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Il Glifosato, o glisofate (C3H8NO5P) è un composto chimico divenuto di libera produzione nel 2001 utilizzato come

diserbante sistemico non selettivo. A differenza di altri prodotti, esso viene assorbito per via fogliare (ecco perché
sistemico), ma successivamente traslocato in ogni altro punto della pianta per via prevalentemente floematica (nelle
piante vascolari, il floema è un complesso di tessuti viventi con una triplice funzione: trasporto o conduzione, riserva
e sostegno). Questo gli conferisce la caratteristica tipica di fondamentale importanza di essere in grado di devitalizzare
anche gli organi di conservazione ipogea (cioè nelle radici delle piante) delle erbe infestanti, come rizomi, ecc. che non
potrebbero essere devitalizzati in alcun altro modo.

Il composto chimico fu scoperto nel 1950 dal chimico Henry Martin (allegato 1), ma non fu oggetto di pubblicazione e
dunque non destò alcun tipo di interesse. Fu poi “riscoperto”, in modo indipendente, nel 1970 nell’ambito di una
ricerca sugli addolcitori d’acqua condotta dalla Monsanto, un’azienda multinazionale statunitense di biotecnologie
agrarie. Alcuni di questi addolcitori destarono interesse quando mostrarono un blando potere erbicida: tra essi era
presente proprio il glifosato, la cui scoperta fu dunque resa pubblica solamente nei primi anni ’70.

L’uso del glifosato in agricoltura come diserbante è stato approvato per la prima volta proprio negli anni Settanta del
XX secolo e negli anni a seguire ha ricevuto approvazione in 130 paesi del mondo, tra cui tutte le nazioni dell’Unione
Europea.

Il glifosato causa problemi alla salute?

Il successo del glifosato in agricoltura era (ed è, se non altro in parte) dovuto alla sua pericolosità alquanto bassa (o
almeno ritenuta tale) determinata da vari fattori, tra i quali è d’obbligo citare la bassa tossicità per l’uomo rispetto agli
erbicidi in uso all’epoca della sua introduzione (più di cinquanta anni fa): il prodotto ha una penetrazione del suolo
molto bassa, limitata ad una profondità di circa 20 centimetri; va incontro ad una facile degradazione in quanto
facilmente attaccabile e distruttibile dai batteri presenti nel suolo e di conseguenza è molto limitata la probabilità che
i suoi residui riescano a raggiungere le falde acquifere. Riduce, inoltre, il consumo e la degradazione del suolo, poiché
evita di dover sottoporre ad arature profonde i terreni destinati a coltivazione.

Già nel 2012, però, la rivista Food and Chemical Toxicology pubblica uno studio di Gilles-Éric Séralini (biologo
molecolare francese – allegato 2) che evidenzia grave patogenicità e cancerogenicità nei ratti: la ricerca sarà
immediatamente ritirata dopo le critiche ricevute dalla comunità scientifica in merito alle errate metodologie di
utilizzo dei dati e all’affidabilità dei risultati dello studio.

Nel tempo si sono succedute diverse valutazioni di rischio da parte di Agenzie governative; secondo un’inchiesta di Le
Monde (quotidiano francese fondato nel 1944) del 2017 la stessa azienda Monsanto avrebbe tentato di influenzare
tali valutazioni. Conclude, nell’articolo considerato, il giornalista di Le Monde: “…in altre parole, la decisione favorevole
al glifosato è per lo più basata sulle conclusioni dell’azienda statunitense”. Alla luce di questo articolo si moltiplicano i
dubbi sulla non-pericolosità del glifosato: non sarebbe stata la prima volta nella storia della scienza moderna in cui
una grande multinazionale influenza delle decisioni scientifiche o presunte tali: si ricordi il grande scandalo riguardante
i decantati benefici dello zucchero durante la seconda metà del ‘900. Come messo in luce da illustri riviste scientifiche
(prime fra tutte la Jama International Medicine) si apprende infatti come l’industria dello zucchero negli USA abbia
lavorato fianco a fianco con gli scienziati tra gli anni Cinquanta e Sessanta per sminuire il ruolo del saccarosio come
causa di problemi cardiaci e coronarici e di altre malattie. La Sugar Research Foundation secondo i ricercatori
californiani pagò l’equivalente degli attuali 50 mila dollari affinché il mondo scientifico promuovesse una dieta ‘light’
e ‘low fat’ mettendo in guardia dai grassi e dal colesterolo ma senza fare riferimento allo zucchero come possibile
causa di problemi per la salute.

Importantissima si rivela anche la citazione del DDT, il primo fitofarmaco moderno impiegato su larga scala:
sintetizzato per la prima volta nel 1874 dal chimico Othmar Zeidler (allegato 3), la sua potente azione insetticida venne
scoperta solo nel 1939. Durante la Seconda guerra mondiale le truppe alleate usarono tale sostanza per il controllo di
morbi come il tifo e la malaria; anche nel secondo dopoguerra si ricorda come intere regioni italiane siano state per
anni irrorate di DDT in polvere per controllare il tifo trasmesso dalle pulci, o come esso abbia permesso di debellare
completamente la malaria, trasmessa dalla zanzara anofele presente in alcune zone come la Maremma e la Sardegna.
Solamente nel 1962 fu pubblicato il libro di Rachel Carson “Primavera silenziosa”, che sosteneva la tesi che gli insetticidi
(in particolare il DDT) stessero avvelenando l’ambiente e rappresentando una minaccia per la salute umana ed
animale: il DDT, liposolubile, si accumula infatti nei tessuti grassi degli animali, causando gravi danni; il guscio delle
uova degli uccelli, per esempio, diventa così sottile da rompersi prima della schiusa. La reazione al libro diede il via al
moderno movimento ambientalista negli Stati Uniti ed il DDT divenne uno dei più immediati bersagli delle campagne
ambientaliste degli anni Sessanta contro l'uso della chimica in agricoltura. Il bando del DDT negli anni ’70 avrà luogo
in un periodo di diffusa sfiducia verso la comunità dell’industria e della scienza. Anche il fatto che l’aquila dalla testa
bianca fosse finita tra le specie in via di estinzione quasi certamente per abuso di DDT aggiunse ulteriore spinta emotiva
al bando nel Stati Uniti. Oggi in moltissime nazioni il DDT non può più essere usato come fitofarmaco, ma per la sua
lunga persistenza nell’ambiente esso si trova ancora in molti ecosistemi del pianeta.

Ritornando al glifosato, nel 2015 l’AIRC (International Agency for Research on Cancer) ha classificato tale sostanza
come “probabilmente cancerogena per l’uomo”; studi successivi hanno dimostrato che esso induce nelle cellule danni
a livello genetico e stress ossidativo. A titolo esemplificativo, nella stessa categoria di pericolosità del glifosato sono
annoverate sia sostanze come lo stesso DDT che gli steroidi anabolizzanti.

Nel novembre del 2015 l’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) ha concluso che “è improbabile il fatto
che il glifosato costituisca un pericolo di cancerogenicità per l’uomo” e ne ha proposto “nuovi livelli di sicurezza che
renderanno più severo il controllo dei residui di glifosato negli alimenti”. La valutazione dell'EFSA, che classifica il
prodotto come "improbabile cancerogeno" a differenza dello IARC che lo valuta come "probabile cancerogeno", è
stata criticata con una lettera aperta a Vytenis Andriukaitis, commissario UE per la salute e la sicurezza alimentare,
sottoscritta da 90 scienziati a cui l'EFSA ha replicato difendendo la correttezza delle procedure e valutazioni
implementate.

Comunque, a maggio 2016 anche una riunione congiunta di esperti dell’Organizzazione mondiale della sanità e della
FAO ha concluso che “è improbabile che il glifosato comporti un rischio cancerogeno per gli uomini come conseguenza
dell’esposizione attraverso la dieta”. Nel marzo del 2017 un nuovo studio della ECHA (agenzia per le sostanze chimiche
dell’Unione) ha concluso che il glifosato non può essere considerato cancerogeno né genotossico (capace cioè di
modificare il DNA e più in generale le informazioni genetiche dell’uomo).

Nel maggio del 2022 l'ECHA nuovamente ribadisce che, dopo la valutazione di un ampio volume di studi scientifici, la
classificazione del glifosato come cancerogeno non è giustificata.

Una svolta nello studio – Istituto Ramazzini e National Toxicology Program; Global Glyphosate Study

L’Istituto Ramazzini è un centro per la ricerca indipendente e la prevenzione del cancro e delle malattie di origine
ambientali. Risalgono a qualche giorno fa (25 ottobre 2023 per essere precisi) nuovi studi sperimentali che obbligano
ad un’ampia rivalutazione della pericolosità del glifosato. Lo studio condotto dall’Istituto Ramazzini sugli effetti del
glifosato e dei suoi formulati sembra infatti confermare la capacità del pesticida di alterare il microbioma intestinale
anche a basse dosi. In particolare, il nuovo studio ha testato gli effetti dei pesticidi a base di glifosato sul microbioma
intestinale in ratti Sprangue-Dawley (la più usata razza di topi da laboratorio). Questo costituisce parte dell’articolato
Global Glyphosate Study, uno studio multicentrico internazionale condotto dal Centro di Ricerca sul Cancro Cesare
Maltoni dell’Istituto Ramazzini, lanciato con l’obiettivo di fornire una valutazione più completa degli effetti tossici,
cancerogeni e riproduttivi dei diserbanti basati sul glifosato. I pesticidi a base di glifosato hanno alterato
significativamente il microbioma intestinale del ratto, in particolare riducendo la diversità batterica, una condizione
già associata a diverse conseguenze negative per la salute quali diabete e alterazioni metaboliche. Inoltre, lo studio ha
evidenziato per la prima volta effetti significativi dei pesticidi a base di glifosato sulla comunità dei funghi che abitano
nel microbioma intestinali. Questo elemento è importante perché la presenza di categorie diverse di funghi
nell’intestino umano è collegata ad una serie di malattie, quali ad esempio la sclerosi multipla.

Lo studio tossicologico internazionale sul glifosato ha portato anche ad altre scoperte, forse ancora più importanti e
preoccupanti: esso ha infatti dimostrato che anche basse dosi di glifosato causano leucemie nei ratti. È importante
inoltre notare che la metà dei decessi per leucemia identificati nei gruppi di studio trattati con glifosato e con erbicidi
a base di glifosato si sia verificata in giovane età. Daniele Mandrioli, coordinatore del Global Glyphosate Study, ha
dichiarato che “circa la metà delle morti per leucemia osservate nei ratti esposti a glifosato e agli erbicidi a base di
glifosato si sono verificate a meno di un anno di età. Al contrario, non sono stati osservati casi di leucemia al di sotto
dell’anno di età in più di 1600 ratti Sprague-Dawley dei controlli storici del National Toxicology Program (NTP) degli
Stati Uniti e dall’Istituto Ramazzini”. Durante gli ultimi giorni moltissimi sono stati i commenti di autorità ed enti
scientifici su tale scoperta, che obbliga alla riapertura delle indagini sulla sicurezza del glifosato.

Commenti personali

La notizia del 25 ottobre scorso suscita indubbiamente moltissime domande in ciascuno di noi: oltre a quelle più
spontanee, secondo cui ci si chiede se veramente tutta la pasta che mangiamo (le cui marche più note, come De Cecco,
Balilla, ecc. contengono glifosato) sia in realtà nociva, si fanno avanti anche altre domande molto più profonde,
soprattutto alla luce degli inquietanti rapporti fra scienza e industria cui si è assistito nel ‘900: bisogna avere fiducia in
una scienza che si presenta come facilmente abusabile dalle grandi multinazionali? È sicuramente fondamentale
affrontare tali domande con un approccio equilibrato e critico.

Innanzitutto, è importante sottolineare che la scienza è un processo in continua evoluzione. Le scoperte scientifiche
sono il risultato di ricerche approfondite e meticolose (quando non corrotte, come nel caso dello zucchero nel secondo
dopoguerra), ma è loro prerogativa intrinseca il fatto di essere correggibili ed aggiornabili nel tempo: è proprio questo
un aspetto fondamentale nel sapere scientifico, la capacità cioè di adattarsi e di modificare le conoscenze alla luce di
nuove prove, di nuovi studi e di nuove scoperte. Non bisogna dunque perdere fiducia nella scienza, che negli ultimi
anni ha dato riprova di essere fondamentale nella salvezza di milioni di persone; ciò non di meno non bisogna mai
divenire “scientisti” credendo senza un minimo di senso critico ad ogni informazione che ci giunge: il pensiero di
ciascuno di noi rimane importantissimo e fondante nelle scelte di vita di ognuno.

Arrivando all’argomento più specifico del glifosato, la scoperta di un possibile legame fra esso e la leucemia in giovane
età solleva importanti domande sulla sicurezza dei prodotti chimici ampliamente utilizzati in agricoltura e
nell’ambiente. Se da un lato essi si presentano come nocivi poiché estremamente invasivi nell’ambiente (soprattutto
tenendo conto delle quantità con cui essi vengono impiegati) è al contempo innegabile la loro importanza: senza di
essi molto probabilmente non si riuscirebbe a soddisfare il bisogno di cibo da parte dell’intera popolazione. Trovare
una soluzione è estremamente difficile: sarebbe utopico pensare ad un futuro in cui ogni nucleo familiare abbia a
disposizione un piccolo pezzo di terra in cui coltivare il proprio cibo? Quale altra potrebbe essere la soluzione?

Ora come ora non resta a ciascuno di noi, alla luce delle nuove scoperte, che cercare di evitare il consumo di sostanze
che contengono glifosato, aspettando nuovi sviluppi della situazione: si rivelerà realmente nocivo come è apparso o
non si tratta di un altro sbaglio che verrà presto corretto? “Ai posteri l’ardua sentenza”.

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