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IL PIANOFORTE

Il pianoforte appartiene alla categoria dei cordofoni a corde percosse. I cordofoni sono strumenti a
corda che producono il suono tramite le vibrazioni create dalle corde. Nel pianoforte, la
percussione sulle corde avviene tramite martelletti che vengono messi in azione tramite la tastiera,
la quale si compone di 88 tasti. Di questi, 52 sono bianchi e 36 sono neri; sui primi vengono
suonate le note naturali, mentre sui secondi si rappresentano le alterazioni (perciò i vari bemolli e
diesis). Una delle caratteristiche fondamentali dello strumento è la possibilità di ottenere intensità
di volume differenti a seconda dello specifico tocco che si imprime al tasto, con una dinamica che
può quindi spaziare dal piano pianissimo (ppp) al forte fortissimo (fff), passando – da un estremo
all'altro – per uno sconfinato ventaglio di "coloriture". Questa possibilità non esisteva con gli
strumenti antecedenti al pianoforte.

Si consideri che gli strumenti a corda possiedono origini antichissime: ne è un esempio il SALTÈRIO,
che era diffuso all'epoca degli Egiziani e degli Ebrei, tra il 3000 e il 1500 a.C. In questo strumento, il
suono veniva prodotto pizzicando corde tese sopra ad una cassa che svolgeva le funzioni di un
risuonatore. Il MONOCORDO risale al VI secolo a.C. ed era composto da una cassetta rettangolare
di legno che serviva da cassa di risonanza e su cui veniva tesa una corda di budello, che veniva fatta
vibrare utilizzando un plettro; un ponticello mobile poteva dividere la corda in varie lunghezze, e
ciascuna di queste poteva dunque vibrare liberamente ad una differente frequenza

Al III secolo a.C. risale invece un'invenzione dell'ingegnere Ctesibio di Alessandria: l'hydraulis,
organo idraulico che funzionava ad aria basandosi sul principio dei vasi comunicanti. L'intuizione di
Ctesibio fu quella di costruire il primo somiere, la parte intermedia che invia l'aria alle canne,
nonché di aver adattato la prima tastiera ad un gruppo di otto o dieci canne. Si dovettero attendere
almeno quattro secoli per arrivare a sviluppi significativi. Intorno al I secolo d.C., infatti, Erone di
Alessandria, matematico ed ingegnere, costruì un organo in cui le valvole che immettevano aria
nelle canne venivano controllate da tasti incernierati; tramite l'impiego di molle, queste valvole
venivano riportate nella loro posizione originale. Nel periodo del IV secolo d.C., l'organo – da
idraulico che era – venne reso pneumatico: il meccanismo del mantice, che generava aria diretta,
sostituì quello più obsoleto della pressione dell'aria ottenuta con il sistema dell'acqua. All'inizio del
XII secolo, gli organi non possedevano ancora una tastiera per come oggi noi la concepiamo, cioè
composta da tasti sottili azionati dalle dita, bensì un dispositivo a tiranti o a larghe stecche azionato
con le mani. Ad ogni modo erano tastiere piuttosto rudimentali, quasi esclusivamente diatoniche.
Solo nel XIII secolo vennero introdotti, in una tastiera a parte, i semitoni cromatici. Mentre nel XIV
secolo si vedrà, invece, l'introduzione dei tasti cromatici nell'ambito della stessa tastiera. All'inizio
del Trecento, le leve dell'organo erano state trasformate in tasti sottili, il che consentiva un certo
virtuosismo, benché in un'estensione limitata. Effettivamente, un primo sistema di tasti – derivati
proprio dall'organo – venne applicato al monocordo tra l'VII ed il XII secolo d.C.

Nel XII secolo era parecchio diffusa anche la GHIRONDA, che al tempo veniva chiamata anche
organistrum: questo strumento era formato da una cassetta a forma di parallelepipedo, con varie
corde sfregate da una ruota di legno coperta di pece e messe in movimento da una manovella. I
cantini, posizionati nella parte centrale dello strumento, venivano comandati da una tastiera
cromatica.
Ma fu solo con l'inizio del XV secolo che si iniziarono ad intravedere grandi cambiamenti: il
monocordo diventò il CLAVICORDO, che è senza dubbio il diretto antenato del pianoforte. Si può
ipotizzare che l'invenzione del clavicordo derivi proprio dall'applicazione della tastiera all'idea
costruttiva su cui si basavano sia il monocordo che l'organistrum. Il suo meccanismo era semplice:
una piccola lama di ottone, chiamata tangente, veniva inserita perpendicolarmente alla leva che
prolunga il tasto e svolgeva una doppia funzione: faceva sia da ponte, per determinare l'altezza
della nota, sia da percussore, per produrre la nota stessa. In origine, una corda veniva usata per
produrre più note, e normalmente vi erano più tasti che corde (al massimo quattro tasti per corda).
Con l'andare del tempo, il numero di corde fu aumentato, arrivando a due tasti per corda. Finchè il
tedesco Daniel Faber, nel 1725, arrivò a costruire il primo clavicordo slegato, cioè con un tasto per
ogni corda.

Il clavicordo non riuscì mai a superare la concorrenza del suo brillante rivale, il clavicembalo,
strumento che aveva ormai raggiunto una perfezione tale da essere preferito pressoché da tutti i
compositori dell'epoca. Tuttavia, pare accertato che il clavicordo fosse lo strumento prediletto di
Johann Sebastian Bach, il che verrebbe spiegato da una sensibilità al tocco che il clavicembalo non
aveva. Non si dimentichi, inoltre, la possibilità di un suono – per quanto debole – legato e pieno di
sfumature, di sottile fascino e di espressione. Senza parlare poi di quella tipica capacità di vibrare il
suono mediante un leggero tremolo del dito. Indicativamente nello stesso periodo si stava
sviluppando l'altro famoso "antenato" del moderno pianoforte: il CLAVICEMBALO. L'invenzione di
questo strumento è da attribuire al viennese HERMANN POLL. Ciò che lo contraddistinse fu
l'introduzione di corde lunghe e di una tavola armonica di notevole superficie, il che permise di
produrre suoni di volume più consistente. Le corde venivano pizzicate da un plettro montato ad
angolo retto su di un saltarello; quando si premeva il tasto, il plettro veniva abbassato, il saltarello
si innalzava e il plettro pizzicava la corda. Quando poi il saltarello ricadeva, un panno attaccato ad
esso smorzava la vibrazione della corda. Nel XVI secolo, vennero condotti esperimenti con corde
ancora più lunghe e tavole armoniche di maggiori dimensioni: il risultato fu lo sviluppo del cembalo
che, con l'adozione di un'ottava inferiore, divenne GRAVICEMBALO o clavicembalo.

Sebbene alcuni esperti sostengano che il clavicembalo non si può considerare un diretto
predecessore del pianoforte, soprattutto per quanto riguarda la concezione meccanica dello
strumento, è tuttavia innegabile il merito del clavicembalo di aver apportato innovazioni
importanti che sono giunte fino al pianoforte moderno. Per esempio, la cassa a forma di ala del
clavicembalo è imitata da quella del pianoforte a coda. E ancora: l'idea di utilizzare per ogni nota
più di una corda per poterne accrescere il volume, particolare che fu proprio del clavicembalo a
partire dalla metà del XVII secolo. Inoltre il clavicembalo era dotato anche di un congegno che
sollevava gli smorzatori dalle corde consentendo l'esecuzione di note sostenute, nonché di un
congegno per trasporre la tastiera. Entrambi dispositivi trasmessi poi al pianoforte. A onor del
vero, l'invenzione del pianoforte fu preannunciata da due difetti, sia del clavicordo che del
clavicembalo: quest'ultimo, infatti, non permetteva di produrre un'esecuzione dinamica, mentre il
clavicordo consentiva una modesta escursione dinamica, ma non era minimamente in grado di
creare note forti come quelle prodotte dal clavicembalo.

Pose un rimedio a questi difetti un artigiano italiano, il costruttore di clavicembali Bartolomeo


Cristofori, che nel 1698 dette inizio agli esperimenti che condussero in seguito alla realizzazione
del pianoforte così come lo conosciamo oggi e lo chiamò "GRAVECEMBALO COL PIANO ET FORTE",
con ciò intendendo che questo strumento poteva produrre diversi tipi di gradazioni sonore.
L'intuizione di Cristofori fu geniale soprattutto perché egli riuscì a sfruttare il principio delle leve
ottenendo quindi sul martelletto una forza percussiva che può anche essere di dieci volte superiore
a quella impressa sul tasto, ed ergo completa di tutte le gradazioni intermedie. Da tutto ciò ebbe
origine la possibilità di un'esecuzione dal piano al forte con diverse accentuazioni espressive. L'idea
di Cristofori si basava sulla sostituzione dei saltarelli del clavicembalo con i martelletti,
indipendenti dai tasti e mossi da una contro-leva a bilancia avente due movimenti: uno anteriore,
che spingeva in alto il martelletto inviandolo a percuotere la corda, ed uno posteriore, che faceva
calare lo smorzo attaccato all'altra estremità della contro-leva, restando in tal modo libera la corda
da poter vibrare al colpo del martelletto. Una volta terminata l'azione del tasto, succedeva
ovviamente il contrario: il martelletto ricadeva e lo smorzo tornava verso l'alto, raggiungendo la
corda e facendone quindi cessare le vibrazioni. Cristofori, volendo fare in modo che il martelletto,
una volta percossa la corda, non si fermasse su di essa impedendone le vibrazioni, vi applicò una
molla che lo faceva ricadere subito su sé stesso. Questo meccanismo venne chiamato
"scappamento". Fu poi lo stesso Cristofori ad inventare il sistema dello spostamento della tastiera
azionato dal ginocchio, grazie a cui il martelletto percuoteva una sola corda anziché due: ciò
corrispondeva, evidentemente, al moderno "pedale del piano".

Dal nome "gravecembalo col piano et forte" deriva il nome di "pianoforte", che fu anche
preceduto da quello di "fortepiano". Il primo modello di pianoforte fu messo a punto da
Cristofori presso la corte fiorentina di Ferdinando de' Medici, nel 1698.

Nel 1726, GOTTFRIED SILBERMANN, costruttore di organi tedesco, ricostruì una copia esatta del
pianoforte di Cristofori, che peraltro sottopose alla valutazione di Johann Sebastian Bach. Il
prodotto fu molto gradito a Federico II di Prussia, che ne acquistò 7 per 700 talleri, con lo scopo di
arricchire i propri palazzi. Nel 1732, la musica iniziò ad essere scritta specificamente per il
pianoforte, cosa che ne decretò la reale ascesa come strumento da concerto e per esecuzione
solistica. Presso Silbermann si formò Andreas Stein, che ebbe il merito di perfezionare i sistemi
dello scappamento e degli smorzatori. Nel 1777, Stein ricevette la visita di Wolfgang Amadeus
Mozart, che fu molto entusiasta di come quello strumento permettesse infinite possibilità
espressive. Anche Beethoven compose e suonò su questi pianoforti. Tra i costruttori francesi più
famosi vengono ricordati Sébastién Érard e Ignace Pleyel, considerati i più grandi produttori di
pianoforti dell'Ottocento. Nel 1780, vennero probabilmente costruiti i primi pianoforti verticali ad
opera di Johan Schmidt, artigiano di Salisburgo. Nel 1872, la Steinway & Sons di New York,
fondata da circa un ventennio, brevettò il pianoforte con il telaio in ghisa e divenne il maggior
produttore mondiale di pianoforti di qualità, considerati i migliori del mondo, posizione mantenuta
anche ai giorni nostri, come dimostrato dalla grande diffusione di questi magnifici strumenti in
qualsiasi manifestazione concertistica di alto livello, senza tralasciare il fatto che questo produttore
detiene 125 brevetti su circa 140 esistenti nell'ambito delle tecnologie di costruzione dei
pianoforti.

A livello italiano, dal 1980 la ditta Fazioli produce un pianoforte considerato come uno dei migliori
a livello mondiale, grazie sia alla produzione limitata ed estremamente curata (circa 120 strumenti
costruiti ogni anno) sia all'impiego, nella fabbricazione della tavola armonica, del pregiato abete
rosso della Val di Fiemme, lo stesso tipo di legno impiegato – nella creazione dei propri violini – dal
celeberrimo liutaio Antonio Stradivari.

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