-
tum Guinochet 1944. montorio di Piombino, M. dell’Uccellina, Ar-
gentario, tutte le isole dell’Arcipelago.
Sottotipi e varianti
Questo Tipo, peraltro molto comprensivo, Esposizione
può avere distinzioni secondo la densità degli Varia; spesso verso ovest e verso sud.
arbusti e secondo la specie dominante.
Quando gli arbusti sono radi (con una coper- Distribuzione altitudinale
tura minore del 75%) ed appaiono più o meno 0-200 (300) metri. All’Isola di Capraia
dispersi fra rocce o prateria secca in estate (MONTELUCCI, 1976) e Montecristo (PAOLI,
non si parla più di macchia ma di “ gariga” . 1976) fin oltre 400 metri.


Germorfologia sa) o non appetiti dagli animali (come tutti
Varia, spesso dirupata. gli arbusti aromatici) possono facilitare un
certo miglioramento perché difendono dal
Substrati pascolo le piantine di leccio, di sughera e
Vari, comprese rocce effusive. degli alberelli sclerofillici insediate nelle loro
vicinanze.
Suoli
Molto superficiali e sassosi, erosi e comun- Specie indicatrici
que poveri di sostanza organica, aridi. V. MACCHIA MEDIA MESOMEDITER-
RANEA (con l’eccezione del leccio qui pra-
Clima ticamente assente).
Temperatura media annua 15°-17°; tempera-
tura media del mese più freddo 6°-10°. Piog- Selvicoltura
ge annue medie (450) 600-800 mm, estive L’alternativa del rimboschimento è da valu-
60-100 millimetri. tarsi secondo le circostanze ricordando che,
sui terreni e nei climi in cui si manifestano
Interventi antropici più frequenti le Macchie basse mediterranee e le garighe,
Incendio sistematicamente ripetuto per il pa- il gradonamento è sempre indispensabile a
scolo. Rimboschimento con pini, poi più o meno che non si tratti di suoli argillosi dove,
meno fallito per incendi. Rimboschimento comunque, si pratica l’aratura profonda a rit-
con leccio con attecchimento non pienamente tochino (cioè perpendicolarmente alle curve
soddisfacente. di livello).
Il rimboschimento con pini (fra cui da rac-
Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten- comandarsi soprattutto il pino d’Aleppo) può
denze dinamiche facilitare l’evoluzione tramite l’ombra, l’ef-
Forte stadio di degradazione antropica della fetto pacciamante della lettiera e la frequenta-
lecceta nell’ambito di un clima che non ne zione di uccelli sono sempre preziosi per la
facilita la ricostituzione naturale. disseminazione delle sclerofille mediterranee.
Alcune specie (come le eriche e soprattutto i Il rimboschimento (o il cespugliamento) con
cisti) tendono ad impedire l’insediamento di sclerofille o con altre specie mediterranee è
altre specie che potrebbero avviare una suc- consigliabile per gruppi densissimi distribuiti
cessione. I cisti, infatti, sono fortissimi tra- nei tratti meno scadenti. Il decespugliamento
spiratori di acqua e, in tal modo, esercitano precedente il rimboschimento è sempre indi-
una concorrenza radicale proibitiva verso spensabile; pertanto i gruppi dovranno essere
qualsiasi altro insediamento naturale o artificiale. collocati su spezzoni di gradoni o ampie piaz-
Le eriche e Cistus monspeliensis tendono a zole lavorate. Sono raccomandabili le specie
determinare un loro equilibrio col fuoco per- che sono miglioratici del suolo, meno infiam-
ché sono molto infiammabili e, dopo l’incen- mabili e poco appetite dagli animali selvatici
dio, sono capaci di rinnovarsi in massa. e domestici come, per esempio sono: lentisco,
Gli arbusti spinosi (come Calicotome spino- mirto e rosmarino.


2.3. MACCHIA TERMOMEDITERRANEA

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Il barrato si riferisce al
periodo invernale

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- inferiore al 75% e quando appare la fisiono-


logica mia ad arbusti sparsi in una prateria steppica
Cespuglieti alti da 1,5 m fino a 6 m. Trattasi, e/o in una pietraia, si hanno popolamenti di
pertanto di forme di macchia bassa e di mac- “ gariga” dove può campeggiare la grande
chia medio-alta molto intersecate a mosaico graminacea Ampelodesmos mauritanicus nei
fra di loro; la densità non è necessariamente tratti a suolo roccioso o superficiale.
sempre colma. Volendo, si potrebbero stabilire vari Sottotipi
Nella composizione il leccio è raro; tendono secondo la specie prevalente oppure secon-
a dominare gli alberelli sclerofillici maggior- do il valore naturalistico che si attribuisce
mente termofili (lentisco, alaterno e mirto); a una specie presente ancorché non domi-
appaiono poi entità più specializzate come nante: per esempio la palma nana oppure
l’oleastro, la palma nana, l’erica multiflora e l’euforbia arborea.
l’euforbia arborea. Presente talvolta anche il
carrubo, probabilmente non sempre sponta- Localizzazione
neo, ma naturalizzato. Sui promontori (come sull’Argentario) e nel-
L’ambiente agricolo circostante è contrasse- le Isole. Anche su coste rocciose a sud di
gnato dalla frequenza del fico d’India insel- Grosseto (M. dell’Uccellina).
vatichito.
Ricade nell’ord. Pistacio-Rhamnetalia ala- Esposizione
terni Riv. Martinez 1975 all’Oleo-Cerato- Per lo più ovest e sud.
nion (Br. Bl. 1936) Molin. 1955 e, a seconda
dei casi, alle associazioni Myrto-Lentiscetum Distribuzione altitudinale
(R. Molin. 1954) Riv. Martinez 1975 e Oleo- 0-100 metri.
Euphorbietum dendroidis Trinajstic 1973.
Geomorfologia
Sottotipi e varianti Sovente scoscesa.
Anche in questo caso, quando la copertura è


Clima condurrebbe verosimilmente ad una macchia
Temperatura media annua: 16°-19°; tempe- media costituita da una mescolanza di olea-
ratura media del mese più freddo: 8°-10°; stro, lentisco, alaterno, ecc., con leccio su-
piogge annue (450) 600-750 mm, medie esti- bordinato.
ve: 50-70 mm. Il lentisco può arrivare anche a discrete di-
mensioni. Di norma, però, questo Tipo si ma-
Interventi antropici più frequenti nifesta in ambienti pedoclimatici a lentissima
Incendio ripetuto, pascolo. evoluzione.
Le forme di degradazione sono quelle che
Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten- portano alla vegetazione del Rosmarino-Eri-
denze dinamiche cion Br. Bl.
L’evoluzione teorica, compatibile col clima,

Specie indicatrici
Pistacia lentiscus Rosmarinus officinalis
Myrtus communis Arisarum vulgare
Olea europaea sylvestris (loc.) Teucrium fruticans
Ceratonia siliqua (loc.) T. FLAVUM
Chamaerops humilis (loc.) (1) Sedum sediforme
Euphorbia dendroides (loc.) Brachypodium ramosum
Cistus monspeliensis Coronilla valentina
Erica multiflora Ampelodesmos tenax (loc.)

Selvicoltura le acque meteoriche direttamente sul mare


Di solito la Macchia termomediterranea in senza dar luogo a pericoli di alluvioni. Per
Toscana non dà luogo a problemi selvicoltu- eventuali piantagioni, comunque, valgono le
rali, prima di tutto perché copre una superficie stesse considerazioni fatte per la Macchia me-
piuttosto scarsa e poi perché non c’è motivo somediterranea salvo maggiori limitazioni
di rimboschire dei terreni che fanno giungere nella scelta delle specie.


2.4. MACCHIA RUPESTRE A OLEA EUROPAEA
SYLVESTRIS ED EUPHORBIA DENDROIDES

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Geomorfologia


logica Dirupata, rocciosa sino a rupestre.
Boscaglia bassa termomediterranea propria
di stazioni costiere rocciose contraddistinta Substrati
visivamente dai suggestivi effetti stagionali Carbonatici e anche di altro tipo.
di colore prodotti da Euphorbia dendroides,
particolarmente dominante sui suoli più su- Suoli
perficiali. Presenza anche di oleastro (non Molto superficiali, aridi, sassoso-rocciosi (li-
ovunque), lentisco, mirto, ginepro fenicio e tosuoli), in certi casi basici e ricchi di calcare
rosmarino. libero.
Rientra nell’associazione Oleo-Euphorbie-
tum dendroidis Trinajstic 1973. Clima
Microclima particolarmente caldo (per la pre-
Sottotipi e varianti senza della roccia) nell’ambito dei climi che
Sono possibili distinzioni sulla base delle condizionano la vegetazione termomediter-
specie che accompagnano l’euforbia. ranea: temperatura media annua verosimil-
mente attorno a 18°-19°. Temperatura media
Localizzazione del mese più freddo intorno a 10°; minime
Coste dei Monti dell’Uccellina, Arcipelago assolute di -5°.
toscano (in particolare a Giannutri-ARRIGONI Precipitazioni medie annue 400-700 mm, di
e DI TOMMASO, 1981). cui estive 50-70 millimetri.

Esposizioni Interventi antropici più frequenti


Meridionali e riparate dalla roccia. Probabilmente si tratta di una forma di mac-
chia pioniera a carattere primario che poi si
Distribuzione altitudinale è estesa, favorita dagli interventi dell’uomo.
Al massimo 100 m o poco più.


Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten- Selvicoltura
denze dinamiche Protezione paesaggistica.
Cenosi stabile salvo possibilità di degrada- Nessun intervento.
zione verso gariga.

Specie indicatrici

Olea europaea var. sylvestris CORONILLA VALENTINA


EUPHORBIA DENDROIDES PRASIUM MAJUS
Pistacia lentiscus Rosmarinus officinalis
Myrtus communis Sedum sediforme
Juniperus phoenicea Senecio cineraria
Ceratonia siliqua (loc.) Helichrysum litoreum
Chamaerops humilis (loc.) Ampelodesmos tenax
ANTHYLLIS BARBA-JOVIS (loc.)


2.5. GINEPRETO DUNALE A JUNIPERUS MA-
CROCARPA E J. PHOENICEA

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Il barrato si riferisce al
periodo invernale

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- La struttura dei ginepreti dunali è costituita


logica da tre componenti vegetazionali essenziali,
Questi interessanti popolamenti si trovano lun- più un quarto componente occasionale.
go le coste a spiaggia dove occupano la cresta 1. I pulvini di sclerofille: cuscinetti prostrati
della cordonata di dune immediatamente espo- sagomati dal vento e dall’azione smeriglia-
sta al mare. In particolare essi si collocano trice della sabbia, alti 30-100 cm, costituiti
fra la vegetazione rada di psammofite e di da lentisco, filliree, alaterno, mirto, smilace,
alofite vicina alla battigia e la vegetazione ecc. sovente con più specie in ciascun cusci-
retrostante che può essere di pineta di pino netto. Fra i pulvini si aprono corridoi più o
domestico o di lecceta. La larghezza del gine- meno ampi di sabbia nuda.
preto varia da 5 a 10 metri secondo le circo- 2. Le alofite e le psammofite erbacee che
stanze; raramente arriva a 30 metri. penetrano a rinfoltire i corridoi sabbiosi fra
Nel nord della regione la macchia dunale non cuscinetto e cuscinetto.
esiste quasi più. In Versilia è stata rimossa 3. Juniperus oxycedrus ssp. macrocarpa e J.
per far posto agli stabilimenti balneari e alla phoenicea (assente a nord di Livorno) che
strada costiera. Da Migliarino a Livorno, in- emergono sopra i pulvini con piante erette (o,
vece, il Ginepreto è stato molto distrutto an- il primo, anche prostrate), più o meno folte.
che per l’azione congiunta dell’aerosol ma- 4. Eventualmente, e non raramente, si trova
rino inquinato e dell’erosione costiera. il pino domestico, presente con piante ancora
La distribuzione attuale dei Ginepreti costieri vitali ancorché con fusti sdraiati a terra e cu-
si svolge quasi tutta a sud di Cecina in modo riosamente contorti.
molto interrotto. La lunghezza complessiva
delle coste su duna contenenti Ginepreti è In Toscana sono state riconosciute le seguenti
stimabile in 50 km. Il tratto più caratterizzato, associazioni: Pistacio lentisci-Juniperetum
è probabilmente, quello che va da Marina di macrocarpae Caneva, De Marco e Mossa
Donoratico a tutto il Parco di Rimigliano a (1981), Junipero macrocarpae-Juniperetum
S. Vincenzo. phoeniceae Pedrotti e Cortini 1982 e Philly-


reo angustifoliae-Juniperetum phoeniceae apportata dal mare e dalla poca vegetazione; ph
Arrigoni, Nardi, Raffaelli 1985, la cenosi più anche basico e possibile presenza di calcare.
evoluta (qui è raro Juniperus macrocarpa).
Clima
Sottotipi e varianti Temperatura media annua da 15° a 17°, del
Dal punto di vista pratico queste boscaglie mese più freddo 6°-10°. Piogge annue 600-
sono da distinguersi soprattutto: per la diversa 800 mm, estive 60-100 millimetri.
proporzione dei ginepri rispetto alle altre spe- E’ probabile che l’estrema vicinanza al mare
cie che compongono i cuscinetti, per le specie e alla spiaggia, combinata col riparo dai venti
di ginepro (coccolone e/o fenicio), per la pre- settentrionali, condizioni un microclima par-
senza dei pini e, soprattutto, per lo stato di ticolarmente caldo. Da non trascurare gli ef-
conservazione nei confronti dell’azione fetti del vento di libeccio, dell’aerosol ma-
dell’aerosol inquinato o dell’erosione marina rino ancorché non inquinato, dell’azione
delle coste. smerigliatrice della sabbia e delle mareggiate
La presenza di tamerici è un indizio di inter- eccezionali.
venti di ricostituzione artificiale
Interventi antropici più frequenti
Localizzazione Escludendo le azioni distruttive maggiori, più
Coste da Cecina a Marina di Bibbona, da Ma- volte accennate, la macchia su dune è sempre
rina di Donoratico a S. Vincenzo e da S. Vin- soggetta a stradellamenti per l’accesso dei ba-
cenzo a La Torraccia, fra Pian d’Alma e Punta gnanti alle spiagge. I ricuperi consistono in
Ala, da Castiglione della Pescaia a Alberese, ripari di siepe morta, ottenuta con pali di ca-
Duna Feniglia, da Ansedonia al Chiarone. stagno e fascine di erica, oppure in pianta-
gioni di erbe psammofite. Fra le specie le-
Esposizione gnose sono preferite quelle che attecchiscono
Per lo più sulle creste delle dune direttamente per talea come i tamerici e l’olivello di Boemia.
esposte al mare.
Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
Distribuzione altitudinale denze dinamiche
Dalla battigia (livello di massima tempesta) Si tratta di una forma di macchia primaria
fino alla sommità di dune alte al massimo che, in natura, sta in equilibrio fintanto che
7-10 metri. non avvengono mutamenti nella costa per
erosione.
Geomorfologia L’attuale pericolo sta nel fatto che l’uso uma-
Costa pianeggiante con spiaggia alle cui spal- no ha irrigidito tutto il sistema e, pertanto, ad
le si sia formata una duna di altezza più o un ritiro della costa non consegue più l’arre-
meno costante localmente chiamata “ cordo- tramento di pari passo del sistema delle dune,
nata” . Restano escluse le coste rocciose e ma semplicemente la loro scomparsa, mentre
quelle lagunari. il mare va a lambire direttamente manufatti,
strade, ecc. che l’uomo difende costruendo
Substrati scogliere e altre difese artificiali.
Sabbie di varia natura: silicatiche o anche In condizioni di stabilità della costa, i pulvini
carbonatiche (p. es. Duna Feniglia). di sclerofille sono l’elemento che contribui-
Suoli sce di più alla resistenza contro l’ablazione
Poco evoluti: sabbia con sostanza organica della sabbia ad opera del vento. Il ginepro


coccolone ha una azione efficacissima di con- gianti sotto i quali i pulvini spariscono per
solidamento per il modo con cui i suoi rami troppa ombra con la conseguente apertura di
prostrati si adagiano sulla sabbia. Il ginepro corridoi tramite i quali il vento destabilizza
fenicio, forse, è meno efficace perché si svi- il sistema.
luppa a formare boschetti piuttosto ombreg-

Specie indicatrici

Juniperus macrocarpa Rubia peregina


J. phoenicea Asparagus acutifolius
Pistacia lentiscus Ruscus aculeatus
Phillyrea angustifolia Silene italica
Rhamnus alaternus Medicago marina
Smilax aspera Pancratium maritimum
Daphne gnidium Crucianella maritima
D. sericea (loc.) Prasium majus
Myrtus communis Helychrysum italicum
Lonicera implexa Crepis bulbosa
Clematis flammula Anthemis maritima
Rosmarinus officinalis (z. degr.) Carex flacca

Selvicoltura sclerofille che dovrebbero essere disposte a


La riparazione degli “ strappi” maggiori fino gruppi molto densi.
ad ora è stata fatta ricorrendo alle tamerici o La protezione della cordonata si fa con siepi
all’olivello di Boemia; talvolta con il mesem- morte a fronte dei sentieri di accesso dei ba-
briantemo (Carpobrotus acinaciforme) o con gnanti. Meglio se si riesce ad orientare questi
il pittosporo (Pittosporum tobira). Restano sentieri in modo obliquo.
interessanti tutti i tentativi possibili con le


2.6. GINEPRETO RUPESTRE A
JUNIPERUS PHOENICEA (1)

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Il barrato si riferisce al
periodo invernale

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Distribuzione altitudinale


logica Sino a poche decine di metri sul livello del
Boscaglia termofila ed eliofila densa di Ju- mare.
niperus phoenicea di zone rocciose litoranee;
priva di interesse produttivo, è viceversa mol- Geomorfologia
to interessante sotto il profilo naturalistico. Versanti ripidi con affioramenti rocciosi.
E’ la forma più evoluta della vegetazione ter-
momediterranea (Boscaglie e macchie ter- Substrati
moxerofile dell’ord. Pistacio-Rhamnetalia Calcarei.
alaterni Riv. -Martinez 1975. Appartiene
all’ass. Teucrio-Juniperetum phoeniceae Ar- Suoli
rigoni, Nardi, Raffaelli 1985, pertinente Molto superficiali e sassosi, aridi, poveri di
all’all. Juniperion liciae Martinez 1975. sostanza organica, neutro-basici, con presen-
za di calcare libero.
Sottotipi e varianti
Non ne sono stati distinti. Clima
Temperatura media annua circa 18°; tempe-
Localizzazione ratura del mese più freddo intorno a 10°; mi-
Coste dei Monti dell’Uccellina, Punta Ala, nime assolute -5°. Precipitazioni annue 400
Giannutri (ARRIGONI e DI TOMMASO, 1981), mm (Pianosa) - (Portoferraio) 600 mm, di cui
Elba (con leccio arbustivo). estive 60-100 millimetri.

Esposizioni Interventi antropici più frequenti


Tutte. Incendi.

(1) ARRIGONI (1996, ined.)


Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten- Selvicoltura
denze dinamiche Nessun intervento: evoluzione naturale.
Cenosi piuttosto stabile, in equilibrio con
l’ambiente, con possibilità di degrada-
zione verso la gariga.

Specie indicatrici

Juniperus phoenicea (cop. media 76%) Sedum sediforme


Olea europaea sylvestris Carex hallerana
Quercus ilex (arbust., Elba) Hypochoeris achyrophorus
Pistacia lentiscus Allium subhirsutum
Cistus monspeliensis Brachypodium plukenetii
TEUCRIUM FRUTICANS Geranium purpureum
Prasium majus Aetheorhiza bulbosa
Arisarum vulgare
Euphorbia peploides


2.7. BOSCAGLIA DI CONSOLIDAMENTO
DUNALE A TAMERICI

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Il barrato si riferisce al
periodo invernale

Caratterizzazione fisionomica e fitoso- Geomorfologia


ciologica Dune, talvolta ricostruite artificialmente dopo
Popolazioni di Tamarix gallica e/o di T. afri- l’erosione marina o altri danni.
cana, eventualmente miste all’esotico Elea-
gnus angustifolia, varie graminacee e anche Substrati
(negli interduna umidi) Phragmites australis Sabbie dunali incoerenti.
ed Erianthus ravennae.
Possibili presenze di fico d’India, mesem- Terreni
briantemo e pittosporo. Poco evoluti, paludosi negli interduna o al-
Sono comunità derivanti da impianto artifi- meno con falda idrica utilizzabile, spesso
ciale e che, pertanto, non sono classificabili salmastra.
fitosociologicamente.
Clima
Sottotipi e varianti Come per i Ginepreti.
Possibili distinzioni secondo la composizione
di specie. Interventi antropici più frequenti
Sono rimboschimenti e cespugliamenti in
Localizzazione cui, per ottenere un consolidamento più
Su coste di duna in più località. La realizza- rapido possibile, si è ricorsi a specie di
zione recente pi estesa si trova a S. Rossore. facile propagazione vegetativa e di rapido
sviluppo iniziale. Conseguono alla distru-
Esposizioni zione della vegetazione originaria provoca-
Verso il mare. ta da aerosol marino inquinato o dall’ero-
sione costiera.
Distribuzione altitudinale
Vicina al livello del mare.


Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten- Selvicoltura
denze dinamiche Auspicabili interventi di consolidamento del-
L’evoluzione verso il Ginepreto dunale è au- la comunità vegetale (dopo il consolidamento
spicabile, ma difficilmente prevedibile. della duna). Piantagioni a gruppi di sclerofille
e di ginepro coccolone.
Specie indicatrici
Non vengono elencate trattandosi di cenosi
non spontanea .



 68*+(5(7(

Importanza e caratterizzazione
In Toscana la quercia da sughero si concentra lungo le coste a sud dell’Arno e,
soprattutto, nella Provincia di Grosseto. Piante sparse sporadiche si possono incon-
trare anche nelle colline interne nel contesto di pinete di pino marittimo (1). Un tempo
la sughera, a giudicare dai tiponimi, doveva trovarsi sin nella zona di Firenze.
La superficie delle sugherete viene valutata in modo molto diverso secondo gli
Autori e i criteri seguiti per distinguere questo bosco: da 11.000 ettari (PALMA, 1986)
fino a 1.500 (ISTAT). I dati provvisori dell’Inventario Forestale Toscano riportano
un valore intermedio: 3.184 ettari (MERENDI, 1996). Nei dati definitivi, le sugherete
non compaiono. Queste incertezze si spiegano con i peculiari modi di coltura delle
sugherete in Toscana.
La sughereta pura di alto fusto (caratteristica del paesaggio sardo) in Toscana
è piuttosto rara. Prevale, invece, il bosco ceduo mediterraneo misto dove le altre
specie (leccio, ecc.) sono tagliate regolarmente per legna da ardere mentre le piante
di sughera vengono riservate e destinate alla decortica. Le sughere riservate possono
anche arrivare ad età e dimensioni tali da impartire al bosco la fisionomia di ceduo
composto, ma spesso le sughere sono di giovane età e anche costituite da ceppaie
con più polloni. La sughera viene coltivata, anche a filari o a piante sparse nei campi.
La raccolta del sughero in Toscana oscilla attorno alla media annua di 10.000
quintali con tendenza all’aumento.

Aspetti selvicolturali
Secondo la legislazione nazionale vigente le decortiche devono succedersi al
ciclo minimo di 9 anni. Le operazioni di raccolta sono ammesse da marzo alla fine
di agosto. Una pianta può essere sottoposta alla prima decortica solo se ha raggiunto

(1) Secondo BOTTACCI (1992), che ha raccolto anche dati di altri AA., queste stazioni (m 250-400 circa) si situano
in Valdarno e Chianti (Figline, M. del Chianti, Greve) e in zone circostanti alla Val di Chiana (Cortona, Monte S.
Savino). Nella zona di Figline questi relitti s’inquadrano probabilmente in una forma degradata di Roso
sempervirentis-Quercetum pubescentis Biondi 1986.


la circonferenza a petto d’uomo di 60 cm. La parte del fusto che viene decorticata
non deve essere più alta del doppio della circonferenza a petto d’uomo. Nelle
successive decortiche il rialzo non può superare tre volte la citata circonferenza;
comunque non è ammessa la decortica di rami con meno di 45 cm di circonferenza
alla base.
Sarebbe bene che queste prescrizioni fossero seguite anche per le piante camporili
e dei filari stradali perchè esse svolgono una importante funzione paesaggistica. La
longevità di una pianta sottoposta a estrazioni del sughero dipende molto dalla altezza
di decortica.
Il modo toscano con cui la raccolta del sughero si esegue su piante allevate nel
contesto di un ceduo presenta indiscutibili vantaggi. Lo sviluppo fra l’ombra dei
polloni favorisce la qualità del sughero (FALCHI, 1967). Inoltre, quando la scorzatura
è eseguita nel folto del ceduo o della macchia, le piante si trovano con la superficie
appena scorzata protetta contro il sole ed il vento. D’altra parte le matricine di sughera
esercitano solo una copertura moderata che i polloni di leccio dello strato ceduo
sopportano senza inconvenienti.
In Toscana la sughera è essenzialmente una componente delle varianti acidofile
della Lecceta tipica e più raramente della Lecceta di transizione: in ogni caso la
Categoria delle Sugherete è stata distinta per porre in evidenza l’elemento arboreo
di maggior interesse e importanza.
L’aderenza alla pratica ha perciò fatto evidenziare a parte quei popolamenti in
cui si trovano significative quantità di piante di sughera sottoposte alle decortiche.
Pertanto questa Categoria si basa più che altro su criteri colturali.

foto

Sughereta mista sopra ceduo di semprevedi e caducifoglie - Un esemplare


di sughereta è stato decorticato di recente; il ceduo con castagno
è matricinato anche da leccio, cerro e roverella (Castagneto Carducci-


3.1. SUGHERETA MISTA SOPRA CEDUO DI
LECCIO E ALTRE SEMPREVERDI (1)

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Il barrato si riferisce al
periodo invernale

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- a erica arborea dominante


logica
Ceduo misto di leccio e sughera con specie Localizzazione
sclerofilliche, fra cui molto corbezzolo, e an- Sassetta, Suvereto, Riparbella e, più a sud, in
che molta erica arborea. La sughera viene vari luoghi della Maremma Grossetana, Mon-
riservata come matricina a fusto singolo op- te Argentario, M. Calamita (Elba).
pure anche a ceppaie di più polloni. L’insie-
me delle piante riservate può avere più età. Esposizioni
Il ciclo delle decortiche non coincide con Prevalentemente fresche.
l’anno del taglio.
Si tratta di una forma di coltura a cui vengono Distribuzione altitudinale
sottoposti popolamenti della Lecceta tipica Fino a 300 m circa.
in una variante con presenza consistente di
Quercus suber. Il tipo corrisponde essenzial- Geomorfologia
mente alla subassociazione Viburno tini- Pendici anche ripide, mai accidentate, soven-
Quercetum ilicis (Br. Bl. 1936) Riv. Martinez te in avvallamenti.
1975 suberetosum Br. Bl., 1936.
Substrati
Sottotipi e varianti Obbligatoriamente silicatici.
Sono sempre opportune le distinzioni secon-
do la fertilità, la densità e la composizione di Suoli
specie, in particolare secondo la eventuale Bruni, sabbiosi, piuttosto profondi ed evoluti,
dominanza di arbusti pionieri, per esempio sempre acidi, non eccessivamente asciutti in
nel sottotipo: estate.

(1) Subero-lecceta secondo HOFMANN Am., 1992.


Clima rebbe verosimilmente ad un bosco monopla-
Temperatura media annua 16°-17°. Tempe- no di leccio in cui la sughera si conservereb-
ratura media del mese più freddo: 6°-8°. Mi- be, favorita dal vantaggio dell’età e dal fatto
nime assolute: -5°. Precipitazioni annue 600- che il suo sviluppo in altezza è superiore a
700 mm, estive 80-90 millimetri. quello del leccio.
La rinnovazione naturale della sughera è pos-
Interventi antropici più frequenti sibile dopo un incendio quando le piante della
Decortiche eseguite in generale ogni 10-12 specie sopravvivono con maggiore facilità
anni. Sentieramento denso per raggiungere le rispetto alle altre grazie alla protezione del-
piante da decorticare. Ceduazioni con turno la scorza. In assenza di questa calamità la
attualmente allungato a 30-35 anni. sughera è destinata a recedere perchè il suo
novellame non è capace di insediarsi nel
Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten- folto della macchia o sotto la copertura del
denze dinamiche leccio.
L’interruzione dell’azione antropica porte-

Specie indicatrici

Quercus suber (matr.) Rhamnus alaternus


Q. ilex (ceduo) TELINE LINIFOLIA
Arbutus unedo (freq.) Rubia peregrina
Erica arborea (freq.) Asparagus acutifolius
Cytisus villosus Stachys officinalis
Calicotome spinosa Pulicaria odora
Phillyrea latifolia Lavandula stoechas

Selvicoltura rificare fino a che punto è economicamente


Il trattamento a ceduo composto con matri- conveniente lasciare che le matricine desti-
cine di sughera non è fra i sistemi selvicol- nate alla decortica si sviluppino a grandi di-
turali codificati: si tratta, piuttosto, di un si- mensioni oppure se conviene un avvicenda-
stema di origine popolare recente. E’ da ve- mento più rapido.


3.2. SUGHERETA MISTA SOPRA CEDUO DI
SEMPREVERDI E CADUCIFOGLIE

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Il barrato si riferisce al
periodo invernale
Z Stazioni relitte
extrazonali (puntiformi)

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- con sottobosco di specie mesofile (Pian


logica d’Alma, Castagneto Carducci)
Ceduo misto di sughera, leccio con alberelli con erica scoparia ed erica arborea domi-
sclerofillici e anche con latifoglie caducifo- nanti
glie fra cui in genere prevale il cerro, ma non con erica arborea e brugo
è raro neanche il castagno. Possibile il coni- con pino marittimo
feramento sparso col pino marittimo. La su-
ghera viene riservata come matricina a fusto Localizzazione
singolo oppure anche a ceppaie di più polloni. Gli aspetti più tipici e relativamente mesofili
L’insieme delle piante riservate può avere più si trovano: a Sassetta, a Castagneto Carducci
età. Il ciclo delle decortiche non coincide con e sui rilievi sopra Pian d’Alma e altrove nelle
l’anno del taglio. colline della Maremma grossetana. Il sotto-
E’ una forma acidofila della Lecceta di tran- tipo particolarmente acidofilo a eriche si tro-
sizione. Comprende unità fitosociologiche va nei boschi di Iesa e di Monticiano.
relative a popolamenti acidofili di passaggio
fra le sempreverdi mediterranee e le caduci- Esposizioni
foglie submediterranee. Probabilmente si po- Sempre riparate e fresche.
trebbe inquadrare in una subass. del Fraxino
orni-Quercetum ilicis Horvatic (1956) 1958 Distribuzione altitudinale
o, nelle aree relitte, in forme acidofile e de- Fino a 400-500 metri.
gradate del Roso sempervirentis-Quercetum
pubescentis Biondi 1986. Geomorfologia
Alta collina a pendici poco accidentate.
Sottotipi e varianti
Si impongono distinzioni secondo il grado di Substrati
acidità del suolo: Silicatici.


Suoli acidofili sono stati influenzati molto dagli in-
Acidi, piuttosto profondi e freschi. cendi.

Clima Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-


Temperatura media annua: 14°-16°. Tempe- denze dinamiche
ratura media del mese più freddo: 5-6°. Mi- E’ verosimile che, con l’abbandono della col-
nimi assoluti: -8°, -12° (eccezionalmente - tura, possa verificarsi un regresso delle cadu-
20° nel 1985 nelle stazioni isolate sopra Fi- cifoglie. La sughera ha possibilità di conser-
gline-BOTTACCI, cit., con danni alle sughe- varsi, almeno momentaneamente, per il van-
re). Precipitazioni medie annue 800-900 mm, taggio di età delle piante esistenti.
medie estive 80-100 millimetri.

Interventi antropici più frequenti Selvicoltura


Come per il Tipo precedente. I Sottotipi più Come per il Tipo precedente.

Specie indicatrici
Quercus suber (matr. e ceduo) Erica arborea (loc.)
Q. pubescens (matr. e ceduo) E. scoparia (loc.)
Q. cerris (matr. e ceduo) Euonymus europaeus (loc.)
Q. ilex (ceduo) Paliurus spina-christi (loc.)
Fraxinus ornus (ceduo) Luzula forsteri
Castanea sativa (ceduo) Brachypodium sylvaticum
Pinus pinaster (loc.) Hedera helix
Crataegus monogyna Ruscus aculeatus
Phillyrea angustifolia Odontites lutea
P. latifolia Asparagus acutifolius
Arbutus unedo Euphorbia amygdaloides
Ligustrum vulgare Melica uniflora (loc.)
Myrtus communis Buglossoides purpuro-coerulea (loc.)
Rosa sempervirens Calluna vulgaris (loc.)
Viburnum tinus
Smilax aspera


3.3. SUGHERETA SPECIALIZZATA

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Il barrato si riferisce al
periodo invernale

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Geomorfologia


logica Collinare moderata.
Bosco poco diffuso di alto fusto di sole piante
di sughera di varia statura più o meno alte e Substrati
sovente contorte. Sottobosco costituito da Silicatici.
macchia mediterranea media o bassa compo-
sta soprattutto da corbezzolo, erica arborea, Suoli
mirto e cisti. Profondi, anche se talvolta ricchi di scheletro
Rientra nell’associazione Simethido planifo- in superficie, acidi, non molto asciutti in esta-
liae-Quercetum suberis Selvi 1997 che pren- te, poveri di humus, spesso erosi.
de il nome da una graziosa liliacea a fiori
bianco-rosati. Clima
Temperatura media annua: 15°-17°. Tempe-
Sottotipi e varianti ratura media del mese più freddo: 7°-8°. Mi-
E’ sempre importante segnalare la densità e nime assolute e anche meno: -7° e anche
lo sviluppo della macchia che compone il sot- meno. Precipitazioni annue: 700-800 mm;
tobosco. Possibili forme di transizione alle estive: 70-80 millimetri.
Sugherete sopra ceduo.
Interventi antropici più frequenti
Localizzazione La sughereta è stata ottenuta da un bosco più
Colline a sud di Grosseto. o meno misto tramite la rimozione delle pian-
te delle altre specie. Ha seguito le norme col-
Esposizioni turali che prevedono: l’estrazione del sughero
Varie. ogni 9-12 anni, la ripulitura del sottobosco
(in parte ottenuta col pascolo) nonché l’oc-
Distribuzione altitudinale casionale reclutamento di piantine di sughera
300 m al massimo. nate spontaneamente. E’ possibile che, per


abbattere la vegetazione arbustiva e per faci- di vigore e, pertanto, il popolamento può as-
litare il pascolo, si siano praticati abbrucia- sumere la fisionomia delle Sugherete sopra
menti controllati. ceduo.
Queste sugherete, inoltre, sono piuttosto
Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten- soggette agli incendi con danni notevoli
denze dinamiche soprattutto se l’ultima decortica è stata re-
In mancanza di interventi, la macchia prende cente.

Specie indicatrici
Quercus suber (a.f., domin.) Erica scoparia (non freq.)
Q. ilex (ceduo, loc.) E. arborea (non freq.)
Fraxinus ornus (loc.) Lonicera implexa
Arbutus unedo (non freq.) Lavandula stoechas
Cistus salvifolius Rubia peregrina
C. incanus SIMETHIS MATTIAZZI
Myrtus communis Brachypodium plukenetii
Cytisus villosus Pulicaria odora
Phillyrea angustifolia

Selvicoltura Dopo un incendio, il popolamento può essere


Questo tipo di popolamento ha indubbie qua- rinnovato tramite i polloni ricacciati.
lità paesaggistiche e, sul piano aziendale, ser- La qualità del sughero si fa sempre più sca-
ve per la combinazione col pascolo. dente al crescere dell’età perchè, con l’età,
Il trattamento può essere a fustaia coetanea aumentano le irregolarità, i punti di attacco
o a fustaia disetanea. Quest’ultima soluzio- di marciumi, ecc.
ne implica (fra le altre cure colturali) anche L’ottimizzazione della qualità implicherebbe
l’allevamento di nuove piantine reclutate fra la sostituzione delle piante che hanno subìto
quelle nate spontaneamente o introdotte per più di 10 decortiche.
piantagione.


 3,1(7( ', 3,12 '·$/(332

Importanza e caratterizzazione
L’Inventario Forestale Toscano indica 2.464 ettari di superficie forestale quali-
ficata dalla prevalenza del pino d’Aleppo. Inoltre la specie è presente in ulteriori 850
ettari di bosco misto.
Il nucleo più vasto è quello delle colline a sud di Livorno con epicentro al Monte
Burrone. E’ stato sempre detto che anche questo nucleo sia il risultato di un rimboschi-
mento, ma allo scrivente non constano documenti in proposito. In ogni caso, gli incendi
ripetuti e la continua rinnovazione del pino dopo gli incendi hanno oramai connaturato
il pino d’Aleppo nel paesaggio di Monte Burrone, di Montenero e delle coste a scoglio
di Calafuria e di Castiglioncello. Per il resto, il pino d’Aleppo appare in popolamenti
dispersi di inequivocabile origine artificiale, sovente misto col cipresso d’Arizona e non
raramente collocato in stazioni di alta collina troppo fredde per le sue esigenze.

Aspetti selvicolturali
Il pino d’Aleppo è stato usato per ripopolare pendici collinari in condizioni
pedologiche estreme. Sovente però non si è tenuto conto del temperamento termofilo
della specie che è stata inserita anche in ambienti propri delle caducifoglie dove non
sono rari i danni per forti gelate. Il legno ha uno scarso valore anche perchè i fusti
sono quasi sempre contorti. Alcuni rimboschimenti sono stati eseguiti con Pinus
halepensis ssp. brutia e, inoltre, si sta sperimentando la spp. eldarica. Esistono anche
parcelle sperimentali di ibridi fra le due sottospecie citate.
Come e più del pino marittimo il pino d’Aleppo è una specie pirofita, dotata di
adattamenti che la rendono capace di rinnovarsi facilmente dopo gli incendi; uno di
questi è la tendenza a mantenere sulla chioma un certo numero di coni che si aprono
solo sotto l’azione del fuoco. Il pino d’Aleppo tende anche ad accompagnarsi con
esemplari più o meno isolati o a gruppi a specie di macchia che, come le eriche e il
cisto di Montpellier, hanno un comportamento simile, con l’aggiunta di una forte
capacità di incendiarsi e di trasmettere le fiamme. Ne discende che le pinete, con il
ricorrere degli incendi, finiscono per raggiungere una forma di equilibrio col fuoco
detto da alcuni "piroclimax".


4.1. PINETA COSTIERA DI PINO D’ALEPPO

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Il barrato si riferisce al
periodo invernale

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- zone rupestri a mare (sino a qualche decina


logica di metri di quota) sono presenti specie delle
Questo tipo comprende i popolamenti delle all. Limonetalia e Pistacio-Rhamnetalia ala-
colline livornesi fra M. Burrone e Castiglion- terni perchè esposte ai venti salmastri e di
cello dove, quale che sia stata la prima origine microlima più caldo.
(naturale o artificiale), il pino si è perpetuato
rinnovandosi variamente dopo gli incendi che Sottotipi
qui sono assai frequenti. su macchia mediterranea (sottotipo più
La struttura di ogni singolo popolamento di- diffuso)
pende dall’incendio pregresso secondo: il su rocce litoranee (cenosi stabili)
tempo trascorso, l’intensità del fuoco, lo stato
del popolamento precedente al momento Localizzazione
dell’incendio, il numero di piante eventual- Colli e coste a scoglio al Santuario di Mon-
mente sopravvissute e il processo di insedia- tenero, M. Burrone, Calafuria, Quercianella,
mento della rinnovazione che può essere stato sino a Castiglioncello, poco a sud di Livorno.
immediato e denso oppure progressivo e
rado. Esposizioni
Le radure e il sottobosco sono occupate dalla Per lo più a ovest e a sud.
Macchia media mesomediterranea con non
raro leccio (oltre a corbezzolo, erica arborea, Distribuzione altitudinale
filliree, lentisco e mirto), ma anche con specie Dal mare fino a i 193 m del M. Burrone.
indicanti una degradazione più spinta quali
sono Cistus salvifolius e arbusti aromatici. Geomorfologia
Dal punto di vista fitosociologico questi po- Collinare e moderata in alto, dirupata in basso.
polamenti dovrebbero rientrare in una forma
ricca di pino del Viburno tini-Quercetum ili- Substrati
cis (Br. Bl. 1936) Riv. Martinez 1975. Nelle


Vari: silicatici (argilliti, basalti), gabbri, cal- tanee almeno nel nucleo centrale, altri di ori-
cari silicei. gine artificiale per lo meno molto sospetta.
Suoli Queste pinete colonizzano un tratto di costa
Di varia profondità e sviluppo ma prevalen- dove, in passato, verosimilmente è stato eser-
temente superficiali e sassosi, asciutti. citato anche un intenso pascolo.

Clima Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-


Temperatura media annua 15°-16°; tempera- denze dinamiche
tura media del mese più freddo: 7°-8°. Tem- L’attuale andamento di incendi ripetuti (DI
peratura minima assoluta: -8°. Precipitazioni TOMMASO, FOSSI e MINIATI, 1995), favorisce
annue: circa 850 mm; precipitazioni estive la rinnovazione del pino, può rendere più rari
medie: 120 millimetri. il leccio e accentuare, in un primo tempo, gli
addensamenti di cisti con terofite e, in segui-
Interventi antropici più frequenti to, gli arbusti della macchia, dominanti dopo
Alcuni considerano queste pinete come spon- una ventina d’anni, mentre il pino si conserva

Specie indicatrici

Sottotipo su macchia mediterranea


Non si espongono specie indicatrici in quanto sono quelle proprie del Viburno tini-Querce-
tum ilicis (Br. Bl. 1936) Riv. Martinez 1975, spesso con maggior frequenza degli arbusti
sempreverdi rispetto al leccio.

Sottotipo su rocce litoranee (DI TOMMASO, FOSSI e MINIATI, cit.)


Pinus halepensis ANTHYLLIS BARBA-JOVIS (loc.)
Tamarix africana (spont. ?) JUNIPERUS PHOENICEA (loc.)
Simethis mattiazzi Rhamnus alaternus (loc.)
Phillyrea angustifolia DAUCUS CAROTA COMMUTATUM (loc.)
Pistacia lentiscus Ruscus aculeatus (loc.)
Myrtus communis Rubia peregrina
Dorycnium hirsutum Helichrysum italicum
Smilax aspera mauritanica Dactylis hispanica

come specie marginale e pioniera.

Selvicoltura progressivo. In questo contesto si possono


I boschi attuali, come derivano dall’azione prevedere varie forme di coltura o di produ-
degli incendi, variano dalla struttura mono- zione di legname ma con un risultato econo-
stratificata e coetanea di popolamenti giovani mico assai improbabile.
molto densi alla struttura pluristratificata di Si impongono, piuttosto, misure antincendio
popolamenti in cui le piante adulte (benchè eventualmente anche drastiche. Dal punto di
danneggiate) sono sopravvissute mentre la vista selvicolturale, bisognerebbe incremen-
rinnovazione si è insediata in modo lento e


4.2. PINETA DI PINO D’ALEPPO
DI RIMBOSCHIMENTO

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Il barrato si riferisce al
periodo invernale

tare il più possibile la conversione del leccio


all’alto fusto.

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- delle mescolanze di specie presenti. Indub-


logica biamente vanno distinti tre sottotipi:
Costituisce plaghe disperse (raramente di più Costiero e termomediterraneo
di 5-6 ettari accorpati) con pino d’Aleppo Mesomediterraneo
spesso misto a cipresso comune e a cipresso Sopramediterraneo
dell’Arizona, localizzate su terreni molto su-
perficiali con sottobosco a graminacee, eli- Inoltre sono da evidenziare due varianti:
criso e arbusti fra cui sono frequenti il ginepro con cipresso comune
comune e la ginestra odorosa. Lo strato ar- con cipresso dell’Arizona
boreo (ridotto però allo stato cespuglioso)
può essere costituito da leccio e da altre scle- Localizzazione
rofille oppure anche dalla roverella. Molto varia e dispersa ma presente in parti-
Non raramente l’ambiente è di transizione fra colare nel retroterra del Livornese, Volterra-
quello delle sempreverdi mediterranee e quel- no, Maremma Pisana, bacini del Cornia e del
lo delle caducifoglie; possibili, dunque, an- Pecora.
che i danni da gelo.
Il tipo risulta eccessivamente variabile per Esposizioni
avere un inquadramento preciso nelle cate- Prevalentemente meridionali.
gorie fitosociologiche.
Distribuzione altitudinale
Sottotipi e varianti Non oltre 500 metri.
Questi popolamenti vanno descritti soprattut-
to in base alla fascia di vegetazione alla quale Geomorfologia
appartengono e poi, come varianti, a seconda Collinare moderata.


Substrati tiera e la ricettività del popolamento agli uc-
I peggiori: scisti argillosi, galestri, calcari celli e ai roditori che, poi, operano da attivi
marnosi, argille scagliose, argille del plioce- disseminatori.
ne, rocce ferro-magnesiache. La relativa rapidità dell’evoluzione (che sarà
consona all’ambiente di appartenenza) dipen-
Suoli de molto dalle condizioni di partenza del suo-
Superficiali, sassosi, da acidi a basici, asciutti. lo. La lettiera dei cipressi eventualmente con-
sociati può avere una azione inibitrice sullo
Clima stanziamento di altre piante.
Temperatura media annua anche di 12°-13°.
Media del mese più freddo anche di 1°-2°. Specie indicatrici
Minima assoluta fino a -10° (-12°), quindi Non vengono elencate specie indicatrici che
con possibilità di danni al pino d’Aleppo. Pre- sono quelle delle forme di degradazione dei
cipitazioni medie annue da 700 a 900 mm, boschi di leccio o di roverella.
estive medie da 80 mm a oltre 120.
Selvicoltura
Interventi antropici più frequenti Si tratta di popolamenti a lento accrescimento
Piantagione con pane di terra su terreni de- e senza significato economico. Può essere
gradati dal pascolo e da incendi ripetuti. consigliabile eliminare tutto il cipresso
dell’Arizona che produce legname privo di
Posizione nel ciclo evolutivo e tendenze di- pregio, non si inserisce bene nel paesaggio
namiche ed esercita con la sua lettiera una azione ini-
I pini hanno sempre una azione positiva tra- bitrice nei riguardi di un’ulteriore evoluzione
mite l’ombra, l’azione pacciamante della let- della vegetazione.


foto

Pineta collinare di pino domestico a eriche e cisti


Nelle radure spiccano il ginepro comune e l’erica arborea. Tenuta


 3,1(7( ', 3,12 '20(67,&2

Importanza, caratterizzazione, cenni storici


La superficie delle Pinete di pino domestico in Toscana viene valutata diversa-
mente secondo le fonti bibliografiche e secondo gli scopi delle singole indagini. Ci
sono infatti dei boschi dove relativamente pochi grandi pini emergono sopra uno
strato di giovani latifoglie; tali popolamenti, dal punto di vista dell’effetto paesag-
gistico, sono ancora da considerarsi come "pinete" mentre, stando a criteri inventariali
o fitosociologici, sarebbero da ascriversi ad altre categorie di bosco.
La superficie dei boschi puri di pino domestico è stata valutata da MERENDI
G.A. (1996) in 6.200 ettari di pinete litoranee e in 4.000 ettari di pinete collinari.
L’Inventario Forestale Toscano riporta 10.800 ettari di pinete pure e 3.056 ettari di
boschi misti qualificati dal pino domestico.
Per una analisi a livello regionale è fondamentale, prima di tutto, la distinzione
fra le pinete delle colline e le più classiche ed importanti pinete del litorale.
Le pinete collinari del pino domestico svolgono, tutto sommato, un ruolo subor-
dinato perchè sono di impianto recente e perchè coprono una superficie modesta
e diluita nello spazio, perchè vi prevalgono i boschi misti e perchè la raccolta dei
pinoli è resa impossibile dal terreno inclinato.
Le pinete litoranee, che si concentrano lungo le spiagge e nelle pianure costiere
adiacenti, invece, costituiscono un insieme di boschi di grande importanza non
soltanto per l’azione protettiva e per la produzione dei pinoli ma soprattutto perchè
condizionano un paesaggio associato alle attrattive turistiche relative alla balnea-
zione.
La superficie delle pinete litoranee della Toscana è stata rilevata da GATTESCHI
& MILANESE (1986) in 6.829 ettari in eccesso, dunque, rispetto a MERENDI. La loro
distribuzione comporta una superficie di 4.132 ettari per il litorale delle province di
Pisa e Lucca e di 2.697 ettari per il litorale livornese-grossetano.
Per circa l’80% della loro superficie le pinete litoranee rientrano in aree protette
e cioè: in Parchi naturali regionali, in Riserve biogenetiche gestite dallo Stato o in
altre forme di gestione protetta.
L’indigenato del pino domestico in Toscana (e, più in generale, in Italia) è motivo


di controversia; per esempio, è sostenuto dal CORTI (1969) ed escluso dal QUEZEL
(1980). Sicuramente la specie era già attivamente coltivata al tempo dei Romani
(GIACOMINI, 1968); la località della Toscana per cui si hanno più antiche testimo-
nianze storiche della presenza di una pineta da pinoli è Castiglione della Pescaia
(GABBRIELLI, 1993).
L’origine e gli ampliamenti delle pinete litoranee toscane possono essere sinte-
tizzati nel modo che segue.
Fra la metà del ‘600 e la metà dell’‘800, la diffusione del pino domestico ha
seguito il ritmo delle bonifiche idrauliche delle pianure costiere. Infatti, una volta
terminati i lavori di prosciugamento, il pino domestico veniva seminato lungo le
dune litoranee affinché la pineta costituisse una fascia di protezione delle colture
agricole contro il vento e contro il movimento delle sabbie. Ne è risultato, allora,
un insieme di superfici di pineta piuttosto discontinue e disposte a fascia sottile
lungo il mare.
Successivamente, e fino ai primi del ‘900, si è verificato un aumento delle
superfici delle pinete litoranee dovuto a ulteriori impianti su dune (fra cui quello di
Duna Feniglia) e anche all’ampliamento di alcune pinete ottenuto a spese di quei
boschi planiziali di latifoglie che si potevano ancora trovare nei terreni adiacenti.
Questo ampliamento della pineta verso l’interno è stato particolarmente significativo
nella costa pisana in quanto questa è interessata da un sistema di antichi cordoni
dunali che si spingono per quasi 5 km verso l’interno determinando una alternanza
di “ tomboli” e di depressioni umide che rende impossibile l’agricoltura. Non è un
caso, dunque, che tra Migliarino e S. Rossore si concentrino 3.759 ettari di pinete
di pino domestico pari al 55% di tutte le pinete litoranee toscane.
In conseguenza dei molti impianti fatti fra la fine dell’800 e i primi del ‘900 la
raccolta e il commercio dei pinoli in Toscana fu particolarmente fiorente durante la
prima metà del ‘900 quando molte delle pinete litoranee erano nell’età di 40-80 anni
cioè nel periodo di massima produzione e di massima facilità di raccolta delle pine.
Fino al 1960, infatti, la media annua dei pinoli raccolti in Toscana era dell’ordine
dei 20.000 quintali all’anno e rappresentava un’altissima percentuale della raccolta
in Italia e anche un’alta percentuale della raccolta e dell’esportazione a livello mon-
diale. Oggi, però, il generale invecchiamento delle pinete e la concorrenza di altri
paesi mediterranei hanno dimezzato la quantità di pinoli raccolti alla media di 10.000
quintali all’anno.
L’utilizzazione del legno di pino domestico, invece, è stata sempre poco signi-
ficativa (e mai specificata separatamente dalle statistiche) a causa della cattiva qualità
del legno che si ricava dal recupero delle piante delle pinete allevate allo scopo di
produrre pinoli. Tra il 1935 e il 1940 ci furono anche tentativi di sfruttamento per
la resina.
Dopo il 1950, alle pinete del litorale della Toscana è stato attribuito principal-
mente un valore paesaggistico sia pure concepito nella contrastante alternativa fra


la "valorizzazione turistica" (tramite le lottizzazioni, le destinazioni a camping, ecc.)
e la conservazione naturalistica.
La minaccia delle urbanizzazioni per scopo balneare è stata presto superata con
perdite di superficie relativamente limitate, salvo che nelle province di Massa-Carrara
e di Lucca dove, dopo il 1936, sono stati trasformati in urbanizzazioni circa 1.000
ettari di boschi litoranei.
A partire dal 1960 circa nelle pinete litoranee sono stati segnalati danni gravi,
anche se circoscritti, derivanti da varie cause locali come: l’erosione delle coste,
l’aerosol marino inquinato e l’affiorare di falde freatiche contenenti acqua salata.
L’incidenza di questi danni è dovuta non tanto alla superficie interessata, quanto al
fatto che essi coinvolgono le pinete più vicine al mare, dunque quelle dall’effetto
paesaggistico più importante.
Ai fini della conservazione delle pinete litoranee si affacciano, infine, aspetti di
ordine selvicolturale e assestamentale; infatti queste vanno progressivamente invec-
chiando senza che si applichi una qualsiasi forma di ciclo di avvicendamento al taglio
e alla rinnovazione. Estrapolando i dati di GATTESCHI e MILANESE (cit.) l’età media
al 1996 sarebbe di 85 anni con punte di 140 anni.

Aspetti selvicolturali
Visto che le pinete di pino domestico della Toscana derivano tutte da impianti
artificiali, il modello selvicolturale a cui è sempre parso più ovvio doversi ispirare
è quello del bosco coetaneo costituito da particelle sistematicamente avvicendate al
taglio a raso e alla rinnovazione artificiale.
Le superfici in taglio avrebbero dovuto essere di almeno un ettaro in modo che
i nuovi giovani pini reimpiantati godessero di piena luce senza disturbi per l’ombra
riportata delle pinete adulte circostanti.
Il turno era prefigurato nell’età di 100-120 anni valutando che, oltre tale età, la
produzione dei pinoli cominciasse a calare significativamente a causa non solo della
perdita di vigore, ma anche degli schianti di rami per vento o, talvolta, neve, e,
soprattutto, a causa delle perdite di piante disseccate in piedi o cadute sradicate per
effetto di danni da marciume radicale.
Si supponeva, inoltre, che le giovani pinete dovessero essere predisposte per
tempo alla densità necessaria a garantire, poi, la maggiore longevità delle piante e
la massima durata della produzione dei pinoli. Ne derivava che un popolamento di
30 anni di età avrebbe dovuto avere solo 80-120 piante per ettaro, cioè molto poche,
ma provviste di tutto lo spazio necessario per svilupparsi con un fusto grosso ed una
chioma adeguatamente espansa (BIONDI e RIGHINI, 1910, LA MARCA, 1984, CAN-
TIANI e SCOTTI, 1988).
La gestione pratica delle pinete, però, si è molto discostata dallo schema.
Il diradamento con isolamento precoce delle piante non è stato applicato perchè
provocava una sia pur temporanea diminuzione della quantità di pine prodotte e


perchè la luce al suolo facilitava l’insediamento di un sottobosco arbustivo fastidioso
per le operazioni di raccolta. Piuttosto, le pinete venivano sottoposte a diradamenti
occasionali che finivano per lasciare quelle piante (spesso contorte o biforcate) che
si erano spontaneamente imposte sulla concorrenza delle altre. Fra le tante conse-
guenze di questo modo di fare, emerge anche il fatto che il legno ricavabile dal taglio
della pineta adulta risulta deprezzato. Un ulteriore deprezzamento deriva, poi, dalle
potature che, essendo sempre molto saltuarie, finivano per asportare anche rami
grossi provocando ferite difficili da rimarginare.
Il criterio di rinnovare sistematicamente le pinete secondo un turno prestabilito
(in modo da ottenere comprensori composti di particelle di età graduata) è stato
disatteso per più motivi. Il primo era che le spese di reimpianto e l’interruzione del
ricavo dei pinoli erano mal compensate dallo scarso valore del legname recuperato
col taglio e, pur di evitare questi inconvenienti, si preferiva lasciare invecchiare la
pineta accontentandosi di una raccolta di pinoli sempre più scarsa.
Poi sono intervenute le opposte esigenze connesse con l’importanza paesaggi-
stica. I proprietari hanno optato per il mantenimento della pineta adulta nella speranza
di poterla destinare a lottizzazioni, camping e altri insediamenti. Gli ambientalisti
dal canto loro hanno protestato con veemenza contro qualsiasi taglio a raso sia pure
su superfici proporzionalmente modeste.
Infine sono intervenuti i vincoli connessi con i parchi, le riserve biogenetiche e
altre forme di gestione pubblica.
Il problema che nel frattempo resta insoluto è quello dell’eccessivo invecchia-
mento delle pinete litoranee e, in effetti, visto lo stato delle più vecchie pinete di
Migliarino e di S. Rossore, rimane difficile prevedere che l’effetto paesaggistico di
una pineta di pino domestico possa durare oltre l’età di 150-200 anni. (ZANZI-SULLI,
1983; COMMISSIONE DI STUDIO PER LA TENUTA DI S. ROSSORE, 1984).
Uno dei rimedi che viene proposto è quello di applicare sistemi selvicolturali
"di tipo disetaneo" basati sulla rinnovazione naturale e sull’avvicendamento di singole
piante e non più di particelle intere. Questo sistema richiede, prima di tutto, tagli
piuttosto frequenti e assidui per modellare una struttura costituita da piante di varie
età e dimensioni, poi è necessario un processo di insediamento continuo della rin-
novazione naturale.
Le possibilità di rinnovazione naturale del pino domestico sono massime, e per
questo basta anche poco seme, dove il sottobosco delle pinete adulte è poco denso
e tale da non fare concorrenza ai giovani pini; ciò avviene nelle stazioni più aride e
meno fertili. In condizioni intermedie di fertilità, le difficoltà della rinnovazione
naturale potrebbero essere sormontate se si interrompesse la raccolta delle pine per
fare aumentare la quantità di seme che arriva al suolo. Invece, nelle stazioni a suolo
più umido e ricco, la densità e la composizione del sottobosco rendono totalmente
impossibile la rinnovazione del pino domestico.
Emerge pertanto che il trattamento delle pinete, come ogni altra decisione al


loro riguardo, dipende molto dalla tipologia e, di riflesso, dalla fertilità e dallo sviluppo
che esse possono raggiungere.
La tabella delle classi di fertilità che viene presentata è stata elaborata da BER-
NETTI in base ad alcune tavole di produzione esistenti con l’aggiunta dei dati di varie
aree di saggio. Si tratta di valori largamente indicativi, validi soprattutto per le pinete
allevate dense da giovani. Nelle pinete allevate rade e per le piante isolate, la stima
della fertilità potrebbe basarsi anche sullo sviluppo laterale della chioma, ma questo
dato è sovente alterato dalle potature.
Importanti sintomi per valutare lo stato vegetativo delle piante del pino domestico
derivano dallo stato della chioma; in un pino di buona fertilità la chioma appare ben
compatta e provvista di aghi di 2 od anche di 3 annate; gli aghi esposti alla luce sono
lunghi da 15 a 20 centimetri e sono di colore verde scuro.
Il pino domestico è ritenuto una specie rustica e resistente all’aridità. Questo è
vero nel senso della sopravvivenza, ma non della piena funzionalità della specie. Al
diminuire delle disponibilità di elementi nutritivi e di acqua, si riducono sensibilmente
non solo la produzione dei pinoli e il vigore vegetativo, ma si riduce anche l’effetto
paesaggistico, quale risulta dalla grandezza delle piante e dall’espansione laterale
della chioma. Probabilmente si riduce anche la longevità o per lo meno si hanno
sindromi di sofferenza crescenti con l’età.
Si può macroscopicamente verificare che i pini più belli sono sovente quelli
che si trovano ai margini dei seminativi irrigui oppure nei giardini: cioè dove fruiscono
di apporti di concimi e di acqua estiva (MURRANCA, 1992)
Lo stato delle pinete litoranee dipende dal clima generale e dal suolo che può

Classi di fertilità delle pinete di pino domestico in Italia (elaborazione originale)


Altezza dominante in funzione dell’età
(Wj DQQL , +G P ,, +G P ,,, +G P ,9+G P

    

    

    

    

    

    

    

    

    

    

    

    


derivare da depositi alluvionali o da sabbie di duna. Nel primo caso i pini fruiscono
anche dell’acqua di falda mentre sulle dune essi dipendono solo delle precipitazioni.
Il clima generale, nei circa 300 km di costa toscana con 1°30’ di riduzione di
latitudine, varia con circa 1° di aumento delle temperature (dalla media annua di
15,1° a Viareggio a quella di 16° a Orbetello) e, soprattutto, cambia in relazione alla
quantità delle piogge come risulta dalla seguente tabella tratta da GATTESCHI e
MILANESE (cit.)
Forse il tratto di costa ottimale, per temperature invernali sufficientemente miti
e per piogge estive ancora sufficienti, sta fra Livorno e Piombino.
Nella Maremma grossetana, infine, le temperature salgono ai livelli della fascia
termomediterraea mentre le piogge estive, oramai scarse e incostanti, espongono le
pinete delle dune a ricorrenti crisi di aridità.
La variazione della piovosità da nord ha sud ha una grandissima rilevanza nella
tipologia delle pinete e soprattutto per quelle impiantate su dune e, quindi, meno
capaci di compensare la scarsità delle piogge con l’acqua del terreno.

Precipitazioni medie annue ed estive (millimetri) di alcune località


del litorale toscano procedendo da nord verso sud
35(&,3,7$=,21, PP 35(&,3,7$=,21, PP

/RFDOLWj DQQXH HVWLYH /RFDOLWj DQQXH HVWLYH


&DUUDUD   6 9LQFHQ]R  

0DVVD   &RUQLD  

9LDUHJJLR   )ROORQLFD  

3LVD   6 /HRSROGR  

/LYRUQR   $OEHUHVH  

9DGD   2UEHWHOOR  


5.1. PINETA DUNALE MESOMEDITERRANEA
DI PINO DOMESTICO

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Il barrato si riferisce al
periodo invernale

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Sottotipi e varianti


logica a erica scoparia con cisto a foglie di salvia.
Si tratta di pinete della II e III classe di fertilità Sottotipo xerofilo e acidofilo di dune an-
situate su dune. tiche silicatiche come a Migliarino (MAN-
Il sottobosco è costituito da cespugli sparsi, CINI, 1956)
o solo localmente addensati, di leccio, sughe- ricca di lentisco e alaterno, con ginepro
ra, filliree, lentisco e alaterno, con corbezzolo fenicio ai margini. E’ un sottotipo più ter-
ed erica arborea nelle radure. A tratti si pos- mofilo di transizione alla PINETA DU-
sono trovare depressioni coperte da masse di NALE TERMOMEDITERRANEA (v.).
rovo cioè con la fisionomia di PINETA PLA- Presente, per esempio, nella zona di Cecina.
NIZIALE MESOIGROFILA (v.) I due Tipi, pineta adulta senza sottobosco per l’azione
infatti, possono intercalarsi. distruttiva di cinghiali e daini, tipica di S.
La densità del sottobosco tende ad aumentare Rossore.
col crescere dell’età delle pinete e con il di-
minuire del numero dei pini, ma può dipen- Localizzazione
dere anche dallo stato di evoluzione pedoge- Costa toscana da Baratti (Piombino) a Marina
netica della sabbia delle dune e da altri fattori di Massa.
fra cui le pratiche di rimozione del sottobosco
per facilitare la raccolta delle pine e anche la Esposizioni
densità delle popolazioni di animali selvatici. Nessuna (posizione pianeggiante); almeno al
In gran parte questa pineta è ospitata in cenosi momento dell’impianto in posizione relativa-
degradate dell’ass. Viburno tini-Quercetum mente lontana dall’influenza diretta dell’ae-
ilicis (Br. Bl. 1936) Riv. Martinez 1975 op- rosol marino (più tardi può essere intervenuta
pure, su dune silicatiche a suolo lisciviato, l’erosione della costa).
nell’ass. Erico arboreae-Arbutetum unedi
Allier e Lacoste 1980. Distribuzione altitudinale
Poco sopra il livello del mare.


Geomorfologia troppo dense che sopravvivono in condizione
Complessi dunali con sommità alta al massi- di fame annientando il sottobosco.
mo 10 metri, mai troppo accidentati. Localmente si fa sentire l’influenza del cal-
pestio dei bagnanti.
Substrati
Sabbie per lo più silicatiche. Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
denze dinamiche
Suoli Si tratta di pinete che, dal punto di vista fi-
Poco evoluti, sabbiosi, sciolti, non ricchi di toclimatico, si trovano nel dominio della Lec-
humus, da neutri ad alcalini (acidi-subacidi ceta tipica e, a nord, della Lecceta di transi-
nel sottotipo a erica e cisto a foglie di salvia). zione ai boschi di caducifoglie. Il ritorno al
bosco potenziale è più o meno ritardato se-
Clima condo lo stato di evoluzione della vegetazio-
Temperature medie annue intorno a 15°. ne al momento del rimboschimento a pini e
Temperatura media del mese più freddo 5°. secondo il modo con cui la coltura per i pinoli
Minimi assoluti di -15°, tali da provocare ha fatto regredire il leccio e le altre sclerofille.
danni alle pinete a Viareggio (CORTI, 1969).
Piogge annue da 730 a 1.200 mm; piogge La presenza dei pini, tuttavia, è sempre un
estive da 100 a 150 millimetri. richiamo per gli uccelli che sono i grandi pro-
pagatori naturali di questa e molte altre specie
Interventi antropici più frequenti mediterranee; pertanto, allo stadio di pineta
Si tratta di pinete ottenute per semina a spa- adulta il sottobosco tende a rinfoltirsi pro-
glio sul terreno delle dune più o meno colo- gressivamente.
nizzato da arbusti. Successivamente queste La possibilità o meno del pino domestico a
pinete hanno subito (oltre a occasionali dira- rinnovarsi è difficile da verificare a causa del-
damenti e spalcature) la rimozione del sottobo- la raccolta annua delle pine che riduce di mol-
sco per facilitare la raccolta delle pine. Una to la quantità di seme pervenuta al suolo.
parte di queste pinete è già al 2° o 3° ciclo Nell’ipotesi di un totale abbandono all’evo-
di coltura del pino. luzione naturale, è lecito prevedere un perio-
A San Rossore e alla Duna Feniglia, fra gli do di bosco misto in cui il pino può ancora
interventi antropici va annoverato l’alleva- rinnovarsi finche il contingente delle latifo-
mento di cinghiali e di daini con popolazioni glie non ha chiuso la copertura.
Specie indicatrici
Pinus pinea Smilax aspera
Quercus ilex (loc.) Clematis flammula
Q. suber (loc.) Dorycnium hirsutum
Phillyrea latifolia Asparagus acutifolius
P. angustifolia Rubia peregrina
Cistus incanus Pistacia lentiscus (spec. z. merid.)
Rosa sempervirens Viburnum tinus (loc.)
Lonicera implexa Rhamnus alaternus (loc.)
Paliurus spina-christi Juniperus phoenicea (loc. z. merid.)
Pyracantha coccinea J. macrocarpa (loc.)
Specie differenziali del sottotipo a erica scoparia e cisto a foglie di salvia
Erica scoparia (abbond.) Ulex europaeus (a nord)
Cistus salvifolius Calluna vulgaris


Selvicoltura in fustaia disetanea. Come prima base per
Tutto dipende dalle decisioni di politica ter- avere un bosco stratificato occorrerebbe per-
ritoriale. Se si vuole proseguire la coltura per seguire almeno una prima ondata di rinnova-
i pinoli (individuando in essa il tipo colturale zione.
che ha determinato i paesaggi attuali) il si- Per operare con l’opportuna gradualità (e a
stema selvicolturale più efficiente è quello titolo sperimentale) si potrebbero scegliere
del taglio raso con rinnovazione artificiale su delle particelle di 2-3 ettari da sottoporre ad
superfici di almeno 1 ettaro. un taglio di rinnovazione seguito dalla so-
Volendo, si può tentare la trasformazione spensione della raccolta dei pinoli.


5.2. PINETA DUNALE TERMOMEDITERRANEA
DI PINO DOMESTICO

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Il barrato si riferisce al
periodo invernale

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- con prati terofitici (degradazione)


logica
Pineta di pino domestico di statura non alta Localizzazione
(III e IV classe di fertilità) e sovente con chio- Castiglione della Pescaia, Marina di Grosseto,
ma rada per le ricorrenti crisi di aridità. Il Principina a Mare, Alberese, Duna Feniglia.
sottobosco è per lo più rado e composto da
cespugli di erica multiflora, lentisco, mirto, Esposizioni
filliree, rosmarino. Più rari il leccio e il cor- Nessuna (posizione pianeggiante), di norma
bezzolo; localmente presenti il ginepro coc- al riparo dall’azione diretta del mare.
colone e il ginepro fenicio; possibili adden-
samenti di macchie a erica arborea e corbez- Distribuzione altitudinale
zolo dove l’umidità edafica è leggermente Poco sopra il livello del mare (6-8 m circa).
migliore.
Il pino è qui ospitato in cenosi pertinenti Geomorfologia
all’ass. Phillyreo angustifoliae-Ericetum Dune con fianchi a pendenza moderata.
multiflorae Arrigoni, Nardi, Raffaelli 1985.
Nelle aree più degradate il sottobosco è co- Substrati
stituito da prati terofitici della classe Thero- Sabbie spesso carbonatiche.
Brachypodietea.
Suoli
Sottotipi e varianti Poco evoluti, sabbiosi, molto drenati, asciutti,
I singoli popolamenti possono differenziarsi più o meno ricchi di humus solo in superficie.
soprattutto per la densità del sottobosco e per
la frequenza delle sclerofille rispetto alle spe- Clima
cie pioniere. Temperatura media annua di 16°-17°; media
con erica arborea e altri arbusti sclerofillici del mese più freddo di 7°-9°; minime assolute
con ginepri fenicio e coccolone non inferiori a -8°. Piogge annue fra 550 e


700 e mm. Piogge estive fra 60 e 80 mm, con debolita dalla siccità più pronunciata e, quin-
notevole infedeltà da un anno all’altro. di, arricchita da arbusti di macchia. Le evo-
luzioni attuali non sono chiare anche perchè
Interventi antropici più frequenti gran parte di questi boschi sono giovani; è,
Impianto per semina su duna scoperta o, più tuttavia evidente un processo di infittimento
di frequente, sgombrata dalla vegetazione del sottobosco a macchia talvolta anche col
esistente ad opera dei pastori transumanti. solo rosmarino. Il pino domestico dimostra
Salvo eccezioni si tratta di pinete di primo delle possibilità di rinnovazione da seme an-
impianto. che dove si esercita ancora la coltura da pi-
noli.
Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten- Nell’ipotesi di un abbandono totale è preve-
denze dinamiche dibile una fase piuttosto lunga in cui il pino
Il tipo di bosco originario potrebbe essere domestico può ancora rinnovarsi.
stato la LECCETA TIPICA (v.) ancorché in-

Specie indicatrici
Pinus pinea Rosmarinus officinalis
Quercus ilex (loc.) Juniperus macrocarpa
ERICA MULTIFLORA J. phoenicea
DAPHNE GNIDIUM Smilax aspera
Pistacia lentiscus Rubia peregrina
Rhamnus alaternus Juncus acutus (z. um.)
Myrtus communis Schoenus nigricans (z. um.)
Phillyrea angustifolia Saccharum ravennae (z. um.)
Dorycnium hirsutum

Selvicoltura Nel caso in cui motivi di raccolta delle pine


Sono popolamenti di lento sviluppo e soggetti consiglino la rimozione del sottobosco, biso-
a crisi di aridità (TANI, 1991). Si consigliano gna riservare il ginepro fenicio e il ginepro
potature moderate anche per la lentezza delle coccolone perchè sono specie protette. In par-
cicatrizzazioni dovuta all’ambiente. Dato che ticolare, il ginepro fenicio vive benissimo sot-
l’espansione della chioma sarà sempre limi- to la copertura della pineta e dà poco disturbo
tata a causa della modesta fertilità, il numero alle operazioni di raccolta.
di piante da riservare ai fini della produzione Quando la rinnovazione naturale, sia pur spo-
dei pinoli può essere più elevato (p. es. fino radica, appare sufficiente, è prevedibile l’ap-
a 200 piante per ettaro) rispetto alla Pineta plicazione del trattamento a taglio saltuario
dunale su macchia mesomediterranea. come del resto già avviene all’Alberese,
Per incrementare la fertilità del suolo possono (CIANCIO et al., 1986).
essere consigliabili piantagioni sotto coper-
tura di lentisco e di rosmarino.


5.3. PINETA DUNALE DI PINO DOMESTICO
A LECCIO

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Il barrato si riferisce al
periodo invernale

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Geomorfologia


logica Dune antiche consolidate. Sopraelevazioni
Pineta sopra macchia densa con prevalenza della pianura alluvionale oltre la portata delle
di leccio accompagnato da altre sclerofille acque di falda, non utilizzabili dalla vegeta-
(sughera, fillirea, alaterno, lentisco, lauroti- zione.
no, corbezzolo, mirto), oltre che da eriche.
Il pino domestico risulta qui ospitato nell’ass. Substrati
Viburno tini-Quercetum ilicis (Br. Bl., 1936) Dune stabilizzate, oppure anche più antiche
Riv. Martinez 1975. con concrezioni ("panchina"), o anche allu-
vioni.
Sottotipi e varianti
Possibili più sottotipi secondo la specie pre- Suoli
valente nel piano inferiore. Sabbiosi, piuttosto evoluti, con humus distri-
con prevalenza di leccio buito in profondità; ben drenati e, ove pre-
con prevalenza di filliree e lentisco sente, con falda freatica profonda in estate.
con prevalenza di erica arborea e corbez-
zolo Clima
Localizzazione Temperature medie annue intorno a 15°.
Più frequente a nord di S. Vincenzo (settore Piogge annue medie 700-1000 mm, estive da
costiero centro-settentrionale). 100 a 180 millimetri.

Esposizioni Interventi antropici più frequenti


Nessuna (posizione pianeggiante). Fuori dal- Gran parte di queste pinete derivano da im-
la portata dell’azione diretta del mare. pianto recente su terreni di potenziale com-
petenza di leccete.
Distribuzione altitudinale
Poco sopra il livello del mare.


Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten- e dalla ripresa di vigore di ceppaie soprav-
denze dinamiche vissute. Comunque il pino è sempre nell’as-
Il piano inferiore, composto da leccio e con soluta impossibilità di rinnovarsi per seme.
arbusti sclerofillici, non deriva necessaria- Lo sbocco evolutivo è chiaramente la costi-
mente da un nuovo insediamento corrispon- tuzione di una Lecceta tipica in posizione li-
dente ad una successione, ma può derivare toranea tramite una fase a lecceta con pini
più semplicemente dal riscoppio vegetativo emergenti, ma sempre più radi con l’età.

Specie indicatrici

Pinus pinea Clematis flammula


Quercus ilex (domin.) Smilax aspera
Q. robur (loc.) Viburnum tinus (loc.)
Arbutus unedo Pistacia lentiscus (loc.)
Erica arborea Rhamnus alaternus (loc.)
E. scoparia Ruscus aculeatus
Phillyrea latifolia Rubia peregrina
Lonicera implexa Asparagus acutifolius

Selvicoltura condo caso si lascia sviluppare il piano infe-


Il trattamento dipende dalla decisione se con- riore a latifoglie costituirà un piano superiore
servare ad ogni costo la pineta o meno. Per di vegetazione che, pur essendo impossibili-
mantenere la presenza della pineta bisogna tato a rinnovarsi, avrà una longevità prevedi-
operare per tagli rasi di almeno un ettaro se- bile nell’ordine di 200 anni.
guiti dalla rinnovazione artificiale. Nel se-


5.4. PINETA PLANIZIALE MESOIGROFILA
DI PINO DOMESTICO

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Il barrato si riferisce al
periodo invernale

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Sottotipi


logica con alte erbe e con ontano nero ai margini
Popolamenti di sostituzione in terreni allu- (è il tipo estremo e quasi palustre)
vionali a falda freatica superficiale di com- misto a latifoglie (pioppo nero, pioppo
petenza potenziale di querceti planiziali ov- bianco, frassino meridionale, farnia, ecc.)
vero di associazioni dell’alleanza Fraxinion con leccio, sughera e farnia
angustifoliae Pedrotti 1970. E’ in effetti adia- su prato-pascolo
cente al Tipo BOSCHI PLANIZIALI DI LA-
TIFOGLIE MISTE. Localizzazione
La fisionomia è quella di una pineta con Più frequente nella Toscana settentrionale,
sviluppi in altezza della I classe di fertilità soprattutto nelle pinete di Tirrenia, San Ros-
con sottobosco composto soprattutto da sore e Migliarino, per lo più in zone relati-
macchioni di rovi (da cui emergono polloni vamente lontane dal mare. Altrove forma pic-
di olmo campestre) oppure da alte erbe coli appezzamenti dispersi fra gli altri tipi di
igrofile e mesoigrofile. Possibili consocia- pinete o fra le colture agrarie.
ti: farnia, cerro, frassino meridionale, piop-
po bianco, pioppo nero e anche ontano Esposizioni
nero; oppure sughera e leccio nei settori più Nessuna (posizione pianeggiante), per lo più
drenati. lontana dal mare.
Il pino qui è ospitato in cenosi pertinenti
all’ord. Populetalia albae Br. Bl. 1931, con Distribuzione altitudinale
elementi delle ass. Fraxino angustifoliae- Pochi metri sopra il livello del mare.
Quercetum roboris Gellini, Pedrotti, Venan-
zoni 1986 e Carici remotae-Fraxinetum oxy- Geomorfologia
carpae Pedrotti 1970. Alluvioni e depressioni influenzate dalla fal-
da freatica fra dune o fra sistemi di dune.


Substrati di specie caducifoglie. L’impianto può essere
Sabbie, alluvioni recenti, colmate di bonifica. avvenuto direttamente dopo lo sgombro del
bosco oppure su seminativi.
Suoli
Profondi, ricchi di humus, con falda freatica Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
superficiale, soggetti ad allagamenti invernali. denze dinamiche
Il pino è assolutamente impossibilitato a rin-
Clima novarsi; talvolta i macchioni di rovo o di alte
Precipitazioni annue medie 950-1100 mm, di erbe sono tanto densi da rendere impossibile
cui estive 130-150 mm. Temperature medie anche l’auspicabile reingresso delle latifo-
annue intorno a 15°. glie. La durata prevedibile per la permanenza
del paesaggio a pineta può essere ridotta per
Interventi antropici più frequenti effetto di sradicamenti di piante colpite da
Pinete, sovente di primo impianto, su terreni marciume radicale provocato da attacchi di
che, a causa della vicinanza della falda frea- Heterobasidion annosum.
tica, sono di competenza potenziale di boschi

Specie indicatrici

Pinus pinea Rubus ulmifolius


Fraxinus oxycarpa R. caesius
Quercus suber (loc.) Lythrum salicaria
Q. robur (loc.) Iris pseudoacorus
Q. cerris (loc.) Mentha aquatica
Q. ilex (loc.) Ranunculus repens
Populus alba Carex pendula
P. nigra C. remota
Alnus glutinosa (loc.) C. sylvatica
Carpinus betulus (loc.) Galium palustre
Frangula alnus Potentilla reptans
Laurus nobilis Lysimachia vulgaris
Ulmus minor (arbust.)

Selvicoltura ficiale su tagliate a raso dell’ordine di 1 ettaro


Il pino domestico, su questi terreni arriva a o più, comunque abbastanza ampie per tenere
grandi sviluppi in altezza però, oltre i 100 conto dell’effetto ombreggiante delle pinete
anni di età, la pineta diventa progressivamen- circostanti.
te più rada per effetto di continue cadute di L’abbandono all’evoluzione naturale non
piante. Tale fenomeno è aggravato nelle sta- comporta necessariamente la ricostituzione
zioni più umide oppure in quei popolamenti del querceto planiziale in tempi prevedibili.
che (essendo stati allevati densi) hanno piante Al contrario può succedere che, dopo la ra-
troppo "filate" per resistere al vento. refazione e la scomparsa del pino, rimanga
Di fronte alla decisione di conservare ad ogni una lunga e non sempre desiderabile perma-
costo un paesaggio di pineta si impone la nenza di macchioni a rovi, vitalbe, ecc.
necessità di procedere alla rinnovazione arti-


5.5. PINETA COLLINARE DI PINO DOMESTICO
A ERICHE E CISTI

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Il barrato si riferisce al
periodo invernale

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Sottotipi e varianti


logica Il Tipo è di per sé piuttosto eterogeneo se-
Boschi di origine artificiale piantati al mas- condo gli effetti di incendi e secondo l’in-
simo 70 anni fa su terreni degradati di com- fluenza del suolo più o meno sabbioso o della
petenza di querceti a roverella, eventualmen- stazione più o meno soleggiata. Si distingue
te con leccio. soprattutto la pineta:
Ne derivano popolamenti a dominanza di su rocce ferro-magnesiache (di fertilità so-
pino domestico della II e III classe di fertilità vente molto scarsa, con sottobosco arbu-
spesso misti al pino marittimo e al cipresso. stivo a roverella e ginestra odorosa).
Nel piano inferiore si trovano addensamenti
di roverella e di cerro con ciavardello, acero Localizzazione
campestre e altre latifoglie; possibile presen- Colline di Firenze, soprattutto a sud della città.
za di castagno oppure di leccio o addirittura
di rara sughera, con radure e mantelli occupati Esposizioni
da Cistus incanus e C. salvifolius, Erica sco- Varie.
paria, E. arborea, Cytisus scoparius, Spar-
tium junceum e Calluna vulgaris. Distribuzione altitudinale
Nel sottobosco delle zone più calde preval- 200-400 metri.
gono le specie delle macchie sclerofilliche
del Cisto-Ericion. Geomorfologia
Probabilmente l’associazione che si accosta Collinare, a tratti di alta collina.
maggiormente a questo Tipo è Erico arbo-
reae-Quercetum cerridis Arrigoni 1990, in Substrati
forma più o meno degradata, che ospita la Rocce silicatiche sedimentarie; di tipo ser-
pineta d’impianto. pentinoso all’Impruneta.


Suoli roverella, cerro e ginestre. La localizzazione
Sciolti, debolmente acidi, superficiali, asciutti. suburbana le sottopone ad un intenso uso per
scopi ricreativi e a incendi.
Clima
Temperatura media annua in genere compre- Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
sa fra 12° e 14°. Media del mese più freddo denze dinamiche
da 3° a 5°. Minimi assoluti fino a -20° con La copertura debole dei pini sembra consen-
danni al pino domestico, al cipresso e ad altre tire un infoltimento progressivo del piano in-
specie. Piogge medie annue intorno a 800 feriore a latifoglie.
mm, estive di 100-150 millimetri. L’evoluzione in questo senso, tuttavia, si ar-
resta in corrispondenza delle plaghe percorse
Interventi antropici più frequenti da incendio dove il pino marittimo (se pre-
Pinete derivanti da impianti artificiali esegui- sente) sembra diffondersi meglio del pino do-
ti a partire dagli anni ‘20 su cespuglieti di mestico.

Specie indicatrici

Pinus pinea Rubia peregrina


P. pinaster (loc.) Serratula tinctoria
Cupressus sempervirens (loc.) Teucrium scorodonia
Quercus cerris (ceduo) Potentilla erecta
Q. pubescens (ceduo) Brachypodium rupestre
Q. ilex (loc.) Hedera helix
Q. suber (r) Tanacetum corymbosum
Acer campestre (loc.) Ruscus aculeatus
Pyrus pyraster (loc.) Lathyrus niger
ERICA ARBOREA Asparagus acutifolius
E. SCOPARIA Pulicaria odora
CISTUS SALVIFOLIUS Stachys officinalis
C. MONSPELIENSIS Cruciata glabra
Juniperus communis Buglossoides purpuro-coerulea
Lonicera etrusca Brachypodium rupestre
Genista pilosa Hedera helix
Ulex europaeus (loc.) Lavandula stoechas (z. degr.)
Rosa sempervirens Tuberaria guttata ( “ )
Arbutus unedo (loc.) Trifolium scabrum ( “ )
Spartium junceum (loc.) Satureja graeca ( “ )
Cytisus scoparius (loc.) Scilla autumnalis ( “ )
Calluna vulgaris (loc.)

Selvicoltura incendio. In teoria bisognerebbe avviare


In queste pinete sono immediatamente auspi- l’evoluzione verso un bosco di alto fusto
cabili tutti gli interventi, più organizzativi che meno combustibile (per esempio una lecceta)
selvicolturali, che possano ridurre i rischi da con piantagioni di leccio sotto copertura.


5.6. PINETA COLLINARE DI PINO DOMESTICO
A ROVERELLA CON ARBUSTI DEL PRUNETO

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Il barrato si riferisce al
periodo invernale

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- 60-70 anni), dispersi nelle colline interne


logica come, per esempio in Chianti e, particolar-
Sono popolamenti ottenuti per rimboschi- mente, nella bassa Val di Pesa.
mento o per arricchimento di cedui degradati
su terreni di competenza di boschi submedi- Esposizioni
terranei di roverella: all. Lonicero etruscae- Varie, per lo più a sud.
Quercion pubescentis Arrigoni e Foggi in
ARRIGONI et al. (1990). Distribuzione altitudinale
Pinete di pino domestico di vario sino a mo- Da 100 a 350 metri.
desto sviluppo (II-IV classe di fertilità), miste
con cipresso, pino d’Aleppo e pino maritti- Geomorfologia
mo; sottobosco più o meno denso di roverella Collinare a pendii moderati.
e anche altre latifoglie, sanguinello, bianco-
spino, ligustro, rosa canina, ginepro comune, Substrati
prugnòlo, ecc. Possibile presenza di leccio, Scisti argillosi ("galestri"), ciottoli calcarei
laurotino, alaterno, alloro. pliocenici, argille scagliose.

Sottotipi Suoli
a ginepro comune e ginestra odorosa (pi- Neutri o leggermente basici, spesso argillosi.
neta di stazioni più aride, talvolta capace
di rinnovazione naturale) Clima
con carpino nero e cerro (propria di suoli Temperatura media annua compresa fra 12°
più freschi; pineta più sviluppata con sot- e 14°. Media del mese più freddo da 3° a 5°.
tobosco più intricato) Minimi assoluti fino a -20° con danni al pino
domestico, al cipresso e ad altre specie. Piog-
Localizzazione ge annue mm 800-900, estive di 100-150 mil-
Piccoli impianti (quasi sempre più giovani di limetri.


Interventi antropici più frequenti può derivare da una nuova diffusione oppure
Piantagione su cedui degradati oppure su su- dalla ripresa di vigore del popolamento pre-
perfici pascolive. esistente. Salvo il caso del piano inferiore
rado e costituito prevalentemente da ginestra
Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten- e ginepro, il pino non si può rinnovare; qual-
denze dinamiche che volta è, caso mai, il cipresso che si rin-
Il sottobosco di specie arboree e arbustive nova meglio.

Specie indicatrici

Pinus pinea CORNUS SANGUINEA (freq.)


P. pinaster CRATAEGUS MONOGYNA (freq.)
Cupressus sempervirens LIGUSTRUM VULGARE (freq.)
Sorbus domestica Juniperus communis
Ostrya carpinifolia (loc.) Lonicera etrusca
Pinus halepensis (loc., intr.) Spartium junceum
Quercus pubescens (ceduo) Rhamnus alaternus (loc.)
Q. ilex (loc.) Viburnum tinus (loc.)
Q. cerris (loc.) Laurus nobilis (loc.)
PRUNUS SPINOSA (freq.) Inula conyza
ROSA CANINA (freq.) Brachypodium rupestre
Dorycnium hirsutun Viola dehnhardtii
Pyracantha coccinea Carex flacca

Selvicoltura si; qui il rimboschimento a pino ha valoriz-


Questi popolamenti non hanno una destina- zato l’aspetto paesaggistico anche in senso
zione precisa. La morfologia collinare, la estetico ed ha favorito l’evoluzione verso le
densità eccessiva e la fertilità mai elevata ren- latifoglie con l’ombra, l’azione pacciamante
dono improbabile la destinazione per i pinoli della lettiera e la frequentazione degli uccelli.
che del resto non sono mai stati raccolti.
Eventualmente si potrebbe immaginare una Eventualmente si possono ipotizzare tagliate
produzione da legno, ma di valore assai mo- a scelta con rinnovazione integrata artificial-
desto. D’altra parte si tratta di rimboschimen- mente oppure lasciando il campo alle querce
ti eseguiti sovente in terreni gravemente ero- se queste sono a densità sufficiente.


Pineta di clima oceanico di pino marittimo a Ulex europaeus - Tipico
esempio di consociazione del pino con castagno (variante), recentemente


 3,1(7( ', 3,12 0$5,77,02

Importanza, caratterizzazione, cenni storici


Il pino marittimo è una specie mediterraneo-atlantica che ha in Toscana il suo
limite di massima espansione verso oriente (AGOSTINI, 1968).
Nella nostra regione il pino marittimo si presenta ancora accompagnato dal
corteggio di alcuni arbusti acidofili che caratterizzano le coste atlantiche della Pe-
nisola Iberica e (specialmente nelle Landes) della Francia, giungendo sino al Mare
del Nord. Con questo suo contesto di specie del sottobosco e delle radure, la pineta
forma un ecosistema tanto soggetto agli incendi quanto capace di rinnovarsi su
terreni devastati dal fuoco o qualsiasi altra catastrofe.
La superficie delle pinete di pino marittimo in Toscana è di 23.488 ettari. Inoltre
la specie qualifica circa 18.000 ettari di boschi misti.
A questo livello si è giunti fra il 1850 e il 1950 circa grazie ad una combinazione
fra impianti artificiali e di espansioni naturali su colture dismesse fra cui, soprattutto,
castagneti da frutto abbandonati (GIACOBBE, 1942; GIORDANO E., 1953; PIUSSI,
1982). Inoltre il pino marittimo è stato impiantato anche lungo la costa per formare
una fascia di protezione verso il mare alle pinete di pino domestico.
Dal confronto con la stima della superficie al 1968 (BUCCIANTI, 1974) risulte-
rebbe che, nonostante gli incendi divampati nel frattempo, non ci sia stata alcuna
riduzione della superficie delle pinete di pino marittimo in Toscana. Questo non
esclude che ci siano state delle compensazioni fra superfici precedentemente perdute
e nuove superfici in cui il pino ha acquistato la dominanza, magari proprio in virtù
degli incendi.
Le maggiori concentrazioni collinari di pinete si trovano: lungo il margine delle
Alpi Apuane e dell’Appennino fino a Pistoia, sul Monte Pisano, sulle Cerbaie e, più
a sud, nel bacino del Farma e del Merse; aggruppamenti significativi si incontrano
anche sul Monte Albano, a sud di Firenze e nel Valdarno. Le pinete costiere sono
soprattutto nella Tenuta di S. Rossore.
In Toscana il pino marittimo ha una relativa importanza anche per la lavorazione
del legno. La destinazione è per impieghi molto ordinari: il 75% per pannelli truciolari


e il 25% per imballaggi (BERNETTI I. et al. 1993).Il consumo annuo è dell’ordine di
90.000 metri cubi provenienti per metà da utilizzazioni locali e per metà dalla Liguria.
Questa importazione può essere molto pericolosa per il pino marittimo della
Toscana sotto il profilo fitosanitario in quanto, in Liguria, il coccide Matsucoccus
feytaudi ha già causato gravissimi danni, estendendosi da ovest verso est sino
all’altezza di Genova.

Aspetti selvicolturali
Le produzioni possibili dalle pinete di pino marittimo della Toscana non sono
molto elevate. Sulle colline la specie vegeta e si perpetua principalmente su terreni
così scadenti e degradati da non essere alla portata delle querce e di altre specie
concorrenti. La I classe di fertilità della tabella preparata da CANTIANI (1975) ri-
guarda, pertanto, solo le poche pinete planiziarie concentrate a S. Rossore. Nelle
pinete collinari, invece, prevalgono pinete fra la II e la III classe di fertilità e, occa-
sionalmente, si trovano popolamenti ancora più scadenti.

Classi di fertilità delle pinete di pino marittimo in Toscana (CANTIANI, 1975)


Altezza dominante in funzione dell’età
(Wj DQQL , +' P , ,+' P ,,,+' P

   

   

   

   

   

   

   

   

   

Il trattamento abituale delle pinete di pino marittimo è stato per lungo tempo il
taglio saltuario condotto con utilizzazioni a breve periodo e asportazioni intense
lasciando solo poche piante "grosse", cioè con più di 25 cm di diametro. La rinno-
vazione naturale era favorita dalla pratica di tagliare ricorrentemente tutto il sotto-
bosco per ricavare fascine di erica o di ginestra e qualche poco di legna dalle querce
che si potevano eventualmente trovare.
Oggi un trattamento così orientato su assortimenti piccoli non sarebbe più red-
ditizio. Le tagliate a scelta sulle pinete si sono fatte più rare mentre il taglio degli
arbusti del sottobosco è solo occasionale. In compenso è forse aumentata l’aliquota
della massa utilizzata che deriva dal recupero di piante dopo gli incendi.


La struttura delle pinete di pino marittimo può avere varie combinazioni di strati
di vegetazione secondo il modo di rinnovazione, la fertilità, l’età e la concorrenza
di altre specie.
Dopo l’incendio di una pineta adulta, magari con sottobosco di sola erica scoparia
e di arbusti minori, si verificano ondate di rinnovazione estremamente densa che
producono un popolamento coetaneo e ovviamente monostratificato.
Invece, dopo l’incendio di una pineta meno predisposta alla rinnovazione (per
la scarsità di piante adulte o per l’abbondanza di specie concorrenti), la rinnovazione
può risultare molto scalata nel tempo e tale, quindi, da dar luogo ad un popolamento
disetaneo. Strutture disetanee possono risultare anche da catastrofi di altra origine come
una schiantata da neve o da vento oppure, semplicemente, dopo un taglio a scelta.
Però i popolamenti disetanei, col passare del tempo (e tanto più rapidamente
quanto maggiore è la fertilità) possono evolversi verso la struttura monostratificata
che si forma per il livellamento delle piante su di un unico piano superiore di vege-
tazione (BIANCHI, 1984). Una sperimentazione per razionalizzare il trattamento del
pino marittimo venne intrapresa da BIANCHI (1983) nel quadro della compilazione
del piano di assestamento della Foresta Demaniale di Tocchi. I risultatati possono
essere così sintetizzati (BROGI A., 1994).
Il taglio raso su superfici di 1-2 ettari con abbruciamento controllato della ramaglia
contenente gli strobili conduce ad una rinnovazione naturale molto densa, ma il
costo del controllo antincendio dell’abbruciamento è certamente sensibile.
Col taglio raso a strisce di 25-30 m di larghezza, poi scarificate con una ruspa
(come per costruire un viale parafuoco), si ottiene un insediamento della rinno-
vazione molto più denso che con l’abbruciamento.
Al taglio raso con riserve consegue un insediamento della rinnovazione molto
scarso. Lo stesso vale per il taglio raso a buche di 2.000 m2.
Il diradamento è normalmente ritenuto necessario anche per ridurre la probabilità
degli schianti e per evitare che le piante si sviluppino col fusto contorto per effetto
dell’eliotropismo e per le deformazioni che possono essere imposte da una chioma
di peso sproporzionato rispetto al fusto ancora troppo esile (MAUGE’, 1987).
Dal punto di vista dell’economia pubblica, le pinete di pino marittimo interessano
quasi esclusivamente per la necessità di proteggerle contro gli incendi.
Come si è già accennato, il pino marittimo si accompagna ad arbusti (come
soprattutto l’erica arborea, l’erica scoparia, la ginestra dei carbonai e il ginestrone)
che condividono col pino marittimo non solo le esigenze ecologiche, ma anche la
facile infiammabilità e la capacità a rinnovarsi dopo gli incendi. Ne risulta un eco-
sistema che, con gli incendi ripetuti, tende a costruirsi un suo equilibrio che è difficile
interrompere anche con le predisposizioni più accurate.
Tuttavia ci sono condizioni in cui l’incendio fa sparire i pini e lascia la sola
"landa" a eriche e “ ginestre” ; questo avviene quando l’incendio si ripete a breve
scadenza e con tanta maggiore facilità quanto più la pineta si trova fuori dall’ottimo


climatico come, per esempio, in alta collina, dove la produzione di seme germinabile
è più scarsa.
Le pinete di pino marittimo sono popolamenti pionieri e pirofiti che si sovrap-
pongono ad una vegetazione di sottobosco e di radura costituita dai seguenti elementi,
di volta in volta compresenti o non.

1 Specie delle brughiere atlantiche (cl. Calluno-Ulicetea) ancora penetranti


nell’area mediterranea: brugo, ginestrone, ginestra dei carbonai, molinia arun-
dinacea. Al gruppo si può attribuire anche l’erica scoparia come specie medi-
terraneo-atlantica.
2 Arbusti e suffrutici della cl. Cisto-Lavanduletea (garighe acidofile mediterranee).
3 Alberelli acidofili della macchia mediterranea: erica arborea e corbezzolo.
4 Alberelli e arbusti sclerofillici sempreverdi di specie diverse da quelle fin qui
nominate.
5 Specie arboree di latifoglie (che sovente sono più un residuo rigenerato per
polloni che l’avanguardia di una successione). Da distinguersi in (A) caducifo-
glie: castagno, cerro, roverella, rovere, sorbo ciavardello, ecc. e (B) querce
sempreverdi con leccio e rara sughera, quest’ultima con penetrazioni inusitate
verso l’interno della Regione.
Come già accennato questo insieme di elementi interviene in maniera diversa
secondo la posizione geografica e l’ambiente delle pinete.
• il settore nord occidentale, alquanto piovoso, (margine delle Apuane, M. Pisano
e Pizzorne) ospita pinete di impronta suboceanica rivelata, oltre ad altre specie
subatlantiche , dalla dominanza di Ulex europaeus.
• più all’interno verso Pistoia (Monte Albano, bacino del Vincio, collina di Montale)
si attenua l’importanza fisionomica del ginestrone a vantaggio di quella delle
eriche e della ginestra dei carbonai. Significativa la presenza del castagno.
• in Mugello, nel Valdarno medio, in Casentino e in Val di Chiana, le pinete (oramai
di indigenato dubbio) hanno perduto del tutto il ginestrone; le specie sempreverdi
sono più rare e prevalgono castagno e cerro con erica arborea, brugo e ginestra
dei carbonai oltre che felce aquilina, rovo e pioppo tremolo che sono comunque
abbastanza ubiquitari.
• alle Cerbaie c’è la maggiore mescolanza fra specie atlantiche e mediterranee. Le
querce sono tutte presenti, ivi inclusa la rovere.
• più a sud (nel bacino dell’Ombrone Grossetano) l’elemento mediterraneo si ac-
centua con una tendenza maggiore alla partecipazione del leccio e anche delle
altre sclerofille, specialmente il corbezzolo. In questa zona (nei sottobacini del
Farma e del Merse), fà spicco la Pineta di Tocchi che è molto particolare per la
sua fisionomia scarna di pino sopra una "macchia-brughiera” (GIACOMINI, 1958)
con specie suboceaniche e mediterranee.


6.1 PINETA DI CLIMA SUBOCEANICO DI PINO
MARITTIMO A ULEX EUROPAEUS

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arid
Arido
Povero Ricco

Il barrato si riferisce al
periodo invernale

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- con erica arborea (Sottotipo dei suoli più
logica superficiali)
Pineta di fertilità da buona a mediocre (II e
III classe di fertilità) e di diversa densità e Localizzazione
struttura anche secondo gli incendi pregressi. Base delle Alpi Apuane, Monti delle Pizzor-
Il sottobosco è fisionomicamente dominato ne, Monte Pisano. La distribuzione di questo
dal ginestrone (Ulex europaeus), ma com- tipo non va mai a sud dell’Arno; verso est
prende ancora molta erica arborea e anche sfuma gradualmente per arrestarsi già verso
erica scoparia, ginestra dei carbonai e cor- Pescia.
bezzolo; meno frequenti il brugo e le altre
acidofile comuni; felce aquilina nelle depres- Esposizioni
sioni fresche mentre nelle radure possono ap- Varie.
parire i cisti. Fra le latifoglie arboree più fre-
quenti: leccio, castagno e cerro, talvolta la Distribuzione altitudinale
sughera. Da 100 a 600-700 metri.
La vegetazione precedente ai disturbi cui è
conseguita la diffusione del pino e degli ar- Geomorfologia
busti pionieri e pirofiti poteva forse essere Collinare o pedemontana, generalmente mo-
quella dell’ass. Fraxino orni-Quercetum ili- derata.
cis Horvatic (1956) 1958, con successiva de-
gradazione e partecipazione in primo luogo Substrati
di specie delle classi Calluno-Ulicetea e poi Per lo più arenarie e altre rocce silicatiche,
Cisto-Lavanduletea. p. es. al Monte Pisano.

Sottotipi e varianti Suoli


con castagno e cerro Bruni acidi lisciviati, a complesso fortemente
con leccio insaturo, di varia (sovente modesta) profon-


dità, spesso erosi o con tracce di erosioni pas- vello di provvigione. Al taglio dei pini si ac-
sate e quindi troncati. Nei paleosuoli: oriz- compagnava l’estrazione delle eriche per fa-
zonte illuviale di colore rosso evidente con scina o per ciocco da pipe nonché il taglio
fenomeni di pdsolizzazione localizzata. Mo- delle “ ginestre” ; i rami minori del gine-
der spesso micogenico con lenta alterazione strone venivano raccolti, triturati e sommi-
della lettiera che può accumularsi oppure es- nistrati come foraggio; i fusti più grossi, in-
sere distrutta dal fuoco. vece, sono ancora usati per fabbricare manici
di ombrello.
Clima
Temperature medie annue da 12° a 15°. Me- Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
die del mese più freddo da 2° a 5°. Precipi- denze dinamiche
tazioni annue a 1.000-1.200 mm. Precipita- Queste pinete si trovano nel dominio poten-
zioni estive di 150-180 millimetri. ziale del Tipo LECCETA DI TRANSIZIO-
NE AI BOSCHI DI CADUCIFOGLIE.
Interventi antropici più frequenti In caso di incendio di una pineta adulta, il
E’ possibile che queste pinete siano indigene; pino marittimo si rinnova in massa dando luo-
nel loro ambito sembra potessero ospitare un go anche a popolamenti molto densi. Agli
popolamento naturale di pino laricio. E’ovvio incendi ripetuti può succedere una macchia
che si tratta di boschi rimaneggiati dall’azio- densa a eriche e “ ginestre” .
ne antropica da molto tempo; per esempio, In mancanza di disturbo, tale macchia tende
la pineta del Monte Pisano ha una sua lunga a svilupparsi e poi ad esaurirsi.
storia collegata a quella dell’Ufficio dei Fossi Inoltre, le ceppaie di cerro, di castagno e
della Repubblica di Pisa. Sembrerebbe chiaro di altre latifoglie che possano trovarsi nella
che il pino si sia diffuso spontaneamente anche pineta (e che sono spesso più il residuo del
su castagneti da frutto abbandonati e sui terreni bosco precedente che il risultato di una suc-
adiacenti percorsi da incendi; pertanto si trat- cessione) tendono sempre di più ad affer-
terebbe di un indigenato almeno involonta- marsi e cooperano a impedire la rinnova-
riamente incoraggiato dall’uomo. zione del pino che resterebbe confinata
Le pinete sono state oggetto di tagli a scelta nelle stazioni più scadenti dove permango-
a breve periodo di curazione e con basso li- no spazi vuoti.

Specie indicatrici
Pinus pinaster Calluna vulgaris
Quercus ilex MOLINIA ARUNDINACEA
Q. cerris AVENELLA FLEXUOSA (loc.)
Q. suber (r) Pteridium aquilinum
Castanea sativa (loc.) Jasione montana
ULEX EUROPAEUS (freq.) Potentilla erecta
CYTISUS SCOPARIUS Danthonia decumbens (loc.)
Erica arborea Odontites lutea (loc.)
E. scoparia

Selvicoltura chè non si usa più la raccolta periodica delle


Il taglio a scelta tradizionale può trovare degli eriche. Al più si può ottenere, dopo il taglio,
impedimenti nella mancanza o nella eccessi- una ondata di rinnovazione per il tempo in
va sporadicità della rinnovazione anche per- cui dura l’effetto del terreno smosso dallo


strascico dei tronchi. Seguirà una fase a strut- Sarebbe sempre molto opportuno scegliere le
tura biplana. piante da riservare per la disseminazione fra
Quando la concorrenza degli arbusti è molto soggetti a fusto dritto e poco ramosi.
forte, ma si vuole mantenere la pineta, il trat- La macchia fortemente spinosa a ginestrone
tamento più consigliabile è quello del taglio contribuisce a rendere difficili le operazioni
raso a strisce di 0,3-0,5 ettari. antincendio con personale a terra.


6.2. PINETA SOPRAMEDITERRANEA
DI PINO MARITTIMO

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Il barrato si riferisce al
periodo invernale

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- di rinnovazione del pino. Al limite ci sono


logica forme di ceduo coniferato con pino maritti-
Pineta di pino marittimo talvolta mista a poco mo.
pino domestico. Prevalgono popolamenti di con cerro
II e III classe di fertilità. Fra le specie di ac- con castagno (è il sottotipo più frequente)
compagnamento quelle mediterranee sono a felce aquilina e rovo (caratterizza pinete
rare. Sottobosco a erica scoparia, erica arbo- delle quote maggiori in luoghi piovosi)
rea, ginestra dei carbonai, ginestrone (mai do-
minante) e anche brugo. Eventuali, alcune Localizzazione
specie di cisti; la felce aquilina e i rovi, con- Colline pesciatine e pistoiesi, Monte Albano,
centrati nelle bassure ma, verso l’alto, si S. Casciano Val di Pesa, Valdarno medio,
estendono anche su intere pendici. Ceppaie Val di Chiana, Casentino (Poppi) e Mugello
più o meno dense e con polloni più o meno (Barberino).
sviluppati di castagno, cerro, roverella oltre
eventualmente di leccio. Esposizioni
Si tratta ancora di popolazioni attribuibili a Varie.
categorie di vegetazione arbustiva acidofila
facilitata dagli incendi, ma con assenza o Distribuzione altitudinale
scarsità di specie mediterranee. La vegetazio- Da 200 a 500 metri.
ne potenziale poteva forse appartenere in par-
te all’ass. Erico arboreae-Quercetum cerri- Geomorfologia
dis Arrigoni 1990. Collinare o pedemontana, generalmente mo-
derata.
Sottotipi e varianti
Il carattere fisionomico più rilevante ai fini Substrati
pratici sta nella densità delle specie arboree Silicatici, per lo più arenarie.
di latifoglie da cui dipendono le possibilità


Suoli te, un querceto acidofilo con rovere, roverella
Spesso troncati per erosione, con orizzonte e cerro con sfumature verso la vegetazione
illuviale rosso chiaro, acidi, piuttosto asciutti. mediterranea. Poi è intervenuta la castanicol-
tura e, in seguito, è stato introdotto il pino
Clima che, tramite la rinnovazione dopo gli incendi,
Temperatura media annua da 10° a 14°; tem- si è naturalizzato nel luogo e si è ulteriormen-
peratura media del mese più freddo: da 0° a te diffuso.
3°. Minimi assoluti fino a -18°. Precipitazioni Le latifoglie che si trovano nel sottobosco
annue da 700 a 1.200 mm. Precipitazioni esti- sono, probabilmente, più il residuo del vec-
ve: 120-150 millimetri. chio bosco sopravvissuto per polloni che un
nuovo ingresso. Queste pinete sono più o
Interventi antropici più frequenti meno in equilibrio secondo la proporzione
Queste pinete sono state quasi tutte introdotte fra il sottobosco a eriche e “ ginestre” e le
per semina nei castagneti abbandonati oppure ceppaie di latifoglie presenti. Al limite si ve-
per coniferamento di cedui di cerro. Poi è rifica una evoluzione verso una fisionomia di
stato applicato l’abituale trattamento a taglio ceduo coniferato con piante adulte di pino
saltuario a breve ciclo e bassa provvigione sopra popolamento chiuso di cerro e castagno
accompagnato dalle periodiche utilizzazioni da ceppaia.
delle eriche e delle ginestre per fare fascine. Dopo gli incendi, la rinnovazione del pino
Dopo gli incendi la rinnovazione in massa marittimo può trovare impedimenti nel ri-
fino a produrre giovani pinete densissime è scoppio delle ceppaie delle latifoglie. Alle
ancora possibile, ma sono più frequenti i casi quote maggiori si notano anche casi di rin-
di rinnovazione mancante o sporadica forse novazione mancante o sporadica attribuibili
perchè la produzione di seme è meno abbon- alla minore produzione di seme germinabile
dante. Esistono estesi ericeti derivanti da pi- che si verifica nelle pinete oltre 300 m di
nete distrutte da incendi. quota. In tal caso dopo l’incendio resta solo
l’ericeto.
Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten- Il pino domestico, eventualmente consociato,
denze dinamiche è sempre recessivo. Sono possibili, e temibili,
La vegetazione originaria era, verosimilmen- invasioni da robinia.

Specie indicatrici
Pinus pinaster Pteridium aquilinum
Castanea sativa (freq., ceduo) Rubus sp. pl.
Quercus cerris (ceduo) Calluna vulgaris
Q. pubescens (ceduo, loc.) Jasione montana
Q. ilex (ceduo, loc.) Veronica officinalis
Erica arborea Teucrium scorodonia
E. scoparia (loc.) Rubus fruticosus s.l.
Juniperus communis Stachys officinalis
Cytisus scoparius Solidago virga-aurea
Cistus salvifolius (loc.) Cruciata glabra
Ulex europaeus (loc.) Serratula tinctoria
Calluna vulgaris Hieracium sp. pl.
Genista pilosa Potentilla erecta
G. germanica Plantanthera clorantha (loc.)
Brachypodium rupestre P. bifolia (loc.)


Selvicoltura strascico dei tronchi o da apposite lavorazioni
Il taglio saltuario con tagli a scelta forti e del terreno.
conseguenti bassi livelli di provvigione è at- Nei popolamenti misti, l’avviamento all’alto
tuabile soprattutto nei sottotipi meno evoluti fusto delle latifoglie può essere raccomandato
e alle quote minori. Quanto maggiori sono per ridurre i pericoli d’incendio.
gli impedimenti alla rinnovazione tanto più Alle quote superiori, e in un quadro di eco-
potrebbero diventare consigliabili forme di nomia aziendale, sui terreni più fertili potreb-
taglio raso su piccole superfici (p. es. taglio be risultare utile la trasformazione con dou-
a strisce di 0,3-0,5 ettari) con rinnovazione glasia.
naturale facilitata dalle scarificazioni per lo


6.3. PINETA MEDITERRANEA DI PINO
MARITTIMO SU MACCHIA ACIDOFILA

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arid
Arido
Povero Ricco

Il barrato si riferisce al
periodo invernale

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- del Farma e Merse (tipicamente nella foresta


logica di Tocchi), parte dei colli a Sud di Firenze,
Pineta di pino marittimo (occasionalmente retroterra del Livornese e Maremma Pisana,
mista al pino domestico) di fertilità da buona Elba.
a media che sovrasta vegetazione arbustiva
composta da: erica arborea, erica scoparia, Esposizioni
corbezzolo e altre sempreverdi fra cui anche Varie.
il leccio e, molto spesso a sud, la sughera.
Possibili ceppaie sparse di cerro, rovere o an- Distribuzione altitudinale
che di castagno. Felce aquilina, rovi e pioppo Da 100 a 500 metri.
tremolo nelle depressioni umide.
Per le pinete miste delle Cerbaie ARRIGONI Geomorfologia
(1996, ined.) ha riscontrato l’ass. Pteridio Collinare.
aquilini-Cytisetum scopariae Susplugas con
pino marittimo a copertura di circa il 30% Substrati
Rocce silicatiche (in particolare sabbie mari-
Sottotipi e varianti ne e fluviali); nelle forme più degradate: ciot-
con sottobosco a eriche, cisti, ginestra dei toli, arenarie grossolane (per Tocchi vedere
carbonai e brugo (sottotipo più degradato) il piano di BIANCHI, 1984).
con sottobosco contenente anche leccio,
sughera, varie sempreverdi della macchia Suoli
e anche latifoglie (per lo più castagno e Acidi, ricchi di porzione sabbiosa, asciutti,
cerro) alquanto ricchi di scheletro, a profilo sovente
con rovere (Cerbaie) tronco; orizzonte illuviale rossastro più o
meno pronunciato, molto evidente alle Cer-
Localizzazione baie (presenza di paleosuoli).
Toscana che sta a sud dell’Arno nei bacini


Clima dagli incendi (PIUSSI, 1982) che in queste
Temperatura media annua da 12° a 15°; tem- pinete sono frequentissimi.
peratura media del mese più freddo: da 3° a
5°. Minimi assoluti anche fino a -18°. Preci- Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
pitazioni annue da 700 a 1.200 mm. Precipi- denze dinamiche
tazioni estive da 120 a 150 millimetri. Popolamento di sostituzione in territori che,
in assenza di disturbo, sarebbero in buona
Interventi antropici più frequenti parte occupati dalla Lecceta con sughera. At-
Queste pinete, eccettuate quelle delle Cer- tualmente la rinnovazione del pino è più o
baie, sono probabilmente di origine artificiale meno impedita secondo la densità del sotto-
più o meno recente. bosco.
Il trattamento tradizionale era il taglio a scelta Anche dopo l’incendio di una pineta adulta
con bassa frequenza dei tagli e modesta prov- la rinnovazione in massa del pino può trovare
vigione. limitazioni nella concorrenza della macchia
In ogni caso c’è stata una estensione favorita che si rigenera per ceppaia.

Specie indicatrici

Pinus pinaster Phillyrea angustifolia (loc.)


Quercus suber Rhamnus alaternus (loc.)
Q. cerris Ulex europaeus (molto loc.)
Q. ilex Pteridium aquilinum (freq.)
Q. crenata (loc.) Teucrium scorodonia
Q. petraea (loc.) Bachypodium rupestre
Q. robur (loc.) Inula conyza
Fraxinus ornus Anthericum liliago
Sorbus torminalis (loc.) Molinia arundinacea
S. domestica (loc.) Peucedanum cervaria
Castanea sativa (loc.) P. oreoselinum
ARBUTUS UNEDO Hieracium sp. pl.
Erica arborea Rubus ulmifolius
E. scoparia Pulicaria odora
Cistus salvifolius Rubia peregrina
Genista pilosa Serratula tinctoria pinnata
G. germanica Ruscus aculeatus
Calluna vulgaris Stachys officinalis
Lonicera etrusca (loc.) Lathyrus niger (loc.)
Daphne gnidium (loc.) Physospermum cornubiense (loc.)
Cytisus scoparius (loc.) Potentilla erecta (loc.)
Pistacia lentiscus (loc.) Tanacetum corymbosum (loc.)
Phillyrea latifolia (loc.) Cruciata glabra (loc.)

Selvicoltura potrebbe risolversi in una buona misura an-


Le alternative stanno sempre fra il taglio sal- tincendio. Utile anche il rinfoltimento con
tuario e il taglio raso a piccole superfici (0,3- leccio e/o sughera (esclusa la zona delle
0,5 ettari) a seconda della quantità di rinno- Cerbaie).
vazione possibile. Nelle pinete con molto lec- Per ostacolare il diffondersi degli incendi
cio l’avviamento all’alto fusto della latifoglia sono state aperte estese fasce parafuoco ster-


rate. Tali fasce vengono subito invase dalla attrezzata fino alla verifica dell’estinzione
rinnovazione del pino per disseminazione la- ompleta del fuoco.
terale. B Taglio raso a piccole buche. Risultato:
Nella pineta di Tocchi BIANCHI (1983) ha la rinnovazione per disseminazione naturale
posto in prova i seguenti trattamenti con i è sporadica.
risultati a fianco commentati. C Taglio raso con portaseme. Risultato:
A Taglio raso seguito da abbruciamento come sopra.
delle ramaglie provviste di coni ancora chiu- A questo punto si potrebbe consigliare anche
si. Risultato: rinnovazione in massa, ma con il taglio a strisce con scarificazione del ter-
prevedibili elevati costi di sorveglianza an- reno, magari facendo coincidere le strisce ta-
tincendio: apertura di una cessa sterrata su gliate e sterrate con un sistema mobile di viali
tutto il perimetro, permanenza di un squadra parafuoco.


6.4. PINETA COSTIERA DI PINO MARITTIMO

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Il barrato si riferisce al
periodo invernale

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Localizzazione


logica Lungo tutta la costa, per lo più come fascia
Questo Tipo, che peraltro copre una superfi- a mare nel contesto delle pinete di pino do-
cie non grande, è caratterizzato soprattutto mestico.
dalla sua particolare localizzazione. La carat-
terizzazione fitosociologica viene fatta a li- Esposizioni
vello dei sottotipi. Nessuna (pianura). Le piante del terzo Sotto-
tipo sono esposte direttamente a mare.
Sottotipi e varianti
Pineta planiziale a erica scoparia. Presente Distribuzione altitudinale
a S. Rossore dove il resto del sottobosco Pochi metri sul livello del mare.
è distrutto da daini e cinghiali allevati in
soprannumero. Geomorfologia
Difficile, pertanto, l’individuazione fito- Duna costiere o pianure alluvionali.
sociologica: è comunque possibile l’acco-
stamento ad un potenziale Viburno-Quer- Substrati
cetum ilicis (Br. Bl., 1936) Riv. Martinez Sabbie di duna oppure terreni alluvionali.
1975 quercetosum roboris.
Pineta planiziale con macchia mediterra- Suoli
nea ben sviluppata. Sulla costa da Pian Sabbia dunale più o meno pedogenizzata e
d’Alma a Punta Ala. E’ sovrapposta all’ass. suoli alluvionali anche ricchi di humus.
Phillyreo angustifoliae-Ericetum multiflo-
rae Arrigoni, Nardi, Raffaelli 1985. Clima
Pineta su duna con macchia a ginepri. Come per le Pinete dunali (litoranee) di pino
Pineta sovrapposta ad una delle associa- domestico. L’avversità più sentita è l’aerosol
zioni del Juniperion lyciae Riv. Martinez marino inquinato.
1975.


Interventi antropici più frequenti Le pinete delle pianure alluvionali non sono
Queste pinete sono tutte di origine artificiale. assolutamente in grado di rinnovarsi e tende-
In particolare il pino marittimo, in quanto rebbero ad essere sostituite da popolamenti a
ritenuto più resistente al salmastro, veniva farnia, ontano, olmo, ecc. nella misura in cui
localizzato verso il mare per formare una "fa- ci siano portaseme di queste specie.
scia di protezione" ai boschi di pino dome- Le pinete delle dune interne possono rendersi
stico impiantati più all’interno. Non manca permanenti per incendi ripetuti o, talvolta, a
qualche impianto più interno intercalato alle causa del suolo poco evoluto.
pinete di domestico. Da questa posizione il
pino marittimo ha talvolta invaso i terreni Specie indicatrici
circostanti e anche le pinete di pino domesti- Non vengono elencate trattandosi di cenosi
co, per lo più dopo incendi. ad ecologia differenziata, comunque ricono-
scibili per la loro peculiare localizzazione.

Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten- Selvicoltura


denze dinamiche Si tratta di piccoli popolamenti dispersi da
Le pinete delle dune possono avere la tendenza trattare caso per caso. E’ da valutare, piutto-
a formare popolamenti permanenti sia pure con sto, quanto possa essere desiderabile la ten-
rinnovazione sporadica. Se l’aerosol marino è denza del pino marittimo a invadere le pinete
inquinato e se c’è erosione costiera tendono a di pino domestico.
sparire con tutta la macchia a ginepri.


6.5. PINETA DI PINO MARITTIMO SU OFIOLITI

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arid
Arido
Povero Ricco

Il barrato si riferisce al
periodo invernale

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Distribuzione altitudinale


logica Fino a 400 metri.
Pinete rade, con pini di modesto sviluppo e
poco longevi. Classe di fertilità inferiore a Geomorfologia
quella infima. Sottobosco quasi assente. Rin- Collinare.
novazione continua. Frequente la mescolanza
col cipresso. Dove il suolo è relativamente Substrati
evoluto appaiono ceppaie di roverella oppure Rocce verdi (ofioliti) in senso lato: gabbri,
di roverella e leccio. eufotidi, serpentine, ecc..
La vegetazione potenziale potrebbe essere
l’ass. Erico arboreae-Quercetum cerridis Suoli
Arrigoni 1990, ma con potenzialità molto Litosuoli, ranker e suoli bruni molto super-
modesta. ficiali e sassosi, erosi e poverissimi di so-
stanza organica, di regola subacidi, poveri
Sottotipi e asciutti.
Si tratta di pinete molto disperse sul territorio,
ciascuna delle quali, al limite, può differen- Clima
ziarsi da ogni altra. Temperatura media annua da 10° a 14°; tem-
peratura media del mese più freddo da 0° a
Localizzazione 3°. Minimi assoluti fino a -18°. Precipitazioni
Zona di Livorno, Monteriggioni, Impruneta, annue da 700 a 1.200 mm. Precipitazioni esti-
Monti Rognosi presso Pieve S. Stefano e An- ve 120-150 millimetri.
ghiari, Monte Ferrato di Prato.
Interventi antropici più frequenti
Esposizioni Pinete spesso di origine artificiale.
Varie.


Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten- rinnovarsi in modo sparso. Le piante adulte
denze dinamiche sono poco longeve. Non ci sono quasi incendi
Il pino, non trovando concorrenza, tende a perchè non esiste sottobosco.

Specie indicatrici (1)


Pinus pinaster Sanguisorba minor
Cistus salvifolius Centaurea aplolepa carueliana (serp.)
Erica arborea (loc.) ALYSSUM BERTOLONII (serp.)
E. scoparia (loc.) THYMUS ACICULARIS OPHIOLITICUS
(serp.)
Juniperus oxycedrus (loc.) EUPHORBIA NICEAENSIS PROSTRATA
(serp.)
Bromus erectus STACHYS RECTA SERPENTINI (serp.)
Brachypodium rupestre Carlina corymbosa
Galium corrudifolium Genista januensis
Allium sphaerocephalon Stachys hyssopifolia (loc.)
Centaurea rupestris Carex humilis (loc.)

Selvicoltura come tagli a scelta limitati alle plaghe più


Data la scarsissima fertilità, si rendono ipo- fertili.
tizzabili solo trattamenti molto occasionali

(1) ARRIGONI, RICCERI e MAZZANTI 1983; PICHI - SERMOLLI, 1948



 &,35(66(7(

Importanza, caratterizzazione, cenni storici


La coltura del cipresso comune è presente nel paesaggio toscano in cinque forme
diverse: (1) piante sparse nei campi, (2) filari stradali (lungo strade pubbliche oppure
lungo vie di accesso a residenze rurali), (3) boschi misti con pino marittimo, con
pino domestico e anche con pino nero, (4) coniferamento di cedui di roverella e,
anche, (5) boschi puri.
I boschi qualificati dal cipresso sono 4.176 ettari. I boschi in cui il cipresso è
presente superano i 17.000 ettari (MERENDI, 1996).
Mentre la coltura a piante sparse o a filari stradali è molto antica, quella di tipo
forestale iniziò nell’‘800 con un rimboschimento tra Compiobbi e Fiesole (DEL
NOCE, 1849); in seguito gli impianti vennero proseguiti col rimboschimento di Vin-
cigliata ed estesi ad altre zone dopo il 1930. Le cipressete pure e i boschi misti con
forte partecipazione del cipresso comune si trovano prevalentemente nelle Province
di Prato e di Firenze dove si estendono per circa 3.600 ettari (POGGESI, 1976, 1979;
VINCIGUERRA, 1976). Nelle altre province esistono solo superfici minori.
L’uso forestale del cipresso è concentrato su terreni calcarei (alberese) in am-
bienti di dominio del bosco sopramediterraneo di roverella.
Secondo BERNETTI I. et al. (1993) l’utilizzazione del legno di cipresso (dai
boschi e dalle altre colture) arriva alla media annua di 12.000 m3 con prezzi molto
elevati: 500.000-600.000 lire a m3. Vengono commerciate anche le piante di dimen-
sioni relativamente piccole (25 cm di diametro a petto d’uomo).

Aspetti selvicolturali
Il cipresso è una specie molto rustica ma, ovviamente, dà risultati molto diversi
secondo la fertilità e la disponibilità d’acqua del terreno in cui viene piantato.
Non esistono tabelle di fertilità per il cipresso comune perchè non è possibile
contare l’età delle piante di questa specie sulla base di anelli di accrescimento cro-
nologicamente affidabili (UZIELLI & NARDI-BERTI, 1979). Orientativamente si pro-
pongono le seguenti classi per cipressete "adulte" che, a memoria d’uomo, siano
state piantate da oltre 50 anni.


I classe di fertilità: 20-23 metri di altezza media
II classe di fertilità: 16-19 metri di altezza media
III classe di fertilità: 13-19 metri di altezza media

La facilità di ottenere la rinnovazione naturale (come per tutte le specie rustiche)


è inversamente proporzionale alla densità e al rigoglio della vegetazione del sotto-
bosco e, quindi, della fertilità. Il cipresso, tuttavia, è mediamente tollerante dell’ombra
e, quindi, capace di rinnovazione anche sotto una moderata copertura che talvolta
sembra facilitarlo.
E’ possibile che forme di trattamento di tipo disetaneo siano praticabili anche
quando la mancanza di rinnovazione naturale obbliga alla sostituzione delle piante
per piantagione. D’altra parte il sistema a taglio saltuario è sempre obbligatorio se
si vuole conservare l’aspetto paesaggistico del bosco di cipressi ed è ampiamente
compatibile con l’alto prezzo del legname.
Gli attacchi fungini dovuti a Seiridium (= Coryneum) cardinale (Wag.) Sutton
destano preoccupazioni molto giustificate che non devono però essere esagerate
anche se i seccumi della chioma danneggiano l’aspetto ornamentale della specie.
L’aumento della quantità di legname utilizzato non è stato tale da influire negativa-
mente sul prezzo e non ci sono state importanti modificazioni nel paesaggio. Si
ritiene che i rimboschimenti estesi vadano fatti con soggetti da seme mentre i cloni
selezionati sono consigliabili per piccoli impianti sperimentali al fine di non impo-
verire e uniformare troppo il patrimonio genetico della specie con il possibile effetto
di stimolare la formazione di ceppi più aggressivi del parassita.

foto

Cipresseta su gramineto xerofilo


7.1 CIPRESSETA A ROVERELLA
E SPARTIUM JUNCEUM

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Il barrato si riferisce al
periodo invernale

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- gruppetti nel Chianti (S. Agnese e S. Maria),


logica Bibbiena e in Val Tiberina.
Cipresseta spesso densa con sottobosco di ce-
spugli sparsi di roverella, ginestra odorosa e Esposizioni
eventuali arbusti del Pruneto. Spesso si hanno Varie, principalmente a sud.
cipressete con struttura più o meno disetanea
e con rinnovazione abbondante. Distribuzione altitudinale
Corrisponde a rimboschimenti di fasi degra- Da 150 a 400 (600) metri.
date (garighe a elicrisi e lavande) di boschi
di roverella, in genere dell’all. Lonicero etru- Geomorfologia
scae-Quercion pubescentis Arrigoni e Foggi Di alta collina; talvolta con fenomeni legati
in ARRIGONI et al. (1990). alle rocce carbonatiche: per es. campi carreg-
giati.
Sottotipi e varianti
Il carattere distintivo più importante è la pre- Substrati
senza o meno della rinnovazione naturale e In grandissima prevalenza da rocce carbona-
la sua eventuale densità. Inoltre sono da se- tiche: calcari marnosi detti "alberesi". Altri
gnalare le varianti: boschetti si trovano anche su rocce ferro-ma-
gnesiache.
con leccio
con pino nero (talvolta anche con cedro Suoli
dell’Atlante) Molto superficiali e ricchi di scheletro, prov-
con pini mediterranei visti di carbonato di calcio attivo e a pH spes-
so basico se su alberese.
Localizzazione
Colli alti fiorentini e pratesi (Calvana, M. Clima
Morello, poggi fra Fiesole e Pontassieve), a Temperatura media annua da 12° a 15°. Tem-


peratura media del mese più freddo da 2° a bondante e la cipresseta assume una struttura
4°. Precipitazioni annue - solo occasional- disetanea. Possibile, comunque, un lento
mente nevose - vanno da 800 a 1.000 mm. completamento della copertura da parte delle
Piogge estive superiori a 100 millimetri. querce.

Interventi antropici più frequenti Specie indicatrici


Rimboschimento sopra superfici molto de- Vengono omesse perchè si tratta di un popo-
gradate a causa del pascolo, dell’incendio e lamento facilmente riconoscibile sotto
dell’erosione del suolo. Taglio a scelta del l’aspetto fisionomico.
cipresso.
Indirizzi selvicolturali
Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten- Moderati tagli a scelta; dove manca la rinno-
denze dinamiche vazione naturale si può ricorrere alla rinno-
Il cipresso occupa aree che altrimenti sareb- vazione artificiale posticipata.
bero coperte da cespuglieti bassi o da bosca- A M. Morello (GATTESCHI e MELI, cit.) la
glie a roverella e orniello dove non migliora densità media si aggira sulle 950 piante per
il suolo ma è prezioso per la copertura di ettaro, la provvigione su 160 m3/ha, con un
terreni aridi, rocciosi e sterili. Spesso la rin- incremento annuo di circa 2,6 m3/ha.
novazione naturale del cipresso è molto ab-


7.2. CIPRESSETA SU GRAMINETO XEROFILO

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Il barrato si riferisce al
periodo invernale

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Suoli


logica Piuttosto superficiali anche se in parte mi-
Cipresseta di origine artificiale di mediocre gliorati dal pregresso esercizio agricolo.
sviluppo. Sottobosco, generalmente, di spe-
cie della classe Festuco-Brometea. Clima
Come il precedente.
Sottotipi
Cipresseta su ex seminativo popolamento di Interventi antropici più frequenti
buon sviluppo su tappeto erboso di gramina- Rimboschimento.
cee meno xerofile; è molto raro.
Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
Localizzazione denze dinamiche
Come il tipo precedente. Come il Tipo precedente.

Esposizioni Specie indicatrici


Soleggiate. A parte i dominanti Brachypodium rupestre
e Bromus erectus vengono omesse altre spe-
Distribuzione altitudinale cie trattandosi di un popolamento prevalen-
Da 150 a 400 metri. temente caratterizzato sotto l’aspetto fisiono-
mico.
Geomorfologia
Come il precedente. Selvicoltura
Eventuali tagli saltuari.
Substrati
Calcari alberesi, talvolta argille.



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Importanza, caratterizzazione, cenni storici


Questa categoria di boschi ha un valore più potenziale che reale perché la foresta
originaria delle pianure e dei terreni umidi venne progressivamente eliminata con le
trasformazioni agrarie ed ebbe il suo colpo finale con le bonifiche della Maremma
terminate verso il 1850.
Ciò che resta è costituito dai circa 120 ettari della Riserva Naturale del Palazzetto
(nella Tenuta di San Rossore) e da altri lembi più o meno grandi che si possono
trovare intercalati alle pinete del Tipo PINETA PLANIZIALE MESOIGROFILA
DI PINO DOMESTICO (v.). Nelle pinete del litorale pisano questi residui sono forse
più cospicui perché si localizzano negli intervalli di un vasto sistema di dune che si
spinge all’interno. In Maremma si trovano invece frammenti più piccoli e impoveriti.
Data la localizzazione costiera della maggior parte della superficie pianeggiante
della regione, ci si potrebbe attendere una composizione basata sulla flora mediter-
ranea. Invece le disponibilità di acqua nel suolo consentono lo sviluppo di boschi di
caducifoglie con la partecipazione di specie dai seguenti significati (v. anche i BO-
SCHI ALVEALI E RIPARIALI).
1 Specie igrofile diffuse in Europa e in Asia occidentale: ontano nero, pioppo nero
e, più di rado, salice bianco.
2 Specie igrofile dell’Europa meridionale e dell’area mediterranea: frassino me-
ridionale e pioppo bianco.
3 Specie mesofile tipiche nell’Europa media: farnia, carpino bianco e olmo cam-
pestre.
4 Specie esotiche naturalizzate: robinia.
Il sottobosco è composto da erbe molto alte che sono particolarmente vistose
nei tipi più igrofili; ma non sono rari anche grandi ammassi di rovo o di vitalba.
La composizione dei boschi planiziali varia molto secondo il tempo di perma-
nenza delle acque affioranti. L’ontano nero è la specie arborea delle paludi quasi
permanenti; anche il frassino meridionale tollera la sommersione delle radici, ma
per un tempo minore. I pioppi hanno indubbie maggiori esigenze di respirazione


radicale mentre, infine, l’olmo campestre e soprattutto la farnia sono le specie dei
terreni alluvionali più elevati e che restano sommersi solo occasionalmente.
L’esame delle componenti arboree dei boschi planiziali conduce alle seguenti
osservazioni sulle diverse specie.

1. Ontano nero. E’ la specie più tollerante la sommersione. Con la ceduazione al


turno di 25-35 anni si ottengono apprezzati tronchetti per lavori di artigianato.
2. Frassino meridionale. Questa specie segna la differenza fra i boschi planiziali
dell’Europa meridionale rispetto a quelli dell’Europa centrale mentre (a partire
dai boschi dell’Appennino) interviene il frassino maggiore. Resiste alla sommer-
sione delle radici, ma vegeta bene su terreni freschi di qualsiasi natura anche se
argillosi. Il legno è pregiato quanto quello del frassino maggiore. Nelle piantagioni
dimostra una grande facilità di attecchimento.
3. Pioppo bianco (o “ gattice” ). Esige terreni con falda freatica poco profonda, ma
non tollera la sommersione prolungata delle radici. E’ più frugale dei pioppi
euroamericani, ma cresce meno ed ha una forma più ramosa. A 60-70 anni di età
può raggiungere 60-70 cm di diametro. Legno ottimo e di antico uso nella fale-
gnameria toscana. Tradizionalmente coltivato nella pianura di Lucca.
4. Pioppo nero. Forse ormai meno frequente rispetto alla sua forma ibrida euro-
americana (x Populus canadensis). I risultati di rapidissimo accrescimento che si
riscontrano per alcuni cloni nella Pianura Padana non sono facili da ottenersi nel
diverso ambiente pedoclimatico delle pianure toscane.
5. Farnia. Una delle querce produttrici del pregiato “ legno di rovere” (probabilmente
la maggior parte dei 1500 m3 di questo proviene dalla farnia, al prezzo (1993)
di 250.000 lire). Propria delle pianure alluvionali dove caratterizza i boschi rela-
tivamente distanti dalle paludi, è tuttavia capace di risalite collinari e submontane
sempre in impluvi o fondovalle anche con individui “ intermedi” con rovere vera.
Ottima specie per il rimboschimento dei terreni ritirati dalle colture anche per
formare cedui composti.
6. Olmo campestre. Ridotto a cespuglio dalla malattia della “ grafiosi” è tuttavia
ancora in grado di riprodursi per seme e per polloni radicali. Frequentissimo nelle
pianure alluvionali e in collina dove è immancabile nelle siepi di margine dei
campi. I molti cloni resistenti selezionati e sperimentati dal prof. Mittempergher
sono ibridi controllati e ripetuti fra più specie e più cultivar.

Fra le altre specie eventualmente esistenti nei boschi planiziali sono da aggiun-
gere il cerro, il carpino bianco, il farnetto (solo nella Maremma meridionale: v.
QUERCETO DI CERRO E FARNETTO a Pulicaria odora), la roverella e anche il
leccio. Va da sé che non sono rare le invasioni di robinia.


Aspetti selvicolturali
La selvicoltura non deve necessariamente limitarsi a prendere atto della presenza
di lembi di bosco da conservare. Esiste anche l’opportunità di ricostituire, almeno
in parte, boschi di questo tipo tramite il rimboschimento di seminativi ritirati dalle
colture oppure tramite la conversione della PINETA PLANIZIALE MESOIGRO-
FILA DI PINO DOMESTICO (v.). Si ricorda in particolare che le specie che com-
pongono la foresta planiziale hanno un notevole valore per la produzione di legname
mentre l’ambiente specifico si presta inoltre a colture ad accrescimento piuttosto
rapido. Come necessario corollario emerge l’opportunità di scegliere in natura alcuni
popolamenti da impiegare e da trattare come boschi da seme.

Querco- carpineto extrazonale di farnia - Tipico sottobosco mesofilo


di boschetto di carpino bianco con farnia in Garfagnana (fondovalle
presso il Serchio all’altezza di Barga); sono presenti: Geranium nodosum,
Aegopodium podagraria, Hedera helix, Primula vulgaris, Alliaria


8.1. ALNETO IGROFILO E MESOIGROFILO DI
ONTANO NERO E FRASSINO MERIDIONALE

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Il barrato si riferisce al
periodo invernale
 Cenosi isolate e impo-
verite per degradazione,
isolamento e/o abbas-
samento della falda
freatica, senza Fraxinus
oxycarpa

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Sottotipi e varianti


logica Si possono individuare due sottotipi secondo
Vegetazione di suoli paludosi o umidi con il grado di permanenza delle acque affioranti.
ontano nero dominante oppure subdominante Igrofilo (con predominio dell’ontano)
rispetto al frassino meridionale che è assente Mesoigrofilo (misto anche con pioppo
nelle stazioni isolate ed interne del settore bianco, pioppo nero e olmo campestre)
settentrionale. La variante con dominanza di frassino me-
Sottobosco formato da alcune felci (come ridionale si può avere in entrambi i sottotipi.
Thelypteris palustris e la rara Osmunda re-
galis ), i rovi, Mentha aquatica, Solanum dul- Localizzazione
camara, le ortiche e altre. S. Rossore (Palazzetto), Migliarino, Macchia
Corrisponde ad associazioni dell’all. Alnion Lucchese (Viareggio), Tirrenia; molto fram-
glutinosae (Hydrocotylo-Alnetum glutinosae mentariamente altrove.
Gellini, Pedrotti e Venanzoni 1986 e Osmun- Il lavoro di LAMBERTI D., RAFFAELLI M. e
do regali-Alnetum glutinosae Vanden Ber- FIORINI G. (1993) sul lago di Sibolla, biotopo
ghen 1971, descritte per la Selva di S. Ros- fortemente alberato, relativo al solo “ aggal-
sore; la prima associazione esiste anche nella lato” con sfagneta, pone in evidenza la forte
Macchia lucchese (ARRIGONI, 1996, ined.). copertura di Phragmites australis con spora-
Vi si includono anche associazioni di luoghi dica presenza di ontano nero.
a sommersione meno prolungata dell’all.
Fraxinion angustifoliae e cioè Carici remo- Esposizioni
tae-Fraxinetum oxycarpae alnetosum Gelli- Tutte ma più spesso nessuna (pianura).
ni, Pedrotti, Venanzoni 1986 e Alno gluti-
nosae-Fraxinetum oxycarpae (Br. Bl. Distribuzione altitudinale
1915) Tchou 1946. Pochi metri sul livello del mare.


Geomorfologia Interventi antropici più frequenti
Depressioni fra i terrazzi fluviali, oppure fra La Riserva Naturale del Palazzetto è recintata
le dune. Lungo i canali. Terreni alluvionali a e protetta anche dagli animali selvatici. Per
ridosso della cordonata di dune. il resto si tratta di residui frammentari che
possono avere subito trattamenti contestuali
Substrati alle pinete entro cui essi si trovano: taglio del
Materiali alluvionali ricchi di sostanza orga- sottobosco, ecc.
nica. Alcune zone interdunali vicine al mare pos-
sono, oggi, risultare alterate a causa della sa-
Suoli linizzazione della falda freatica.
Acidi, asfittici, a drenaggio impedito, som-
mersi per buona parte dell’anno, oppure con Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
falda freatica molto superficiale. Marcati denze dinamiche
orizzonti a “ gley” causa l’idromorfia. L’inquinamento, oppure la salinizzazione
della falda, possono far regredire questi
Clima popolamenti forestali in canneto di
Temperature medie annue da 14° a 15°. Tem- Phragmites australis. All’opposto, l’ab-
peratura media del mese più freddo da 4° a 7°. bandono della manutenzione ai fossi di
Precipitazioni annue medie intorno a 950 mm; bonifica potrebbe, forse, farli progredire
piovosità media estiva di circa 100-150 mm, dinamicamente.
compensata però dall’acqua di falda.

Specie indicatrici
Sottotipo igrofilo
Alnus glutinosa (domin. o subdomin.) Galium palustre
Fraxinus oxycarpa (sino a subdomin.) Urtica dioica
Ulmus minor (loc.) Carex sylvatica
PERIPLOCA GRAECA Samolus valerandi
HYDROCOTYLE VULGARIS Lycopus europaeus
SOLANUM DULCAMARA Ranunculus repens
Thelypteris palustris Carex elata
Mentha aquatica Scutellaria galericulata
Agrostis stolonifera Hedera helix
Carex pendula Lythrum salicaria
C. remota Osmunda regalis (r)

Sottotipo mesoigrofilo
Faxinus oxycarpa (domin.) Rumex sanguineum
Alnus glutinosa Juncus effusus
Ulmus minor Rubus ulmifolius
Populus alba (loc.) Ranunculus repens
P. nigra (loc.) Mentha aquatica
Frangula alnus Iris pseudoacorus
Ficus carica Potentilla reptans
Periploca graeca Urtica dioica
Carex remota Carex elata
C. pendula Lysimachia vulgaris
C. sylvatica Rubus ulmifolius
Galium palustre R. caesius (loc.)


Selvicoltura pregio (riserve). E’ importante individuare
Interventi colturali selettivi volti al raggiun- popolamenti da trattare e conservare come
gimento di condizioni prossime alla natura- boschi da seme, specialmente per quanto ri-
lità. Evoluzione naturale in siti di particolare guarda il frassino meridionale.


8.2. BOSCO INTERDUNALE DI PIOPPI CON
FARNIA E FRASSINO MERIDIONALE

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- menti (S. Rossore, Piana dell’Ombrone sino


logica al Parco della Maremma).
Selva planiziale costiera, frammentaria, in A questo tipo dovrebbero appartenere i resti
plaghe o strisce disperse per lo più nel con- di vegetazione planiziale rilevati al Padule di
testo di pinete di pino domestico. La flora Fucecchio da TOMEI e GARBARI (1976) che,
arborea comprende in primo luogo pioppo forse a causa dell’abbassamento della falda
bianco poi olmo campestre, pioppo nero, sa- freatica, ospitano anche rovere, roverella, le
lice bianco e anche cerro, roverella e leccio; due eriche, Genista pilosa, Rosa gallica, ecc.,
farnia e carpino bianco sono presenti a nord oltre ad Alnus glutinosa, Populus alba, P.
di Livorno. nigra, Salix alba e S. triandra.
Corrisponde all’associazione Fraxino angu-
stifoliae-Quercetum roboris Gellini, Pedrotti e Esposizioni
Venanzoni (1986) anche nella sottoassociazio- Nessuna (pianura).
ne carpinetosum betuli Gellini et al. che è di
luoghi a sommersione solo invernale (all. Distribuzione altitudinale
Fraxinion angustifoliae Pedrotti, 1970). Da avvallamenti più o meno al livello del
mare a pochi metri sopra di questo.
Sottotipi e varianti
Si possono individuare i sottotipi seguenti : Geomorfologia
con leccio, roverella e cerro (di suoli me- Sistemi dunali: in interduna oppure nella stri-
glio drenati, marginale) scia di pianura subito a monte del cordone di
con farnia e carpino bianco (solo a nord) dune.
a frassino meridionale (Parco della Ma-
remma) Substrati
Misti: di materiali alluvionali e di sabbia di
Localizzazione dune.
Lungo la costa tirrenica, ma sempre in fram-


Suoli glio per la sostituzione con le pinete ma,
Bruni, profondi, ricchi di humus, spesso li- nell’ambito di queste ultime, anche dai tagli
moso-argillosi, soggetti a impaludamenti e periodici del sottobosco per facilitare la rac-
più o meno asfittici (presenza di gley con colta delle pine. Attualmente i suoi residui
concrezioni ferrose), talvolta salmastri o tor- sono minacciati anche dall’espansione del
bosi. fenomeno della salinizzazione delle falde
freatiche.
Clima
Temperature medie annue da 14° a 17°. Tem- Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
peratura media del mese più freddo da 4° a denze dinamiche
9°. Precipitazioni annue fra 700 e 950 mm.; La ricostituzione naturale completa di questo
precipitazioni estive fra 60 e 150 mm, larga- tipo per semplice evoluzione naturale è poco
mente integrate dall’umidità del suolo. probabile. La specie che ha meno probabilità
di reingresso è la farnia. Le specie che hanno
Interventi antropici più frequenti più possibilità di riespansione sono, invece,
I popolamenti di questo tipo sono stati in- il carpino bianco e l’ontano nero secondo il
fluenzati negativamente non soltanto dal ta- grado di umidità del suolo.

Specie indicatrici

Quercus robur (solo a nord) Carex pendula


Carpinus betulus C. sylvatica
Fraxinus oxycarpa Galium palustre
Populus alba Juncus effusus
P. nigra (loc.) Urtica dioica
Salix alba (loc.) Ruscus aculeatus
Ulmus minor Myosotis sylvatica
Quercus cerris (marg.) Rumex sanguineus
Q. pubescens (marg.) Brachypodium sylvaticum
Euonymus europaeus Hedera helix
IRIS FOETIDISSIMA Agrostis stolonifera
MOEHRINGIA TRINERVIA Poa trivialis
VERONICA MONTANA Ajuga reptans
Carex remota Luzula forsteri

Selvicoltura naturale con strutture cioè di bosco naturali-


Questo Tipo, costituito da specie di grande forme) mediante la piantagione delle specie
pregio anche paesaggistico, meriterebbe di che lo compongono in sostituzione di parte
essere esteso (almeno nelle sue presenza ar- della PINETA PLANIZIALE MESOIGRO-
boree se non nella sua perfetta ricostituzione FILA.


8.3. QUERCO-CARPINETO EXTRAZONALE
DI FARNIA (1)

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Polygonato multiflori-Quercetum roboris


logica Sartori 1984 mentre cedui di carpino privi di
Bosco eutrofico e mesofilo, quasi integral- farnia ma con cerro e pioppi sono collocati
mente scomparso, di pianure alluvionali a nell’Asaro europaei-Carpinetum betuli Arri-
drenaggio normale o rallentato, sommerse goni 1996.
solo in caso di piene eccezionali. Attualmente Entrambe le associazioni sono riferite all’all.
è frammentario e per lo più allo stato poten- Alno-Ulmion Br. Bl. e Tx. 1943. Viene se-
ziale. La composizione può essere ragione- gnalata inoltre l’ass. Geranio nodosi-Carpi-
volmente ricostruita come bosco di farnia, netum betuli Pedrotti e al. 1982 che mostra
carpino bianco, acero campestre, olmo cam- una certa affinità con i dati inediti di MON-
pestre, ciliegio, nocciòlo, ecc., con sottobo- DINO (v. oltre).
sco di erbe sciafile esigenti.
Si riscontra sulle prime pendici appenniniche Sottotipi e varianti
interferendo o confinando con i BOSCHI AL- Se esistesse una sufficiente superficie di
VEALI E RIPARI (v.). Si tratta di cenosi punti- Querco-carpineti si potrebbero probabilmente
formi, relitte e impoverite, spesso formate individuare sottotipi e varianti anche secondo
solo da gruppi di farnie, con o senza carpino il clima. Per il momento si può segnalare il
bianco (allora per cause antropiche); questi sottotipo:
boschetti dovevano formare negli impluvi e neutrofilo (su alluvioni recenti a falda ab-
nei fondovalle fasce di transizione a boschi bastanza elevata)
di versante di ambienti più asciutti. acidoclino (tracce in terrazzi lacustri plio-
Secondo ARRIGONI (1996, ined.) i relitti di cenici con depositi molto sabbiosi ed elu-
questo bosco alle Cerbaie rientrano nel viati in Valdarno)

(1) Querco-carpineto a farnia secondo HOFMANN Am, 1992.


Localizzazione peratura media del mese più freddo da 0° a
Potenzialmente nelle pianure e nelle valli a 6°-7°. Minime assolute anche sino a -28° nel-
fondo ampio, oggi a coltivo, della parte set- le valli interne, di -5°, -7° sulla costa. Preci-
tentrionale della regione con relitti rilevati in pitazioni annue da 800 a 1.400 mm.; preci-
aree adiacenti o di transizione a Boschi al- pitazioni estive da 100 a 200 mm. Questi va-
veali e ripari: alle Cerbaie (ARRIGONI, 1996, lori sono in parte compensati dalla falda frea-
ined.); sopra Pistoia, presso Galliano e Scar- tica o dalla situazione di fondovalle.
peria (Mugello), tra Aulla e Fivizzano e sotto
Mulazzo (Lunigiana), presso Barga (Garfa- Interventi antropici più frequenti
gnana) e lungo il torrente Ciuffenna (Valdar- Riduzione a coltura agraria. In seguito anche
no) (MONDINO, dati ined.); il tipo è anche introduzione di specie esotiche che si sono
presente in Casentino. naturalizzate come la robinia.

Esposizioni Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-


Nessuna (aree pianeggianti). denze dinamiche
La ricostituzione naturale dei boschi di questo
Distribuzione altitudinale. tipo è impossibile.
Fino a 200-400 m (i rilievi inediti di MONDI- Nel caso che l’agricoltura di pianura venisse
NO sono compresi fra 80 e 220 m). localmente abbandonata è ragionevole pre-
vedere il ritorno di una vegetazione legnosa
Geomorfologia di particolare rigoglio ma è difficile precisar-
Pianure alluvionali, fondovalle, vallecole laterali. ne la composizione.

Suoli Selvicoltura
Profondi, ricchi di humus, limoso-sabbiosi o Tutte le componenti arboree di questo tipo
limoso-argillosi, neutro-subacidi, freschi, da meritano di essere coltivate; in particolare
bene a mediamente drenati, inondati per brevi conviene ridiffondere il più possibile la far-
periodi. Falda freatica ordinariamente più nia. Di questa specie è già stata individuata
profonda di m 0.80. una popolazione del Valdarno da cui si rac-
coglie il seme.
Clima Altri popolamenti sono utilizzabili per esem-
Temperatura media annua da 10° a 15°. Tem- pio alle Cerbaie.


Specie indicatrici (1)

Quercus robur Carex sylvatica


Q. cerris (loc.) Sanicula europaea
Q. petraea (loc.) Salvia glutinosa
Carpinus betulus Primula vulgaris
Prunus avium Hedera helix
Populus alba Listera ovata
P. nigra Geranium nodosum
Acer campestre Humulus lupulus
Alnus glutinosa Solanum dulcamara
Salix alba (loc.) Stachys officinalis
Sorbus torminalis (loc.) Athyrium filix-femina
Populus tremula (loc.) Anemone nemorosa
Corylus avellana Pulmonaria vallarsae
Euonymus europaeus Viola reichembachiana
Crataegus monogyna Bromus ramosus
C. laevigata (loc.) Festuca heterophylla
Cornus sanguinea Equisetum sp. pl.
Ligustrum vulgare Asarum europaeum (loc.)
Lonicera caprifolium Circaea lutetiana (loc.)
Ulmus minor (arbust.) Hypericum androsaemum (loc.)
Viburnum opulus (loc.) Vinca minor (loc.)
Frangula alnus (loc.) Luzula pilosa (loc.)
Lonicera etrusca (loc.) Cardamine impatiens (loc.)
Melica uniflora Aegopodium podagraria (loc.)
Campanula trachelium Symphytum tuberosum (loc.)
Euphorbia dulcis Rubia peregrina (loc.)
Angelica sylvestris Polygonatum multiflorum (loc.)
Hedera helix Tamus communis (loc.)
Ruscus aculeatus Anemone nemorosa (loc.)

Differenziali del sottotipo acidoclino


Quercus petraea (e forme intermedie
con Q. robur) Solidago virga-aurea
Castanea sativa (loc.) Physospermum cornubiense
Mespilus germanica (loc.) Pteridium aquilinum
Lathyrus niger Festuca heterophylla
Stachys officinalis Cruciata glabra
Molinia arundinacea Serratula tinctoria
Viola alba dehnhardtii Dryopteris affinis (loc.)

(1) Rilevamenti di MONDINO (ined.), ARRIGONI (1996, ined.).


Alneto ripario di ontano nero - Fitto alneto in un vallino delle


 %26&+, $/9($/, ( 5,3$5,

Importanza, caratterizzazione, cenni storici


Queste comunità vegetali, come è noto, si dispongono a fasce più o meno strette
lungo i margini dei corsi d’acqua oppure sugli isolotti che emergono nel letto dei
fiumi. L’Inventario Forestale Toscano ha rilevato anche queste superfici e le rag-
guaglia in 17.392 ettari di "Formazioni riparie". (V. anche Categoria dei BOSCHI
PLANIZIALI DI LATIFOGLIE MISTE). Tale cifra è però molto inferiore a quella
potenziale perchè le opere di bonifica e di arginatura hanno eliminato il ben più
ampio campo di espansione e di influenza delle acque dei fiumi restringendo fra gli
argini gli ambienti più direttamente influenzati dalle acque (v. anche BOSCHI PLA-
NIZIALI DI LATIFOGLIE MISTE).
Quella parte della vegetazione ripariale che rimane più prossima alle acque di
magra dei fiumi (e che viene regolarmente sommersa dalle piene) è composta da
specie rustiche ed arbustive di salici adattati al severo ambiente delle golene sassose:
il salice purpureo (Salix purpurea) e il salice ripaiolo (Salix eleagnos).
Questa cenosi si manifesta soprattutto lungo il Magra in Lunigiana ma è presente
qua e là sull’Appennino. Verso il margine dell’alveo, in un ambiente più tranquillo
ed esposto a sommersioni più rare e di acque meno veloci, e su substrati di solito
sabbiosi, vegetano gli alberi delle golene “ terrose” : Salix alba con, eventualmente,
il salice da ceste (S. triandra), Populus alba e Populus nigra.
Infine, l’ontano nero, nonostante una sua certa specializzazione per i bordi delle
paludi, appare come ospite anche dei boschi ripariali fino a formare addensamenti
di ontaneta che risalgono fino ai tratti incassati dei torrenti montani (limite altitu-
dinale in Toscana a circa 1000 m).
Lo schema generale, valido per i grandi fiumi medioeuropei, non lo è sempre
per la Toscana sia per la minore portata dei corsi d’acqua sia per le manomissioni
antropiche.
Nell’ambito degli alneti quelli di ontano bianco sono stati inseriti nella Categoria
ALNETI DI ONTANO BIANCO E ONTANO NAPOLETANO (v.) data la loro
localizzazione.
Nell’ambito dei BOSCHI ALVEALI E RIPARI (in particolare a nord) esistono


localmente cenosi puntiformi, relitte e impoverite, di farnia, con o senza carpino
bianco (v. QUERCO-CARPINETO A FARNIA - Categoria BOSCHI PLANIZIALI
DI LATIFOGLIE MISTE).
Il significato delle presenze di boschetti o di singoli alberi all’interno degli argini
dei fiumi è contrastante. Da un lato c’è un indubbio e valido aspetto paesaggistico
e, soprattutto, c’è un contributo al poco che rimane della fauna e della flora dei luoghi
umidi. Per contro, le piene maggiori possono prelevare da questi boschetti grandi
masse di detriti e addirittura sradicare alberi interi che poi vengono fluitati finchè
non vanno ad incastrarsi nelle arcate dei ponti o in altri luoghi critici intasando il
corso delle acque e provocando o aggravando l’esondazione a monte.

Aspetti selvicolturali
In Toscana i salici hanno avuto un certo significato economico come piante
coltivate nei campi per la raccolta dei "vinchi" per legature rustiche e materiale
d’intreccio. Boschetti di salice oppure di ontano nero erano tenuti allo stato ceduo
in Versilia con produzioni di biomasse molto elevate.
Attualmente il legno dell’ontano nero è considerato ancora di un certo pregio
in Toscana perchè serve (anche in tronchetti di piccolo diametro) per la fabbricazione
di zoccoli, di forme per scarpe e per altri lavori. Ma non risulta che ci siano più
ontaneti coltivati; la raccolta del legno è limitata alle ceduazioni delle ontanete
ripicole con turni piuttosto irregolari.
I pioppi, in natura, occuperebbero quella porzione più esterna dell’alveo che in
occasione delle piene maggiori rimaneva sommerso da acque calme che deponevano
fertile limo. Oggi questa porzione di territorio è stata ampiamente modificata dalle
coltura agricole o anche dalle abitazioni ed è stata difesa dalle alluvioni tramite gli
argini. Una volta perduto il loro luogo di vegetazione naturale, i pioppi sono stati
reintrodotti, soprattutto un tempo, col pioppo bianco e, nella più recente forma di
pioppeti specializzati, con ibridi euroamericani.
Il pioppeto di pioppo bianco (GAMBI, 1958), DI MEO, 1991) è una coltura molto
caratteristica delle rive del Serchio, della Pianura di Lucca (materiali raccolti dall’Ente
Cellulosa e Carta hanno dato origine al clone “ Villafranca” ) e, sino ad una trentina
d’anni fa, della Versilia. Tale coltura si esercita in piccoli appezzamenti dispersi
lungo la parte esterna degli argini; il turno è di 25-35 anni. I turni dell’ordine dei 10
anni (come nella Pianura Padana) non sono applicati qui a causa della richiesta di
tronchi di dimensioni non piccole, della buona qualità del legno adatta a molti lavori
artigianali e della minore velocità di sviluppo rispetto agli ibridi euroamericani del
pioppo nero a causa delle condizioni ecologiche diverse.
La superficie complessiva dei pioppeti della Toscana, tutti ospitati in questo
Tipo, è stata stimata al 1991 in circa 5.000 ettari. La produzione annua è di 22.300
metri cubi contro un fabbisogno (consumato soprattutto dai mobilifici) di 717.000
metri cubi (BERNETTI I. et al. 1993).


Il tartufo bianco (Tuber magnatum Pico) (REGIONE TOSCANA, 1995a) è un
pregiato prodotto di alcune cenosi inquadrabili in diversi Tipi forestali toscani: ne
sono state individuate ai sensi della L.R. 50/95, cinque principali aree geografiche
di provenienza e cioè: Crete Senesi, Colline Sanminiatesi, Mugello, Valtiberina e
Casentino, all’incirca in senso decrescente d’importanza.
I suoli ospitanti questo tartufo sono ben areati, drenati, freschi tutto l’anno, con
presenza di calcare attivo, poco evoluti oppure disturbati, condizioni che si verificano
nei fondovalle esondati, presso le frane o i versanti in movimento; le stazioni sono
all’interno e ai margini del bosco o, in ambiente non forestale alterato dall’uomo,
nei filari, lungo i fossi e sotto alberi isolati.
Le specie forestali simbionti sul totale di 314 tartufaie studiate (REGIONE
TOSCANA, cit.) sono: il cerro (presente nel 48,0% delle tartufaie studiate), il pioppo
bianco (40,7%), la roverella (36,8%), il pioppo nero (30,4%), il carpino nero (25,5%),
il salice bianco (20.6%) e, con valori inferiori, leccio, nocciolo, farnia, salicone,
carpino bianco e tiglio; specie non micorrizogene più frequenti nei rilievi sono:
l’acero campestre, l’orniello e l’olmo campestre.
L’esposizione prevalente dei terreni in pendio è quella dei quadranti settentrio-
nali, con circa il 30% delle tartufaie, mentre quasi nel 45% dei casi si è in piano. Le
quote estreme risultano comprese fra 0 e 1100 m, però con massima presenza (60.9%)
fra 50 e 300 m di quota.
Un quadro di questo genere dimostra senz’altro che la maggioranza delle tartufaie
interessa la categoria dei Boschi alveali e ripariali (anche potenziali), soprattutto
nella fascia periferica di contatto con vari tipi di querceto nelle cui schede verrà
ricordata di volta in volta la possibile presenza del tartufo.


9.1. SALICETO E PIOPPETO RIPARIO

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- (più maturo e proprio di greti più evoluti


logica in prevalenza sabbiosi, con frequenti ter-
Boschi e boscaglie di aspetto ceduo composti mini di passaggio al seguente
principalmente da salice bianco con salice a ontano (sovente nelle porzioni più om-
purpureo, salice ripaiolo e salice da ceste, ol- breggiate e dove vi è maggior alimenta-
tre che da pioppo bianco e/o pioppo nero. zione idrica; è di transizione all’ALNETO
Vegetazione di alte erbe igrofile e nitrofile, RIPARIO DI ONTANO NERO (v.)
eventualmente con specie proprie di greti, con frassino meridionale (Colline Metal-
spesso terofite. Eventualmente anche presen- lifere e Maremma)
za di ontano nero e di frassino meridionale, a pioppo bianco prevalente (zona più me-
oltre a robinia in posizione marginale. ridionale della regione).
Viene incluso nell’ordine Salicetalia purpu-
reae Moor 1958 e nell’all. Salicion albae Tx. Localizzazione
1955. Tutti i corsi d’acqua della Regione per il se-
Per le aree dov’è presente Fraxinus oxycarpa condo sottotipo. Il primo risulta più osservato
l’inquadramento viene fatto nell’ord. Popu- fra 80 e 200 m, frequente in Lunigiana lungo
letalia albae. il Magra e affluenti. In Pratomagno è stato
indicato da VOS e STORTELDER (1992).
Sottotipi e varianti
I sottotipi dipendono soprattutto dalle specie Esposizioni
arbustive ed arboree in relazione a diverse Varie, spesso zone quasi piane.
condizioni ecologiche:
a salici di greto (proprio di depositi ciot- Distribuzione altitudinale
tolosi ancora soggetti ad essere erosi o ad Dal livello del mare fino a 500 m (anche oltre
essere ulteriormente coperti di ghiaia dalle lungo, ad es., il torrente Orsigna a causa del
piene) suo ampio alveo).
a salice bianco con pioppi, bianco e nero


Geomorfologia fimero nel tempo in quanto, in seguito ad
Golene dell’alveo dei fiumi e dei torrenti, erosione e apporti di materiali può riformarsi
terrazzi lungo gli argini o le sponde, isolotti altrove. I rametti strappati possono, poi, dif-
nel greto. fondere le specie per talea. Si può verificare,
comunque, una successione con aumento del
Substrati salice bianco e dei pioppi, più esigenti, dove
Ciottoli e depositi fluviali sabbioso-terrosi. si hanno apporti di materiale fine e piene con
correnti meno impetuose.
Suoli
Di formazione recente, non evoluti anche se Selvicoltura
talvolta profondi, con vario contenuto di ciot- La destinazione di questi boschi (che fra
toli rispetto alla parte sabbioso-terrosa. l’altro sono spesso di proprietà del dema-
nio fluviale) dipende molto dai singoli pro-
Clima getti di modifica o di manutenzione degli
Molto vario in quanto le specie ripicole hanno alvei. Soprattutto il sottotipo a salici di gre-
sovente vasti areali essendo soprattutto legate to non risulta mai sottoposto a interventi
all’acqua. selvicolturali.
Nella fascia di transizione di questi boschi
Interventi antropici più frequenti ripari con gli adiacenti boschi di roverella e
Tagli molto occasionali magari a titolo di ri- cerro su terreno calcareo si hanno zone di
pulitura. diffusione del tartufo bianco (Tuber magna-
tum Pico); le raccolte si hanno anche in zone
Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten- povere o prive di boschi di versante (Crete
denze dinamiche Senesi) dove la micorrizazione si ha nei relitti
Tipo più o meno permanente anche a causa di boschi ripari su pioppo bianco, pioppo nero
dei danni sopportati durante le piene ma ef- e salice bianco.


Specie indicatrici

Sottotipo a salici di greto


Salix purpurea Chondrilla juncea
S. eleagnos Polygonum sp. pl.
S. alba Xanthium sp. pl.
Robinia pseudoacacia (marg. in.) Agropyron sp.
SAPONARIA OFFICINALIS Eryngium campestre
EPILOBIUM cf. DODONAEI (loc.) Poa compressa
Artemisia alba Blackstonia perfoliata (loc.)
Euphorbia cyparissias

Sottotipo a salice bianco con pioppi


Salix alba (domin.) Rubus caesius
S. triandra (loc.) Festuca gigantea
Populus alba Stachys sylvatica
P. nigra Cardamine impatiens
xP. canadensis Scrophularia nodosa
Alnus glutinosa (loc.) Ranunculus lanuginosus
Salix purpurea (loc.) Symphytum tuberosum
S. caprea (loc.) Primula vulgaris
S. eleagnos (loc.) Brachypodium sylvaticum
Robinia pseudoacacia (loc.) Equisetum arvense
Euonymus europaeus E. telmateja
Cornus sanguinea *Bryonia dioica
Crataegus monogyna Eupatorium cannabinum
Ligustrum vulgare Lythrum salicaria
Corylus avellana (loc.) Angelica sylvestris
Clematis vitalba Alliaria petiolata
Potentilla reptans Galega officinalis
Aegopodium podagraria Bidens tripartita
Solanum dulcamara Carex remota
Circaea lutetiana Petasites hybridus (loc.)
TYPHOIDES ARUNDINACEA Calystegia sepium (loc.)
HUMULUS LUPULUS Ballota nigra
Agropyron caninum *Lamium purpureum
Tamus communis *Parietaria officinalis
Geranium robertianum *Urtica dioica
Geum urbanum *Lychnis alba
Rubus fruticosus s.l. *Galium aparine
Carex pendula *Helianthus tuberosus
Typha angustifolia (loc.) *Sambucus nigra (loc.)
(*Specie nitrofile)

Differenziali del Sottotipo a frassino meridionale(1)


Fraxinus oxycarpa Anemone nemorosa
Carpinus betulus Primula vulgaris
Acer campestre Euphorbia dulcis
Lonicera caprifolium Hedera helix
Melica uniflora

(1) DE DOMINICIS e CASINI, 1979.


9.2. ALNETO RIPARIO DI ONTANO NERO

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Distribuzione altitudinale


logica Dal livello del mare a oltre 1.000 m. Più fre-
Gruppi o strisce più o meno continue di on- quente lungo le rive dei torrenti montani con
tano nero presenti negli impluvi in immediata sponde spesso incassate.
vicinanza delle acque di magra. Intercalazio-
ni con varie specie di salice e locali insedia- Geomorfologia
menti di robinia. Sottobosco di alte erbe igro- In prevalenza in impluvi.
file e nitrofile.
Cenosi di transizione fra le alleanze Alnion Substrati
glutinosae (Meijr-Drees 1936) e Salicion al- Vari.
bae Tx. 1955 con alcune specie ruderali.
Suoli
Sottotipi e varianti Poco evoluti, influenzati dalla estrema vici-
E’ è il caso di sottolineare la presenza in Ver- nanza alle acque correnti ma spesso ricchi di
silia e altrove di un sottotipo: humus e più o meno umidi.
impoverito (non strettamente ripario e de-
gradato anche per abbassamento della fal- Clima
da freatica, assai frammentato, difficil- Vario: dal tipo mediterraneo a tipi montani.
mente inquadrabile sotto il profilo fitoso- Estremi termici molto influenzati dall’inver-
ciologico). sione climatica di fondovalle.

Localizzazione Interventi antropici più frequenti


Lungo i corsi d’acqua, soprattutto nel settore Ceduazioni.
centro-settentrionale della regione.
Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
Esposizioni denze dinamiche
Per lo più assenti (zone pianeggianti o quasi). Si tratta di popolamenti molto influenzati dal-


le vicende di erosione e riporto da parte delle fenomeni di allelopatia con cui i salici pos-
acque fluviali o torrentizie. I rapporti di con- sono evitare la concorrenza degli ontani.
correnza con i salici sono regolati anche da

Specie indicatrici

Alnus glutinosa SOLANUM DULCAMARA


Salix alba (loc.) HUMULUS LUPULUS
S. myrsinifolia (loc.) Equisetum arvense
S. purpurea (loc.) E. telmateja
Acer campestre (loc.) Eupatorium cannabinum
Populus nigra (loc.) Tamus communis
P. alba (loc.) Carex pendula
Robinia pseudoacacia (loc.) Brachypodium sylvaticum
Euonymus europaeus Alliaria petiolata
Clematis vitalba Humulus lupulus
Ligustrum vulgare (loc.) Petasites hybridus
Crataegus monogyna (loc.) Geranium nodosum (loc.)
Cornus sanguinea (loc.) Dryopteris filix-mas (loc.)
Corylus avellana (loc.) Campanula trachelium (loc.)
*Sambucus nigra (loc.) *Urtica dioica
CALYSTEGIA SEPIUM *Galium aparine
RUBUS CAESIUS *Chaerophyllum temulum
*R. ulmifolius

(*Specie nitrofile)

Selvicoltura ricavare tronchetti da zoccoli e per altri pro-


Tagli a ceduo con turno di 25-30 anni per dotti artigianali.


 48(5&(7, ', 529(5(//$

Importanza, caratterizzazione, cenni storici


La roverella (Quercus pubescens Willd.) è una delle specie forestali più comuni
delle colline toscane. Partecipa a molti tipi di bosco misto, poi, avvalendosi della
sua resistenza ai terreni aridi e superficiali, prevale nelle posizioni meno favorevoli
dove il cerro e le altre latifoglie più esigenti non possono vegetare.
In modo particolare, i querceti di roverella caratterizzano il paesaggio dei colli
e dei poggi a substrato calcareo di vario tipo, accentuando la loro presenza nelle
esposizioni soleggiate. Infine, la roverella è anche tanto rustica da potere resistere
all’estrema povertà dei terreni che derivano dalle ofioliti (rocce ferro-magnesiache
come gabbri, serpentine, ecc.).
La plasticità della roverella si manifesta con più fisionomie di popolamento: da
quella di alto fusto (sia pure con piante tozze e un poco contorte) fino alla boscaglia
rada di “ quercioli” e ginestre.
La distribuzione altitudinale, rispetto a quella del cerro, è più ristretta all’ambito
collinare (in genere sino a 6-700 m). Infatti le penetrazioni montane della roverella
sono molto limitate, mentre verso il basso e verso il mare (dopo abbondanti interca-
lazioni e mescolanze), la roverella viene sostituita dalla vegetazione mediterranea
nel ruolo di occupante dei rilievi più aridi.
L’Inventario Forestale Toscano riporta 121.608 ettari di superfici forestali con
prevalenza della roverella con il 91% di cedui e il 9% di fustaie.
La superficie dei boschi “ in cui la roverella è presente“ è di 394.320 ettari
(MERENDI G.A., 1996).
Ai cedui di roverella si applicano due sistemi selvicolturali tradizionali: il ceduo
semplice matricinato e il ceduo composto.
Il ceduo semplice matricinato viene tagliato lasciando come minimo 60 matricine
per ettaro che vengono rilasciate per un solo turno in più.
Il ceduo composto viene tagliato avvicendando un contingente di matricine di
età tale da raggiungere dimensioni di piante di alto fusto, per esempio lasciando al
taglio: 80 nuove matricine per ettaro, 40-50 matricine di due turni e 10-20 matricine
di età superiore.


I boschi di roverella tenuti a ceduo composto sono molto caratteristici della
Toscana e, soprattutto, del paesaggio del Chianti e dei colli aretini. Questa particolare
diffusione è dovuta al relativo pregio del legname da lavoro di roverella e, soprattutto,
alla nota appetibilità della ghianda di roverella per il pascolo dei suini e anche delle
pecore.
Per moltissimo tempo (TARUFFI, 1905; PIUSSI, 1980) i cedui, matricinati o
composti, delle querce caducifoglie sono stati sfruttati col taglio principale al turno
di 12-14 anni, con tagli intercalari per ricavare fascine fatte con polloni di specie
diverse dalle querce e, come se non bastasse, col pascolo.
Questoregimehaindubbiamentefavoritounacertaespansionedeiboschidominatidallaroverella
perchèquestaspecieerapreferitaalcerrocomematricina,perchéitagliintercalari(“sterzi”)eliminavano
sistematicamente le specie concorrenti e, infine, perché la severità dei prelievi allargava l’area dei terreni
degradati confacenti solo alla roverella. Talvolta, nel contesto di interventi di miglioramento forestale,
si procedeva al coniferamento dei boschi e delle boscaglie di roverella con il cipresso.
Poi sono intervenuti i mutamenti; dapprima la pratica dei tagli intercalari è stata
abbandonata fra il 1930 e il 1940 (BELLUCCI, 1953). Poi, tra circa il 1960 e il 1975,
è stata sospesa anche l’esecuzione dei tagli principali che sono ricominciati su po-
polamenti dell’età di 30-35 anni e anche di più; resta dunque chiaro che è in atto un
allungamento del turno consuetudinario. Nel frattempo anche il pascolo si è ridotto
a poche aziende dove viene ancora esercitato ma con carichi limitati.
Le fustaie di roverella si incontrano principalmente in Mugello e in Casentino
e si distribuiscono a piccoli boschi sparsi collocati non lontano dalle case coloniche
perché esse erano tenute per la raccolta della ghianda da somministrare ai maiali. E’
possibile che qualche superficie di ceduo invecchiato sia stata già attribuita all’alto fusto.
Il trattamento passato dei querceti da ghianda non ha mai avuto canoni precisi;
ovviamente, per incrementare la produzione della ghianda e per facilitare la raccolta,
il querceto era tenuto rado e veniva conservato privo di sottobosco arbustivo.
A partire da questi boschetti e dalla pratica di lasciare piante di quercia sparse
nei campi, la roverella ha potuto, talvolta, rinnovarsi e diffondersi nei seminativi
abbandonati creando nuovi boschi che, poi, sono stati trattati a ceduo.
Le utilizzazioni di legna da catasta (cioè destinabile per ardere o per pannelli)
possono essere stimate in circa 100.000 metri cubi all’anno. Le utilizzazioni annue
di legname da lavoro di roverella costituiscono una parte dei 1.500 metri cubi che
le statistiche riportano come "legname di rovere".

Aspetti selvicolturali
Nella seguente tabella, elaborata a titolo orientativo, i boschi a dominanza di
roverella sono rappresentati dalla I alla III classe di fertilità. La IV classe di fertilità
esprime i popolamenti delle stazioni più degradate dove la roverella sopravvive allo
stato di cespuglio.


Classi di fertilità orientative per i boschi cedui di roverella della Toscana.
Altezza media dei polloni in funzione dell’età
&ODVVL GL IHUWLOLWj

(Wj DQQL , P ,, P ,,, P ,9 P

    "

    

    

    

    

    

    

    

"    "
La convenienza a tagliare un ceduo emerge, in linea di massima, quando è
possibile ricavare una massa dell’ordine dei 1.000 quintali per ettaro. E’ stato osser-
vato che i cedui di querce, qualora siano a densità colma, si avvicinano alla massa
precisata quando arrivano a 9-10 metri di altezza media (BERNETTI, 1980). Si può
dunque concludere che il turno attuale dei cedui di roverella delle due classi di fertilità
più frequenti (la II e la III) si colloca fra le età di 25 e di 35 anni.
Questo allungamento del turno, più del doppio rispetto al passato, assieme alla
cessazione del pascolo e dell’uso dei tagli intercalari, comporta indubbiamente un
miglioramento della stazione. Si innescano però dei processi evolutivi da cui derivano,
poi, alcuni problemi selvicolturali.
La minore cadenza dei prelievi, infatti, interrompe l’equilibrio che si era costituito
fra il bosco di roverella e la degradazione antropica e, soprattutto nelle stazioni migliori,
determina la possibilità di ingresso di altre specie concorrenti con la roverella.
Le specie che tendono di più a insediarsi sotto la copertura della roverella sono:
il carpino nero, l’orniello, l’olmo campestre, l’acero campestre e, inoltre, gli arbusti
dei Pruneti: biancospino, prugnolo, sanguinello, ligustro, ecc. Non ci sono, dunque,
specie arboree di particolare valore economico o paesaggistico e anche l’olmo è
mantenuto allo stato cespuglioso dalla malattia della grafiosi.
Negli stadi iniziali tutto l’insieme delle specie arboree ed arbustive forma uno
strato di sottobosco molto denso che rende impossibile la rinnovazione della roverella
o di altre specie di quercia. In questo contesto il taglio del ceduo (secondo il sistema
semplice o composto) agisce nel senso di fare aumentare la densità dei polloni delle
specie del piano inferiore.
Il sistema a ceduo composto a turno lungo, poi, può essere ulteriormente pre-
giudizievole alla presenza della roverella perché un eventuale forte contingente di


matricine può far perire per ombreggiamento molte ceppaie di querce mentre dalle
ceppaie recise delle grosse matricine non si ha più riscoppio di polloni.
Se, per qualche ragione, si ritenesse utile lasciare evolvere un ceduo di roverella
interrompendo del tutto i tagli per molti decenni, allora sarebbe prevedibile che si
formi un bosco di alto fusto di querce sotto la cui copertura il denso strato delle
specie invadenti si sarà man mano ridotto e disperso, determinando condizioni più
favorevoli anche alla rinnovazione della quercia.
Quando ci sono le opportune condizioni di temperatura e quando esistono piante
disseminatrici nelle vicinanze si verifica anche l’ingresso del leccio nei boschi di
roverella. La sempreverde sostiene bene l’ombra della roverella e, una volta insediata,
può dar luogo ad una mescolanza valida sia sul piano produttivo che su quello
paesaggistico.
Un problema attuale è quello di stabilire entro quali limiti possa essere consentito
ad un proprietario di ripristinare la pratica del governo a ceduo in popolamenti di
cedui molto invecchiati tanto da rasentare la struttura di una fustaia.
Nei cedui composti invecchiati l’evoluzione va a totale beneficio delle matricine
che (se la fertilità lo consente) si sviluppano in grandi piante che tendono a chiudere
la copertura ed a provocare la morte di tutte le ceppaie di quercia; solo lo strato di
specie di reingresso può sopravvivere un poco più a lungo. Pertanto, se si vuole
ripristinare il governo a ceduo, bisogna tagliare prima che il popolamento si sia
trasformato in una fustaia, sia pure rada, di alberi grossi e distanziati. Quando la
copertura delle matricine non è ancora completa e i polloni di quercia rimasti vitali
sono sufficienti, si può intervenire con un taglio che, bene inteso, non rilasci troppe
matricine, ma che, in compenso, sia accompagnato da un rinfoltimento artificiale
con piantine di roverella o di altre querce, ivi compreso il leccio. In effetti, fra le
operazioni di miglioramento per i cedui di roverella, i rinfoltimenti artificiali sono
sempre opportuni come pure le piantagioni di arricchimento con il cipresso comune.
L’allevamento faunistico ha buone prospettive di applicazione nel contesto dei
territori caratterizzati da cedui di roverella. Infatti, questi ambienti calcarei subme-
diterranei, pur avendo una vegetazione non eccessivamente rigogliosa, hanno un
notevole numero di specie, non solo arboree ma anche arbustive, che garantiscono
riparo e alimentazione variata agli uccelli e agli ungulati. L’importante è non
eccedere nel carico di questi ultimi.
Il bosco pascolivo è un’antica soluzione esercitata nella forma di boschetto di alto
fusto oppure di ceduo composto. Il maiale non era l’unica specie allevata; si
introducevano anche le pecore e soprattutto i bovini. Il carico eccessivo di bestiame
comporta sempre la formazione di un sottobosco arbustivo composto da specie
rifiutate dal pascolo, fra cui principalmente specie spinose.
Le due attività prima accennate vengono svolte spesso recingendo porzioni più
o meno grandi di bosco per tenervi rinchiusi gli animali. Ne deriva un carico molto
concentrato che esaurisce rapidamente le risorse foraggere e che facilita il prevalere


di specie arbustive spinose. E’ evidente che non si può intervenire a dar luce con dei
tagli perché gli animali distruggerebbero subito qualsiasi ricaccio. Il recinto in bosco,
dunque, ha una utilità temporanea in boschi cedui che, poi, dovranno essere inelut-
tabilmente allevati all’alto fusto perché alla fine saranno troppo vecchi per potere
essere ceduati.
Nei querceti di roverella su suolo calcareo (TOCCI, 1985) vengono raccolti no-
tevoli quantitativi di tartufo nero (Tuber melanosporum Vitt.) che è in relazione
micorrizica anche con specie accompagnatrici quali il leccio, il carpino nero e, più
di rado, il nocciolo.
I suoli tartufigeni sono in genere poco evoluti e poco profondi ma non sottoposti
a perturbazioni, con scarsa sostanza organica, basici e calcarei, ricchi di ciottoli, ben
drenati e aerati, asciutti e caldi d’estate. I boschi sono radi e la degradazione è posta
in evidenza dalla frequenza di Spartium junceum.
La micorrizazione con il tartufo bianco (Tuber magnatum Pico) è un fenomeno
meno diffuso e limitato alle zone più fresche (v. anche BOSCHI ALVEALI E RI-
PARI). Nelle stesse aree calcaree dove si raccoglie il precedente, anche se meno
pregiato, esiste pure lo scorzone (Tuber aestivum Vitt.) che qui è in simbiosi con il
carpino nero e la roverella.

foto

Forma estrema di degradazione di querceto su calcare affiorante in


esposizione ovest, con xerogramineto di Bromus erectus a Helichrysum
italicum e Spartium junceum, già a pascolo, e ora con qualche piccolo


10.1. QUERCETO MESOTERMOFILO
DI ROVERELLA A ROSA SEMPERVIRENS

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Sottotipi e varianti


logica I sottotipi dipendono molto dallo stato di
Ceduo semplice o composto, raramente fu- degradazione del suolo secondo la seguente
staia, di roverella della III o, più spesso, IV progressione crescente (si tratta sempre di
classe di fertilità. Fra le latifoglie consociate boschi radi):
è frequente solo l’orniello, il cerro è raro, con arbusti del Pruneto (ord. Prunetalia):
possibile il leccio. Sottobosco con uno strato biancospino, sanguinello, prugnolo, ecc.,
arbustivo generalmente rado di Coronilla oltre al ginepro comune e al perastro
emerus, Spartium junceum (dominante nelle con ginestra odorosa (= boscaglia a rove-
radure), Lonicera etrusca, ecc.; frequente rella e ginestra) e graminacee xerofile
Asparagus acutifolius ed arbusti dell’ord. con arbusti prevalentemente acidofili
Prunetalia. (suoli silicatici o decalcificati, degradati)
Sui versanti ombreggiati compare il carpi-
no nero che, alla fine, nelle depressioni, Da piantagioni di coniferamento risulta poi
si addensa fino a formare l’OSTRIETO la variante:
TERMOFILO (v.). All’opposto, verso i con cipresso comune (presente anche con
crinali e nei luoghi a suolo molto superfi- piantine da rinnovazione naturale)
ciale, il popolamento di roverella si fa mol-
to scadente. Localizzazione
L’accrescimento si può arrestare oltre ad Particolarmente sui rilievi calcarei come sui
una certa età a causa del disseccamento del- poggi fra Prato, Firenze e Pontassieve (Monti
le cime delle matricine o dei polloni più della Calvana, M. Morello, ecc.), nel Chianti,
grossi; all’estremo, si forma la boscaglia Val di Farma ecc., e, inoltre, sulle piccole
bassa a cespugli di roverella con ginestra plaghe di rocce ofiolitiche di Poggio Ferrato,
odorosa. Ferrone, Impruneta, Monti della Luna, M.
Il Tipo corrisponde all’ass. Roso semprevi- Rognosi presso Pieve S. Stefano, ecc. Nel
rentis-Quercetum pubescentis Biondi 1986. settore meridionale della regione dovrebbero


far parte di quest’associazione e Tipo le ce- (semplice o composto) tenuto al turno di 10-
nosi rade o con esemplari isolati a sottobosco 14 anni con uno o due tagli intercalari e col
assente o poco caratteristico. continuo esercizio del pascolo. E’ possibile
che certe forme di degradazione siano dovute
Esposizioni anche ad abbruciamenti per facilitare
Tutte, tranne quelle settentrionali. quest’ultimo. Vicino alle case si praticava la
capitozzatura delle matricine per ricavarne
Distribuzione altitudinale frasca da foraggio.
Da 200 a 500 m o poco oltre. Alcuni di questi querceti derivano dalla rin-
novazione della roverella in vecchi semina-
Geomorfologia tivi alberati con querce camporili.
Dorsali e pendici assolate in un contesto col- Attualmente il sistema a ceduo matricinato si
linare. Qualche affioramento di roccia. applica col taglio secondo un turno che ve-
rosimilmente si consoliderà attorno a 25-35
Substrati anni. Si riservano da 70 a 150 o più matricine
Calcari marnosi ("alberese"). Scisti calcareo- per ettaro che le prescrizioni consentono di
argillosi ("galestri"). Talvolta anche sabbie e sostituire interamente al taglio successivo.
argille non calcaree e rocce ofiolitiche (fer- Molto spesso queste matricine sono scelte fra
romagnesiache). polloni poco vigorosi e allora sono ricono-
scibili perché il loro fusto si copre di rami
Suoli epicormici e poi perché si incurvano o si
Mediamente profondi o anche superficiali per schiantano.
erosione, pietrosi, con calcare attivo e pH Il taglio dei cedui composti viene praticato
neutro-basico, con elevato contenuto di limo con un avvicendamento di matricine più o
e argilla; talvolta anche eluviati su calcare, meno prudente.
sabbioso-argillosi e allora acidi e privi di cal-
care. Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
denze dinamiche
Clima In questi boschi la prevalenza della roverella
Il clima generale comporta una temperatura è in parte naturale e in parte è il risultato di
media annua da 12° a 16° e una media del una degradazione divenuta oramai quasi per-
mese più freddo da 0° a 3°, con minimi as- manente. In tali condizioni la roverella è in
soluti fino a -15°, -20°, però la posizione so- equilibrio, e si dimostra ancora capace di rin-
leggiata e l’influenza dell’ambiente calcareo novazione naturale, mentre l’ingresso in mas-
offrono un microclima locale più caldo. Pre- sa degli arbusti del Pruneto e del carpino nero
cipitazioni medie annue fra 800 e 1.200 (1.400) è localizzato alle stazioni meno aride. E’ inol-
mm. Precipitazioni estive intorno a 120-150 tre possibile l’insediamento del leccio sotto
mm. Il suolo superficiale e calcareo può, tut- la roverella. La quercia sempreverde (che è
tavia, determinare condizioni di aridità. più tollerante dell’ombra) è ovviamente faci-
litata nella concorrenza con la caducifoglia
Interventi antropici più frequenti finché non trova un impedimento nelle tem-
Il trattamento passato prevedeva il ceduo perature troppo basse.


Specie indicatrici (1)
Cosa si deve
Quercus pubescens CLEMATIS FLAMMULA spostare?
Fraxinus ornus RUBIA PEREGRINA
Quercus cerris (loc.) ASPARAGUS ACUTIFOLIUS
Q. ilex (loc.) Viola alba dehnhardtii
Sorbus domestica (loc.) Hedera helix
Juniperus communis Carex flacca
Cornus sanguinea Teucrium chamaedrys
Prunus spinosa Brachypodium sylvaticum
Ligustrum vulgare Dactylis hispanica
Crataegus monogyna Buglossoides purpuro-coerulea (loc.)
Cornus mas Dorycnium pentaphyllum (loc.)
ROSA SEMPERVIRENS Coronilla emerus (loc.)
SMILAX ASPERA Pyracantha coccinea (loc.)
LONICERA IMPLEXA Tamus communis (loc.)
L. ETRUSCA Lathyrus sylvestris (loc.)

'LIIHUHQ]LDOL GHO ERVFR UDGR FRQ JLQHVWUD RGRURVD H VSHFLH [HURILOH

SPARTIUM JUNCEUM Hippocrepis comosa


Bromus erectus (domin.) Phleum bertolonii
Cistus monspeliensis Scabiosa columbaria
LOROGLOSSUM HIRCINUM Hieracium florentinum (loc.)
TEUCRIUM POLIUM Lathyrus latifolius (loc.)
Astragalus monspessulanum Anacamptis pyramidalis (loc.)
Dianthus carthusianorum Eryngium campestre (loc.)
Helichrysum italicum Lavandula latifolia (loc.)
Sanguisorba minor muricata Onobrychis viciifolia (loc.)
Carlina vulgaris Galium lucidum (loc.)
C. corymbosa

'LIIHUHQ]LDOL GHO ERVFR UDGR FRQ DUEXVWL SUHYDOHQWHPHQWH DFLGRILOL

Erica scoparia Clinopodium vulgare


E. arborea Mespilus germanica (loc.)
Cistus salvifolius Limodorum abortivum (loc.)
Cytisus scoparius Stachys officinalis (loc.)
Luzula forsteri Asplenium onopteris (loc.)
Fragaria vesca

Selvicoltura di miglioramento della stazione rispetto alle


Il trattamento a ceduo matricinato col turno forme di trattamento passato. Il rilascio di
(orientativamente indicato) di 28-35 anni non matricine per un solo turno in più è giustifi-
dà gravi preoccupazioni di dissesto idrogeo- cato da vari motivi purché la scelta cada effet-
logico e sembra offrire già ampie opportunità tivamente sui polloni più vigorosi. Volendo

(1) Da CASINI, CHIARUCCI e DE DOMINICIS (1995).


rafforzare la mescolanza, bisognerebbe riser- Oltre al rinfoltimento con la roverella sono
vare 5-15 matricine per ettaro di leccio da possibili il coniferamento con il cipresso e
allevare, poi, allo stato adulto. l’arricchimento col ciliegio selvatico.
Il sistema a ceduo composto (con lo stesso In questo Tipo sulla roverella si hanno ab-
turno del ceduo senza ripuliture del sottobo- bondanti raccolte di Tartufo nero (Tuber me-
sco) non comporta rischi gravi di concorrenza lanosporum Vitt.) insieme a più ridotti quan-
sul piano dominato ceduo. titativi di Tartufo bianco (Tuber magnatum
Ai fini del taglio dei cedui invecchiati si può Pico), quest’ultimo soprattutto sulle Colline
stimare che la capacità di rigenerazione per Samminiatesi e poi in Casentino, Mugello,
polloni, nonostante la fertilità scadente (e for- ecc. (v. BOSCHI ALVEALI E RIPARI), nel-
se proprio per questo), si mantenga sufficien- le zone fresche a contatto con questi ultimi
te fino a circa 60 anni di età. Nei cedui com- (basse pendici, impluvi).
posti invecchiati è difficile che le matricine Meno pregiato, presente nelle stesse plaghe,
arrivino ad uno sviluppo laterale di chioma ma non legato a salici e pioppi, è lo scorzone
tale da coprire interamente il terreno. (Tuber aestivum Vitt.).


10.2. QUERCETO MESOFILO
DI ROVERELLA E CERRO

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- dazione oppure, all’opposto, dal progresso


logica del carpino nero.
Querceto misto di roverella e cerro (ma la con ginestra dei carbonai (degradato e la-
roverella è per lo meno dominante come ma- cunoso)
tricina di ceduo composto) con carpino nero, con carpino nero
orniello, acero campestre e olmo campestre.
Sottobosco con molti arbusti come: sangui- Dalle piantagioni di coniferamento possono
nello, lonicera etrusca, ligustro, biancospino, derivare le varianti:
ecc. Fertilità varia fra la II e la III; rara la I. con cipresso
Differisce dal QUERCETO MESOTERMO- con pino domestico
FILO DI ROVERELLA A ROSA SEMPER-
VIRENS per la fertilità migliore e per la mag- Localizzazione
giore mescolanza con il cerro e il carpino Poggi calcarei fiorentini, ma soprattutto in
nero. Chianti. Occasionalmente in Casentino e in
Differisce dal QUERCETO MESOXERO- Alta Val Tiberina. Più scarso e meno tipico
FILO DI ROVERELLA A CYTISUS SES- nel settore centro-meridionale.
SILIFOLIUS per la localizzazione geogra-
fica, per alcune variazioni nel corredo flo- Esposizioni
ristico (p. es. per scarsa frequenza di specie Varie, ma per lo più settentrionali.
sempreverdi), ragioni pedologiche e clima
meno piovoso). Distribuzione altitudinale
Corrisponde a Roso sempervirentis-Querce- Fino a 500 metri.
tum pubescentis Biondi 1986 con una sfuma-
tura poco termofila. Geomorfologia
In avvallamenti e in pendici esposte a nord
Sottotipi e varianti in un contesto collinare o pedemontano poco
Dipendono soprattutto dallo stato di degra- accidentato.


Substrati core e anche di bovini. Oggi: ceduo composto
Calcari marnosi ("alberese"), scisti calcareo- a turno di almeno 30 anni. Pascolo ancora
argillosi ("galestri"). presente, ma più raro e con minor carico.
Sono state eseguite piantagioni di conifera-
Suoli mento con il cipresso oppure anche con il
Superficiali, da subacidi a neutri, spesso par- pino domestico.
zialmente decalcificati, non troppo asciutti.. Alcuni di questi popolamenti derivano
dall’invasione della roverella in seminativi
Clima alberati con querce camporili.
Temperatura media annua da 11° a 15°. Me-
dia del mese più freddo da 0° a 3°. Minime Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
assolute anche di -20°, localmente meno ac- denze dinamiche
centuate. Le precipitazioni annue medie pos- Questi querceti sono molto soggetti all’in-
sono essere inferiori a 1.000 mm e quelle gresso del carpino nero e di altre latifoglie.
estive fra 120 e 150 mm però gli effetti della E’ vero che la prospettiva teorica prevede il
siccità sono attenuati dall’esposizione. bosco misto in cui le querce caducifoglie
svolgono ancora un ruolo determinante, ma
Interventi antropici più frequenti la pratica del ceduo (e soprattutto quella del
In passato: trattamento a ceduo composto a ceduo composto) a turno allungato può com-
turno di 12-14 anni con tagli intercalari della portare anche la scomparsa delle querce e
vegetazione arbustiva. Pascolo di maiali, pe- determinare la trasformazione in ostrieto.

Specie indicatrici

Quercus pubescens Cytisus scoparius (loc.)


Q. cerris (codomin.) Rubia peregrina
Acer campestre Asparagus acutifolius
Fraxinus ornus Hedera helix
Ostrya carpinifolia Viola alba dehnhardtii
Cornus sanguinea Brachypodium sylvaticum
Prunus spinosa Buglossoides purpuro-coerulea
Ligustrum vulgare Teucrium chamaedrys
Crataegus monogyna Carex flacca
Lonicera etrusca Tamus communis
Pyracantha coccinea Lathyrus sylvestris
Coronilla emerus Clinopodium vulgare
Spartium junceum Cruciata glabra
Dorycnium pentaphyllum

Selvicoltura di arricchimento con il ciliegio, con la rovere


La prosecuzione del sistema a ceduo semplice o, nelle zone più fresche e a bassa quota, con
e a ceduo composto con turno di 28-35 anni, il frassino meridionale. Nei cedui semplici
sarà sostenibile controllando molto la coper- invecchiati la capacità di rigenerazione per
tura delle matricine. Restano molto auspica- polloni si esaurisce probabilmente verso 40-
bili le piantagioni di rinfoltimento e, talvolta, 50 anni.


I cedui composti invecchiati si trasformano magari accompagnato da una lavorazione su-
rapidamente in fustaie perché il grado di fer- perficiale e localizzata del terreno.
tilità presente favorisce una rapida espansio- Nelle zone fresche dei boschi di questo Tipo
ne della chioma delle matricine. a suolo con buona saturazione in basi (Colline
La rinnovazione da seme della fustaia è pre- Samminiatesi, Mugello e Casentino), a con-
vedibile quando il popolamento si è evoluto tatto con i BOSCHI ALVEALI E RIPARIA-
al punto da non avere quasi più lo strato ar- LI (v.), è possibile la presenza del Tartufo
bustivo denso delle latifoglie e dagli arbusti bianco in simbiosi con roverella, cerro e car-
di invasione. Allora si può fare in una annata pino nero oltre a quella più diffusa del Tartufo
di ghianda abbondante un taglio di sementa- nero che preferisce zone di versante meno
zione che lascia solo 40-50 piante per ettaro, fresche.


10.3.QUERCETO MESOXEROFILO
DI ROVERELLA A CYTISUS SESSILIFOLIUS

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- con molto carpino nero (proprio delle sta-
logica zioni più fertili)
Bosco misto (per lo più ceduo matricinato)
di roverella, orniello e anche di cerro con Localizzazione
carpino nero, acero campestre, ecc. Fertilità Appennino tosco-romagnolo, soprattutto sul
varia, per lo più fra la I e la III classe. versante adriatico.
Strato arbustivo generalmente abbondante
con Cytisus sessilifolius, Spartium junceum Esposizioni
e talvolta Cotinus coggygria, soprattutto ai Varie, ma per lo più meridionali.
bordi e nelle radure.
Appare affine alle associazioni: Orno-Quer- Distribuzione altitudinale
cetum pubescentis Klika sensu Barbero, Gru- Da 400 a 700 metri.
ber, Loisel (1971) e Campanulo mediae -
Quercetum pubescentis (Barbero e Bono Geomorfologia
1971) Ubaldi 1995. Pendici ripide.

Sottotipi Substrati
Il Tipo ha varianti secondo le mescolanze; Scisti della formazione "Marnoso-arenacea".
per esempio:
con cerro Suoli
Relativamente profondi, ma con scheletro ab-
Inoltre ci sono sottotipi legati allo stato di degra- bondante, a pH neutro-basico, spesso con cal-
dazione oppure di evoluzione per esempio: care attivo, tendenzialmente argillosi.
a Brachypodium rupestre (indica esiti da
incendio) Clima
con ginestra odorosa (frequente nei cedui Temperatura media annua da 10° a 15°. Tem-
lacunosi e di minore fertilità) peratura media del mese più freddo da -1° a


+2°. Precipitazioni comprese fra 1.100 e Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
1.400 mm, con siccità estiva attenuata (150- denze dinamiche
200 mm). Si tratta di querceti che, dopo l’attenuazione
del regime dei tagli, sono molto soggetti a
Interventi antropici più frequenti espansioni del carpino nero a partire dalle
Trattamento a ceduo matricinato a turno di posizioni di impluvio.
12-14 anni. Tagli intercalari, pascolo (ora in
diminuzione) e anche abbruciamenti.

Specie indicatrici

Quercus pubescens Lonicera caprifolium


Fraxinus ornus Pyracantha coccinea (loc.)
Quercus cerris (loc.) BRACHYPODIUM RUPESTRE
(spesso domin.)
Ostrya carpinifolia INULA CONYZA
Acer campestre Teucrium chamaedrys
Sorbus domestica (loc.) Cephalanthera ensifolia
Acer monspessulanum (loc.) Carex flacca
Pirus pyraster (loc.) Viola alba dehnhardtii
CYTISUS SESSILIFOLIUS Cruciata glabra
VIBURNUM LANTANA (vers. padano) Carlina vulgaris
COTINUS COGGYGRIA (loc.) Pteridium aquilinum (loc.)
Cornus sanguinea Helleborus foetidus (loc.)
Coronilla emerus H. bocconei (loc.)
Dorycnium hirsutum BUPHTHALMUM SALICIFOLIUM (loc.)
Cornus mas Genista tinctoria (loc.)
Crataegus monogyna Euphorbia cyparissias (loc.)
Juniperus communis Bromus erectus (loc.)
Ligustrum vulgare

Selvicoltura riverebbe dalla graduale invasione del carpi-


Il trattamento corrente è il sistema a ceduo no nero, sarebbero necessari dei rinfoltimenti
matricinato. Quello a ceduo composto accen- con la roverella, oppure con il ciliegio e, nei
tua i rischi di invasione del carpino nero e di luoghi a terreno umido, con il frassino ossi-
altre specie; tuttavia, nei cedui delle fertilità carpo.
migliori, può servire per ricavare efficace- Questo tipo di bosco dà luogo ad apprezzati
mente qualche tronco da lavoro. popolamenti tartufigeni (Tuber melanospo-
Il clima relativamente piovoso apre la pro- rum Vitt.) e, più limitatamente, (in particolare
spettiva per piantagioni di arricchimento an- nelle zone fresche a contatto con i BOSCHI
che con specie esigenti da localizzarsi negli ALVEALI E RIPARI, v.) a quelli di Tuber
avvallamenti. Volendo attenuare quell’impo- magnatum Pico (tartufo bianco).
verimento economico e paesaggistico che de-


10.4. QUERCETO ACIDOFILO
DI ROVERELLA A CERRO

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Toscana centro-orientale, colline tra l’Arno


logica e il Cecina, ecc.
Querceto di roverella con cerro subordinato e
anche con castagno. Tenuto allo stato di ceduo Esposizioni
composto (con matricine di roverella) o anche Varie.
a fustaia rada. Fertilità varia, generalmente at-
torno alla II classe. Sottobosco con arbusti aci- Distribuzione altitudinale
dofili: ginestra dei carbonai, le due eriche Fino a 600 metri.
maggiori, ginestrone (a nord) e anche brugo.
Si può considerare una variante ricca di ro- Geomorfologia
verella di Erico arboreae-Quercetum cerri- Versanti e anche terrazzi fluviali antichi.
dis Arrigoni 1990 che quindi fa passaggio
alla CERRETA ACIDOFILA SUBMEDI- Substrati
TERRANEA A ERICHE (v.), quest’ultima Rocce silicatiche, ciottolami silicatici.
più spesso a quote superiori.
Suoli
Sottotipi e varianti Lisciviati e acidi. Paleosuoli a profilo tronco
con brugo e ginestrone per erosione.
con sole eriche
con pino marittimo (in questo caso, si tratta Clima
di un ceduo coniferato in cui le matricine Temperatura media annua da 10° a 15°. Me-
di quercia possono essere assenti) dia del mese più freddo da -1° a +3°. Preci-
pitazioni annue 800-1100 mm; estive intorno
Localizzazione a 150 mm. Siccità estiva marcata per motivi
Mugello, Chianti, Pratomagno, rilievi della stazionali.


Interventi antropici più frequenti Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
Governo a ceduo con turno breve, tagli inter- denze dinamiche
calari, pascolo, abbruciamenti. La roverella può trovare una certa stabilità
Talvolta questi boschi derivano dall’ingresso perché il suolo acido tende ad escludere o ad
della roverella in castagneti da frutto abban- attenuare l’invasione degli arbusti del Prune-
donati. to e del carpino nero; eventualmente si può
avere un infittimento del cerro o del castagno.

Specie indicatrici

Quercus pubescens Juniperus communis


Q. cerris (subordin.) Lonicera etrusca
Castanea sativa (loc.) J. oxycedrus (1)
Pinus pinaster (loc.) Calluna vulgaris
Acer campestre TEUCRIUM SCORODONIA
Pyrus pyraster Festuca heterophylla
ERICA ARBOREA Serratula tinctoria
E. SCOPARIA Asparagus acutifolius
CYTISUS SCOPARIUS Rucus aculeatus
ULEX EUROPAEUS (loc.) Lonicera etrusca
Rosa sempervirens

(1) Alta Valle del Tevere, Chianti.

Selvicoltura chimenti con la rovere se la stazione non è


Questo tipo si presta bene al governo a ceduo troppo arida. In generale, per incrementare la
composto perché la roverella incontra più dif- produzione del ceduo, converrebbe l’arric-
ficilmente una concorrenza. Possibili arric- chimento col cerro.


10.5. QUERCETO TERMOFILO DI ROVERELLA
CON LECCIO E CERRO

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- base del M. Pisano e dei Monti Metalliferi,


logica Argentario.
Querceto (per lo più a ceduo matricinato) di
roverella, cerro e leccio con carpino nero, Distribuzione altitudinale
orniello, acero campestre e anche con scle- Fino a 300 (500) metri.
rofille come laurotino, corbezzolo e fillirea.
Questo Tipo, che fa passaggio all’ORNO- Geomorfologia
LECCETA CON ROVERELLA DELLE Collinare, talvolta in posizioni scoscese.
ZONE INTERNE, appare su superfici disper-
se incluse nell’ambito delle Cerreta acidofila Substrati
submediterranea o termoigrofila oppure del Per il sottotipo xeromorfo: rocce carbonati-
Querceto mesotermofilo di roverella. Fertili- che, marne o argille; per il sottotipo meso-
tà molto varia: dalla I alla III classe. morfo: rocce silicatiche.
Può corrispondere a Viburno tini-Quercetum
ilicis (Br. Bl. 1936) Riv. Martinez 1975 pu- Suoli
bescentetosum Br. Bl. 1952 oppure a Fraxino Da superficiali a mediamente profondi, a
orni-Quercetum ilicis Horvatic (1956) 1958. provvista idrica variabile a seconda del sub-
strato, pH da subacido a neutro a seconda dei
Sottotipi e varianti sottotipi.
xeromorfo (con roverella e leccio prevalenti)
mesomorfo (con significativa partecipa- Clima
zione del cerro e del carpino nero) Temperatura media annua fra 13° e 15°. Me-
dia del mese più freddo tra 0° e 3°. Piogge
Localizzazione annue da 850 a 1.000 millimetri. Piogge esti-
Colline a sud dell’Arno, propaggini meridio- ve comprese fra 100 e 150 mm (2-3 mesi di
nali del Chianti, colline del Volterrano, alla siccità). Il grado di aridità della stazione di-
pende comunque dal substrato.


Interventi antropici più frequenti gruppamenti più che a mescolarsi tendono a
Taglio a ceduo matricinato. formare boschi che si intercalano fra loro. E’
quindi difficile stabilire un ciclo evolutivo;
Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten- si può opinare che il governo a ceduo matrici-
denze dinamiche nato con turno allungato possa favorire il leccio
Casi come questo di bosco misto a caducifo- perché è la specie più tollerante dell’ombra;
glie e sempreverdi sono meno estesi di quanto il carpino nero è aggressivo solo nei fondo-
si possa pensare perché le specie dei due rag- valle e nelle esposizioni a nord.

Specie indicatrici (1)

Quercus pubescens (domin.) Smilax aspera


Q. cerris (subordin.) Asparagus acutifolius
Q. ilex (subordin.) Carex distachya
Fraxinus ornus Cyclamen repandum
Ostrya carpinifolia (loc.) Ruscus aculeatus
SORBUS DOMESTICA Asplenium onopteris
ERICA SCOPARIA Rubia peregrina
Viburnum tinus Viola alba dehnhardtii
Arbutus unedo Hedera helix
Phillyrea latifolia Brachypodium sylvaticum
Erica arborea Cyclamen neapolitanum
Juniperus communis Carex flacca
Pyracantha coccinea Bachypodium rupestre
Ligustrum vulgare Stachys officinalis (loc.)
Crataegus monogyna Fragaria viridis (loc.)
Clematis vitalba

(1) Da DE DOMINICIS (1973).

Selvicoltura cio hanno l’inconveniente di essere piuttosto


Dato che questo Tipo si presenta a gruppi coprenti.
"inclusi" fra i cedui di cerro, è ovvio che esso Su substrati contenenti calcare può racco-
segua il trattamento che, nelle aziende priva- gliersi il tartufo nero (Tuber melanosporum
te, è per lo più a ceduo matricinato. Le ma- Vitt.) mentre, in zone fresche a contatto con
tricine di leccio possono servire a far sì che i BOSCHI ALVEALI E RIPARI (v.) è pos-
la specie si diffonda in luogo del carpino sibile la presenza del tartufo bianco (Tuber
nero. Nel ceduo composto le matricine di lec- magnatum Pico).


 &(55(7( 

Importanza, caratterizzazione, cenni storici


Il cerro (Quercus cerris L.) è la specie caducifoglia più diffusa in Toscana perché
le sue esigenze ecologiche intermedie fra la rusticità della roverella e le maggiori
necessità della rovere e della farnia, gli consentono di occupare una vasta gamma di
terreni.
Anche il cerro gravita sulle colline ma, rispetto alla roverella, ha maggiori ca-
pacità sia di risalita che di discesa. In montagna arriva a 1.000-1.100 metri insinuan-
dosi fra le faggete nelle esposizioni più calde. Verso il basso e verso il mare si
inserisce fra la vegetazione mediterranea nelle esposizioni meno soleggiate e lungo
i fondovalle fino a raccordarsi ai querceti planiziali.
L’Inventario Forestale Toscano riporta 237.760 ettari di boschi con prevalenza
di cerro, di cui il 93% sono cedui e il 7% boschi di alto fusto. L’incidenza dei boschi
misti in cui il cerro si associa con varie specie (faggio, abete bianco, roverella, carpino
nero, rovere, pino marittimo, farnia, leccio, ecc.) è tale che “ i boschi in cui il cerro
è presente” giungono a ben 441.760 ettari (MERENDI, 1996).
Nella non trascurabile utilizzazione di legna da ardere in Toscana (oltre 600.000
metri cubi annui) il cerro interviene col 60%. L’utilizzazione di legname da lavoro
ammonta a 22.000 metri cubi, ma con prezzi di poco superiori a quelli della legna
da ardere.
I cedui di cerro sono stati trattati principalmente come cedui semplici matricinati
con 60-70 rilasci per ettaro tenuti per un solo turno in più. La pratica del ceduo
composto è stata più rara perché la ghianda di cerro è meno appetita dagli animali
al pascolo e perché il suo legname da lavoro è meno pregiato di quello della roverella.
Tuttavia è possibile che la superficie dei cedui composti con matricine di cerro (o
di roverella e cerro) sia maggiore del previsto.
La storia dei cedui di cerro della Toscana si diversifica secondo due zone geo-
grafiche: una centro-settentrionale e una meridionale.

(1)
Ivi inclusi i suoi boschi misti al farnetto.


I cedui del centro e del settentrione della Toscana sono in uso da più tempo con
i criteri di cui si è già detto a proposito della roverella: turno di 10-14 anni, tagli
intercalari delle specie diverse dalle querce e intensa applicazione del pascolo.
Questo regime di severi prelievi, dannoso a tutte le specie più esigenti, ha pri-
vilegiato la diffusione del cerro. Nei boschi di cerro le specie consociate che sono
state allontanate dalle ceduazioni erano diverse da quelle dei boschi di roverella e
potevano comprendere anche la rovere e la farnia e una certa aliquota di latifoglie a
legno pregiato come l’acero di monte, l’acero opalo s.l., l’acero riccio, il frassino
meridionale, il ciliegio selvatico e i tigli.
I cedui di cerro del nord della Toscana, a causa dell’uso più prolungato, si trovano
in condizioni di minore fertilità e di maggiore degradazione del suolo. Le latifoglie
esigenti sopra elencate sono divenute rare e occasionalmente si possono riscontrare
rifugiate in luoghi di forra.
Più a sud (come sulle Colline Metallifere e in Maremma) il regime dei cedui
è stato influenzato dalla colonizzazione umana più recente, dalla minore densità
della popolazione, dalle maggiori distanze e, localmente, anche dai particolari
assortimenti richiesti dalle miniere. Alcuni boschi cedui derivano da trasforma-
zioni di fustaie avvenute nella seconda metà dell’ottocento, (TARUFFI, 1905; GAB-
BRIELLI, 1980, 1985).
Così i cedui a dominanza di cerro del sud della Toscana sono stati trattati con
turni più lunghi (15-20 anni), senza o con più rari tagli intercalari, e con minore
carico del pascolo. Non sono state rare forme di matricinatura più intense per la
produzione di materiale per l’armatura delle miniere. Grazie alla minore durata e
alla minore severità dei prelievi, i cedui di cerro della Toscana meridionale presentano
in generale una fertilità più alta con più frequenti mescolanze con la rovere, col
frassino meridionale, con l’acero opalo s.l. e con altre latifoglie esigenti.
I cedui di cerro non hanno conosciuto solo lo sfruttamento ma hanno anche
ricevuto interventi di miglioramento. Fra questi sono da ricordare i coniferamenti
col pino marittimo e, soprattutto, i rinfoltimenti e i rimboschimenti per semina di
ghianda. I boschi migliorati, poi, tornavano al trattamento a ceduo.
A partire dal 1920 circa, e soprattutto nell’ultimo dopoguerra dopo il 1955, il
consumo decrescente degli assortimenti di piccole dimensioni ha determinato una
lunga "crisi del bosco ceduo". Nel periodo fra il 1955 e il 1975 i tagli erano tanto
ridotti da far pensare che tutti i cedui di quercia dovessero essere lasciati evolvere
all’alto fusto.
Dopo il 1975, però, i tagli sono stati ripresi perché l’età più avanzata (25-35
anni) e il conseguente maggiore sviluppo dei polloni consentiva sufficienti rese
economiche. Nel frattempo è scomparso l’uso di un assestamento per avvicendamento
di particelle con la conseguenza che le superfici tagliate possono essere anche grandi.
Il solo prodotto dei cedui è la "legna da catasta" e i tagli intercalari non si praticano
più. Il pascolo viene esercitato solo in poche aziende e con carichi molto modesti.


I boschi di alto fusto del cerro (circa 1.700 ettari) sono cedui che, fra il 1970 e
il 1980 circa, sono stati avviati all’alto fusto nelle foreste demaniali con scopi prin-
cipalmente paesaggistici.
Sono state tentate, ma senza un successivo grande esito, alcune forme di tratta-
mento in vista del pascolo come l’avviamento all’alto fusto a strisce alterne (GAMBI,
1984). Anche i boschi di cerro sono stati interessati da recinzioni per l’allevamento
di animali domestici o di ungulati selvatici.

Aspetti selvicolturali
Nella seguente tabella di fertilità (elaborata sui dati di GALIANO, 1992) i boschi
dalla IV classe di fertilità sono soprattutto misti con la roverella. E’ inoltre possibile
che esistano popolamenti di cerro con fertilità superiore alla I.

Tabella generale delle classi di fertilità dei boschi di cerro in Italia


Altezza media in funzione dell’età (GALIANO, 1992)
&ODVVL GL IHUWLOLWj

(Wj DQQL , +P P ,, +P P ,,, +P P ,9 +P P

    

    

    

    

    

    

    

    

    

Per la stima della resa in legna da ardere (espressa in quintali per ettaro, peso
fresco) di un bosco ceduo non troppo vecchio a densità colma, si può accettare la
formula empirica che prende l’altezza media diminuita di 2 metri e moltiplicata per
100 (BERNETTI, 1980). Un bosco ceduo dell’altezza media di 10 m darebbe, pertanto,
800 quintali per ettaro.
I cedui di cerro di fertilità eccezionalmente scadente seguono lo sviluppo in
altezza indicato per la IV classe di fertilità soltanto fino a 25-30 anni; poi l’accre-
scimento si arresta perché alle piante che man mano superano 6-7 m di altezza si
secca la cima (BERNETTI, 1981). I boschi a prevalenza di cerro vengono trattati
ancora secondo il sistema a ceduo matricinato eccettuate la minore aliquota trattata
a ceduo composto e le piccole superfici avviate all’alto fusto nell’ambito di foreste
demaniali. Infine, sono da discutere i rapporti con l’esercizio del pascolo.


Il sistema a ceduo matricinato si pratica con tagli su superfici fino a 10 ettari
in boschi di 20-30 anni di età secondo la fertilità e le contingenze commerciali. Si
riservano quasi esclusivamente polloni rilasciati per un solo ciclo in più mentre le
matricine "adulte" sono solo occasionali. La densità minima delle matricine dovrebbe
essere (secondo le prescrizioni di massima) di 70-80 per ettaro, però le autorità
forestali arrivano ad imporne anche più di 150.
La matricinatura, anche se di un solo turno in più, ha sempre un senso perché
offre la possibilità, sia pure non molto appariscente, di rinnovazione delle ceppaie e
permette di produrre, a fine turno, una aliquota di tronchetti più grossi. Le matricine
devono essere scelte fra il polloni più vigorosi altrimenti vengono troncate dalle
intemperie o raggiunte in dimensioni dai nuovi polloni; tuttavia i tagliatori tendono
a riservare matricine inadeguate e ciò tanto più quanto maggiore è il numero stabilito
anche perchè, quanto più breve è la distanza imposta fra le matricine, tanto più è
difficile trovare polloni vigorosi collocati nel punto voluto.
Nei cedui più fertili l’eccesso della matricinatura può portare ad una riduzione
del vigore dello strato dei polloni di cerro che diventa grave se il taglio ritarda troppo
perché, fra l’altro, il cerro è la quercia caducifoglia che ha maggiori esigenze di luce.
Per conservare il ceduo con una dominanza di querce bisogna dunque dosare la
matricinatura con un certo giudizio. Sarebbe utile sperimentare alcune forme di
distribuzione per gruppi (del resto previsti dalle prescrizioni di massima) come per
esempio a boschetti sparsi oppure a filari lungo le vie di esbosco.
Nei cedui meno fertili, la matricinatura non solo offre il massimo di vantaggi
ambientali (perché è qui che bisogna conservare la densità delle ceppaie e perché è
qui che il cerro si rinnova meglio in assenza di concorrenti), ma provoca anche meno
pericoli perché nelle stazioni poco fertili la capacità di rigenerazione per polloni si
conserva più a lungo.
Come nei cedui di roverella, così anche nei cedui di cerro l’allungamento del
turno, l’abbandono dei tagli intercalari e l’aumento della matricinatura comportano
un miglioramento stazionale cui consegue la tendenza al ritorno spontaneo di specie
diverse dalle querce.
Nei cedui di cerro le migliori condizioni stazionali dovrebbero ammettere l’in-
gresso di latifoglie arboree esigenti e a legno pregiato come la rovere, la farnia, gli
aceri, il ciliegio, il frassino maggiore, il frassino meridionale, i tigli e anche il faggio.
Più di frequente, però, intervengono le stesse specie che invadono i querceti di
roverella (carpino nero, orniello, ecc.), ma la mancanza delle specie esigenti non è
dovuta sempre ai fattori ecologici quanto al fatto che sono scomparse le piante
portaseme di queste specie. Per conseguenza, nell’ambito dei cedui di cerro, le pian-
tagioni di arricchimento con rovere, farnia e altre latifoglie potrebbero avere un
ampio campo di applicazione.
Nelle stazioni mediocri l’invasione con le latifoglie può mancare e la cerreta
può trovarsi in equilibrio. Gli arbusti spinosi del Pruneto (biancospino, prugnolo,


rose selvatiche, ecc.) possono presentarsi come uno strato transitorio dovuto a pre-
cedenti eccessi del pascolo che è soggetto, poi, a scomparire quando il cerro chiuderà
la copertura.
Nei cedui invecchiati, il ripristino del ciclo delle ceduazioni può essere consentito
finché si ritiene che il popolamento possa reagire al taglio con una sufficiente rige-
nerazione per polloni. In linea generale ciò avviene dopo i 30-40 anni di età secondo
la fertilità; la possibilità di rigenerazione è compromessa quando la sezione di taglio
di parecchi polloni risulta superiore a 15 cm di diametro.
Nei cedui composti invecchiati, la situazione presenta maggiori difficoltà perchè
il numero delle ceppaie di cerro può risultare ridotto dall’oppressione delle matricine.
Quando, poi, si è imposta una maggioranza di ceppaie di altre latifoglie, il ripristino
del governo a ceduo non comporta pericoli di carattere idrogeologico, ma solo una
modifica della composizione che il più delle volte avviene con specie di minore
valore commerciale e di minor valore paesaggistico rispetto alle querce. Se la situa-
zione non è compromessa e si può consentire il taglio a ceduo, bisogna avere il
coraggio di lasciare solo poche matricine perchè, nel ceduo di già invecchiato, anche
le matricine sono di età avanzata e quindi capaci di svilupparsi presto a dimensioni
tali da esercitare una forte concorrenza sulle ceppaie.
Se il popolamento è invecchiato oltre i limiti, ma nonostante tutto si vuole ripristinare
il governo a ceduo, allora si può tentare la via dell’avviamento all’alto fusto temporaneo.
Tale procedimento, consigliato dal PERRIN (1954), consiste in questa sequenza di ope-
razioni: 1. diradare lasciando i polloni migliori; 2. attendere che il popolamento si sviluppi
ulteriormente; 3. praticare il taglio di sementazione in una annata di ghianda abbondante;
4. dopo pochi anni, se e quando il novellame si è affermato, fare il taglio di sgombro;
5. ceduare il novellame all’anno del turno del ceduo.
Questa soluzione non è comunque molto facile. Piuttosto, bisogna verificare se
non sia il caso di ovviare alla perdita di capacità di rigenerazione per polloni, ai
cambiamenti indesiderati di specie e ad altri difetti dei cedui, mediante l’introduzione
di specie tramite piantagioni da effettuarsi contestualmente al taglio, in corrispon-
denza di vuoti e, preferibilmente, disponendo le piantine a gruppi densi.
Si possono ipotizzare due tipi di piantagione nel ceduo. Il rinfoltimento con lo
stesso cerro è utile nei popolamenti invecchiati dove si teme che parte delle ceppaie
non potrà più emettere polloni. L’arricchimento, invece, si fa introducendo specie a
legno pregiato ed è indicato per i cedui di buona fertilità invasi da specie di minor
valore. Nei due casi, una parte delle piante introdotte può, poi, essere allevata come
matricina. Pertanto sia il rinfoltimento che l’arricchimento possono risolversi anche
in una premessa per la successiva conversione a ceduo composto o, addirittura, a
bosco di alto fusto.
L’arricchimento con conifere oppure con latifoglie estranee alla flora dei nostri
querceti è pur sempre possibile: per esempio con il cedro dell’Atlante e, nelle stazioni
più fertili, con il noce comune e il noce nero.


L’avviamento all’alto fusto dei cedui di cerro, come si è già accennato, è stato
eseguito in alcuni cedui di proprietà dello Stato e della Regione. Le giovani fustaie
che ne derivano assolvono solo a scopi paesaggistici perchè il principale assortimento
legnoso ricavabile dalle fustaie di cerro (le traversine ferroviarie) sta andando rapi-
damente in disuso.
Nei giovani querceti che ne risultano si insedia un piano inferiore di altre latifoglie
esattamente come nei cedui a turno allungato. L’avviamento all’alto fusto del cerro
ha, dunque, come primo effetto, quello di aumentare la biodiversità.
L’incremento di biodiversità dovuto all’ingresso di altre latifoglie nel bosco di
cerro può, tuttavia, risultare effimero. Dal confronto con esempi di ceduo molto
invecchiato, risulta che il piano di vegetazione inferiore, crescendo sotto copertura,
subirà col tempo una forte selezione numerica, mentre le piante sopravvissute cre-
sceranno esili e filate e andranno a chiudere le lacune del querceto contribuendo così
ad accentuare l’ombra al suolo (BERNETTI, 1995).
In tal modo, nel bosco maturo finale, il cerro riaffermerà la sua supremazia
a meno di ulteriori interventi selvicolturali miranti a dare piena luce anche ad
alcune piante di specie diversa dalle querce.
Per impedire questa involuzione si possono prevedere dei tagli a buche a carico
del cerro eseguiti con lo scopo di dare luce al piano inferiore di insediamento. Le
buche da tagliare a raso devono avere la superficie minima di 2.000 m2 e devono
essere tanto più frequenti quanto maggiore è il valore che si attribuisce alla mescolanza
anche in relazione alle specie presenti.
In aziende dove si pratica anche la zootecnia è stata intrapresa la trasformazione
dei querceti in boschi di alto fusto pascolivo. Con questo nome si intendono boschi
trattati ad alto fusto con accorgimenti tali da renderli adatti alla produzione di foraggio
da pascolo come, per esempio: 1. col taglio a bande alterne a ceduo tagliato a raso
e a ceduo avviato all’alto fusto; 2. col taglio di avviamento all’alto fusto con un
numero minore di piante riservate e 3. col diboscamento parziale a strisce lavorate
e seminate con piante foraggere.
A questo proposito non è possibile trarre conclusioni definitive, soprattutto se
si considerano le conseguenze a lunga scadenza quando le reazioni del bosco possono
comportare la chiusura della copertura e, quindi, la scomparsa del foraggio o quando
il sovraccarico degli animali può provocare l’insediamento di un sottobosco arbustivo
dominato da specie spinose o comunque selezionate fra quelle non appetite.
Nel caso dell’allevamento in recinti in bosco, molto dipende dalla specie
animale allevata e dalla quantità di alimenti apportati dall’esterno. Alcune specie
di animali (come i suini che sono molto mobili), possono provocare col calpestio
gravi erosioni al suolo. Con i ruminanti domestici o selvatici si determina spesso
una forte invasione di arbusti non appetiti fra cui, soprattutto, le specie spinose
degli arbusti del Pruneto.


11.1. CERRETA EUTROFICA
AD ACER OPALUS s.l.

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- glie decidue, di impronta in parte submedi-


logica terranea e in parte medioeuropea e tutti di
Questo Tipo comprende cerrete della I e II suoli silicatici, si collocano fra l’alleanza del
classe di fertilità distinte in particolare dalla Crataego levigatae-Quercion cerridis Arri-
presenza di Acer opalus s.l. Il Tipo si rivela goni 1996, e l’alleanza Quercion robori-pe-
in pieno quando si trova allo stato di ceduo traeae Malcuit 1926. Fra le associazioni ri-
composto invecchiato o di ceduo avviato cordate da ARRIGONI (1996) quella che si av-
all’alto fusto. La fisionomia, allora, è deter- vicina di più a quella del Tipo per la sua
minata da un denso piano inferiore di inse- composizione è Symphyto tuberosi-Querce-
diamento con molte specie mesofile sia ar- tum cerridis Barbero e Bonin 1980.
bustive che arboree, di composizione varia Se questa è la generalità dei casi, su suoli
secondo l’altitudine e la posizione geografi- parzialmente calcarei dell’Alta Valle del Fo-
ca. Alle quote superiori e, soprattutto, glia viene segnalata l’ass. Aceri obtusati-
sull’Appennino appaiono: il carpino bianco, Quercetum cerris (Ubaldi e Speranza 1982)
il carpino nero, l’acero di monte, l’acero ric- Ubaldi 1995.
cio, l’acero opalo, il frassino maggiore, il ci-
liegio, il castagno, il tiglio cordato, il faggio e Sottotipi e varianti
l’abete bianco. Sulle Colline Metallifere e al La cerreta eutrofica si diversifica secondo le
Monte Amiata la partecipazione degli arbusti specie arboree che si inseriscono; ne deriva-
del Pruneto è maggiore, mentre le latifoglie di no, quindi, le seguenti varianti.
maggior diffusione sono: carpino nero, acero con carpino nero (caso frequente)
opalo, castagno, carpino bianco, ciliegio, acero con carpino bianco (un po’ più rara; è pos-
campestre, sorbo torminale, frassino meridio- sibile anche la coesistenza dei due carpini)
nale con non rare roveri oppure piante interme- con rovere e con carpino bianco
die rovere/farnia o rovere/roverella; è ancora con abete bianco
possibile la presenza di faggio e di abete di con acero di monte, frassino maggiore,
bassa quota. Questi boschi mesofili di latifo- carpino bianco e ciliegio


con faggio Badia Prataglia il tipo si presenta come rim-
con nocciolo boschimento fatto con semina di cerro poi
sottoposto a ceduazione per alcuni cicli e,
Localizzazione infine, avviato all’alto fusto. Nelle Colline
Varia e dipendente dai sottotipi. I popolamen- Metallifere si presenta come ceduo derivato
ti di riferimento sono stati osservati a Camal- da conversione recente da fustaia. Al Monte
doli, a Badia Prataglia, nelle Colline Metal- Amiata il tipo si manifesta sia in boschi an-
lifere e sui rilievi esterni arenacei presso il cora cedui matricinati che in boschi cedui
Monte Amiata, M. Cetona, estremo settore composti invecchiati ed evoluti a fustaia rada
Est della regione (v. Substrati). a causa della presa di dominanza delle ma-
tricine.
Esposizioni
Per lo più riparate e tendenti verso nord. Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
denze dinamiche
Distribuzione altitudinale In questi boschi a terreno profondo e in con-
Da 500 a 800 metri. dizioni climatiche e microclimatiche favore-
voli, l’evoluzione è piuttosto rapida. Il bosco
Geomorfologia potenziale è probabilmente un bosco misto
Stazioni favorevoli all’accumulo colluviale di latifoglie esigenti anche con rovere e/o far-
di terreno, come nella parte inferiore delle nia. Il ritorno delle specie dipende ovviamen-
pendici e nelle depressioni. te dalla presenza di piante disseminatrici.
Nella prima diffusione entrano soprattutto i
Substrati due carpini e l’acero opalo. Il ritorno della
Prevalentemente arenarie con intercalazioni rovere e/o della farnia è estremamente pro-
di scisti. Anche lave trachitiche all’Amiata e blematico.
marne con argilliti nelle alte Valli del Foglia La discesa del faggio o dell’abete dipendono
ed del Marecchia. dalla vicinanza a boschi di queste specie che
siano in età matura.
Suoli Un così vivace ritorno della biodiversità na-
Suoli neutri o subacidi, profondi e con humus turale, tuttavia, non è scevro da probabili ul-
ben distribuito nel profilo, a complesso di teriori impedimenti perchè, col passare degli
basi più saturo nelle marne con argilliti e an- anni, gli effetti della concorrenza fra i nuovi
che sulle rocce vulcaniche. venuti si sommano agli effetti dell’ombreg-
giamento delle querce. La mortalità diventa
Clima molto forte e, alla fine, restano solo i soggetti
Temperatura media annua da 10° a 15°. Me- che si inseriscono negli spazi vuoti della co-
dia del mese più freddo da -1° a 2°. Minimi pertura del querceto mentre il suolo torna ad
assoluti fino a -20°. Precipitazioni medie an- essere coperto solo dal sottobosco erbaceo
nue superiori a 1.000 mm. Precipitazioni me- anche con pungitopo e edera (BERNETTI,
die estive superiori a 150 millimetri. 1995). Per queste ragioni la rievoluzione ver-
so il bosco misto può avere bisogno di un
Interventi antropici più frequenti aiuto colturale.
Sono tutti popolamenti precedentemente trat- La presenza di nocciolo corrisponde ad una
tati a ceduo, sia pure con derivazioni e vicen- fase evolutiva di miglioramento dopo un uso
de differenti. Nelle Foreste di Camaldoli e di severo del bosco come ceduo.


Specie indicatrici
Quercus cerris C. monogyna
ACER OPALUS s.l. (freq.) Corylus avellana
Ostrya carpinifolia Euonymus europaeus
Prunus avium Daphne laureola
Acer pseudoplatanus Lathyrus venetus
Acer platanoides (loc.) Melica uniflora
A. campestre (loc.) Potentilla micrantha
Carpinus betulus (loc.) Primula vulgaris
Tilia cordata (loc.) Euphorbia amygdaloides
Fraxinus excelsior (loc.) Hepatica nobilis
Fagus sylvatica (loc.) Ranunculus lanuginosus
Castanea sativa (loc.) Symphytum tuberosum
Abies alba (r) Pulmonaria sp. pl.
Fraxinus oxycarpa (M. Amiata) Helleborus bocconei
Sorbus torminalis (loc.) Listera ovata
Malus sylvestris Carex sylvatica
Pyrus pyraster Sanicula europaea
Crataegus laevigata

Selvicoltura simo per l’avifauna) ed un risultato econo-


Nei boschi ancora trattati a ceduo le pianta- mico a breve termine perchè le matricine di
gioni di arricchimento con latifoglie indigene ciliegio offrono legno commerciabile già a
di pregio (ove difettino allo stato attuale) han- 70-80 anni di età.
no molto significato sia in senso economico In base a considerazioni di economia azien-
che nel senso della ricostituzione ambientale. dale si prospetta la possibilità di impiantare
L’introduzione della rovere e della farnia (da anche noce comune o noce nero (quest’ulti-
differenziarsi secondo la stazione) concilia mo negli avvallamenti più umidi) per farne
più obiettivi: ha lo stesso significato di un delle riserve da tagliare a 60-80 anni di età.
rinfoltimento del ceduo, è una base di reclu- Nei boschi avviati all’alto fusto, ove si vo-
tamento di matricine oppure anche di con- glia, sono opportuni tagli a raso a gruppi
versione graduale all’alto fusto ed è, infine, ampi 2.000 m2 ciascuno a carico del cerro
una opera di ricostituzione ambientale. Il ci- con lo scopo di dare spazio e luce ad almeno
liegio è la specie che meglio concilia un ar- una parte delle latifoglie in corso di inse-
ricchimento di significato ambientale (utilis- diamento.


11.2. CERRETA MESOFILA COLLINARE

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- con arbusti spinosi del Pruneto e con perastro
logica (spesso come conseguenza del pascolo)
Boschi di cerro, per lo più cedui, della II clas-
se di fertilità, consociati con acero campestre, Localizzazione
roverella, con anche carpino nero, talvolta Colline Metallifere e altri rilievi della Ma-
carpino bianco ed, eventualmente, castagno. remma, Pratomagno, Mugello, Casentino
Nelle radure sono frequenti gli arbusti del (salvo in Lunigiana). Più raro nell’Appennino
Pruneto: ligustro, evonimo europeo, bianco- dove lo sviluppo della castanicoltura ha sot-
spini, prugnolo, rose selvatiche, oltre a gine- tratto al cerro i terreni migliori.
pro comune, con edera e pungitopo nei po-
polamenti invecchiati e a densità colma. Esposizioni
Corrisponde a Melico uniflorae-Quercetum Varie, ma prevalentemente a nord alle quote
cerridis Arrigoni 1990, anche con la subass. inferiori.
carpinetosum betuli Arrigoni, Mazzanti,
Ricceri 1990. Distribuzione altitudinale
Da 400 a 800 metri.
Sottotipi e varianti
Sono importanti le varianti secondo la pre- Geomorfologia
senza di latifoglie diverse dalle querce. In Pendici ad inclinazione moderata.
particolare:
a carpino nero (il più comune) Substrati
a carpino bianco e talvolta faggio (alte colline Arenarie e altre rocce silicatiche.
del bacino dell’Ombrone e del Fiora) in espo-
sizione nord secondo ARRIGONI et al. 1990 Suoli
a frassino meridionale (di passaggio alla Subacidi da profondi a mediamente profondi,
CERRETA MESOFILA PLANIZIALE E ben drenati, freschi, con deboli tracce di lisci-
D’IMPLUVIO) viazione; humus ben distribuito nel profilo.


Clima duo (allungamento del turno, incrementi alla
Temperatura media annua da 10° a 13°. Tem- matricinatura, avviamento all’alto fusto) con-
peratura media del mese più freddo da -1° a duce ad una evoluzione relativamente rapida
+3°. Minime estreme anche fino a -20°. Pre- che, per lo più, è mediata dal carpino nero
cipitazioni annue superiori a 1.000-1.200 mm che in alcuni casi può veramente minacciare
(estive superiori a 150 mm), con effetti favo- la permanenza del cerro.
revoli accentuati dal microclima delle espo- Comunque su cedui molto invecchiati o av-
sizioni settentrionali. viati all’alto fusto, l’ingresso delle latifo-
glie può rivelarsi un episodio effimero. In-
Interventi antropici più frequenti fatti lo strato del carpino nero e delle altre
I boschi di questo tipo vengono trattati a ce- latifoglie può rimanere molto selezionato
duo matricinato con matricine tenute per un per l’effetto combinato dell’ombra delle
solo turno in più, raramente a ceduo compo- querce e dei carpini sopravvissuti i quali,
sto. Esistono esempi di avviamento all’alto sviluppandosi, sono andati a chiudere i vuo-
fusto. Ci sono anche esempi in cui (almeno ti residui.
in una prima fase) il cerro ha invaso casta- La mortalità delle piante dello strato inferiore
gneti da frutto abbandonati. è tanto più accentuata in quanto (come per
tutte le specie) le esigenze di luce aumentano
Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten- col crescere dell’età. Anche lo strato di arbu-
denze dinamiche sti spinosi può diminuire di molto col chiu-
L’attenuazione dell’impatto del regime a ce- dersi della copertura.
Specie indicatrici
Quercus cerris MELICA UNIFLORA
Q. pubescens (subordin.) OENANTHE PIMPINELLOIDES
Acer campestre Euphorbia amygdaloides
Fraxinus ornus Festuca heterophylla
Ostrya carpinifolia Brachypodium sylvaticum
Pyrus pyraster Tamus communis
Acer opalus s.l. (loc.) Viola reichembachiana
Carpinus betulus (loc.) Cruciata glabra
Castanea sativa (loc.) Fragaria vesca
Crataegus laevigata Hedera helix
C. monogyna Viola alba dehnhardtii
Cornus mas Stachys officinalis
Prunus spinosa Ruscus aculeatus (loc.)
Clematis vitalba Sanicula europaea (loc.)
Juniperus communis Orchis maculata (loc.)
Corylus avellana (loc.) Lathyrus venetus (loc.)
Rosa arvensis (loc.)
Chamecytisus hirsutus (loc.)

'LIIHUHQ]LDOL GHO VRWWRWLSR D FDUSLQR ELDQFR 


Acer opulifolium (r) Campanula trachelium
Viola reichembachiana Salvia glutinosa
Lathyrus vernus Mercurialis perennis
Primula vulgaris Anenone nemorosa (loc.)

(1) ARRIGONI P.V., MAZZANTI A., RICCERI C. (1990) e FERRARINI (1957).


Selvicoltura ciliegio. Nei boschi avviati all’alto fusto sono
Si tratta di cedui abbastanza produttivi che opportuni tagli a buche per mantenere la me-
possono essere arricchiti con rovere o con scolanza.

Cerreta mesoxerofila - Pendii addolciti su suoli di origine vulcanica con cerrete cedue alternanti a
colture estensive presso Pitigliano (Grosseto)


11.3. CERRETA MESOXEROFILA

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fitosociologica e fisiono- a Spartium junceum (su suoli meno evoluti)


mica
Popolamenti della III e della IV classe di fer- Localizzazione
tilità, raramente della II. Cedui spesso misti A chiazze disperse su tutto l’Appennino ma
con la roverella e l’orniello con carpino nero frequente in particolare nell’Alta Val Tiberi-
solo negli avvallamenti. Matricine basse e ra- na, (Badia Tedalda e Sestino), nella zona di
mose e, occasionalmente, con la cima secca. Sansepolcro, M. Cetona, Massa Marittima,
Sottobosco composto da arbusti del Pruneto, S. Casciano Bagni, ecc. e sul caotico con cal-
ginepro comune e, soprattutto, da ginestra cari che circonda il vulcano dell’Amiata.
odorosa o ginestra dei carbonai secondo il Esposizioni
substrato. Eventuali plaghe con fisionomia di Varie, soprattutto a sud.
boscaglia a cerro e ginestre.
Ci si trova in presenza di boschi in cui la Distribuzione altitudinale
fisionomia generale e la flora di accompa- 400-1.000 metri
gnamento richiama certi querceti di roverella
mentre, invece, prevale il cerro per la quota Geomorfologia
maggiore, per la resistenza ai terreni argillosi Pendici più o meno ripide, crinali, luoghi di-
oppure per il suolo acidificato. rupati.
L’attribuzione fitosociologica risulta incerta.
Substrati
Sottotipi e varianti Scisti a grana fine intercalati all’arenaria
Si possono distinguere i seguenti sottotipi. I macigno; formazione marnoso-arenacea;
più frequenti sono: “ galestro” ; caotico argilloso (= argille sca-
a Brachypodium rupestre (probabilmente gliose), ecc. Anche sui substrati puramente
dovuto al ripetersi degli incendi) silicatici, ma in questo caso il Tipo è molto
a Cytisus scoparius (su substrati relativa- localizzato.
mente acidificati) Suoli


Poco profondi, spesso argillosi, più spesso
neutri, di rado subacidi, sovente con calcare Interventi antropici più frequenti
libero presente in profondità. Ceduazioni, pascolo, incendi.

Clima Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-


Il clima generale è condizionato da: tempera- denze dinamiche
ture media annue fra 7° e 16° e media del mese Dopo l’interruzione delle condizioni di de-
più freddo anche di -1°. gradazione (da cui questo tipo trae origine)
Il clima locale, tuttavia, è influenzato può verificarsi una lenta e parziale evoluzione
dall’esposizione e dalle rocce affioranti. verso un bosco tendenzialmente più denso,
L’effetto delle piogge annue (in media fra ma pur sempre costituito di alberi grossi, toz-
900 e 1.500 mm) è in parte vanificato dal zi, e un po’ contorti. Possibile l’infittimento
soleggiamento della stazione e dalla scarsa naturale con arbusti di Pruneto.
ritenuta idrica dei suoli; piovosità media
estiva variabile da 150 a 200 millimetri.

Specie indicatrici

Quercus cerris Rosa arvensis (loc.)


Q. pubescens (loc.) Cytisus sessilifolius (loc.)
Acer campestre Brachypodium rupestre
Fraxinus ornus B. sylvaticum
Pyrus pyraster Festuca heterophylla
Ostrya carpinifolia (loc.) Tamus communis
Sorbus domestica (loc.) Carex flacca
Crataegus monogyna Cruciata glabra
Prunus spinosa Hedera helix
Juniperus communis Viola alba dehnhardtii
Ligustrum vulgare Ruscus aculeatus
Clematis vitalba Melittis melissophyllum (loc.)
Cornus sanguinea (loc.) Silene italica (loc.)
Spartium junceum (loc.) Pteridium aquilinum (loc.)
Cytisus scoparius (loc.) Viola reichembachiana (loc.)

Selvicoltura tanto sarebbe opportuno prescrivere il rila-


Sono cedui che è conveniente tagliare solo scio di matricine a gruppi, magari lungo le
nell’ambito di un’economia famigliare. L’al- curve di livello.
lungamento del turno e l’abbondanza delle L’arricchimento con latifoglie di pregio non
matricine non comporta pericoli immediati ha significato; può essere importante, invece,
di invasione del carpino nero. In economia il rinfoltimento con orniello e cerro a scopo
pubblica il senso che si può dare a questi protettivo.
boschi è quello di costituire preziosi ele- Nelle zone fresche a contatto con i BOSCHI
menti di biodiversità; in particolare essi co- ALVEALI e RIPARI (v.), ma solo su sub-
stituiscono classici luoghi di sosta per molti strato con calcare attivo, è possibile la pre-
animali. I tagli su superfici relativamente senza di tartufo bianco (Tuber magnatum
grandi possono dar luogo ad erosioni; per- Pico).


11.4. CERRETA ACIDOFILA MONTANA

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Le varianti dipendono dalle possibili presen-


logica ze di altre specie come residuo di passate
Boschi misti che penetrano nell’ambito delle colture o come nuovo insediamento; per
faggete risalendo lungo le esposizioni a sud esempio:
o su dossi a suolo superficiale. Sono cedui di con faggio
cerro radi e di sviluppo modesto appartenenti con abete bianco
alla III o alla IV classe di fertilità. Le mesco- con castagno
lanze variano secondo la microstazione. Di con pino nero (di origine artificiale)
solito sono presenti: orniello, carpino nero e
roverella. Negli avvallamenti si hanno: aceri Localizzazione
del gruppo opalo, acero di monte e anche Appennino, in particolare all’Alpe di S. Be-
faggio, raramente betulla. Sottobosco a bra- nedetto, Alpe della Luna, versante occiden-
chipodio rupestre e/o con arbusti del Pruneto tale del Pratomagno, Lunigiana, Garfagnana.
o anche con brugo e ginestra dei carbonai.
Questo tipo può essere interpretato come un Esposizioni
querceto con prevalenza di specie dell’ord. Pendici esposte a sud oppure crinali e dorsali.
Quercetalia robori-petraeae. Si può inqua-
drare nel Lathyro montani-Quercetum cerris Distribuzione altitudinale
(Barbero e Bono) Ubaldi 1995. Da 700 a 1.100 metri.

Sottotipi e varianti Geomorfologia


I sottotipi dipendono dal substrato e, come Crinale accentuato oppure pendice ripida con
già ricordato, sono: balzi di roccia.
a Brachypodium rupestre (su strati di sci-
sti argilloso-calcarei) Substrati
a brugo e ginestra dei carbonai (su banchi Banchi di arenaria e scisti argilloso-arenacei
di arenaria) della formazione del Macigno. Anche rocce


della formazione marnoso-arenacea e rocce nel trimestre estivo) è diminuito dal soleg-
ofiolitiche (ferro-magnesiache). giamento, dalla pendenza del terreno e dalla
scarsa profondità del suolo.
Suoli
Suoli poco profondi, acidi, piuttosto ricchi di Interventi antropici più frequenti
sostanza organica ma anche di scheletro, con Ceduazioni, incendio, pascolo. E’ possibile
una certa tendenza all’inaridimento, solo de- che ci siano casi interessati da una precedente
bolmente lisciviati. coltura a castagno.

Clima Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-


Il clima generale è condizionato da: tempe- denze dinamiche
rature media annue fra 7° e 13° e media del Dopo l’interruzione delle cause di degrada-
mese più freddo anche di -2°. Il clima locale, zione si verifica una lenta e parziale evo-
tuttavia, ha verosimilmente temperature mag- luzione verso un bosco un po’ più denso,
giori (specialmente nelle massime) per effetto ma pur sempre costituito da alberi bassi e
dell’esposizione e delle rocce affioranti. Per non di buon portamento. Spesso l’effetto più
converso, l’effetto delle piogge (fra 1.200 e immediato è l’infittimento degli arbusti del
1.500 mm annui o più e anche oltre 200 mm Pruneto.

Specie indicatrici

Quercus cerris Teucrium scorodonia


Sorbus aria Viola canina
Acer campestre Veronica officinalis
Castanea sativa Lathyrus vernus
Fagus sylvatica (loc.) L. venetus
Fraxinus ornus (loc.) Physospermum cornubiense
Ostrya carpinifolia (loc.) Hypericum montanum
Acer pseudoplatanus (r) Potentilla micrantha
Acer opalus s.l. (r) Brachypodium rupestre
Cytisus scoparius Tamus communis
Genista pilosa Cruciata glabra
G. tinctoria Hieracium sabaudum
G. germanica Pteridium aquilinum (loc.)
LATHYRUS MONTANUS Festuca tennifolia (loc.)
SERRATULA TINCTORIA

Selvicoltura economia famigliare. Il solo taglio a ceduo


Il significato che si può dare a questi boschi (senza incendi né pascolo) non ha necessa-
è quello di costituire preziosi elementi di bio- riamente effetti catastrofici. Consigliabili
diversità; in particolare sono classici luoghi sempre: la riduzione delle superfici delle ta-
di sosta di molti animali. gliate, l’abbondanza delle matricine (magari
Per il resto, la produttività molto scarsa può disposte a gruppi) e le piantagioni di rinfol-
conciliarsi solo con utilizzazioni a ceduo in timento.


11.5. CERRETA ACIDOFILA DEI TERRAZZI
A PALEOSUOLI

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Sottotipi e varianti


logica Le differenziazioni più evidenti sono le va-
Boschi a prevalenza di cerro su suoli che de- rianti che si possono stabilire in base a quelle
notano una spiccata evoluzione in senso acido specie consociate al cerro che appaiono più
per l’effetto combinato del substrato molto abbondanti o più meritevoli di una segnala-
filtrante, del clima attuale oppure per l’effetto zione.
del clima caldo-umido di epoche passate da con rovere
cui deriva la formazione di paleosuoli venuti a castagno
poi in superficie a causa dell’erosione. Il sot- a pino marittimo
tobosco comprende più categorie di specie
acidofile: (1) quelle comuni all’Europa media Localizzazione
e atlantica (classe Calluno-Ulicetea ): brugo, Bordi degli antichi laghi pliocenici della Val
ginestra dei carbonai, Molinia arundinacea, di Chiana del Valdarno fra Arezzo e Incisa,
Avenella flexuosa, ginestrone. (2) specie aci- Mugello, Pianalto delle Cerbaie, bassi corsi
dofile mediterranee: erica arborea, erica sco- degli affluenti di sinistra dell’Arno.
paria, corbezzolo, cisti, pino marittimo anche
e anche, isolatamente, sughera (MERCURIO, Esposizioni
1985), e (3) specie arboree acidofile o che Varie; trattandosi di terrazzi, la posizione è
preferiscono i terreni acidi come: castagno, sovente di tipo planiziale.
rovere (anche con individui intermedi far-
nia/rovere), pioppo tremolo. Lo sviluppo del- Distribuzione altitudinale
le cerrete è vario e può essere anche da buono 200-400 m (fino a 600 nelle Colline Metal-
a ottimo. lifere).
Si avvicina a Erico arboreae-Quercetum cer-
ridis Arrigoni 1990 e, nelle forme meno ter- Geomorfologia
mofile, a Ilixi aquifoli-Quercetum petraeae Terrazzi, occasionalmente con dirupi dovuti
Arrigoni 1996 in una forma ricca di cerro. all’erosione.


Substrati Interventi antropici più frequenti
Sabbie più o meno argillose con ciottolami Si tratta di boschi che hanno subito un intenso
di arenarie. uso antropico compresa l’introduzione della
castanicoltura (PIUSSI, 1982).
Suoli
Per lo più profondi, ma ricchi di scheletro e Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
marcatamente lisciviati, acidi, con orizzonte denze dinamiche
illuviale rossastro bene evidente. Dove il suolo è meno profondo è possibile
una evoluzione lenta che, in assenza di con-
Clima correnti, permette la rinnovazione delle quer-
Temperatura media annua da 9° a 15°. Media ce. Altrove, l’evoluzione in senso mesofilo
del mese più freddo da -1° a +2°. Piogge comporta l’ingresso del carpino nero, del
annue superiori a 1.000 mm; piogge estive nocciòlo o anche della robinia mentre il pino
intorno a 120-150 millimetri. marittimo viene agevolato da incendi e ce-
duazioni.

Specie indicatrici

Quercus cerris Cistus salvifolius (loc.)


Q. pubescens Pteridium aquilinum
Q. petraea (loc.) AVENELLA FLEXUOSA
Castanea sativa (spesso ceduo) MOLINIA ARUNDINACEA
Populus tremula Hieracium sp. pl.
Pinus pinaster Hedera helix
Cornus sanguinea Festuca heterophylla
Juniperus communis Brachypodium sylvaticum
Cytisus scoparius Cruciata glabra
Lonicera caprifolium Veronica officinalis
Erica scoparia (loc.) Calluna vulgaris (loc.)
Erica arborea (loc.) Ulex europaeus (loc.)
Arbutus unedo (loc.)

Selvicoltura tivamente intensa. Sono molto auspicabili


Questo Tipo comprende boschi che, in eco- piantagioni di arricchimento con la rovere e,
nomia aziendale, possono essere trattati a ce- per offrire nutrimento alla fauna, anche con
duo matricinato col turno di 22-25 anni. Fin- rosacee arboree come ciavardello e sorbo do-
ché le specie concorrenti sono scarse, lo strato mestico.
ceduo sopporta bene una matricinatura rela-


11. 6. CERRETA ACIDOFILA
SUBMEDITERRANEA A ERICHE

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- sottobosco su suoli tendenzialmente argil-


logica losi e in boschi che siano stati percorsi da
Tipo molto diffuso con cedui della II e III incendi).
classe di fertilità (raramente della I), con sot-
tobosco arbustivo a significativa partecipa- Localizzazione
zione di erica arborea, erica scoparia e anche In tutti i terreni silicatici pedemontani e col-
ginestra dei carbonai, coronilla emera e gi- linari della Regione compreso il Chianti,
nestrone. La fisionomia acidofila è attenuata l’Aretino e la Valle del Farma. Nel Grosse-
dalla coesistenza di arbusti del Pruneto (bian- tano le cerrete appartengono per la massima
cospini, prugnòlo, rovi, perastro), oltre che parte a questa associazione (ARRIGONI in ver-
del ginepro comune e dalla consociazione con bis)
roverella, acero campestre, carpino nero, or-
niello ed, eventualmente, leccio. Esposizioni
Corrisponde a Erico arboreae-Quercetum Varie; prevalentemente a sud, mentre verso
cerridis Arrigoni 1990. nord possono confinare con Cerrete mesofile
collinari o anche eutrofiche.
Sottotipi
Si possono distinguere le forme di transizione Distribuzione altitudinale
in senso mesofilo e xerofilo. In particolare si 200-700 (1.000) metri.
possono avere le seguenti varianti:
con Acer opalus s.l. Geomorfologia
a roverella con leccio, talvolta castagno e Collinare o pedemontana.
rovere (1)
a pino marittimo Substrati
Silicatici (macigno, sabbie, ecc.), talvolta cal-
Fra i sottotipi è frequente quello carei (Apuane e, localmente, Colline Metal-
a Brachypodium rupestre (dominante nel lifere).


Suoli semina di ghianda. L’incendio è relativamen-
Suoli non molto evoluti, da acidi a subacidi, te frequente. Incendi ripetuti possono portare
con scarsa lisciviazione (fenomeni di illuvia- alla degradazione in arbusteto a eriche mentre
zione modesti e poco espressi); facile il dis- quelli bassi e meno catastrofici possono fa-
seccamento estivo. Se derivati da rocce cal- cilitare la diffusione di un sottobosco a Bra-
caree sono eluviati in superficie. chypodium rupestre.

Clima Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-


Temperatura media annua da 12° a 15°. Tem- denze dinamiche
peratura media del mese più freddo da -1° a Con l’attenuazione dell’impatto delle cedua-
3°. Precipitazioni annue fra 800 e 1.000 mm; zioni, questi boschi subiscono un progressivo
precipitazioni estive da 100 a 150 mm. infoltimento dello strato arbustivo (in parti-
colare col ligustro) e un primo ingresso di
Interventi antropici più frequenti specie diverse dalle querce in compagine
Questo tipo comprende soprattutto boschi te- molto mista: acero campestre, olmo campe-
nuti a ceduo matricinato. Vi è compreso, tut- stre, acero opalo, orniello, carpino nero, cor-
tavia, qualche rimboschimento eseguito con niolo, ecc.

Specie indicatrici

Quercus cerris Veronica officinalis


Pinus pinaster Festuca heterophylla
Acer campestre Teucrium scorodonia
Castanea sativa Serratula tinctoria
Q. pubescens (loc.) Asparagus acutifolius
Q. petraea (loc.) Ruscus aculeatus
Q. ilex (loc.) Hedera helix
Pyrus pyraster Stachys officinalis
Populus tremula Carex flacca
ERICA SCOPARIA Brachypodium sylvaticum
E. ARBOREA B. rupestre
Cistus salvifolius Viola alba dehnhardtii
Juniperus communis Cruciata glabra
Lonicera etrusca Buglossoides purpuro-coerulea
Crataegus monogyna Fragaria vesca
Rosa sempervirens Rubia peregrina
Rosa agrestis (loc.) Helleborus bocconei
Coronilla emerus (loc.) Geranium sanguineum
Arbutus unedo (loc.) Trifolium ochroleucon
Lathyrus montanus Avenella flexuosa (loc.)
Pteridium aquilinum Molinia arundinacea (loc.)

Selvicoltura coli di oppressione esercitata dalle matricine


Questi popolamenti di fertilità intermedia sono sullo strato dei polloni.
normalmente trattati a ceduo matricinato. In caso di necessità il rinfoltimento col cerro
Alcuni sono trattati a ceduo composto con è sempre indicato. Il terreno è troppo povero
matricine di roverella. e arido per giustificare piantagioni di arric-
La fertilità è ancora sufficiente a creare peri- chimento con specie pregiate di latifoglie.


11.7. CERRETA MESOFILA PLANIZIALE

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- rovere. Sono frequenti le varianti artificiali a


logica pino domestico.
Boschi delle pianure della zona a vegetazione
mediterranea sempreverde in una situazione Localizzazione
extrazonale condizionata dalla presenza di Retroterra costiero sino in Maremma, Valli
falda freatica utilizzabile o comunque dalla a sud dell’Arno, Val di Farma, Valdarno me-
vicinanza ad un corso d’acqua. Il cerro arriva dio.
anche a sviluppi superiori a quelli indicati per
la I classe di fertilità. Esposizioni
Al cerro si associano: farnia, frassino me- Nessuna (zone pianeggianti).
ridionale, pioppo bianco, pioppo nero, car-
pino bianco, carpino nero, ontano nero, lec- Distribuzione altitudinale
cio, sughera, olmo campestre e talvolta fag- Non oltre 200-300 metri.
gio. Rovo anche sviluppato a grandi mac-
chioni e plaghe coperte da erbe alte nitrofile Geomorfologia
e igrofile. Pianura e fondovalle.
Confina spesso con la CERRETA TERMOI-
GROFILA MEDITERRANEA. Substrati
Appartiene all’ass. Melico uniflorae-Querce- Alluvioni. Terrazzi del Pliocene o del Qua-
tum cerridis Arrigoni 1990 (v.). ternario.

Sottotipi e varianti Suoli


Questo tipo ha una distribuzione tanto fram- Profondi, fertili, ricchi di umidità, subacidi,
mentaria e alterata dall’uomo che ogni bo- con falda freatica utilizzabile.
schetto si può considerare una forma a sé. Un
caso particolare è quello dei terrazzi con ciot- Clima
toli calcarei della Valle di Pesa dove c’è la Temperature medie annue comprese fra 14°


e 16°. Media del mese più freddo fra 3° e 7°. matricinato con pascolo. Possibile il sovrac-
Precipitazioni annue al di sotto di 1.000 mm carico di animali selvatici.
e pioggia estiva anche sotto i 120 mm, ma
gli effetti della siccità sono comunque atte- Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
nuati dall’acqua di falda. denze dinamiche
Questi boschi planiziali sono soggetti anche
Interventi antropici più frequenti a rapide evoluzioni e rievoluzioni verso il
Sono residui dei boschi che esistevano prima bosco misto. Nelle fasi immediate sono da
delle bonifiche eseguite nel secolo scorso. prevedere notevoli difficoltà nella rinnova-
Molti si trovano in proprietà pubbliche. Nelle zione delle querce caducifoglie. Il ritorno
proprietà private sono stati trattati a ceduo spontaneo della farnia è impossibile.

Specie indicatrici

Quercus cerris Crataegus monogyna


POPULUS ALBA Rosa sempervirens
P. NIGRA Euonymus europaeus
FRAXINUS OXYCARPA (loc.) Cornus sanguinea
Quercus ilex (marg.) Malus florentina (loc.)
Q. suber (loc.) Carex flacca
Alnus glutinosa (loc.) Buglossoides purpuro-coerulea
Ulmus minor (cesp.) Lathyrus venetus
Fagus sylvatica (r, in quota) Hedera helix
Malus sylvestris Ruscus aculeatus
Pyrus pyraster Calamintha sylvatica
Acer campestre Helleborus bocconei
A. monspessulanum (loc.) H. foetidus
Carpinus betulus (loc.) Brachypodium sylvaticum
Quercus pubescens (loc.) Carex sylvatica
Q. robur (loc.) Festuca heterophylla
Ligustrum vulgare Viola reichembachiana
Coronilla emerus Melica uniflora
Cornus mas Bromus benekenii (loc.)

Selvicoltura terio di lasciare fare alla natura, ma è pos-


Dato che questo tipo si presenta a piccole sibile che, alla fine, si debba ricorrere a
particelle disperse in aziende con finalità dif- interventi rivolti ad accelerare la predispo-
ferenti è difficile fare previsioni sul suo trat- sizione di questi boschi alla biodiversità e
tamento. In economia aziendale è ipotizzabile ad impedire evoluzioni non desiderabili
il taglio a ceduo con ampie possibilità nella come, per esempio, l’invasione di robinia
scelta delle specie da introdurre per arricchi- o come invasioni troppo unilaterali sia pure
mento. In economia pubblica, prevale il cri- di specie indigene.


11.8. CERRETA TERMOIGROFILA
MEDITERRANEA

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Esposizioni


logica In fondovalle, con maggiori risalite sui ver-
Cerrete miste con leccio, sughera, acero tri- santi meno soleggiati.
lobo, carpino nero, sorbo torminale e anche
con frassino meridionale e individui di rovere Distribuzione altitudinale
o intermedi con la roverella. Fino a 300 metri.
Molti arbusti sempreverdi (filliree, lentisco,
laurotino, ecc.), ma anche caducifogli (bian- Geomorfologia
cospini, ligustro ecc.). Ai limiti laterali (su- Bassi versanti e impluvi collinari.
periori) confina con la LECCETA TIPICA
e, in zone più fresche del suo territorio, con Substrati
la CERRETA MESOFILA PLANIZIALE. Alluvionali e colluviali silicatici.
La fertilità è elevata e compresa fra la I e la
II classe. Suoli
Questo tipo si manifesta a chiazze di cerreta Profondi, subacidi, poco evoluti e con humus
che si affermano dove la maggiore umidità ben distribuito. Possibili crisi idriche durante
edafica consente al cerro di essere compe- annate siccitose.
titivo a bassa quota con le sempreverdi.
Può inquadrarsi nel Fraxino oxycarpae- Clima
Quercetum cerridis Foggi e Selvi 1997. Temperatura media annua elevata, compresa
fra 15° e 17°. Media del mese più freddo fra
Sottotipi e varianti 3° a 7°. Piogge annue fra 800 e 1200 mm.
Aree di transizione ricordate prima. Piogge estive superiori a 80 mm.; va tuttavia
considerata l’influenza dell’umidità edafica.
Localizzazione
Maremma, in fascia più o meno ampia lungo Interventi antropici più frequenti
i corsi d’acqua sino alla Val di Cecina. Si tratta spesso di cedui derivanti da tagli di


boschi di alto fusto eseguiti nel periodo com- Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
preso fra il 1750 e il 1900. Il turno è stato di denze dinamiche
9-10 anni, poi di 12-14 anni. Tipo di bosco La rinnovazione del cerro è possibile solo su
ritenuto molto adatto (e di fatto molto sfrut- cicli molto lunghi. E’ possibile che l’avvia-
tato) per il pascolo. Frequente la matricina- mento all’alto fusto comporti una riduzione
tura o il trattamento a ceduo composto. del numero di specie presenti.

Specie indicatrici

Quercus cerris Myrtus communis (loc.)


Q. SUBER Pistacia lentiscus (loc.)
Q. ILEX Cytisus villosus (loc.)
Q. pubescens (loc.) Erica arborea (loc.)
Pyrus amygdaliformis Arbutus unedo (loc.)
Acer monspessulanum (loc.) Smilax aspera
Ostrya carpinifolia (loc.) Rubia peregrina
Sorbus domestica Asparagus acutifolius
S. torminalis Odontites lutea
FRAXINUS OXYCARPA Stachys officinalis
F. ornus Luzula forsteri
Pyracantha coccinea Hedera helix
Paliurus spina-christi (spec. a sud) Brachypodium sylvaticum
Phillyrea latifolia Cyclamen hederifolium
P. angustifolia (loc.) Ruscus aculeatus
Malus sylvestris Ruscus hypoglossum
Viburnum tinus Cruciata glabra
Lonicera implexa Asplenium onopteris
Crataegus monogyna Rubus fruticosus sl.
Ligustrum vulgare Filipendula vulgaris
Clematis flammula Helleborus foetidus
Arbutus unedo (loc.) Genista tinctoria (loc.)

Selvicoltura frassino meridionale, noce comune) è possi-


In economia privata è comune il governo a bile negli avvallamenti. Pascolo possibile,
ceduo con turno di 20-25 anni. L’arricchi- purché non eccessivo.
mento con specie pregiate (rovere, farnia,


11.9. QUERCETO DI CERRO E FARNETTO
A PULICARIA ODORA(1)

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- del bosco misto di latifoglie decidue, in par-


logica ticolare delle cerrete - ARRIGONI, cit.)
Ai limiti settentrionali dell’areale (2) di questa Associazione Pulicario odorae-Quercetum
bella quercia a gravitazione orientale (balca- frainetti (Arrigoni) Ubaldi et al., 1990 (Ord.
nica) i suoi boschi relittuali, per lo più misti Quercetalia pubescentis Br. Bl.).
al cerro - rispettivamente a copertura media,
secondo ARRIGONI (1974), di 58,9% contro Localizzazione
il 53,3% - sono presenti nella parte meridio- Maremma grossetana nei bacini dell’Albegna
nale della regione, in piccoli nuclei disgiunti e del Fiora, tra Capalbio, Marsiliana, Man-
a causa dell’intervento antropico e della par- ciano, Poggio Buco, Ponte S. Pietro, confine
ticolare nicchia ecologica occupata. con il Lazio, Pescia Fiorentina. Un nucleo
Essi hanno una notevole importanza fitogeo- isolato si trova, oltre l’Albegna, a nord di
grafica, naturalistica e anche paesaggistica, Poggioferro lungo il Fosso Senna (v. carto-
nel caso di fustaie in posizione planiziale e, grafia in ARRIGONI, cit.).
comunque, di fondovalle, per lo più a contatto
con cerrete (presso Manciano anche con pre- Esposizioni
senza di faggio). Varie, anche in zone pianeggianti.
La presenza di questa interessante specie non
è stata evidenziata a parte nell’inventario re- Distribuzione altitudinale
gionale della Toscana. Il tipo è stato rilevato fra 30 e 230 (500) m.
Si tratta di boschi a carattere termo-igrofilo
come si può desumere dalla loro composizio- Geomorfologia
ne floristica (variante mesoigrofilo-termofila Vallette fresche e basse pendici collinari.

(1)
Le stazioni poste più a nord di quelle toscane sono solo quelle umbre presso il lago Trasimeno.
(2)
Querceto a cerro e farnetto secondo HOFMANN Am., 1992.


Substrati eventuali deficienze di umidità (in tutta la
Molto vari: suoli alluvionali, colluviali, de- zona si ha un più o meno accentuato deficit
positi fluvio-lacustri, sedimenti continentali idrico estivo) con precipitazioni annue medie
antichi, calcari cavernosi, sedimenti marini e di circa 800 mm e di 80-100 mm nei mesi
continentali più recenti, macigno, argille con estivi. Le stazioni di cerro e farnetto “ rica-
calcari palombini, calcareniti. Il farnetto ap- dono nell’area fitoclimatica dei consorzi mi-
pare indifferente alla natura del substrato. sti di latifoglie decidue” (ARRIGONI, 1972).

Suoli Interventi antropici più frequenti


Profondi, con buona capacità idrica, a rista- Ceduazione parziale, pascolo in bosco (ora
gno invernale nelle zone pianeggianti. Secon- in regresso). Una notevole parte degli antichi
do ARRIGONI (cit.) si tratta spesso di suoli boschi pianeggianti è stata trasformata a col-
bruni, talvolta di “ terre rosse” o suoli A1/C. ture agrarie.
Il pH è in genere subacido, ma talvolta anche
con calcare attivo (mull calcico). Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
denze dinamiche
Clima L’equilibrio fra farnetto e cerro viene rego-
Temperatura media annua di circa 14°-16° e lato dall’uomo attraverso gli interventi selvi-
di 5°-8° per il mese più freddo. Clima di tipo colturali; nelle stazioni più fertili e fresche,
mediterraneo ma le stazioni compensano, però, il farnetto, più esigente, potrebbe essere
grazie alla loro posizione geomorfologica, le favorito rispetto al cerro.

Specie indicatrici

Quercus frainetto Oenanthe pimpinelloides


Q. cerris Fragaria vesca
SORBUS TORMINALIS Lathyrus niger
S. domestica Ruscus aculeatus
Fraxinus ornus Tamus communis
Pyrus pyraster Hedera helix
Acer campestre Festuca heterophylla
A. monspessulanum (loc.) Luzula forsteri
Cornus mas *Ajuga reptans
Prunus spinosa Lathyrus venetus
Crataegus monogyna Stachys officinalis
Rubus ulmifolius *Lathyrus aphaca
PULICARIA ODORA *Dactylis glomerata
SIMETHIS MATTIAZZI (loc.) Buglossoides purpuro-coerulea
*Agrimonia eupatoria *Crepis leontodontoides (loc.)
*Ranunculus bulbosus *Urospermum dalechampii (loc.)
Brachypodium sylvaticum *Echinops ritro (loc.)
Melica minuta arrecta Anemone apennina (loc.)
Cruciata glabra *Asphodelus ramosus (loc.)
Viola dehnhardtii

* Specie trasgressive degli erbosi scoperti (indici di pascolo).


Selvicoltura nell’impossibilità, la presenza del può essere
Popolamenti per lo più cedui riferibili alla I conservata tramite il trattamento a ceduo
classe di fertilità del cerro; talvolta si trovano composto con matricine di farnetto. Si im-
piccoli lembi di fustaia rada. pone l’istituzione di almeno un popolamen-
Auspicabile l’avviamento all’alto fusto; to da seme.

Cerreta acidofila dei terrazzi a paleosuoli - Cerreta cedua con roverella, di classe di fertilità
mediocre, su paleosuoli di colore rossastro con accumulo illuviale di argilla presso Sansepolcro
(Arezzo). Ai bordi si notano: Erica arborea, E. scoparia, Cytisus scoparius e Calluna vulgaris



 %26&+, 0,67, &21 &(552 529(5( (2 &$53,12 %,$1&2

Importanza e cenni storici


I tipi di bosco appartenenti a questa categoria costituiscono una modesta aliquota,
che comunque non è possibile precisare, dei 239.488 ettari che l’Inventario Forestale
della Toscana attribuisce ai “ cedui di latifoglie varie” . Si tratta di aree molto fram-
mentarie intercalate ad altri tipi di bosco (soprattutto alle cerrete e ai boschi di
castagno) in corrispondenza dei tratti a suolo più fertile e fresco.
La flora forestale della Toscana (soprattutto nella sua parte settentrionale) com-
prende, allo stato più o meno sporadico, molte delle specie di latifoglie che preval-
gono, poi, nell’Europa media.
Fra queste specie, l’acero di monte, l’acero riccio, il frassino maggiore e l’olmo
montano sono confinati nell’ambito delle faggete o a quote poco inferiori; la rovere
appare sporadica a quote inferiori, la farnia e l’olmo campestre fanno (o farebbero)
parte dei boschi ripari e planiziali; i tigli sono poco rappresentati; il ciliegio selvatico,
infine, è sempre molto diffuso nelle cerrete, ma senza formare mai addensamenti
significativi.
Quando si parla di querce, emergono anche alcune difficoltà di distinzione. Nel
linguaggio dei pratici, e in alcune statistiche, la rovere comprende anche la roverella
e la farnia. D’altra parte, la “ rovere vera” (Quercus petraea), è stata considerata
fino a qualche tempo fa come una specie rarissima in Toscana o addirittura scomparsa
per cause antropiche mentre, più di recente, le segnalazioni della presenza della
rovere vera si sono fatte sempre più frequenti. Su queste incertezze influisce anche
il fatto che sulle nostre colline appaiono spesso piante di querce con caratteri mor-
fologici misti di roverella e di rovere oppure di farnia e di rovere.
Sembra indubbio comunque che anche la rovere vera fosse largamente presente
nei boschi della Maremma nel ‘700 tanto che la Toscana era esportatrice di legno
di rovere verso l’Inghilterra (GABBRIELLI, 1980, 1985).
Attualmente l’utilizzazione toscana di legno di “ rovere” (che può compren-
dere appunto anche legno di farnia o di roverella) è limitata a circa 1.500-1.800
metri cubi all’anno; ma del resto, l’industria toscana del mobile non fa molto uso
di questo legno neanche di importazione. I prezzi del legname tondo di produzione


interna , in ogni modo, arrivano al livello di 250.000 lire al metro cubo
(BERNETTI I et al., 1993).
Il carpino bianco (Carpinus betulus) è senza dubbio più frequente in Toscana.
Notoriamente è specie ben lontana dall’avere l’importanza della rovere nella tradi-
zione degli usi del legno e nel paesaggio, ma resta tuttavia una specie la cui distri-
buzione è strettamente legata a quella della rovere e della farnia. Pertanto le sue
presenze nei boschi toscani sono altrettanto meritevoli di essere evidenziate come
testimonianza dei collegamenti con la flora padana e d’oltralpe.
Le presenze in Toscana delle specie che, poi, si sono distribuite fino a caratte-
rizzare il paesaggio medioeuropeo si spiegano come relitti rimasti arroccati nelle
plaghe con condizioni del suolo più favorevoli, circondati e minacciati dall’espan-
sione di specie più resistenti all’aridità e più esigenti di calore.
Su questi equilibri instabili l’azione dell’uomo è poi intervenuta sia intenzio-
nalmente che indirettamente.
Per esempio, i boschi un tempo ospitanti la rovere e il carpino bianco sono stati
sostituiti con le colture agrarie o con i castagneti; d’altronde la riduzione a ceduo
dei boschi di latifoglie provocava condizioni di suolo e di microclima svantaggiose
per le specie medioeuropee e invece favorevoli all’invasione delle specie submedi-
terranee.
Attualmente le presenze del carpino bianco e le più rare presenze della rovere
seguono le seguenti tendenze. Nei luoghi in cui la colonizzazione umana è stata più
antica e continua (come per esempio nell’Appennino e nelle colline della valle
dell’Arno) la rovere è veramente molto rara mentre il carpino bianco è ancora repe-
ribile nel contesto di cerrete, di castagneti e, talvolta, di faggete.
La rovere riappare, anche con addensamenti significativi, sui rilievi retrostanti
alle pianure bonificate nell’’800 dove il generale ambiente malarico ha tenuto lontano
l’uomo più a lungo. Così sui poggi e sulle colline della Maremma interna (DE
DOMINICIS e CASINI, 1980) e anche sulle colline delle Cerbaie che erano a contatto
col Padule di Bientina.
DE DOMINICIS e CASINI (1979) la segnalano in Val di Farma, CUTINI, MERCURIO
e NOCENTINI (1955) in V. di Chiana (ad es. presso Lucignano) mentre CUTINI e
MERCURIO (1995) la indicano per la foresta di Caselli con cerro prevalente e, ancora,
per Sargiano (Arezzo); in Maremma (DE DOMINICIS e CASINI, 1980) vegeta con
cerro, farnetto, carpino bianco e frassino meridionale e, nella cerreta a Melica uniflora
viene indicata da ARRIGONI (1996, ined.)
Nella concorrenza con il cerro, con la roverella e con il carpino nero, la rovere
resiste meglio nelle zone a suolo filtrante e acido. Pertanto alla rovere si associano
anche specie comuni dei suoli acidi, considerate almeno in parte a distribuzione
subatlantica, come Calluna vulgaris, Cytisus scoparius, Avenella flexuosa, ecc.


Aspetti selvicolturali
I boschi misti con rovere e carpino bianco, dato il loro carattere di relitti vege-
tazionali, dovrebbero, come principio generale, essere destinati ad una gestione con-
servativa.
A questo scopo occorrono prima di tutto opportuni accorgimenti di carattere
assestamentale per ovviare agli inconvenienti relativi al modo frammentario con cui
si distribuiscono questi popolamenti. Nelle foreste in cui si ha notizia della presenza
di zone di bosco con rovere e carpino bianco e di altre, più estese, con carpino bianco,
occorre una indagine per reperire, cartografare e catalogare tali superfici a titolo di
“ particelle” o di “ sottoparticelle” . Questa operazione non è difficile nell’ambito
delle foreste di proprietà pubblica dove periodicamente si compilano i piani di as-
sestamento.
Non è detto, poi, che la gestione di queste aree debba limitarsi ad un semplice
abbandono all’evoluzione naturale perché i dinamismi vegetazionali che interven-
gono in aree precedentemente influenzate da secolari ed estese alterazioni antropiche
non sono da considerarsi tanto come "evoluzioni naturali", provvide ed equilibratrici,
ma piuttosto come evoluzioni di postcoltura, capaci anche di aggravare lo stato delle
specie in via di scomparsa.
La rovere vera è una specie esigente di luce che, nel contesto di un bosco misto
con altre specie, può rinnovarsi solo se viene posta in condizioni di potere espandere
la chioma a dimensioni adatte ad una abbondante disseminazione e solo se il novel-
lame è protetto dalla concorrenza di altre specie.
Un solo individuo non è sufficiente alla riproduzione perché le piante di rovere,
isolate e costrette all’autofecondazione, producono poca ghianda e semenzali poco
vigorosi. E’ da vedere, poi, se tutti i boschi contenenti la rovere che sono rimasti
debbano essere considerati solo come una curiosità museale e scientifica oppure se,
a partire da alcuni nuclei, si debba procedere al recupero economico di questa preziosa
specie e all’allargamento della sue presenza anche con rimboschimenti, con rinfol-
timenti e con arricchimenti di cedui. La prima cosa da fare in questo senso è indi-
viduare delle popolazioni da seme e trattarle di conseguenza.
Il carpino bianco in Toscana non ha una diffusione paragonabile a quella
dell’Europa centrale, ma non si può certamente dire che sia una specie rara. Piuttosto
sono rari o rarissimi (e quindi meritevoli di una speciale segnalazione) i carpineti
quasi puri oppure i querceti con piano inferiore dominato dal carpino bianco. Trat-
tandosi di una specie mediamente tollerante dell’ombra, è possibile una certa diffu-
sione spontanea.
Resta inteso che i boschi con una significativa presenza del carpino bianco
denotano condizioni mesiche (cioè di freschezza e di fertilità del terreno) che possono
essere particolarmente adatti anche alla coltura artificiale della rovere.


12.1. CARPINO-QUERCETO MESOFILO
DI CERRO CON ROVERE

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Sottotipi e varianti


logica I boschi di questo tipo si manifestano in
Boschi cedui (spesso composti) in cui il cerro modo molto frammentario e occasionale co-
e il carpino bianco sono le specie più frequen- sìcché ogni plaga ha caratteristiche sue pro-
ti ma dove si trovano piante di rovere o tal- prie. Comunque è interessante distinguere
volta di farnia (oppure di quercia intermedia un sottotipo:
fra rovere e roverella oppure fra rovere e far- mesotermofilo con leccio e specie della
nia), sovente anche addensate a gruppi. Inol- macchia mediterranea (p. es. nella Foresta
tre, nei cedui composti e nei boschi con fi- Regionale di Decimo e Buriano)
sionomie prossime all’alto fusto si trova un
abbondante piano inferiore di varie altre spe- Localizzazione
cie: sorbo ciavardello, acero campestre, ca- Valdarno, Cerbaie, Mugello, Pratomagno,
stagno, ecc. con vari arbusti. Bacino del Cecina (ARRIGONI, cit.), Colline
Eventuali sono il carpino nero oppure talvolta Metallifere, Maremma interna (tra Roccastra-
anche il leccio con altre specie della macchia da e Montalcino), Val di Chiana e Senese.
o, raramente, il faggio (dove questo è presente
si ha l’ass. Fago sylvaticae-Quercetum cerris Esposizioni
(De Dominicis et Casini) Ubaldi, 1995). Sot- Varie.
tobosco di specie nemorali relativamente esi-
genti, con specie acidofile più frequenti nelle Distribuzione altitudinale
zone asciutte. Il Tipo risulta composito sotto il 400-600 metri.
profilo floristico, comprendendo, oltre agli ele-
menti dell’ord. Quercetalia robori-petraeae Geomorfologia
Tx. 1931, a seconda delle condizioni locali, an- Pendici a pendenze molto moderate.
che elementi mediterranei oppure, al contrario,
elementi mesofili come appare dall’elenco Substrati
delle specie indicatrici. Silicatici.


Suoli si proseguono i tagli del ceduo. Gli avvia-
Profondi, ricchi di humus, relativamente fre- menti all’alto fusto si praticano nelle foreste
schi, subacidi, ben drenati. demaniali dove (nella Maremma e nel Sene-
se) questo Tipo è relativamente frequente.
Clima
Temperatura media annua di 10°-16°. Tempe- Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
ratura media del mese più freddo da 0° a 4°. denze dinamiche
Piogge medie annue 800-1.200 mm; piogge esti- Le ceduazioni (soprattutto a ceduo composto)
ve 120-150 mm. Siccità estiva moderata dalle danno continuo vigore al piano ceduo e, quin-
buone caratteristiche idriche del terreno. di, conducono ad un impedimento assoluto
alla rinnovazione della rovere. Il recupero na-
Interventi antropici più frequenti turale, tramite il governo a fustaia, è possibile
I tagli intensi e le riduzioni a ceduo che hanno a lunghissima scadenza e tanto più incontra
provocato la rarefazione della rovere si sono difficoltà quanto più le popolazioni della
verificati fra il 1700 e il 1850. Attualmente quercia sono ridotte a poche piante.

Specie indicatrici (1)


Quercus petraea Teucrium scorodonia
Q. cerris (anche domin.) Brachypodium sylvaticum
Q. ilex Stachys officinalis
Fraxinus ornus Tamus communis
Sorbus domestica Viola alba dehnahrdtii
S. torminalis Cruciata glabra
Carpinus betulus Cyclamen hederifolium
Pyrus pyraster Digitalis micrantha
Fagus sylvatica (loc.) Pteridium aquilinum
Castanea sativa (loc.) Solidago virga-aurea
Acer campestre (loc.) Hieracium gr. sylvaticum
Ostrya carpinifolia (loc.) Lathyrus montanus
Ilex aquifolium (loc.) Physospermum cornubiense
Malus florentina (loc.) Poa nemoralis
Prunus spinosa Platanthera clorantha
Malus sylvestris Viola reichenbachiana
Juniperus communis Primula vulgaris
Erica scoparia Symphytum tuberosum
Crataegus monogyna Anemone nemorosa
Corylus avellana (loc.) Allium pendulinum
Cytisus scoparius Brachypodium rupestre
Rubus ulmifolius Luzula pilosa (loc.)
Luzula forsteri Festuca heterophylla (loc.)
(1) Da DE DOMINICIS e CASINI (1980)

Selvicoltura la specie nel suo ambiente; per esempio si


Occorre individuare popolamenti sufficien- può praticare il taglio raso di boschi cedui
temente caratterizzati appartenenti a questo privi di rovere (ma adatti ad ospitarla e, ma-
Tipo per evidenziarli come particelle assesta- gari, adiacenti ai nuclei esistenti) seguito su-
mentali o come sottoparticelle anche per isti- bito da piantagioni di arricchimento con
tuire dei boschi da seme. Il recupero della gruppi di rovere.
rovere può essere fatto al meglio diffondendo


12.2. QUERCETO ACIDOFILO
DI ROVERE E CERRO

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fitosociologica e fisiono- CASINI (1980) colgono una realtà variegata


mica pur contando parecchie specie dell’ord.
Boschi cedui o, talvolta, cedui avviati all’alto Quercetalia robori-petraeae e altre acidofile.
fusto di rovere e/o di querce a caratteri inter-
medi con la farnia, con cerro, castagno, sorbo Sottotipi e varianti
ciavardello, ecc., talvolta anche agrifoglio. Questo Tipo ammette almeno due importanti
Possibile la presenza di faggio in condizioni sottotipi:
di discesa a quote basse. Sottobosco con mol- con faggio ed, eventualmente, poca rovere
te specie acidofile: brugo, erica scoparia, eri- rispetto al cerro
ca arborea, ginestra dei carbonai, Molinia con agrifoglio e minore partecipazione di
arundinacea, ecc. specie acidofile, privo di carpino bianco
Le due associazioni principali indicate da AR- (vicino al QUERCO-CARPINETO ME-
RIGONI (1996, ined.), Hieracio racemosi- SOFILO DI CERRO CON ROVERE) e
Quercetum petraeae Pedrotti, Ballelli, Bion- due varianti:
di, 1982 e Ilixi aquifoli-Quercetum petraeae con pino marittimo
Arrigoni 1996, si riferiscono a boschi acido- con robinia (più frequente nel secondo sot-
fili di rovere dell’ord. Quercetalia robori-pe- totipo)
traeae Tx. 1931 anche se con specie trasgres-
sive della cl. Querco-Fagetea. Localizzazione
Il Tipo risulta composito sotto il profilo flo- Colline delle Cerbaie, Monti Metalliferi, Val-
ristico, comprendendo, a seconda delle con- darno, Val di Chiana, zona di Arezzo.
dizioni locali, oltre a quelli dell’ord. Querce-
talia robori-petraeae, pochi elementi medi- Esposizioni
terranei e dei Quercetalia pubescenti- pe- Varie.
traeae Klika 1933, come risulta dall’elenco
delle specie indicatrici. Distribuzione altitudinale
I dati relativi ai rilievi di DE DOMINICIS e 200-500 metri.


Geomorfologia Interventi antropici più frequenti
Versanti collinari, terrazzi pliocenici a pen- I boschi di questo tipo, impoveriti di rovere,
dici moderate. hanno subito ceduazioni da molto tempo. E’
possibile che alcuni tratti siano boschi di re-
Substrati invasione di castagneti da frutto, abbandonati
Silicatici: ciottolami, arenarie grossolane, ecc. nel ’700 o anche prima.

Suoli Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-


Di varia profondità, acidi, a drenaggio molto denze dinamiche
libero, relativamente freschi, lisciviati e con La rovere ha potuto resistere su questi suoli
orizzonte illuviale bene evidente. acidi grazie alle buone caratteristiche idrolo-
giche e alla circostanza che l’acidità del suolo
Clima ostacolava la presenza o il vigore delle specie
Temperatura media annua da 10° a 16°. Tem- concorrenti.
peratura media del mese più freddo da 0° a Pertanto la rinnovazione naturale della rovere
+3°. Precipitazioni annue di 900-1200 mm, non dovrebbe essere difficile. C’è però il rischio
estive da 120 a 150 mm. Aridità estiva poco che ogni evoluzione nel senso dell’aumento di
sensibile e moderata dalle caratteristiche idri- fertilità del suolo possa andare a vantaggio di
che del suolo. specie più esigenti e concorrenziali.

Specie indicatrici (1)


Quercus petraea Calluna vulgaris
Q. cerris Hedera helix
Q. ilex (loc.) Viola alba dehnahrdtii
Q. robur (loc. a nord) Stachys officinalis
Castanea sativa (loc.) Carex flacca
Fraxinus ornus Brachypodium rupestre
Sorbus domestica Teucrium scorodonia
S. torminalis Luzula forsteri
Pyrus pyraster Festuca heterophylla
Carpinus betulus (loc.) Lathyrus montanus
Juniperus communis Solidago virga-aurea
Crataegus monogyna Pteridium aquilinum
Erica arborea Asplenium onopteris
E. scoparia Cephalanthera rubra
Prunus spinosa Fragaria vesca
Cytisus scoparius Tamus communis
Mespilus germanica (loc.) Oenanthe pimpinelloides
Ilex aquifolium (loc.) Cruciata glabra
Malus florentina Molinia cfr. arundinacea (loc. a nord)
Rosa gallica (loc.) Hieracium racemosum (loc. a nord)
R. arvensis (loc.) Succisa pratensis (loc. a nord)
Frangula alnus (loc. a nord) Hieracium gr. sylvaticum (loc.)
Genista pilosa (loc.) Serratula tinctoria (loc.)
G. germanica (loc.) Ruscus aculeatus (loc.)
Rubus ulmifolius Physospermum cornubiense (loc.)
Avenella flexuosa (loc.) Poa nemoralis (loc.)
Veronica officinalis (loc.)

(1) DE DOMICIS e CASINI, 1980; ARRIGONI, 1996, ined.


Selvicoltura piante a chioma sufficientemente espansa,
I boschi di questo tipo sono da individuare e adatte alla produzione di molta ghianda. Pos-
delimitare anche come boschi da seme. I po- sibile l’estensione artificiale della rovere per
polamenti da seme dotati di piante più nume- piantagione interposta in cedui circostanti
rose andrebbero allevati in modo da avere dopo il loro taglio a raso.


12.3. CARPINETO MISTO COLLINARE
(-SUBMONTANO) A CERRO

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- a carpino bianco e nocciòlo; proprio di


logica avvallamenti umidi delle Colline Metalli-
Boschi per lo più cedui a carpino bianco, cer- fere e Monti della Calvana (ARRIGONI e
ro e talvolta rovere (entrambe le querce sono BARTOLINI, 1992) e probabilmente altrove
presenti anche come matricine), acero opalo, (ultima unità) (1)
carpino nero, ciliegio, nocciòlo, e molti ar-
busti del Pruneto. Sottobosco di specie me- Localizzazione
sofile ed esigenti. Colli della Maremma (valli dell’Ombrone,
Corrisponde a cenosi mesofile e eutrofiche del Farma e del Fiora), Calvana. Appennino
dell’all. Crataego levigatae-Quercion cerri- sul versante adriatico (Alto Reno); raramente
dis Arrigoni 1996: Melico uniflorae-Querce- in Lunigiana e Garfagnana.
tum cerridis carpinetosum betuli Ubaldi e
Speranza 1982, Arisaro proboscidei-Carpi- Esposizioni
netum betuli (Ubaldi e Speranza 1982) Ubal- Varie. Principalmente a nord e riparate.
di 1995, Carpino betuli-Coryletum avellanae
Ballelli et al. 1981. Distribuzione altitudinale
100-500 (750) metri.
Sottotipi e varianti
a cerro con carpino bianco (tipicamente in Geomorfologia
Appennino sul versante Adriatico, sopra i Impluvi anche ripidi in un contesto collinare.
650 m: penultima unità fitosociologica ci-
tata. Osservata anche da MONDINO (ined.) Substrati
presso Firenzuola e Marradi Silicatici. Talvolta scisti arenaceo-argillosi.
a faggio e castagno (p. es. nell’Alto Reno)

(1) Corilo-carpineto secondo HOFMANN Am., 1992.


Suoli Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
Profondi e ricchi di humus mull ben incor- denze dinamiche
porato, piuttosto freschi, subacido-neutri. Il carpino bianco, allo stesso modo del car-
pino nero, può essere ceduato indefinitamen-
Clima te fintanto che il suolo non vada incontro a
Temperatura media annua da 8° a 15°. Tempe- degrazione.
ratura media del mese più freddo da -2° a +3°. Pertanto, finché dura il regime ceduo (e so-
Precipitazioni annue medie da 800 a 1.200 prattutto un regime ceduo a turno lungo), il
(1.500) mm, estive intorno a 150 (200) mil- carpineto è soggetto a permanere.
limetri. Nel contesto di un regime a fustaia, invece,
si può ipotizzare l’eventuale ritorno della
Interventi antropici più frequenti rovere o di altre grandi latifoglie esigenti
Ceduazioni e altri interventi antropici che purché ci siano piante da seme nelle vi-
hanno provocato la riduzione delle presenze cinanze.
della rovere.
Specie indicatrici
Quercus cerris Corylus avellana
Q. pubescens Euonymus europaeus
Q. petraea (loc) Rosa arvensis
Carpinus betulus MELICA UNIFLORA
Fraxinus ornus Lathyrus venetus
Acer opalus s.l. Primula vulgaris
A. campestre Euphorbia amygdaloides
Malus sylvestris Hepatica nobilis
Fagus sylvatica Campanula trachelium
Ostrya carpinifolia (loc.) Symphytum tuberosum
Tilia cordata (loc.) Festuca heterophylla
Prunus avium (loc.) Oenanthe pimpinelloides
Pyrus pyraster Luzula forsteri
CRATAEGUS LAEVIGATA Viola reichembachiana
C. monogyna Fragaria vesca
Cornus mas Buglossoides purpuro-coerulea
Daphne laureola Viola dehnhardtii
Juniperus communis

'LIIHUHQ]LDOL GHOO·DVV $ULVDUR SURERVFLGHL&DUSLQHWXP EHWXOL

ARISARUM PROBOSCIDEUM Bunium bulbocastanum


Arum maculatum Salvia glutinosa
Aegopodium podagraria Geranium nodosum
Listera ovata Pulmonaria saccharata
Helleborus bocconei

'LIIHUHQ]LDOL GHOO·DVV &DUSLQR EHWXOL&RU\OHWXP DYHOODQDH

Asperula taurina Adoxa moschatellina


Galium odoratum Galanthus nivalis
Corydalis bulbosa Scilla bifolia
Cardamine bulbifera Euphorbia dulcis
C. graeca Acer obtusatum (loc.)


Selvicoltura che occupano si prestano bene alle piantagio-
Il tipo si manifesta a zone troppo circoscritte ni di arricchimento con la rovere o con altre
per avere canoni selvicolturali suoi propri. E’ specie a legno pregiato.
certo che le plaghe a terreno fresco e fertile

Carpineto misto collinare (e submontano) a cerro. - Bosco misto di carpino bianco e cerro
nell’impluvio del torrente Ardenza sotto Valle Benedetta (Livorno)


Ostrieto di neoformazione - Fase finale d’invasione di castagneto abbandonato da parte del carpino
nero presso Fivizzano (Lucca). Il castagno è deperiente.


 2675,(7,

Importanza e caratterizzazione dei boschi a prevalenza di carpino nero


Secondo l’Inventario Forestale Toscano, i boschi a dominanza di carpino nero
coprono 56.144 ettari, quasi tutti governati a ceduo. Inoltre, la specie è molto diffusa
anche nei boschi misti tanto che la superficie “ dei boschi in cui il carpino nero è
presente” è di 218.400 ettari (MERENDI G.A., 1996).
Secondo HOFMANN (1982) la superficie dei boschi puri più quella dei boschi misti
con “significativa” presenza del carpino nero ascendeva a 70.500 ettari alla fine degli
anni ‘70. Poiché un’analoga sottostima è stata verificata anche in Veneto (DEL FAVERO
et al., 1989), è possibile supporre che la specie abbia avuto un effettivo aumento di
superficie per diffusione naturale recente. Il carpino nero si trova su terreni derivanti
sia da rocce silicatiche che da rocce carbonatiche, ma è sui rilievi di queste ultime
che forma popolamenti spesso quasi puri e tanto estesi da influire sul paesaggio.
La distribuzione altitudinale è piuttosto ampia, sia pure con orientamenti e com-
portamenti diversi. Verso il limite superiore (600-1.000 m) il carpino nero si colloca
sulle esposizioni soleggiate. Inoltre, dove piove molto (come sulle Alpi Apuane), si
comporta anche come specie pioniera colonizzatrice di ghiaioni.
Nell’ambito collinare dei querceti caducifogli (fra 600 e 200 m circa) il carpino
nero evita sempre di più i terreni aridi, abbandona il comportamento pioniero e diventa
una specie invadente dei querceti soprattutto nelle esposizioni verso nord. Nel pieno della
fascia mediterranea, infine, il carpino nero va a localizzarsi nelle depressioni e lungo
i torrenti.
Nella complessità geologica delle Alpi Apuane, la copertura a carpino nero,
invece che a castagno e/o pino marittimo, differenzia bene, alle quote inferiori, le
plaghe a rocce carbonatiche da quelle a rocce silicatiche (FERRARINI, 1972). Altre
zone in cui il paesaggio è influenzato dagli ostrieti sono le porzioni alte del Mugello,
del Casentino e della Val Tiberina dove gli scisti marnosi formano balze e calanchi
nudi alternati da folti cespuglieti o boschi cedui di carpino nero. Sempre significativa,
ma più nascosta nel fondo delle valli e nelle esposizioni a nord, è la presenza degli ostrieti
nell’ambito del calcare "alberese" dei Colli Alti fiorentini: Calvana, M. Morello, e i poggi
sulle due sponde dell’Arno fra Firenze e Pontassieve (TRANNE, 1994)


Classi di fertilità dei cedui di carpino nero dell’Appennino romagnolo.
Da HERMANIN e BELOSI (1993), modificato
Altezze dominanti in funzione dell’età
(Wj DQQL , +P P ,, +P P ,,, +P P

   

   

   

   

   

   

   

   

   

   

Restano, inoltre, molti altri luoghi in cui il carpino nero è una componente dei
boschi misti. Anche su rocce silicatiche esso può assumere una certa capacità di
invasione entro i cedui di cerro e spesso anche nei castagneti da frutto abbandonati,
in particolare sul versante padano.
Dalle analisi polliniche appare che sia il carpino bianco che il carpino nero sono
comparsi nell’Europa occidentale solo dopo il 1.000 a.C. Questo fa pensare ad una
diffusione che sia stata in qualche modo favorita dalle alterazioni antropiche sui
boschi di quercia (PIGNATTI, 1982).
In Toscana luoghi designati con il fitonimo "carpineta" (e oggi tuttora coperti
da boschi di carpino nero) esistevano fin dal ’500 (PIUSSI, 1980). Però è anche chiaro
il modo con cui il carpino nero oggi si trova in un periodo di attiva espansione nei
boschi cedui dopo che il turno è stato allungato e dopo che sono stati abbandonati i
tagli intercalari.
I boschi di carpino nero non hanno un particolare valore essendo gestiti solo
come cedui. La legna da catasta è commerciabile, però l’accrescimento in diametro
è talmente lento che è conveniente solo l’utilizzazione di cedui col turno di 30-35
anni. L’acclusa tabella di fertilità si riferisce ai boschi suscettibili di utilizzazioni e
non considera gli ostrieti di fertilità inferiore alla III classe o a portamento cespuglioso
di alcuni tratti dell’Appennino.
Non sembrano emergere particolari pericoli di degradazione perché il carpino
nero, dopo le ceduazioni, si rigenera tramite numerosi "polloni basali" nati, cioè,
raso terra e capaci di affrancarsi con radici loro proprie. Questo non toglie che,
nell’ambito di zone con balzi di roccia friabile, ci possano essere boschi di carpino
nero a cui bisognerebbe attribuire un ruolo prevalentemente protettivo.


L’evoluzione degli ostrieti oltre i 30-35 anni di età è ancora poco nota perché i
popolamenti invecchiati sono attualmente piuttosto rari. Da alcuni esempi (BERNETTI,
ined.) risulterebbe che, oltre ad una certa età, il numero dei polloni si riduce moltissimo
e inizia lo sviluppo anche a grandi diametri; si formano così boschi di alto fusto con
suolo ricco di humus entro cui il carpino nero non sembra più rinnovarsi.
Secondo HERMANIN (comunicazione orale) nei vecchi ostrieti montani si notano
reinserimenti di faggio mentre in quelli delle quote inferiori può entrare il leccio;
però resta ancora incerto il modo con cui possa verificarsi l’insediamento di specie
eliofile, come le querce caducifoglie. E’ certo, però, che gli ostrieti invecchiati o
avviati all’alto fusto di buona fertilità, sono disponibili per la diffusione spontanea
di altre specie (per esempio: aceri, frassini) oppure per la loro introduzione artificiale.
Volendo però migliorare i cedui resta possibile eseguire piantagioni di arricchimento
con latifoglie pregiate, limitatamente ai fondovalle a suolo profondo.
Negli ostrieti su suolo calcareo vengono raccolti il tartufo nero (Tuber melano-
sporum Vitt.). e lo scorzone (T. aestivum Vitt.). Per la loro ecologia v. la Categoria
QUERCETI DI ROVERELLA.


13.1. OSTRIETO PIONIERO DEI CALCARI
DURI DELLE APUANE

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- molto dal grado di difficoltà della stazione.


logica Ai due estremi si possono individuare tre Sot-
Cedui a densità rada e fertilità modesta fino totipi e varianti:
allo stato di cespuglieti che si trovano
nell’ambito di pietraie o di discariche (= "ra- termofilo con ginepro fenicio
vaneti") di cave di marmo dove hanno un con cerro (su suoli più evoluti)
notevole significato di protezione dei versan- con faggio (di quota)
ti. con castagno
Oltre alle specie pioniere indicate nel Tipo,
al carpino nero si associano soprattutto l’or- Localizzazione
niello, il cerro e l’acero campestre e, ai limiti, Alpi Apuane.
il faggio; strato erbaceo a prateria di Sesleria
argentea o di Brachypodium rupestre. Nelle Esposizioni
radure può comparire Erica carnea. Prevalentemente meridionali.
L’interpretazione fitosociologica degli ostrieti
apuani è complessa: comunque il Tipo sembra Distribuzione altitudinale
corrispondere a: Roso caninae-Ostryetum car- 600-1.000 metri.
pinifoliae (Barbero e Bono, 1971) Ubaldi,
1995. Geomorfologia
Non definibile fitosociologicamente (se non Dirupata: piede di rocce, detriti di falda, vec-
come fase di transizione) il sottotipo di quota chie discariche di cava.
a faggio, dove comunque compaiono alcune
specie dell’all. Cephalanthero-Fagion (Lohm. Substrati
e Tx., 1954) Ellenberg 1963. Marmi e calcari duri.

Sottotipi e varianti Suoli


Le divisioni interne a questo tipo dipendono Litosuoli oppure, al massimo dell’evoluzio-


ne, terreni di tipo "rendzina"; suoli calcarei effetto delle escavazioni e delle discariche
sempre molto ricchi di scheletro, assai dre- delle cave di marmo.
nati, a pH neutro-basico. Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
denze dinamiche
Clima L’elevata piovosità permette al carpino nero
Temperatura media annua da 8° a 14°. Tem- di sopravvivere anche su substrati molto sas-
peratura media del mese più freddo: da -3° a sosi e, quindi, di avere un comportamento
+2°. Precipitazioni medie da 1500 a 3.000 pioniero oltre che associarsi al faggio ai limiti
mm, estive 250-300 millimetri. superiori.
E’ pertanto possibile che questi popola-
Interventi antropici più frequenti menti tendano a chiudere la copertura ed
Possibili ceduazioni passate con rara e loca- a estendersi sulle discariche più recenti.
lizzata presenza di matricine di querce. Forte Ogni altra evoluzione sarà, ovviamente,
molto lenta.

Specie indicatrici

Ostrya carpinifolia (ceduo) SESLERIA ARGENTEA


Fraxinus ornus CAMPANULA MEDIA
Sorbus aria (loc.) BUPHTALMUM SALICIFOLIUM
Acer opulifolium B. FLEXILE
A. campestre Pimpinella saxifraga
Laburnum anagyroides Clinopodium vulgare
ROSA CANINA Potentilla micrantha
Coronilla emerus Hypericum montanum
Viburnum lantana Melittis melissophyllum
Crataegus monogyna Fragaria vesca
Amelanchier ovalis (suoli sup. scop.) Brachypodium rupestre
Erica carnea (rad.)

'LIIHUHQ]LDOL GHO VRWWRWLSR FRQ IDJJLR

Fagus sylvatica (ceduo, subordin.) Geranium nodosum


CEPHALANTHERA RUBRA Primula veris
C. PALLENS Anemone trifolia
C. longifolia Euphorbia dulcis
CAREX MONTANA Epipactis helleborine

Selvicoltura dell’orniello (che, probabilmente, è ancora


Questi popolamenti, oggi non più utilizzati, più adatto alla colonizzazione immediata de-
svolgono un fondamentale ruolo protettivo gli ghiaioni). Le piantine vanno disposte a
anche con effetti immediati (per esempio col gruppi oppure a file sempre molto densi.
contenimento del rotolio di sassi). Nel caso Dov’è presente il faggio non risulta inte-
che si rendano necessarie opere localizzate ressante la conversione a fustaia di questa
di consolidamento, si può ricorrere all’im- specie data la modesta fertilità e il lento
pianto non solo del carpino nero ma anche accrescimento.


13.2. OSTRIETO MESOFILO A SESLERIA
ARGENTEA DELLE APUANE

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fitosociologica e fisiono- Esposizioni


mica Varie.
Bosco misto, talvolta rado, di carpino nero
con cerro, roverella, orniello, acero campe- Distribuzione altitudinale
stre, acero opalo, olmo campestre arbustivo. 400-900 metri.
Sottobosco dominato da graminacee, special-
mente Sesleria argentea. Geomorfologia
Varia; per lo più pendici ripide.
E’ una forma più evoluta dell’OSTRIETO
PIONIERO DEI CALCARI DURI DELLE Substrati
APUANE. Marmi, calcari duri.
Può riferirsi a: Roso caninae-Ostryetum
carpinifoliae (Barbero e Bono, 1971) Suoli
Ubaldi, 1995. Rendzina e suoli bruni calcarei ricchi di sche-
letro, a pH elevato, ben drenati.
Sottotipi e varianti
Si differenziano secondo la composizione del Clima
piano arboreo. Indicativamente si possono Temperature medie annue: da 8° a 14°. Tem-
avere le seguenti varianti: perature medie del mese più freddo da -2° a
+2°. Precipitazioni medie annue da 1500 a
con cerro 2.500 mm., estive intorno a 250 millimetri.
con olmo campestre
con pino silvestre (di origine artificiale) Interventi antropici più frequenti
con castagno Governo a ceduo con matricine di querce.

Localizzazione
Alpi Apuane.


Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten- to pioniero che il comportamento di specie
denze dinamiche invadente di querceti o di castagneti.
Il carpino nero, facilitato dalle elevate preci- Nella fase attuale la specie è tuttora in pro-
pitazioni, può presentare sia il comportamen- gresso.

Specie indicatrici

Ostrya carpinifolia (ceduo) SESLERIA ARGENTEA


Fraxinus ornus Helleborus cfr. viridis
Quercus cerris (matr., loc.) Pimpinella saxifraga
Q. pubescens (matr., loc.) Clinopodium vulgare
Castanea sativa (loc.) Potentilla micrantha
Acer opulifolium Cyclamen hederifolium
Laburnum anagyroides Hypericum montanum
A. campestre Melittis melissophyllum
Rosa canina Fragaria vesca
Coronilla emerus Brachypodium rupestre
Crataegus monogyna Aristolochia pallida

Selvicoltura sia pure con turno superiore a 30 anni. Esiste


Tutto fa prevedere che i migliori fra questi qualche possibilità di arricchimento con pian-
popolamenti saranno ancora trattati a ceduo, tagioni, per esempio, di ciliegio.


13.3. OSTRIETO PIONIERO DELLE BALZE
MARNOSO-ARENACEE APPENNINICHE

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Esposizione


logica La localizzazione di questi popolamenti, più
Cedui di scarsa fertilità, talvolta matricinati che dalla maggiore o minore insolazione, è
con cerro o roverella di modesto sviluppo, o condizionata dal luogo dove gli strati degli
cespuglieti densi di carpino nero con orniello, scisti della formazione "Marnoso-arenacea"
maggiociondolo e sorbo montano che occu- affiorano a franapoggio determinando tratti
pano ripiani (o pendici con roccia disposta a a pendenza moderata.
franapoggio) caratteristicamente alternati
alle balze di roccia a picco. Distribuzione altitudinale
Secondo i lavori di UBALDI sarebbe da in- 500-800 (1.000) metri.
quadrare nell’alleanza Laburno-Ostryon
Ubaldi 1995 non accettata da ARRIGONI Geomorfologia
(1996, ined.) (presenza di caratteristiche di Molto accidentata, impervia, anche a forti
Carpinion, Tilio-Acerion e Cephalanthero- pendenze.
Fagion).
Secondo quest’ultimo A. “....si può considerare Substrati
pro-parte pertinente all’alleanza Crataego levi- Formazione Marnoso-arenacea dove prevalgo-
gatae-Quercion cerridis Arrigoni, 1996”. no gli strati di scisti marnosi che determinano
il caratteristico paesaggio contrastato, local-
Sottotipi e varianti mente noto come "Biancheria Romagnola".
In alto si può individuare una variante
con faggio Suoli
Poco evoluti, superficiali, franchi-argillosi,
Localizzazione da neutri ad alcalini, con carbonati presenti.
Appennino Tosco-Romagnolo nel versante
adriatico, tipicamente nell’alto bacino del La- Clima
mone. Temperatura media annua da 8° a 13°. Tem-


peratura media del mese più freddo da -2° a abilmente, poi, una parte di questi ostrieti de-
+2°. Piogge annue medie 1.300-1.500 mm, riva da invasione di castagneti.
estive comprese fra 150 e 200 mm.
La siccità è normalmente debole ma, in an- Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
nate particolarmente secche, il carpino nero denze dinamiche
entra in sofferenza perdendo i frutti non an- E’ possibile che la copertura a carpino nero
cora maturi e, poi, perdendo anche le foglie dei tratti meno impervi della "Biancherìa
prima del tempo. di Romagna" si sia molto ampliata in questi
ultimi decenni: a questo fine sarebbe op-
Interventi antropici più frequenti portuno fare un confronto con le più vec-
E’ molto verosimile che il pascolo delle capre chie fotografie aeree disponibili.
sia arrivato fino a questi luoghi. Prob-

Specie indicatrici

Ostrya carpinifolia (ceduo) Brachypodium rupestre


Quercus cerris (matr., loc.) Primula vulgaris
Q. pubescens (matr., loc.) Cruciata glabra
LABURNUM ANAGYROIDES Solidago virga-aurea
SORBUS ARIA (loc.) Hepatica nobilis
Fraxinus ornus Fragaria vesca
Acer campestre Helleborus bocconei
A. opulifolium (loc.) Viola alba dehnhardtii
Carpinus betulus (loc.) Stachys officinalis
Fagus sylvatica (loc.) ANEMONE TRIFOLIA
Pyrus pyraster LILIUM CROCEUM (loc.)
Corylus avellana Melampyrum italicum
Cornus sanguinea Carex digitata
C. mas Lathyrus venetus
Crataegus monogyna Bromus ramosus
C. laevigata Pulmonaria saccharata
Coronilla emerus Brachypodium sylvaticum
Juniperus communis Campanula trachelium
Rosa arvensis Euphorbia amygdaloides
Lonicera caprifolium Clinopodium vulgare
Euonymus latifolius (loc.) Cyclamen hederifolium
Hedera helix Potentilla micrantha

Selvicoltura ricorrere all’impianto non solo del carpino


Questi popolamenti svolgono un importante nero ma anche dell’orniello (che, prob-
ruolo protettivo anche con effetti immediati abilmente, è ancora più adatto alla coloniz-
(per esempio col contenimento del rotolio di zazione immediata dei ghiaioni).
sassi). Nel caso che si rendano necessarie Le piantine vanno disposte dense a gruppi
opere localizzate di consolidamento si può o a file.


13.4. OSTRIETO DELLE AREE CALANCHIVE
DELLE ALTE VALLI DELL’ARNO
E DEL TEVERE

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Localizzazione


logica In varie località del Mugello, in Casentino
Cedui di fertilità varia (dalla I classe, propria (come fra Poppi e Camaldoli e in tutta l’Alpe
degli avvallamenti, fino alla III classe), di di Serra da Badia Prataglia alla Verna), infine
carpino nero con orniello e maggiociondolo anche, e molto, nell’Alto Tevere.
oltre a cerro e roverella e, talvolta, anche con
castagno. Esposizioni
A tratti questi cedui si alternano ad aree di Varie. Le fertilità migliori si localizzano su
calanchi nudi con erosione ancora attiva o pendici ripide ombreggiate.
rimontante, che richiedono una gestione pro-
tettiva del bosco. Distribuzione altitudinale
Fitosociologicamente questo tipo di ostrieto 400-900 metri.
è da ascriversi all’alleanza del Crataego lae-
vigati-Quercion cerridis Arrigoni 1996 e, in Geomorfologia
particolare, al Melico uniflorae - Quercetum Pendici a inclinazioni non eccessive il cui
cerridis Arrigoni 1990 ostryetosum carpini- andamento moderato è interrotto da fenomeni
foliae Arrigoni, Foggi e Selvi (ined.). calanchivi più o meno ripidi, talvolta molto
vasti e con possibili frane.
Sottotipi
E’ possibile, e utile, una divisione secondo Substrati
le altre specie presenti: Scisti argillosi con affioramenti di banchi di
con cerro (variante più comune) arenaria che formano la "Serie di Vicchio".
con castagno (deriva da castagneti da frut-
to invasi dal carpino nero) Suoli
con nocciòlo (tipo più evoluto dei fondo- Variamente evoluti e profondi, debolmente
valle umidi) acidi e neutri.


Clima Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
Temperatura media annua da 8° a 15°. Tempe- denze dinamiche
ratura media del mese più freddo da -2° a +2°. E’ possibile che questi boschi submontani e
Precipitazioni medie annue da 1.000 a 1500 di località piuttosto piovose, si siano originati
mm, estive da 150 a 200 mm. Possibili estati per un’invasione di querceti degradati dal pa-
siccitose durante le quali il carpino nero perde scolo. Non ci sono però indizi circa la possi-
prima le infruttescenze immature e poi le foglie. bilità di un ritorno immediato delle querce
qualora esse siano assenti.
Interventi antropici più frequenti Il novellame prodotto da eventuali matrici-
Questi boschi sono ceduati col turno di 30-35 ne di querce di alto fusto che si trovano
anni. Si rilasciano molti polloni per ettaro i sparse nell’ostrieto non può insediarsi a
quali, però (dato lo stato filato e povero di causa della concorrenza dei polloni del car-
chioma), non sembrano mai capaci di svilup- pino nero.
parsi a matricine di alto fusto. Fanno eccezione Il carpino nero, inoltre, sta colonizzando sia
le foreste demaniali dove è già possibile rin- pure molto lentamente alcuni dei calanchi cir-
venire lembi di ostrieto molto invecchiato. costanti.

Specie indicatrici

Ostrya carpinifolia (ceduo) MELICA UNIFLORA


Fraxinus ornus Euphorbia amygdaloides
Pyrus pyraster Festuca heterophylla
Acer campestre Oenanthe pimpinelloides
Quercus cerris (matr.) Brachypodium sylvaticum
Q. pubescens (matr., loc.) Tamus communis
Castanea sativa (loc.) Viola reichenbachiana
Crataegus laevigata Fragaria vesca
C. monogyna Hedera helix
Cornus mas Buglossoides purpuro-coerulea
Clematis vitalba Viola alba dehnhardtii
Prunus spinosa Ruscus aculeatus
Juniperus communis Stachys officinalis

Selvicoltura boschi di protezione ovvero "boschi in situa-


Molti boschi di questo tipo si trovano sul zioni speciali" come previsto dalle Prescri-
contorno di calanchi anche profondi che, so- zioni di Massima. Il trattamento, poi, dovreb-
prattutto dopo i tagli, tendono a riestendersi be essere temperato con il rilascio di fasce di
verso l’alto. Nell’ambito dei boschi di questo protezione o con altri criteri di intervento con-
tipo è dunque necessario tenere distinti dei servativo.


13.5. OSTRIETO TERMOFILO DEI CALCARI
MARNOSI AD ASPARAGUS ACUTIFOLIUS

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Localizzazione


logica Poggi calcarei fiorentini (M. Morello, Calva-
Cedui di carpino nero, densi e prevalente- na, ecc.), Chianti, Casentino, e in molte altre
mente di II classe di fertilità. L’orniello può zone della Toscana a quote basse.
essere numericamente abbondante, ma con
fusticini molto esili, “ filati” e precariamente Esposizioni
emergenti dalla copertura. Prevalentemente a nord o, comunque, poco
Eventuali matricine di roverella, di cerro e soleggiate.
talvolta anche di leccio. Arbusti del Pruneto
e vari elementi mediterranei nel sottobosco Distribuzione altitudinale
spesso dominato dall’edera. Da 100 a 500 metri.
Corrisponde all’ass. Asparago acutifolii-
Ostryetum carpinifoliae Biondi 1982. Geomorfologia
Collinare, poco accidentata con depressioni.
Sottotipi
Le suddivisioni di questo tipo si basano prin- Substrati
cipalmente sulle sfumature di passaggio con Calcare marnoso ("alberese").
i querceti di roverella e, soprattutto, col
QUERCETO MESOTERMOFILO DI RO- Suoli
VERELLA con cui questo Tipo confina verso Profondi, a humus ben distribuito, con limo
le esposizioni più soleggiate. e argilla prevalenti nella terra fine, a pH in-
Circa i sottotipi ARRIGONI, in verbis, segnala torno alla neutralità.
una forma più termofila con Smilax aspera e
una meno termofila dove questa specie è as- Clima
sente ed è invece ben presente Buglossoides Temperatura media annua variabile da 10° a
purpuro-coerulea. 15°. Temperatura media del mese più freddo
con leccio da -1°a 3°. Minime assolute fino a -20°. Pre-


cipitazioni annue da 800 a 1.000 mm. Piogge carpino bianco e la rovere, questi popolamen-
estive intorno a 120 mm, molto variabili da ti potrebbero essere il risultato di una pro-
un anno all’altro, anche con periodi siccitosi gressiva invasione del carpino nero in boschi
che provocano danni al carpino nero. di roverella e/o di cerro.
Attualmente è in atto una espansione del
Interventi antropici più frequenti carpino nero negli adiacenti cedui di ro-
Questi boschi sono tenuti a ceduo anche da verella.
oltre 500 anni (PIUSSI, 1980). E’ provato, inoltre, che il governo a ceduo
composto, determinando un ambiente più
Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten- ombreggiato e livellato, incoraggia l’espan-
denze dinamiche sione dei carpini.
Questi ostrieti, che in ambienti meno piovosi E’ difficile immaginare se e come le querce
sono confinati nelle esposizioni a nord, non potranno riprendersi il terreno perduto. Forse
hanno un carattere pioniero; probabilmente è il leccio che interverrà per primo. Secondo
derivano da progressive infiltrazioni nei ELLENBERG (1988) e secondo BERNETTI
querceti manomessi dall’uomo. (1995) la questione della alternanza fra le
Per analogia con quanto dicono i francesi querce e i carpini in senso lato si risolve solo
(PERRIN, 1954) in relazione ai rapporti fra il a scadenza molto lunga.

Specie indicatrici

Ostrya carpinifolia (ceduo) ASPARAGUS ACUTIFOLIUS


Fraxinus ornus Buglossoides purpuro-coerulea
Quercus pubescens (matr., loc.) Rubia peregrina
Q. cerris (matr. loc.) Teucrium flavum
Q. ILEX (r) Hedera helix
Crataegus monogyna Melittis melissophyllum
Laurus nobilis Cephalanthera longifolia
Daphne laureola Carex flacca
Cornus sanguinea Cyclamen repandum
Lonicera caprifolium Pteridium aquilinum
Coronilla emerus Brachypodium sylvaticum
ROSA SEMPERVIRENS Viola reichenbachiana
VIBURNUM TINUS V. alba dehnhardtii
RHAMNUS ALATERNUS Stachys officinalis
CLEMATIS FLAMMULA Ruscus aculeatus
SMILAX ASPERA

Selvicoltura roverella. Nelle fertilità veramente ottime si


La ceduazione risulterebbe redditizia al può tentare anche l’introduzione di qualche
turno di 30-40 anni. Sono possibili pian- specie di pregio come, per esempio, il ciliegio
tagioni di rinfoltimento con cerro o con selvatico.


13.6. OSTRIETO MESOFILO
DEI SUBTRATI SILICATICI

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Localizzazione


logica La distribuzione generale è piuttosto fram-
Boschi misti con prevalenza, talvolta soltanto mentaria e dispersa su tutti i rilievi dove si
relativa, del carpino nero e con cerro, rove- trovano rocce silicatiche: Apuane, Appen-
rella, orniello, castagno, acero campestre, nino (Lunigiana, Garfagnana), Mugello,
acero opalo, ciliegio. Arbusti del Pruneto, so- Pratomagno, Colline Metallifere, Monti del
prattutto nelle radure. Sottobosco erbaceo Chianti, ecc.
con molte specie tolleranti dell’ombra, eutro-
file e mesofile. Il carpino nero può arrivare Esposizioni
alla I classe di fertilità. Seguendo ARRIGONI Settentrionali e in avvallamenti ombrosi.
(1996, ined.) il Tipo viene ascritto all’ass.
Asplenio adianto-nigri-Ostryetum carpinifo- Distribuzione altitudinale
liae (Barbero e Bono 1971) Ubaldi 1995 nelle Da (100) 200 a 700 metri.
Apuane e alla subass. Melico uniflorae-Quer-
cetum cerridis Arrigoni 1990 ostryetosum Geomorfologia
carpinifoliae (Barbero e Bono 1971) Ubaldi Normalmente su pendici ripide e in impluvi
1995 sull’Appennino. incassati a bassa quota.

Sottotipi e varianti Substrati


Le differenze si basano molto sulle specie che Prevalentemente arenarie quarzoso-feldspa-
contendono la dominanza al carpino nero. Si tiche povere di alternanze arenaceo-argillose
possono avere per esempio delle varianti: e altre rocce silicatiche.
con cerro (sui suoli relativamente più acidi)
con castagno (in specie castagneti da frutto Suoli
abbandonati) Profondi, freschi ben drenati, ricchi di humus,
con carpino bianco (ai limiti superiori e in a mull subacido.
zone più fresche)


Clima Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
Temperature medie annue di 9°-15°. Tempe- denze dinamiche
rature medie del mese più freddo: da -2° a La presenza del carpino nero ha un signi-
+5°. Minime assolute fino a -20°. Precipita- ficato pioniero relativo; la specie, infatti, si
zioni sia annue che estive molto varie con è inserita (e si sta ancora inserendo) sotto
massimi sulle Apuane. Il microclima stazio- la copertura di boschi di querce (o anche
nale è verosimilmente più freddo rispetto ai di castagno) in cui si è allentata la pressione
dati su indicati. La siccità estiva è compensata antropica.
dall’umidità conservata nel suolo. Le ceduazioni (e soprattutto il governo a
ceduo composto con turno lungo) possono
Interventi antropici più frequenti facilitare ulteriori espansioni di questo tipo
Ceduazioni. Una parte di questi ostrieti deriva di bosco. La robinia vi ha un notevole po-
dall’invasione di castagneti da frutto dopo il tere di espansione nei settori piovosi set-
loro abbandono. tentrionali.
Arido
Specie indicatrici
Ostrya carpinifolia (ceduo) Rosa arvensis
Quercus cerris (matr.) Corylus avellana
Q. pubescens (matr.) Rosa canina
Castanea sativa (loc.) Juniperus communis
Fraxinus ornus Lonicera caprifolium
Prunus avium Prunus spinosa
Pyrus pyraster Cruciata glabra
Acer campestre Viola reichenbachiana
Carpinus betulus (loc.) Tamus communis
Acer opalus s.l. (loc.) Fragaria vesca
Robinia pseudoacacia (loc.) Hedera helix
Tilia cordata (loc.) Buglossoides purpuro-coerulea
Sorbus torminalis (loc.) Viola alba dehnhardtii
Malus sylvestris (loc.) Ruscus aculeatus
Crataegus laevigata Stachys officinalis
C. monogyna Euphorbia amygdaloides
Cornus mas Brachypodium sylvaticum

'LIIHUHQ]LDOL GHL ERVFKL DSXDQL

ASPLENIUM ADIANTUM-NIGRUM Melittis melissophyllum


Cornus sanguinea Silene nutans
Coronilla emerus Pulmonaria affinis
Spartium junceum Euphorbia amygdaloides
Erica arborea (loc.) Peucedanum cervaria
Smilax aspera (loc.) Asparagus acutifolius (loc.)

Selvicoltura sembra consistere in piantagioni di arricchi-


E’ probabile che i proprietari continueranno mento con rovere o con ciliegio, oppure, nei
a tenere questi boschi a ceduo con turno di terreni più freschi con farnia o col frassino
25-30 anni. Il trattamento a ceduo composto ossicarpo; ai limiti altitudinali superiori: con
comporta l’accentuazione della presenza del frassino maggiore oppure con acero di monte
carpino nero; il miglioramento più opportuno e anche con faggio.


Castagneto mesotrofico ceduo di ottima fertilità con scarso sottobosco.


 &$67$*1(7,

Importanza, cenni storici, aspetti selvicolturali


Secondo l’Inventario Forestale Toscano, la superficie totale dei boschi con pre-
valenza di castagno, riferita al 1991, è di 176.928 ettari con 15.520 ettari di castagneti
da frutto ancora in esercizio, 16.816 ettari di “ castagneti” abbandonati e, per il
rimanente, cedui di cui una modesta percentuale avviata all’alto fusto. La superficie
dei boschi “ in cui il castagno è presente” è di 266.096 ettari (MERENDI A.G., 1996).
Secondo un documento programmatico della Regione i castagneti abbandonati
che, per struttura, fertilità e accessibilità potrebbero essere recuperati alla coltura da
frutto, sarebbero circa 16.000 ettari. Se poi si escludono i castagneti da frutto restano
9.120 ettari di fustaie da legno e ben 135.472 ettari di boschi cedui.
In Toscana si utilizzano annualmente 100.000 m3 di legno di castagno e se ne
importano altri 400.000 soprattutto da altre regioni d’Italia (BERNETTI I. et al., 1993).
Il fabbisogno si ripartisce principalmente in legno per pannelli di particelle (75%) e
in segati (12%). La domanda per i due assortimenti più importanti in passato (la
paleria agricola e il legno da tannino) si è contratta al 13%.
Il numero degli addetti a tutte le fasi della lavorazione del legno di castagno è
stimato in 500 unità.
La tipologia dei boschi del castagno in Toscana è molto influenzata dalle vicende
dell’abbandono dei castagneti da frutto, vasto fenomeno iniziato fin dal secolo scorso
ricostruibile storicamente sulla base dei dati raccolti da GIORGI (1960).
Man mano che la coltura da frutto cadeva in disuso, una parte della superficie
dei castagneti è rimasta di dominio della stessa specie sia nella forma di cedui di
castagno che di castagneti abbandonati. Un’altra parte, invece, ha subito nel tempo
radicali trasformazioni agricole o forestali oppure si è evoluta con l’invasione spon-
tanea di altre specie arboree. Così i boschi a prevalenza di castagno avrebbero perduto
circa 50.000 ettari dalla fine dell’’800 a oggi.
Prima dello spopolamento della montagna i castagneti abbandonati dei terreni
migliori venivano trasformati in colture agrarie mentre quelli più degradati erano
sostituiti con l’introduzione del pino marittimo (GIACOBBE, 1942) o del pino laricio.
Più recenti sono state le piantagioni sostitutive con la douglasia.


Due avversità soprattutto la seconda, hanno contribuito all’abbandono della col-
tura dei castagneti da frutto.
Il mal dell’inchiostro, provocato dal fungo Phytophtora cambivora è noto fin
dall’‘800. Fu considerato pericoloso per un certo tempo e, poi, parve avere perduto
di virulenza. Attualmente, invece, è in fase di piena recrudescenza e provoca la morte
di ceppaie isolate (o più spesso a gruppi) non solo nelle depressioni umide (come si
riteneva un tempo), ma in qualsiasi stazione. Non ci sono rimedi efficaci. E’ consi-
gliabile rinfoltire le radure che si formano nei cedui con specie diverse dal castagno:
frassino maggiore, cerro, rovere, ecc.
Il cancro corticale, provocato dal fungo Cryphonectria (= Endothia) parasitica
è stato segnalato in Europa attorno al 1938. Nel secondo dopoguerra ha causato
notevoli distruzioni di castagneti da frutto principalmente nelle province di Massa-
Carrara, Lucca e Pistoia. Dopo il 1950, il parassita ha perduto di incidenza (in
Toscana, come in altre zone d’Italia), per il selezionarsi di ceppi ipovirulenti. Il
fenomeno è osservabile, soprattutto nei cedui dove la mortalità dei polloni è andata
gradualmente diminuendo; anche qualche pianta di alto fusto ha dimostrato un no-
tevole recupero cicatrizzando i cancri.
Oggi, il parassita resta temibile per le operazioni di innesto eseguite nel corso
della ricostituzione di castagneti da frutto, in quanto colpisce le piante nel punto di
innesto. Sono efficaci le disinfezioni con ossicloruro di rame. Una buona protezione
al punto di innesto si ottiene anche con semplici impacchi di terra grazie ai micror-
ganismi antagonisti al parassita che essa contiene.
Le evoluzioni dei castagneti abbandonati con mutamento naturale di specie
dipendono dalle condizioni ecologiche locali e dallo stato del castagneto da frutto al
momento dell’abbandono e sono molto numerose (PIUSSI e MAGINI 1966). Si possono,
pertanto, esemplificare i seguenti casi di successione di specie: (1) con abete, (2)
con faggio, (3) con cerro, (4) con ricostituzione del bosco misto di latifoglie mesofile
nelle sue diverse varianti, (5) con sostituzione da parte del carpino nero, puro o quasi,
(6) con sostituzione, in parte antropogena, con pino marittimo oppure (7) con robinia,
(8) con sostituzione con macchia mediterranea, (9) con degradazione da incendio in
calluneti a eriche, eventualmente con Tuberaria guttata.

Aspetti selvicolturali
Il castagno è stato coltivato fin dal tempo dei Romani nelle due forme di casta-
gneto da frutto (= “ selva” ) o di ceduo (= “ palina” ).
Il castagneto da frutto è composto da 70-120 piante per ettaro innestate, al
momento dell’impianto, con varietà “ da farina” o “ da consumo fresco” . Le più note
fra le varietà da consumo fresco sono i “ marroni” , che sono le più pregiate e, oggi,
le sole convenienti alla coltivazione. Al contrario, le castagne delle varietà da farina
non hanno più un commercio e i castagneti che le producono possono essere mantenuti
solo a titolo di conservazione di germoplasma oppure per prodotti tradizionali locali.


Comunque, per motivi di impollinazione, un castagneto da frutto comprende sempre
qualche pianta selvatica oppure di un’altra varietà.
Le cure colturali al castagneto da frutto consistono in varie operazioni: potature,
concimazioni alle singole piante, rinfoltimenti con nuove piante innestate e nello
sgombro del terreno da arbusti o da giovani piante di specie arboree che si possano
essere insediate. E’ evidente che questa ultima operazione può essere causa di ero-
sione soprattutto nei castagneti che non abbiano il suolo coperto da un adeguato
strato erbaceo. Nel ripristino dei castagneti da frutto si distinguono due tipi di inter-
vento ben diversi fra loro; (TANI e CANCIANI, 1993). Col recupero del castagneto
da frutto si riprendono semplicemente le cure colturali nel castagneto abbandonato;
in questo caso, ovviamente, rimangono le varietà colturali esistenti in precedenza a
meno di qualche nuovo innesto
La ricostituzione del castagneto da frutto, invece, consiste nel ringiovanimento
e nella trasformazione di un popolamento di castagno di una qualsiasi struttura
mediante il taglio a raso e, qualche anno dopo, mediante l’innesto dei polloni (op-
portunamente scelti e diradati) che ne derivano. Poi, per continue ulteriori cure, si
arriva ad un nuovo castagneto dotato delle varietà ritenute più commerciabili o
comunque desiderabili.
Il ceduo di castagno, più che legna da ardere serve per produrre secondo le circo-
stanze: paleria agricola, paleria per costruzioni e tutta una varietà di tronchi e tronchetti
per lavori di artigianato. Pertanto, il turno dei cedui di castagno dipende molto dall’in-
dirizzo commerciale dell’azienda e, inoltre, anche dalla fertilità perché dai cedui delle
classi più scadenti è inutile cercare di ottenere tronchi grossi allungando il turno.
I cedui a turno breve (12-16 anni), ordinati per la produzione di paleria sottile,
sono chiamati “ paline” .
Classi di fertilità dei cedui di castagno in Italia (BRUSCHINI, 1992).
Altezza media in funzione dell’età
(Wj DQQL , +P P ,, +P P ,,, +P P ,9 +P P 9 +P P

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

Nei cedui con turni di 18-24 anni o più (chiamati anche “ antennete” ) lo
scopo di ottenere una combinazione produttiva comprendente travi, paleria


grossa (e, anche, tronchi da sega) è raggiunto non solo col turno lungo, ma anche
con uno o due indispensabili diradamenti che servono a stimolare l’accrescimento
dei polloni migliori ed a raccogliere un prodotto anticipato di paleria sottile (BER-
NETTI I., 1991).
La classe di fertilità dei boschi di castagno può essere definita sulla base
dell’altezza media solo per i cedui. L’altezza media dei castagneti da frutto, infatti,
è influenzata anche dalle capacità di sviluppo della varietà e dalle potature; ovvia-
mente, a parità di caratteristiche stazionali, corrispondono analoghi risultati per le
due forme selvicolturali.
In base alle frequenza delle classi di fertilità si possono proporre le seguenti
distinzioni secondo il substrato pedogenetico.
• I terreni vulcanici del Monte Amiata si distinguono per la grande frequenza di
boschi di castagno appartenenti alla I e alla II classe di fertilità. Si tratta però di
terreni molto soggetti all’erosione pertanto occorrono cautele sia nelle utilizzazioni
dei cedui che nella coltura corrente del castagneto.
• In tutti i terreni da rocce sedimentarie con residuo sabbioso la fertilità è molto
condizionata dalla quantità di humus nel terreno. I boschi migliori si trovano nelle
depressioni dove si formano suoli ricchi di humus di migliore qualità. Più in
generale, però, si trovano boschi delle fertilità intermedie o scadenti su suoli erosi,
poveri di humus, con sottobosco di specie acidofile, soprattutto arbustive.
• I terreni da rocce carbonatiche a residuo non argilloso (Apuane, Montagnola Se-
nese, Lucchesia) sopportano boschi di castagno delle fertilità intermedie o inferiori.
- I terreni derivanti dagli scisti arenaceo-limosi o arenaceo-argillosi (come per
certe intercalazioni delle arenarie e per la formazione Marnoso-arenacea dell’Alto
Mugello) rappresentano l’estremo dell’ampiezza ecologica del castagno rispetto
al suolo. I castagneti presenti su questi suoli si sono risolti in popolamenti di
sviluppo e produzioni modesti che, in seguito, dopo l’abbandono, sono rimasti
rapidamente soppiantati dall’invasione del carpino nero.
• Sono sempre stati proibitivi per la coltura del castagno tutti i terreni da calcari a
residuo argilloso (p. es. alberesi), le argille e i terreni da rocce ferro-magnesiache
od ofioliti (gabbri, serpentine, ecc.).


14.1. CASTAGNETO MESOFILO SU ARENAIA

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- in base all’evoluzione naturale dei casta-


logica gneti da frutto abbandonati e, talvolta,
Castagneti da frutto con piante di grandi di- all’evoluzione dei cedui soprattutto se a
mensioni (per lo meno diametrica) oppure turno lungo.
cedui rigogliosi, generalmente della II classe con faggio
di fertilità e, nei compluvi, anche della I clas- con frassino maggiore (v. ACERI-FRASSI-
se. Sottobosco con rade erbe laminifoglie esi- NETO)
genti o mediamente esigenti (Anemone ne- con aceri di monte, opalo, campestre e an-
morosa, Geranium nodosum, ecc.), con ad- che riccio
densamenti di felce aquilina e di rovi. con carpino bianco
Difficilmente inquadrabile sotto il profilo fi- con robinia (molto frequente in Lunigiana
tosociologico, il Tipo è probabilmente pros- e Garfagnana)
simo all’associazione Symphyto tuberosi- con nocciólo
Castanetum sativae Arrigoni e Viciani Molte sono, infine, le sfumature verso il CA-
1997, a seconda delle condizioni locali, STAGNETO ACIDOFILO e verso il CA-
all’ass. Rubo hirti-Castanetum sativae Ar- STAGNETO BASITOLLERANTE.
rigoni e Viciani 1997, oppure ancora al Di-
gitali australi-Castanetum sativae Gami- Localizzazione
sans 1977. Il Tipo di trova in aree concentrate in modo
più continuo e con punte di fertilità più alte
Sottotipi e varianti nell’Appennino dalla Lunigiana al Pistoiese;
La forma di governo produce ovviamente invece è più localizzato nel resto dell’Appen-
due aspetti strutturali ben distinti su base nino, nell’Alpe di Catenaia, nel Pratomagno
fisionomica: e nelle Colline Metallifere.
castagneto da frutto
ceduo Esposizioni
Inoltre si possono individuare delle varianti Varie, ma per lo più verso nord.


Distribuzione altitudinale trattati con criteri di bosco disetaneo da cui
600-1.000 metri. si ottengono anche tronchi di grosse dimen-
sioni.
Geomorfologia I castagneti da frutto ancora in esercizio ne-
Compluvi, pendici ombreggiate spesso anche cessitano di cure molto assidue a causa delle
ripide, talvolta in fondovalle stretti. rapide evoluzioni del popolamento.
Il recupero dei castagneti abbandonati con la
Substrati potatura dei vecchi castagni e con il taglio
Arenaria, più raramente (ad es. in Lunigiana) delle piante di nuovo insediamento, quando
alberese e galestro ma con calcare dilavato non è seguito da cure annuali, agevola il ri-
per completa alterazione della roccia madre torno del piano inferiore di insediamento non
(sassi “ marci” ). solo per il riscoppio dei polloni delle ceppaie
recise, ma anche per l’insediamento di nuove
Suoli piantine favorito dalla minore illuminazione.
Molto profondi, freschi, non molto acidi-
subacidi, ricchi di humus ben distribuito nel
profilo. Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
denze dinamiche
Clima Questo tipo comprende castagneti soggetti a
Temperature medie annue da 9° a 15°. Tem- evoluzioni di postcoltura che possono essere
peratura media del mese più freddo: da -2° a anche molto rapide. Le prime fasi dell’evo-
+2°. Precipitazioni medie annue comprese luzione dipendono dalle condizioni del po-
fra 1000 e oltre 1.500 mm, estive fra 150 e polamento al momento dell’abbandono e, in
200 millimetri. Innevamento modesto e di particolare: (A) dalla presenza nei dintorni di
assai breve durata. piante disseminatrici di altre specie e (B) dal-
la struttura e dalla densità sia del popolamen-
Interventi antropici più frequenti to che del sottobosco in relazione alle possi-
L’origine è sempre il castagneto da frutto, bilità di insediamento di rinnovazione del ca-
verosimilmente impiantato in sostituzione di stagno o di altre specie.
boschi di latifoglie esigenti e, forse, origina- Il tipo di evoluzione più aderente alla natura
riamente contenenti anche la rovere. Oggi il e forse anche più conveniente in economia
tipo si presenta soprattutto nella forma di ca- privata è quello verso i popolamenti di lati-
stagneti abbandonati oppure di cedui derivan- foglie mesofile (rovere, frassino maggiore,
ti dal taglio del castagneto. Questi ultimi an- acero di monte, ciliegio, tigli, carpino bian-
drebbero distinti fra: (A) cedui derivanti dal co). Questo indirizzo è però raro per mancan-
primo taglio del castagneto (che sovente han- za di piante disseminatrici. In certi casi si può
no ceppaie grosse ma rade e con polloni scia- avere invasione di carpino nero (ad es. in Lu-
bolati) e (B) cedui che hanno subìto almeno nigiana - FERRARINI, 1957). Molti castagneti
una seconda ceduazione che spesso sono più abbandonati si rinfoltiscono subito con se-
densi (dove alle vecchie grandi ceppaie si menzali di castagno.
sono aggiunte quelle nuove che derivano dal L’insediamento di novellame di qualsiasi
taglio della rinnovazione naturale) e provvisti specie può essere impedito dalla densità del
di polloni di forma più regolare. sottobosco erbaceo e dalla copertura eser-
In Provincia di Arezzo (Comune di Monte- citata dai vecchi castagni lasciati crescere
mignaio) i popolamenti più fertili vengono con la chioma bassa e quindi molto coprente.


La presenza di nocciólo è un indice di fase fenomeni di degradazione a causa dell’ero-
di miglioramento susseguente, ad esempio, a sione.

Specie indicatrici

Castanea sativa Solidago virga-aurea


Fraxinus excelsior (loc.) Pteridium aquilinum
Acer pseudoplatanus (loc.) Primula vulgaris
A. campestre (loc.) Lathyrus niger
A. opulifolium (loc.) Festuca heterophylla
A. platanoides (loc.) Melica uniflora
Fagus sylvatica (loc.) Salvia glutinosa
Carpinus betulus (loc.) Dentaria bulbifera
Ostrya carpinifolia (loc.) Luzula nivea
Abies alba (molto loc.) Digitalis micrantha
Corylus avellana Hedera helix
Daphne laureola Fragaria vesca
SYMPHYTUM TUBEROSUM Mycelis muralis
RUBUS gr. HIRTI Prenanthes purpurea (loc.)
Anemone nemorosa Dryopteris filix-mas (loc.)
Geranium nodosum Epilobium montanum (loc.)
Circaea lutetiana Ranunculus lanuginosus (loc.)
Brachypodium sylvaticum Saxifraga rotundifolia (loc.)
Helleborus bocconei Athyrium filix-femina (loc.)

Selvicoltura volta anche alcuni cedui) appaiono piuttosto


Il castagneto da frutto di questo Tipo offre radi. Per rinfoltirli si possono seguire due vie.
un maggiore prodotto in castagne però, pro- La prima è quella di favorire l’insediamento
prio a causa dell’alta fertilità del terreno, ha di novellame di castagno con una o due ce-
l’inconveniente di richiedere maggiori pota- duazioni da eseguirsi alla distanza di 10-15
ture e altre cure che sono piuttosto costose anni con rilascio di matricine. La seconda è
perché devono essere frequenti e devono quella di fare un taglio raso seguito dal rin-
asportare molto materiale spesso non ven- foltimento dei vuoti con la piantagione di ca-
dibile. Pertanto, ai fini del proficuo recu- stagno o di specie a legno pregiato (come
pero dei castagneti da frutto, è indispensa- frassino maggiore, acero di monte e ciliegio)
bile che la cultivar sia di pregio. Per ridurre oppure anche con l’innesto di cultivar di ca-
i costi di mantenimento si può tentare (se stagno da legno. Questo arricchimento di spe-
la morfologia del terreno lo consente) di cie potrà poi servire o per la scelta delle future
trasformare il sottobosco del castagneto in matricine oppure come premessa per una con-
un prato. versione all’alto fusto.
Dalla conversione in ceduo si hanno popola- I castagneti di questo Tipo sono soggetti ad
menti molto produttivi che, con un turno di attacchi da "mal dell’inchiostro" che fanno
25-40 anni e con 1-3 diradamenti, possono morire gruppi di piante o di ceppaie. Ciò ren-
fornire prodotti molto interessanti quanto più de indispensabile il rinfoltimento dei vuoti
la densità è elevata. con specie diverse dal castagno.
Molti castagneti di prima conversione (e tal-


14.2. CASTAGNETO MESOTROFICO
SU ROCCE VULCANICHE DEL MONTE AMIATA

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- quale vi sono termini di passaggio (secondo


logica sottotipo, v. sotto).
Questo Tipo comprende ottimi castagneti Il Tipo comprende elementi dell’all. Quercion
da frutto e cedui appartenenti per lo più robori-petraeae Malcuit 1929 unitamente a
alla I classe di fertilità e sempre molto specie mesofile.
densi grazie alle condizioni climatiche fa-
vorevoli e alla ottima nutrizione minerale Sottotipi e varianti
offerta dai terreni derivanti dalla roccia vul- Oltre alle divisioni secondo lo stato colturale,
canica. Rispetto al CASTAGNETO MESO- si impone la divisione in due sottotipi ecologi-
FILO SU ARENARIA emergono le seguenti camente distinti:
differenze. tipico
1. La fertilità è meno dipendente dall’accu- acidoclino (con sottobosco più rado e con
mulo di humus e pertanto i popolamenti di brugo e ginestra dei carbonai, di passaggio
castagno mantengono ottime prestazioni an- al CASTAGNETO ACIDOFILO)
che su terreni relativamente acidi e che abbiano
subito un certo grado di erosione. Localizzazione
2. Il sottobosco in generale è meno denso e Solo sul cono vulcanico del Monte Amiata.
permette più facilmente la rinnovazione na-
turale del castagno dopo l’abbandono della Esposizioni
coltura da frutto. Varie. Il bosco ceduo prevale sul versante del
Per questo tipo possono essere fatti accosta- Monte dove molti boschi erano di proprietà
menti con i castagneti dei complessi vulcanici di società minerarie; il castagneto da frutto,
del Lazio. invece, prevale sul versante ovest dove si è
Non tutti i boschi di castagno del cono vulca- conservata la piccola proprietà.
nico del M. Amiata sono però inclusi in questo
tipo: quelli in condizioni peggiori vanno attri- Distribuzione altitudinale
buiti al CASTAGNETO ACIDOFILO con il 500-1.000 metri.


Geomorfologia relativamente remota. Ora che questi boschi
Pendice moderata, a tratti più erta perchè di- sono gestiti dalla Regione, il trattamento pre-
sturbata da colate laviche. vede un turno lungo (oltre 20 anni) con pun-
tuale esecuzione di due diradamenti che, alla
Substrati fine, conferiscono al popolamento la fisiono-
Lave alterate e tufi trachitici. mia di un bosco di alto fusto.
Alcuni cedui situati in punti panoramici sono
Suoli stati allevati all’alto fusto. In questa zona nu-
Generalmente profondi, mai fortemente aci- merosi castagneti da frutto sono ancora in
di, con buon drenaggio; humus ben distribui- esercizio.
to nel profilo anche se talvolta scarso. La tes-
situra molto sabbiosa provoca un elevato pe- Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
ricolo di erosioni che si manifestano soprat- denze dinamiche
tutto nei castagneti da frutto. Il terreno sempre scarsamente coperto da
erbe e il trattamento a ceduo matricinato (ol-
Clima tre all’effetto di illuminazione e scarificazio-
Temperatura media annua fra 10° e 15°. Tem- ne del terreno provocato dai diradamenti)
peratura media del mese più freddo fra -1° fanno sì che il castagno sia sempre denso e,
e +3°. Piogge annue superiori a 1.200 mm. per il momento, in sicuro possesso del terri-
Piogge estive superiori a 150 millimetri. In- torio che occupa.
nevamento molto modesto e di breve durata. Talvolta si nota una tendenza alla rinnova-
zione del faggio.
Interventi antropici più frequenti E’ probabile che l’evoluzione verso il bosco
I boschi cedui derivano da castagneti da frutto misto di latifoglie possa essere più facile nei
acquistati dalle società minerarie fin dai primi cedui avviati all’alto fusto.
del ’900. La conversione in cedui è, dunque,

Specie indicatrici

Castanea sativa Potentilla micrantha


Fagus sylvatica (loc.) Cruciata glabra
Populus tremula (loc.) Brachypodium rupestre
Pyrus pyraster (loc.) B. sylvaticum
Cytisus scoparius Pteridium aquilinum
Euonymus europaeus (loc.) Agrostis tenuis
Rubus idaeus (loc.) Digitalis micrantha
Viola reichenbachiana Lathyrus vernus
Luzula forsteri Salvia glutinosa
Poa nemoralis Hieracium gr. sylvaticum
Scrophularia nodosa Epilobium montanum
Lathyrus montanus Solidago virga-aurea
Rubus gr. hirti Campanula trachelium (loc.)
Polygonatum multiflorum Prenanthes purpurea (loc.)
Festuca heterophylla Calluna vulgaris (loc.)


Selvicoltura giore, frassino meridionale e ciliegio è sem-
Alcuni dei castagneti da frutto ancora in pre opportuno a patto di trovare radure a ter-
esercizio meriterebbero interventi contro reno fertile di sufficiente ampiezza. Auspica-
l’erosione. bile anche la sperimentazione di cultivar di
Per la stessa ragione è sempre bene che castagno da legno.
le tagliate dei cedui siano contenute entro I boschi avviati all’alto fusto potrebbero es-
2-5 ettari. sere tenuti a turni di 60-80 anni e, poi, fatti
L’arricchimento dei cedui con frassino mag- rinnovare il più possibile per seme.


14.3. CASTAGNETO ACIDOFILO

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arid
Povero Ricco

 Sottotipo subxerico con


elementi mediterranei

L’area punteggiata si
riferisce al sottotipo
subxerico

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Castanetum sativae Arrigoni e Viciani,


logica nom. prov., con termini di passaggio al
I castagneti da frutto appartenenti a questo seguente)
Tipo sono formati da piante di modesto svi- Castagneto subxerico con elementi medi-
luppo; i boschi cedui sono della III e IV classe terranei (zona di Castagneto Carducci,
di fertilità. I castagneti abbandonati si pre- Sassetta, Maremma fra Tirli e Gavorrano,
sentano folti di molte piante nate da seme. Il presso Massa Marittima, zona di Rocca-
sottobosco è di impronta acidofila subatlan- strada, Elba, Argentario, ecc., fitosociolo-
tica con brugo, ginestra dei carbonai e felce gicamente vicino ad Arbuto unedi-Casta-
aquilina oppure acidofila mediterranea con netum Arrigoni e Viciani 1997); nel Sene-
prevalenza delle due eriche maggiori. se (Montagnola e Montagne Metallifere -
I castagneti acidofili dimostrano spesso una DE DOMINICIS e CASINI 1979) le infiltrazio-
notevole povertà floristica anche per la scar- ni mediterranee sono più modeste
sità di altre specie arboree o arbustive presenti Inoltre, fra i cedui e i castagneti da frutto
in consociazione al castagno. abbandonati, si riscontrano casi di diffusione
Quanto all’inquadramento fitosociologico v. spontanea di conifere da cui derivano due
i sottotipi. varianti:
con pino marittimo
Sottotipi e varianti con abete bianco
Si distinguono tre sottotipi ecologicamente
distinti: Localizzazione
Castagneto d’impronta suboceanica (ass. Diffuso sul territorio, ivi compreso il cono vul-
Luzulo pedemontanae-Castanetum sati- canico del Monte Amiata in corrispondenza di
vae Arrigoni e Viciani 1997: castagneti da stazioni molto erose e degradate.
frutto ancora in esercizio).
Castagneto a eriche (fitosociologicamente Esposizioni
inquadrabile nell’ass. Erico scopariae- Varie.


Distribuzione altitudinale Tipo la coltura per il frutto è abbandonata;
500-1.000 metri. in parte vi si esercita la ceduazione mentre
per il resto sono attualmente in evoluzione.
Geomorfologia Alcuni comprensori di castagneto in cui
Pendici di varia acclività. prevaleva il Tipo presente sono stati sosti-
tuiti con pino marittimo o abete bianco op-
Substrati pure con pino laricio e, più recentemente,
Arenarie, più spesso a tessitura grossolana; con douglasia.
anche lave vulcaniche all’Amiata.
Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
Suoli denze dinamiche
Relativamente superficiali o recanti tracce di ero- L’abbandono della coltura da frutto ha quasi
sione passata, nettamente acidi e più o meno im- sempre comportato un’intensa rinnovazione
poveriti di sostanza organica. del castagno favorita dal terreno smosso delle
E’ immancabile un orizzonte illuviale di co- erosioni e dalle discontinuità della copertura
lore rosso o rossastro che, talvolta, affiora in del sottobosco. Soprattutto nella Toscana set-
superficie. tentrionale e a bassa quota si sta diffondendo
il pino marittimo nei vuoti occupati dal cal-
Clima luneto con Tuberaria lignosa. Se ne deduce
Temperature medie annue fra 10° e 15°. Tem- che il castagno, pur non essendo nel suo ot-
perature medie del mese più freddo fra -1° e timo fisiologico, trova nei terreni acidi una
+3°. Precipitazioni annue superiori a 1.000 condizione, per lo meno temporanea, di mas-
mm. Piogge estive superiori a 120 millimetri. sima frequenza.

Nel sottotipo subexerico si hanno piogge su- Selvicoltura


periori a 1.000 mm. Innevamento molto scar- Nell’ambito di questo Tipo la coltura nel ca-
so o assente. Nel sottotipo subxerico si hanno stagneto da frutto è conveniente nelle forme
piogge annue di 700-800 mm. e 80-100 du- di transizione con il CASTAGNETO MESO-
rante l’estate. FILO.
La coltura a ceduo è possibile solo con turni
Interventi antropici più frequenti non lunghi perché i polloni, oltre una certa
I popolamenti del sottotipo d’impronta subo- età, arrestano la crescita; è obbligatorio di-
ceanica si prestano ancora bene alla coltura sporre le tagliate e la viabilità di esbosco in
da frutto perché, fra l’altro, essendo meno modo da minimizzare le erosioni. L’avvia-
rigogliosi di quelli del CASTAGNETO ME- mento all’alto fusto da legno non è conve-
SOFILO, producono minore massa da aspor- niente; può essere razionale, invece, l’arric-
tare con la potature. In molti boschi di questo chimento con conifere.


Specie indicatrici
sottotipo ad impronta suboceanica

Castanea sativa Lathyrus montanus


Quercus petraea (loc.) Solidago virga-aurea
Q. cerris (loc.) Teucrium scorodonia
Q. pubescens (r) Pteridium aquilinum
Abies alba (loc.) Phyteuma scorzonerifolium
Juniperus communis Rubus gr. hirtus
Cytisus scoparius (loc.) Brachypodium rupestre
Genista pilosa (loc.) Luzula forsteri
Vaccinium myrtillus Festuca heterophylla
Luzula nivea Veronica officinalis
L. pedemontana Calluna vulgaris (loc.)
Avenella flexuosa Ulex europaeus (loc. ai bordi del bosco,
Agrostis tenuis vers. a mare delle Apuane)
Hieracium gr. sylvaticum Genista germanica (loc.)
Veronica officinalis Hieracium gr. sylvaticum
Poa nemoralis Physospermum cornubiense (loc.)
Cruciata glabra

Differenziali del sottotipo ad eriche(1)

Erica scoparia Pinus pinaster


E. arborea Molinia arundinacea
Calluna vulgaris (freq.) TUBERARIA LIGNOSA (loc.)
Cistus salvifolius

(1) DE DOMINICIS e CASINI (cit.).

Differenziali del sottotipo subxerico con elementi mediterranei

Quercus ilex Cytisus villosus (loc.)


Arbutus unedo Cyclamen repandum
Q. suber (loc.) Ruscus aculeatus
Phillyrea angustifolia Rubia peregrina
Rosa sempervirens Viola alba dehnhardtii
Juniperus communis Brachypodium ramosum

(Qui e nel sottotipo precedente sono assenti: Abies alba, Quercus petraea, Vaccinium
myrtillus, Luzula nivea, L. pedemontana, Avenella flexuosa, Ulex europaeus).


14.4. CASTAGNETO NEUTROFILO SU ROCCE
CALCAREE E SCISTI MARNOSI

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Localizzazione


logica Sottotipo A : Apuane, Montagnola Senese,
Castagneto da frutto di modesta statura con Lucchesia.
sottobosco a graminacee e spesso a tappeto Sottotipo B :Principalmente sul versante
compatto di Brachypodium rupestre, con car- adriatico, in Mugello e qua e là nel resto
pino nero specialmente negli avvallamenti dell’Appennino sui rilievi arenaceo-argillosi.
freschi.
Questo tipo rappresenta una condizione di Esposizioni
massima tolleranza del castagno alla natura Varie.
calcarea e spesso argillosa del suolo.
Dopo l’abbandono della coltura da frutto i Distribuzione altitudinale
popolamenti di questo tipo tendono ad essere 500-800 metri.
rapidamente sostituiti dal carpino nero; in ef-
fetti i boschi ancora osservabili si trovano a Geomorfologia
piccoli gruppi dispersi fra gli ostrieti con vec- Varia; per lo più pendici moderate.
chi esemplari deperienti di castagno.
Si tratta di soprassuoli antropizzati instabili Substrati
i cui boschi potenziali apparterrebbero prob- Calcari del Secondario, marmi nel sottotipo
abilmente all’alleanza Crataego levigatae- A Affioramenti di strati più argillosi della
Quercion cerridis Arrigoni 1996 . formazione Marnoso-arenacea e della forma-
zione del Macigno nel sottotipo B .
Sottotipi e varianti
Bisogna distinguere due Sottotipi fondamen- Suoli
talmente diversi: Molto evoluti (terre rosse) anche se decapitati
A Castagneti su rocce calcaree dure e brunificati in superficie, compatti, più o
B Castagneti su scisti arenaceo-argillosi meno profondi, neutro-subacidi, quasi privi
(rocce miste di tipo flyschioide) di calcare libero nel sottotipo A


Mediamente profondi, freschi, tendenzialmente Interventi antropici più frequenti
argillosi, neutro-subacidi, eluviati, con poco Si tratta di colture spinte ai limiti delle esi-
calcare libero in profondità nel sottotipo B . genze edafiche del castagno che oggi sono
abbandonate.
Clima
Temperatura media annua compresa fra 10° Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
e 15°. Temperature medie del mese più fred- denze dinamiche
do da -1° a +3°. Precipitazioni medie annue La vegetazione potenziale è verosimilmente
superiori a 1.000 mm, estive comprese fra la CERRETA MESOXEROFILA. La fase
150 e 200 millimetri. Innevamento modesto che ora è dato di vedere più di frequente è la
e di breve durata. rapida ed invadente evoluzione all’ostrieto.

Specie indicatrici

Castanea sativa Symphytum tuberosum


Ostrya carpinifolia (invad. a zone) Helleborus bocconei
Prunus avium (loc.) Acer gr. opalus
Acer gr. opalus Festuca heterophylla
Pyrus pyraster Geranium nodosum
Malus sylvestris Solidago virga-aurea
Corylus avellana Viola reichenbachiana
Crataegus monogyna Primula vulgaris
C. laevigata Sanicula europaea
Cornus sanguinea Epilobium montanum
Daphne laureola Hepatica nobilis
Melica uniflora Pteridium aquilinum
Euphorbia amygdaloides Ulex europaeus (bordi
Hedera helix del bosco, vers.a mare delle
Lathyrus venetus Apuane)

Selvicoltura spesso tenuta a freno dal cotico delle grami-


Castanicoltura da frutto possibile solo a nacee: pertanto, ogni azione selvicolturale
patto di molte cure e praticabile dove si (recupero del castagneto, ceduazione), può
voglia conservare la tradizione, una data portare a scarificazioni del cotico di cui il
cultivar o uno scorcio di paesaggio. E’ da carpino nero, poi, approfitta per insediare il
notare che l’invasione del carpino nero è proprio novellame.



 52%,1,(7,

Importanza, caratterizzazione, selvicoltura


La superficie dei boschi di robinia in Toscana è indicata in 23.712 ha.
Per lo più si tratta di impianti più o meno dispersi in piccole particelle, non tutte
così dense, rigogliose e capaci di espansione naturale come vuole la fama della specie.
Le maggiori concentrazioni dei boschi di robinia si trovano sulle pendici inferiori
dell’Appennino, in gran prevalenza nelle province di Massa e Carrara, Lucca e
Pistoia. In questi luoghi, dove la fascia submontana si presenta con pendici anche
molto ripide ed accidentate, la robinia è stata piantata abbondantemente fra il 1950
e il 1960 nei boschi di castagno devastati dai primi attacchi del cancro corticale.
Allora la robinia fu preferita dalle autorità forestali come difesa contro il grave stato
di erosione in cui si trovavano in quel tempo i castagneti da frutto e fu accettata
volentieri dai proprietari perchè il bosco ceduo di robinia si presentava come una
valida risorsa di legna da ardere (BUCCIANTI, 1962).
In effetti il bosco ceduo di robinia ha le particolarità di migliorare il terreno con
la lettiera, di arricchire il suolo di azoto, di mantenersi denso grazie al concorso dei
polloni radicali che vengono emessi dopo ogni taglio e, infine, di essere poco soggetto
agli incendi.
L’inconveniente maggiore sta, caso mai, nel lento accrescimento in diametro.
Il legno è un ottimo combustibile, ma può essere impiegato anche per liste da pavi-
mento, per mobili (ad esempio per fabbricare sedie) e per infissi.
La tabella di fertilità di HERMANIN è valida solo per boschi di robinia cresciuti
in condizioni di clima piovoso e su terreni da rocce silicatiche che producano suoli
molto sabbiosi. Gli sviluppi di altezza che sono stati riscontrati sono anche il risultato
del modo con cui la leguminosa ha migliorato il terreno.
In ambienti diversi dal nord-ovest della Toscana, popolamenti simili si possono
trovare solo in posizione d’impluvio.
In ambienti meno piovosi e su rocce carbonatiche si incontrano solo piccoli
popolamenti di robinia (speso mista con altre specie), di fertilità anche molto inferiore
alla IV classe. La robinia, poi, ritorna rigogliosissima a gruppi ai margini dei boschi
planiziali e, talvolta, d’impluvio.


Classi di fertilità dei cedui di robinia della Garfagnana.
(HERMANIN, 1987) modificato. Altezza media (m) in funzione dell’età
$OWH]]H PHGLH

(Wj DQQL , +P P ,, +P P ,,, +P P ,9 +P P

    

    

    

    

    

La robinia è notoriamente molto invadente. Le invasioni da seme e, molto di


più per polloni radicali, sono molto aggressive nell’occasione di incendi o di tagliate
nei boschi vicini tanto più quanto più il clima e il terreno sono confacenti.

foto

Robinieto d’impianto - Cedui di robinia con castagni da frutto abbandonati e invasi, in fase di
incipiente fioritura. Apuane (Valle Turrite Secca-Lucca)


15.1. ROBINIETO D’IMPIANTO

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arid
Povero Ricco

Il settore tratteggiato
comprende le stazioni a
basse precipitazioni

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- HERMANIN, sono molto uniformi. Quelli ai


logica limiti delle possibilità della specie, invece, si
I boschi di robinia sono provvisti di un sot- trovano su piccole superfici e spesso come
tobosco di specie nitrofile che è presente an- popolamenti misti con arbusti o altre specie
che nei popolamenti giovani e densi perchè arboree. Un caso a parte è l’impiego della
si avvale del ritardo della robinia nell’entrare robinia per consolidare la base delle massic-
in vegetazione in primavera. Le specie più ciate ferroviarie: ne derivano boschetti o ce-
vistose sono i rovi e il sambuco nero. E’ pos- spuglieti tagliati con turno di 2-3 anni.
sibile trovarvi matricine di castagno e di quer-
ce o che testimoniano la composizione del Localizzazione
bosco precedente. Diffusa sul territorio regionale ma con un
I boschi di robinia (che in Toscana si chia- massimo nel settore di nord-ovest della Re-
mano "casciai"), nonostante le posizioni da gione (in particolare nella Garfagnana e Pi-
planiziali a submontane, possono essere fatti stoiese, Lunigiana, a nord di Lucca, ecc.)
rientrare tutti nello schema dell’associazione
Sambuco nigrae-robinietum pseudoacaciae Esposizioni
(ARRIGONI, 1996): l’aspetto che prevale, in- Varie, ma più nelle pendici verso nord o in
fatti, è il classico assetto nitrofilo e sciafilo piano oppure in impluvi ombrosi.
del sottobosco, con termini di passaggio negli
impluvi verso le cenosi dell’ord. Populetalia. Distribuzione altitudinale
Nei robinieti di sostituzione dei castagneti il I robinieti nelle zone ottimali, cioè quelli più
sottobosco è più differenziato anche se spesso caratterizzati, si trovano: poco sopra il livello
è molto povero. del mare ai margini delle foreste planiziarie;
su colline derivanti da terrazzi pliocenici (e
Sottotipi e varianti quindi fra 200 e 400 m); infine in pendici
I robinieti nell’optimum, come è espresso dal submontane anche in impluvi fino alla quota
campo di sviluppo in altezza individuato da di 700 metri circa.


Geomorfologia Interventi antropici più frequenti
Varia. In montagna anche su superfici molto Impianto con semenzali di 1 anno. Cedua-
ripide. zioni al turno di circa 20 anni.
Incendi e successiva diffusione spontanea in
Substrati boschi diradati o abbattuti di recente oppure
Depositi sciolti. Arenarie. - più limitatamente - in terreni abbandonati
dall’agricoltura.
Suoli
L’ottimo si verifica anche su suoli che in par-
tenza erano acidi e che, poi, la robinia ha Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
trasformato in senso neutrofilo. denze dinamiche
Fintanto che la robinia è tenuta a ceduo non
Clima emergono possibilità di evoluzione verso al-
Vario, ma entro limiti superiori di aridità e tre cenosi.
inferiori di temperature estive relativamente
ristretti (GELLINI, 1980).

Specie indicatrici

Robinia pseudoacacia Tamus communis


Fraxinus ornus Hedera helix
*Sambucus nigra (domin.) *Parietaria officinalis (impl.)
Euonymus europaeus *Chaerophyllum temulum (impl.)
Lonicera etrusca *Lamium purpureum (impl.)
Prunus spinosa *Aegopodium podagraria (impl.)
*Rubus gr. hirti (freq. a quote sup.) *Urtica dioica (impl.)
*R. ulmifolius (freq.) *Geranium robertianum (impl.)
Asparagus tenuifolius *Helianthus tuberosus (impl., loc.)
Ruscus aculeatus

*(specie nitrofile)

Selvicoltura di rigenerazione e che, quindi, si può trat-


Il bosco di robinia, governato a ceduo, dà tare con la massima semplicità. La fiori-
inconvenienti solo di carattere paesaggistico tura della robinia è molto apprezzata per
o nei confronti della biodiversità. il pascolo delle api.
Altrimenti si ha un bosco che non ha bisogno
di matricine, che non ha problemi di capacità


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Importanza e caratterizzazione
La betulla in Toscana si trova sull’Appennino e sul Pratomagno. E’ leggermente
più frequente nel settore nord-ovest della regione fino alla valle della Lima. Altrove
appare solamente con singole piante sparse; resta eccezionale e molto interessante
la segnalazione di MERCURIO (1984) di un bosco di castagno e betulla sul Pratomagno
che al suo interno contiene un ettaro di betuleto quasi puro.
E’ difficile individuare tutti i fattori a cui sono legati i relitti sull’Appennino di
questa specie eliofila, frugale e pioniera, ma anche esigente di acqua.
Il suolo acido non incide tanto per le esigenze edafiche della betulla (che invece
sono indifferenti) quanto forse per le conseguenze collaterali che esso esercita
sulla siccità e per la concorrenza di altre specie. L’ambiente è quello della fascia
submontana dove la betulla trova umidità sufficiente e boschi misti in cui il faggio
non impone ancora una concorrenza proibitiva. La castanicoltura, infine, tramite
il continuo disturbo, ha offerto delle occasioni di sopravvivenza per questa specie
pioniera che invece, nell’ambito dei boschi di cerro, sembra più confinata a luoghi
dirupati.


16.1. BETULETO MISTO

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arid
Povero Ricco

La betulla è presente in cedui di castagno, trazione eccezionale in quest’area presso Tal-


castagneti da frutto, cedui di cerro e faggete la a NE di Monteloro (MERCURIO, cit.).
con sottobosco di specie acidofile come felce
aquilina, ginestra dei carbonai, ecc. e con suo- Esposizione
lo non troppo degradato. Varie ma prevalenti a nord.
Dal punto di vista fitosociologico potenzial-
mente ai tratta di boschi di transizione fra gli Distribuzione altitudinale
ordini Quercetalia robori-petraeae Tx. 1931 Da 600-700 m sin oltre 1100 metri.
e Fagetalia Pawl. 1928, sebbene, almeno nel
betuleto puro sopra indicato, prevalgano le Geomorfologia
specie nitrofile, in particolare i rovi. Medi e alti versanti montani a pendenze non
eccessive; talvolta su pendii più erti con af-
Sottotipi e varianti fioramenti rocciosi.
Si individuano soprattutto delle varianti rife-
ribili a questi Tipi: Substrati
CERRETA ACIDOFILA MONTANA Arenarie e altre rocce silicatiche.
(v.) con betulla
CASTAGNETO ACIDOFILO (v.) con Suoli
betulla Bruni acidi o lisciviati, sciolti abbastanza pro-
FAGGETA CESPUGLIOSA DI VETTA fondi, freschi, ricchi di scheletro, a humus
(v.) con betulla poco diffuso in profondità (moder); il com-
plesso di scambio ha una bassa saturazione
Localizzazione in basi.
Appennino (ad es. in Valdinievole - NARDI,
1965, ined.-), bacino del Serchio, Alpi Apua- Clima
ne (Valle Turrite Secca presso Caréggine, Temperatura media annua da 8° a 13°. Media
ARRIGONI, 1957), Pratomagno. Una concen- del mese più freddo da -3° a 0°. Precipitazioni


medie annue di 1.500-2.000 mm di cui 200- coltura agricola o tenuti a pascolo. Forse la
300 nel trimestre estivo salvo che nel relitto specie è anche legata ad incendi o abbrucia-
del Pratomagno dove queste sono un po’ in- menti passati.
feriori (1300-1400 mm e con 150-200 mm in
estate). Posizione del tipo nel ciclo evolutivo e ten-
denze dinamiche.
Interventi antropici più frequenti E’ molto probabile che il miglioramento della
I relitti di betulla appaiono legati a radure, vegetazione delle specie consociate, oggi ce-
frane e boschi radi, (castagneti da frutto ab- duate più di rado, provochi uno stato di con-
bandonati e boschi cedui degradati) o, local- correnza eccessiva ai fini della permanenza
mente, a zone un tempo (50-60 anni fa) a della betulla.

Specie indicatrici (1)

Betula pendula Veronica officinalis


Castanea sativa (spesso codomin.) Poa nemoralis
Fagus sylvatica Hypericum perforatum
Quercus cerris (loc.) Urtica dioica
Populus tremula (loc.) Fragaria vesca
Rubus gr. hirti (abbond.) Epilobium montanum
Pteridium aquilinum (abbond.) Viola reichenbachiana
Cytisus scoparius Digitalis micrantha
Rosa canina Cruciata glabra
Crataegus monogyna (loc.) Epipactis helleborine
Festuca heterophylla Mycelis muralis (loc.)
Moehringia trinervia

Selvicoltura da disporre nelle vicinanze per rimboschi-


Il rilascio della betulla come matricina di ce- menti, filari stradali o in altro modo per man-
duo è sempre una cosa buona. In presenza tenere e accrescere i contingenti del popola-
degli addensamenti maggiori sarebbe oppor- mento.
tuno raccogliere il seme e allevare piantine

(1) MERCURIO (cit.).



 $/1(7, ', 217$12 %,$1&2 ( 217$12 1$32/(7$12

Importanza e caratterizzazione
Questi boschi, accomunati dalla dominanza di due specie appartenenti allo stesso
genere, sono stati inclusi in una stessa categoria anche perchè vegetano all’incirca
alle stesse quote e in ambienti ecologici affini. La loro origine è comunque ben
diversa essendo i primi a carattere spontaneo mentre i secondi, come noto, provengono
da rimboschimenti. Per tale ragione essi sono stati brevemente descritti in questo
ambito al punto 23.1.
La loro distribuzione è esclusivamente limitata all’Appennino e localizzata a
zone particolarmente fresche o umide.
Le superfici occupate da questi Tipi di bosco non sono state considerate sepa-
ratamente nell’Inventario Forestale della Regione Toscana.

Alneto autoctono di ontano bianco - Ceduo a m. 1370 sotto Foce a Giovo (Garfagnana- Lucca).
Il fitto sottobosco è ricco di specie mesofile e nitrofile.


17.1. ALNETO AUTOCTONO
DI ONTANO BIANCO

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arid
Povero Ricco

Il settore tratteggiato è
relativo alle stazioni delle
quote più basse

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Alnetum incanae (Br. Bl. 1915) Br. Bl. 1921
logica inserita da ARRIGONI (1996, ined.) fra le as-
L’ontano bianco, per la sua natura di specie sociazioni “ inquirendae” .
boreale, risulta limitato alle zone più pio-
vose e fredde della Toscana settentrionale, Sottotipi e varianti
in piccole superfici disgiunte talvolta pun- normale su rocce cristalline
tiformi, la cui presenza non è stata eviden- basifilo su calcare (Apuane)
ziata nei rilievi dell’Inventario Forestale re- Non esistono varianti.
gionale.
Questi alneti praticamente puri coprono Localizzazione
probabilmente poche centinaia di ettari di Appennino in Lunigiana (Sotto il Passo
superficie, ma sono interessanti sotto il pro- dei Due Santi, Passo del Brattello, Passo
filo naturalistico in quanto la specie rag- del Cerreto (è la stazione più estesa verso
giunge qui il limite meridionale del suo il M. Albo), in Garfagnana sotto Foce a
areale italiano. Giovo, e al Pian degli Ontani (Valle del
Il sottobosco è quasi sempre dominato dal Sestaione); versante interno delle Apuane
lampone, mentre numerose sono pure le spe- nella zona di Vagli e probabilmente al-
cie nitrofile banali risultando invece del tutto trove (M ONDINO , ined.); P ADULA (1995)
assenti le entità decisamente igrofile. Lo stra- segnala la specie per le Foreste Casenti-
to arbustivo è povero di specie e a scarsa nesi (Parco Nazionale) ma in boschi misti
copertura. ad altre latifoglie.
Questi boschi vanno inclusi genericamente
nell’ord. Fagetalia sylvaticae, però con forti Esposizioni
ingressioni di specie nitrofile di diverse unità Varie.
fitosociologiche.
La composizione floristica rilevata (MONDI- Distribuzione altitudinale
NO, ined.) non corrisponde all’associazione (600) 950-1450 metri.


Geomorfologia Clima
Greti, coni di deiezione, morene anche senza Precipitazioni medie annue 1800-2500 mm;
acqua superficiale, rive di ruscelli, impluvi precipitazioni estive 200-300 mm. Assenza
freschi con suolo profondo. di periodo asciutto estivo.

Substrati Interventi antropici più frequenti


Vari, anche calcarei sulle Apuane. Ceduazione, attualmente forse localmente
abbandonata. Impianti marginali di ontano
Suoli napoletano (v. punto 23.1.).
Nelle stazioni più tipiche ed estese si tratta
di suoli poco evoluti (anche litosuoli) a pH Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
subacido-basico, con granulometria per lo più denze dinamiche
sabbiosa, freschi o umidi, ma non paludosi, Malgrado il lungo periodo durante il quale que-
mentre in quelle marginali si incontrano suoli sti boschi non sono stati ceduati i segni di un
bruni di vario tipo; l’humus è molto attivo e dinamismo verso boschi più stabili sono scarsi.
i profili risultano assai differenziati quanto a Su cinque casi esaminati solo in due com-
profondità, evoluzione, ricchezza di scheletro pare l’acero di monte con piante di varie
(in genere più o meno abbondante) e anche età (quest’evoluzione - insieme al frassino
come provvista d’acqua, che è sempre ossi- - è normale sulle Alpi ) e il ciliegio adulto
genata. solo in un caso. Non si sono osservati casi
di infiltrazione di ontano napoletano in que-
sto Tipo di alneto.

Specie indicatrici
Alnus incana Mycelis muralis
Acer pseudoplatanus (loc.) Fragaria vesca
Prunus avium (loc.) Geranium nodosum
Alnus glutinosa (limiti inf.) Dryopteris affinis
Corylus avellana *Galium aparine
Salix caprea *Rubus gr. hirti
S. apennina (loc.) Myosotis sylvatica
Euphorbia dulcis Epilobium montanum
*Sambucus nigra Valeriana officinalis (loc.)
*Rubus idaeus Stellaria nemorum (loc.)
*Urtica dioica Orchis maculata (loc.)
*Geum urbanum Vicia sepium (loc.)
*Geranium robertianum Circaea lutetiana (loc.)
*Aegopodium podagraria Senecio fuchsii (loc.)
Athyrium filix-foemina Salvia glutinosa (loc.)
Dryopteris filix-mas Campanula trachelium (loc.)
Poa nemoralis

(* specie nitrofile)

Specie differenziali del sottotipo basifilo


Thalictrum aquilegifolium Paris quadrifolia
Petasites albus Orchis maculata
Polygonatum multiflorum Helleborus cfr. viridis


Selvicoltura basse pendici incassate e degli impluvi oltre
Si tratta sempre di cedui semplici, a coper- che sotto quello naturalistico per le ragioni
tura colma, più o meno invecchiati (ultimi su esposte.
tagli, circa 30-40 anni fa) che, attualmente, L’altezza non supera i 10 m e il diametro dei
possono essere localmente considerati so- polloni i 20 cm; esemplari isolati ad alto fusto
prattutto sotto l’aspetto protettivo delle raggiungono i 40 centimetri.

17.2. ALNETO D’IMPIANTO DI ONTANO


NAPOLETANO

(V. punto 23. IMPIANTI DI SPECIE SPONTANEE DI MINORE IMPIEGO, in particolare


 3,1(7( ', 5,0%26&+,0(172 ', 3,12 1(52

Importanza e cenni storici


Col termine di "pino nero" si intendono qui tutte le entità che fanno capo a Pinus
nigra Arnold comprensive delle sottospecie: nigra (= austriaca), italica (pino di
Villetta Barrea) e calabrica (pino laricio); quest’ultima viene spesso considerata
specie a sè col nome di Pinus laricio Poiret.
L’impiego del pino nero come specie da rimboschimento è iniziato fra la fine
dell’800 e i primi del ‘900 con piccoli impianti a Vallombrosa e a Bivigliano. Durante
i lavori di rimboschimento di Monte Morello (Firenze) il pino nero si rivelò una
conifera di facile allevamento in vivaio, di pronto attecchimento e adatta a rivestire
rapidamente anche i terreni montani e submontani più degradati.
Dal 1915 al 1940 il pino nero è stato largamente impiegato nel costituire o
nell’ampliare dei comprensori di rimboschimento montano piuttosto grandi. Come
esempi si riportano: Comano e Fivizzano; Monticelli (Gavinana); Calvana e Monte
Morello (Prato e Firenze); Scopetone e Rio Rigutino (Arezzo); le Cornate di Gerfalco
in provincia di Grosseto.
Dal 1946 al 1970 la specie è stata usata per il completamento dei grandi com-
prensori precedentemente stabiliti, per la costituzione di nuovi grandi perimetri
(come p. es. a Moggiona vicino a Camaldoli e in alta Val Tiberina) e, soprattutto,
per l’impianto di molti piccoli appezzamenti dispersi.
La superficie attuale delle pinete di pino nero in Toscana è valutata in 10.640
ettari a cui si devono aggiungere circa 7500 ettari fra cedui coniferati e fustaie
miste.
L’età media attuale delle pinete è valutabile in circa 50-60 anni; è ancora presto
per potere parlare di valori nel commercio del legno, ma, comunque, si tratta di
assortimenti adatti solo per imballaggi e impieghi ordinari.
I criteri di rimboschimento, in linea di massima, prevedevano l’impiego del pino
laricio di Calabria sui terreni silicatici e nelle stazioni non troppo fredde e l’impiego
delle provenienze del Friuli e della Carnia ("pino nero d’Austria") sui terreni carbo-
natici e alle quote superiori. In seguito venne consigliato il pino di Villetta Barrea
di provenienza abruzzese in alternativa al pino d’Austria. Nella pratica è molto


difficile stabilire le singole provenienze adottate a meno di ricerche di archivio
sull’origine del seme oppure di indagini biometriche e biochimiche apposite.
Le specie impiegate nella mescolanza variavano secondo la stazione: cipresso,
cedro dell’Atlante, abete greco o anche abete bianco. Le latifoglie (per esempio,
orniello, cerro, acero di monte) sono state largamente usate all’atto dell’impianto,
ma poi sono state trascurate nel corso delle cure colturali. La robinia e l’ontano
napoletano sono stati usati lungo gli stradelli di servizio e in zone franose.
La principale avversità parassitaria del pino nero (con danni più forti sugli
impianti giovani) è stata fino ad ora la processionaria Thaumetopoea pityocampa);
attualmente si osservano fenomeni di clorosi su pinete adulte, soprattutto sui rimbo-
schimenti dei terreni calcarei.

Aspetti selvicolturali
Ai fini della gestione dei maggiori comprensori di pinete di pino nero si intrec-
ciano varie questioni anche contrastanti.
Alcuni comprensori di pineta hanno acquisito una loro popolarità ed una certa
frequentazione ricreativa sia pure a livello locale: ciò dovrebbe far presupporre per
lo meno delle opere di manutenzione.
Sotto altri punti di vista, la pineta di pino nero è una forzatura paesaggistica ed
ha potenzialità molto ridotte rispetto ad ecosistemi naturali teoricamente possibili.
Ne deriverebbe la necessità di lavori di trasformazione sia pure con la necessaria
gradualità.
Per contro, il regime delle proprietà delle pinete in cui potrebbero essere pro-
grammato degli interventi è molto vario. Una parte è di proprietà della Regione o di
Comuni mentre, fra le pinete di proprietà privata, alcune fanno parte di aziende in
cui si esercitano ancora attività agrosilvopastorali, ma molte altre sono in condizioni
di abbandono della gestione.
In Calabria e in Corsica si conservano esemplari di pino laricio di età plurise-
colare; non è detto però che la longevità individuale possa corrispondere alla durata
di popolamenti interi che, come avviene per i rimboschimenti della Toscana, non
sono sempre ben inseriti sotto il profilo ecologico. E’ possibile inoltre che, alle quote
inferiori e nelle stazioni aride, il pino nero, dopo avere reagito bene da giovane,
possa incontrare limiti di longevità per le maggiori necessità di acqua e di elementi
nutritivi delle piante adulte e per il conseguente ricorrere di crisi idriche e di attacchi
di parassiti (soprattutto processionaria).
Le prospettive di rinnovazione naturale (oppure di evoluzione verso altre cenosi)
cambiano molto secondo la stazione. Nelle stazioni estremamente scadenti, il pino
nero (libero dalla concorrenza di altre specie) potrebbe anche rinnovarsi e dar luogo
ad "associazioni permanenti"; nelle stazioni molto fertili, invece, sono possibili rapide
successioni verso il bosco misto di latifoglie. Resta un ampio campo intermedio di
pinete di dinamismo poco prevedibile.


Nella tabella di fertilità qui allegata, la I e la II classe di fertilità rappresentano
pinete dotate di un discreto dinamismo evolutivo e che, da un punto di vista econo-
mico, potrebbero essere destinate alla gestione per la produzione di legno oppure
che possono essere sottoposte agli interventi di trasformazione che qui di seguito
saranno discussi. Le pinete della III classe possono avere destinazioni produttive o
protettive secondo le circostanze. Le pinete della IV classe, infine, svolgono un ruolo
protettivo e possono essere sottoposte solo a trasformazioni di natura specifica cioè
volte a rafforzarne l’azione protettiva.

Classi di fertilità delle pinete di Pino nero in Toscana


(BERNETTI, CANTIANI & HELLRIGL, 1969 modificata).
Altezza dominante in funzione dell’età
(Wj DQQL , +P P ,, +P P ,,, +P P ,9 +P P

    

    

    

    

    

    

    

    

    

    

I boschi di pino nero che fanno parte di aziende agricole e forestali ancora gestite
vengono già sottoposti a tagliate a raso seguite dalla rinnovazione artificiale con lo
stesso pino nero o con altre conifere fra cui, soprattutto, la douglasia.
Tuttavia esistono anche premesse tecniche che suggeriscono la necessità di ap-
plicare piani operativi per lo svecchiamento, la rinnovazione e la trasformazione dei
grandi complessi di pineta di pino nero.
Il taglio raso su superfici ampie (1-3 ettari) è il tipo di intervento più semplice
e anche più drastico. Su terreni poco accidentati non provoca pericoli idrogeologici;
se applicato a particelle di pino nero disperse fra altre colture dà il minimo di danno
paesaggistico. La conseguente rinnovazione artificiale può essere fatta col pino nero
o, piuttosto, con specie scelte secondo le esigenze aziendali oppure secondo criteri
di recupero naturalistico. Nel primo caso conviene spesso ripetere la coltura di co-
nifere, ma con douglasia, abete bianco o cedro dell’Atlante secondo la stazione. Nel
caso di recupero naturalistico occorre la sostituzione mista di latifoglie e conifere
(faggio e abete) in alto o con sole latifoglie alle quote inferiori.


Il taglio raso su piccole superfici (0,5 - 1 ettaro) può essere utile per limitare
l’impatto (soprattutto psicologico e visivo) delle operazioni; a parte la minore su-
perficie delle tagliate e la minore efficienza operativa segue gli stessi criteri del taglio
raso su superfici più grandi.
Le varie forme del taglio raso sono ovviamente sconsigliabili quando la pineta
possiede già un piano inferiore di rinnovazione spontanea di latifoglie o di altre
specie di conifere.
Nelle pinete di pino nero la presenza di nocciolo invita alla pronta sostituzione
con specie indigene, ma può essere consigliabile limitarsi a diradare la pineta e
lasciare che la latifoglia prolunghi la sua funzione miglioratrice del terreno.
Un modello di trasformazione alternativo consiste nel diradare progressivamente
tutto il comprensorio delle pinete fino a rilasciare, gradualmente, solo 50-80 grossi
pini per ettaro emergenti sopra un piano di successione di latifoglie. I diradamenti
spinti fino a lasciare piante isolate servono ad avere piante grosse e bene impostate
ai fini della longevità individuale e a dare spazio e luce per lo sviluppo del piano
inferiore di successione.
In assenza di quest’ultimo si possono effettuare delle sottopiantagioni. Lo scopo
generale è quello di sostituire la fisionomia del paesaggio con la massima gradualità
lasciando alla fine poche piante di pino come testimoni dell’antico rimboschimento.
I criteri generali di assestamento son quelli del sistema a taglio saltuario. Il metodo
non è applicabile ai popolamenti delle quote inferiori o dei terreni calcarei perché
le piante isolate sono molto più soggette alle crisi di aridità.
Recenti prove (NOCENTINI, 1955), di forti tagli sul piano dominante di pino nero
e laricio a M. Morello, hanno effettivamente favorito orniello, carpino nero e qualche
acero di monte, sia come piante da seme, prima stentate (ora con altezza di 3-7 m),
sia come polloni di ceppaie preesistenti. Biancospini, rovi ed edera completano la
copertura del suolo. Una proposta interessante è quella di combinare gli interventi
con piccole tagliate a raso localizzate in stazioni di particolare fertilità e facilità di
accesso per piantarvi specie arboree indigene di mole maggiore come, per esempio,
la rovere o l’acero di monte. Le pinete dei terreni più scadenti (appartenenti alla III
e soprattutto alla IV classe di fertilità) possono essere sottoposte a sottopiantagioni
di latifoglie arbustive rustiche e miglioratrici che risultano tanto più opportuni quando,
nonostante il rimboschimento, rimangono superfici con erosione attiva.
Le pinete di pino nero possono essere classificate secondo il substrato del terreno
e secondo la quota. Si hanno pertanto, le seguenti distinzioni in Tipi:
Pineta eutrofica acidofila (sostitutiva di castagneti delle fertilità migliori)
Pineta neutro-acidoclina su rocce calcaree o arenaceo-argillose, montana e submon-
tana (sostitutiva di castagneti oppure di pascoli su terreni di competenza di cerrete)
Pineta neutro-basifila su rocce calcaree o arenaceo-argillose, sopramediterranea,
(sostitutiva di pascoli su terreni di competenza di querceti di roverella) .


18.1. PINETA EUTROFICA (ACIDOFILA)
DI PINO NERO

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Dal punto di vista fitosociologico non è pos-


logica sibile fornire dati circa unità di appartenenza.
Sono pinete della I e della II classe di fertilità,
per lo più sostitutive di boschi di castagno Sottotipi e varianti
oppure di campi, in ambienti potenzialmente Ci possono essere varianti secondo il criterio
di competenza della CERRETA EUTROFI- di mescolanza al momento della piantagione;
CA AD ACER OPALUS s.l. (v.). Nei popo- per esempio:
lamenti ancora molto giovani e densi il sot- con pino silvestre
tobosco si limita a poca felce aquilina. I po- con cedro dell’Atlante e cipresso
polamenti di oltre 60 anni (che sono più fre- con abete bianco e abete rosso
quenti), invece, hanno un piano di successio- Altre varianti si distinguono secondo la spe-
ne ben sviluppato e, talvolta, molto ricco di cie prevalente nel piano inferiore o nel sot-
specie come se il terreno eroso in conseguen- tobosco:
za della coltura del castagneto e mai comple- con castagno prevalente
tamente coperto dagli arbusti acidofili sia ri- con carpino nero prevalente
masto disponibile per i semi portati dal vento
e soprattutto dagli uccelli che frequentano la Localizzazione
pineta. Al limite (come nelle pinete di Pian L’espressione più tipica ed estesa si trova
di Melosa a Vallombrosa) si possono trovare: nella Foresta di Vallombrosa sopra a Pian
abete bianco e faggio anche in posizione di di Melosa. Altre pinete di riferimento al
discesa; castagno derivante da polloni, cerro, tipo si possono trovare nella Foresta di Ca-
roverella, acero di monte, acero riccio, acero maldoli (località Pucini) e nella Foresta del
opalo, acero campestre, carpino nero, carpino Teso.
bianco, orniello, frassino maggiore, più una Si hanno altri lembi altrove non solo sul si-
grande varietà di specie arbustive. Mancano stema appenninico ma isolatamente anche
rovere e farnia per assenza di piante madri. nella Toscana centro-settentrionale.


Esposizioni Il reingresso spontaneo delle grandi querce
Varie. (rovere ed eventualmente anche farnia) è im-
possibile per mancanza di piante dissemina-
Distribuzione altitudinale trici nelle vicinanze.
Da 500 a 900 (1.000) metri. E’ tuttavia indubbio che il tipo potenziale
sia da attribuire a un querceto con carpini
Geomorfologia di almeno parziale intonazione medio-eu-
Pendici non molto ripide. ropea.

Substrati Specie indicatrici


Il tipo si manifesta nell’ambito della forma- Vengono omesse perchè praticamente non ne
zione del Macigno dove prevale l’influenza esistono.
di strati di arenarie a tessitura grossolana.
Selvicoltura
Suoli In economia aziendale il criterio di inter-
Molto sabbiosi, sciolti, relativamente profon- vento ritenuto più conveniente è il taglio
di e freschi, acido-subacidi, ricchi di sostanza raso su 1-3 ettari seguito da sostituzione
organica e di lettiera. Anche a distanza di con douglasia.
decenni si possono notare ancora i vecchi sol- Ai fini pubblici in questo caso è massima
chi di erosione che si erano formati durante l’opportunità di allevare, per diradamenti
la coltura del castagneto da frutto. progressivi, un popolamento di grandi piante
emergenti dal popolamento di latifoglie.
Clima Pertanto, se il piano inferiore è già insediato,
Temperatura media annua da 8° a 13°. Tem- basta eseguire 2-3 interventi fino a lasciare
peratura media del mese più freddo da -3° a 50-80 piante per ettaro candidate fin dall’ini-
+1°. Precipitazioni medie annue di (800) zio fra le più grosse e con chioma inserita
1.000-1.200 (1.500) mm; precipitazioni esti- anche in basso; al momento dell’ultimo dira-
ve superiori a 150 millimetri. damento si può avviare all’alto fusto il popo-
lamento di latifoglie sottostante. Se il piano
Interventi antropici più frequenti di successione è giudicato insufficiente, dopo
Si tratta di pinete piantate su castagneti da il primo diradamento si può operare con sot-
frutto abbandonati oppure su campetti mon- topiantagioni.
tani. In seguito sono state oggetto di dirada- In pinete rimaste molto dense e, quindi, prive
menti o recuperi di piante schiantate per cause di piano di successione, costituite da piante
naturali. molto "filate", è estremamente più pratico e
sicuro operare per taglio raso e sostituzione
Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten- artificiale posticipata di specie.
denze dinamiche In ogni caso è massima anche l’opportunità
L’insediamento del piano inferiore di succes- di aprire degli spazi per la piantagione di
sione dipende molto dall’età ma anche dalla gruppi di piantine di rovere o di altre specie
densità iniziale di impianto e dai diradamenti. di grandi dimensioni ritenute proprie della
Quando tale piano è bene affermato il pino vegetazione potenziale.
non potrà più rinnovarsi, a meno che non
avvengano incendi.


18.2. PINETA NEUTRO-ACIDOFILA
DI PINO NERO

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- è da considerasi come un mosaico di situa-


logica zioni variabili secondo l’esposizione e la pro-
Pinete della II classe di fertilità (raramente fondità del suolo riconducibile al seguente
della I oppure della III), in ambienti di cerrete schema di sottotipi (BERNETTI et al., 1959).
potenziali. Nel tipo prevalgono rimboschi-
menti più recenti da cui derivano popolamen- a graminacee (soprattutto a brachipodio
ti spesso tenuti a densità colma. Il sottobosco rupestre). Comprende pinete della IV e III
(e con esso anche la classe di fertilità) varia classe di fertilità, raramente della II
molto secondo le esposizioni: dal gramineto a gramineto con felce aquilina e rovo non
alle masse di rovi eventualmente combinate sviluppato in masse. Corrisponde alla II e
con un piano di successione di olmo campe- III classe di fertilità, raramente alla I
stre, orniello, acero campestre, carpino nero, con felce aquilina ben sviluppata mista a
cerro, roverella, ecc. masse di rovo. Corrisponde alla II e I clas-
Si tratta di pinete di sostituzione di potenziali se di fertilità
boschi mesofili di latifoglie decidue riferibili con arbusti e latifoglie (orniello, carpino
all’alleanza Crataego laevigati-Quercion nero, acero campestre, cerro, olmo cam-
cerridis Arrigoni 1996, con transizioni xero- pestre, e anche molti rovi e arbusti del Pru-
morfe al Lonicero etruscae-Quercion pube- neto).
scentis Arrigoni e Foggi in ARRIGONI et al. Corrisponde alla I classe di fertilità, tal-
(1990) dovute alla esposizione. volta alla II. Si colloca in avvallamenti
freschi ed in esposizioni nord. Si avvicina
Sottotipi e varianti molto alla PINETA EUTROFICA (ACI-
Il Tipo può avere varianti secondo il criterio DOFILA) DI PINO NERO (v.)
di mescolanza adottato al momento della
piantagione, anche se, per lo più, si tratta di Localizzazione
boschi decisamente puri. Su tutti i rilievi della Regione esclusi quelli
Dal punto di vista delle fertilità questo tipo con rocce calcaree o serpentinose.


Esposizioni vano una limitazione nella forte densità alla
Varie, da cui dipende la differenziazione in quale questi popolamenti sono stati allevati
sottotipi. e, forse, anche nella azione di impedimento
generata dal brachipodio rupestre.
Distribuzione altitudinale E’ possibile che il regime precedente di ab-
500-1.000 metri. bruciamenti ripetuti abbia provocato la dif-
fusione della prateria con prevalenza del bra-
Geomorfologia chipodio che è, notoriamente, una pirofita.
Pendici anche accidentate. Dopo l’impianto dei pini la graminacea po-
trebbe essere rimasta ancora favorita dalla sua
Substrati capacità a propagarsi per via vegetativa e ma-
Scisti argillosi o limosi facenti parte della for- gari anche da non rari incendi bassi che sono
mazione del Macigno, della formazione Mar- stati ricorrenti nei rimboschimenti confinanti
noso arenacea, oppure anche della serie detta con i pascoli.
delle “ Crete di Vicchio” la quale di prolunga Nondimeno, dove si hanno pinete sufficien-
poi fino al Casentino e alla Val Tiberina. temente adulte (e quindi produttrici di seme
abbondante), si osservano casi di espansione
Suoli progressiva del pino nero in praterie adiacenti
Abbastanza argillosi, superficiali sui dossi, (PACI e ROMOLI, 1992).
relativamente freschi, subacidi, con calcare Nelle posizioni a suolo più profondo e fresco
attivo in profondità e lettiera spessa ma con si insedia un piano di successione costituito,
una certa incorporazione della sostanza orga- però, solo da latifoglie di mole minore salvo,
nica alla frazione minerale. teoricamente, l’olmo campestre che poi, in
pratica, resta costretto allo stato arbustivo
Clima dalla malattia della grafiosi. Le querce hanno
Temperatura media annua da 8° a 13°. Tem- maggiore difficoltà di ritorno immediato a
peratura media del mese più freddo da -3° a causa del seme pesante.
+1°. Precipitazioni medie annue di 1000-
1500 mm; precipitazioni estive superiori a Specie indicatrici
150 millimetri. E’ lo stesso clima montano e Vengono omesse perchè non ne esistono pra-
submontano della Pineta acidofila di pino ticamente.
nero, sostitutiva di castagneti, tuttavia il sub-
strato di questo tipo ha un bilancio idrico mol- Selvicoltura
to più sfavorevole. Il bilancio idrico peggiore, proprio dei suoli
argillosi, soprattutto se combinato con le pre-
Interventi antropici più frequenti cipitazioni più basse, può contribuire ad ab-
Rimboschimento su pascoli mantenuti con breviare la longevità di queste pinete. Pertan-
continui abbruciamenti, fortemente erosi e to sarebbe opportuno iniziare per tempo il
degradati. Il pino è stato piantato denso e ciclo delle trasformazioni. Resta evidente
talvolta su gradoni molto fitti. Raro il caso che le operazioni debbono essere dosate
di boschi sottoposti a diradamenti. con molta attenzione ai sottotipi e alle classi
di fertilità.
Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten- Nella stazioni migliori dal punto di vista pro-
denze dinamiche duttivo la soluzione migliore è il taglio raso
Le probabilità di una evoluzione ulteriore tro- su 1-3 ettari con sostituzione con cedro


dell’Atlante o, solo eventualmente, con la Nelle stazioni più scadenti, invece, il mi-
douglasia. nore sviluppo di altezza raggiunto dalle
Ai fini della trasformazione, il taglio raso nel- piante consente una maggiore libertà di in-
le sua diverse concezioni può essere ancora tervento. In particolare sarebbe consiglia-
la soluzione più efficiente perché l’eccessiva bile operare diradamenti più o meno loca-
densità di questi popolamenti rende sconsi- lizzati seguiti da sottopiantagioni di querce
gliabili moduli selvicolturali basati sul dira- e altre latifoglie.
damento.

Pineta neutro-acidoclina di pino nero - Impianto di buona fertilità della conifera diradata da tempo,
con presenza di faggi di rinnovazione naturale sotto Foce delle Radici verso 1000 m (Lucca).


18.3. PINETA NEUTRO-BASIFILA
DI PINO NERO

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- a felce aquilina e rovi, cui corrispondono


logica fertilità discrete
Pinete di classe di fertilità variabile fra la IV con piano di successione di orniello, acero
e la II (rarissima la I classe), in ambienti pro- campestre, carpino nero, olmo campestre,
pri dei querceti termo-xerofili. e arbusti del Pruneto; rare le querce.
Prevale il sottobosco a gramineto non solo Qui si hanno le classi di fertilità migliori.
a brachipodio rupestre, ma anche con spe-
cie dello xerobrometo. Corrisponde alla so-
stituzione di potenziali boschi di roverella Localizzazione
(Roso sempervirentis-Quercetum pube- Monti della Calvana, M. Morello e altri rilievi
scentis Biondi 1986) o di roverella e leccio calcarei.
(Fraxino orni-Quercetum ilicis Horvatic
(1956) 1958). Esposizioni
Varie, da cui dipende la differenziazione in
Sottotipi e varianti sottotipi.
Il criterio di mescolanza all’atto dell’impian-
to dà luogo sovente ad una variante Distribuzione altitudinale
300-800 metri.
con cipresso
Anche questo tipo come il precedente è co- Geomorfologia
stituito da un mosaico di sottotipi: Pendici talvolta anche accidentate.
a xerogramineto della classe Festuco-Bro-
metea (eventualmente con rinnovazione di Substrati
leccio o anche di cipresso) Calcare marnoso ("alberese") e altri calcari
a gramineto di brachipodio rupestre marnosi.
a gramineto di brachipodio rupestre con Scisti calcarei nell’ambito di formazioni in
felce aquilina e rovi cui prevalgono scisti argillosi.


Suoli fra l’altro, si rende possibile anche la rinno-
Tendenzialmente argillosi, superficiali sui vazione del cipresso e in un certa misura an-
dossi, asciutti, sempre ricchi di scheletro, che del pino. Nelle pinete a brachipodio è
neutro-basici e contenenti calcare attivo, let- possibile ancora un certa penetrazione del
tiera spessa e scarsa incorporazione della so- leccio e qualche accenno alla rinnovazione
stanza organica alla parte minerale. del pino in corrispondenza di vuoti. Le pinete
delle stazioni migliori hanno un piano di suc-
Clima cessione composto da alberi di mole minore
Temperatura media annua da 10°a 15°. Tem- e di arbusti.
peratura media del mese più freddo da -1° a Le crisi idriche restringono molto le prospet-
+3°. Precipitazioni medie annue intorno a tive di longevità della pineta. Resta tuttavia
1.000-1.200 mm; precipitazioni estive probabile che, al momento in cui i pini co-
dell’ordine dei 150 mm. La natura del sub- minceranno a morire, l’illuminazione al suolo
strato e del suolo impongono condizioni lo- consentirà (almeno sui sottotipi a sottobosco
cali di temperatura più alta e di aridità più erbaceo) l’insediamento della rinnovazione
marcata di quanto non sia indicato dai dati naturale e, quindi, l’insediamento di una fase
meteorologici. di associazione permanente a pini.

Interventi antropici più frequenti Specie indicatrici


Rimboschimento su pascoli mantenuti forte- Vengono omesse perchè non esistono prati-
mente erosi e degradati con continui abbru- camente specie indicatrici.
ciamenti. Il pino è stato piantato denso e tal-
volta su gradoni molto fitti. Raro è il caso di Selvicoltura
boschi sottoposti a diradamenti. Eventual- Dal punto di vista dell’economia privata, que-
mente è il parassita del cipresso Seiridium ste pinete non hanno grandi prospettive; al
cardinale che ha fatto sì che si riducesse la massimo si può prevedere qualche tagliata a
densità di boschi di pino nero misti a quest’ul- raso e successiva sostituzione con cedro
timo. dell’Atlante nelle fertilità migliori oppure
con cipresso nelle fertilità intermedie.
Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten- Gli interventi di trasformazioni sono simili a
denze dinamiche quelli prospettati per il tipo precedente, salvo
La roverella e il leccio penetrano senza il largo impiego del leccio come specie da
ostacoli nel sottotipo più scadente (quello sottopiantagione.
con sottobosco a gramineto xerico) dove,


  ,03,$17, ', '28*/$6,$

19. IMPIANTI DI DOUGLASIA

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arid
Povero Ricco

Importanza dei boschi di douglasia Impianti estesi, e a scopi aziendali, sono stati
La douglasia verde (Pseudotsuga menziesii fatti fra il 1970 e il 1975 nelle Province di
ssp. menziesii) è stata introdotta, come pianta Prato, di Firenze e di Arezzo: Montepiano
ornamentale, verso la metà dell’800. La pri- (Vernio), Passo della Futa, Colla di Casaglia,
ma parcella sperimentale è stata impiantata Passo della Consuma e vicino a Porciano
nella Foresta di Vallombrosa nel 1897 ma il (Stia) in Casentino. Si tratta di proprietà pri-
massimo impulso alla sperimentazione si è vate dove la coltura della conifera esotica ha
avuto, poi, fra il 1920 e il 1940 (CIANCIO et sostituito castagneti da frutto e seminativi
al., 1981-82). montani.
Tra il 1948 e il 1955, la douglasia è stata Esistono, poi, svariati impianti minori e anche
molto usata in consociazione con l’abete a piccole particelle disperse. Inoltre la dou-
bianco per la rinnovazione artificiale di ampie glasia è stata molto usata a piante singole o
tagliate a raso effettuate per motivi bellici a gruppetti vicino agli abitati.
nella Foresta di Camaldoli.


Classi di fertilità dei popolamenti di douglasia in Toscana
(MAETZKE e NOCENTINI, 1994).
Altezza dominante in funzione dell’età

(Wj DQQL , FODVVH +0 ,, FODVVH +P ,,, FODVVH +P ,9 FODVVH +P 9 FODVVH +P


P P P P P

     

     

     

     

     

     

     

     

La superficie dei popolamenti di douglasia tenuto a densità colma e diradato in modo da


in Toscana si compone, secondo l’Inventa- preservare tutte le piante dominanti, si pos-
rio Forestale, di 3.360 ettari di boschi puri sano ricavare da 600 a 900 metri cubi di le-
e di 2.112 ettari di boschi misti. gname grezzo con corteccia. Però in alcune
La produzione attuale di legname deriva prin- aziende private, al fine di anticipare i guada-
cipalmente dai diradamenti ed è registrata gni, si fanno diradamenti a file alterne con
come "legno di abete". conseguenti significativi prelievi sulle piante
La tabella di fertilità di MAETZKE e NOCEN- dominanti.
TINI indica eloquentemente la rapidità di ac- La specie attualmente è in fase di ulteriore
crescimento della douglasia verde. Si tratta, lenta diffusione artificiale perché viene pian-
infatti, di quella sottospecie della douglasia tata come rinnovazione di tagliate a raso di
che proviene dalle zone costiere del Paci- boschi del Tipo ABETINA DI BASSA QUO-
fico (Stati Uniti); in particolare, essa è adat- TA DI ORIGINE ARTIFICIALE.
tata ad una clima di tipo suboceanico con
piogge abbondanti anche in estate (come Caratterizzazione fisionomica e fitosocio-
sull’Appennino); per quanto riguarda even- logica
tuali altre particolarità, la douglasia verde si Le abetine di douglasia allo stato giovanile
è bene acclimatata grazie alla sua plasticità possono essere molto dense e assai poco lu-
ecologica e alla sua variabilità genetica. minose mentre, in età adulta, ospitano un sot-
Per gli impianti in Toscana si sono sempre tobosco di erbe laminifoglie esigenti (più o
scelti i terreni più profondi e le esposizioni meno le stesse specie delle faggete e delle
meno soleggiate e più riparate dal vento. Le abetine eutrofiche); eventualmente esistono
particelle appartenenti alla IV e V classe di masse di rovi o chiazze di vegetazione nitro-
fertilità sono rare e si localizzano principal- fila. Marginalmente possono si trovarsi cep-
mente alle quote superiori a 1.300 m, nelle paie di castagno.
esposizioni prossime ai crinali o su terreni La specie occupa superfici potenzialmente
tendenzialmente argillosi. pertinenti al CASTAGNETO MESOFILO
E’ stato calcolato (CANTIANI, 1965) che dal SU ARENARIA oppure alla FAGGETA EU-
taglio raso di un popolamento di 50 anni, TROFICA.


Non è possibile definire nell’ambito di questi Interventi antropici più frequenti
rimboschimenti unità fitosociologiche se non Piantagione di trapianti 2+1 o 2+2 al sesto
potenziali. da 1,80x1,80 fino a 3x3 m (LA MARCA,
1985). Diradamenti dal basso o, più di recente
Sottotipi e varianti e in alcune aziende, diradamenti a file alterne.
Non esistono praticamente varianti perché, Sono già state eseguite alcune tagliate a raso.
dato il rapido accrescimento della douglasia,
nessuna specie arborea resiste alla consocia- Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
zione. Non è possibile inoltre distinguere dei denze dinamiche
sottotipi. Ci sono casi in cui la specie si è dimostrata
capace di diffondersi spontaneamente in bo-
Localizzazione schi vicini dopo un’azione di disturbo come,
Appennino e catene secondarie del sistema per esempio, un taglio.
appenninico, ma principalmente nel settore Piuttosto, nei popolamenti adulti di dougla-
centrale e orientale. Monte Amiata. Raramen- sia, si osserva l’ingresso di latifoglie: casta-
te sulle Apuane e sui rilievi calcarei. gno, acero di monte, ecc., mentre la rinnova-
zione della douglasia è accantonata in posi-
Esposizioni zioni di margine.
Prevalentemente verso nord.
Specie indicatrici
Distribuzione altitudinale Non vengono elencate trattandosi di cenosi a
600-1.200 metri. carattere fisionomico pur prevalendo spesso
specie legate a faggete e abetine.
Geomorfologia
Pendici moderate, depressioni. Selvicoltura
Il modo migliore di produrre economicamen-
Substrati te il legname di questa specie e con la più
Arenarie. Trachiti del M. Amiata. scarsa probabilità che la specie esotica possa
diffondersi spontaneamente nei boschi vicini,
Suoli è il taglio raso al turno di 50 anni su superfici
Bruni molto profondi, più o meno freschi, di 3-5 ettari da rinnovarsi poi per piantagione.
subacidi, ben drenati, ricchi di humus ben Forme di trattamento di tipo disetaneo, grazie
distribuito. La lettiera è di facile decomposi- ai diradamenti orientati anche sulle piante do-
zione. minanti, possono ridurre di molto gli interessi
passivi che l’azienda deve sopportare durante
Clima la fase giovanile delle piantagioni; inoltre si
Temperatura media annua da 7° a 14°. Tem- apre la possibilità di facilitare l’ingresso delle
peratura media del mese più freddo da -3° a latifoglie e di costituire un popolamento plu-
+ 4°. Precipitazioni medie annue superiori a ristratificato. A causa della tendenza a riser-
1.200 mm, quelle estive superiori a 150-200 vare piante molto grosse e a chioma espansa
millimetri. (e quindi forti disseminatrici) potrebbe venire
agevolata la diffusione della specie nell’am-
biente circostante.



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Importanza e caratterizzazione fisionomica


Questa categoria riunisce le formazioni arbustive non sempreverdi che si trovano
nel contesto collinare e submontano dei querceti e in quello montano delle faggete.
Ne risultano dei consorzi vegetali piuttosto comuni nel nostro paesaggio, come per
esempio i pruneti, certi ginestreti e, anche se non sono a portamento cespuglioso, i
felceti di felce aquilina che spesso si associano o si alternano ai precedenti.
Nelle fasce di vegetazione delle querce e del faggio il clima è ampiamente
favorevole al bosco e non ci sono "stazioni difficili" che, per motivi di microclima
o di suolo, possano essere di esclusivo dominio permanente di specie arbustive
pioniere eliofile come sono, appunto, questi cespugli. Gli arbusti che fanno parte di
questa categoria, in natura, si trovavano un tempo ai margini e nelle lacune del bosco,
distribuiti allo stato più o meno disperso; oggi, invece, hanno trovato spazi liberi
dove riunirsi e costituire cenosi loro proprie, più o meno chiuse, anche su superfici
non indifferenti (63.264 ettari secondo l’Inventario Forestale Toscano) in ambienti
già interessati dalle colture e dal pascolo.
Alcune specie arbustive, preferenzialmente neutro-basifile, più esigenti di ele-
menti nutritivi, formano le caratteristiche siepi di "pruni" che orlano i campi e che,
dove il bosco confina con aree scoperte, costituiscono quella prima fascia (il cosid-
detto "mantello") che è tanto denso di cespugli da presentare delle difficoltà al transito.
Quando poi, una volta che le colture vengano abbandonate, le specie dei PRUNETI
(v.) possono invaderle facilmente propagandosi sulle superfici scoperte.
Le specie arbustive pioniere più specializzate (in senso acidofilo o in senso
xerofilo) formano arbusteti tendenzialmente monofitici nelle stazioni climaticamente
meno vantaggiose.
La presenza di questi arbusteti di invasione nei campi e nei pascoli abbandonati
è interpretabile in diversi modi. Come elemento del paesaggio possono dare una
triste sensazione di incuria. Sono facile preda del fuoco e, quindi, anche veicolo per
gli incendi dei boschi vicini. Contribuiscono però alla difesa idrogeologica e, almeno
alcuni di essi, offrono un contributo alla biodiversità fornendo alimento alla fauna
selvatica.


Dal punto di vista del rimboschimento gli arbusteti formano una opportuna fase
intermedia e preparatoria del terreno fra l’uso precedente e il momento della pian-
tagione di alberi. Però, al momento della piantagione, una forma più o meno totale
e severa di rimozione degli arbusti si rende assolutamente indispensabile.
Ci si può domandare, tra l’altro, se l’evoluzione naturale, iniziata con l’insedia-
mento degli arbusti, non renda superfluo il costoso rimboschimento artificiale. Questo
però, oltre che è giustificato dal fatto che non è sempre così chiaro se e quando
l’arbusteto si trasformerà in bosco.
L’evoluzione naturale in senso forestale dei terreni abbandonati dalle colture è
sicura quando le specie arboree si insediano immediatamente insieme ai cespugli
senza dar tempo agli arbusti di costituire una formazione densa. L’evoluzione suc-
cessiva può avere diversi esiti secondo l’ambiente, la natura e il modo con cui si è
formato il suo primo insediamento.
L’ingresso di specie arboree è facilitato negli arbusteti delle stazioni peggiori
dove la chiusura della copertura bassa e intricata degli arbusti è più lenta ad
affermarsi.
Le ginestre, in quanto arbusti poco longevi e non pollonanti, probabilmente
formano cenosi più labili. Gli arbusti dei Pruneti, invece, sembrano in più stabile
possesso del territorio. Talvolta la fase successiva a quella di arbusteto è la costitu-
zione dei macchioni di vitalba, particolarmente pericolosa per i giovani alberi che si
stanno insediando.

Sottocategorie, Tipi e Sottotipi


Gli arbusteti di postcoltura possono essere divisi in due Sottocategorie: Arbusteti
neutro-basifili e Arbusteti acidofili.

Arbusteti neutro-basifili
Comprendono gli arbusteti dei calcari, delle marne, delle argille e degli scisti
argillosi intercalati nella formazione del “ Macigno” .
Si dividono secondo la fertilità e/o l’umidità in tre Tipi, il primo con più sottotipi.
Pruneto (formato da specie più esigenti, spesso misto di molte specie legnose)
sottotipi:
Pruneto puro
Pruneto a rovo
Pruneto rado a rose selvatiche (specialmente Rosa canina, fase iniziale di colo-
nizzazione)
Ginestreto collinare di Spartium junceum (xerofilo, preferente suoli ben provvisti
di basi)
Ginepreto di Juniperus communis (relativamente xerofilo, su suoli acidi, probabilmente
favorito dal pascolo).


Arbusteti acidofili
Divisibili in Tipi secondo l’umidità e la fertilità della stazione e, in seguito, secondo
la fascia di vegetazione.
Pteridieto (felceto di Pteridium aquilinum). La felce aquilina non è strettamente
legata ai suoli acidi o silicatici, però è qui che costituisce i popolamenti più estesi.
Sottotipi:
Pteridieto montano (felci di grande sviluppo)
Rovo-pteridieto collinare (con o senza eriche; frequente la presenza di pioppo
tremolo)
Rovo-pteridieto mediterraneo (come il precedente ma confinato nelle depressioni
umide in aree a clima caldo)
Ginestreto di Cytisus scoparius
Ginestreto montano
Ginestreto a brugo (del settore nordoccidentale della regione, a intonazione subo-
ceanica)
Ginestreto con felce aquilina
Calluneto puro

foto

Ginestreto collinare di Spartium junceum - Aree in erosione delle crete (argille) sotto Radicofani
colonizzate qua e là da macchie di Spartium junceum


20.1. PTERIDIETO

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fotosocio- ginestra dei carbonai è legata alla maggiore


logica resistenza all’aridità della leguminosa ma di-
Anche se non è formato da cespugli, il Tipo pende forse anche da fatti accidentali.
viene inserito qui per i suoi rapporti con al- Per esempio la ginestra invade prontamente
cuni arbusteti con i quali può condividere i terreni nudi come le scarpate stradali e i
ecologia e localizzazione. campi di patate abbandonati, lasciati col ter-
Felceti di felce aquilina spesso molto densi e reno lavorato.
quasi monifitici. Possibili, comunque, la con- La felce, dal canto suo, sembra più diffusa
sociazione con il rovo oppure con la ginestra nei luoghi con prolungata permanenza della
dei carbonai. neve.
La felce aquilina è una specie cosmopolita
che, a livello mondiale, ha un areale vastis- Localizzazione
simo e che in Toscana si trova tanto nei boschi Molto frequente sull’Appennino pistoiese e
planiziali costieri (Duna Feniglia, ad es.) in Garfagnana sul versante sinistro.
quanto lungo i canaloni delle maggiori mon-
tagne dell’Appennino anche oltre 1.500 m Esposizioni
(1700 m al Corno alle Scale). Tendenzialmente a nord.
Il Tipo ha una grande diffusione nella fascia
montana e submontana dove è caratteristico Distribuzione altitudinale
di campi e pascoli abbandonati su terreni aci- Fra (0) 300 e 1.500 (1.700) metri.
di dove differisce dai felceti misti delle quote
inferiori (p. es. erico-felceti ormai della fa- Substrati
scia mediterranea) per la minore consociazio- Arenaria; trachiti del M. Amiata.
ne con altre specie a anche per lo sviluppo in
altezza delle felci che in questo caso può ar- Suoli
rivare a m 2,5. Acidi, profondi per accumulo locale del ter-
La distribuzione reciproca della felce e della reno, freschi, ben drenati.


Clima da pascolamento o da colture agrarie montane
Temperatura media annua fra 8° e 13°. Tem- poi abbandonate.
peratura media del mese più freddo: da -5 a
0°. Precipitazioni variabili a seconda della Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
quota. denze dinamiche
La copertura molto densa delle felci rende
Interventi antropici più frequenti difficile l’ingresso del faggio. Possibile l’in-
Interventi pregressi: disboscamento seguito sediamento marginale del salicone.

(1)
Specie indicatrici

Pteridium aquilinum (domin.) Calluna vulgaris


Cytisus scoparius Teucrium scorodonia
Erica scoparia (solo in basso) Avenella flexuosa
Prunus spinosa Cruciata glabra
Genista pilosa Rubus ulmifolius
Rosa sp. pl.

(1) VOS W. e STOLTELDER A. (1992).

Selvicoltura per i primi 3-5 anni. Forse il rimboschimento


Nei felceti, alle quote non troppo alte, i rim- a faggio richiede una lavorazione del terreno.
boschimenti con conifere sono sempre riu- Più probabile il successo di specie a rapido ac-
sciti molto bene a patto di eseguire ripuliture crescimento iniziale come l’acero di monte.


20.2. PRUNETO (1)

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Sottotipi e varianti


logica Vedi prima al punto Arbusteti basifili.
Cespuglieti mesofili ed eutrofili anche molto
densi, in cui le specie più caratteristiche sono: Localizzazione
prugnòlo (pruno spinoso), biancospini, san- In tutta la fascia collinare dei querceti, spe-
guinello e rosa canina, eventualmente evoni- cialmente nel settore centro-settentrionale
mo europeo e ligustro; possono essere inva- della regione.
denti masse di rovo.
In certi casi, come alla Calvana e altrove, Esposizioni
seguono dinamicamente lo stanziamento del Tutte.
GINESTRETO di Spartium junceum (v.)
Fra le specie arboree (più o meno allo stato Distribuzione altitudinale
cespuglioso): olmo campestre, orniello, acero Ampia, quasi dal livello del mare a 1.000
campestre, ciliegio, perastro, pioppo bianco, metri.
roverella, ecc. e, inoltre, le specie arboree pre-
cedentemente coltivate e deperienti: olivo, al- Geomorfologia
beri da frutto, salice bianco da vinchi. Per lo più su pendice moderata sino a posi-
Ai limiti superiori entra in contatto, nelle zioni pianeggianti.
zone abbandonate dall’agricoltura, con lo
PTERIDIETO e il GINESTRETO di Cytisus Substrati
scoparius. Calcari, scisti argilloso-limosi, ecc.: di meno
Corrisponde ad associazioni dell’ordine Pru- sulle rocce silicatiche grossolane.
netalia spinosae Tx 1952.

(1) Pruneto anche secondo HOFMANN Am., 1992


Suoli lonizzato dagli arbusti dei Pruneti è già ab-
Profondi, non acidi nè aridi, un tempo a col- bastanza profondo e relativamente fertile. Gli
tura agraria o pascolati, talvolta spietrati. arbusti che intervengono sono, comunque,
miglioratori del suolo. Inoltre, le radici degli
Clima arbusti aumentano la porosità del terreno e
Molto vario come si deduce dalla temperatura intaccano eventuali orizzonti induriti dal ri-
media che va da 6° a 16°; lo stesso si può petersi delle arature. Il tempo medio di chiu-
dire per le precipitazioni. sura dell’arbusteto dopo l’abbandono è di cir-
Interventi antropici più frequenti ca 10 anni. I modi del passaggio alla fase
Seminativo, oliveto, ecc., più in alto pascolo forestale sono difficili da arguire anche per-
mantenuto con l’abbruciamento, tutti terreni ché il massiccio fenomeno di abbandono data
agricoli poi abbandonati. ancora da troppo pochi anni. In certi casi si
ha, ad un certo punto, l’invasione da parte
Posizione del tipo nel ciclo evolutivo e ten- della vitalba che, oltre ad opprimere gli ar-
denze dinamiche busti, aggredisce anche eventuali specie ar-
Non si tratta di una invasione di carattere boree.
pioniero in senso stretto perché il terreno co-

Specie indicatrici

Prunus spinosa Ulmus minor (arbust.)


Crataegus monogyna Clematis vitalba
Rosa sp. pl. Brachypodium rupestre (freq.)
Juniperus communis Bromus erectus (freq.)
Cytisus scoparius (alle quote più alte) Pteridium aquilinum
Cornus sanguinea (loc.) Rubus sp. pl.
Euonymus europaeus (loc.) Carex flacca (loc.)
Ligustrum vulgare (loc.) Quercus pubescens (loc.)
Acer campestre (arbust., loc.) Acer campestre (loc.)
Malus sylvestris (arbust.) Prunus avium (loc.)
Pyrus pyraster (arbust.) Populus alba (loc.)
Fraxinus ornus (arbust.)

Selvicoltura delle specie che li compongono si difende dal


Dal punto di vista della biodiversità, gli ar- pascolamento con la spine.
busteti del Pruneto sono quanto di meglio Nel rimboschimento, lo sviluppo e la com-
si possa avere per il numero di specie pro- posizione dei Pruneti è indicativa per la scelta
duttrici di frutti carnosi appetiti dagli uc- delle specie che, nei sottotipi più fertili, può
celli. orientarsi subito su latifoglie anche pregiate
Alla fauna ungulata, invece, essi offrono ri- come rovere, ciliegio, frassino meridionale e
paro, ma non alimento perché buona parte anche noce.


20.3. GINESTRETO COLLINARE
DI SPARTIUM JUNCEUM (1)

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Esposizioni


logica Soleggiate.
Cespuglieti dominati dalla ginestra odorosa
(Spartium junceum) con densità scarsa. In- Distribuzione altitudinale
tercalazioni di vegetazione erbacea con gra- Da 0 a 800 metri.
minacee e leguminose xerofile e con arbusti
aromatici. Roverella e orniello allo stato ce- Geomorfologia
spuglioso o di novellame. Eventuale il cipres- Pendici ripide, creste, terrazzi.
so, anche da rinnovazione naturale. Occupa
aree asciutte abbandonate dall’agricoltura più Substrati
spesso a carattere submediterraneo, coloniz- Il Tipo è più diffuso sui rilievi composti da
zando però anche oliveti interni (BOSCAGLI rocce carbonatiche però può trovarsi anche
e ANGIOLINI, 1995). E’ difficilmente inqua- nell’ambito della formazione del Macigno in
drabile sotto il profilo fitosociologico ma do- corrispondenza dell’affioramento di scisti.
vrebbe ricadere nell’all. Citysion sessilifolii
Biondi et al. 1988. Suoli
Regosuoli, terreni superficiali già lavorati,
Sottotipi e varianti molto ricchi di scheletro, assai drenati, neu-
Un Sottotipo più evoluto è quello di transi- tro-basici, con calcare attivo, asciutti.
zione al PRUNETO.
Clima
Localizzazione Regime delle precipitazioni e termico gene-
Tipo molto frequente, ma a piccole plaghe cor- rale piuttosto vari: dal contesto della vegeta-
rispondenti alle superfici delle varie proprietà zione mediterranea a tutto quello delle querce
o particelle abbandonate in tempi diversi. caducifoglie. Temperatura media annua da

(1) Ginestreto a ginestra odorosa secondo HOFMANN Am., 1992.


12° a 15°. Prevalgono, comunque, le influen- Negli oliveti abbandonati studiati nel Chianti
ze del clima locale derivanti dall’esposizione da BOSCAGLI e ANGIOLINI (cit.) si è osservata
e dalla roccia madre; il regime idrico è im- una notevole copertura erbacea nei primi 20-
posto dal terreno e dall’esposizione. 25 anni, formata in prevalenza di Brachypo-
dium rupestre e Bromus erectus mentre pro-
Interventi antropici più frequenti cede l’espansione della ginestra.
Questo Tipo si trova su terreni abbandonati Gradualmente l’arbusteto si arricchisce di
dalla coltura a margine di aree pascolate, ai specie dell’ord. Prunetalia (v. PRUNETO) in-
bordi nelle radure dei querceti termofili di sieme a Lonicera etrusca e Pyracantha coc-
roverella, in particolare del QUERCETO cinea. A 30-45 anni si ha la massima pre-
MESOXEROFILO APPENNINICO; pertan- senza di questi arbusti con regresso della
to le influenze principali sono quelle che de- ginestra e una modesta presenza (poco ol-
rivano dal pascolo e dall’incendio. Talvolta tre il 20% della copertura) di specie arbu-
(in Chianti) aree di questo genere venivano stivo-arboree delle classi Querco-Fagetea e
adibite alla coltura del giaggiòlo. Quercetea ilicis.
Secondo ANGIOLINI, BOSCAGLI e CASINI
Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten- (1995) anche sui difficili terreni delle argille
denze dinamiche plioceniche dell’Amiata già a colture erbacee
L’evoluzione verso il querceto di roverella, si osserva un’evoluzione che va dallo
anche attraverso l’ingresso di arbusti del Pru- SPARTIETO al PRUNETO con Prunus spi-
neto, è molto lenta. Eventuale il coniferamen- nosa, Rosa canina oltre a meno diffuso Ul-
to spontaneo col cipresso. mus minor.

Specie indicatrici
Spartium junceum (domin.) Sanguisorba minor
Artemisia alba Euphorbia cyparissias
Juniperus communis Scabiosa gramuntia
Dorycnium herbaceum Odontites lutea
Prunus spinosa (forme più evol.) Astragalus monspessulanus
Rosa canina (forme più evol.) Helichrysum italicum
Crataegus monogyna (forme più evol.) Globularia punctata
Cornus sanguinea (forme più evol.) Prunella laciniata
Cytisus sessilifolius (loc.) Peucedanum cervaria
Bromus erectus Carex flacca
Brachypodium rupestre Peucedanum cervaria
Teucrium chamaedrys Teucrium polium (loc.)
Hippocrepis comosa Aster lynosiris (loc.)
Potentilla hirta Quercus pubescens (sem.)
Cupressus sempervirens (sem.) Fraxinus ornus (sem.)
Ostrya carpinifolia (sem., loc.)

Selvicoltura lonizzate da specie arboree dei boschi adia-


Sono aree che si possono anche tralasciare centi.
sotto il profilo gestionale forestale perchè Può essere recuperato mediante il rimboschi-
poco fertili e in quanto possono essere co- mento con il cipresso.


20.4. GINEPRETO DI JUNIPERUS COMMUNIS

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Geomorfologia


logica Pendice moderata; anche terrazzata, grado-
Arbusteti con cespugli di ginepro di vario nata o diversamente modellata ai fini
sviluppo e di più età sparsi su prateria xero- dell’agricoltura.
morfa tenuta rasa dal pascolamento ancora
attivo. Possibile la consociazione con radi ar- Substrati
busti del PRUNETO ed anche transizioni con Rocce carbonatiche, miste o scisti argillosi.
i GINESTRETI di Cytisus scoparius.
Tipo condizionato dal pascolo introdotto in Suoli
seminativi abbandonati, in condizioni di una Mediamente profondi, mai molto acidi, anzi
certa aridità. Forse, con l’interruzione prolun- spesso a pH neutro e allora con presenza di
gata del pascolo, i ginepreti evolvono verso as- carbonati almeno in profondità, relativamen-
sociazioni dell’ord. Prunetalia spinosae piut- te asciutti.
tosto che in direzione di cenosi più xerofile.
Clima
Sottotipi e varianti Temperatura media annua da 8° a 14°. Tempe-
Nessuno in particolare. ratura del mese più freddo da -3° a +4°. Per
quanto riguarda le piogge, il tipo sembrerebbe
Localizzazione legato a località con precipitazioni modeste.
Tipo frequente, ma con manifestazioni pecu-
liari in Chianti e nell’Alta Val Tiberina. Interventi antropici più frequenti
Pascolamento su coltivi abbandonati, ma
Esposizioni senza ricorso ad abbruciamenti, purchè
Soleggiate. questa cenosi è facilmente distrutta dagli
incendi.
Distribuzione altitudinale
Varia, anche oltre 1.000 metri.


Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten- Selvicoltura
denze dinamiche Volendo rimboschire, questi sono terreni che
Possibile l’evoluzione verso gli arbusteti del si prestano all’impianto senza alcun interven-
Pruneto, ingresso eventuale di orniello o an- to sulla vegetazione esistente: basta la pian-
che di querce. Eventuali piante camporili di tagione a buche.
roverella danno luogo alla diffusione del L’introduzione della roverella o del cerro
querceto. (secondo la quota) non pone problemi.
Alle quote maggiori si potrebbe introdurre il
Specie indicatrici cedro dell’Atlante, alle quote minori, il ci-
Essendo tipo prevalentemente fisionomico si presso.
omettono le specie indicatrici.


20.5. GINESTRETO DI CYTISUS SCOPARIUS

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Morfologia


logica Pendici o terrazzi.
Cespuglieto di ginestra dei carbonai general-
mente denso che può presentare un’eventuale Substrati
consociazione con felce aquilina con o senza Arenaria e altre rocce silicatiche; trachiti.
brugo o con rovo e con piante sparse di sorbo
degli uccellatori o di salicone e qualche fag- Suoli
gio. Alle quote inferiori può ancora essere Acidi, di varia profondità, piuttosto freschi
presente Erica scoparia. almeno sopra gli 800-1000 m. Orizzonte
d’illuviazione spesso evidente.
Sottotipi e varianti
Ginestreto montano Clima
Ginestreto a brugo Temperatura media annua da 8° a 13°; media
Ginestreto con felce aquilina del mese più freddo da -4° a +4°. Precipita-
zioni superiori a 1.000 mm (sopra i 1.500
Localizzazione millimetri nel sottotipo montano).
Rilievi del Sistema appenninico, Pratoma-
gno, Monti del Chianti e al M. Amiata, fram- Interventi antropici più frequenti
mentariamente altrove. Interventi pregressi: disboscamento seguito
dell’introduzione di seminativi montani o dal
Esposizioni pascolamento. Incendi.
Per lo più meridionali.
Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
Distribuzione altitudinale denze dinamiche
Da 700 a 1.500 (1700) metri. Possibile la lenta colonizzazione di latifoglie
quali salicone e sorbo degli uccellatori alme-
no alle quote superiori. Nel sottotipo a brugo


l’insediamento delle latifoglie è possibile e Specie indicatrici
più o meno rapido secondo la presenza di Vengono omesse trattandosi di tipo fisionomico.
piante disseminatrici. L’insediamento del
pino marittimo alle quote inferiori è favorito Selvicoltura
dagli incendi. Rimboschimento con faggio o abete alle quote
superiori (800-1.200 m), con cerro più in basso.

Ginestreto collinare di Spartium junceum


Denso cespuglieto in fiore con qualche roverella e pini neri sullo sfondo


20.6. CALLUNETO DI QUOTA

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosociolo- Distribuzione altitudinale


gica 1.300-1.600 metri.
Arbusteto basso dominato da Calluna vulga-
ris con Nardus stricta ed erbe dell’ordine Morfologia
Brometalia. Comunità chiaramente deri- Crinali arrotondati e pendici anche ripide ma
vante da disturbo antropico pregresso forse non rocciose.
per effetto di una diffusione della calluna
nel nardeto o da degradazione della faggeta Substrati
(almeno sulle Apuane). Posizione fitosocio- Arenarie e altri substrati silicatici (ad es. cal-
logica molto incerta. cari selciferi con dissoluzione e asportazione
del CACO3 sulle Apuane).
Sottotipi e varianti
Può confinare con il GINESTRETO DI Suoli
CYTISUS SCOPARIUS del quale è stato di- Acidi, lisciviati (ranker, podsol e podsol bru-
stinto un sottotipo a brugo, di transizione al ni sulle Apuane).
tipo presente.
Clima
Localizzazione Temperature della fascia montana del faggio
Appennino nel settore occidentale sino al ma con forti influenze dei microclimi locali.
Pistoiese e in alcune zone del Pratoma- Precipitazioni assai variabili, da 1.000 a
gno. 3.000 mm (sulle Apuane).

Esposizioni Interventi
Tutte. Oltre al pascolo è possibile che nell’area dove


si trovano i calluneti ci sia stato anche l’eser- Specie indicatrici
cizio delle colture agrarie. Non vengono riportate trattandosi di un tipo
riconoscibile fisionomicamente.
Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
denze dinamiche Selvicoltura
E’ possibile che il calluneto possa prestarsi E’ un arbusteto che, ai limiti inferiori, è an-
localmente ad una lenta penetrazione del cora suscettibile di rimboschimento.
faggio.



 $%(7,1(

Importanza, caratterizzazione, cenni storici


L’abete bianco è certamente spontaneo nell’Appennino dove esso ha trovato un
importante rifugio durante l’ultima glaciazione e dove ha avuto una estesa diffusione
naturale fino a circa 3.000 anni fa (FERRARINI, 1962). Il suo successivo e marcato
declino è attribuito, secondo gli autori, all’azione dell’uomo oppure a cambiamenti
del clima che avrebbero esaltato il potere di concorrenza del faggio (CHIARUGI, 1939;
SUSMEL, 1959; GABBRIELLI, LA MARCA e PACI, 1990).
Adesso, in Toscana restano soltanto due zone in cui l’abete è presente allo stato
spontaneo, sia pure in condizioni molto diverse. Nella Riserva Naturale di Foce di
Campolino vicino all’Abetone, l’abete si trova a quote elevate misto al faggio e a
relitti di abete rosso e con flora a carattere alpino. Nei rilievi attorno al Monte Amiata,
invece, l’abete di origine spontanea si colloca in nuclei sparsi a quote inferiori a
1.000 m e in boschi misti di latifoglie.
Per il resto, la presenza dell’abete sulle montagne della Toscana è stata preservata
dalla coltura artificiale praticata da tempi relativamente antichi. Dal 1.400 in poi si
hanno notizie sul modo in cui, nelle foreste dell’Opera di Santa Maria del Fiore,
l’abete si dimostrasse recessivo rispetto al faggio tanto che, per mantenere una co-
stante e duratura produzione di legname di abete, si rendevano necessari interventi
selvicolturali specifici a favore della conifera (SANSONE, 1915). E’ tuttavia possibile
che, presso i monaci di Vallombrosa e di Camaldoli, la pratica della piantagione
dell’abete in popolamenti puri fosse ancora precedente.
Successivamente, e particolarmente durante il ’700, la coltura dell’Abete a Val-
lombrosa e a Camaldoli (e nelle foreste di proprietà pubblica dell’Abetone, del Teso
e del Casentino) ebbe un periodo di pieno sviluppo per la fornitura di legnami per
costruzioni civili e navali con esportazioni fino all’Inghilterra.
Dopo il 1860 la foreste di proprietà monastica o granducale vennero incamerate
dal Regno d’Italia per poi andare a far parte delle Foreste Demaniali dello Stato.
Da allora, fino al 1970 circa, la superficie delle abetine di origine artificiale
presenti in Toscana si è molto incrementata. Il totale delle superfici di abetine facenti
parte delle foreste di Abetone, Teso, Vallombrosa, Camaldoli, La Calla e Badia


Prataglia è passato da circa 900 ettari a 2.100 ettari per effetto di piantagioni eseguite
in campi o in pascoli e, poi, per effetto di piantagioni in sostituzione di faggete e
anche per il modo con cui l’abete ha invaso spontaneamente alcuni castagneti da
frutto spingendosi inopinatamente sotto quota (PATRONE, 1934).
Ancora maggiore è stato l’aumento di superficie delle abetine dovuto ai rimbo-
schimenti con abete fatti su tutta la Regione sia in foreste demaniali di nuovo acquisto
che in boschi di privati.
L’Inventario Forestale Toscano censisce 7.184 ettari di boschi in cui l’abete
bianco è prevalente. Le abetine pure sono 4.272 ettari e sono sicuramente tutte di
origine artificiale. Fra i boschi misti qualificati dalla prevalenza fisionomica dell’abete
prevalgono, nell’ordine, le consociazioni con il faggio, il pino nero, il castagno e la
douglasia. È verosimile che i relitti di abete allo stato spontaneo formino solo una
piccola parte della superficie.
Il legname di abete bianco (diversamente da quanto avviene nelle regioni alpine)
in Toscana è piuttosto apprezzato e, in un certo senso, rientra nelle tradizioni. Il
fabbisogno è valutato in 50.000 metri cubi all’anno contro una utilizzazione interna
che in media è di 20.000 metri cubi all’anno (BERNETTI I. et al. 1993).
Il trattamento classico delle abetine della Toscana era il taglio raso con rinno-
vazione artificiale. Il turno era di 90-100 anni; la superfici avvicendate al taglio erano
dell’ordine di 1-3 ettari; il reimpianto si faceva alla distanza di 4 x 4 braccia (vale
a dire 2,3x2,3 m); il materiale di piantagione veniva raccolto fra i giovani esemplari
nati spontaneamente nei boschi di latifoglie.
Nel 1904, dopo che la Foresta di Vallombrosa era divenuta una stazione di
villeggiatura, la pratica del taglio raso delle abetine venne considerata paesaggisti-
camente inappropriata e venne soppressa in virtù di una apposita legge che riguardava
anche Camaldoli, l’Abetone e altre foreste demaniali presenti in stazioni climatiche.
Questa legge, però, ebbe effetti pratici solo fino al 1915 quando le abetine della
Toscana subirono estese tagliate a raso per ricavarne legname per scopi bellici. Fra
le due guerre, poi, il divieto del taglio raso venne limitato a una modesta porzione
delle foreste interessate detta "fascia estetica". Nel 1944 seguirono ulteriori tagliate
a raso ad opera degli eserciti di occupazione (MENCUCCI, 1988).
Nel secondo dopoguerra i piani di assestamento per le maggiori foreste demaniali
toscane seguitarono a prescrivere il trattamento a taglio raso, ma con criteri estre-
mamente prudenziali, cioè fino a prescrivere il taglio su una superficie pari a solo
all’1/200 del totale: tanto valeva prescrivere il turno di 200 anni ! (PATRONE, 1952;
1970; CANTIANI e BERNETTI G., 1963; BERNETTI G. e CANTIANI, 1967).
A partire dal 1970 il taglio raso delle abetine delle foreste demaniali è stato
gradualmente sospeso. Un presunto pericolo per la sopravvivenza delle abetine, im-
putato all’inquinamento atmosferico, suggerì addirittura di evitare i diradamenti (GEL-
LINI e CLAUSER, 1986). Probabilmente si trattò invece di crisi da annate siccitose
(MORIONDO e COVASSI, 1981). Ma ora che l’allarme sembra rientrato, sul trattamento


delle abetine delle foreste demaniali regna l’indecisione. Nondimeno se ne ricavano
quantità di legname non indifferenti dal recupero delle piante che cadono sradicate
per effetto del marciume delle radici, di quelle che seccano in piedi per varie patologie
e di quelle cadono o rimangono stroncate o per i danni dovuti al gelo o alla neve
pesante ed aggravati dall’eccessiva densità di allevamento (LA MARCA, 1979; 1984;
HIPPOLITI, 1989).
Nel frattempo, le abetine di proprietà privata (che sono tutte di costituzione più
recente) man mano che arrivano all’età di 70-90 anni vengono tagliate a raso, ma
sovente rinnovate non con l’abete, ma con la douglasia.

Aspetti selvicolturali
Dato che per la coltura dell’abete bianco sono sempre stati preferiti i terreni
migliori, le classi di fertilità stabilite da CANTIANI e BERNETTI G. (1962) rivelano
piuttosto effetti del clima che effetti del terreno. D’altra parte, l’ottimo dell’abete
bianco si verifica in un intervallo climatico ristretto.

Classi di fertilità delle abetine di orgine artificiale della Toscana


(CANTIANI e BERNETTI, 1962). Altezza dominante in funzione dell’età
(Wj DQQL , +P P ,, +P P ,,, +P P ,9 +P P

    

    

    

    

    

    

    

    

    

Le abetine della I e della II classe prevalgono alle quote intermedie e inferiori


della fascia montana del faggio; in questa ristretta posizione ottimale, le abetine
coetanee a turno di 100 anni producono (considerando anche i prodotti dei dirada-
menti) da 800 a 1.000 metri cubi di legname. E’ un risultato notevole anche rispetto
a quello che si potrebbe ricavare dalla douglasia che cresce più in fretta, ma richiede
una densità minore, è più rastremata ed ha più corteccia.
Alle quote superiori e vicino ai crinali (cioè nell’ambiente dell’ACERI-FAGGETO
APPENNINICO DI QUOTA) la mancanza di calore estivo deprime gli accrescimenti in
altezza ai livelli della III e della IV classe. Qui, inoltre, i danni da neve pesante o
da altre meteore possono determinare danni o distruzioni tali da consigliare il ripristino
della faggeta.


Ad altitudini inferiori a 900-800 m si trovano le Abetine sotto quota il cui
sviluppo si colloca nei limiti della IV classe o anche a livelli inferiori a causa del
periodo vegetativo troppo lungo e delle crisi di aridità. Si aggiungono fenomeni di
senescenza precoce e patologie più accentuate che finiscono per giustificare la so-
stituzione dell’abete con altre specie.
Per la selvicoltura dell’abete bianco si possono delineare i seguenti principi
di base.
La specie, almeno sull’Appennino, rivela un campo di adattabilità limitato.
L’ottimo per l’abete, sempre sull’Appennino, coincide con l’ottimo per il faggio
che, guarda caso, è il suo peggiore concorrente.
L’abete ha una "longevità di massa" limitata nel senso che numerose patologie
tendono ad attenuare la densità e, alla fine, la compagine dei popolamenti coetanei
di età superiore a 100 anni.
Le giovani piante di abete sono molto tolleranti dell’ombra, ma non tanto da
potere resistere alla copertura di faggete dense.
La lettiera dell’abete inibisce l’insediamento di piantine della stessa specie tanto
che la rinnovazione dell’abete tende a concentrarsi ovunque ci sia un apporto di
lettiera di altre specie (come in boschi misti) o, semplicemente in boschi attigui
di altre specie come pinete, castagneti, ecc. (ma non sotto il faggio per i motivi
indicati).
Nelle piantagioni l’abete dà risultati di attecchimento soddisfacenti. Per l’alleva-
mento in vivaio incontra remore e costi nella necessità di raccogliere i coni
sull’albero prima che si disarticolino, nella scarsa conservabilità del seme e nella
modesta germinabilità.
Sulle Alpi, il sistema colturale classico per i frequenti boschi contenenti l’abete
bianco consiste nel trattamento a taglio saltuario con lo scopo di ottenere e mantenere
un bosco a struttura disetanea misto fra abete bianco e abete rosso con, eventualmente,
anche faggio o altre latifoglie oppure anche con larice e pino silvestre. Questo sistema
ha buone possibilità di successo nelle località in cui il clima impedisce al faggio di
svolgere in pieno la sua capacità di copertura. L’abete bianco è considerato un
essenziale elemento equilibratore del bosco misto disetaneo perché, come si è detto,
si rinnova in posizioni alternate rispetto alle altre specie e perché il novellame tollera
bene e a lungo la copertura.
Inoltre la maggiore intonazione continentale dei climi delle Alpi, grazie al mag-
giore freddo invernale limita l’azione dei parassiti dell’abete e, tramite le maggiori
punte di calore estivo amplia il campo dell’ottimo dell’abete, sull’Appennino ci sono
evidenti differenze di clima, di composizione floristica e di condizioni vegetative.
Ciò si riferisce alle due specie principali presenti fra cui emerge la frequenza di
stazioni in cui il faggio tende a dominare ed a formare boschi puri. Si capisce,
dunque, perché i relitti naturali di abete si trovano solo in luoghi dirupati dove il
potere di concorrenza del faggio è attenuato oppure si trovano a bassa quota in boschi


di cerro o di castagno. Sono anche comprensibili le ragioni per cui si è preferito
segregare l’abete dal suo contesto e coltivarlo artificialmente.
Il sistema a taglio raso ha certamente un impatto visivo sensibile tanto più se
è visto come sistema applicato su grandi superfici dove l’avvicendarsi della tagliate
dà luogo ad un panorama dove le pendici appaiono divise a tasselli squadrati composti
dalle tagliate e da boschi di varia statura.
Su comprese di estensione limitata e composte di particelle non contigue, inter-
calate da boschi destinati ad altre forme di trattamento, l’impatto visivo del taglio a
raso è molto ridimensionato. Nelle tagliate a raso, fin tanto che la nuova piantagione
non ha chiuso la sua copertura, si stabilisce un periodo di notevole grado di biodiversità
vegetale e anche animale. Pertanto il sistema a taglio raso costituisce una pratica di
produzione efficiente che entro certi limiti può essere tollerata come, per esempio,
nelle condizioni prevalenti nella proprietà privata oppure nella proprietà pubblica
dove si vogliano formare comprese per la produzione di legname di pregio.
La trasformazione delle abetine esistenti in boschi misti disetanei può essere
affidata a vari modi di introduzione di altre latifoglie. La reintroduzione del faggio
si impone alle quote maggiori. Nell’ambito dell’ottimo dell’abete è sempre opportuno
limitare l’impiego del faggio e, ricorrere, piuttosto, a specie meno competitive come
il frassino maggiore, il sorbo degli uccellatori, l’acero di monte, l’acero riccio, il
tiglio platifillo, il ciliegio, ecc. Ci sono casi in cui queste specie si insediano da sé
(v. ACERI-FRASSINETO), ma necessitano di essere incoraggiate col diradamento
dell’abetina. In altri casi converrà ricorrere all’introduzione artificiale in corrispon-
denza delle radure.

FOTO

Piceo-abieteto e faggio dell’Abetone - Limiti superiori del bosco a Foce di Campolino (m 1700 circa)
con picea in purezza. In primo piano brughiere basse di Vaccinium gaultherioides con Juniperus nana.
Sullo sfondo limiti superiori delle faggete sotto le creste innevate


21.1. ABETINA ALTIMONTANA DI ORIGINE
ARTIFICIALE

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Sottotipi e varianti


logica su ex coltivo o su ex pascolo (forma più
Questo tipo comprende abetine piantate in frequente)
terreni prossimi ai crinali almeno in parte di su terreno dirupato (con abete sovente mi-
competenza del tipo ACERI-FAGGETO AP- sto a faggio)
PENNINICO DI QUOTA (v.). acidofilo
La fisionomia è quella di abetine di sviluppo
modesto (III e IV classe di fertilità ), rade e Esposizioni
con sottobosco di alte erbe mesoigrofile e Varie.
nitrofile. La scarsa densità è dovuta a continui
danni da marciume radicale e da galaverna Distribuzione altitudinale
che talvolta si risolvono in vere e proprie ca- Da 1.300 a 1.500 metri.
tastrofi. Questo Tipo comprende abetine
prossime ai crinali piantate in sostituzione Geomorfologia
diretta o indiretta (cioè dopo l’uso come pa- Alti versanti in vicinanza dei crinali, talvolta
scolo). a cavallo dei crinali stessi.
La composizione del sottobosco avvicina
queste faggete a quelle dei boschi pertinenti Substrati
all’all. Aceri pseudoplatani-Fagion sylvati- Silicatici, generalmente arenarie; argille sca-
cae Ellenberg 1963. Qualche infiltrazione gliose all’Abetone.
acidofila si ha nel sottotipo omonimo.
Suoli
Localizzazione Suoli bruni, suoli bruni lisciviati, freschi, più
In prossimità dei crinali maggiori dell’Ap- o meno profondi, acido-subacidi, ricchi di so-
pennino e del Pratomagno: in particolare, stanza organica, con lettiera di abbastanza fa-
Abetone, Vallombrosa e Foreste Casentinesi. cile alterazione.


Clima recupero del legname e si procede a pianta-
Temperature comparabili con quelle generali gioni di abete con faggio e acero di monte.
della fascia montana del faggio. La frequenza di danni da ungulati obbliga
Precipitazioni sopra 1.400 e sino a 2.600 mm, all’uso di protezioni alle giovani piantine.
estive 200-300 mm. Frequenza di nebbia e di
fenomeni implicanti depositi di ghiaccio (ga- Posizione nel Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
laverna, gelicidio). Estate fresca con frequen- denze dinamiche
tissimi annuvolamenti quotidiani a evoluzio- L’evoluzione prevista e auspicata in senso
ne diurna che deprimono la fotosintesi in naturalistico sta nella ricostituzione con in-
modo sfavorevole per la vigoria dell’abete. gresso di faggio, acero di monte, sorbo de-
Venti molto forti. Innevamento piuttosto pro- gli uccellatori e altre latifoglie. Le schian-
lungato. tate danno luogo a forti invasioni di alte
erbe "di tagliata" (Epilobium angustifo-
Interventi antropici più frequenti lium, Prenanthes purpurea, ecc.), talvolta
Si tratta di impianti artificiali eseguiti diret- con insediamento del salicone. Danni anche
tamente in sostituzione del faggio oppure su forti da Heterobasidium annosum, agente
pascoli aperti nell’area delle faggete. In con- di marciumi radicali.
seguenza dei continui schianti si pratica il

Specie indicatrici

Abies alba Dentaria enneaphyllos


Fagus sylvatica (loc.) D. bulbifera
Acer pseudoplatanus (loc.) Aremonia agrimonioides
Sorbus aucuparia (loc.) Aconitum vulparia
Senecio fuchsii Stellaria nemorum
Sanicula europaea Athyrium filix-femina
Rubus gr. hirti Aegopodium podagraria
Galium odoratum Melica uniflora
Petasites albus Lamiastrum galeobdolon
Ranunculus lanuginosus Impatiens noli-tangere
Prenanthes purpurea Vicia sepium
Myosotis sylvatica Asperula taurina
Euphorbia dulcis Adenostyles australis
Milium effusum Doronicum austriacum
Orthilia secunda Fragaria vesca
Anemone trifolia Galium gr. sylvaticum
Phyteuma ovatum Luzula nivea
Veronica urticifolia Valeriana tripteris
Vaccinium myrtillus

Il sottobosco e la vegetazione delle radure Selvicoltura


sono sovente caratterizzati dalla dominanza L’impianto di queste abetine è avvenuto a
di Senecio fuchsii. suo tempo in conseguenza dell’imperfetta co-
Non rare le erbe mesoigrofile a grandi foglie noscenza della ecologia dell’abete che, peral-
(p. es. Adenostyles australis). tro, è piuttosto complessa e non priva di aspet-
ti contraddittori.
In questi ambienti prossimi ai crinali l’abete


cresce lentamente per effetto dell’insufficien- Sebbene sia possibile lasciare le abetine ab-
za di calore estivo. Nei popolamenti piantati battute al pascolo degli ungulati senza sosti-
densi e poi lasciati privi di diradamenti questa tuirle, dal punto di vista idrogeologico sareb-
lentezza di accrescimento fa sì che le piante be invece assai opportuno tenere coperta la
restino a lungo esili e, quindi, molto esposte porzione alta dei bacini.
a danni da vento e da neve (LA MARCA, Per questo è consigliabile il rimboschimen-
1983). A questo proposito è emblematica la to delle schiantate e la sottopiantagione di
resistenza dimostrata da una particella della faggio, acero di monte, sorbo degli uccel-
Foresta di Vallombrosa con alberi piantati latori, ecc.
alla distanza di m 3 x 3.


21.2. ABETINA MONTANA DI ORIGINE
ARTIFICIALE

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Dal punto di vista fitosociologico si tratta di


logica popolamenti impiantati su terreni che per lo
Abetine della I e II classe di fertilità, rara- più sono di competenza potenziale di asso-
mente della III classe, derivanti da impianto ciazoni del Fagion silvaticae (Luquet 1926)
artificiale e spesso lasciate a densità assai ele- Tx. e Diemont 1936. Le abetine di elevata
vata. fertilità delle quote inferiori e in esposizioni
Al crescere dell’età, la densità e la continuità settentrionali si possono attribuire alla com-
della copertura diminuiscono in parte per ef- petenza di popolamenti misti di specie esi-
fetto dei diradamenti, ma soprattutto a causa genti riferibili all’ACERI-FRASSINETO.
delle lacune che si aprono in seguito a danni (v.). Rari sono i casi di abetine pertinenti al
vari al soprassuolo: sradicamento di piante Luzulo-Fagion Lohmeyer e Tx. 1954 e allora
affette da marciume radicale, piante secche riferibili all’ass. Luzulo pedemontanae-Fa-
in piedi e piante schiantate per eventi meteo- getum sylvaticae Oberd. e Hofmann 1967
rici. subass. abietosum albae Arrigoni et al. 1997.
Nelle abetine di età inoltrata (e, quindi, sem-
pre più rade) il sottobosco si differenzia pro- Sottotipi e varianti
gressivamente per la minore frequenza di in- Ai fini del trattamento selvicolturale è impor-
dividui di specie a fioritura precoce (Galium tante individuare quei sottotipi e quelle va-
odoratum, Corydalis, ecc.) e delle specie di rianti da cui derivano prospettive favorevoli,
minore statura a vantaggio del prevalere o o sfavorevoli, alla rinnovazione naturale
della dominanza di alte erbe nitrofile comuni dell’abete.
anche alle tagliate: Senecio fuchsii, Epilo- Sono favorevoli i sottotipi e varianti relativi
bium, Prenanthes, ecc. Le radure maggiori a certi boschi misti con specie meno compe-
possono restare invase da macchioni di rovo. titive da cui si hanno le seguenti forme di
Sui terreni più acidi il sottobosco può apparire abetina:
meno sviluppato e con maggiore partecipa- mista con altre conifere (abete rosso o pino
zione di Luzula nivea. nero, mai con douglasia) che possono ap-


parire (1) già con gruppi di rinnovazione terreni in cui vecchi terrazzamenti rivelano
di abete e (2) non ancora con rinnovazione l’antica destinazione agricola.
di abete
mista con latifoglie nobili (frassino mag- Substrati
giore, acero di monte, ciliegio, ecc. che Principalmente silicatici. Arenarie. Argille
possono apparire (1) già con rinnovazione scagliose all’Abetone (Monte Maiori). Lave
di abete e (2) senza ancora rinnovazione trachitiche al M.Amiata.
di abete
con piano inferiore di latifoglie (castagno, Suoli
frassino, ecc.) che appaiono già con gruppi Suoli bruni, suoli bruni acidi, talvolta suoli
di rinnovazione di abete bruni con orizzonte a gley. Orizzonti supe-
acidofila a luzule riori ricchi di humus e di azoto perché l’abete
fa cadere molti dei suoi aghi vecchi durante
Invece, sono da considerarsi in condizioni l’estate quando sono ancora allo stato verde
sfavorevoli alla rinnovazione le abetine: e, quindi, nel priodo in cui sono anche più
con sottobosco a macchioni di rovi facilmente alterabili.
miste con faggio
con rinnovazione densa di faggio Clima
miste con douglasia Temperatura media annua fra 6° e 13°. Tem-
peratura media del mese più freddo sino a
Localizzazione -2°. Precipitazioni dai 2.500 mm dell’Abeto-
Nelle foreste demaniali di Abetone, Teso, ne ai 1.350 mm di Vallombrosa dove ricor-
Vallombrosa, La Calla, Camaldoli e Badia rono più facilmente crisi di aridità (MORION-
Prataglia si riscontrano i nuclei storici della DO e COVASSI, 1981). Innevamento più meno
coltura artificiale dell’abete bianco. prolungato.
Altrove, abetine di questo tipo si trovano a
particelle più o meno disperse fra boschi di Interventi antropici più frequenti
faggio o fra rimboschimenti eseguiti con In alcune particelle la coltura dell’abete è sta-
pino nero o con douglasia. Tipo raro sul M. ta ripetuta per più turni.
Amiata. Le abetine di costituzione più recente sono
state impiantate su ex coltivi o pascoli, op-
Esposizioni pure in sostituzione di faggete o di casta-
Varie. Ma con una preferenza per le esposi- gneti.
zioni settentrionali che diventa fondamentale La densità di impianto, che originariamente
sotto i 1.000 m di quota. era di 800-2.000 piante per ettaro, è stata por-
tata (a partire dal 1860) a 3.000-3.500 piante
Distribuzione altitudinale per ettaro. Inoltre la densità è sempre stata
Nella fascia montana del faggio e nei suoi mantenuta piuttosto forte per assenza di di-
margini inferiori, per lo più in esposizioni a radamenti o per diradamenti ritardati e molto
nord. Normalmente fra 900 e 1300 m (1500 prudenti.
all’Abetone). Anche fino a 800 m ma, bene Nelle abetine mature e stramature si pratica
inteso, in esposizioni poco soleggiate. il recupero del legname delle piante cadute,
morte o stroncate per cause patologiche o me-
Geomorfologia teoriche. Talvolta le radure maggiori vengo-
Varia, per lo più poco accidentata, talvolta su no rinfoltite con piantagioni di abete o di la-


tifoglie varie fa cui sono preferiti il faggio e di specie di latifoglie con copertura non
l’abete bianco. eccessiva (p. es. castagno, sorbo degli
uccellatori, frassino maggiore) allo stato
Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten- di piano inferiore arbustivo.
denze dinamiche D Situazioni di blocco in cui il terreno
L’abetina di oltre 100 anni di età, divenuta dell’abetina rimane occupato da alte erbe
sempre più rada, può essere interessata da nitrofile o, peggio, da rovi.
quattro tipi di evoluzione.
A Ingresso anche massiccio del faggio che Specie indicatrici
si nota soprattutto in abetine derivanti dal Il sottobosco dell’ABETINA MONTANA
primo impianto su terreni antecedente- DI ORIGINE ARTIFICIALE ha una fisio-
mente occupati da faggete. nomia e una composizione simile a quello
B Rinnovazione mista con acero di monte, della FAGGETA EUTROFICA (v.) salvo
tiglio platifillo, frassino maggiore, sorbo la scarsità di individui delle geofite a fio-
degli uccellatori, e varie altre specie (ca- ritura precoce, una densità e uno sviluppo
stagno, faggio, ecc.) che si evidenzia alle superiori e, spesso, una maggiore frequenza
quote minori nelle posizioni poco soleg- di specie nitrofile; le radure delle abetine
giate. adulte possono essere invase da grandi
C Rinnovazione mista di latifoglie e abete, macchioni di rovo.
fenomeno non raro, facilitato dalla pre- A colpo d’occhio le differenze di fertilità si
senza di lettiera diversa da quella percepiscono non tanto secondo la composi-
dell’abete: mescolanza con altre conife- zione del sottobosco quanto nel diverso svi-
re, mescolanza con latifoglie, presenza luppo delle erbe che lo compongono.

Specie differenziali del sottotipo acidofilo a luzule

Luzula nivea Prenanthes purpurea


L. pedemontana Molinia arundinacea
Cytisus scoparius Avenella flexuosa
Vaccinium myrtillus Hieracium gr. sylvaticum
Solidago virga-aurea Luzula sylvatica

Selvicoltura quei processi di ritorno delle latifoglie a cui


L’insieme delle abetine artificiali montane abbiamo accennato. L’importante è che non
della Toscana rappresenta le condizioni otti- si formi il sottobosco compatto a rovi perchè,
mali per lo sviluppo dell’abete. Però al veloce allora, il ritorno spontaneo di alberi risulta
accrescimento sino alle massime dimensioni, impossibile.
non corrisponde la longevità dei popolamenti Le alternative di trattamento possono essere
tanto che in queste condizioni si potrebbe as- diverse secondo il tipo di proprietà e altre
serire che Abies alba non è una specie lon- fonti delle decisioni.
geva. Gli schianti periodici non sono così for- Il trattamento a taglio raso con rinnovazione
ti come nelle abetine della prossimità ai cri- artificiale rientra indubbiamente in una tra-
nali, però i popolamenti di oltre 60-70 anni dizione antica che può essere mantenuta o
subiscono un continuo stillicidio di piante. ripresa limitando sempre le tagliate alla su-
Alla riduzione della densità corrispondono perficie di 1-2 ettari. Il turno di 80-100 anni


è imposto anche dal fatto che l’abetina adulta Un problema a sè è la alternativa fra l’abete
perde progressivamente di densità. L’impie- bianco e la douglasia. E’ oramai chiaro che
go di materiale di piantagione di provenienza in economia privata la conifera esotica è pre-
della Toscana è auspicabile, benchè sia prob- ferita soprattutto nella fascia submontana per
abile che parte delle popolazioni attuali (com- l’accrescimento più rapido e per la maggiore
prese quelle naturali) siano già ibride con stabilità dei popolamenti. Nelle proprietà
piante di origine alpina. pubbliche ci sono riserve biogenetiche dove
Forme di trattamento a taglio saltuario sono la douglasia è molto rappresentata. Questo
possibili soprattutto in quelle abetine adulte aspetto è ben localizzato e visibile a Vallom-
che si presentano, oramai, molto rade e molto brosa dove la douglasia è distribuita a parti-
influenzate dalla rinnovazione naturale celle intere, mentre si manifesta in modo più
dell’abete o anche delle latifoglie. Però non estensivo anche se meno evidente a Camal-
è da escludere che questa forma di trattamen- doli dove quasi metà della superficie delle
to sia da applicare facendo anche ricorso a abetine è mista con singole piante o con pic-
piantagioni integrative. coli gruppi di douglasia.


21.3. ABETINA SOTTO QUOTA DI ORIGINE
ARTIFICIALE

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Sottotipi e varianti


logica La prima distinzione da farsi è quella fra i
Questo tipo comprende popolamenti di abe- sottotipi:
te bianco piantati o diffusisi per dissemi- xeromorfo con luzule e graminacee
nazione naturale a quote basse, nel contesto mesomorfo con rovi e felce aquilina.
di castagneti da frutto o comunque di aree Le varianti interessano anche i fini delle pro-
molto disturbate, soprattutto in esposizioni spettive di rinnovazione naturale; le princi-
fresche. pali sono:
Si tratta di abetine della IV classe di fertilità, a castagno, per lo più ceduo (eventualmen-
raramente della III, soggette a precoci sintomi te con l’abete presente in forma giovanile
di senescenza o di sofferenza e molto instabili e ancora in fase di invasione)
a causa di sradicamenti per attacchi da Hete- a cerro, eventualmente con aspetto di ce-
robasidion annosum e di disseccamenti di duo coniferato
piante in piedi per attacchi da Armillaria mel-
lea e altre specie dello stesso genere. Localizzazione
A seconda della maggiore o minore freschez- Per lo più in prossimità di sovrastanti com-
za dell’ambiente queste abetine possono rien- plessi di abete da cui è partita la rinnovazione.
trare nel Senecio fuchsii-Abietetum albae Nella Foresta di Vallombrosa in località Pian
(Arrigoni et al., 1997) oppure nell’Euphorbio di Melosa; più ridotta a Camaldoli. Fra i com-
amygdaloidi-Abietum albae (Arrigoni et al., plessi di origine artificiale il più noto è quello
1997) o, ancora, a quota in condizioni peg- di Monte Senario (peraltro in fase di conver-
giori, nell’all. Crataego levigatae-Quer- sione in boschi di douglasia). Altri nuclei si
cion cerridis Arrigoni 1996, in qualche trovano nel Valdarno e nel pistoiese. La quota
raro caso addirittura in unità fitosociolo- minore è raggiunta nel parco della Villa di
giche più xeriche. Varramista (che è quasi al livello del mare)
dove l’abete si rinnova pur essendo in pessi-
me condizioni.


Esposizioni diamento di specie arboree. Sovente la prima
Varie. Le abetine originate da diffusione na- specie che appare è il castagno (forse per so-
turale sono però esposte prevalentemente a pravvivenza delle ceppaie). L’abete, nono-
sud perchè la disseminazione naturale da cui stante lo stato vegetativo non buono, è sempre
parte la diffusione dell’abete “ in discesa” av- capace di rinnovarsi e di mantenere la sua
viene sotto l’effetto dei venti secchi da nord presenza in bosco misto fintanto che la co-
che sono quelli che aprono i coni. pertura delle latifoglie non si completa. Il sot-
tobosco costituito da macchioni di rovo e
Distribuzione altitudinale (peggio ancora) di rovi e vitalba impedisce
Da 600 a 800 m. Abetine a quota inferiore qualsiasi evoluzione immediata.
sono del tutto eccezionali.
Specie indicatrici
Geomorfologia Non vengono elencate perchè si tratta di spe-
Pendici a inclinazione moderata. cie non sempre in relazione (anzi in parte
Substrati pertinenti all’ord. Quercetalia pubescenti-
Silicatici. petraeae Klika 1993) con l’ecologia dell’abe-
te e del faggio salvo in qualche ambiente par-
Suoli ticolare dove si osservano Geranium nodo-
Bruni o bruni acidi. sum, Sanicula europaea, Cardamine cheli-
donia, Senecio fuchsii e altre specie del la-
Clima mineto mesofilo. Nelle stazioni più fresche
Temperatura media annua superiore a 14°; tem- appaiono i macchioni di rovi.
peratura media del mese più freddo superiore
a 0°. Precipitazioni annue spesso sotto i 1200 Selvicoltura
mm ed estive intorno ai 150 mm o meno. Nonostante tutti gli inconvenienti fino ad ora
ricordati, l’abete sotto quota ha molte possi-
Interventi antropici più frequenti bilità di rinnovazione naturale perchè vive in
Le abetine derivanti da disseminazione natu- un contesto da latifoglie dalla chioma poco
rale in castagneti da frutto o in cedui di cerro coprente come il castagno e il cerro.
sono state condotte allo stato di bosco puro Questo aspetto può dar luogo a interessanti
col taglio delle latifoglie e col rinfoltimento applicazioni selvicolturali in fustaie mista o
artificiale con abete talvolta misto al pino la- in ceduo misto con l’abete. Evidentemente i
ricio. Le abetine di origine artificiale sono criteri di utilizzazione non possono che ispi-
state piantate per lo più su ex seminativi. rarsi al turno basso o alla provvigione mode-
Nell’ambito dei boschi privati è pratica cor- sta e gli assortimenti raccolti non potranno
rente il taglio a raso e la sostituzione con la essere che sottili e adatti per usi ordinari.
douglasia. Le abetine pure, tuttavia, non saranno capaci
di rinnovarsi e, per loro sarà obbligatorio il
Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten- trattamento a taglio raso. Qualora si volesse
denze dinamiche sostituirle con boschi di un’altra specie, la
Le abetine sotto quota sono ancora più insta- douglasia non è l’unica alternativa; nelle sta-
bili di quelle della fascia montana. Dal mo- zioni più ombreggiate si può prendere in con-
mento in cui, per effetto del marciume radi- siderazione anche l’impiego delle grandi la-
cale e di altre avversità, il popolamento co- tifoglie e a legno pregiato come il frassino
mincia a divenire rado si può avere un inse- maggiore, l’acero di monte e il ciliegio.


21.4. ABETINA MISTA AUTOCTONA
DEL MONTE AMIATA

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- teriale di piantagione molto probabilmente


logica alloctono.
Sul Monte Amiata è noto da tempo, cioè sin Riferendoci ai nuclei meno alterati di abetina
dalla fine del ‘700, un nucleo spontaneo di si tratta di boschi misti con gruppi di abete
abete bianco. bianco di varia età (ed anche allo stato di
Esso si trova localizzato al di fuori dell’area novellame) in una vegetazione di cerro op-
vulcanica effusiva dove si colloca sotto quota pure di tiglio platifillo, acero di monte, acero
e misto al cerro ma anche al faggio e ad altre opalo s.l. e frassino maggiore. Il faggio è spo-
latifoglie. radico.
Questo bosco, già indicato come biotopo di L’aspetto generale è quello delle ABETINE
elevato valore vegetazionale (MONTORZI, in SOTTO QUOTA (v.).
S.B.I., 1971), è stato di recente studiato Nel sottobosco si trovano significative specie
(1993) da ANGIOLINI, CHIARUCCI e PERINI di vegetazione di clima "colchico" (umido e
fra le quote di 625 e 900 m; il suo spettro non freddo) come: agrifoglio, pungitopo,
floristico indica il carattere relativamente edera e scolopendrio.
“ continentale” della sua flora. Macchioni di rovo e chiazze di erbe lamini-
Un settore dell’abetina originaria del M. foglie esigenti.
Amiata, studiata nel 1943, era, secondo NE- Fitosociologicamente l’abetina è ospitata in
GRI, “ ...venerando avanzo della foresta che una cerreta dell’ass. Melico uniflorae - Quer-
diede alberi alle navi etrusche e romane” . cetum cerridis Arrigoni 1990.
Questi popolamenti, però, situati in località
"Abetina" in Comune di Piancastagnaio, non Sottotipi e varianti
devono più essere inclusi nell’Abetina origi- Si possono indicare due varianti essenziali:
naria perchè oramai l’abete allo stato spon- a cerro (frequente nella zona di Poggio
taneo vi è raro mentre vi sono state fatte pian- Nibbio in Comune di Piancastagnaio).
tagioni con abete rosso, pino nero, pino sil- L’aspetto è quello di un ceduo, ora avviato
vestre e anche con abete bianco, ma con ma- all’alto fusto, coniferato con abete per sin-


gole piante o a gruppi e con chiazze di Geomorfologia
novellame. Raro faggio). Pendici moderate, anche d’aspetto quasi col-
a tiglio, aceri e frassino maggiore (V. ACE- linare. presenza di una discarica di miniera
RI-FRASSINETO). Nel bosco sopra al abbandonata.
Convento della SS. Trinità in Comune di
S. Fiora. Bosco di alto fusto (attualmente Substrati
di aspetto giovanile) con latifoglie miste Arenacei.
ad abete per singole piante o per gruppi.
Raro faggio (VAGAGGINI, 1995). Suoli
Non ne è stato definito il tipo.
Verso i fondovalle è facile trovare il faggio
mentre sulle balze non meraviglia trovare il Clima
leccio. In questi casi l’abete relitto si trova Temperatura media annua intorno a 10°-12°.
esattamente nella stessa posizione sotto quota Temperatura del mese più freddo circa 1°-2°.
in cui si collocano gli altri suoi relitti in tutto Piogge annue intorno a 1.350 mm, quelle esti-
il resto dell’Appennino fino alla Calabria ve di circa 160 millimetri. Innevamento poco
(BORGHETTI e GIANNINI, 1984), comunque prolungato.
su un rilievo del tutto isolato dalla catena. Il
suo carattere relitto è spiegabile se si pensa Interventi antropici
che ai tagli a carico dell’abete nella fascia Le testimonianze storiche sono riportate in
montana ha corrisposto l’espansione e il raf- dettaglio da NEGRI (1943). Le antiche abetine
forzamento della competitività del faggio del M. Amiata erano utilizzate al tempo dei
mentre, invece, nelle aree sotto quota, l’abete Romani e vennero usate anche dal papa Pio
poteva mantenersi in convivenza con specie II (BERNETTI Giuseppe, 1981) per la costru-
meno coprenti. zione di Pienza.
In epoche più recenti il territorio fu di pro-
Localizzazione prietà delle aziende minerarie che sfruttarono
Provincia di Siena e Grosseto. Zone di Pian- i popolamenti misti con abete come ceduo
castagnaio e di S. Fiora. Parte bassa di Poggio coniferato e che fecero alcune piantagioni con
Nibbio (più in alto l’abete è di origine artifi- materiale sospetto alloctono a Poggio Pam-
ciale e misto a abete rosso, pino silvestre e pagliano. Per il Bosco della SS. Trinità, VA-
nero). I nuclei più estesi si trovano sotto la GAGGINI (1995) riferisce di tagli a scelta, di
strada da Piancastagnaio a Castell’Azzara e pulizie del sottobosco e di piantagioni con
attorno al convento de la Selva. Un’altra sta- abete del luogo.
zione più piccola si troverebbe sul Versante
Nord del M. Amiata in Comune di Castiglio- Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
ne d’Orcia ma qui la spontaneità dell’abete denze dinamiche
sarebbe dubbia. Questi popolamenti si inquadrano fra quei
relitti di abete bianco dell’Appennino Cen-
Esposizioni tro-Meridionale in cui l’abete ha trovato ri-
Varie. fugio nell’orizzonte dei querceti anzichè
nell’orizzonte del faggio (PATRONE, 1952;
Distribuzione altitudinale BORGHETTI e GIANNINI, 1984).
Metri 600-950. E’ possibile che questa posizione di rifugio
sia stata facilitata anche dalla minore azione


coprente esercitata dalle latifoglie eliofile ri- hanno senza dubbio offerto possibilità di
spetto a quella del faggio. Il trattamento a equilibrio.
ceduo coniferato o a fustaia mista disetanea

Specie indicatrici

Abies alba Brachypodium sylvaticum


Quercus cerris (freq.) Pulmonaria saccharata
Acer obtusatum Digitalis micrantha
Fagus sylvatica D. ferruginea
Tilia platyphyllos Scilla bifolia
Castanea sativa Lilium croceum
Fraxinus excelsior Geranium nodosum
Ilex aquifolium Hedera helix
Taxus baccata Viola alba dehnhardtii
Genista pilosa Fragaria vesca
Ruscus aculeatus Phyllitis scolopendrium
Melica uniflora

Selvicoltura saltuario, anche dal punto di vista dell’equi-


Un regime di protezione e di pianificazione librio di queste ultime, è forse più indicato
razionale dei tagli è quanto mai auspicabile: di un regime di protezione assoluta.
l’obiettivo principale è la conservazione delle Tutti i rimboschimenti dei dintorni dovreb-
mescolanze. bero essere fatti con materiale derivato dal
Come già osservato, il trattamento a taglio seme del posto.


21.5. PICEO-ABIETETO AUTOCTONO
CON FAGGIO DELL’ABETONE

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Il settore tratteggiato si
riferisce alle stazioni inferiori
dove la picea è subordinata
all’abete e al faggio mentre il
settore a linea continua
corrisponde alle stazioni più
in quota con picea pura o
quasi

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- fiche: detriti di falda molto grossolani (ma-


logica cereti, lastroni di roccia affiorante, plaghe di
Si tratta di un biotopo di grande interesse prateria molto umida) che permettono l’in-
vegetazionale, bioclimatico e fitostorico. trusione nelle radure di una brughiera ipsofila
Si deve a CHIARUGI (1936) la dimostrazione a Myrtillus gaultherioides.
che nell’Appennino settentrionale esistevano Le unità fitosociologiche sono state indica-
stazioni spontanee di picea (zona dell’Abe- te a livello dei sottotipi e, per quanto ri-
tone) la cui flora e vegetazione venne studiata guarda la copertura arborea, sono definite
da FERRARINI (1977). Secondo MAGINI, PE- dalle diverse mescolanze delle tre specie
LIZZO, PROIETTI PLACIDI e TONARELLI presenti che si susseguono in una ristretta
(1980) i caratteri delle squame degli strobili fascia altitudinale.
di questa picea sono molto simili a quelle di
particolari provenienze alpine come quelle Sottotipi e varianti
della Valle d’Aosta. Si riportano, con definizioni abbreviate, i tipi
Le stazioni con picea si presentano per la di vegetazione forestale della Riserva di Foce
maggior parte allo stato misto in primo luogo di Campolino e aree adiacenti secondo GIAN-
in una formazione densa, nota come “ Pigel- NINI e SCREM (in DE PHILIPPIS et al., 1977)
leto (1) Chiarugi” , esteso per circa 200 ha, che possono essere raggruppate in un sotto-
più alcuni altri boschi meno estesi. Questi tipo inferiore - nel primo caso - e uno supe-
costituiscono un complesso piuttosto accor- riore - nel quarto e quinto caso - con una
pato di popolamenti arborei che, al crescere transizione fra i due (terzo caso), secondo la
dell’altitudine, cambiano gradualmente di seguente seriazione in altitudine.
composizione e diminuiscono di fertilità e di Bosco misto di abete e faggio con picea.
densità. La riduzione di quest’ultima, oltre a A partire dalla quota 1350 m. Popolamenti
fattori climatici, è dovuta anche a cause eda- di fertilità discreta (compatibilmente con

(1) Dal termine locale “ pigella” che significa picea.


l’altitudine), forse ancora riferibili all’al- Distribuzione altitudinale
leanza Fagion sylvaticae (Luquet 1926) (1280) 1350-1760 (1800) metri.
Tx. e Diemont 1936 e, in particolare,
all’ass. Gymnocarpio dryopteri - Fagetum Geomorfologia
sylvaticae (Ubaldi e Speranza 1985) Ubal- Zona spesso rupestre, con roccia in posto, in
di 1995. parte coperta da detriti a massi consolidati,
Bosco chiuso o quasi di picea e abete con con chiari segni di morene e altri fenomeni
poco faggio. Forma grandi gruppi di po- di morfologia glaciale pregressa del Würmia-
polamento di statura modesta inframmez- no. Presenza di laghetti e aree palustri per
zati a gruppi di bosco puro di faggio ceduo sbarramento morenico.
avviato all’alto fusto. L’all. Vaccinio-Pi- E’ caratteristico l’alternarsi di bastioni a frana-
ceion Br. Bl. (1938) 1939 vi era già stata poggio e di estesi macereti sui quali le due co-
riscontrata da SARFATTI e PEDROTTI (1966). nifere sfuggono alla concorrenza del faggio.
Bosco infraperto di picea e abete bianco
in brughiera d’altitudine a Vaccinium Substrati
gaultherioides. Attorno a 1.700 m e poco Arenaria macigno con prevalenza di banchi
oltre. Poco faggio e sorbo degli uccellatori. di forte spessore.
Statura molto modesta. Struttura a gruppi
molto densi e stratificati. Densità irrego- Suoli
lare per lacune occupate dalla brughiera a Poco profondi in alto (litosuoli A1/R), ma
mirtillo. E’ una fase di transizione fra la ricchi di sostanza organica, specialmente su
situazione precedente e le due seguenti. cenge o in tasche fra i sassi, freschi (presenza
Picea e abete a piante sparse a piccoli grup- di sorgenti). Tra i 1330 e 1650 m si hanno
pi in brughiera, contorte e danneggiate da invece suoli con B cambico, profondi sino a
eventi meteorici. Raro faggio. Secondo 80 cm, ricchi di scheletro, molto acidi, di tipo
BERNETTI (1963) l’abete rosso a queste bruno lisciviato o podsolico.
quote arriva a rasentare i 20 m di altezza
a 120 anni di età. Clima
Piante basse di picea e anche abete sparse Il biotopo è situato nella zona più continentale
nella brughiera. Oltre 1740-1760 m e fino dell’Appennino tosco-emiliano, sia per le
a 1.800. Qui, come nel caso precedente, le temperature che per le precipitazioni, in di-
conifere sono ospitate nella brughiera ap- screta parte nevose (talvolta il manto nevoso
penninica d’altitudine ormai dominante si mantiene sino alla metà di giugno). Tem-
dell’ass. Empetro-Vaccinietum gaulthe- peratura media annua da +4°a 6°. Tempera-
rioidis Palmann e Hafter 1933. tura media del mese più freddo: da -3° sino
a -5°. Precipitazioni superiori a 2500 mm
Localizzazione (CANTIANI e BERNETTI, 1963), con 250-300
Presso il Passo dell’Abetone nell’alta Valle mm e oltre durante il trimestre estivo.
del Sestaione sotto la Foce di Campolino;
meno caratterizzato sotto il Lago Nero presso Interventi antropici più frequenti
l’Abetone. I popolamenti con picea, rimasti forse intatti
anche ai tempi del Granducato, furono inte-
Esposizioni ressati da tagli a scelta nel 1915 e poi da un
L’esposizione generale delle pendici è a nord, taglio nel 1954. Tagli pregressi sul ceduo di
quella del bosco principalmente a NE. faggio, anche con carbonificazione. Pascolo


intenso sino al 1970 circa. Circa la metà del determinate peculiarità geomorfologiche
“ Pigelleto” Chiarugi è inserita nella “ Riser- (macereti e lastroni di roccia affiorante) han-
va Naturale Orientata di Campolino” . Data la no attenuato la competitività del faggio ri-
vicinanza alla stazione invernale dell’Abetone spetto alle conifere; da notare che le due co-
esistono comunque pericoli relativi alla possi- nifere si insediano soprattutto nelle posizioni
bile apertura di nuove piste da sci e costruzione di margine del soprassuolo arboreo (GIANNI-
di mezzi di risalita che sarebbero ovviamente NI e SCREM, cit.). E’ probabile che il popo-
da evitarsi in un biotopo così delicato. lamento fosse in equilibrio ma è possibile che
i tagli abbiano facilitato l’insediamento delle
Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten- conifere.
denze dinamiche L’abete rosso si è rinnovato meno dell’abete
Esempio di popolamento in cui il clima e bianco.

Specie indicatrici

Sottotipo inferiore
Fagus sylvatica Fragaria vesca
Abies alba Pteridium aquilinum
Picea abies (loc.) Euphorbia dulcis
Acer pseudoplatanus (loc.) Viola cfr. reichenbachiana
Juniperus communis Oxalis acetosella
Lonicera nigra Geum montanum
Sorbus aucuparia Homogyne alpina
Vaccinium myrtillus GYMNOCARPIUM DRYOPTERIS
Luzula nivea DRYOPTERIS DILATATA (loc.)
Cardamine bulbifera Anemone nemorosa (loc.)
Sottotipo superiore
Picea abies (preval.) LYCOPODIUM ANNOTINUM
Abies alba ORTHILIA SECUNDA
Sorbus aucuparia MELAMPYRUM SYLVATICUM
JUNIPERUS NANA MONESES UNIFLORA
Vaccinium myrtillus (domin.) LISTERA CORDATA
V. gaultherioides (domin.) LUZULA LUZULINA
V. vitis-idaea (domin.) L. sylvatica
Oxalis acetosella (domin.) Homogyne alpina
Gentiana purpurea Prenanthes purpurea
Empetrum hermaphroditum (rad.) Solidago virga-aurea

Selvicoltura moderati di liberazione di gruppi di novelleto


Sono auspicabili interventi atti a facilitare la di abete rosso e abete bianco e qualche dira-
partecipazione dell’abete rosso di seme locale damento.
anche nella parte bassa della Riserva e nei Sotto il profilo naturalistico questi popola-
popolamenti che sono al di fuori della Riserva menti (almeno quelli in quota) dovrebbero
di Foce di Campolino, ma che fanno parte essere lasciati all’evoluzione naturale sempre
pur sempre della Riserva Biogenetica Foresta che un’eventuale espansione del faggio non
dell’Abetone. Il piano di MAGINI e GIANNINI costituisca localmente un pericolo per la rin-
(v. DE PHILIPPIS et al., 1977) prevedeva: tagli novazione delle conifere.


 )$**(7( 

Importanza, caratterizzazione, cenni storici


Il faggio in Toscana predomina nella fascia altitudinale che va da 900 fino ai
1.700 (1.800) metri dove iniziano le praterie di vetta o, localmente, i vaccinieti di
Vaccinium gaultherioides costituendo così il limite superiore del bosco. Sulle mon-
tagne di quote inferiori, il faggio arriva sino al crinale salvo lasciare fasce strette e
discontinue di prateria cacuminale.
Negli ambienti montani della Toscana, cioè nella fascia di vegetazione del faggio,
il clima ha delle ovvie differenze secondo la posizione dei rilievi rispetto al mare e
secondo l’altitudine di massa. Sulle montagne del nord-ovest (come sulle Apuane e
sull’Appennino fino al Passo dell’Oppio) la piovosità è molto elevata, con punte fino
a 3.000 mm annui. Invece, sui rilievi minori e più interni (come sul Pratomagno e
in Val Tiberina) la piovosità scende fino a 1.200-1.500 mm mentre si fanno più
frequenti i periodi siccitosi estivi che provocano sofferenze più o meno gravi alle
piante e ai boschi di faggio.
Nel complesso, tuttavia, la piovosità e l’umidità atmosferica favoriscono il faggio
rispetto alle altre specie tanto che (se non fosse intervenuta l’azione dell’uomo) la
fascia montana coinciderebbe con una estensione quasi continua di boschi fisiono-
micamente dominati dal faggio, salvo una partecipazione subordinata dell’abete bian-
co, dell’acero di monte, del frassino maggiore e di poche altre specie. Il diboscamento,
però, ha inciso sulla continuità delle faggete con l’apertura di campi coltivati o di
pascoli. Dopo, quando si è voluto rimediare con i rimboschimenti, si è provveduto
per lo più con la piantagione dell’abete bianco o del pino nero, mentre le faggete
derivanti da rimboschimento sono piuttosto rare e si trovano nella Foresta di Abetone
e, in minor misura, nella Foresta di Vallombrosa o altrove.
L’Inventario Forestale Toscano (MERENDI, 1996) riporta 63.632 ettari di boschi
di faggio; dal medesimo documento, poi, si desumono 36.496 ettari di boschi misti
con partecipazione del faggio.
I boschi di faggio della Toscana agli inizi del ‘900 erano tutti governati a ceduo.

(1) Ivi compreso l’Aceri-frassineto.


Allo stato attuale, per il 90% sono ancora boschi cedui oppure sono boschi avviati
a fustaia. Le faggete di alto fusto si estendono per 4.672 ettari e derivano da boschi
cedui che sono stati convertiti all’alto fusto fra fine dell’‘800 e primi del ‘900,
soprattutto nell’ambito di alcune foreste demaniali e dei boschi comunali del Monte
Amiata. E’ verosimile che la superficie di cedui avviati all’alto fusto più di recente
sia dell’ordine dei 18-20.000 ettari.
In Toscana, i boschi di faggio hanno una grande importanza sotto il profilo
paesaggistico e della protezione idrogeologica. Le peculiari fisionomie del bosco di
faggio fanno da scenario a tutti gli aspetti del turismo e della ricreazione in montagna
e, non a caso, le stazioni climatiche più conosciute si trovano nelle vicinanze di
comprensori di faggete di alto fusto. Parallelamente, le faggete qualificano l’ambiente
di parchi nazionali e regionali o di altre zone protette della Toscana.
Nella porzione alta dei bacini imbriferi, che costituisce una zona particolarmente
critica per il regime delle acque, il faggio interviene con spiccate attitudini a trattenere
e a rallentare il deflusso con la compattezza della sua chioma unitamente allo spessore
della lettiera e dell’humus che impartisce al suolo una struttura assai favorevole alla
penetrazione e alla trattenuta dell’acqua.
L’apporto del legname di faggio all’economia non è trascurabile. Il fabbisogno
di legname di faggio delle industrie e degli artigiani della Toscana è valutabile in
circa 150.000 m3 all’anno mentre l’utilizzazione interna è di poco più di 5.000 m3
(BERNETTI I. et al. 1992). L’obiettivo di coprire questo fabbisogno razionalizzando
la gestione delle faggete toscane è, per varie ragioni, irraggiungibile. Motivi di pru-
denza e di strategia economica possono consigliare, tuttavia, di ridurre una così forte
dipendenza per una materia prima che può essere prodotta anche all’interno.
Dai boschi di faggio che i proprietari vogliono ancora tagliare a ceduo si ricavano
circa 40.000 m3 all’anno di legna da catasta corrispondenti al 10% della produzione
toscana di questo assortimento.
Come è stato già accennato, il governo a ceduo è il sistema selvicolturale che,
in Toscana, ha la più lunga tradizione ma, dato che il faggio ha poca capacità di
rigenerarsi per polloni, l’esperienza popolare ha suggerito diverse particolari forme
di trattamento che avevano come base il taglio a breve ciclo.
La maggioranza dei cedui veniva trattata a taglio raso con turni di 15-18 anni.
La riserva di matricine poteva essere più o meno intensa e capace di dar luogo ad
un certo grado di rinnovazione delle ceppaie.
La pratica popolare, ritenuta più raffinata, era quella del “ ceduo a sterzo” che
consisteva nel tagliare il bosco a intervalli di 9-12 anni asportando solo i polloni più
grossi e avendo cura di non tagliare mai una ceppaia a raso.
La conservazione della capacità di rigenerazione per polloni era affidata anche
al taglio praticato tanto in profondità nella terra fino a estirpare la ceppaia in modo
che i nuovi polloni nascessero dai monconi delle radici invece che dalla ceppaia
stessa. Per rinfoltire il bosco, si procedeva alla propagazione del faggio per propaggine


piegando dei polloni fino a terra e fissandoli con pietre o picchetti finché non avevano
emesso radici.
A fronte di queste pratiche cautelative non sono mancate, purtroppo, forme di
uso irrazionale che portavano più direttamente alla degradazione. Il taglio alto delle
ceppaie è stato ampiamente praticato dove mancava mano d’opera accurata ed esperta;
ne risultano, oggi, ceppaie di aspetto mostruoso che fanno la delizia dei fotografi
naturalisti. Dove la morfologia del terreno era meno accidentata, al taglio del ceduo
seguiva il “ debbio” che consisteva nell’abbruciamento dei residui vegetali minori
rimasti dopo il taglio, seguito da una coltura di cereali o di patate praticata per 2-3
anni negli spazi fra le ceppaie. La traccia della pratica del debbio (detta anche "dei
fornelli") si trova ancora oggi ed è rivelata da certe strutture a ceppaie rade. Dal
termine locale “ pigella” che significa picea.
Nelle stazioni più soggette all’incendio (come nelle pendici ripide esposte a sud)
il faggio è stato ridotto allo stato cespuglioso e spesso ha lasciato il posto a praterie
a brachipodio rupestre oppure a brughiere di calluna e ginestra dei carbonai.
I primi provvedimenti per l’avviamento all’alto fusto dei boschi di faggio sono
stati presi (limitatamente a foreste demaniali e comunali ) dopo il 1880. Da essi
derivano, fra l’altro, le cospicue faggete della Foresta dell’Abetone e quelle del M.
Amiata ed inoltre le faggete della Foresta di Vallombrosa e della Foresta di Maresca.
Nello stesso periodo si eseguirono anche rimboschimenti con faggio nelle aree oc-
cupate da pascoli o da seminativi di alta montagna.
Una seconda fase di avviamenti si ebbe (sempre in foreste di proprietà pubblica)
fra il 1930 e il 1940 e interessò soprattutto le Foreste Casentinesi, la Foresta di
Acquerino e boschi comunali delle Alpi Apuane. Il lavoro si intensificò dopo il 1950
estendendosi alle foreste demaniali di nuovo acquisto e anche a qualche proprietà
privata. In questo periodo, però, la pratica del rimboschimento delle superfici di
montagna ha trascurato l’impiego del faggio ed ha preferito quasi esclusivamente le
conifere, finché poi, a partire dal 1955-60, il rimboschimento montano si è interrotto
per la crescente mancanza di mano d’opera.
Attorno al 1955 cadde la convenienza a tagliare i cedui secondo i vecchi metodi
che erano basati principalmente sui turni bassi e sulla produzione di legna di piccolo
diametro. Pertanto si pensò che l’interruzione dei tagli potesse facilitare l’evoluzione
alla fustaia anche dei cedui di faggio di proprietà privata.
Però, a partire dal 1985 circa i cedui, oramai invecchiati a 40-50 anni di età e
cresciuti a maggiori dimensioni, tornarono ad essere convenienti al taglio. Ma a tale
età non corrispondeva più la capacità di rigenerazione per polloni. Le autorità forestali,
allora, sottoposero i tagli dei cedui invecchiati alla concessione di una apposita
autorizzazione. In conseguenza di questo provvedimento, si consentono solo tagli
con il rilascio di numerosi polloni.
Nelle foreste demaniali, le faggete derivanti dagli avviamenti più antichi sono
state sottoposte a tagli seguendo vari criteri. Fra il 1920 e il 1930 era molto in voga


la trasformazione delle faggete in boschi misti con l’abete; ma spesso, per errore o
per fraintendimento, si arrivò a sostituire drasticamente le faggete con abetine pure.
Altrove le faggete furono sottoposte a tagli che hanno provocato l’insediamento della
rinnovazione da seme secondo la seguente distinzione.
Per le faggete di maggiore fertilità e destinate alla produzione, i piani di asse-
stamento prescrivevano il sistema a tagli successivi uniformi. Secondo tale sistema,
singole “ particelle” di 2-5 ettari, vengono avvicendate a tagli con cui, prima, si
provoca l’insediamento della rinnovazione da seme, poi si sgombrano tutti i vecchi
faggi fino a lasciare un fitto giovane popolamento di faggio sull’intera particella
Nelle faggete classificate come boschi di protezione, invece, l’uniformità del
popolamento doveva essere interrotta tramite tagli successivi a gruppi per ottenere
appunto gruppi di alberi di diversa età, dimensione e densità, disposti in una alternanza
più adatta a frenare l’azione del vento, a interrompere il ruscellamento ed, eventual-
mente, a intercettare il rotolio di massi.
L’applicazione effettiva di piani di assestamento è stata piuttosto disordinata e,
per questo, molte faggete oggi hanno forme irregolari.
Alla fine, verso gli anni 1980-90, in molte foreste demaniali i tagli sono stati
interrotti o molto rallentati. Per questo motivo sorge anche l’opportunità di formulare
delle previsioni relative ai possibili sviluppi della struttura e della rinnovazione dei
boschi in assenza di interventi.

Aspetti selvicolturali
Le alternative sulla destinazione delle faggete e sui modi di coltura dipendono
molto dai fattori stazionali e dalla struttura dei popolamenti quale risulta dagli inter-
venti pregressi.
L’esame dei Tipi di faggeta è, dunque, molto importante e, per maggiore sicu-
rezza, è sempre opportuno verificare anche la classe di fertilità in base all’altezza
dominante in relazione all’età.

Classi di fertilità dei boschi di faggio avviati all’alto fusto della Toscana
(BIANCHI, 1981). Altezze dominanti in funzione dell’età

(Wj , +0 ,, +0 ,,, +0 ,9 +0 9 +0 9, +0 9,, +0


DQQL P P P P P P P

       

       

       

       

       

       


La tabella di BIANCHI (1981), articolata in ben 7 classi di fertilità, è stata stabilita
in base a dati raccolti su boschi cedui avviati all’alto fusto. Si tratta, pertanto, di un
campione che esclude sia i boschi più scadenti di quelli espressi dalla VII classe di
fertilità sia, a maggior ragione, i popolamenti di faggio di aspetto cespuglioso.
In presenza di boschi di struttura irregolare o, comunque, di boschi di cui sia
impossibile conoscere l’età, ci si può basare sull’altezza media delle piante più grosse.
In una faggeta di fertilità sufficiente per un buon accrescimento e favorevoli future
prospettive di rinnovazione naturale bisogna che le piante di alto fusto (per cui si
può ragionevolmente stimare un’età superiore a 100 anni) rasentino o superino i 25
m di altezza.
Per una pianificazione razionale della coltura dei boschi di faggio è necessaria
una compartimentazione cartografica e assestamentale molto accurata che, al bisogno,
tenga conto anche di variazioni di dettaglio ricorrendo a particelle piuttosto piccole
oppure a particelle divise in sottoparticelle.
Per il trattamento orientato sulla produzione di legname di pregio occorre sele-
zionare particelle di faggeta di fertilità elevata che siano anche in condizioni stazionali
tali da offrire buone possibilità di insediamento di rinnovazione in massa e in con-
dizioni di viabilità tali da consentire la puntualità di esecuzione dei diradamenti.
Se a questo scopo si destinasse solo il 10% dei boschi di faggio della Toscana (cioè
circa 6.000 ettari), si potrebbe prevedere una produzione annua dell’ordine del 25.000
metri cubi il che costituirebbe un buon volano di mercato per l’industria locale.
Per i boschi di fertilità intermedia, in posizioni meno accessibili o, comunque,
dove non si vogliano adottare forme di trattamento mirate alla produzione di legname
di pregio, si possono prevedere moduli selvicolturali più estensivi oppure anche
forme di semplice protezione naturalistica. A questi fini bisogna comunque ricordare
che le faggete (e in particolare quelle di migliore fertilità) per loro natura contribui-
scono molto poco alla biodiversità almeno fintanto che non siano colpite da catastrofi.
Per i cedui di buona fertilità (per esempio superiore alla IV classe) la conversione
all’alto fusto è sempre desiderabile.
Il metodo di conversione abituale consiste nell’applicazione di uno speciale
diradamento chiamato taglio di avviamento all’alto fusto seguito da un lungo periodo
di invecchiamento più o meno assistito, da altri diradamenti, durante il quale il bosco
evolve a faggeta con struttura monostratificata e, dunque, predisposta soprattutto al
trattamento a tagli successivi col turno di 100-120 anni.
Nei boschi di proprietà privata, tuttavia, non è facile che il proprietario accetti
un metodo di conversione che impone un così lungo periodo di sospensione dei
redditi. Resterebbe proponibile, piuttosto, proseguire i tagli a ceduo salvo riservare
gruppi di matricine fino a sfociare gradualmente in un bosco di tipo disetaneo che
consenta di poter effettuare i prelievi secondo un ciclo più breve e in modo più
elastico di quanto non sia possibile con le faggete di struttura monoplana (CRISTO-
FOLINI, 1981).


Per i boschi delle fertilità inferiori, l’avviamento all’alto fusto ha meno senso;
non dà risultati economici perché ne derivano fustaie con legname di poco valore
mentre, dal punto di vista protettivo, sarebbe forse preferibile mantenere un po-
polamento con struttura di ceduo. Va però notato che i turni lunghi imposti
dall’economia di oggi non rendono tanto facile la prosecuzione del governo a
ceduo dei boschi di faggio.
Infatti, il proseguimento del governo a ceduo presenta i problemi connessi con
l’inapplicabilità dei vecchi principi. L’antico taglio dei polloni praticato raso terra,
o addirittura con incisione della ceppaia, a parte ogni considerazione economica, è
reso obsoleto dall’uso della motosega al posto dell’accetta. La di già scarsa capacità
di rigenerazione del faggio è ancora ridotta dalla circostanza che, dato il suo lento
accrescimento, i tagli di oggi sono convenienti soltanto con cicli piuttosto lunghi
(forse anche di 35-50 anni).
Il mantenimento del sistema "a sterzo" (che implicherebbe un ceduo con tre
strati di polloni) col ciclo superiore ai tradizionali 9-12 anni è difficile, se non
impossibile da applicare, perché nel più lungo intervallo fra due tagli susseguenti gli
strati dei polloni più vecchi tendono a convergere in un unico piano di copertura che
fa sparire, per ombreggiamento, tutto lo strato dei polloni più giovani. Il ritorno dei
tagli a ceduo su popolamenti invecchiati può comportare una forte perdita di ceppaie;
talvolta anche il rilascio dei "tirasucchi" (cioè di polloni giovani ed esili che si
mantengono per conservare in vita la ceppaia) è inutile perché muore tutto: tirasucchio
e ceppaia. Il taglio con riserva di almeno un pollone per ceppaia (magari non il più
grosso) può essere seguito dalla sopravvivenza dei polloni e delle ceppaie, ma senza
riscoppio di rinnovazione vegetativa.
Soprattutto nel versante adriatico dell’Appennino è frequente il fenomeno del
"gelicidio" (noto nel Pistoiese come "bruscello") che consiste in grosse formazioni
di ghiaccio che causano danni gravissimi ai cedui e anche ai cedui avviati all’alto
fusto che il proprietario finisce per voler tagliare indipendentemente dalla capacità
delle ceppaie di emettere nuovi polloni.
E’ possibile che l’unica soluzione per tutti questi problemi consista nell’intro-
durre la pratica di eseguire piantagioni di rinfoltimento nelle radure dei cedui o
comunque dei popolamenti che per una ragione qualsiasi siano stati tagliati in con-
dizioni di dubbio sulla capacità di sopravvivenza delle ceppaie. E’ raccomandabile
che queste piantagioni siano fatte per gruppi di piante disposte a distanze molto
ravvicinate.
Un aspetto fondamentale della pianificazione applicata alle faggete è la separa-
zione di una classe dei boschi di protezione. Questa categoria comprende i boschi
prossimi al limite della vegetazione arborea o vicini ai crinali e i boschi delle posizioni
più accidentate.
Spesso per i boschi di faggio di protezione non si prescrive alcun trattamento
e ciò è giustificato dalla distanza dalle strade, dagli scarsi redditi dei trattamenti


proponibili e dalle incertezze generali impliciti in interventi in condizioni delicate.
Sui terreni molto accidentati intervengono anche gravi questioni di sicurezza degli
operai.
L’opportunità di impartire una forma di trattamento ai boschi di faggio di pro-
tezione si propone in due casi. Il primo è quello di boschi di fertilità sufficiente e
molto ben serviti da strade; il secondo è quello in cui si voglia rafforzare l’efficacia
protettiva di un bosco magari troppo rado o troppo vecchio.
In questi due casi si può prendere in esame l’opportunità di applicare opportuni
moduli colturali come i tagli successivi a gruppi di 2-3.000 metri quadrati integrati
(al bisogno) da piantagioni di faggio a gruppetti densi.

foto


22.1. FAGGETA EUTROFICA A DENTARIE (1)

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fitosociologica e fisiono- bolo prima di tutto perché possono essere pre-
mica senti anche con 4-5 specie e, poi, perché espri-
L’aggettivo “ eutrofico” qualifica ovviamen- mono bene la fisionomia di un insieme di
te condizioni buone o ottime in relazione alla erbe (come per esempio quelle dei generi:
nutrizione, al tipo di humus e, automat- Geranium, Sanicula, Anemone, Mercurialis,
icamente, anche alla freschezza del suolo. Galium, Lunaria, Corydalis, ecc.) che hanno
Questo tipo, pertanto, comprende le faggete in comune la foglia larga e sottile, notevoli
della I, II e III classe di fertilità secondo BIAN- esigenze di fertilità e di umidità e tolleranza
CHI (1981) o comunque faggete dove le piante per l’ombra. Le erbe “ graminoidi” a foglia
più grosse e di apparenza "matura" superano stretta (graminacee, giuncacee e ciperacee)
l’altezza media di 27 metri. possono essere presenti, ma non sono mai
Nei boschi giovani e densi il sottobosco è qualificanti della fisionomia del sottobosco.
assente o scarso mentre il terreno è coperto I muschi si trovano solo sui tronchi delle pian-
da una spessa coltre di lettiera con sottostante te o sui massi affioranti, mai sul terreno a
humus dolce poco infeltrito. causa dello spessore della lettiera.
Le faggete adulte, dense e monostratificate, I boschi cedui delle fertilità migliori si ricono-
assumono il suggestivo aspetto di “ chiesa go- scono per la qualità dell’humus, per la profon-
tica” per i tronchi netti come colonne e per dità del terreno e per l’esposizione favorevole,
il modo con cui i rami si inseriscono alti sul non per il sottobosco che spesso manca a causa
fusto e ad angolo acuto. Man mano che con dell’intensità della copertura. Lo sviluppo dei
l’età la copertura si solleva, si affermano an- polloni è certamente migliore che per i cedui
che le erbe del sottobosco che compongono scadenti; tuttavia, finché dura il governo a ce-
un rado basso tappeto. Nel designare il tipo duo, il ricorrere dei tagli impedisce il formarsi
di sottobosco, le crocifere del genere Carda- un accumulo di humus nel terreno adeguato
mine (= Dentaria) vengono prese come sim- all’optimum del faggio.

(1) Faggeta a dentarie secondo HOFMANN Am., 1992.


Questo Tipo, vegetando su suoli con humus Geomorfologia
mull e flora di sottobosco composto da specie E’ situata di preferenza negli avvallamenti e
ancora medio-europee, può far capo alle as- alla base delle pendici.
sociazioni Galio odorati-Fagetum sylvati-
cae Mayer 1964 e Cardamino hep- Substrati
taphyllae-Fagetum sylvaticae Oberdorfer e Arenacei con intercalazioni di scisti argillosi.
Hofmann 1967.
Suoli
Sottotipi e varianti Bruni acidi, sciolti (sabbioso-limosi o fran-
Il tipo rappresenta il massimo di fertilità delle chi), per lo più profondi, anche colluviali,
stazioni e, pertanto, non è facilmente divisi- freschi, ben drenati, piuttosto ricchi di sche-
bile in sottotipi. Nella fase di età in cui la letro, con molta lettiera e humus mull acido
Faggeta eutrofica comincia ad ammettere il sot- ben distribuito nel profilo, rimaneggiato da
tobosco, si possono avere momenti puramente una forte attività di lombrichi.
accidentali di predominio di una sola specie. Ri-
mane importante una distinzione secondo l’al- Clima
titudine con i seguenti due sottotipi: Temperatura media annua fra 6° e 12°; tem-
superiore dove, nonostante la ricchezza del peratura del mese più freddo sino a -4°. Pre-
suolo, lo sviluppo in altezza dei fusti può cipitazioni annue medie superiori a 1.500 mm
subire riduzioni per effetto del clima e e sino a circa 2.500 mm annui; piogge estive
dove la flora del sottobosco si arricchisce sempre superiori a 200 mm e sino a 300 mm.
di specie più microterme a foglia ampia Precipitazioni nevose importanti.
come, per esempio, Adenostyles australis.
inferiore, cioè di faggeta delle quote mi- Interventi antropici più frequenti
nori, disposta in esposizioni poco soleg- Ceduazioni e, dopo, eventuale avviamento
giate e nelle quali può manifestarsi la me- all’alto fusto. Le fustaie di avviamento più
scolanza con il frassino maggiore. Questo antico (1880-1910) sono quelle delle Foreste
sottotipo confina con l’ACERI-FRASSI- dell’Abetone, del Teso e di Vallombrosa;
NETO (v.). solo dopo il 1920 sono state convertite quelle
di Camaldoli e Badia Prataglia.
Localizzazione
Appennino (soprattutto settore Est), Prato- Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
magno, zona del Falterona, Alpe di Catenaia, denze dinamiche
Alpe della Luna; M. Cetona. Le condizioni di ottimo fisiologico accentua-
no il potere di concorrenza del faggio che si
Esposizioni esplica: con la maggiore compattezza della
Per lo più settentrionali. La Faggeta eutrofica chioma, la capacità di espansione laterale dei
a dentarie si localizza nelle esposizioni meno rami e con la possibilità di potersi rinnovare
soleggiate e in luoghi di accumulo di suoli in massa quando se ne determinino le condi-
profondi. zioni di densità appropriate.
Pertanto, in queste stazioni ottimali, il faggio
Distribuzione altitudinale tende a crescere in boschi puri. La presenza
In tutta la fascia delle faggete salvo che in delle possibili specie consociate (che in am-
vicinanza dei limiti superiori. Sui rilievi di biente di Faggeta eutrofica sarebbero soprat-
minore giunge sino all’altitudine di 1.300 metri. tutto: abete bianco, acero di monte e frassino


maggiore) è affidata a quelle cause acciden- gressivamente la copertura utile e per dar luo-
tali che si producono nel ciclo naturale di go, alla fine, ad una struttura estremamente
rinnovazione delle faggete. Il trattamento sel- suggestiva a piante rade e molto grosse. In
vicolturale, invece, tende a sistematicizzare presenza di faggete con questa struttura la
e a velocizzare i processi di rinnovazione e, rinnovazione del bosco sarà resa difficile dal
quindi, a favorire ulteriormente il faggio. fatto che il crollo di piante gigantesche aprirà
In queste faggete più fertili, i dinamismi evo- vuoti molto grandi che possono restare co-
lutivi sono piuttosto rapidi. Nelle faggete del- perti a lungo da alte erbe nitrofile o da mac-
la Toscana l’evoluzione “ naturale” è piutto- chioni di vitalba.
sto un’evoluzione di “ post-coltura” in quanto Questi fenomeni di stagnazione dell’evolu-
si innesta sempre su faggete la cui struttura zione possono però essere prevenuti col trat-
è stata condizionata dall’uso umano prece- tamento.
dente. Quando il trattamento viene interrotto Per esempio, nell’avviamento all’alto fusto
l’evoluzione va ad esclusivo vantaggio delle di un ceduo di faggio provvisto di matricine,
piante più adulte mentre il novellame e le è opportuno un diradamento che elimini an-
piante giovani sono destinate a morire. Tal- che le matricine e che lasci un insieme di
volta bastano 50 matricine per ettaro, libere polloni coetanei che possano combattere ad
da concorrenza laterale, per completare pro- armi pari.

Specie indicatrici

Fagus sylvatica Polystichum aculeatum


CARDAMINE PENTAPHYLLOS (freq.) Milium effusum
C. ENNEAPHYLLOS (freq.) Asarum europaeum
C. HEPTAPHYLLA (freq.) Viola reichenbachiana
C. KITAIBELII (loc.) Luzula pilosa
C. bulbifera Carex sylvatica
ACTAEA SPICATA Oxalis acetosella
Galium odoratum (freq.) Anemone nemorosa
Senecio fuchsii (freq.) Geranium nodosum
Dryopteris filix-mas (freq.) Arum maculatum
Euphorbia dulcis (freq.) Prenanthes purpurea
Epilobium montanum (freq.) Saxifraga rotundifolia
Sanicula europaea Scilla bifolia (loc.)
Mercurialis perennis Daphne mezereum (loc.)
Melica uniflora Paris quadrifolia (loc.)
Polygonatum multiflorum Corydalis cava (loc.)
Anthriscus sylvestris

Selvicoltura bassi e costituisce una indispensabile base per


Questa faggeta costituisce il Tipo più appro- il reclutamento dei fenotipi migliori.
priato alla produzione di legname di pregio. Lo schema di trattamento e di assestamento
La velocità di accrescimento giovanile dovu- più consigliabile è il sistema a tagli successivi
ta alla fertilità è la migliore garanzia di avere uniformi, da applicarsi su una scelta di poche
fusti rettilinei. La rinnovazione in massa, poi, particelle di 2-4 ettari ciascuna, con struttura
contribuisce a far ottenere fusti netti da rami coetanea o quasi, ben servite da strade, non


necessariamente accorpate. Basta arrivare ad polazione che ha subito una scelta secondo
una compresa di 50-150 ha: su di una super- un criterio così unilaterale.
ficie superiore, infatti, la gestione potrebbe Per il taglio dei cedui invecchiati delle ferti-
non riuscire a condurre con sufficiente pun- lità migliori occorre fare le seguenti osserva-
tualità i tagli colturali necessari alla produ- zioni. La fertilità e la freschezza della stazio-
zione di pregio. Questi sono: tagli di regola- ne, verosimilmente, attenuano il rischio di
rizzazione della struttura (se necessari), tagli disseccamento di ceppaie dopo il taglio, ma
di sementazione, tagli secondari, tagli di solo di poco.
sgombro (da effettuarsi presto perchè il no- L’invecchiamento del ceduo, infatti, corri-
vellame di faggio è meno sciafilo di quello sponde ad una forte mortalità delle ceppaie
che si credeva), ripuliture e diradamenti. per motivi di concorrenza. Spesso, e princi-
Nei cedui di questo Tipo che si vogliono con- palmente per i cedui a sterzo, si prescrive di
vertire in fustaie, i diradamenti di avviamento lasciare almeno un pollone per ceppaia; allo-
all’alto fusto sono sempre opportuni perchè ra, proprio nei cedui di fertilità migliore, può
servono a predisporre nel modo migliore la succedere che i polloni riservati riprendano
fustaia transitoria ai tagli di rinnovazione che vigore fino a determinare una forma preter-
si faranno a maturità. Per ottenere questo, è intenzionale di avviamento all’alto fusto ot-
bene asportare tutte le matricine e incidere tenuta con un taglio più remunerativo del
sui polloni secondo il criterio del diradamen- classico “ diradamento” di avviamento.
to selettivo in modo da portare a maturità un Si potrebbe autorizzare un taglio del ceduo
numero adeguato di polloni di forma miglio- più intenso, ma vincolato all’obbligo di ese-
re. L’asportazione delle matricine si impone guire una piantagione cautelativa con un certo
perchè quando il bosco era trattato a ceduo numero di piantine di latifoglie, orientativa-
esse sono state sempre reclutate fra i polloni mente 500 per ettaro. In questo caso i cedui
più costosi ad abbattere, cioè quelli più ra- migliori darebbero maggiori garanzie di buon
mosi o a fusto più contorto; questi sono ca- attecchimento; fra le specie che si prestano
ratteri sicuramente ereditabili pertanto non si bene all’impianto occorre ricordare soprat-
dovrebbe portare alla riproduzione una po- tutto oltre al faggio anche il frassino maggiore
e l’acero di monte.


22.2. FAGGETA APPENNINICA MESOTROFICA
A GERANIUM NODOSUM E LUZULA NIVEA

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Sotto il profilo fitosociologico il Tipo fa pas-


logica saggio fra le all. Fagion sylvaticae (Luquet
L’aggettivo “ mesotrofico” indica condizioni 1926) Tx. e Diemont 1936 e Luzulo-Fagion
di fertilità del suolo da medie a buone. In termini Lohmeyer e Tx. 1954.
di sviluppo in altezza, il Tipo comprende fag-
gete di fertilità relativamente variabile, ma Sottotipi e varianti
pur sempre superiori alla I classe. A questo Tipo si possono attribuire due sot-
Nei boschi di alto fusto d’età matura l’altezza totipi, secondo l’altitudine, simmetrici a quel-
media delle piante più grosse è superiore a li delle Faggete eutrofiche:
25 metri; si manifesta, inoltre (anche se non superiore
allo stesso grado che nelle faggete eutrofi- inferiore (con eventuale mescolanza col
che), la fisionomia a piante slanciate e con castagno e/o col cerro)
fusto netto. Per le faggete del settore nord-occidentale
Nei boschi giovani il sottobosco è assente. dell’Appennino si segnala una forma con
Nei popolamenti adulti e maturi il sottobosco mirtillo nero (Vaccinium myrtillus) che può
è composto ancora da erbe basse a foglia lar- rappresentare, accanto alle specie indicatrici
ga, ma differisce da quello della FAGGETA del Tipo, una fase di precedente degradazione.
EUTROFICA per la rarità o assenza dei ge-
neri comprendenti le erbe più esigenti (come Localizzazione
per esempio Corydalis e Mercurialis), per la Appennino, Pratomagno (per es. Vallombro-
dominanza di Geranium nodosum e per la sa), Alpe di Catenaia, ecc.
frequente sensibile presenza di erbe grami-
noidi fra cui, soprattutto, Luzula nivea. Da Esposizioni
qui, dunque, le specie prese come simbolo Varie.
del Tipo che confermano l’impressione di una
transizione verso la FAGGETA OLIGO- Distribuzione altitudinale
TROFICA. Più frequente ai limiti inferiori delle faggete.


Geomorfologia Clima
Luoghi di minore accumulo di terreno: pen- Come il Tipo precedente anche se le tempe-
dici anche ripide, dossi arrotondati. rature sono po’ più elevate.

Substrati Interventi antropici più frequenti


Arenacei, con intercalazioni di scisti argillosi. Il Tipo si manifesta nel modo più chiaro in
fustaie derivanti dall’avviamento all’alto fu-
Suoli sto di boschi cedui. Nei cedui ancora in eser-
Questo Tipo si localizza su pendici media- cizio si rileva una maggiore abbondanza di
mente soleggiate, su substrati molto sciolti specie di luzule.
e in tutte le condizioni che impediscono la
formazione di un suolo profondo oppure Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
che facilitano una certa acidificazione del denze dinamiche
suolo. La capacità di concorrenza del faggio è an-
La copertura di lettiera è minore rispetto a cora sufficiente a determinare popolamenti
quello della Faggeta eutrofica; come avviene puri ed evoluzioni simili a quelle della Fag-
nei terreni acidi, l’humus è un mull-moder geta eutrofica. La rinnovazione in massa però
un po’ infeltrito; sono scarsi i lombrichi e è più difficile a verificarsi, a meno di annate
pertanto l’humus non penetra molto nel pro- molto favorevoli per quantità di seme e per
filo. Il primo orizzonte del terreno è sovente decorso di piogge e temperature.
compatto, poco penetrabile per la radichetta Nel caso che si aprano vuoti di grandi dimen-
dei semenzali germinanti e proclive al dis- sioni (per un taglio eccessivo o per la caduta
seccamento estivo. Il suolo può essere ancora di piante stravecchie) la vegetazione nitrofila
profondo anche se spesso pietroso ma, dopo invadente è meno rigogliosa e si rende pos-
10-30 cm, appare un ampio orizzonte di co- sibile l’insediamento della rinnovazione sia
lore ocraceo o rossastro denotante fenomeni pure a densità più rada e in modo più pro-
di illuviazione (suolo bruno lisciviato). gressivo.

Specie indicatrici

Fagus sylvatica Hieracium gr. sylvaticum


Geranium nodosum (freq.) Viola reichenbachiana
Luzula nivea (freq.) Mycelis muralis
Anemone nemorosa (freq.) Pteridium aquilinum (loc.)
AREMONIA AGRIMONIOIDES Vaccinium myrtillus (loc.)
Euphorbia dulcis (freq.) Melica uniflora (loc.)
Veronica urticifolia (freq.) Ranunculus lanuginosus (loc.)
Dryopteris filix-mas Brachypodium sylvaticum (loc.)
Cruciata glabra Epipactis helleborine (loc.)
Veronica officinalis Campanula trachelium (loc.)
Festuca heterophylla Hepatica nobilis (loc.)
Poa nemoralis Saxifraga rotundifolia (loc.)
Prenanthes purpurea Cardamine bulbifera (loc.)
Solidago virga-aurea Valeriana tripteris (loc.)
Trochiscanthes nodiflora (loc.)


Selvicoltura naturale oppure come coniferamento dei ce-
La valutazione dei popolamenti del Tipo dui collocando la conifera in corrispondenza
FAGGETA MESOTROFICA dovrebbe es- dei vuoti.
sere integrata sempre con misure di altezza e Nella conversione dei cedui, il taglio di av-
conseguente stima della classe di fertilità. viamento all’alto fusto è ancora opportuno:
Fra le faggete mesotrofiche migliori si pos- meglio se è eseguito col rilascio di molti pol-
sono reclutare ancora delle particelle per loni e con i criteri del diradamento dal basso
completare una compresa di faggete da de- ma rimuovendo sempre le matricine.
stinarsi alla produzione di legno di pregio. Il ripristino del governo a ceduo in popola-
Qui sarà sempre opportuno praticare il taglio menti in queste condizioni di fertilità inter-
di sementazione in una annata di pasciona e media (o, comunque, molto variabile) lascia
procedere eventualmente ad una lavorazione sempre delle perplessità; anche imponendo
superficiale del terreno prima della caduta del la riserva di un pollone (non fra i più grossi)
seme. per ceppaia c’è il rischio che qualche ceppaia
Se si vogliono destinare alla produzione le- venga a seccare rendendo consigliabile la
gnosa estesi complessi dove prevalgono fag- piantagione integrativa di faggio o di faggio
gete di questo Tipo conviene applicare, inve- e abete.
ce del sistema a tagli successivi uniformi, un Potrebbe essere studiato un criterio di con-
sistema più articolato e adattabile alle situa- versione progressiva a fustaia mista di faggio
zioni del terreno come è quello a tagli suc- e abete secondo il metodo indicato da CRI-
cessivi a gruppi. STOFOLINI (1981): prosecuzione delle ce-
Se si vuole aumentare la biodiversità, queste duazioni con progressive piantagioni a
faggete si prestano bene alla piantagione gruppi di abete e parallelo rilascio di ma-
dell’abete bianco da eseguirsi, dopo il taglio tricine fino ad ottenere un popolamento a
di sgombro, nelle lacune della rinnovazione struttura disetanea.


22.3. FAGGETA OLIGOTROFICA A LUZULA
PEDEMONTANA, LUZULA NIVEA E
FESTUCA HETEROPHYLLA

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- in relazione all’età che con l’analisi del sot-
logica tobosco. In linea generale si possono distin-
L’aggettivo “ oligotrofico” , come noto, qua- guere i sottotipi:
lifica un ambiente che offre poco nutrimento a Oxalis acetosella, più promettente in fat-
agli organismi che ospita. to di produttività anche se incerto circa la
Il popolamento forestale è di statura media o facilità di ottenere rinnovazione in massa
mediocre anche con alberi contorti. La classe a Vaccinium myrtillus, proprio delle fag-
di fertilità è bassa, compresa fra la V e la VII gete del nord-ovest (fino al Passo di Mon-
secondo BIANCHI. Le piante più grosse dei tepiano) dove l’abbondanza dell’ericacea
popolamenti maturi hanno una altezza media indica condizioni di suolo molto acido.
inferiore a 25 metri. a brugo e a ginestra dei carbonai, più fre-
Le specie prese come simbolo di questo Tipo quente in cedui radi e degradati con suoli
evidenziano che il sottobosco ha la fisiono- erosi a profilo tronco
mia di un erbaio di graminacee (simboleg- a graminacee prevalenti (con lacune occu-
giate dal genere Festuca), movimentato dal pate da biancospino, prugnòlo o altri ar-
luccicare delle bianche spighette delle luzule. busti; forma frequente, soprattutto fra i ce-
Se, come spesso avviene, la lettiera è scarsa, dui, che rivela anche condizioni di una cer-
ci possono essere chiazze di terreno coperte ta aridità)
da muschi. La ridotta capacità di concorrenza del faggio
Sotto il profilo fitosociologico il Tipo si può in- dà luogo a mescolanze con altre specie fore-
quadrare nel Luzulo pedemontanae-Fagetum stali da cui derivano diverse varianti o com-
sylvaticae Oberdorfer e Hofmann 1967. binazioni di varianti:
a carpino nero (propria delle quote infe-
Sottotipi e varianti riori)
I sottotipi più importanti sono quelli che di- a cerro (come sopra ma di aree meno fre-
pendono dallo sviluppo del faggio e che pos- sche)
sono essere accertati più con misure di altezza ad abete


ad acero di monte e sorbo degli uccellatori suolo sciolto, fresco e drenato, è tuttavia piut-
(più frequente alle quote superiori a con- tosto superficiale, povero di humus che é di
tatto con l’ACERI-FAGGETO appennini- tipo moder alterato da funghi, molto acido,
co di quota (v.) con illuviazione delle basi in profondità. Ri-
sultano suoli di tipo bruno lisciviato o anche
Localizzazione bruno podsolico.
Appennino e rilievi paralleli: Pratomagno,
ecc., esclusa la sua porzione più orientale e Clima
il versante padano; rara sulle Apuane (HO- Temperatura media compresa fra 6° e 12°;
FMANN, 1970). temperatura media del mese più freddo sino
a -4°. precipitazioni annue superiori a 1500
Esposizioni mm (sino a 3.000 sulle Apuane) e quelle esti-
Per lo più meridionali. ve oltre 200 mm. L’esposizione al vento può
indurre scostamenti di carattere microclima-
Distribuzione altitudinale tico.
Porzione superiore della fascia montana;
spesso a contatto con il CALLUNETO DI Interventi antropici più frequenti
QUOTA. Come gli altri tipi di faggete. Le ceduazioni
hanno avuto comunque un effetto più degra-
Geomorfologia dante. Le radure coperte di graminacee e di
Questo tipo si manifesta sui dossi più marcati ginestra dei carbonai possono avere favorito
e sui crinali dove l’erosione è maggiormente incendi.
attiva e dove si manifesta di più l’azione del
vento che spazza la lettiera. Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
denze dinamiche
Substrati Il faggio si rinnova lentamente e in modo
Arenacei con intercalazioni di scisti argillosi. molto graduale e discontinuo, mai in massa.
E’ probabile che l‘attuale condizione di bo-
Suoli sco puro di faggio possa derivare anche
Spesso il terreno risente delle conseguenze dall’azione antropica e che l’evoluzione fu-
di un precedente periodo di degradazione: lo tura possa portare ad un miglioramento del-
strato di lettiera è modesto e discontinuo. Il la situazione.

Specie indicatrici
Fagus sylvatica Veronica officinalis
Quercus cerris (loc.) Cruciata glabra
Ilex aquifolium (loc.) Phyteuma scorzonerifolium
LUZULA PEDEMONTANA (freq.) Orchis maculata (loc.)
AVENELLA FLEXUOSA (freq.) Veronica urticifolia (loc.)
FESTUCA HETEROPHYLLA (freq.) Luzula sylvatica (loc.)
Luzula nivea (freq.) Thelypteris limbosperma (loc.)
Vaccinium myrtillus (freq.) Viola reichenbachiana (loc.)
Prenanthes purpurea Pteridium aquilinum (loc.)
Hieracium gr. sylvaticum Polypodium vulgare (loc.)
Poa nemoralis Dryopteris affinis (loc.)
Anemone nemorosa Teucrium scorodonia (loc.)
Mycelis muralis Dianthus seguieri (loc.)


Selvicoltura anche arbusti che possono dare nutrimento
L’altezza delle piante a 100 anni è inferiore alla fauna selvatica.
a 25 metri, anzi talvolta non arriva a 15 metri. Il loro ruolo protettivo è indiscutibile. E’ sem-
I fusti sono spesso contorti pertanto, anche pre bene lasciarle sviluppare all’alto fusto
nel caso di boschi di alto fusto, non si ha senza praticare diradamenti che, attenuando
produzione di legname da lavoro in quantità la copertura, faciliterebbero ulteriormente la
commerciabili. La rinnovazione del faggio dispersione della lettiera. Per aumentare l’ef-
avviene in modo lento e progressivo per sin- ficacia contro l’erosione possono essere op-
gole piantine disperse e mai in massa. portuni rinfoltimenti di piantine di faggio po-
Le faggete di queste classi inferiori di fertilità ste a dimora a file molto dense lungo le curve
devono comunque essere apprezzate per il di livello. Evidentemente il governo a ceduo
contributo che forniscono alla biodiversità dovrebbe essere evitato. Dovendo ceduare
perchè costituiscono il tipo di faggeta che sono ammissibili solo tagli seguiti da pianta-
tende di più al bosco misto e che comprende gioni di rinfoltimento.


22.4. ACERI-FAGGETO APPENNINICO
DI QUOTA

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- copertura del soprassuolo rendono possibile


logica l’esistenza di un sottobosco denso costituito
Gli Aceri-faggeti sono dei boschi (definiti da da erbe alte (50-120 cm) con foglia larga e
ARRIGONI, 1996, ined., Faggete alticole), sottile notoriamente mesofile e mesoigrofile
anche moderatamente misti con altre latifo- nonché tolleranti delle basse temperature;
glie o anche ad abete, che appaiono verso la così per esempio: Senecio fuchsii, Petasites
sommità dei settori appenninici a clima di albus, Adenostyles alliariae, Aruncus dioi-
tipo subatlantico non oltre i 1600 m, ma dove cus, Lunaria rediviva, ecc. Frequenti anche
la morfologia del terreno è addolcita. le felci.
Il Tipo appartiene all’all. Aceri pseudoplata-
ni-Fagion Ellenberg 1963 che comprende an- Sottotipi e varianti
che l’ass. Aceri platanoidis-Fagetum (Ubaldi Dove l’accumulo della neve sul crinale è im-
e Speranza 1985) Ubaldi 1995. pedito dal vento l’impronta mesoigrofila del-
Sono boschi, spesso anche densi, con faggio la flora del sottobosco si attenua e si possono
prevalente, ma con facile mescolanza con avere delle forme di transizione con la FAG-
acero di monte, sorbo degli uccellatori e mag- GETA MESOTROFICA a Luzula pedemon-
giociondolo alpino. L’abete bianco può esse- tana, L. nivea e Festuca heterophylla, o alla
re presente ma appare stentato. FAGGETA EUTROFICA A DENTARIE.
Il popolamento è di statura tanto più bassa Nel passaggio fra questi Tipi si possono tro-
quanto più ci si avvicina al crinale; è facile vare sfumature con cui si diversificano gra-
osservare chiome "a bandiera" per l’azione dualmente il rigoglio e la composizione del
del vento e tracce di stroncature di rami o di sottobosco.
fusti per l’effetto di depositi di ghiaccio (ga- Su montagne minori (come sul Pratomagno)
laverna). gli aspetti dell’Aceri-faggeto sono meno ac-
Il terreno, profondo grazie alla morfologia centuati e, volendo, si può definirne un sot-
non accidentata, il buon rifornimento di ac- totipo:
qua da scioglimento della neve e la scarsa Faggeta contorta di sommità


Localizzazione estensioni ridotte di questo tipo di faggeta
Le espressioni più classiche di questo Tipo sono da imputarsi a cause climatiche.
si trovano lungo crinale della Giogana (nel
Parco Nazionale del Casentino), nella Foresta Clima
di Acquerino e in qualche altro tratto Appen- Sul popolamento forestale si fanno sentire,
ninico. Invece, sulle Apuane (dove, secondo oltre alle influenze macroclimatiche quelle
ARRIGONI, cit., esiste anche l’ultima asso- locali dovute all’altitudine ed alla vicinanza
ciazione citata) e sull’Appennino del nord- del crinale: minore somma di temperature
ovest della Toscana, a causa delle più notevoli estive, ciclo vegetativo abbreviato, effetto del
accidentalità del terreno e della maggiore de- vento, danni da galaverna o gelicidio, ecc.
gradazione antropica, le faggete di altitudine Copertura nevosa abbondante e prolungata
sono da riferirsi soprattutto al Tipo FAGGE-
TA CESPUGLIOSA DI VETTA. Interventi antropici più frequenti
Il regime a ceduo con molte matricine può
Esposizioni avere favorito la formazione di cedui spesso
Tutte. E’ probabile però che la distribuzione ancora piuttosto densi.
in altitudine sia maggiore nelle esposizioni a
nord e nei tratti di territorio sul versante adria- Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
tico, dove la neve permane più a lungo. denze dinamiche
Cenosi nella quale la densità e lo sviluppo in
Distribuzione altitudinale altezza degli alberi sono progressivamente
Quota non inferiore a 1.300 metri; più che da più modesti al crescere dell’altitudine. La ca-
una quota assoluta, il posizionamento del tipo pacità di concorrenza del faggio viene ridotta
dipende comunque dalla distanza dal crinale anche dai frequenti schianti che subisce sotto
che, in generale, è di 100-150 metri. il peso della galaverna. Ne derivano, quindi,
popolamenti moderatamente misti grazie al
Geomorfologia modo con cui l’acero di monte, il tiglio a
Margini di crinale arrotondato in cui sia pos- grandi foglie, l’olmo montano, il frassino
sibile l’accumulo della neve. maggiore, il sorbo degli uccellatori e il sali-
cone riescono ad inserirsi localmente nelle
Substrati radure. Nell’area dell’Aceri-faggeto si trova
Silicatici. anche qualche plaga di abete o di bosco misto
di faggio e abete.
Suoli L’abete però sembra soffrire di questo am-
Il terreno è molto ricco di humus facilmente biente con estate troppo fresca e con ecces-
alterabile (mull), fresco e profondo, acido; le siva influenza del vento e delle nebbie.


Specie indicatrici

Fagus sylvatica Dentaria sp. pl.


Acer pseudoplatanus Paris quadrifolia
A. platanoides (loc.) Aegopodium podagraria
Sorbus aucuparia Sanicula europaea
Laburnum alpinum Adenostyles australis
Fraxinus excelsior (loc.) Milium effusum
Ulmus glabra (loc.) Myosotis sylvatica
Tilia platyphyllos (loc.) Cirsium erisithales
Abies alba (loc.) Petasites albus
LUNARIA REDIVIVA Vicia sepium
IMPATIENS NOLI-TANGERE Galium odoratum
ACONITUM VULPARIA Corydalis cava
SENECIO FUCHSII Pyrola minor
Lamiastrum galeobdolon Oxalis acetosella
Phegopteris polypodioides Veronica urticifolia
Polystichum lonchitis Prenanthes purpurea
P. aculeatum Saxifraga rotundifolia
Dryopteris dilatata Mycelis muralis
D. filix-mas Solidago virga-aurea
Vaccinium myrtillus Adoxa moschatellina (loc.)
Luzula nivea Asperula taurina (loc.)
Geranium robertianum Asarum europaeum (loc.)
Euphorbia amygdaloides Circaea lutetiana (loc.)
Stellaria nemorum Mercurialis perennis
Athyrium filix-femina Gymnocarpium dryopteris

Selvicoltura maggiociondolo alpino, sorbo degli uccella-


L’Aceri-faggeto ha un ruolo esclusivamente tori, faggio e acero di monte. Meglio agire in
protettivo. Ove si ritiene necessario i suoi bo- modo progressivo a partire dagli avvallamen-
schi possono essere ricostituiti con il rimbo- ti e dalle stazioni dove il rimboschimento ha
schimento misto da eseguirsi con salicone, più possibilità di successo immediato.


22.5. FAGGETA CESPUGLIOSA DI VETTA

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- faggete di cui al punto B. Esse possono


logica essere suddivise in due sottotipi:
Questo Tipo è stato definito su basi preva- di degradazione acida (con mirtillo, brugo,
lentemente fisionomiche e riunisce tutti i po- Avenella flexuosa, ginestra dei carbonai,
polamenti degradati soprattutto delle quote ecc. e con felce aquilina nelle depressioni)
maggiori dove la morfologia è più aspra e di esposizione meridionale (con prevalen-
l’azione antropica si è fatta sentire maggior- za di graminacee dove Brachypodium ru-
mente, in un ambiente climatico limite per il pestre può essere indice di incendi pre-
faggio, soprattutto per l’azione del vento. gressi)
Si tratta di popolamenti evidentemente trat- B Faggeta cespugliosa della formazione
tati a ceduo almeno fino a pochi anni fa, che marnoso-arenacea che si trova nel settore
ora appaiono a densità irregolare con frequenti orientale, principalmente nella Provincia
lacune, di statura bassa e con polloni contorti. di Firenze; essa si distribuisce a varie al-
Nel sottobosco prevalgono le graminacee, so- titudini nel contesto molto accidentato e
prattutto Brachypodium rupestre. calanchivo condizionato dalle rocce di
Non è possibile un preciso inquadramento questa formazione geologica. Si tratta di
fitosociologico data anche l’eterogeneità flo- cespuglieti in cui al faggio si associano
ristica del Tipo. il sorbo montano o anche il carpino nero.
Nel sottobosco prevalgono le gramina-
Sottotipi e varianti cee. Se ne può distinguere anche qui un
Per prima cosa bisogna fare una distinzione sottotipo:
geografica e geopedologica in: con Brachypodium rupestre
A Faggeta cespugliosa su arenarie che si C Faggete cespugliose delle Apuane, molto
trovano per lo più nell’Appennino di frammentarie.
nord-ovest (dalla Cisa all’Orsigna) vici-
no al limite dei pascoli, quindi di am- Localizzazione
biente più freddo e umido rispetto alle Principalmente in due settori dell’Appennino


come precisato per i Sottotipi A. e B. Il sot- Interventi antropici più frequenti
totipo A. (cioè quello su arenarie) può pre- Attualmente nessuno. Prima: incendi e pa-
sentarsi anche in alcuni tratti del Pratomagno scolo caprino; sulle Apuane danni da disca-
(Foresta di S. Antonio). Alpi Apuane. riche di cava.

Esposizioni Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-


Tutte. Più che dai punti cardinali, la posizione denze dinamiche
può dipendere dalla disposizione degli strati Date le severe difficili condizioni ecologiche
della roccia, nel senso che le stazioni dirupate locali è difficile che le comunità di questo
si fanno più frequenti dove gli strati affiorano Tipo possano evolvere verso il bosco.
a reggipoggio.
Specie indicatrici
Distribuzione altitudinale Trattandosi di unità fisionomica non si elen-
A nord-ovest: da 1500 a 1.700 m; nel resto cano specie indicatrici .
dell’Appennino al confine con la Romagna
il Tipo si presenta dai 900 m in su; sulle Selvicoltura
Apuane al limite della vegetazione arborea. Dal confronto fra i dati dell’Inventario Fore-
stale Regionale con quelli dell’Inventario Na-
Geomorfologia zionale si potrebbe inferire che questi cespu-
Molto accidentata o dirupata. glieti a dominanza di faggio coprano una su-
perficie dell’ordine di 20.000 ettari. Più rile-
Substrati vante è, sicuramente, la superficie di alta quo-
Arenarie, marne arenacee sull’Appennino; ta ancora diboscata.
marmi e anche rocce silicatiche sulle Alpi La faggeta cespugliosa di vetta non può avere
Apuane. altra destinazione che quella protettiva. In vi-
cinanza di strade e di piste da sci possono
Suoli essere opportune opere di miglioramento
Poco evoluti con affioramenti rocciosi o de- dell’azione protettiva dei boschi sempre tra-
tritici. mite la piantagione del faggio.
Dove l’umidità e la fertilità del terreno lo
Clima consentono si può usare in consociazione
Temperature medie annue fra 6° e 12°; nel l’acero di monte che ha il vantaggio dell’ac-
mese più freddo sino a -4°. Sono probabili crescimento più rapido.
scostamenti microclimatici, per azione del Il sorbo degli uccellatori ha un ruolo utile
vento. Piogge annue attorno a 1.500 mm (sino anche nell’alimentazione degli uccelli. Il sa-
a 3.000 mm sulle Apuane) salvo a bassa quota licone può essere impiegato in terreni umidi
dove sono inferiori, estive in genere superiori e franosi.
ai 200 millimetri.


22.6. FAGGETA APUANA A SESLERIA
ARGENTEA

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Esposizioni


logica Prevalentemente a Nord.
Questo Tipo, con composizione del sottobo-
sco condizionata dalla presenza di rocce car- Distribuzione altitudinale
bonatiche, riunisce faggete delle Apuane qua- Varia: il Tipo è tuttavia più frequente alle
li si trovano su pendici esposte a nord, ma quote inferiori dove i versanti e i pendii di-
molto ripide, o su macereti coperti, con areale ventano meno accidentati.
frammentato dall’apertura di cave di marmo e
per effetto delle discariche. Comprende soprat- Geomorfologia
tutto cedui, anche avviati a fustaia in epoca più Stazioni a terreno meno inclinato e su ripiani.
o meno recente, con classi di fertilità intermedie Le pendici possono tuttavia essere molto ri-
fra quelle previste da BIANCHI (1981). pide.
Il Tipo fa passaggio all’OSTRIETO PIONIE-
RO DEI CALCARI DURI DELLE APUA- Substrati
NE con carpino nero. In effetti Sesleria ar- Soprattutto rocce carbonatiche metamorfiche
gentea (= Sesleria autumnalis) non si trova (marmi); anche rocce silicatiche (per lo più
solo su substrati calcarei ma qui trova il suo scisti filladici).
optimum. Sotto il profilo fitosociologico è
probabile un accostamento del Tipo all’all. Suoli
Cephalanthero-Fagion (Lohm. e Tx. 1954) Rendzinoidi o bruni calcarei anche colluviali,
Ellenberg 1963. basici, ricchi di calcare attivo e di scheletro,
poco profondi, ben drenati su marmi. Sulle
Sottotipi e varianti rocce silicatiche ranker sugli espluvi e podsol
Non esistono sottotipi o varianti particolari. bruni in posizione d’impluvio.

Localizzazione Clima
Alpi Apuane. Temperatura media fra 7° e 10°; temperatura


del mese più freddo fino a -2°. Precipitazioni Interventi antropici più frequenti
annue elevate da 2.000 a 3.000 mm annui, Allo stato attuale si tratta solo di cedui o di
anche nevose. cedui avviati all’alto fusto con età di 50-60
Piogge estive sempre superiori a 200 mm. anni.
Possibili forti scostamenti microclimatici,
per esempio nel senso dell’esposizione al Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
vento. denze dinamiche
L’alta piovosità del settore apuano consente Possibilità di evoluzione anche verso discrete
al faggio di scendere a quote basse. fustaie a prevalenza di faggio.

Specie indicatrici

Fagus sylvatica Pimpinella saxifraga


Sorbus aria (loc.) Fragaria vesca
Ostrya carpinifolia (loc.) Brachypodium rupestre
Coronilla emerus Trochiscanthes nodiflora
Viburnum lantana Valeriana tripteris
Laburnum anagyroides Veronica urticifolia
Daphne laureola Prenanthes purpurea
SESLERIA ARGENTEA (freq.) Euphorbia amygdaloides
CEPHALANTHERA RUBRA E. dulcis
C. DAMASONIUM Rubus gr. hirti
Clinopodium vulgare Asarum europaeum
Cardamine bulbifera Anemone nemorosa
Luzula nivea Carex digitata
Carex montana Viola riviniana
Hepatica nobilis Poa nemoralis
Solidago virga-aurea Dryopteris filix-mas
Epipactis helleborine Primula vulgaris
E. atropurpurea Festuca heterophylla
Campanula trachelium Mercurialis perennis
Mycelis muralis Lathyrus vernus
Epilobium montanum Helleborus foetidus
Pulmonaria officinalis

Selvicoltura FMANN, 1970) da queste faggete si ricavava-


Data la forte pendenza molti di questi popo- no pali e travi (“ lizze” ) che servivano a far
lamenti, ancorchè non di altitudine, dovreb- scivolare i blocchi di marmo dalla cava alle
bero avere un significato protettivo. Dovendo strade carrarecce, appunto con l’operazione
permettere tagli a ceduo è opportuno prescri- della “ lizzatura” ; a questo scopo si facevano
vere un rilascio piuttosto intenso di polloni e sterzature frequenti da cui il degrado del bo-
la piantagione integrativa di faggio. sco ancora oggi visibile. In provincia di Luc-
Un tempo in provincia di Massa-Carrara (HO- ca prevaleva invece il ceduo coetaneo.


22.7. FAGGETA AMIATINA INFERIORE

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fitosociologica Distribuzione altitudinale


Tipo affine alla FAGGETA EUTROFICA Da 800 m a 1.500 metri.
dell’Appennino, quindi di tipo mesofilo che
si riferisce alle buone condizioni di umidità Geomorfologia
cui non raramente corrispondono anche buo- Varia, localmente accidentata in corrispon-
ne condizioni di nutrizione della pianta. Que- denza delle colate laviche.
sta caratterizzazione è idonea per le faggete
delle quote inferiori del Monte Amiata. I po- Substrati
polamenti, stando alle altezze dominanti, ri- Lave e tufi trachitici (rocce vulcaniche acide).
sultano piuttosto variabili, ma non raramente
includono anche le classi di produttività più Suoli
elevata. Suoli bruni, suoli bruni leggermente liscivia-
Appartiene all’ass. Galio odorati-Fagetum ti, acidi ma ricchi di basi e di sostanza orga-
sylvaticae Meyer 1964 e anche all’ass. Car- nica.
damino heptaphyllae-Fagetum sylvaticae
Oberdorfer e Hofmann 1967. Clima
Temperatura annua media 7°-10°; tempera-
Sottotipi e varianti tura media del mese più freddo da 0° a -2°.
Sfumature in senso più acidofilo rilevate dalla Piovosità annua di 1.300-1.500 mm, estiva
maggiore presenza di Luzula nivea. di 150-200 mm. Possibilità di crisi del faggio
in annate siccitose.
Localizzazione
Cono vulcanico del M. Amiata. Interventi antropici più frequenti
Il prevalere della proprietà pubblica o collet-
Esposizioni tiva ha favorito criteri di utilizzazione con-
Prevalentemente a Nord, soprattutto per le servativi. Prevalgono strutture di fustaia sia
faggete delle quote inferiori. pure con varie forme di struttura. A causa dei


passati criteri di taglio, molte delle fustaie Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
delle quote inferiori dell’Amiata si trovano denze dinamiche
in condizioni di struttura disetanea a gruppi Questo tipo può dar luogo a ottime fustaie,
o a due strati con piante del vecchio ciclo e sempre tendenzialmente pure. La rinnovazio-
novellame in vari stadi di sviluppo. I cedui ne in massa del faggio è spesso molto facile,
avviati all’alto fusto, invece, hanno una strut- salvo localmente sui terreni superficiali lungo
tura più decisamente monostratificata. le creste del microrilievo.

Specie indicatrici

Fagus sylvatica Cruciata glabra


Sorbus aucuparia (loc.) Anemone nemorosa
Castanea sativa (r) Viola reichenbachiana
CARDAMINE PENTAPHYLLOS (loc.) Hieracium gr. sylvaticum
C. HEPTAPHYLLA (freq.) Pteridium aquilinum
C. bulbifera Festuca heterophylla
ACTAEA SPICATA Cephalanthera rubra (loc.)
Prenanthes purpurea Polystichum setiferum (loc.)
Polygonatum multiflorum Dryopteris filix-mas (loc.)
Agrostis tenuis Neottia nidus-avis (loc.)
Solidago virga-aurea Epipactis helleborine (loc.)
Mycelis muralis Platanthera bifolia (loc.)
Epilobium montanum Cardamine bulbifera (loc.)
Poa nemoralis Veronica officinalis (loc.)
Rubus gr. hirti Aquilegia vulgaris (loc.)
Galium odoratum

Selvicoltura celle di 1-2 ettari resta il più raccomandabile.


Questo Tipo ha buone attitudini per la pro- Però, data la struttura spesso irregolare delle
duzione di legname da lavoro. Nel suo ambito faggete di alto fusto, può convenire applicare,
si possono scegliere anche particelle adatte almeno transitoriamente, il sistema a tagli
alla produzione di legname di pregio. Il si- successivi a gruppi.
stema a tagli successivi uniformi per parti-


22.8. FAGGETA AMIATINA SUPERIORE
AD ADENOSTYLES AUSTRALIS

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- Distribuzione altitudinale


logica Da 1.500 m ai 1.738 m della vetta che è ancora
La fertilità è generalmente modesta e solo in coperta dal faggio.
avvallamenti è eventualmente un poco più
elevata perciò i popolamenti si presentano Geomorfologia
con individui a portamento tozzo e bassa sta- Accidentata per la forte pendenza e per la
tura; è vicariante sull’Amiata dell’ACERI- frequenza delle creste di colata lavica.
FAGGETO APPENNINICO DI QUOTA.
Adenostyles australis rivela le condizioni di Substrati
freschezza del suolo derivanti dallo sciogli- Lave trachitiche.
mento della neve.
Appartiene alle ass. Galio odorati-Fagetum Suoli
sylvaticae Meyer 1964 e, più limitatamente, Bruni leggermente lisciviati ma ricchi in basi,
Cardamino heptaphyllae-Fagetum sylvati- relativamente superficiali, ben provvisti di
cae Oberdorfer e Hofmann 1967. sostanza organica.

Sottotipi e varianti Clima


Non ne sono state distinte. Forte influenza dell’accumulo di neve e
dell’azione del vento. Temperatura media an-
Localizzazione nua 6°-8°; temperatura media del mese più
Cono vulcanico del M. Amiata. freddo intorno a -4°. Precipitazioni medie an-
nue probabilmente superiori a 1500 mm,
Esposizioni quelle estive intorno a 200 millimetri.
Tutte.
Interventi antropici più frequenti
La scarsa fertilità ha fatto sì che queste fag-
gete fossero trattate a ceduo.


Ora prevalgono i cedui avviati all’alto fusto, Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
anche per motivi estetici, attraversati da denze dinamiche
strade e da piste da sci, con insediamenti Evoluzione lenta. Ridotte possibilità di rin-
abitativi sparsi. novazione in massa.

Specie indicatrici

Fagus sylvatica Rubus gr. hirti


Sorbus aucuparia (loc.) Saxifraga rotundifolia
LONICERA NIGRA (loc.) Valeriana tripteris
ILEX AQUIFOLIUM (loc.) Poa nemoralis
ADENOSTYLES AUSTRALIS Ranunculus lanuginosus
CARDAMINE KITAIBELII (loc.) Dryopteris filix-mas
Senecio nemorensis Mycelis muralis
Galium odoratum Epipactis helleborine
Prenanthes purpurea Luzula sieberi
Oxalis acetosella Anemone nemorosa
Viola reichenbachiana Geranium nodosum
Luzula pilosa Aspidium lonchitis (loc.)
Sanicula europaea Festuca altissima (loc.)
Solidago virga-aurea Cardamine bulbifera (loc.)
Polygonatum multiflorum Neottia nidus-avis (loc.)
Hieracium gr. sylvaticum Stellaria nemorum glochidisperma (loc.)

Selvicoltura che e sportive. In futuro potrebbero risultare


La destinazione prevalente è quelle protet- utili tagli di rinnovazione a gruppi per accen-
tiva e paesaggistica tanto più che tutta la tuare l’azione protettiva con una struttura più
zona è molto interessata da attività turisti- varia.


22.9. ACERI-FRASSINETO (1)

Paludoso

Umido

Fresco

Asciutto

Arido
Arid
Povero Ricco

Caratterizzazione fisionomica e fitosocio- eutrofici di stazioni ombreggiate con sotto-


logica bosco di specie sciafile ed esigenti.
Questo Tipo è più potenziale che reale e in Allo stato attuale, le stazioni che potenzial-
effetti può corrispondere a vari sottotipi pre- mente ospitano l’Aceri-frassineto sono occu-
senti in altri Tipi di bosco ai quali si rimanda pate da Abetine di origine artificiale (v.) o,
(v. oltre). Si è comunque considerato qui comunque, favorite dall’uomo, oppure da Ca-
come Tipo a sè a causa delle implicazioni stagneti da frutto (v.) ora più o meno in fase
selvicolturali che ne richiedono una trattazio- di evoluzione e, talvolta, anche da Faggete
ne unitaria e perchè gravita più spesso nella (v.). Per individuale, il punto essenziale sta
fascia altitudinale delle faggete. Potenzial- nella presenza di un sottobosco dominato da
mente rappresenta boschi del limite inferiore erbe di notevole sviluppo e a foglia ampia,
delle faggete che si localizzano nelle esposi- composto da specie nitrofile e mesofile: or-
zioni settentrionali o in gole profonde, dotati tiche, epilobi, Impatiens noli-tangere, Atropa
di terreno profondo e ricco di humus, nono- belladonna, sambuco, molte felci, rovi, ede-
stante la morfologia sia ripida e accidentata. ra, ecc. Frequente rinnovazione di frassino
La composizione, oltre alle specie dominanti maggiore (talvolta invadente) e di altre lati-
di cui ai sottotipi e varianti (v. oltre), vede il foglie.
frassino maggiore come specie universal- Questo Tipo, nelle aree dove non si prevede
mente presente o più frequente con, poi, una un’ulteriore evoluzione alla faggeta, si acco-
mescolanza molto ricca e varia: acero di mon- sta in certo modo ai boschi medioeuropei ed
te, acero riccio, acero opalo s.l., frassino, ci- alpini stabili a base di acero di monte, acero
liegio, tiglio platifillo, sorbo degli uccellatori, riccio e frassino maggiore delle forre e pen-
maggiociondolo, olmo montano, carpino dici ripide esposte a nord (ELLENBERG,
bianco, carpino nero, cerro, tasso, agrifoglio, 1988), noti anche come "Schluchtwaeldern".
nocciolo. Si tratta in sostanza di boschi misti Dato che si tratta di boschi non in equilibrio,

(1) Pro parte corrisponde a Faggeta con altre latifoglie secondo HOFMANN Am., 1992.


anzi in attiva evoluzione e con sottobosco Clima
eterogeneo, non è possibile definirli sotto il I parametri termici dei climi montani e
profilo fitosociologico. submontani della nostra regione sono alterati
dalla morfologia e dall’esposizione. Per il re-
Sottotipi e varianti sto, il microclima di forra è ancora tutto da
Allo stato attuale l’ACERI-FRASSINETO si studiare. L’effetto principale è dato dalla ri-
distingue principalmente per il soprassuolo duzione delle massime estive a causa di un
esistente e, di conseguenza, dà luogo a più soleggiamento ridotto. L’attiguo corso d’ac-
varianti: qua torrentizio, quindi ricco di cascate spu-
Abetine su ACERI-FRASSINETO meggianti, garantisce l’umidità atmosferica.
Castagneti su ACERI-FRASSINETO
Faggete su ACERI-FRASSINETO Interventi antropici più frequenti
I popolamenti di queste stazioni sono stati
Localizzazione talvolta (Vallombrosa) trasformati in abetine
Il Tipo si presenta in modo molto frammen- oppure (Piano Sinatico) in castagneti. Soven-
tario. Luoghi classici possono essere consi- te sono rimasti come cedui più o meno rapi-
derati: Piano Sinatico e dintorni; la conca di damente degradati a causa della posizione di-
Vallombrosa; la forra sotto il Monastero di rupata.
Camaldoli; varie stazioni attorno alla Verna;
zona di S. Fiora (Amiata). Posizione del Tipo nel ciclo evolutivo e ten-
E’ frequente sul versante romagnolo delle Fo- denze dinamiche
reste Casentinesi, quindi fuori dalla Toscana. E’ probabile che, una volta sospeso l’uso an-
tropico, questi tipi possano avere una ricosti-
tuzione naturale più rapida di quello che si
Esposizioni. possa pensare anche perchè beneficiano di
Sempre poco soleggiate. apporti colluviali di terriccio e di lettiera che
giungono per gravità. Se ci sono piante madri
Distribuzione altitudinale nelle vicinanze è anche possibile la ricostitu-
Da 700 a 1200 m. zione di un bosco molto misto grazie al fatto
che il terreno accidentato dà occasioni fortui-
Geomorfologia te di insediamento a molte specie. Influisce
Suolo sovente ripido e accidentato. Al limite anche la facilità con cui si formano vuoti per
il bosco ha la fisionomia di una rupe boscata, crollo e sradicamento di piante adulte o per
ma con alberi di età più o meno avanzata e piccole frane.
di grande sviluppo.
Specie indicatrici
Substrati Non vengono elencate per le stesse ragioni
Arenarie. addotte a livello dell’inquadramento fitoso-
ciologico.
Suoli
Nonostante la morfologia dirupata, si hanno Selvicoltura
a zone suoli con grandi accumuli di terreno Dove il tipo si presenta in plaghe estese esi-
fresco, subacido e fertile, ricco di humus mull stono opportunità di applicare forme di sel-
per forte attività di lombrichi. vicoltura orientate sull’allevamento di boschi


con elevato livello di biodiversità oppure sul- sradicamenti o a piccole frane causate anche
la produzione di legno di pregio. dal peso delle piante) può costituire un peri-
Nelle posizioni di forra vicine agli abitati, la colo per il modo con cui i detriti legnosi pos-
ricostituzione di un bosco di alto fusto (così sono provocare dighe e rimpozzamenti tem-
ricco, ma anche instabile perchè soggetto a poranei durante gli eventi meteorici più forti.



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Le specie estranee alla flora forestale della Toscana che hanno avuto un maggiore
impiego e che sono già stati trattati a livello di Tipi, sono: il pino nero, la douglasia,
la robinia e, se si vuole, anche il cipresso comune e il pino domestico che erano già
stati importati ai tempi dei Romani.
Primi tentativi di uso di specie esotiche nel rimboschimento sono avvenuti fra
il ‘700 e l’’800 per opera di forestali al servizio di Casa Lorena e con specie delle
Alpi: pino silvestre, abete rosso e larice. Sulla fine dell’800, comincia l’interesse per
il pino nero d’Austria, presto sostituito, almeno nelle migliori stazioni, col pino
laricio di Calabria. Si rafforza, in modo del tutto empirico, la diffusione della robinia
introdotta, peraltro, alla fine del ‘600.
La sperimentazione di specie di paesi d’oltremare porta all’uso della douglasia
e, contestualmente, fa sì che si pongano in prova altre specie sia per il rimboschimento
che per l’eventuale sostituzione dei castagneti da frutto distrutti dal cancro corticale.
Pertanto (soprattutto nel contesto dei perimetri di rimboschimento o delle foreste
demaniali) si hanno piccole parcelle di specie piantate come aree di sperimentazione
sistematica oppure per semplice prova.
Spesso, però, prevale l’impiego in bosco misto; pertanto il seguente elenco si
articola per specie e non per popolamenti che, se presenti, raramente superano il
mezzo ettaro di estensione.


23.1. ONTANO NAPOLETANO rimboschimenti con abete bianco oppure per
ALNUS CORDATA Desf. il rimboschimento di campetti nell’area del
faggio. Cresce rapidamente ma è molto sog-
E’ la più diffusa fra le specie di questa Cate- getto a schianti per danni meteorici.
goria. Introdotto dall’Italia Meridionale nel
secondo dopoguerra nei castagneti devastati
dal cancro della zona dell’Abetone. Molto 23.4. CIPRESSO DELL’ARIZONA
usato (anche in piccoli boschi puri) nel resto CUPRESSUS ARIZONICA Greene
dell’Appennino per la sistemazione di frane
e di scarpate stradali da 500 a oltre 1000 m Frequente in rimboschimenti talvolta con C.
di altitudine su substrati sia silicatici che car- glabra su calcari o su scisti argillosi misto
bonatici (purché non aridi) sebbene l’ottimo con cipresso comune, con pino d’Aleppo o
sia sui primi. Questa specie non si è adattata anche con pino nero. Da 300 a 700 m. Poco
alle argille della Val d’Orcia. attaccato da Seiridium cardinale.
Fertilizzando il terreno, i popolamenti hanno Pianta obiettivamente non bella. Legno lon-
spesso flora nitrofila come la robinia. Accre- tano dall’essere apprezzato come quello del
scimento rapido. Incapace di diffondersi per cipresso comune.
polloni radicali, costituisce popolamenti
poco infiammabili ma è soggetto a danni
da gelicidio e da gelate precoci. Legname 23.5. LARICE GIAPPONESE
poco apprezzato. LARIX KAEMPFERI Carrière

Raro. Sperimentato a parcelle nel contesto di


23.2. CEDRO DELL’ATLANTE boschi di castagno o di rimboschimento con
CEDRUS ATLANTICA Manetti douglasia.
Quasi tutte le parcelle sono scomparse perché
Molto diffuso in mescolanza col pino nero vennero tenute a densità molto forte mentre
ma in questa forma solo piuttosto di recente. il rapido accrescimento della specie, tra l’al-
Introdotto dal Nord-Africa per scopi orna- tro eliofila, ha determinato un tale squilibrio
mentali. Nel parco del Castello di Brolio fra altezza e diametro da provocare schianti
(Gaiole in Chianti) c’è un bosco di oltre 100 per eventi meteorici anche su interi popola-
anni e con piante di elevata statura. menti.
Ottimo su suoli silicatici e nella fascia L’ambiente ottimale è su suoli silicatici e in
submontana; buoni risultati sono comunque ambiente submontano fresco. Il suo impiego
possibili fra 400 e 1000 m di altitudine anche più opportuno sarebbe stato, forse, il conife-
su terreni da rocce carbonatiche. Possibile la ramento dei cedui di castagno oppure anche
rinnovazione naturale. di faggio, in zone però con neve non troppo
pesante.

23.3. ABETE ROSSO


PICEA ABIES Link. 23.6. LARICE EUROPEO
LARIX DECIDUA Miller
Non raro. Introdotto alla fine del ‘700 nelle
Foreste Casentinesi. Poi sempre usato, sia Localizzato. Introdotto dal Granduca Pietro
pure in misura subordinata, nel contesto di Leopoldo di Lorena all’Abetone alla fine del


‘700. Rimangono esemplari in località Ma- 23.9. PINO STROBO
strocarlo. Più di recente è stato impiegato PINUS STROBUS L.
sempre nella medesima zona ma più in basso
(fino al Ponte Sestaione) e per il conifera- Localizzato nei rimboschimenti sostitutivi
mento di cedui di castagno. di castagneti sulle colline delle Pizzorne
(Lucca).

23.7. QUERCIA ROSSA


QUERCUS RUBRA L. 23.10. PINO ECCELSO
PINUS WALLICHIANA A.B. Jackson
Rara. Usata qua e là su terreni silicatici e ad
altitudini submontane per il rinfoltimento di Non raro nel contesto di rimboschimenti di
castagneti devastati dal cancro. douglasia a gruppi di poche piante.

23.8. ABETE GRECO 23.11. EUCALIPTI


ABIES CEPHALONICA Loud.
Varie specie usate solo in frangiventi nelle
Raro. In piccole parcelle fra rimboschimenti pianure alluvionali bonificate a sud di Cecina
di pino nero su suoli calcarei in stazioni di (MAGRINI e ROMANO, 1986).
potenziale competenza della roverella.



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