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5 – Tecnica delle Fondazioni

Ogni costruzione edificata che poggi sulla terra deve essere supportata da una fondazione.

La fondazione è la parte di un sistema strutturale che trasmette al suolo o alla roccia sottostante e
al loro interno i carichi che essa porta e il suo peso proprio. Gli sforzi che si originano nel suolo,
fatta eccezione per la superficie, si aggiungono a quelli precedentemente presenti nella massa del
terreno, dovuti al peso proprio del materiale ed alla storia geologica.

Il termine sovrastruttura viene comunemente usato per descrivere la parte del sistema strutturale
che trasmette il carico alla fondazione, o sottostruttura. In sostanza una fondazione è
identificabile con quella parte del sistema strutturale che agisce da interfaccia tra gli elementi con
funzione portante e il terreno.

Sulla base di tale definizione, emerge evidente come la fondazione rappresenti la parte più
importante di un sistema strutturale e, di conseguenza, della sua progettazione.

Per progettare una fondazione i punti indispensabili da seguire sono i seguenti:

- 1 – Analisi del sito e della posizione del carico: una valutazione approssimativa del carico (o
dei carichi) gravanti sulla fondazione è in genere fornita dalla committenza; a seconda della
complessità del sito o del sistema di carichi si rivela utile avviare un'indagine bibliografica per
vedere come siano stati affrontati in precedenza problema analoghi.

- 2 – Ispezione diretta dell’area per evidenziare ogni eventuale problema di carattere geologico
o strutturale: è opportuno completare l'indagine con qualsiasi altro dato geotecnico
precedentemente ottenuto.

- 3 – Determinazione di un programma d’indagini in situ e, sulla base dei risultati, approntare


le necessarie prove supplementari unitamente al programma di prove di laboratorio.

- 4 – Determinazione dei parametri di progetto del terreno integrando fra loro dati di prove,
principi teorici e giudizio tecnico. Possono rendersi opportune analisi su modello, più o meno
sofisticate.

- 5 - Progetto della fondazione utilizzando i parametri del terreno di cui al punto 4. Il costo della
fondazione deve risultare congruo in termini economici. E’ altresì opportuno tener conto delle
tolleranze di progetto nonché delle pratiche operative locali. Ancora, risulta conveniente interagire
strettamente con tutti gli interlocutori (committenza, ingegneri, architetti, imprenditori), in modo che
la sottostruttura non sia eccessivamente sovradimensionata e che il rischio sia contenuto entro
livelli di sicurezza accettabili.

Il principale problema che pone a rischio la validazione di un progetto è la tendenza a trattare i


parametri del terreno, ottenuti mediante prove geotecniche di qualità variabile e fortemente
influenzati dal giudizio tecnico, come grandezze assolute il cui valore debba ritenersi comunque
attendibile.

Diventa pertanto indispensabile che il tecnico delle fondazioni lavori a stretto contatto col tecnico di
cantiere in modo che possa comprendere in che modo siano stati determinati i parametri del
terreno d’interesse progettuale. Si può raggiungere una tale comprensione se ciascuna delle due
figure professionali ha accumulato esperienza anche nel campo di specializzazione dell'altra.

A tal fine il presente capitolo verte in modo particolare sull'analisi e il progetto degli elementi
d'interfaccia per manufatti base e opere di contenimento, nonché su quei principi di meccanica dei
terreni che vengono usati per ottenere i parametri necessari per realizzare il progetto. Più
precisamente, le strutture di fondazione considerate comprendono fondazioni superficiali, quali
travi e plinti, e fondazioni profonde, quali pali e pozzi. Alcune opere di contenimento vengono
considerate nel capitolo successivo e nel 3° vol., dedicato alle specifiche tecniche della grandi
opere.

La trattazione riguarderà principalmente la resistenza e la deformabilità dei terreni, nonché


l'influenza della presenza dell'acqua verso tali grandezze. Data l'attuale tendenza a utilizzare siti
secondari per la realizzazione di grandi opere, in un capitolo successivo verranno brevemente
considerati i metodi per migliorare la resistenza e le caratteristiche di deformabilità del suolo
mediante opere di consolidamento.

5.1 - Classificazione e nomenclatura delle fondazioni

Le fondazioni possono essere suddivise, sulla base del modo in cui il terreno sopporta il carico, in:

- Fondazioni superficiali: travi, plinti, fondazioni diffuse (platee e graticci di fondazione).


Generalmente si ha un rapporto D/B ≤ 1 ma questo può anche essere leggermente superiore. (Fig.
5.1a).

- Fondazioni profonde: pali infissi, pali trivellati, pozzi trivellati. Rapporto D/B ≥ 4 e oltre; un palo
è illustrato in Fig. 5.1b.

La Fig. 5.1 mostra tipici esempi dei 3 tipi fondamentali di fondazioni considerate nel presente
capitolo e fornisce alcune delle definizioni comunemente usate nel settore. Poiché tutti i simboli e
le definizioni riportate sono largamente impiegati nel prosieguo del testo risulta opportuno tenere in
considerazione attentamente la figura.

La sovrastruttura trasmette i carichi all'interfaccia col terreno attraverso elementi tipo colonna. Le
colonne portanti sono usualmente di acciaio o calcestruzzo e la loro resistenza a compressione è
pari a ~40 MPa per l'acciaio e ~10 o più MPa per il calcestruzzo; di conseguenza la sezione
trasversale di tali elementi è relativamente piccola. La capacità portante del suolo, sia dal punto di
vista della resistenza che della deformabilità, è raramente > 103 kPa ma più spesso è dell'ordine di
200-250 kPa. Questo significa che la fondazione fa da interfaccia fra due materiali con un rapporto
tra le resistenze che è dell'ordine di diverse centinaia. Di conseguenza, il carico deve essere
diffuso nel terreno in modo da non superarne la resistenza ultima e da produrre deformazioni
accettabili. Le fondazioni superficiali raggiungono questo scopo diffondendo il carico lateralmente,
da cui il termine fondazioni diffuse.

Mentre un plinto superficiale regge una singola colonna, una fondazione a graticcio o a platea
serve a reggere più ordini di colonne parallele e può essere sovrastata da una porzione o
dall'intera pianta della struttura. Eventualmente il graticcio può essere fondato su pali o pozzi.

Col nome di basamenti vengono talvolta indicate le fondazioni che reggono macchinari o
apparecchiature; questi possono produrre un carico di notevole intensità su di un'area limitata, per
cui il basamento viene usato come mezzo per diffondere il carico in modo analogo alle fondazioni.
Le fondazioni profonde sono analoghe a quelle diffuse ma distribuiscono il carico verticalmente
invece che orizzontalmente. La distribuzione qualitativa del carico lungo l'altezza di un palo è
mostrata in Fig. 5.1b.

I termini palo trivellato e pozzo trivellato vengono impiegati per indicare elementi strutturali tipo
palo costruiti eseguendo un foro di Ø > 0.76 m, inserendo l'armatura e riempiendo la cavità di
calcestruzzo. Il progetto e la costruzione di pali e pozzi sono esaminati più in dettaglio nei paragrafi
relativi.
Il problema più importante legato sia alle fondazioni superficiali (o a platea) sia ai pali è la
distribuzione degli sforzi nell'area d'influenza al di sotto della fondazione (plinto o punta del palo).
La distribuzione teorica degli sforzi verticali nel terreno al di sotto di un plinto quadrato è mostrata
in Fig. 5.1a. È evidente che oltre una profondità pari a circa 5B l'incremento dello sforzo nel terreno
dovuto al carico trasmesso dalla fondazione è trascurabile. Tale profondità dipende peraltro da B
e, se ad es. B = 0.3 m, lo spessore della zona sovrasollecitata è 5x0.3 = 1.5 m, mentre se B = 3 m
è 15 m, per cui il rapporto tra gli spessori delle due zone è 1:10. Poiché tali valori di B delimitano
l'intervallo che si può ragionevolmente avere al di sotto di un grosso edificio, un terreno scadente
che dovesse trovarsi a una profondità > 2 m avrà una notevole influenza sulla progettazione delle
fondazioni di maggior estensione.

Qualsiasi struttura utilizzata per contenere terreno o altro materiale (Fig. 5.1c) entro una forma
geometrica diversa da quella che si avrebbe naturalmente sotto l'azione della forza di gravità viene
detta struttura di contenimento. Le strutture di contenimento possono essere realizzate
impiegando una vasta gamma di materiali, tra cui paratie metalliche e di legno, calcestruzzo
semplice o armato, terre armate, elementi prefabbricati di calcestruzzo, pali fortemente ravvicinati,
elementi metallici e di legno interconnessi (palancole) e simili. A volte la struttura di contenimento
è permanente, mentre in altri casi viene rimossa quando non è più necessaria.
Fig. 5.1 – Definizione di alcuni dei termini impiegati in Tecnica delle Fondazioni.
5.2 – Considerazioni generali

Gli elementi delle fondazioni devono essere dimensionati sia per trasmettere al suolo sforzi
ammissibili sia per contenere i cedimenti entro livelli tollerabili: sebbene nel passato i problemi
connessi a cedimenti eccessivi siano stati largamente diffusi sono rimasti relativamente sconosciuti
all'opinione pubblica in quanto è stato dato risalto soltanto ai più spettacolari.

Pochi edifici moderni, infatti, crollano a causa di cedimenti eccessivi; tuttavia, non è raro che crolli
parziali o rotture localizzate si producano in elementi strutturali. Gli eventi che si verificano più di
frequente sono invisibili fessure in muri e pavimenti, pavimenti irregolari (incurvati o pendenti),
porte e finestre che s'incastrano etc.

L'estrema variabilità della struttura del terreno, in aggiunta a carichi imprevisti o a movimenti
successivi (come nel caso dei sismi) può dar luogo a problemi di cedimenti sui quali il progettista si
trova ad avere scarsa possibilità di controllo. In altre parole, l'attuale stato dell'arte sui metodi di
progettazione può grandemente contribuire a ridurre la possibilità (o fattore di rischio) di cedimenti,
ma non fornisce in generale un progetto sicuro in assoluto. E’ anche da considerare, tuttavia, che
alcuni problemi non sono che la diretta conseguenza di una progettazione malfatta, per pura
trascuratezza o per mancanza di conoscenza tecnica.

Un altro fattore che complica la progettazione è il fatto che di solito i parametri del terreno vengono
determinati prima che il progetto esecutivo venga approvato dalla committenza, cosicché quando
la fondazione è in opera le proprietà fisiche del terreno su cui questa poggia possono essere
notevolmente diverse da quelle originarie per via di disturbi prodotti durante la costruzione. Ad es.
il terreno può venire scavato e ricompattato; gli scavi tendono a diminuire i carichi permettendo al
terreno sottostante di espandersi; l'infissione dei pali in genere compatta il terreno, e così via.

L'incertezza relativa all'entità dei carichi e alle proprietà del terreno, il tentativo di tener conto di tale
variabilità e di altri fattori fanno sì che risulti ormai pratica comune progettare questa parte del
sistema in favore di sicurezza. È facile comunque rendersi conto del fatto che, poiché questa parte
della struttura è la più importante e, al contempo, quella su cui è più difficile intervenire se
successivamente sorgono dei problemi, ogni sforzo per realizzare un progetto in favore della
sicurezza (sovradimensionato) si rivela un investimento economico migliore nell'ambito delle
fondazioni che in qualsiasi altra parte del progetto.

Sintetizzando tali osservazioni, è possibile dire che un progetto ottimale richiede:

- 1 - La definizione della finalità della struttura, delle probabili condizioni di carico in esercizio,
del tipo di telaio, delle caratteristiche del terreno, delle metodologie costruttive e dei costi di
costruzione;

- 2 - La determinazione delle necessità della committenza;

- 3 - La realizzazione del progetto, assicurandosi che l'impatto ambientale sia accettabile e con
un margine di sicurezza che dia un livello di rischio tollerabile per tutte le parti in causa: l’utenza, la
committenza e il progettista.

Dopo aver descritto gli aspetti fondamentali del progetto di una fondazione in termini di cedimenti e
di resistenza del terreno è opportuno introdurre una serie di ulteriori considerazioni di cui può
essere necessario tener conto in siti particolari:

- 1 - La profondità deve essere tale da evitare l'espulsione laterale di materiale da sotto la


fondazione nel caso di travi e graticci. Analogamente, nella fase di scavo, si deve tener conto della
possibilità che ciò possa accadere a fondazioni esistenti nelle adiacenze, per cui può essere
necessario prendere precauzioni per gli edifici circumvicini.
- 2 - La fondazione deve trovarsi a una quota inferiore alla zona di cambiamento stagionale del
volume del terreno dovuta a gelo, disgelo e crescita di piante. La maggior parte delle normative
edilizie locali contiene requisiti di minima profondità.

- 3 - Lo schema della fondazione può dover tenere conto di condizioni d’espansione del terreno.
In questi casi l'edificio tende a bloccare l'umidità del suolo nella zona interna e a permetterne la
normale evaporazione solo lungo il perimetro. In un vasto numero di aree geografiche il terreno
tende a rigonfiarsi in presenza di umidità notevole e a trasportare con sé la fondazione verso l'alto.

- 4 - Oltre alle considerazioni che riguardano la resistenza a compressione, il complesso delle


fondazioni deve essere posto in sicurezza nei confronti di ribaltamento, scivolamento e di qualsiasi
sollevamento (galleggiamento).

- 5 - Il sistema deve parimenti essere sposto in sicurezza nei confronti di corrosione e


deterioramento dovuti a sostanze aggressive presenti nel terreno. Questo problema è
particolarmente sentito nella bonifica di discariche ma s’incontra anche in opere marine o altri casi
nei quali gli agenti chimici presenti possano corrodere palificate metalliche, distruggere paratie e
pali di legno, provocare reazioni dannose verso il cemento Portland in travi e pali di calcestruzzo
etc.

- 6 - Il complesso delle fondazioni deve potersi adattare a successivi cambiamenti delle aree
adiacenti (ad es. per effetto di nuove costruzioni o di scavi) o della costruzione stessa ed essere
facilmente modificabile qualora dovessero rendersi necessari cambiamenti nella sovrastruttura e
nei carichi.

- 7 - La fondazione e le modifiche del sito devono essere compatibili con i locali requisiti
ambientali.

Mentre non tutti i punti precedenti sono importanti per un determinato progetto, appare evidente
come quelli che lo sono tendano a introdurre ulteriori fonti d'incertezza nel sistema, rendendo il
giudizio geotecnico un fattore ancora più importante nel processo di progettazione.
Tab. 5.1 – Tipi di fondazione e loro impiego principale.
5.3 – La consolidazione

Quando il terreno è caricato da una fondazione hanno sempre luogo dei cedimenti.

Questi possono essere irrilevanti oppure d’entità tali da richiedere speciali tecniche costruttive. Tali
cedimenti non sono elastici come quelli che si ottengono comprimendo una colonna d’acciaio o
calcestruzzo, ma derivano invece dalla somma di un gran numero di movimenti di rotolamento,
scivolamento e scorrimento di particelle negli spazi vuoti e sono, in larga parte, irreversibili qualora
il carico venga rimosso. Come osservato nel 1° vol., tutto ciò può causare, temporaneamente, una
sovratensione interstiziale, a seconda della quantità e della distribuzione dell'acqua presente nei
pori.

Se si dispone di una relazione tra sforzi e deformazioni per il terreno, si può calcolare un modulo
sforzi-deformazioni E, (detto anche modulo di deformazione o comunemente, anche se
impropriamente, modulo elastico): mediante tale modulo, integrando sulla lunghezza d'influenza
L0, si può calcolare il cedimento ΔH come:

(a)

La relazione diviene, dopo integrazione:

ΔH = ε L0

Nel caso dei terreni, non è facile conoscere né E né L0. Inoltre, quando ha luogo un deflusso
dell'acqua dai pori, entra in gioco anche l’intervallo di tempo. Ad es., ricavato il cedimento ΔH dalla
(a), questo potrebbe impiegare anche 3 o 4 anni per avvenire. Come esempio limite, la Torre
Pendente di Pisa sta cedendo (ma non uniformemente) da più di 700 anni. La maggior parte dei
cedimenti differiti nel tempo, comunque, ha luogo entro un intervallo di 3÷10 anni ma spesso è
necessario stimare con maggior precisione la durata del periodo di cedimento.

Nei terreni saturi a grana grossa o nei terreni insaturi a grana fine il drenaggio dai pori avviene
quasi istantaneamente, di modo che si può usare la (a) senza preoccuparsi del tempo. Nei terreni
saturi a grana fine, viceversa, il tempo entra in gioco, per cui è necessario valutare oltre ad (a)
anche un parametro temporale. A tal fine si ricorre frequentemente alle prove di consolidazione.
Queste prove, come visto nel 1° vol., vengono utilizzate a ricavare un parametro di comprimibilità
per la valutazione del cedimento totale e un parametro di consolidazione per la valutazione della
velocità di cedimento. Da tali prove si può anche determinare il rapporto di sovraconsolidazione
OCR. Le prove vengono effettuate su un campione indisturbato posto entro un edometro il cui
diametro può variare tra 45÷115 mm; l'altezza dei campioni è compresa tra 20÷30 mm; lo spessore
più usato è 20 mm per ridurre la durata della prova. Dai campioni di diametro maggiore si ricavano
i parametri più affidabili, in quanto il disturbo apportato ai campioni è all'incirca lo stesso,
qualunque sia la loro dimensione, e gli effetti relativi sono minori per i campioni più grossi. Il
diametro più comunemente usato nelle prove è 64 mm, poiché consente un buon compromesso
tra costo del prelievo dei campioni e disturbo apportato. L'impiego di tubi di diametro maggiore di
76 mm può comportare un supplemento di costo del campione, specialmente se ciò implica
l'esecuzione di un foro di sondaggio più largo.

La prova di consolidazione, come visto, consiste nell'applicare una serie d'incrementi di carico al
campione e nel registrare la deformazione del campione a intervalli di tempo stabiliti: si deve
disporre di un numero di dati di laboratorio sufficiente a calcolare il contenuto d'acqua wN, e il peso
specifico relativo, in modo da poter calcolare l'indice dei vuoti a ogni intervallo di tempo.
I punti tempo-deformazione sono riportati entro un grafico in scala semilogaritmica o √t, come
mostrato in Fig. 5.2. Lo scopo di questi diagrammi è di ricavare il tempo corrispondente ad una
determinata % di consolidazione: il valore t50 (tempo corrispondente alla % di consolidazione pari
al 50%) è quello più comunemente usato: il metodo per ottenerlo è quello di rilevare le letture
corrispondenti al 100% della consolidazione D100 e quella ad inizio prova D0.

Il metodo per calcolare D0 consiste o nell'utilizzare la vera lettura d'inizio della prova oppure, se la
curva iniziale è parabolica, nel determinarne il valore apparente. Ciò può rendersi necessario, in
quanto non è possibile disegnare il logaritmo del tempo per t = 0.
Fig. 5.2 – Metodi per rappresentare i dati tempi-cedimenti. (a) diagramma semilogaritmico per ottenere sia ti che Cα per
una stima della compressione secondaria. (b) diagramma √t usato per ottenere graficamente ti; la prova termina una
volta ricavato t90.

Il valore modificato di D0 può essere ottenuto scegliendo 2 tempi t1 e t2 = 4t1 nel tratto parabolico,
determinandone lo scarto (t2-t1) e riportando tale valore in termini di D sopra t1.

Il valore D100 viene ricavato dall'intersezione delle tangenti al tratto mediano e al ramo finale della
curva, come mostrato in Fig. 5.2a. Se la curva non presenta una coppia di tratti le cui tangenti
siano identificabili è necessario procedere per interpretazione: a volte un aumento della scala
verticale facilita l'individuazione delle tangenti.

Il valore D50 (o corrispondente ad altre % di consolidazione) si ottiene sulla base di D0 e D100.


Proiettando tale valore sulla curva dei cedimenti, si ricava t50 dall'asse dei tempi.

Anche il metodo √t viene usato per il calcolo di t50: questo metodo richiede il tracciamento della
lettura in funzione di √t, approssimando la prima parte del grafico con una linea retta; si prolunga
quindi tale retta fino all'asse delle ascisse individuando un punto con valore > 15% a quello così
trovato (Fig. 5.2b). Si traccia poi una seconda retta passante per tale punto e per l'intercetta della
curva sull'asse delle ordinate. Il valore D90 corrisponde all'intersezione della curva lettura-√t con
questa seconda retta. La lettura iniziale apparente D0 si ottiene come intersezione tra la parte
iniziale rettilinea della curva dei cedimenti con l'asse delle ordinate. Noti i valori D90 e D0, è facile
ricavare D50 e t50 che è il parametro più usato. I valori di t50 ottenuti con i due metodi dovrebbero
essere confrontabili, ma con terreni reali si ottengono a volte grosse differenze. Il metodo √t è più
rapido, poiché la prova può essere conclusa per quel incremento di carico che corrisponde D90;
tuttavia, se è ragionevole attendersi una consolidazione secondaria, è sempre preferibile utilizzare
il grafico semilogaritmico.
5.3.1 – Coefficiente di consolidazione

II parametro t50 viene usato per calcolare il coefficiente di consolidazione (volumetrica) cv, con la
relazione:

cv = TiH2/ti

dove Ti è un fattore temporale (Tab. 5.2), H la lunghezza del percorso di drenaggio più lungo per
una particella d'acqua (in laboratorio è la semialtezza del campione, se il drenaggio avviene
attraverso le due basi) e ti il tempo necessario a far sì che avvenga l’i% della consolidazione (in
genere si usa t50). Secondo alcuni autori i migliori valori di cv, si ottengano ricavando t dal
diagramma in √t. Nelle prove di laboratorio tradizionali si considera generalmente il caso 1 di Tab.
5.2. In corrispondenza del 50% di consolidazione la relazione diviene:

cv = 0.197 H2/t50

Tab. 5.2 – Fattori temporali corrispondenti alle distribuzioni di pressioni indicate.

I vari incrementi di carico forniscono valori diversi di cv, che possono essere riportati sulla curva
(mostrata in Fig. 5.3a) dell'indice dei vuoti o della deformazione in funzione del logaritmo della
pressione p. Il grafico, di norma, è molto irregolare a causa di variazioni dell'indice dei vuoti, della
temperatura e di S. La curva può essere resa più regolare usando una scala verticale ridotta; a
parte questo, la determinazione del valore di cv, da impiegare per la valutazione dei cedimenti in
situ, è un esercizio di giudizio geotecnico. Il tempo necessario a un dato cedimento ti per aver
luogo su un tratto corrispondente all'altezza del percorso di drenaggio Hf, si ricava utilizzando
inversamente la relazione iniziale e sostituendo Hf ad H.
Fig. 5.3 –Metodi per presentare i valori dei cedimenti per ricavare i parametri Cc e C’c. Il metodo per correggere i dati
relativi a un’argilla normalmente consolidata è mostrato in (a). I dati utilizzati per tracciare entrambe le curve sono
mostrati in (b). La leve discrepanza tra i valori di C’c è dovuta al disegno.
5.3.2 – Indici di compressione

II cedimento totale dovuto alla consolidazione primaria viene calcolato usando o l’indice di
compressione Cc, ottenuto diagrammando l'indice dei vuoti in funzione del logaritmo della
pressione, oppure il rapporto di compressione C’c, ottenuto diagrammando la deformazione in
funzione del logaritmo della pressione, come in Fig. 5.3a-b.

L'indice dei vuoti o la deformazione si calcolano sulla base delle condizioni iniziali del campione
e del cedimento dovuto all'incremento di carico corrente fino a D100. Alcune autori hanno utilizzato
il cedimento totale prodotto dall'incremento di carico per calcolare l'indice dei vuoti o la
deformazione corrente ma nella pratica attuale si preferisce l'uso del solo cedimento del campione
fino a D100. Tale valore fornisce un valore leggermente più grande (e più conservativo) degli indici
di compressione Cc e C’c.

Il tratto iniziale della curva e-logp (oppure ε-logp) corrisponde alla ricompressione del campione
fino alla condizione in situ, a seguito dell'espansione avvenuta durante il prelievo (Fig. 5.4).

Fig. 5.4 – Curve indice dei vuoti-logp. (a) diagramma generale per un terreno sovraconsolidato e illustrazione del metodo
per depurare C’ dal disturbo apportato al campione.(b) Cc non è facilmente individuabile quando la struttura del terreno
collassa producendo una brusca interruzione nella curva.

Se il terreno è preconsolidato, la pendenza del diagramma tra i valori di p’0 e p’c correnti, ricavata
interpolando a occhio dato che il diagramma è generalmente curvo, si indica col nome di indice
(Cr) e rapporto (C’r) di ricompressione; in modo analogo si possono definire l'indice (Cs) e il
rapporto (C’s) di rigonfiamento per la fase di scarico successiva al prelievo di un campione
preconsolidato (visibile nel ciclo di scarico e ricarico in Fig. 5.4a).
Al termine della consolidazione primaria (la cui durata viene di norma considerata pari a 24 ore), la
lettura del cedimento non deve variare in maniera apprezzabile per un periodo di tempo
considerevole. Si dice che tale condizione corrisponde alla fine della consolidazione primaria,
allorché la pressione neutra è nulla (o quasi) e si è praticamente nella fase di consolidazione
secondaria che verrà considerata nel seguito, II valore di D100 del paragrafo precedente viene
assunto arbitrariamente come cedimento primario e il corrispondente tempo come quello
necessario a farlo avvenire.

Quando il campione si ricomprime seguendo il ramo di ricompressione della curva e-logp,


raggiunge il punto nel quale gli era stata lasciata l'impronta della precedente storia di carico. Da
questo punto in poi si comprime seguendo la curva del nuovo carico (curva vergine).

La transizione dalla curva di ricompressione alla curva vergine è di grande interesse: per terreni
normalmente consolidati la transizione corrisponde alla pressione geostatica efficace corrente p’0;
per terreni sovraconsolidati tale punto rappresenta l'impronta dello sforzo di preconsolidazione p'c.
Dovrebbe essere superfluo rammentare come tutti gli sforzi considerati siano sforzi efficaci (in
situ si ha una condizione di riposo e in laboratorio la pressione in eccesso nei pori è nulla per
definizione quando si completa un generico incremento di carico sul campione).

La transizione può essere graduale e individuata da una curva, può essere un punto abbastanza
ben individuabile o può corrispondere, di fatto, a una brusca interruzione.

E’ possibile individuare il punto di transizione come quello che a occhio appare come il più
probabile (pratica piuttosto frequente) oppure determinare p'c usando il metodo proposto da
Casagrande e illustrato in Fig. 5.3a. Il metodo comprende i passi seguenti:

- 1 - Determinare a occhio la curvatura più brusca tracciandovi una tangente;

- 2 - Disegnare una linea orizzontale passante per il punto di tangenza tracciando la bisettrice
dell'angolo così individuato;

- 3 - Prolungare la pendenza del tratto finale della curva e-logp sino a intersecare la bisettrice del
punto 2;

- 4 - Prendere come pressione di preconsolidazione pc il valore corrispondente all'intersezione


definita al punto 3.

Tale metodo è applicabile sia a curve e-logp che a diagrammi ε-logp. Il valore di p'c così ottenuto
(in generale, p0 o pc in diagrammi quali quello di Fig. 5.4) viene confrontato con la pressione
geostatica efficace in situ p’0, quindi:

- se p’0 è superiore o inferiore a p’c ~10%, il terreno è probabilmente normalmente consolidato;

- se p’0 > p'c il disturbo apportato al campione può essere stato eccessivo oppure si è in
presenza di un errore di calcolo;

- se p’0 < p'c il terreno è sovraconsolidato e si può valutare OCR = p’c/p'0.

Gli indici dei cedimenti vengono calcolati sulla base delle curve indice dei vuoti (o deformazione) -
logp lungo il ramo vergine, secondo le formule:

(b)
Gli indici di ricompressione Cr e C’r si calcolano in modo analogo ma facendo riferimento al tratto di
curva tra p’0 e p'c. Ove possibile, è abitudine prolungare la pendenza in modo da definire un tratto
corrispondente a un incremento unitario delle ascisse, tale cioè che log (p2/p1) = log 10 = 1, al fine
di semplificare i calcoli.

Sin dai primi sviluppi della teoria della consolidazione, si è potuto altresì osservare come un
campione completamente rimaneggiato dia luogo a una curva che giace sempre al di sotto di
quella relativa a un campione indisturbato, come mostrato qualitativamente in Fig. 5.4a.

Si è anche notato che i terreni a struttura instabile (spesso con wN > wL) mostrano un
comportamento del tipo illustrato in Fig. 5.4b dove, superata la pressione in situ, la struttura del
terreno collassa. Nell’esprimere una qualunque valutazione degli indici dei cedimenti per terreni di
quest'ultimo tipo è necessaria una buona capacità di giudizio geotecnico. A parte questo, per i
suoli del tipo mostrato in Fig. 5.4b, è possibile migliorare la valutazione degli indici di.compressione
Cc e C’c usando un metodo proposto da Schmertmann; dopo aver analizzato un gran numero di
prove di consolidazione, l’autore propose una procedura che consta essenzialmente dei passi
seguenti:

- 1 - Prolungare la porzione rettilinea del ramo terminale fino a che intersechi la retta indice dei
vuoti = ~0.4 (minimo valore dell'indice dei vuoti per la maggior parte dei terreni);

- 2 - Procurarsi il valore dell'indice dei vuoti iniziale del terreno in situ. Il valore di rigonfiamento
misurabile dopo il prelievo è troppo elevato ma si può ottenere una stima presumibilmente
attendibile usando GS e wN (e ~ wN Gs) poiché il terreno in situ è saturo;

- 3 - Determinare la pressione geostatica efficace in situ p’0 (→ vol. 1°);

- 4 - Dal punto di coordinate (p’0, e0) mandare una retta sino al punto individuato al punto 1.

- 5 - La pendenza della retta tracciata al punto 4 è il valore corretto di Cc per un'argilla


normalmente consolidata.

Per un terreno sovraconsolidato, si può stimare un valore corretto di Cc nel modo seguente: i passi
da 1 a 3 sono gli stessi visti per un'argilla normalmente consolidata.

- 4 - Partendo dal punto di coordinate (p’0, e0) tracciare una retta parallela alla tangente alla vera
curva e-logp, individuata a occhio (Fig. 5.4a);

- 5 - Dal punto della retta individuata al punto 4 di ascissa p’c tracciare una retta fino al punto
definito al punto 1;

- 6 - La pendenza della retta individuata al punto 5 dà il corretto valore approssimato di Cc per il


tratto di curva oltre p’c.

Il disturbo apportato al campione riduce sempre il valore di Cc, rispetto a quello in situ; il valore
relativo a un campione completamente rimaneggiato corrisponde a un minimo. Pertanto anche i
valori corretti tendono a essere leggermente più bassi di quelli reali. Holtz et al. riportano i risultati
ottenuti su campioni intagliati a mano e prelevati con un carotiere a pistone d’alta qualità. Mentre
non appare una grande differenza derivante dalla modalità di prelievo, si è potuto osservare che
un qualsiasi disturbo porta ad una riduzione di Cc. E’ opportuno notare come, prelevando dei
campioni orientati orizzontalmente e verticalmente da un blocco intagliato a mano ed eseguendo
due prove di consolidazione, si possa calcolare K0 dalla relazione:

K0 = p’c,H/p’c,v
Si possono a questo punto definire i seguenti termini:

- Dalla porzione rettilinea del diagramma e-logp corrispondente a p ≥ pc si ricava l’indice di


compressibilità av dalla relazione:

av = Δe/Δp

- II coefficiente (o modulo) di compressibilità volumetrica mv è dato dalla relazione:

Fig. 5.5 – Relazioni tra i parametri del terreno per il calcolo dei cedimenti: (sx) relazioni di laboratorio; (dx) relazioni di
campagna.

Dalla Fig. 5.5 si può allora ricavare il cedimento dalla relazione:

(c)

Poiché la deformazione è ε = Δe/(1+e0) e mv è equivalente a 1/Es, si ha semplicemente:

ΔH = εH (d)

Più frequentemente, si calcola ΔH utilizzando Cc e attraverso una relazione ricavata risolvendo (b)
rispetto ad Δe e sostituendo nella precedente (c), così da ottenere la relazione:

(e)

Questa è semplicemente un'altra scrittura della (c), nella quale il significato dei termini è il
seguente:

- Cc è l'indice di compressione (corretto) ricavato dal diagramma e-logp;

- e0 è l'indice dei vuoti medio in situ per lo strato a cui si riferisce Cc;

- H è lo spessore dello strato. Per strati spessi risulta opportuno usare diversi valori di H, Cc ed
e0 e calcolare ΔH come somma dei cedimenti dei vari strati;

- p’0 è la pressione geostatica efficace alla quota media dello strato H;


- Δp è l'aumento medio della pressione nello strato H dovuto alla fondazione, espresso nelle
stesse unità di misura di p’0.

Il cedimento ΔH così calcolato viene espresso nelle stesse unità di misura di H. Dalla definizione di
C'c precedentemente data e dalla (d) si trova la relazione:

(f)

Dal confronto fra la (e) e la (f) si ricava infine:

C’c = Cc/(1+e0)

Queste espressioni possono impiegarsi direttamente per terreni normalmente consolidati. Per
terreni sovraconsolidati devono essere modificate nel modo seguente (Fig. 5.6). Si esprima
l'incremento di sforzo come:

Δp = Δp1 + Δp2

dove Δp2 è la parte di Δp relativa alla zona a destra di p’c fino a Cc. Si rileva così che il cedimento
totale è somma di 2 contributi: quello da p’0 a p’c ed, eventualmente, quello a partire da p’c.

Fig. 5.6 – Ingrandimento della parte superiore della Fig. 5.4 per il calcolo del cedimento dovuto a un incremento dello
sforzo lungo il percorso ABC.

Questi contributi vengono calcolati mediante la teoria della consolidazione nel modo seguente:

Parte 1:

(g)

Parte 2 (eventualmente):
II cedimento totale è ΔH = ΔH1+ΔH2. L'indice di ricompressione Cr (o C’r) che compare nelle
precedenti espressioni viene calcolato in maniera analoga a Cc (o C’c) nel modo mostrato in Fig.
5.4.

Il cedimento calcolato attraverso le (f) o (g) si riferisce alla consolidazione primaria, cioè è il
cedimento che ha luogo durante il periodo di tempo nel quale esiste nel terreno una sovratensione
interstiziale Δu. Alla fine di tale cedimento, hanno luogo ulteriori cedimenti che vanno sotto il nome
di consolidazione secondaria. Questi sono, di norma, limitati ma, in terreni organici o in argille
molto tenere, possono costituire la parte di cedimento più importante. E’ opportuno altresì notare
come nei terreni reali possa esistere una pressione nei pori in eccesso per periodi di tempo molto
lunghi, in particolare all'interno di strati piuttosto spessi in fase di consolidazione. Ciò può essere
dovuto a cedimenti che hanno luogo più rapidamente in corrispondenza delle superfici di
drenaggio, con conseguente riduzione dei vuoti e diminuzione di k, al punto che tali zone
divengono relativamente impermeabili e, di conseguenza, la pressione nei pori in eccesso
all'interno resta bloccata in modo quasi permanente.

5.3.3 – Correlazione tra gli Indici di compressione

La Tab. 5.3 elenca alcune espressioni degli indici di compressione (Cc) e di ricompressione (Cr) in
funzione di alcune proprietà dei terreni di facile determinazione. Calcolato Cc si può ottenere C’c
usando la (g).

Tab. 5.3 – Formule degli Indici di compressione riportate dalle fonti citate.

È ragionevole attendersi che Cc dipenda almeno dall'indice dei vuoti in situ e0, dalla struttura del
terreno, nonché dal tipo e dalla quantità di minerale argilloso presente nel terreno. L'argilla
influenza wL, Ip e, naturalmente, è direttamente legata alla % di materiale di Ø < 0.002 mm. Da tali
considerazioni emerge che le migliori valutazioni si ottengono da quelle espressioni in cui figuri il
minor numero di coefficienti caratteristici di uno specifico sito. Questo commento nasce dal fatto
che, negli studi statistici, le espressioni più semplici danno spesso buoni valori per quanto
l'interesse non sia tanto quello di ottenere un valore buono in assoluto bensì un valore applicabile
al sito in esame.

Quando nell'espressione compaiono wN, e0 e/o wL questa può essere impiegata per terreni
sovraconsolidati. È evidente che, per S = 100%, e0 è legato direttamente sia a wN che a wL
dall’equazione e = wiGS.

E’ anche opportuno calcolare Cc attraverso più d’una delle espressioni elencate mediando poi i
risultati oppure, qualora i questi fossero molto dispersi, effettuare una prova di consolidazione.

La pressione di preconsolidazione può essere calcolata attraverso un’equazione proposta da


Nagaraj e Murthy per terreni sovraconsolidati dalla pressione geostatica; tale espressione, rivista
da altri autori, viene espressa dalla:

dove le pressioni vanno espresse in kPa. Il rapporto di sovraconsolidazione calcolato attraverso


questa espressione è in buon accordo con i valori forniti da altri ricercatori ma dovrebbe essere
utilizzato con cautela e, comunque, essere confortato da una stima anche speditiva a seconda
della collocazione di wN rispetto a wp e wL.

Per terreni sovraconsolidati da cementazione e ritiro, l'espressione proposta è:

in kPa: dove su è la resistenza al taglio in situ in condizioni non drenate (→ vol. 1°) e determinata
in situ mediante uno scissometro.

5.3.4 – Consolidazione secondaria

Per consolidazione secondaria (o compressione secondaria, o creep) s'intende quel cedimento


che ha luogo dopo la consolidazione primaria, come osservato in precedenza.

Al termine della consolidazione secondaria, il terreno si trova in una nuova condizione di riposo. La
pendenza del ramo secondario della curva lettura dello strumento-logaritmo del tempo viene
utilizzata per calcolare il coefficiente di consolidazione secondaria Cα dato dalla formula (Fig. 5.2):

Facendo uso del coefficiente di consolidazione secondaria è possibile valutare il cedimento


secondario ΔHf dopo un certo tempo t2 = t1+Δt, dalla relazione:
dove H è l'altezza del campione di laboratorio; ΔH, la variazione dell'altezza del campione
nell'intervallo da t1 a t2; Hf l’altezza dello strato in fase di consolidazione in situ.

La pendenza del ramo secondario della curva cedimento-logaritmo del tempo è praticamente
costante per terreni rimaneggiati. Per campioni di terreno indisturbati Cα va ricavato come
pendenza della curva cedimento-logaritmo del tempo ottenuta in laboratorio sotto una pressione
quanto più possibile prossima alla pressione in situ. Nonostante questo accorgimento, tuttavia, i
cedimenti secondari derivanti dal calcolo non risultano molto affidabili.

Per fini geotecnici il periodo interessato dalla consolidazione secondaria può essere compreso
entro 5÷50 anni; comunque, affinché si possa veramente ripristinare una condizione di riposo,
potrebbe essere necessario, con ogni probabilità, attendere un periodo di tempo pari ad un
intervallo cronostratigrafico o, talora, anche ad un’era geologica.
5.4 – Capacità portante delle fondazioni

Un terreno deve essere in grado di reggere il carico che gli viene trasmesso da qualsiasi
costruzione su di esso gravante senza che venga a prodursi una rottura per taglio e senza che i
cedimenti provocati dal carico siano eccessivi per la costruzione. Il presente paragrafo affronta il
problema del calcolo della resistenza limite al taglio, o capacità portante ultima (qULT) di un terreno
caricato da una fondazione mentre il problema della valutazione dei cedimenti viene affrontato nel
paragrafo successivo.

Una rottura a taglio del terreno può dar luogo a una deformazione eccessiva, se non addirittura al
collasso, di un edificio. Cedimenti eccessivi, in generale, possono provocare danni strutturali al
telaio di un edificio, inconvenienti quali porte e finestre che si bloccano, fessure nelle piastrelle e
nell'intonaco, nonché un'usura eccessiva o la rottura d’impianti dovuta al disassamento provocato
dai cedimenti medesimi.

In tempi recenti l'inclinazione o il crollo di un edificio a seguito di rottura per taglio alla base si sono
verificati raramente: la maggior parte dei crolli di cui si abbia notizia si è verificata alla base di
terrapieni o di strutture analoghe, per le quali era stato ritenuto accettabile un coefficiente di
sicurezza basso. La maggior parte dei danni strutturali attribuiti a fondazioni mal progettate,
pertanto, permane conseguenza di cedimenti eccessivi. Tuttavia, anche in questi casi, è
comunque raro che si verifichi un crollo strutturale: e questo è in parte dovuto al fatto che i
cedimenti si sviluppano lungo un certo arco di tempo per cui, quando compaiono fessure o altri
segnali di danno, si ha tempo a sufficienza per prendere delle contromisure.

Per una qualsiasi struttura, è necessario studiare sia la resistenza al taglio alla base della
fondazione che i cedimenti. In molti casi i criteri per la limitazione dei cedimenti vincolano la
capacità portante ammissibile; comunque, in un buon numero di casi, è dal taglio alla base che
dipende il valore della capacità portante. Ad es., la capacità portante ammissibile per fondazioni su
terreni coesivi insaturi si basa sulla resistenza a compressione in espansione laterale libera, il
che costituisce, a propria volta, una semplificazione delle formule della capacità portante
presentate in questo paragrafo.

Viceversa, strutture fondate su terreni teneri, quali i serbatoi di stoccaggio per liquidi e/o platee di
fondazione, possono essere più sensibili a rotture per taglio alla base che non a cedimenti,
soprattutto nel caso in cui il carico agente sulla struttura sia tale da provocarne un cedimento
uniforme e quando sono tollerabili spostamenti di una certa entità.

E’ in ogni caso da notare che, sebbene la successiva trattazione verta principalmente sulla
capacità portante delle fondazioni di strutture intelaiate e d’impianti, le medesime considerazioni
valgono per il calcolo della capacità portante di altre strutture, quali basamenti di torri, dighe e
terrapieni; in più, proprio perché in termini geologico-tecnici la valutazione della capacità portante
viene a complicarsi in presenza di terreni stratificati, oppure per fondazioni su (o in prossimità di)
pendii e, ancora, per fondazioni il cui carico di progetto è costituito essenzialmente da trazione,
vengono affrontati nel presente paragrafo anche i problemi di calcolo della capacità portante in
relazione a tali effetti.

Concludendo, le prescrizioni sulla capacità portante ammissibile (qa) da utilizzare in sede di


progetto si basano o su considerazioni riguardanti i cedimenti o sulla capacità portante ultima
(qULT) calcolata nel modo illustrato nei paragrafi successivi. Tale capacità portante ultima viene
divisa per un opportuno fattore di sicurezza (FS), ottenendo la relazione:

qa = qult/FS
II fattore di sicurezza dipende, a propria volta, dal tipo di terreno (coesivo o incoerente),
dall'affidabilità dei parametri, da informazioni riguardanti la tipologia della struttura (funzione, livello
d’importanza etc.) nonché dalla prudenza del progettista.

5.4.1 – Capacità portante

Dalle Figg. 5.7a e 5.8 appare chiaramente come, quando il carico gravante sulla fondazione
produca una pressione pari a quella massima sopportabile (qULT), possono aversi due modi di
rottura potenziali, nei quali la fondazione può:

- ruotare attorno a un centro di rotazione (situato probabilmente sulla linea verticale Oa di Fig.
5.7a) mentre lungo la superficie di scorrimento, indicata in figura con un cerchio, si sviluppa la
resistenza al taglio;

- puntare il terreno come il cuneo agb di Fig. 5.8 o come il cuneo curvilineo ObO' di Figura 5.7a.

È chiaro che a entrambi i modi di rottura potenziali corrisponde lo sviluppo della resistenza al taglio
limite del terreno lungo la superficie di scorrimento, secondo la formula della resistenza al taglio:

s = c + σn tg φ

Questa relazione è stata data come equazione dell'inviluppo dei cerchi di Mohr a rottura; in tale
formula si utilizzano di solito i parametri di resistenza in termini di sforzi totali; per alcune condizioni
di carico, tuttavia, può essere più indicato l'uso dei parametri in termini di sforzi efficaci, ad es. per
carichi di lunga durata applicati lentamente.

Fig. 5.7 – Calcolo approssimato della capacità portante per un terreno con φ = 0.
Il problema della determinazione di un valore accettabile di qULT (corrispondente allo sviluppo della
resistenza al taglio limite) è stato ampiamente trattato in letteratura e diversi sono i metodi di
calcolo approssimati che hanno avuto una certa diffusione. La complessità del problema viene
illustrata esaminando brevemente alcune di tali espressioni e studiando quindi, nel paragrafo
successivo, alcuni dei metodi di calcolo più diffusi della capacità portante.

Dalla Fig. 5.7a è possibile ottenere una soluzione approssimata, in favore di sicurezza (limite
inferiore della capacità portante), per una striscia di lunghezza unitaria di una fondazione B x L
illimitata (con L →∞) su di un terreno con φ = 0 nel modo seguente: allorché la fondazione
sprofonda nel terreno, nel blocco 1 (sinistra della linea verticale OY) gli sforzi principali sono quelli
indicati; tuttavia, a causa dell'affondamento nel terreno, il terreno a destra della linea OY viene
spostato lateralmente e, conseguentemente, lo sforzo principale massimo nel blocco 2 è quello
orizzontale, come indicato. Agli sforzi principali nei due blocchi corrispondono i cerchi di Mohr
mostrati in Fig. 5.7c (mostrati anche nel caso φ >0). Lungo la linea verticale di separazione dei due
blocchi OY, deve risultare ovvia mentre σ3,1 = σ1,2 ma con una rotazione di 90° degli sforzi
principali nel passaggio da un blocco all'altro.

Fig. 5.8 – Calcolo approssimato della capacità portante per un terreno con attrito e coesione.

Dal vol. 1° si ha:

Nel caso φ = 0 risulta: tg (45°+φ/2) = tg2 (45°+φ/2) = 1; inoltre nel punto O (spigolo della
fondazione) si ha, per il blocco 2, σ3,2 = q-. Sostituendo questi valori nella precedente relazione si
ottiene che lo sforzo principale massimo vale

σ3,1 = σ1,2 = q-(1) + 2c(1)

Utilizzando ancora la medesima relazione si ha che, immediatamente al di sotto delle fondazione


nel blocco 1, lo sforzo principale massimo σ1,2 è:
σ1,1 = qULT = σ3,1(1) + 2c(1)

Sostituendo infine l'espressione di σ3,1 data nelle ultime applicazioni, si ricava:

qULT = q- + 2c + 2c = 4c + q-

In particolare, se la fondazione si trova sulla superficie del terreno, il sovraccarico q- è nullo e si ha:

qULT = 4c

Per ottenere un limite superiore di qULT, si assume che la fondazione ruoti attorno al punto O. Si
osservi che la rotazione potrebbe avvenire allo stesso modo attorno a O' e che in alcuni casi, se il
terreno nelle due possibili zone in rotazione presentasse esattamente la medesima resistenza, il
cuneo ObO' potrebbe affondare nel terreno. Statisticamente è molto improbabile che non si
produca per prima una rotazione (come confermano, in generale, le rotture osservate nella realtà),
per la presenza di gallerie di anellidi, radici e altre inclusioni che rendono disuniforme la resistenza.
Sommando i momenti attorno al punto O si ottiene che la resistenza al taglio lungo il perimetro e il
sovraccarico q-, sommati, si oppongono alla pressione qULT sotto la fondazione; di conseguenza:

Risolvendo rispetto a qULT si ottiene:

qULT = 2πc + q-

Ne deriva che, per q- = 0, la capacità (o pressione) portante ultima è compresa tra 4c e 6.28c (la
media di questi due valori è 5.14c che, casualmente, coincide col valore (π+2) fornito dalla teoria
della plasticità). In effetti, cercando lungo la linea Oa ed alla sua destra il centro di rotazione cui
corrisponda un minimo, si ottiene un valore pari a circa 5.5 < 2π.

5.4.2 – Fondazioni su terreni dotati di attrito e coesione

In Fig. 5.8 è illustrato un possibile caso di fondazione su un terreno dotato sia di attrito che di
coesione. In base a considerazioni di carattere sia teorico che sperimentale la zona di rottura,
come mostrato, si presenta cuneiforme. Quando il cuneo affonda nel terreno, lungo la linea ag sì
sviluppano pressioni laterali che tendono a far spostare il blocco agf orizzontalmente, contro il
cuneo afe. Gli sforzi lungo la linea verticale af sono mostrati sul piccolo elemento disegnato a
destra di tale linea. Facendo uso dei cerchi di Mohr é possibile mostrare che, se la base della
fondazione è liscia per cui ab è un piano principale nel cuneo agb, le linee su cui agisce uno sforzo
limite sono inclinate di α = 45°+φ/2 sull’orizzontale, come mostra il piccolo elemento disegnato.
Analogamente, nel cuneo afe, le linee di rottura sono inclinate di β = 45°–β/2 e intersecano la linea
ae (considerata anch’essa piano principale) secondo l'angolo β.

Sulla base dello sforzo agente nel blocco a destra della linea verticale af (di lunghezza H) è
possibile calcolare, integrando l’espressione generale, la forza PP, che rappresenta la resistenza
globalmente offerta dal terreno:

Usando la definizione di kp data in Fig. 5.8 e integrando (come necessario, dal momento che σ1
varia tra a e f in funzione della profondità z), si ricava:
Per ricavare qULT basta annullare la somma delle forze agenti in direzione verticale sulla metà adg
del cuneo di lunghezza unitaria; usando le forze mostrate in figura si ottiene:

Sostituendo i valori di H e A mostrati in Fig. 5.8 si ricava:

Introducendo i fattori N, che rappresentano i moltiplicatori dei termini c, q- e γB, si può dare alla
relazione ultima la forma comunemente usata (canonica):

Come è possibile osservare nel successivo paragrafo, la relazione sottostima qULT per più ragioni:

- 1 – E’ stata trascurata la zona afg;

- 2 - La superficie di contatto tra fondazione e terreno è, in genere, scabra ed esprime un


contributo resistente dovuto all'attrito;

- 3 - La forma del blocco agfe indicata definisce solo vagamente la zona che si oppone al
movimento del cuneo nel terreno. La superficie di scorrimento tra g ed f (e parzialmente tra f ed e)
è approssimata con miglior precisione da una spirale logaritmica;

- 4 - La soluzione vale per una striscia di larghezza unitaria appartenente a una fondazione
illimitatamente lunga, per cui deve essere modificata per fondazioni quadrate, circolari o di
lunghezza finita (necessita, cioè, di un fattore di forma);

- 5 - Il contributo di resistenza al taglio del terreno compreso nella zona che va dal piano ae alla
superficie è stato trascurato. Questo richiede una correzione (cioè un fattore di profondità);

- 6 - Se la pressione qULT è inclinata rispetto alla verticale, ovvero ha anche una componente
orizzontale, sono necessari altri fattori correttivi (cioè fattori d’inclinazione).

Nel concludere, si ritiene opportuno comunque far notare che le relazioni fin qui ricavate servono
solo ad illustrare i problemi riscontrabili nel definire la capacità portante ultima di un terreno, e
come quindi le medesime non siano da usarsi in sede di progetto. Ai fini progettuali, infatti,
vengono utilizzate le formule riportate nel paragrafo successivo.

5.4.3 – Relazioni utilizzabili per definire la capacità portante

Non esiste attualmente alcun metodo per determinare, se non qualitativamente, la capacità
portante di una fondazione.
Tutti i metodi hanno avuto una limitata validazione sperimentale, principalmente ricorrendo a
modelli di fondazioni. E’ frequente l’uso di modelli di dimensioni B = 25÷75 mm x L = 25÷200 mm
in quanto il carico ultimo può essere applicato in laboratorio su un elemento di terreno racchiuso in
un opportuno contenitore utilizzando le apparecchiature di compressione comunemente disponibili,
la cui capacità è dell'ordine dei 400 kN. Fondazioni in scala reale di dimensioni ridotte (anche solo
di 1 m x 1 m) possono avere un carico ultimo di 3000÷4000 kN di modo che, per produrre e
misurare carichi di tale intensità, si deve ricorrere a costose attrezzature di prova in situ.

È noto che le prove su tali modelli, in particolare per fondazioni su sabbia, non forniscono risultati
affidabili in confronto ai prototipi in scala 1:1. Ciò è dovuto agli effetti di scala, in quanto la reazione
del modello interessa solo un numero di grani di terreno statisticamente piccolo se confrontato con
quello interessato dal modello in scala reale.

Si consideri, ad es., della sabbia che necessiti di un confinamento laterale per offrire resistenza. La
zona confinata al di sotto di un modello 25 x 50 mm è praticamente nulla in confronto alla zona
confinata al di sotto di una fondazione di dimensioni anche ridotte (ad es., 1 m x 2 m). È chiaro
inoltre, dalle Figg. 5.7 e 5.8 che la profondità interessata dagli sforzi è decisamente diversa nei due
casi. Nonostante questo notevole difetto, il ricorso a prove su modelli è molto diffuso e in
letteratura compaiono regolarmente i risultati di nuovi programmi sperimentali.

5.4.3.1 – La formula di Terzaghi della capacità portante

Una delle prime famiglie di formule per il calcolo della capacità portante fu proposta da Terzaghi ed
è riportata in Tab. 5.4. Si tratta di formule simili alla relazione canonica ottenuta nel paragrafo
precedente, nelle quali compaiono però i fattori di forma di cui si è parlato discutendo delle
limitazioni sull'uso di tale formula. Terzaghi ottenne le sue formule modificando leggermente la
teoria per il calcolo della capacità portante sviluppata da Prandtl, che applicò la teoria della
plasticità allo studio del puntamento di una base rigida in un materiale più tenero (terreno).

In modo analogo alla relazione canonica la formula fondamentale fa riferimento ad una striscia di
larghezza unitaria appartenente ad una fondazione nastriforme che produce uno stato piano nelle
deformazioni, nel qual caso tutti i fattori di forma si valgono 1 ma i fattori Ni sono calcolati
diversamente.

Terzaghi, inoltre, assume α = φ nelle Figg. 5.7 e 5.8 mentre nella maggior parte delle altre teorie si
considera α = 45°+φ/2, come mostrato. Dalla Tab. 5.4 si può osservare come Terzaghi introduca
dei fattori di forma solo nei termini in cui compaiono la coesione (sc) e il peso del terreno (sγ).
Analogamente alla relazione canonica la formula di Terzaghi della capacità portante si ottiene
sommando le forze verticali agenti sul cuneo bac di Fig. 5.9. I fattori N sono diversi in quanto
Terzaghi ipotizza che l'arco ad sia una spirale logaritmica e che il cuneo cde sia quello mostrato in
Fig. 5.9. Da questo deriva una sostanziale differenza nel calcolo di Pp che a sua volta da luogo a
valori di Ni diversi. Le linee di scorrimento mostrate in Fig. 5.9 danno un'idea dell'andamento degli
sforzi nella zona plasticizzata al di sotto della fondazione al raggiungimento della pressione limite.
Tab. 5.4 – Formule per il calcolo della capacità portante proposte dai vari autori.

Le formule della capacità portante di Terzaghi valgono per fondazioni superficiali, per le quali:

D≤B

di modo che la resistenza al taglio lungo il tratto cd di Fig. 5.9a possa essere trascurata; la Tab.
5.4 riporta la formula di Terzaghi nonché le formule per il calcolo dei vari fattori Ni e dei due fattori
di forma si. La Tab. 5.5 riporta una breve lista di fattori N ottenuti attraverso un programma di
calcolo, redatta a scopo illustrativo e di rapida consultazione.
Fig. 5.9 – (a) Fondazione superficiale con base scabra. Le formule di Terzaghi e di Hansen di Tab. 5.4 non tengono
conto del taglio lungo cd; (b) Interazione suolo-fondazione per il calcolo della capacità portante di fondazioni nastriformi:
la parte sinistra del disegno vale per le Formule di Terzaghi e di Hansen, quella di destra per la formula di Mayerhof.

Terzaghi, pur non avendo spiegato chiaramente come abbia ricavato il coefficiente Kpγ utilizzato
per il calcolo di Nγ, ha tuttavia fornito un diagramma di Nγ in funzione di φ e 3 valori particolari di N
per φ = 0°, 34° e 48°.

Tab. 5.5 – Coefficienti di portata che compaiono nella formula di Terzaghi. I valori di Nγ corrispondenti a φ = 0°, 34° e
48°, sono quelli originariamente calcolati e usati per risalire a Kpγ.

L'autore ha preso altri punti di tale curva ed è risalito a ritroso a Kpγ mediante un programma di
calcolo, in modo da ottenere, per interpolazione, una tabella di valori da cui calcolare N nel modo
indicato. Dall'esame della Tab. 5.7 si può osservare che i valori Nγ(M) ottenuti da Meyerhof sono
abbastanza vicini a questi, tranne che per φ>40°. Tra le altre approssimazioni di Nγ si segnalano le
seguenti:

Nγ = 2(Nq+1) tg φ (Vesic)
Nγ = 1.1(Nq-1) tg (1.3 φ) (Spangler e Handy)

Tra tutti i coefficienti N, Nγ è quello caratterizzato dalla più ampia variabilità dei valori proposti; da
un'indagine bibliografica si è ottenuto: 38 ≤ Nγ ≤ 192, per φ = 40°.

Nella presente trattazione l'intervallo di variabilità massimo oscilla entro 80 e 109 per φ = 40°.
Fortunatamente questo termine non da un contributo significativo a qULT, per cui si rivela possibile
utilizzare, praticamente, qualsiasi valore ragionevole.

Tab. 5.6 – Fattori di forma, profondità e inclinazione che compaiono nella formula di Meyerhof per il calcolo della
capacità portante.

5.4.3.2 – Formula di Meyerhof per la capacità portante

Meyerhof propose una formula per il calcolo della capacità portante simile a quella di Terzaghi,
introducendo tuttavia un fattore di forma sq nel termine che tiene conto della profondità Nq. Inoltre
introdusse dei fattori di profondità di e di pendenza fi (di entrambi dei quali si è detto nella
discussione sulla formula generale] per i casi in cui il carico trasmesso dalla fondazione è inclinato
sulla verticale. Ne derivano formule la cui scrittura generale è riportata in Tab. 5.4, dove i valori dei
coefficienti N sono elencati in Tab. 5.7.

Con riferimento alla Fig. 5.9b i valori dei coefficienti N furono ottenuti da Meyerhof ipotizzando vari
archi di prova ad' (ovvero varie zone abd') e dando al taglio, lungo il tratto cd di Fig. 5.9a
un'espressione approssimata. I fattori di forma, di profondità e di pendenza riportati in Tab. 5.6
sono tratti da Meyerhof e differiscono leggermente dai valori da egli stesso proposti in precedenza.
I fattori di forma non differiscono molto da quelli di Terzaghi, se non per l'introduzione di sq.
Osservando che l'effetto del taglio lungo la linea cd di Fig. 5.9a era ancora parzialmente
trascurato, Meyerhof introdusse dei fattori di profondità di.

Tab. 5.7 – Coefficienti di portata che compaiono nelle formule di Meyerhof, Hansen e Vesic per il calcolo della capacità
portante. Si noti che Nc e Nq sono gli stessi per tutte e 3 le formule; l’autore è contraddistinto dal pedice di Nγ.

Egli propose inoltre di usare dei fattori d'inclinazione per ridurre la capacità portante nel caso in cui
la risultante dei carichi è inclinata di un angolo θ sulla verticale.

Il valore di qULT ottenuto da Meyerhof non differisce sensibilmente da quello di Terzaghi fino a D=B
mentre per rapporti D/B elevati la differenza è più pronunciata.

5.4.3.3 – Metodo di Hansen per la valutazione della capacità portante

Hansen propose una formula per la capacità portante nel caso generale, riportata in Tab. 5.4
assieme alle espressioni dei fattori N. È immediato constatare che si tratta di un'ulteriore
estensione della prima formula di Meyerhof. I fattori di forma, profondità etc. che compaiono nella
formula generale della capacità portante di Hansen sono riportati in Tab. 5.8. Le estensioni
comprendono un fattore bi, che tiene conto dell'eventuale inclinazione del piano di posa della
fondazione sull'orizzontale, ed un fattore gi per il caso in cui la fondazione poggi su un terreno in
pendenza. Alcuni valori dei coefficienti N che compaiono nella formula di Hansen sono riportati in
Tab. 5.7.

Si può utilizzare una qualsiasi delle formule di Tab. 5.8 senza l'indice (V); eventuali limitazioni e
restrizioni sono segnalate in tabella. Se la componente orizzontale del carico H è parallela a B,
ossia agisce nel senso della larghezza nel termine contenente Nγ nella formula della capacità
portante si deve usare la quantità ridotta B' (Fig. 5.9) mentre, se H è parallela a L (cioè agisce nel
senso della lunghezza), si deve usare L'. Una misura d’ulteriore restrizione è ii > 0; infatti un valore
ii ≤ 0 corrisponde ad una fondazione instabile per la quale si rende necessario un nuovo
dimensionamento prima di procedere. Nel caso di fondazioni su argilla con φ = 0, si calcoli ic
utilizzando a seconda dei casi H parallela a B e/o a L osservando che essa compare come
costante negativa nella formula modificata della capacità portante.

E’ da osservare come, quando la base è inclinata, V e H indichino rispettivamente le componenti


del carico parallela e perpendicolare alla base, come nel caso in cui la base è orizzontale.

Per fondazioni in pendenza, si usano dei fattori gi per ridurre la capacità portante; tali fattori,
tuttavia, vanno usati con cautela in quanto confortati da scarsi dati sperimentali, limitati in pratica a
quelli ottenuti in laboratorio da Shields da modelli di fondazioni collocate su sabbia in pendenza.
Nella realtà operativa, in ogni caso, è difficile immaginare il ricorso a un plinto su terreno
incoerente in pendenza, a meno che la pendenza β non sia molto debole e che il plinto non sia
collocato a una profondità D notevole. Comunque, dato che nel terreno in pendenza esistono già
degli sforzi tangenziali (con funzione trattenitiva per il pendio) non si deve convertire φtr (triassiale)
nel valore φps (superiore) valido in stati di deformazione piana mentre si deve, viceversa, usare un
coefficiente di sicurezza maggiore.

La formula di Hansen vale per un rapporto D/B qualunque e può pertanto essere usata per
fondazioni sia superficiali che profonde (pali e pozzi trivellati).

Tab. 5.8 – Fattori di forma, profondità e inclinazioni di carico, terreno e piano di posa nelle formule di calcolo della
capacità portante di Hansen e Vesic. Le espressioni dei fattori valgono per entrambe le formule tranne per quelli
contraddistinti dagli indici (H) e (V). Quando φ = 0 si usano i fattori contraddistinti da un apice.

Dall'esame del termine q-Nγ si vede che a una profondità elevata corrisponderebbe un forte
aumento di qULT. Per ridurre tale aumento, Hansen ha introdotto i seguenti fattori:
In tal modo si ha una discontinuità per D/B = 1 (è da notare l'uso di ≤ e >). Nel caso φ = 0° si ha:

Si può osservare che, usando tg-1 D/B per D/B > 1, si riduce l'aumento di dc e dq; questo concorda
con le osservazioni sperimentali, in base alle quali qULT raggiunge un valore limite per un
determinato rapporto D/B, corrispondente a un valore di D detto profondità critica.

5.4.3.4 – Formule di Vesic per la capacità portante

Vale la pena accennare brevemente al metodo di Vesic che coincide essenzialmente con quello di
Hansen. Le principali differenze tra i due metodi consistono nell'uso di coefficienti Nγ leggermente
diversi (Tab. 5.7) e in una modifica di alcuni tra i fattori di Hansen ii, bi e gi caratterizzati dall'indice
(V) in Tab. 5.8. Nella formula di Vesic si può utilizzare uno qualsiasi dei fattori senza l'indice (H).

E’ comunque da osservare come alcuni dei coefficienti di Vesic siano meno conservativi di quelli di
Hansen; inoltre, dal momento che nessuno dei due metodi è stato validato mediante un esteso
numero di prove su fondazioni in grandezza reale, è consigliabile la loro applicazione con una
certa cautela.

Tab. 5.9 – Confronto tra valori della capacità portante teorici e sperimentali.

5.4.3.5 – Formule per la progettazione

La letteratura, nella quale si cercano solitamente i dati che comprovino la validità di una formula,
riporta solo poche prove su fondazioni in grandezza reale. Ciò deriva, come già detto, dall'entità
del loro costo che è difficile da giustificare se non per scopi di ricerca pura oppure per una precisa
finalità nell'ambito di un progetto particolare; i risultati si basano solitamente sul controllo dei
cedimenti. Solo pochi committenti accettano di finanziare una prova di carico su una fondazione in
grandezza reale quando la sua capacità portante può essere ottenuta empiricamente, con una
approssimazione sufficiente per la maggior parte dei progetti, usando direttamente prove
penetrometriche standard o statiche.
Nella Tab. 5.9 sono riassunti i dati di otto prove di carico su fondazioni aventi dimensioni
leggermente superiori a quelle di un modello e per le quali i parametri del terreno sono stati
determinati con la massima precisione possibile. I parametri del terreno e qULT (kg/cm2) sono
riportati da Milovic. Le diverse formule presentate in tale contesto sono state impiegate
modificando i parametri per tener conto delle condizioni di deformazioni piane per L/B > 1.
Confrontando i valori di qULT calcolati con quelli sperimentali, si nota come nessuno dei metodi
proposti si riveli significativamente vantaggioso rispetto agli altri in termini di precisione delle
previsioni teoriche. In tutti i casi, salvo che col metodo di Balla, l'uso di φps al posto di φtr per L/B >
1 ha reso più preciso il calcolo di qULT. È consigliabile l'uso di φps al posto di φtr quando L/B > 2,
ma non quando L/B ≤ 2 o per fondazioni circolari, casi nei quali il cuneo di terreno al di sotto della
fondazione si trova in uno stato assimilabile molto meglio a uno stato di deformazione triassiale
che non a uno stato piano nelle deformazioni.

In ogni caso, essendo state proposte per prime, le formule di Terzaghi sono state largamente
utilizzate, venendo oggi, e spesso, ancora usate per la semplicità derivante dal non dover
calcolare i fattori aggiuntivi di forma, profondità etc. Chiaramente sono valide solo per fondazioni
orizzontali soggette a carico centrato (caso più comune.) mentre non sono applicabili a pilastri
soggetti a momento o con base inclinata.

Secondo l'opinione di alcuni studiosi, le formule di Terzaghi sono eccessivamente conservative e


valgono probabilmente per terreni debolmente coesivi e per D di un ordine compreso fra B/2 o 2B.
Ciò è parzialmente confermato dalla Tab. 5.9 ma, più che altro, dai risultati sperimentali. E’ da
sottolineare, tuttavia, che i valori teorici di qULT riportati in Tab. 5.9, ottenuti con uno qualsiasi dei
metodi, sovrastimano i valori sperimentali per i terreni maggiormente coesivi.

La capacità portante della fondazione quadrata su sabbia, infatti, è stata abbondantemente


sottostimata rispetto a quella delle fondazioni con L/B = 4; di conseguenza può essere
conveniente utilizzare un angolo d'attrito basso (ad es. φ = 30°) e modificare il fattore di sicurezza,
piuttosto che usare formule complicate che forniscono previsioni teoriche tanto scadenti. Ciò vale,
in particolare, alla luce del fatto che la rottura per eccesso di carico è probabilmente di tipo
progressivo (φ varia lungo la superficie di scorrimento) e che sono i cedimenti, piuttosto che la
resistenza al taglio, a dover essere controllati in tutte le fondazioni, salvo in quelle nastriformi
strette.

Rimane comunque da osservare come sia il metodo di Meyerhof che quello di Hansen vengano
diffusamente impiegati mentre il metodo di Vesic, viceversa, non risulti, al momento, ancora molto
utilizzato benché sia quello consigliato dall’API Handbook RP2A.

Sulla base di tali osservazioni si può proporre allora il seguente schema:

5.4.4 – Considerazioni sull’impiego delle formule della capacità portante

È’ opportuno, in ogni caso, evitare l'uso di tabelle quando la determinazione dei coefficienti N
richiede un'interpolazione in un intervallo >~2°; si rivela, altresì, banale implementare le formule
che forniscono i valori di N ogni 1° o, al massimo, ogni 2° (non riportati nella presente trattazione)
al fine di esprimere in qualche modo un'interpolazione altamente accurata. Per angoli > 30°, infatti,
il valore dei coefficienti varia rapidamente e sensibilmente, motivo per cui l'interpolazione è
comunque in grado di produrre errori (o differenze) considerevoli.

I metodi usati per giungere alle formule della capacità portante, inoltre, non soddisfano l'equilibrio
dei momenti bensì le equazioni ΣFH = ΣFv = 0. Non si tratta di un errore grave, in quanto in
corrispondenza del carico ultimo l'equilibrio è chiaramente garantito, ma naturalmente il modello
d'interazione potrebbe non rivelarsi il medesimo.

Lo stato di sforzo nel terreno in corrispondenza del carico di progetto qa è indeterminato,


analogamente allo stato di sforzo in una prova di taglio triassiale (o di altro tipo), tranne che a
rottura.

Nella maggior parte dei casi le formule della capacità portante sono tendenzialmente conservative,
in quanto è prassi comune utilizzare delle approssimazioni in favore della sicurezza dei parametri
del terreno. Inoltre, una volta ottenuto un valore conservativo qULT , questo viene ulteriormente
ridotto mediante un fattore di sicurezza e trasformato in qa. Ciò significa che esiste un'elevata
probabilità che qa sia un valore sicuro.

Quando Terzaghi ottenne le formule della capacità portante suppose che si verificasse una rottura
a taglio globale in un terreno denso ed una rottura a taglio localizzata in un terreno sciolto. Nel
caso di rottura localizzata propose allora di ridurre la coesione e l'angolo d'attrito nel modo
seguente:

Terzaghi (ma anche altri autori) considerano che la base di contatto col terreno possa essere liscia
o scabra; appare tuttavia improbabile che una fondazione venga posta su un terreno sciolto: le
fondazioni in calcestruzzo gettate direttamente sul terreno sono quindi sempre scabre. Anche la
base dei serbatoi metallici non è mai liscia, in quanto viene sempre trattata con asfalto o vernici
protettive per resistere alla corrosione.

Usando invece fondazioni piccole, caratterizzate al massimo da B = 1m, sembra abbastanza


chiaro come il termine BNγ non aumenti indefinitamente la capacità portante; conseguentemente,
per valori elevati di B, sia secondo Vesic che De Beer, il valore limite di qULT è prossimo a quello di
una fondazione profonda. L'autore propone il seguente fattore di riduzione (rivisto rispetto
all'edizione precedente):

Dove k = 2 se B è espresso in m. Ciò offre la serie:

E’ possibile utilizzare questo fattore di riduzione in una qualsiasi delle formule della capacità
portante, ottenendo:
Tale relazione è di particolare utilità per fondazioni larghe con rapporto D/B basso, caso nel quale
il termine BNγ è predominante.

Riguardo alle formule della capacità portante si possono esprimere le seguenti osservazioni di
carattere generale:

- 1 - Il termine di coesione è predominante in terreni coesivi;

- 2 - l termine di profondità (q-Nq) è predominante in terreni incoerenti: anche una piccola


profondità D produce un sensibile aumento di qULT.

- 3 - Il termine dipendente dalla larghezza della base 0.5γBNγ produce un determinato aumento
della capacità portante in terreni sia coesivi che granulari. Nei casi in cui B < 3÷4m, questo termine
può essere trascurato senza commettere errori apprezzabili;

- 4 – Appare improbabile che venga gettata una fondazione superficiale su un terreno granulare;

- 5 – Allo stesso modo risulta fortemente improbabile che una fondazione venga gettata su un
terreno granulare con Dr < 0.5. In generale, se il terreno è sciolto, prima che vi venga posta in
opera una fondazione lo stesso viene compattato a mezzo di opportuna tecnica, aumentandone la
densità;

- 6 - Quando il terreno sottostante la fondazione non è omogeneo oppure è stratificato, la


determinazione della capacità portante deve essere eseguita con una certa accortezza. Nei
successivi paragrafi vengono trattati diversi casi di terreni stratificati;

- 7 - Quando si progetta la larghezza di una fondazione soggetta a un dato carico è necessario


(tranne che con la formula di Terzaghi) usare un procedimento iterativo, in quanto i fattori di forma,
di profondità e d’inclinazione dipendono da B. Gli incrementi delle dimensioni della base devono
essere fissati a passi di 0.075 m, in quanto questo è un comune multiplo delle dimensioni della
base.

- 8 - Dall'esame della Tab. 5.4 emerge come la formula di Terzaghi risulti molto più semplice da
usare rispetto alle altre, ragion per cui la medesima è ancora di largo impiego da parte di molti
progettisti (soprattutto nel caso di fondazioni soggette solamente a carichi verticali e con D/B ≤ 1).
Viene anche impiegata diffusamente per fondazioni profonde apportando delle correzioni ai
coefficienti N.

- 9 – Vesic, infine, suggerisce di non utilizzare i fattori di profondità di nel caso di fondazioni
superficiali (D/B ≤ 1) per via dell'incerta qualità del sovraccarico.

5.4.5 – Fondazioni soggette a carico inclinato o non baricentrico

Un pilastro soggetto ad azione assiale e a momenti agenti intorno a 1 o 2 assi (Fig. 5.10) gravante
sul baricentro di una fondazione, trasmette un carico eccentrico. L'eccentricità può anche essere
dovuta al fatto che il pilastro non sia sin dall'inizio in posizione baricentrica oppure che esso venga
a trovarsi in posizione non baricentrica a seguito della rimozione di parte della fondazione durante
operazioni di ristrutturazione o d'installazione di nuovi impianti.

È chiaro che la fondazione non può essere parzialmente rimossa se i calcoli indicano che la nuova
pressione agente sul terreno potrebbe superarne la capacità portante.
Fig. 5.10 Metodo di calcolo delle dimensioni equivalenti di una fondazione soggetta a carico non baricentrico; sono stati
considerati sia un plinto rettangolare che uno circolare.

Sia per via teorica che per via sperimentale si è ottenuto che nei calcoli si debbano utilizzare come
dimensioni equivalenti della fondazione:

L' = L-2ex B' = B- 2ey

(Fig. 5.10) per cui l'area equivalente della fondazione è:

Af = B'L'

Appare chiaro che, se l'eccentricità è nulla, B' e L' sono le dimensioni reali.

L'area efficace di una fondazione circolare può essere calcolata ponendo ex su un asse generico
(l'asse X in figura) e individuando un'area abcd centrata sul punto d’ascissa ex come mostrato.
L'area del segmento circolare abc è facilmente calcolabile e, moltiplicata per 2, riporta l'area della
zona abcd soggetta a carico centrato. Di conseguenza:

B'L' = area abcd

Assumendo ac ≥ L’ ≥ 0.85ac, si ricava B'.

Usando le formule di Meyerhof o di Hansen, si può calcolare la capacità portante ultima utilizzando
B' nel termine γBN e nel calcolo dei fattori di forma. Ne deriva una capacità portante ultima ridotta,
nonché un carico ultimo della fondazione dato da PULT = qULT (B’L’).

Un metodo alternativo per il calcolo della capacità portante ridotta per una fondazione soggetta a
carico non baricentrico è stato proposto da Meyerhof: tale procedimento prevede il calcolo della
capacità portante dalla fondazione soggetta a carico centrato mediante le formule di Tab. 5.6, e
quindi una riduzione di questo valore mediante un fattore correttivo Re ottenendo:

qULT = qULT Re

In questa espressione, i fattori correttivi sono dati da

Re = 1-(2e/B)

per terreni coesivi e da:

Re = 1-(e/B)1/2

per terreni incoerenti, se 0 < e/B < 0.3 (formule ricavate dall'autore a partire da valori tabulati).

È chiaro che, se e/B = 0.5 (Fig. 5.10), il carico è di fatto applicato sul bordo della fondazione e la
capacità portante limite è pressoché nulla. Nella realtà, solo di rado e/B > 0.2 e nella maggior parte
dei casi e è minore di B/6 (e/B < 0.167).

In queste formule il ruolo di L e di B è interscambiabile; si ottengono i migliori risultati usando


fondazioni rettangolari col lato maggiore parallelo all'eccentricità. Le medesime considerazioni
valgono per fondazioni circolari, assumendo B come diametro della fondazione (o come diametro
equivalente nel caso di plinti di forma ottagonale).

Se il pilastro trasmette alla fondazione una componente di carico verticale e una orizzontale, si ha
un carico inclinato. Tale condizione si presenta frequentemente nelle fondazioni di numerosi
capannoni industriali, nei quali il carico del vento agisce in combinazione col peso della struttura.
Le fondazioni di laminatoi a rulli e di numerosi altri impianti industriali sono soggette a carichi
orizzontali prodotti dal materiale che attraversa l'impianto montato sulla fondazione, da azioni di
compressione o trazione applicate alla fondazione nel corso di operazioni di manutenzione,
riparazione, sostituzione o anche in condizioni d'esercizio. In ogni caso, l'inclinazione del carico si
traduce in una riduzione della capacità portante della fondazione rispetto al caso in cui il carico sia
soltanto verticale. Nelle formule per il calcolo della capacità portante di Meyerhof, Hansen e Vesic
si possono utilizzare i fattori d'inclinazione riportati rispettivamente nelle Tab. 5.7 e 5.8. La formula
di Terzaghi non consente di tradurre direttamente l'inclinazione del carico in una riduzione di
capacità portante.

5.4.6 – Influenza della falda sulla capacità portante

II calcolo della capacità portante ultima viene fatto utilizzando nelle relative formule il peso
specifico efficace del terreno. Il peso specifico efficace compare sia nel termine di sovraccarico
(nel coefficiente q-) che nel termine dovuto al peso proprio 0.5γBNγ come si può comprendere
osservando la Fig. 5.8.

Soltanto in rare occasioni la quota della falda si trova al di sopra della base della fondazione, dato
che tale evento causerebbe quanto meno problemi nella fase di costruzione. Ad ogni modo, in tale
caso, il termine q- andrebbe modificato in modo da tenere in conto il valore efficace della pressione
di sovraccarico. Questo valore viene calcolato semplicemente determinando lo sforzo alla quota
della falda, ottenuto sommando all'altezza dello strato compreso fra la superficie libera e la falda
stessa, moltiplicata per il peso specifico umido del terreno, l'altezza compresa tra la quota di falda
e la base della fondazione, moltiplicata per il peso specifico efficace γ’. Se la superficie della falda
coincide con quella del terreno, la pressione efficace è pari a circa la metà di quella che si avrebbe
a parità di condizioni quando la falda si trova al di sotto della base della fondazione, in quanto il
peso specifico efficace γ' è pari a circa la metà del peso specifico saturo.
Quando la falda si trova al di sotto del cuneo bac di Fig. 5.8 [la cui altezza è approssimativamente
0.5 B tg (45°+φ/2)], la presenza della falda non influenza il calcolo della capacità portante e può
essere trascurata. Quando il livello della falda cade all'interno del cuneo, il calcolo del peso
specifico efficace da utilizzare nel termine 0.5γBNγ può risultare leggermente più complesso. In
molti casi tale termine può essere trascurato ottenendo una soluzione in favore di sicurezza, dato
che il suo contributo non è sostanziale. In ogni caso, se B è noto, si può calcolare il peso specifico
medio efficace del terreno nel cuneo sotto la fondazione, γe, con la relazione:

dove H = 0.5 B tg (45°+φ/2); dw è il dislivello tra la base della fondazione e la falda; γwet è il peso
specifico umido del terreno nel tratto dw; γ’ è il peso specifico sommerso in falda γ’ = γsat-γw.

5.4.7 – Capacità portante di fondazioni su terreni stratificati

Talvolta può essere necessario realizzare una fondazione su un terreno stratificato nel quale
l'altezza dello strato superiore (d1) calcolata a partire dalla base della fondazione, è minore
dell'altezza H calcolata come in Fig. 5.5. In tal caso, la zona di rottura interessa uno o più strati
inferiori e il calcolo di qULT necessita di alcune modifiche.
Fig. 5.11 – Fondazioni su terreni stratificati.

Per una fondazione su terreno stratificato può presentarsi uno dei 3 casi seguenti:

- 1 - Fondazione su argille stratificate (tutti i φ sono nulli), come in Fig. 5.11a:

a - Strato superiore più debole di quello inferiore (c1<c2);

b - Strato superiore più resistente di quello inferiore (c1>c2).

- 2 - Fondazione su terreno dotato di attrito e coesione:

a - Strato superiore più debole di quello inferiore (c1<c2);

b - Strato superiore più resistente di quello inferiore (c1>c2).

- 3 - Fondazione su terreni formati da strati di sabbia e argilla, come in Fig. 5.11b:

a - Sabbia sovrastante l'argilla;

b - Argilla sovrastante la sabbia.

La maggior parte degli studi volti a definire delle tecniche per il calcolo di qULT in questi 3 casi fa
uso essenzialmente di modelli (spesso con B < 75 mm). Esistono nondimeno diversi metodi
analitici, dei quali il primo è stato quello proposto da Button che, supponendo che la rottura
avvenisse secondo un arco di cerchio, come visto in precedenza al § 5.4.1, ha cercato un minimo
approssimato del carico di rottura (considerando cerchi interamente compresi nello strato
superiore) e ha ottenuto Nc = 5.5 < 2π.

Il calcolo basato sull'uso di cerchi di prova è facilmente programmabile al computer per 2 o 3 strati
usando per ogni strato il proprio valore di su. E’ da osservare che, nella maggior parte dei casi, il
valore di su per ciascuno strato viene determinato attraverso prove per la determinazione di qu, per
cui il metodo basato sui cerchi di rottura da risultati sufficientemente affidabili.

E’ stato suggerito di limitare l'uso dei cerchi di rottura al caso in cui il rapporto tra le resistenze dei
2 strati superiori CR = c2/c1 soddisfi la limitazione 0.6 < CR ≤ 1.3. Se CR cade decisamente al di
fuori di tale intervallo i 2 strati possiedono resistenze al taglio nettamente diverse ed N può essere
ricavato utilizzando il seguente metodo proposto da Brown e Meyerhof sulla base di prove su
modelli:
Quando CR>1, dopo aver calcolato entrambi i valori N1,i ed N2,i relativi al caso di fondazione
rettangolare o circolare, si calcola un valore medio Nc,i dato dalla relazione:

Le formule precedenti forniscono la seguente tabella di valori tipici di Nc, da utilizzarsi nella formula
della capacità portante di Tab. 5.4 in luogo di Nc.

Se lo strato superficiale è molto tenero e il rapporto d1/B è piccolo, si prende in considerazione la


possibilità di realizzare la fondazione a maggior profondità, sull'argilla più dura, o di ricorrere a
tecniche per migliorare le caratteristiche del terreno. Le prove su modelli indicano che, quando lo
strato superficiale è molto tenero, questo tende a essere espulso fuori dalla zona sotto la
fondazione mentre, quando è rigido, tende a puntare lo strato inferiore più tenero. Di conseguenza,
in questi casi ci si deve cautelare usando il metodo descritto al § 5.4.1 per il calcolo di un limite
inferiore della capacità portante, ossia di una soluzione in favore della sicurezza (se cioè qULT > 4c1
+q-, il terreno può essere espulso fuori dalla zona sotto la fondazione).

Purushothamaraj et al. hanno proposto una soluzione per un sistema a 2 strati di terreno dotati di
attrito e coesione, fornendo una serie di tabelle di valori di Nc. I valori da loro proposti non
differiscono peraltro sensibilmente da quelli riportati in Tab. 5.6. Sulla base di questa osservazione,
nel caso di terreni dotati di attrito e coesione, essi propongono di calcolare dei valori corretti di φ e
c nel modo seguente:
- 1 - Determinare la profondità H = 0.55 tg (45°+φ/2), dove φ si riferisce allo strato superiore;

- 2 - Se H > di, determinare il valore di φ modificato, da utilizzarsi nei calcoli, dato dalla:

- 3 - Ricavare c' usando una formula analoga;

- 4 - Usando a piacere una delle formule per il calcolo della capacità portante di Tab. 5.4
determinare qULT usando φ' e c'.

Se lo strato superiore è tenero (bassi valori di c e φ), si potrebbe verificare un'espulsione laterale
del terreno prevista dalla formula di cui al § 5.4.1.

Per plinti su sabbia sovrastante argilla o su argilla sovrastante sabbia, occorre controllare
innanzitutto se lo strato inferiore si trova a una profondità > H. Se H > d1 (Fig. 5.11), qULT può
essere valutato nel modo seguente:

- 1 – Calcolare qULT utilizzando i parametri dello strato di terreno superiore con una delle formule
di Tab. 5.4;

- 2 - Supponendo che la rottura avvenga per puntamento, secondo una superficie di rottura
limitata dal perimetro della base e tenendo conto del contributo aggiuntivo q- dovuto allo strato di
spessore d1 calcolare q’ULT per lo strato inferiore usando questi parametri. Volendo è possibile
aumentare q’ULT di una frazione della resistenza al taglio che si sviluppa lungo la superficie di
puntamento;

- 3 - Confrontare qULT e q’ULT e impiegare il valore più basso.

In forma analitica i punti precedenti si traducono nell’espressione:

dove qULT è la capacità portante dello strato superiore, calcolata mediante le formule della capacità
portante di Tab. 5.4; q”ULT è la capacità portante dello strato inferiore, calcolata analogamente a
qULT ma utilizzando la larghezza della fondazione B, il contributo del sovraccarico q- = γd1, la
coesione c e l'angolo d'attrito φ dello strato inferiore; p è il perimetro della superficie di
puntamento; Pv è la spinta verticale totale (forza per unità di lunghezza) dalla base della
fondazione allo strato inferiore calcolata dalla relazione (Fig. 5.11b):

KS è il coefficiente di spinta laterale del terreno, compreso tra tg2 (45°-φ/2) e tg2 (45°+φ/2), oppure
preso pari a K0; tg φ è il coefficiente d'attrito lungo la superficie perimetrale della zona puntata;
pd1c è la risultante degli sforzi legati alla coesione agente sulla superficie perimetrale della zona
puntata; Af è l'area della fondazione (serve per trasformare in sforzi le risultanti delle azioni di
taglio applicate lungo la superficie perimetrale). Questa formula è simile a quella proposta da
Valsangkar & Meyerhof e vale per qualsiasi tipo di terreno.
E’ opportuno osservare come difficilmente si possa avere a che fare con terreni formati da 2 o 3
strati di terreni coesivi nettamente distinti. In genere, l'argilla passa gradualmente da uno strato
superficiale duro e sovraconsolidato a uno più tenero; esistono tuttavia delle eccezioni, soprattutto
nei depositi di origine glaciale. In questi casi, di solito, si tratta il terreno come un unico strato
dotato del più basso valore di su. È’ viceversa più facile che si presenti il caso di uno strato di
sabbia sovrastante argilla o di uno strato d’argilla sovrastante sabbia; in tal caso, la stratificazione
è solitamente meglio definita che non nel caso dei 2 strati d'argilla.

In alternativa, per terreni dotati di attrito e coesione e formati da più strati sottili, si possono usare
le formule di Tab. 5.4 per il calcolo della capacità portante assumendo dei valori medi di c e φ dati
dalla relazione:

dove ci è la coesione dello strato di altezza Hi (eventualmente nulla); φi l'angolo d'attrito dello
strato di altezza Hi (eventualmente nullo).

Volendo si possono pesare le altezze Hi moltiplicandole per opportuni coefficienti (assunti pari a 1
nelle precedenti espressioni). La massima profondità del tratto di terreno in gioco è pari a circa
~0.5 B tg (5°+φ/2). Per ottenere i migliori valori medi di φ e c possono essere necessario una o
due iterazioni, in quanto di solito B non è fissato finché non è stata definita la capacità portante.

Per ottenere la capacità portante di fondazioni su terreni stratificati si può utilizzare un programma
per la stabilità dei pendii quale quello riportato in Bowles. Tale programma è stato poi modificato
per mettere in conto la pressione della fondazione come sovraccarico (Programma B.22).

Un aumento della resistenza al taglio con la profondità potrebbe essere messo in conto
approssimativamente accostando terreni caratterizzati dai medesimi valori di φ, c e γ ma con una
resistenza al taglio crescente. La capacità portante ultima è qual valore di q0 cui corrisponde un
fattore di sicurezza FS = 1.

Fig. 5.12 – Fondazione collocata su un pendio o nelle sue immediate vicinanze.


5.4.8 – Capacità portanti di fondazioni su pendii

Un problema particolare che può presentarsi occasionalmente è quello di fondazioni situate su di


un pendio o nelle sue immediate vicinanze (Fig. 5.12). Le sezioni della figura mostrano come
l'assenza di terreno dal lato in pendenza della fondazione tenda a ridurne la stabilità.

Mediante elaborazioni al computer Bowles ha ricavato la Tab. 5.10 che consente di risolvere il
problema di una fondazione situata su un pendio o in prossimità di un pendio nel modo seguente:

Tab. 5.10 – Elaborazioni al computer di Bowles per calcolo di capacità portanti di fondazioni su pendio o nelle immediate
vicinanze.
1 - Per un'assegnata fondazione determinare il punto E come illustrato in Fig. 5.12. L'inclinazione
del blocco in uscita è stata assunta pari a (45°-φ/2) dato che la linea di pendio rappresenta una
direzione principale;

2 - Calcolare un coefficiente Nc ridotto, considerando come superficie di rottura la ade = L0 di Fig.


5.9 e la adE = L1 di Fig. 5.12a (o, in alternativa, Efgh = A1 di Fig. 5.12b) ottenendo:

N’c = Nc L1/L0

3 - Calcolare un coefficiente Nq ridotto mediante il rapporto tra le aree D(ce) = A0 di Fig. 5.9 e Efg
di Fig. 5.12a (o, in alternativa, Efgh = A1 di Fig. 5.12b), ottenendo

N’q = qc A1/A0

Nel caso di pendio con A1 ≥ A0 si ha N’q = Nq.

4 - Accertare la stabilità globale del pendio sotto l'effetto del carico trasmesso dalla fondazione.
Ciò può essere effettuato utilizzando un programma per la stabilità dei pendii.

La capacità portante viene quindi calcolata utilizzando le formule di Tab. 5.4 e i coefficienti di
capacità portante ridotti:

Il coefficiente Nγ che dipende dal peso del terreno, non viene corretto per tener conto del pendio.
Come è possibile notare, quando β = 0 i coefficienti N’c e N’q coincidono con quelli di Tab. 5.7 per
ogni valore di 0 indipendentemente dai rapporti D/B e b/B. Quando D/B > 0, essendo l'effetto della
profondità già contenuto sia in Nc che in 5, non si devono più usare i coefficienti di. Nel caso in
esame, un angolo d'attrito φtr non va convertito in un angolo φps in quanto la rottura avviene
secondo un percorso alterato dalla presenza del pendio di modo che, salvo per rapporti b/B
elevati, non si realizza in genere una condizione di deformazioni piane.

5.4.9 – Determinazione della capacità portante attraverso la prova SPT

La prova penetrometrica standard (SPT) viene ampiamente usata per determinare direttamente la
capacità portante dei terreni. Tra le prime relazioni proposte al proposito si cita quella di Terzaghi e
Peck (1967). Relazioni di questo tipo sono state ampiamente usate ma i dati sperimentali via via
acquisiti hanno mostrato che si tratta di leggi eccessivamente conservative.

Meyerhof ha pubblicato formule per il calcolo della capacità portante accettando un cedimento di
25 mm. Queste formule potrebbero essere usate per ottenere curve simili a quelle di Terzaghi e
Peck e sono pertanto, a loro volta, molto conservative. Tuttavia, grazie alla mole di dati acquisiti
mediante osservazioni in situ nonché al parere espresso da vari autori, le formule di Meyerhof
sono state modificate per aumentare ~50% la capacità portante ammissibile, ottenendo le seguenti
formule:

dove qa è la pressione ammissibile per un cedimento S0 = 25 mm, espressa in kPa, e:


Fi sono i coefficienti riportati nella seguente tabella:

Queste formule esistono da diverso tempo e si basano essenzialmente su valori di N antecedenti


gli anni ‘60; pertanto Er si aggira, probabilmente, intorno a 50÷55 e non a 70 (e oltre, valore
proposto da Terzaghi e Peck). Poiché il numero di colpi N è inversamente proporzionale a Er se le
precedenti formule vengono normalizzate rispetto a N’70 i valori corretti dei coefficienti F1 ed F2 da
usarsi diventano quelli riportati nella tabella dei coefficienti F. In conclusione si usino i valori delle
colonne di sinistra in corrispondenza di N55, oppure si converta N in N’70 e si usino nelle formule i
valori dei coefficienti riportati nelle colonne di destra. I diagrammi corrispondenti alle formule viste,
utilizzando grosso modo un valore N55, sono riportati in Fig. 5.13 (→vol. 1°).
Fig. 5.13 – Capacità portante ammissibile per fondazioni superficiali (cedimento max = 25 mm).

In queste formule N è il valor medio corrispondente alla zona d'influenza della fondazione, da ~0.5
sopra la base della fondazione fino ad almeno 2B sotto di essa.

Se al di sotto di tale zona dovessero aversi valori di N bassi, potrebbero nascere dei problemi
dovuti ai cedimenti se N non viene ridotto in qualche maniera per riprodurre tale situazione. La Fig.
5.13 è un modo di rappresentare i valori di qa in funzione di N ai fini progettuali.

E’ da sottolineare come, in queste formule, la larghezza della fondazione figuri come parametro
importante: è chiaro, infatti, che, essendo la zona d'influenza profonda ~2B, quanto più larga è la
fondazione tanto maggiore è la profondità del terreno interessato; integrando le deformazioni lungo
una profondità maggiore si ottengono cedimenti maggiori. Di questo si tiene conto in qualche modo
nella formula per le piastre di fondazione (platee), dovuta anch'essa a Meyerhof (modificata da
Bowles che ha aumentato del 50% la capacità portante) espressa con la:

qa = N Kd/F2

In queste formule la pressione ammissibile sul terreno corrisponde a un cedimento di 25 mm. In


generale, la pressione ammissibile corrispondente a un cedimento generico è data dalla:
qa(Sj) = Sjqa/S0

dove S0 = 25 mm e Sj è il cedimento ammissibile, espresso in mm. Considerando una serie di


numerosi plinti su sabbia, D'Appolonia et al. hanno osservato che i cedimenti calcolati utilizzando
le formule di Meyerhof con N corretto mediante il coefficiente CN (vol 1°) risultano in ottimo accordo
con quelli misurati. Peraltro, la sabbia in esame era o sovraconsolidata, o resa fortemente
compattata, circostanza che si deve essere in qualche modo riflessa sul numero di colpi N.

Parry ha proposto di calcolare la capacità portante ultima di terreni incoerenti con la:

qULT = 30 N (kPa) (D ≤ B)

dove N è la media dei valori ottenuti con SPT a una profondità pari a circa 0.75B al di sotto della
prevista base della fondazione. Questa formula è stata ottenuta ricalcolando Nq e Nγ,
considerando un angolo d'attrito interno φ legato a N dalla relazione

φ = 25+28(N/q-)1/2

dove N è approssimativamente un valore N55 e q- è la pressione geostatica efficace alla profondità


a cui N medio è stato ottenuto. La fondazione deve trovarsi a una profondità D tale che esista un
termine di sovraccarico (q-Nq).

5.4.10 – Determinazione della capacità portante attraverso la prova penetrometrica statica

I coefficienti per il calcolo della capacità portante da utilizzare nella formula di Terzaghi di Tab. 5.4
possono essere valutati approssimativamente con la relazione:

0.8 Nq ≈ 0.8 Nγ ≈ qc

dove qc è la media dei valori ottenuti a profondità comprese tra B/2 sopra la base della fondazione
fino a 1.1B sotto di essa. Tale approssimazione è accettabile per D/B ≤ 1.5. Per terreni incoerenti
si possono invece utilizzare:

Nelle relazioni riportate le pressioni vengono espresse in kPa. Tali formule sono state ottenute
sulla base di diagrammi riportati da Schmertmann e tratti da un articolo non pubblicato di Awakti.
Secondo Meyerhof, la capacità portante ammissibile di sabbie può essere determinata mediante le
relazioni del precedente §, ponendovi:

N = qc/4

dove qc va espresso in kg/cm2. Se qc è espresso in altre unità di misura deve essere convertito in
kg/cm2 prima di essere sostituito nella relazione. E’ da osservare inoltre come, usando nelle
formule del precedente §il precedente valore di qc convertito in termini di N55, la capacità portante
ammissibile viene aumentata del 50% rispetto a quella originariamente proposta da Meyerhof,
analogamente a quanto fatto per i valori di N ottenuti direttamente da prove SPT.

È evidente che, usando le relazioni ricavate dai risultati di prove penetrometriche statiche (CPT)
(→ vol. 1°) si possono ottenere φ e su che possono quindi essere utilizzati direttamente nelle
formule per il calcolo della capacità portante di Tab. 5.4.

5.4.11 – Determinazione della capacità portante attraverso prove di carico in situ

Al di là delle prove multi-parametro viste in precedenza, è indubbio che il metodo più affidabile per
la determinazione della capacità portante ultima consista nell'esecuzione di prove di carico nel sito
in esame. Se la prova di carico, infatti, fosse effettuata su una fondazione in grandezza reale, si
otterrebbe direttamente la capacità portante richiesta; d’altra parte, visti i carichi elevatissimi in
gioco e i costi relativi il sistema, peraltro obbligatoriamente utilizzabile per ognuna delle infinite
prospettive costruttive in essere, si rende applicabile solo grazie ad accorgimenti di calcolo.

La prassi operativa comune, infatti, consiste nel caricare piccole piastre d'acciaio sia circolari (di
diametro compreso tra 30 e 75 cm) che quadrate (di lato 30 e talora 60 cm). Si tratta, in generale,
di dimensioni troppo piccole per estrapolare i risultati alle fondazioni reali, la cui area di base è
compresa tra 1.5 e 4 o 5 m2; l’estrapolazione, inoltre si presta a discussione per diversi motivi:

a - La profondità dell'area d'influenza (4B) è sensibilmente diversa per il modello e per la


fondazione reale. L'influenza di uno strato situato al di sotto della profondità H delle diverse figure
viste in precedenza è minima nel caso del modello, mentre può essere notevole per la fondazione
reale.

b - Il terreno in profondità è soggetto a una maggiore pressione geostatica di confinamento ed


è pertanto effettivamente più rigido del terreno in prossimità della superficie. Tale circostanza
influisce notevolmente sulla curva carico-cedimento, sulla base della quale si determina qULT.

c - Quanto detto in precedenza mostra che, all'aumentare di B, qULT aumenta con legge
tendenzialmente non lineare. Il diagramma B-qULT ottenibile con modelli in scala ridotta, ad es. di
30, 45 e 90 cm, risulta praticamente lineare (come pure usando 2 sole dimensioni, ad es. 2 m e 2.5
m). Per riprodurre la curva non lineare per il deposito di terreno in esame, viceversa, è necessario
utilizzare una gamma più ampia di dimensioni.

Talvolta, nonostante gli inconvenienti fondamentali ora elencati, vengono ugualmente effettuate le
prove di carico. Le modalità di prova, standardizzate nelle norme sono essenzialmente le seguenti:

- 1 - Scegliere il tipo di carico da applicare. Se si tratta di una reazione di contrasto su dei pali,
questi vanno infissi nel terreno preliminarmente per evitare vibrazioni eccessive e una diminuzione
di densità del terreno nello scavo in cui la prova deve essere eseguita.

- 2 - Scavare un pozzo fino alla quota alla quale deve essere eseguita la prova. Il pozzo di prova
deve essere largo almeno 4 volte la piastra e deve arrivare alla profondità cui verrà gettata la
fondazione. Se la prova prevede l'impiego di 3 piastre di dimensioni differenti le dimensioni del
pozzo devono essere tali che le piastre siano distanziate tra loro di almeno 3 volte la dimensione
della piastra più grande.

- 3 - Applicare il carico sulla piastra e registrare i cedimenti con uno strumento preciso (± 0.25
mm). Gli effetti di un incremento di carico vanno registrati fintantoché il cedimento incrementale
cade entro i limiti di sensibilità dello strumento. Gli incrementi di carico dovrebbero essere pari a
~1/5 della presunta capacità portante del terreno. La durata di un intervallo di carico non deve
risultare < 1 h dovrebbe essere più o meno la stessa per tutti gli incrementi di carico.

- 4 - La prova deve essere protratta fino a quando non si raggiunge o un cedimento di 25 mm o


la capacità dell'attrezzatura di prova. Dopo la rimozione del carico, si deve registrare il
rigonfiamento elastico del terreno per un periodo di tempo approssimativamente pari alla durata di
un incremento di carico.

La Fig. 5.14 mostra gli aspetti essenziali della prova di carico. In Fig. 5.15a è riportato un tipico
diagramma cedimento-tempo in scala semilogaritmica (come per le prove di consolidazione) dal
quale, quando la curva è praticamente orizzontale, si ricava il massimo cedimento corrispondente
al dato carico e quindi un punto della curva carico-cedimento di Fig. 5.15b.

Quando la tangente alla curva carico-cedimento è quasi verticale, si ricava qULT. A volte, peraltro,
si prende come qULT il valore che corrisponde a un assegnato cedimento (ad es., 25 mm).

L'estrapolazione dei risultati della curva a fondazioni in grandezza reale non è standardizzata. In
generale, nel caso dei terreni puramente coesivi si osserva che il termine B Nγ è nullo, per cui si
potrebbe affermare che qULT non dipende dalle dimensioni della fondazione e quindi che:

qULT,fondazione = qULT,prova di carico

Nel caso dei terreni incoerenti (e dei terreni dotati di attrito e coesione), tutti e 3 i termini della
formula della capacità portante sono diversi da zero; osservando che nel termine in Nγ compare la
larghezza della fondazione, si potrebbe dire che:

qULT,fondazione = M + N (Bfondazione/Bprova di carico)

dove M congloba i termini Nc e Nq, mentre N è il termine Nγ. Provando piastre di varie dimensioni,
si può risolvere graficamente questa equazione. Nella pratica, per estrapolare le prove alla piastra
di carico, eseguite di solito in condizioni tali per cui il termine Nq è trascurabile e su sabbia, si usa
la formula:

qULT = qpiastra (Bfondazione/Bpiastra)

L'uso di questa formula è sconsigliabile, a meno che il rapporto Bfondazione/Bpiastra non sia molto
superiore a ~3. Se tale rapporto è compreso tra 6 e 15 o più, l'estrapolazione dei risultati della
prova alla piastra di carico fornisce poco più di una stima, con lo stesso grado di attendibilità di una
basata su correlazioni con i risultati di prove penetrometriche.
Fig. 5.14 – Prova alla piastra di carico. Le modalità esecutive sono descritte nel vol. 1°.

5.4.12 – Capacità portante di fondazioni soggette a forze di sollevamento o trazione

Le fondazioni di impianti industriali, come quelle dei montanti di serbatoi d'acqua in elevazione, gli
ancoraggi per i cavi delle antenne per telecomunicazioni, le basi dei tralicci per elettrodotti, nonché
quelle di numerosi altri impianti sono soggette a sollevamento o a forze di trazione.

Il sollevamento può essere la principale causa sollecitante o può essere uno dei possibili casi di
carico. Nella maggior parte dei casi, per resistere al sollevamento si usano pali trivellati, con o
senza base allargata, essendo questa la soluzione più economica da realizzare.

Fig. 5.15 – Risultati di una prova alla piastra di carico.


Una fondazione in grado di resistere a trazione è schematizzata in Fig. 5.16. Il problema è stato
affrontato da Balla che è giunto a complesse formule matematiche considerando una superficie di
rottura circolare (la cui traccia è la linea tratteggiata ab in Fig. 5.16); tali formule sono state
verificate dallo stesso ricercatore mediante prove su modelli in piccoli contenitori di vetro e
mediante simulazioni su modelli in scala più grande da altri autori: sono state considerate
unicamente fondazioni circolari.

Fig. 5.16 – Fondazioni soggette a carico di trazione.

Il problema è stato successivamente affrontato anche da Meyerhof & Adams, che proposero la
distinzione mostrata in Fig. 5.16 tra fondazioni superficiali e profonde, basata sul fatto che le
fondazioni profonde possono resistere al massimo a una forza di trazione limite.

Gli autori hanno considerato fondazioni sia circolari che quadrate, su terreni sia coesivi che
incoerenti, confrontando i risultati teorici con quelli ottenuti da prove su modelli e su fondazioni in
grandezza reale in entrambi i casi di forma circolare, rilevando un notevole scarto.

In ogni caso, impiegando un fattore di sicurezza pari a 2÷2.5 queste formule risultano
sufficientemente affidabili.

Le formule a seguire sono state ottenute non considerando la reale zona di rottura osservata
sperimentalmente (come la ab di Fig. 5.16) ma usando un'espressione approssimata della
resistenza al taglio lungo la linea ab'. Per ottenere le espressioni in una veste semplificata e
adeguata ai fini progettuali vengono impiegati dei fattori di forma unitamente ad un rapporto di
profondità limite D/B o H/B. Nel caso generale, la trazione ultima è data da

Tu = (s x perimetro x D) + W

con fattori correttivi di profondità e forma (per distinguere tra perimetro circolare e rettangolare). Si
ottiene così:
Nel caso di fondazioni quadrate, L = B. sf e m possono essere ricavati in funzione di φ dalla
seguente tabella:

Il coefficiente di spinta laterale del terreno Ku è dato da una delle seguenti espressioni:

La scelta dell'espressione di Ku è lasciata al giudizio dell’operatore. Si può ragionevolmente usare


K0 oppure una media di Ka e Kp.

Le formule per fondazioni rettangolari soggette a trazione sono basate sull’ipotesi dovuta a
Meyerhof che il fattore di forma sf si applichi alle zone terminali nel senso della lunghezza L, per
un tratto di ampiezza (L-B). Le fondazioni soggette a trazione sono comunque per la maggior parte
circolari (caso più comune) o quadrate. Per fondazioni gettate su terreni molto scadenti, Robinson
& Taylor hanno stabilito che la resistenza di progetto per ancoraggi di tralicci per elettrodotti può
essere ottenuta con buona approssimazione considerando solo il termine dovuto al peso W nelle
formule utilizzando un fattore di sicurezza leggermente maggiore di 1. Di norma, la resistenza a
trazione ultima viene trasformata nel valore di progetto 1, secondo la formula:

Ta = Tu/FS

dove il fattore di sicurezza può variare orientativamente da 1.2 a 4 o 5 a seconda dell'importanza


della fondazione, dell'attendibilità dei parametri del terreno e dalla probabilità che sulla fondazione
insista un terreno di riporto di buona qualità che produca un termine W affidabile e sviluppi
un'opportuna resistenza al taglio lungo la linea ab’.

5.4.13 – Calcolo della capacità portante basato sulla normativa edilizia (pressione presunta)

In molte nazioni la normativa edilizia prescrive valori della pressione ammissibile sul terreno da
utilizzarsi nel progetto di fondazioni. Di solito tali valori sono dettati da un'esperienza pluriennale,
anche se in alcuni casi si tratta semplicemente di valori presi a prestito dalla normativa di altri
paesi. Simili valori sono anche riportati nei manuali dell'ingegnere e del costruttore edile.

Tali valori assoluti della pressione sul terreno vanno spesso sotto il nome di pressioni presunte. La
normativa di molti stati consente oggi di utilizzare in alternativa valori differenti delle pressioni,
purché il loro uso sia giustificato da prove di laboratorio e da considerazioni geotecniche.

Le pressioni presunte richiedono una classificazione visiva del terreno.

In Tab. 5.11 sono elencati i valori delle pressioni riportati da alcuni regolamenti edilizi. Questi valori
hanno essenzialmente un valore illustrativo, poiché per qualunque progetto, salvo che per opere
minori, deve essere svolto un minimo d'indagine del terreno I principali inconvenienti dell'uso di
pressioni presunte risiedono nel fatto che queste non tengono conto della profondità e delle
dimensioni della fondazione, del livello della falda freatica e di potenziali cedimenti.

Tab. 5.11 – Capacità portante presunta dettata da alcune normative edilizie (kPa).
5.4.14 – Fattori di scurezza da usare nella progettazione

II progetto di una struttura viene eseguito determinando i carichi di servizio e definendo un


opportuno rapporto tra la resistenza del materiale e tali carichi, detto fattore (o coefficiente) di
sicurezza (FS). Nessuna delle grandezze che compaiono in tale rapporto è nota con precisione,
motivo per cui risulta necessario fare affidamento su regolamenti o sull'esperienza per far sì che il
medesimo verta in favore della sicurezza.

I materiali da costruzione, come l'acciaio o il calcestruzzo, sono soggetti a rigorosi controlli di


qualità in fase di produzione; ciononostante, la resistenza del calcestruzzo nel progetto agli stati
limite viene presa pari all'85% della resistenza a compressione semplice. Il limite di snervamento
dell'acciaio e di altri metalli è un valore in favore di sicurezza: nel caso dell'acciaio, è < 10÷20% del
valore del limite di snervamento generalmente misurato.

Di conseguenza una sorta di fattore di sicurezza viene già applicata a monte.

I valori di regolamento impiegati nel calcolo dei carichi accidentali e di altri sovraccarichi sono
praticamente dei limiti superiori. Il peso proprio della struttura, o carico permanente, è definibile
con buona approssimazione (almeno a progetto ultimato).

Per la verifica di sicurezza, o i carichi di servizio vengono amplificati mediante un opportuno


insieme di fattori di sicurezza e quindi confrontati con la resistenza ultima del materiale, oppure la
resistenza del materiale o la tensione di snervamento vengono ridotte mediante un fattore di
sicurezza opportuno e quindi confrontate con i carichi. E’ interessante notare che nel progetto agli
stati limite di elementi in cemento armato i moltiplicatori dei carichi permanenti e accidentali
traducono, entro certi limiti, il diverso grado di variabilità posseduto da ciascun tipo di carico.

Esistono più incertezze legate alla determinazione della resistenza ammissibile del terreno che
non a quella degli elementi della sovrastruttura. Numerosi fonti d'incertezza sono deducibili da
quanto affermato in precedenza e possono essere così riassunti:

- Complessità del comportamento del terreno;

- Impossibilità di controllare le modifiche ambientali a opera ultimata;

- Conoscenza solo parziale delle condizioni del sottosuolo;

- Difficoltà a sviluppare un modello matematico adatto per la fondazione;

- Difficoltà a determinare accuratamente i parametri del terreno.

Per ogni sito, vanno considerate tali fonti d'incertezza e le approssimazioni che ne conseguono,
definendo per via diretta (o indiretta) un opportuno fattore di sicurezza che, senza essere
eccessivamente conservativo, tenga conto dei seguenti elementi:

- 1 - Entità dei danni (perdita di vite umane, danni a proprietà e conseguenze penali) derivanti da
un crollo;

- 2 - Costo connesso a un aumento o a una diminuzione del fattore di sicurezza FS;

- 3 - Variazione della probabilità di crollo connessa ad una variazione del fattore di sicurezza FS;

- 4 - Affidabilità dei parametri del terreno;


- 5 - Alterazione delle proprietà del terreno derivante dalle operazioni di costruzione e da
qualsiasi altra causa successiva;

- 6 - Accuratezza delle tecniche di progettazione e analisi correntemente in uso.

È’ norma diffusa utilizzare fattori di sicurezza globali dell'ordine di quelli riportati in Tab. 5.12.

Il taglio va interpretato come capacità portante di una fondazione. Mentre i valori dei fattori di
sicurezza riportati in Tab. 5.12 non sono maggiori di quelli impiegati, ad es., per l'acciaio, le fonti
d'incertezza legate alla determinazione dello sforzo di taglio ammissibile producono (nella maggior
parte dei casi) fattori di sicurezza reali maggiori di quelli riportati.

Inoltre, se i cedimenti devono essere controllati, la capacità portante ammissibile risulta


ulteriormente ridotta (e, di conseguenza, il vero fattore di sicurezza risulta ancora maggiore).

Alcuni autori propendono per l'uso di fattori di sicurezza parziali per i parametri del terreno, pari, ad
es., a 1.2÷1.3 per φ e a 1.5÷2.5 per la coesione. Questi ultimi fattori sono più alti, in quanto la
dipendenza della coesione dalle condizioni del terreno è relativamente maggiore.

Tab. 5.12 – Valori abituali dei Coefficienti di sicurezza.

Il carico di progetto si ottiene considerando il più critico fra vari possibili casi di carico. Si possono
prendere in esame i seguenti casi, utilizzando le abbreviazioni riportate in Tab. 5.13 e i fattori di
amplificazione Ri dettati dalla normativa:
Tab. 5.13 – Carichi di fondazione.

5.4.15 – Capacità portante delle rocce

Fatta eccezione per alcune rocce porose calcaree o di origine vulcanica e alcuni scisti, la
resistenza del substrato roccioso in situ risulta maggiore della resistenza a compressione del
calcestruzzo della fondazione. Ciò può non valere per rocce molto fratturate o sciolte, nelle quali
possono aver luogo notevoli scorrimenti relativi fra i frammenti di roccia.

Il problema principale risiede nello stabilire il grado di solidità della roccia, eseguendo
eventualmente dei carotaggi per sottoporre a prove a espansione laterale libera i frammenti integri.
Per opere di notevole importanza, e quando l’opzione risulti economicamente sostenibile, si
possono eseguire prove di resistenza in situ.

Spesso l'attenzione è concentrata sui cedimenti piuttosto che sulla capacità portante, per cui lo
scopo principale delle prove è quello di determinare il modulo elastico E ed il coefficiente di
Poisson μ in situ per poter effettuare un'analisi dei cedimenti.

Tab. 5.14 – Limiti di variabilità delle proprietà meccaniche di alcuni tipi di rocce.

Questa osservazione è legata al fatto che i carichi agenti su rocce sono trasmessi per la maggior

parte da pali infissi o trivellati, le cui punte sono affondate per un certo tratto nell'ammasso
roccioso; il caso da analizzare è quindi quello di un carico applicato all'interno di un semispazio
elastico. Per far questo, si ricorre a volte al metodo degli elementi finiti; se però la roccia è
fessurata, i risultati hanno un valore puramente speculativo, a meno che non si disponga di dati
sperimentali che consentano di rivedere il modello.

Anche se la roccia non è fessurata, i risultati forniti dal metodo degli elementi finiti sono raramente
attendibili, per via della variabilità con la quale si conoscono le caratteristiche elastiche utilizzate
per il calcolo.

Di solito, i valori della capacità portante ammissibile delle rocce vengono presi dalla normativa
edilizia; tuttavia, assieme ai valori prescritti dalla normativa, si deve tener conto di altri parametri
significativi, quali le caratteristiche geologiche, il tipo di roccia e una misura della sua qualità (come
RQD).

Nella capacità portante delle rocce si utilizzano normalmente fattori di sicurezza elevati.

Il fattore di sicurezza FS deve essere in qualche modo legato al coefficiente RQD (definito nel vol.
1°); in altre parole, una roccia con RQD = 0.8 non necessita di un fattore di sicurezza elevato
quanto quella con RQD = 0.4.

Di solito FS è compreso tra 6 e 10 per rocce con RQD ≤ ~ 0.75, a meno che RQD non venga
utilizzato per ridurre la capacità portante ultima (come mostrato successivamente).

La Tab. 5.14.può servire da guida per la valutazione della capacità portante partendo dai valori
della normativa oppure per ricavare parametri elastici di tentativo da utilizzare in analisi a elementi
finiti preliminari.

Per ricavare la capacità portante di rocce, si possono usare le formule di Terzaghi in Tab. 5.4,
utilizzando l'angolo d'attrito interno e la coesione della roccia, ottenuti mediante prove triassiali ad
alta pressione. Secondo Stagg & Zienkiewicz per una roccia solida i coefficienti che compaiono
nella formula della capacità portante valgono approssimativamente:

Assieme a tali coefficienti, vanno usati i fattori di forma di Terzaghi riportati in Tab. 5.4. L'angolo di
attrito interno di una roccia è raramente < 40° (spesso è compreso tra 45° e 55°), mentre la
coesione varia, approssimativamente, da 3.5 a 35 MPa.

Dalle formule precedenti è chiaro che si possono ottenere valori della capacità portante ultima
molto elevati. Come osservato in precedenza, il limite superiore della capacità portante
ammissibile è assunto pari alla resistenza f'c del calcestruzzo della base oppure non superiore alla
resistenza ammissibile di pali metallici, pari a ~ 60 MPa.

L'angolo di attrito interno delle rocce dipende dalla pressione, analogamente a quanto avviene per
i terreni. Inoltre, esaminando i parametri riportati in numerose fonti bibliografiche, si ricava che per
la maggior parte delle rocce risulta φ = 45°, come per le sabbie, tranne che per le rocce calcaree e
scistose per le quali andrebbe utilizzato un valore compreso tra 38° e 45°. Analogamente, come
valore in favore di sicurezza, si può considerare in generale c = 5 MPa. Infine, la capacità portante
ultima può essere espressa in funzione di RQD secondo la formula:

In molti casi, si ritiene che la resistenza ammissibile della roccia sia compresa tra 1/3 e 1/10 della
resistenza a compressione semplice ottenuta su campioni di roccia intatti, basandosi sul valore di
RQD (ad es., prendendo 1/10 per bassi RQD).
Taluni progettisti si limita semplicemente a utilizzare la resistenza ammissibile riportata dalla
normativa locale a seconda del tipo di roccia riscontrato mediante un esame visivo delle carote
prelevate.

Solo di rado, nel caso di plinti o di platee, le fondazioni di strutture poggiano direttamente sulla
roccia. La maggior parte dei casi in cui entra in gioco la capacità portante della roccia comporta
l'adozione di pali trivellati di grande diametro incastrati nella roccia per un tratto pari a 2 o 3
diametri. Recenti prove di carico eseguite su fondazioni di questo tipo mostrano che la capacità
portante ammissibile, qa, è compresa tra qu e 2.5qu, essendo qu la resistenza a compressione
semplice misurata su campioni di roccia intatti. Tale valore è notevolmente maggiore di quello
citato in precedenza (1/3-1/10). Questo sensibile aumento della pressione ammissibile è
attribuibile almeno in parte all'effetto di confinamento triassiale che si realizza alla base del palo
nel tratto incastrato. I valori più bassi precedentemente consigliati valgono per fondazioni che
poggiano sulla superficie della roccia.

Se il carotaggio in roccia non fornisce pezzi intatti (per cui RQD → 0), la roccia va trattata come un
terreno, determinandone la capacità portante attraverso le formule di Tab. 5.4 e stimando
convenientemente i parametri del terreno c e φ.
5.5 – Cedimenti

I cedimenti delle fondazioni devono essere valutati con grande cura per edifici, dighe, viadotti,
centrali energetiche ed altre analoghe strutture di costo elevato, mentre possono essere stimati
con più largo margine di errore per strutture quali terrapieni, rilevati, argini, paratie e muri di
sostegno.

I calcoli dei cedimenti del suolo consistono solamente, a parte fortuite coincidenze, nella migliore
stima delle deformazioni da attendersi quando i carichi vengono applicati. Durante la fase di
cedimento il suolo subisce una transizione dallo stato di sforzo corrente (dovuto alle forze di
volume, ossia al peso proprio) a un nuovo stato, sotto il carico addizionale applicato.

La variazione Δq dello stato di sforzo dovuto a tale sovraccarico produce un'accumulazione, che è
funzione del tempo, di movimenti di rotolamento e scorrimento relativo fra i granuli, di rottura di
particelle e di deformazioni elastiche (in senso proprio) localizzate entro una limitata zona di
influenza al di sotto dell'area caricata. L'accumulazione statistica di questi movimenti elementari
nella direzione di interesse costituisce il cedimento. In direzione verticale il cedimento vviene
definito ΔH.

Le principali componenti di ΔH sono costituite dall'effetto di rotolamento e scorrimento fra le


particelle, che fa variare l'indice dei vuoti, e dalla rottura dei granuli che modifica la struttura del
materiale; solo una piccolissima frazione di ΔH proviene dalla deformazione elastica dei granuli del
terreno. Come conseguenza, soltanto una minima parte del cedimento ΔH verrebbe recuperata se
il carico applicato venisse rimosso. In ogni caso, sebbene ΔH abbia solamente una componente
molto piccola di natura elastica, è conveniente trattare il suolo come un materiale pseudoelastico,
caratterizzato dai parametri elastici Es, G', μ, e ks per il calcolo dei cedimenti. Tale scelta appare
ragionevole in quanto è una variazione dello stato di sforzo a causare il cedimento così come si
osserva che all'aumentare di tale variazione cresce l'entità del cedimento.

L'esperienza indica inoltre che questa metodologia fornisce soluzioni soddisfacenti. 2 sono i
problemi maggiori che si presentano nelle analisi dei cedimenti del terreno:

- 1 - Ottenere valori attendibili per i parametri elastici. I problemi di recupero di campioni


indisturbati del suolo comportano che i valori misurati in laboratorio risultino sovente in errore per il
50% e oltre. Per quanto esista ora una tendenza più diffusa a utilizzare prove in situ, infatti, il
principale svantaggio è che esse tendono a fornire valori validi in direzione orizzontale. Poiché
l'anisotropia è ricorrente i valori dei parametri validi in direzione verticale (solitamente richiesti)
risultano spesso sostanzialmente diversi. A causa di questi problemi sono comunemente
impiegate delle correlazioni, in particolare per studi preliminari di progetto.

- 2 - Ottenere un profilo degli sforzi prodotti dal carico applicato che risulti attendibile. Si
presenta tanto il problema dei valori numerici che quello dell’effettiva profondità della zona
d’influenza. Le equazioni della teoria dell'elasticità vengono solitamente impiegate per il calcolo
degli sforzi, prendendo come profondità H della zona d’influenza al di sotto dell'area caricata valori
che vanno da circa 2B fino a H → ∞.

I valori definiti da questi 2 problemi vengono poi usati sotto la forma di:

dove ε è la deformazione pari a Δq/Es; tuttavia Δq è funzione sia di H che del carico mentre H é,
come precedentemente notato, la profondità della zona di influenza. L'attenzione principale, nel
presente paragrafo, viene dedicata a questi 2 aspetti del problema.
Non è raro che il rapporto fra il valore misurato di H e quello calcolato vari fra meno di 0.5 e 2 e
oltre; tuttavia i valori si collocano per lo più in un intervallo compreso fra 0.8 e 1.2.

Si può altresì notare che se si calcola un valore di cedimento ΔV piccolo, ossia dell'ordine dei 10
mm, e si misura poi un valore di 5 mm oppure di 20 mm, si commette un errore notevole; tuttavia
la maggior parte delle strutture è in grado di sopportare senza danni sia il cedimento calcolato che
quello misurato. Operativamente, infatti, ciò che si vuole evitare è stimare un cedimento di 25 mm
e trovarsi, a struttura terminata, un cedimento di 100 mm.

In ogni caso nel calcolo preventivo dei cedimenti è preferibile sbagliare per eccesso (rispetto ai
valori effettivi o misurati); si deve tuttavia fare attenzione a evitare che stime troppo a favore di
sicurezza inducano a prendere provvedimenti correttivi pleonastici e costosi.

I cedimenti vengono solitamente classificati come:

a - immediati, cioè quelli che si sviluppano non appena il sovraccarico viene applicato o,
comunque, nel lasso di tempo di ~1 settimana;

b - di consolidazione, cioè quelli che si sviluppano nel tempo e richiedono un periodo dell'ordine
di mesi o di anni per esaurirsi. La Torre Pendente di Pisa, ad es., ha subito un cedimento non
uniforme (di qui l'origine dell’effetto) per un periodo di oltre 700 anni; si tratta, tuttavia, di un caso
estremo in quanto nella maggior parte delle strutture il cedimento si esaurisce nel giro di 1÷5 anni.

Analisi dei cedimenti immediati sono impiegate per tutti i terreni a gradazione fine, compresi limo e
argille con grado di saturazione S < ~90%, e per quelli a gradazione grossa con elevato
coefficiente di permeabilità.

Analisi dei cedimenti di consolidazione vengono impiegate per tutti i terreni a gradazione fine,
saturi o quasi saturi, ai quali si applica la teoria della consolidazione trattata nel paragrafo 5.3.

La ragione di questa scelta è che per suoli di questo tipo interessa valutare non solo l'entità del
cedimento ΔH ma anche il tempo necessario perché esso si stabilizzi.

In entrambi i casi si utilizza per il calcolo un'espressione del tipo:

5.5.1 – Sforzi nel terreno prodotti dalla pressione delle fondazioni

Come deducibile dalla relazione precedente è necessaria una stima dell'incremento di pressione
Δq prodotto dal carico applicato. Esistono diversi metodi correntemente usati per valutare
l'incremento di pressione ad una certa profondità nello strato sottostante l'area caricata.

Un primo semplice metodo (attualmente non molto usato) consiste nel diffondere il carico in
profondità secondo linee di pendenza 2:1, come mostrato in Fig, 5.17. Altri studiosi hanno
proposto che l'angolo di diffusione sia compreso fra 30° e 45° (e dunque che la pendenza vari fra
1.73:1 e 1:1). Se la zona di diffusione risulta definita da una pendenza di 2:1, ossia da un angolo di
~ 26°, l'incremento di pressione qv = Δq a profondità z sotto l'area caricata dovuto al carico Q vale:
che per una fondazione quadrata si semplifica in:

dove i termini sono evidenziati in Figura 5.17. Questo metodo fornisce risultati confrontabili in
modo soddisfacente con metodi teorici per profondità comprese fra B ≤ z ≤ 4B, ma non deve
essere impiegato per il calcolo di qv nella zona fra 0 ≤ z < B.

Fig. 5.17 – Metodi approssimati per ottenere l’incremento di sforzo qv nel terreno a profondità z al di sotto di una
fondazione.

5.5.2 – Il metodo di Boussinesq per il calcolo di qv

Uno dei metodi più comunemente usati per il calcolo di qv è quello di Boussinesq, basato sulla
teoria dell'elasticità. L'equazione di Boussinesq considera un carico puntiforme agente sulla
superficie di un semispazio elastico, omogeneo, isotropo, illimitato e privo di peso per ottenere:

dove i simboli sono individuati in Figura 5.18a. In base a questa figura si può scrivere tg θ = r/z,
definire un nuovo termine R2 = r2+z2 e porre cos5 θ = (z/R)5. Sostituendo questi termini nella
relazione precedente si ottiene:

che viene comunemente scritta con l’espressione:

Poiché il termine Ab è funzione del solo rapporto r/z se ne possono tabulare diversi valori, ad es.:

r/z 0.000 0.100 0.200 0.300 0.400 0.500 0.750 1.000 1.500 2.000

Ab 0.477 0.466 0.433 0.385 0.329 0.273 0.156 0.084 0.025 0.008
Lo scopo delle fondazioni è quello di diffondere i carichi così da evitare carichi puntiformi con
conseguenti concentrazioni di sforzo nel punto di contatto. Ciò rende in qualche misura poco
pratico l'impiego dell'equazione di Boussinesq finché la profondità z non è tale che gli sforzi
calcolati prodotti da carichi puntiformi e da carichi distribuiti (a questi equivalenti) convergano.

Fig. 5.19 – (a) Intensità della pressione q in base al metodo di Boussinesq; (b) Pressione in un punto a profondità z al di
sotto del centro di un’area circolare soggetta a una distribuzione di pressione d’intensità q0.

Si può superare questo inconveniente assumendo che la pressione di contatto q0 sia applicata a
un'area circolare finita, come è mostrato in Figura 5.18b, così che il carico Q possa essere definito
dalla relazione:

Lo sforzo prodotto nel terreno dalla pressione di contatto q0 agente sull'areola dA posta sulla
superficie (Fig. 5.18b) vale:

ma dA = 2π dr, e la relazione diviene:

Integrando e introducendo i limiti d'integrazione:

(*)

Questa equazione può essere utilizzata per ottenere direttamente lo sforzo q a una profondità z
per una fondazione circolare di raggio r (a questo punto r/z è un rapporto di profondità misurato
rispetto al centro della fondazione). Se si riordinano i termini, si risolve rispetto a r/z prendendo la
radice positiva:
II significato della relazione è che il rapporto r/z fornisce anche la dimensione relativa di un'area
circolare che, se caricata, produce lo stesso rapporto fra le pressioni q/q0 in un elemento di suolo
collocato nello strato a una profondità z. Introducendo nella relazione i valori del rapporto q/q0 si
ottengono i corrispondenti valori di r/z:

q/q0 = 0.0 0.100 0.200 0.300 0.400 0.500 0.600 0.700 0.800 0.900 1.000

r/z = 0.0 0.270 0.400 0.518 0.637 0.766 0.918 1.110 1.387 1.908 ∞

Questi valori possono essere utilizzati per disegnare l'abaco di Newmark mostrato in Fig. 5.19.
L'uso dell'abaco si basa su un fattore definito coefficiente d’influenza (I) determinato dal numero
di porzioni o elementi in cui l'abaco risulta suddiviso.

Ad es., se la serie degli anelli concentrici viene suddivisa in modo da formare 400 elementi, spesso
costruiti in modo da risultare approssimativamente quadrati, il coefficiente di influenza vale 1/400 =
0.0025. Nel costruire un abaco è necessario che la somma degli elementi compresi fra 2
circonferenze concentriche, moltiplicata per il coefficiente d’influenza, sia uguale alla variazione del
rapporto q/q0 che si ha passando da una circonferenza all'altra (ossia se la variazione è di 0.1 q/q0,
allora il prodotto del coefficiente d'influenza I per il numero M di porzioni deve valere 0.1). Questo
concetto consente di costruire un abaco per un valore qualsiasi del coefficiente d'influenza. La Fig.
5.19 riporta un abaco suddiviso in 200 elementi; pertanto il coefficiente d'influenza è 1/200 = 0.005.
Valori più piccoli del coefficiente d'influenza comportano un aumento del numero di quadrati e
pertanto un più lungo lavoro di costruzione, dal momento che la somma delle porzioni impiegate in
un problema rappresenta semplicemente l'integrale, calcolato per via grafica, della relazione
iniziale. È dubbio che si guadagni molto in accuratezza impiegando coefficienti d'influenza molto
piccoli, benché il lavoro di costruzione si accresca notevolmente.

Fig. 5.19 – Abaco di Newmark.


Il diagramma d’influenza (abaco) può essere impiegato per calcolare lo sforzo in un elemento di
suolo al di sotto di una fondazione o un complesso di fondazioni, a qualsiasi profondità dal piano di
posa. È necessario soltanto disegnare sull'abaco la pianta delle fondazioni a una scala z = AB. In
questo modo, se z = 5 m, AB rappresenta sul diagramma 5 m; se z = 10 m, AB rappresenta 10 m
etc. Ora, se AB = 20 mm, significa che le piante delle fondazioni devono venire disegnate in scala
1:250 e 1:500, rispettivamente. Nel tracciare le piante occorre che il punto nel quale si vuole
calcolare l'incremento di sforzo Δq sia collocato nel centro comune a tutte le circonferenze.

Le porzioni, complete o parziali, racchiuse dal contorno della fondazione (o delle fondazioni)
vengono conteggiate e l'incremento di sforzo a profondità z è calcolato dalla:

Δq = q0 M I

dove Δq è l'incremento di sforzo nel terreno dovuto al carico di fondazione valutato a profondità z
ed espresso come frazione di q0, ossia la pressione di contatto della fondazione; M rappresenta il
numero di elementi (compresi quelli solo parzialmente interessati) messi in conto; I è il fattore
d'influenza proprio del diagramma utilizzato.

Il diagramma d’influenza è di uso complesso, principalmente perché il valore della profondità z dà


luogo a un fattore di scala scomodo, basato sulla lunghezza del segmento AB di Fig. 5.19; è
tuttavia di qualche utilità nei casi in cui risulti poco pratico ricorrere a un computer e si abbiano o
un certo numero di fondazioni caratterizzate da pressioni di contatto differenti o una fondazione di
forma irregolare per la quale si voglia calcolare in alcuni punti il valore di Δq (o di q0).

Per fondazioni circolari isolate, un profilo della pressione lungo l'asse verticale passante per il
centro può essere ottenuto in modo efficiente impiegando la relazione (*) con una calcolatrice
programmabile. Per fondazioni quadrate o rettangolari è utile il concetto di bulbo di pressione
mostrato in Fig. 5.20. I bulbi di pressione sono delle isobare (linee di uguale pressione) ottenute
costruendo profili verticali della pressione per vari punti scelti nel senso della larghezza B della
fondazione e interpolando poi i punti caratterizzati da uguali valori di pressione.
Fig. 5.20 – Linee isostatiche della pressione verticale ottenute sulla base dell’equazione di Boussinesq per fondazioni
quadrate e nastriformi (illimitate). I risultati sono applicabili solo lungo la linea ab che va dal centro al bordo della
fondazione.

5.5.2.1 – Metodi Numerici per risolvere l’equazione di Boussinesq

Vi sono vari metodi disponibili per ottenere un profilo verticale di pressione utilizzando l'equazione
di Boussinesq e un elaboratore.

Un metodo semplice, speditivi, applicabile a fondazioni quadrate o rettangolari (e a quelle circolari


convertite in fondazioni quadrate equivalenti) consiste nell'utilizzare l'equazione di Boussinesq già
integrata su un rettangolo di dimensioni B x L. L'espressione venne ricavata da numerosi autori
europei negli anni ‘20 ma la forma più facilmente disponibile è quella dovuta a Newmark.

L'equazione di Newmark, applicabile al di sotto di uno spigolo dell'area B x L è:

Quando V1 > V, il termine tg-1 è negativo ed è necessario aggiungere π.

Si può notare che, a volte, la relazione viene scritta in forma diversa con il termine tg-1 sostituito da
sin-1 e con una diversa espressione per V. Risulta possibile calcolare lo sforzo verticale a qualsiasi
profondità z per qualsiasi punto collocato a ragionevole distanza dalla fondazione o al di sotto di
essa, come illustrato in Fig. 5.21. Nella pratica è conveniente riscrivere la relazione con
l’espressione:

Δq = q0 Iσ

dove Iσ congloba tutti i termini che compaiono a destra di q0 nella relazione iniziale ed è tabulato
per valori stabiliti di M e N in Tab. 5.15.

Fig. 5.21 – Modalità d’applicazione dell’equazione di Newmark per ottenere lo sforzo verticale nei punti indicati.

Il metodo di Boussinesq per il calcolo dell'incremento dello stato di sforzo prodotto dai carichi di
fondazione è diffusamente usato per ogni tipo di suolo (anche per terreni stratificati), nonostante
sia stato specificamente sviluppato per un semispazio omogeneo, isotropo, illimitato. Si è scoperto
che i valori degli sforzi calcolati con questo metodo si rivelano in buon accordo coi pochi valori
misurati finora ottenuti.

5.5.3 – Condizioni di carico particolari per il metodo di Boussinesq

A volte la pressione di contatto trasmessa dalla base della fondazione può non essere uniforme
ma avere distribuzione triangolare o di altro tipo. In letteratura esistono diverse soluzioni per
queste condizioni di carico ma, in generale, dovrebbero essere impiegate con cautela, specie se la
distribuzione genera degli integrali complicati. L'integrazione è sostanziale per ottenere la
relazione ultima; ad ogni modo tale equazione è stata adeguatamente verificata (anche
impiegando tecniche numeriche per la valutazione degli integrali) e si può ritenerla corretta.

Le equazioni per il calcolo degli sforzi prodotti da distribuzioni di carico triangolari (tanto verticali
che laterali) presentano comunemente degli errori, cosicché solitamente si raccomanda l'impiego
di tecniche numeriche e l'applicazione della sovrapposizione degli effetti laddove sia possibile.
Le equazioni per i casi illustrati in Fig. 5.22 sono state proposte da Vitone & Valsangkar e risultano
corrette dal momento che forniscono i medesimi risultati ottenuti con metodi numerici. Per il caso di
Fig. 5.22a, in A:

e in C:

Per il caso di Fig. 5.22b (è da notare la limitazione per cui ai vertici intermedi la pressione di
contatto debba valere q’0 = q0/2) in A:

e in C:

Queste equazioni possono essere verificate calcolando gli sforzi in A e in C e sommando: per ogni
valore della profondità z si deve trovare il medesimo valore ottenibile per una fondazione
rettangolare con una pressione di contatto uniforme.

Fig. 5.22 – Condizioni di carico particolari per il metodo di Boussinesq: occorre sempre orientare i lati B ed L della
fondazione come indicato (è da notare che possono presentarsi sia il caso B > L che il caso B < L.
Tab. 5.15 – Valori del Coefficiente d’influenza degli sforzi che compare nella relazione da utilizzare per calcolare gli
sforzi per valori adimensionalizzati della profondità M = B/z, N = L/z al di sotto dello spigolo di una fondazione di lati BxL.
5.5.4 – Il metodo di Westergaard per il calcolo degli sforzi nel terreno

Quando il terreno è costituito da strati sovrapposti di materiali fini e materiali a granulometria


grossa, come accade al di sotto di una pavimentazione stradale, o strati alternati di argilla e
sabbia, alcuni autori sono del parere che l'equazione di Westergaard fornisca una migliore stima
dello sforzo qv. L'equazione di Westergaard, diversamente da quella di Boussinesq, contiene il
coefficiente di Poisson μ, e per un carico puntiforme Q una delle forme in cui viene scritta è:

dove a = (1-2μ)/(2-2μ) e gli altri termini sono i medesimi dell'equazione di Boussinesq.


Analogamente a questa, si può riscrivere la relazione con l’espressione

qv = Q Aw/z2

Per μ = 0.30 si ottengono i valori seguenti:

r/z 0.000 0.100 0.200 0.300 0.400 0.500 0.750 1.000 1.500 2.000

Aw 0.557 0.529 0.458 0.369 0.286 0.217 0.109 0.058 0.021 0.010

Confrontando con i valori dei coefficienti di Boussinesq Ab che compaiono nella relazione omonima
si può osservare come, in generale, gli sforzi calcolati con l'equazione di Westergaard risultino
maggiori. Ciò, tuttavia, dipende in qualche misura dal coefficiente di Poisson poiché μ = 0 fornisce
lungo l'asse verticale (passante per il punto d’applicazione del carico) valori dello sforzo pari a
0.318/z2 mentre per μ = 0.30 si ottiene che lo sforzo vale 0.577/z2 contro 0.477/z2 della formula di
Boussinesq.

In analogia con l'equazione di Boussinesq, utilizzando la relazione e la Fig. 5.18b, si può scrivere:

Dopo l'integrazione si ottiene la soluzione diretta per fondazioni circolari analoga:

Riordinando i termini e prendendo la radice positiva si ha

Se si risolve questa equazione per prefissati valori del coefficiente di Poisson e valori di q/q0 via
via crescenti, come si è fatto per l'equazione di Boussinesq, si possono calcolare i valori necessari
a costruire un diagramma d'influenza (abaco) di Westergaard.

Poiché l'equazione di Westergaard è scarsamente utilizzata, la costruzione di tale abaco


(realizzato esattamente come quello di Boussinesq ma per un prefissato valore di μ) viene di solito
costruita quale esercizio.
5.5.5 – Calcolo dei cedimenti immediati

II cedimento dello spigolo di una fondazione rettangolare avente dimensioni B' x L' posta sulla
superficie di un semispazio elastico si può calcolare in base a un'equazione della teoria
dell'elasticità come segue:

dove q0 è l'intensità della pressione di contatto, espressa nelle stesse unità di misura di Es, B' è la
minima dimensione laterale dell'area reagente della base, espressa nelle medesime unità di
misura di ΔH; gli Ii sono coefficienti d’influenza dipendenti dal rapporto L'/B', dallo spessore dello
strato H, dal coefficiente di Poisson μ e dalla profondità del piano di posa D; Es, e μ sono i
parametri elastici del terreno.

I coefficienti d’influenza I1 e I2; si possono calcolare utilizzando le equazioni fornite da Steinbrenner


e cioè:

dove M = L'/B';N = H/B'; B' = B/2 per Ii relativi al centro, B' = B per Ii relativi allo spigolo; L' = L/2
per Ii relativi al centro, L' = L per Ii relativi allo spigolo.

Il coefficiente d'influenza IF deriva dalle equazioni di Fox, che stabiliscono come il cedimento venga
ridotto quando ci si ponga ad una determinata profondità, nel terreno, in dipendenza dal valore del
coefficiente di Poisson e del rapporto L/B. La Fig. 5.23 può essere utilizzata per approssimare IF;
con sufficiente accuratezza; in alternativa si possono implementare le equazioni di Fox, come è
stato fatto dall'autore per costruire la figura.
Fig. 5.23 – Coefficiente d’influenza IF per una fondazione collocata a profondità D. Impiegare i valori effettivi di larghezza
e profondità per calcolare il rapporto D/B.

La Tab. 5.16 elenca un insieme di valori di I1 e I2 per calcolare un coefficiente d'influenza:

in modo da potere scrivere la relazione nella forma più compatta:

L’equazione è applicabile a fondazioni flessibili poste su un semispazio. Nella pratica, infatti, la


maggior parte delle fondazioni risulta flessibile: anche quelle di grande spessore s’inflettono
quando vengono caricate dalla struttura sovrastante. Alcune teorie indicano che se la fondazione è
rigida il cedimento risulta tale che, a deformazione avvenuta, l'originale piano di posa si conserva
piano (ma la fondazione si può inclinare) e il cedimento si rivela < ~7%. Su questa base, se la
fondazione è rigida, si deve ridurre il valore del coefficiente Is di ~7% (cioè assumere Isr = 0.93 Is).

L’equazione è usata in modo molto diffuso per calcolare i cedimenti immediati. Non ha fornito,
tuttavia, buone stime quando si sono confrontati i risultati con valori misurati dei cedimenti.
L'autore, dopo avere analizzato un certo numero di casi, ha concluso che l'equazione è adeguata
ma che è il modo di utilizzarla che costituisce il problema. L'equazione deve essere applicata
secondo la seguente procedura:

1 - Effettuare la migliore stima di q0;

2 - Convertire la fondazione, se circolare, in una fondazione quadrata equivalente;


3 - Determinare il punto dove calcolare il cedimento e suddividere la base d’appoggio (come si fa
nel metodo di Newmark per il calcolo dello sforzo) in modo che il punto si trovi in corrispondenza di
uno spigolo esterno ovvero di uno spigolo (interno) comune a più rettangoli;

4 - Osservare che lo spessore dello strato effettivamente responsabile del cedimento non sia
definito da un rapporto H/B →∞ ma vada preso come il minimo dei seguenti 2 valori:

- a - profondità z = 5B (dove B è la minima dimensione complessiva della base della


fondazione).

- b - profondità alla quale s’incontra uno strato duro. Il termine duro va inteso nel senso che il
valore di Es dello strato risulta pari a ~10 volte il valore di Es dello strato adiacente.

5 - Calcolare il rapporto H/B'. Per uno spessore dello strato H = z = 5B si trova per il centro della
fondazione H/B' = 5B/0.5B = 10; per uno spigolo 5B/B = 5;

6 - Utilizzare la Tab. 5.16 per ottenere I1 e I2 e, con la migliore stima di μ, calcolare Is;

7 - Ricavare una stima di IF con l'ausilio della Fig. 5.23.

8 - Ottenere la media pesata di Es nello spessore dello strato z = H. La media pesata può essere
calcolata con la relazione:

La Tab. 5.17 riporta una casistica analizzata utilizzando il procedimento riportato su elementi
progettati in termini differenti; è possibile osservare come si sia in grado di effettuare stime
preventive dei cedimenti piuttosto attendibili.

Il motivo per cui le stime precedenti risultavano poco accurate è dovuta principalmente a 2 cause:
una è l'impiego di un valore di Es calcolato appena al di sotto della fondazione, l'altra l'adozione
dello schema di semispazio illimitato (I1 = 0.56; I2 trascurato).

5.5.6 – Rotazione delle fondazioni

A volte è necessario stimare la rotazione di una fondazione. Questo è un problema oltremodo


notevole per fondazioni soggette a momenti di segno alternato che producano vibrazioni e viene
affrontato con maggior dettaglio in un § successivo; tuttavia anche per rotazioni statiche, come
quelle che si hanno quando una colonna trasmette alla fondazione un momento ribaltante, può
essere necessario effettuare una valutazione preventiva della rotazione.

La ricerca bibliografica ha evidenziato 5 differenti soluzioni, nessuna delle quali è risultata


particolarmente soddisfacente, per la rotazione di fondazioni flessibili soggette a momento. Sotto
questo aspetto, poiché le soluzioni teoriche richiedono che vi sia contatto completo fra la base
della fondazione e il suolo, mentre con momento ribaltante sovente non si ha contatto con il
terreno sull'intera area della base, la migliore stima si deve ottenere utilizzando una soluzione a
differenze finite. La soluzione a differenze finite è raccomandabile poiché il momento ribaltante può
venire modellato, con considerazioni statiche, in modo da incrementare le forze nodali sulla parte
compressa e da ridurle sulla parte tesa. Il profilo dello spostamento medio lungo la base della
fondazione nella direzione dell'azione ribaltante può essere impiegato per ottenere l'angolo di
rotazione.
Tab. 5.16 – Valori dei coefficienti I1 e I2 impiegati per il calcolo del coefficiente d’influenza di Steinbrenner Is, da utilizzare
nell’equazione per diversi valori dei rapporti H/B’ e L/B.
Fig. 5.24 – Rotazione di una fondazione posta su un mezzo elastico.

In alternativa la rotazione della fondazione si può esprimere (Fig. 5.24) con la relazione:

dove M è il momento ribaltante agente sul lato B della fondazione.

Tab. 5.17 – Confronto tra i valori calcolati e misurati di cedimenti per un certo numero di casi tratti da fonti bibliografiche.

5.5.7 – Considerazioni sui cedimenti immediati

Si può interpretare la relazione ultima come un'equazione della meccanica delle strutture:

come precedentemente ottenuto, dove:

I principali problemi consistono, naturalmente, nella determinazione di valori corretti per Es e H; si


è notato in precedenza, con riferimento alla Tab. 5.17, che si dovrebbe usare un valore medio di
Es pesato sullo spessore dello strato d’influenza H. Ovviamente, se H risulta abbastanza esteso e
si ottiene in qualche modo un solo valore di Es il calcolo di ΔH che ne risulta può non essere molto
attendibile a meno che quell'unico valore di Es coincida, casualmente, con la media pesata.

È altresì evidente che, per l'usuale intervallo di valori (compresi fra 0.2 e 0.4) del coefficiente di
Poisson, questo parametro abbia poca influenza sul valore del cedimento ΔH; utilizzando,
viceversa, l'intervallo di massima ampiezza che va da 0 a 0.5 si ha solamente una differenza
massima del 25%.

La profondità H che influenza il fenomeno del cedimento può essere stimata ragionevolmente
bene, come notato a proposito della Tab. 5.17, prendendo il valore più piccolo fra 5B e la
profondità dello strato duro, inteso come quello in cui il modulo elastico Es risulta 10 volte e più
maggiore che nello strato immediatamente vicino. Occorre usare molta accortezza se il terreno
subisce una transizione graduale di rigidezza che non consenta di definire chiaramente tale fattore
di 10. E’ da notare, infine, come il fattore di profondità IF possa ridurre sostanzialmente i cedimenti
calcolati per D/B → ∞.

5.5.7.1 – Determinazione del modulo Sforzi-Deformazioni Es

Sono disponibili diversi metodi per determinare il modulo elastico:

1 - Prove di compressione non confinata (laboratorio);

2 - Prove di compressione triassiale (laboratorio);

3 - Prove in situ:

- a - prova penetrometrica standard (SPT);

- b - prova penetrometrica statica (CPT);

- c - prova pressiometrica;

- d - prova con piastra di carico.

Le prove di compressione non confinata tendono a fornire valori a favore di sicurezza di Es ciò
significa che il valore calcolato (solitamente il modulo tangente iniziale) risulta piccolo e produce
una stima di ΔH maggiore di quello che sarà il cedimento effettivo in situ.

Se il valore previsto di ΔH è troppo grande, può essere negativamente influenzata la scelta del tipo
di fondazione: in altre parole si può verificare che venga suggerito l'impiego di pali infissi o trivellati
quando l'adozione di fondazioni su plinto darebbe egualmente risultati soddisfacenti.

Le prove triassiali tendono a migliorare il valore di Es poiché qualsiasi pressione di confinamento


irrigidisce il terreno cosicché si ottiene un valore più elevato del modulo tangente iniziale. Anche
altri fattori, come il fatto che la prova sia realizzata in condizioni U (non consolidate, non drenate) o
CU (consolidate, non drenate) oppure CK0U (consolidate fino allo stato di sforzo a riposo, non
drenate) hanno influenza sul valore di Es ottenuto.

In generale le prove triassiali forniscono ancora risultati a favore di sicurezza ma in misura minore
rispetto a prove di compressione non confinata. Ciò è stato in qualche modo confermato da
Crawford: i valori di Es in situ, infatti, sono risultati da 4 a 13 volte superiori a quelli ottenuti in
laboratorio sulla base di qu e da 1 a 1.5 volte a quelli ottenuti da prove U triassiali.
Anche il pressiometro può essere impiegato per valutare il modulo sforzi-deformazioni in situ; se
tuttavia viene posto, come comunemente avviene, in un foro verticale quello che si ottiene è, però,
il valore di Es in direzione orizzontale; a meno che il suolo sia isotropo questo non è lo stesso
modulo che si ha in direzione verticale.

Anisotropia, storia di carico e cementazione naturale sembrano essere fattori molto significativi per
la determinazione di Es in particolar modo per terreni non coesivi.

Poiché i valori di laboratorio di Es non sono molto attendibili e risultano, peraltro, costosi da
ottenere, sono state molto impiegate per la determinazione di Es le prove in situ con penetrometro
standard (SPT) e con penetrometro statico (CPT). La Tab. 5.18 fornisce un certo numero di
equazioni per l'impiego dei diversi metodi di prova.

L'espressione e i coefficienti da utilizzare devono comunque essere basati sull'esperienza locale


che porta ad individuare, per una data zona, quale equazione fornisca la stima migliore.

Con riferimento alla Tab. 5.18 si vede che una buona stima del modulo elastico per una prova
penetrometrica standard (SPT) è:

Es = C1 (N+C2)

dove il coefficiente C2 vale 15 o 6, mentre i valori di C1 variano da 500 a 1200. Per quanto si debba
cercare dì determinare i valori più adeguati per il luogo che si considera, in generale, i valori C1 =
500 e C2 = 15 risultano ben applicabili a sabbie normalmente consolidate. Analogamente si rivela
ragionevolmente valido incrementare Es(OCR) per effetto della sovraconsolidazione adottando il
coefficiente (OCR)1/2 anche se, ancora una volta, la pratica o la conoscenza del materiale locale
possono fornire un coefficiente leggermente migliore.

Tab. 5.18 – Equazioni per ricavare il modulo sforzi-deformazioni Es dai risultati di prove in situ. Le relazioni seguenti
forniscono Es in kPa partendo da risultati SPT e nelle stesse unità di qc partendo da risultati di CPT. I valori di N
dovrebbero essere considerati come N55 e non come N70.
Per una prova penetrometrica statica (CPT) il modulo sforzi-deformazioni ha come forma generale:

Es = C3 qc

dove il coefficiente C3 assume valori variabili da 1 a 30. Per sabbie normalmente consolidate
risultano adatti valori di C3 compresi fra 2.5 e 3. Anche il coefficiente correttivo per tener conto del
grado di sovraconsolidazione (OCR) mostrato in tabella appare ragionevole. Tuttavia, con
riferimento a qc (valore direttamente misurato con CPT) un aspetto da non trascurare è che si può
presentare un certo valore critico di profondità al di sotto del quale il valore di qc si mantiene
pressoché costante. Vi è una spiegazione teorica a questo fenomeno: al di sotto di tale profondità
critica si sviluppa, infatti, una rottura localizzata nella piccola zona attorno alla punta del
penetrometro (che ha forma conica) e pertanto la capacità portante, cioè qc, cessa di
aumentare. D'altra parte è immediatamente evidente che il terreno debba diventare più rigido al
crescere della profondità, sia pure non illimitatamente, e tale rigidezza (cioè il modulo elastico)
risulti in qualche modo misurata in maniera più accurata con una prova penetrometrica standard
(SPT) che con una (CPT) effettuata con penetrometro statico; quest'ultimo, infatti, è
essenzialmente un dispositivo per misurare la capacità portante ultima in corrispondenza della
punta (che presenta una area trasversale di soli 10 cm2).

Ciò significa che non si possono ottenere stime particolarmente buone di Es a profondità maggiori
di quella critica del penetrometro (solitamente assunta come una certa frazione di D/B) a meno
che non si tenga in qualche modo conto nell'espressione di Es della profondità attraverso la
pressione prodotta dal sovraccarico alla profondità considerata. Ciò si può fare introducendo un
nuovo coefficiente C’3 variabile fra 1 e 100 e definito con le relazioni:

dove q’0 è la pressione (efficace) prodotta dal sovraccarico, definita in precedenza e n è un


esponente compreso fra 0.4 e 0.7.

5.5.8 – Effetti delle dimensioni su cedimenti e capacità portante

Uno dei principali problemi nel progetto di fondazioni è quello di dimensionare le fondazioni e/o
stabilire le pressioni di contatto in modo che per fondazioni vicine i cedimenti risultino pressoché
eguali. La Fig. 5.25 illustra il problema (ed i motivi per i quali le prove con piastra di carico hanno
scarso interesse pratico).

Fig. 5.25 – Influenza delle dimensioni di una fondazioni sulla profondità.


È evidente che se la profondità della zona d'influenza è pari a H = 5B, allora una piastra quadrata
di lato 0.3 m ha una profondità d'influenza di 5 x 0.3 = 1.5 m mentre per un prototipo di fondazione
avente lato di 2 m tale profondità vale 5x2 = 10 m. Si possono avere considerevoli cambiamenti
nelle proprietà del suolo con un simile aumento di profondità della zona interessata dai cedimenti.
Per impostare questo problema da un punto di vista teorico si riscrive la relazione base ponendo
E's = [(1-μ2)/Es] tramite le relazioni:

dove l'indice i vale 1 per i termini della prima relazione e 2 per i termini della seconda; q0i,
rappresenta la pressione di contatto trasmessa dalla base della fondazione (solitamente assunta
pari alla capacità portante ammissibile qa); Bi’ la larghezza della base come definita dalla relazione
di partenza; Isi il coefficiente d'influenza dei cedimenti basato sui rapporti Hi/Bi'e Li’/Bi'e IFi il
coefficiente basato sul rapporto D/Bi; Esi’ il valore medio del modulo elastico valutato sullo
spessore efficace H, (preso come il minimo fra il valore 5Bi e l'effettiva distanza del piano di posa
dallo strato duro). In generale si ha Es2’ < Es1’ per B2’ > B1’, ma la relazione non è solamente
lineare. Dividendo la prima per la seconda relazione si ottiene:

Questa equazione è corretta, da un punto di vista teorico, quanto lo sono le equazioni


fondamentali usate per il calcolo dei cedimenti (vale a dire che fornisce risultati del medesimo
ordine di approssimazione). Non è stata molto usata in passato in quanto risultava difficoltoso
dovere calcolare Esi per i 2 casi. Il problema, infatti, veniva affrontato sotto questa procedura:

1 - Per suoli argillosi assumere costanti Esi’, IFi e Isi così da ottenere:

che per pressioni di contatto costanti e pari a qa si riduce a:

Questa espressione è stata largamente impiegata per terreni argillosi; stabilisce semplicemente
che il cedimento di una fondazione di larghezza B2 è pari al cedimento ΔH1 di una fondazione di
lato B1 moltiplicato per il rapporto fra le dimensioni B2/B1. L'esperienza indica che l'impiego di
questa approssimazione si è rivelato ragionevolmente soddisfacente.

2 - Per terreni sabbiosi venne imposta la medesima ipotesi che tutti i termini di ambedue le
relazioni fossero uguali, eccettuati i soli Bi', ma si rilevò che le previsioni non erano soddisfacenti.
Uno dei coefficienti correttivi più diffusi fu:

Solitamente si prendeva come B1’ la larghezza di una piastra quadrata per prove di carico di lato
0.3 m e come B2’ la larghezza B del prototipo di fondazione. Si può vedere un'affinità tra questa
equazione e quella relativa alla capacità portante. Quest’ultima non forniva tuttavia stime molto
precise cosicché un'altra proposta prese come moltiplicatore di ΔH1 e cioè la:
dove Ai è l'area della base della fondazione i (i = 1, 2) mentre l'esponente n assume comunemente
valori compresi fra 0.4 e 0.7 (il valore solitamente più usato è 0.5).

Deve risultare chiaro come esistano poche possibilità di definire un moltiplicatore esatto per il
termine ΔH, particolarmente se il rapporto B2/B1 è molto grande come quando si usano i risultati di
una piastra quadrata di 0.3 m per estrapolare quelli di una fondazione quadrata di 2 o 3 m di lato (o
addirittura quelli di una platea di fondazione da 20 o 30 m). La ragione è che la sabbia necessita di
confinamento per sviluppare resistenza (e quindi Es). Se si assume che una fascia larga 75 mm
lungo tutto il perimetro fornisca per una piastra di qualsiasi dimensione il confinamento necessario
alla sabbia all'interno, si ha che la dimensione efficace di una piastra quadrata di lato 0.3 m è solo
1/4 di quella reale cosicché il valore apparente di Es risulta troppo piccolo alla superficie, in
confronto a quello di un prototipo di dimensioni (ad es.) 2x2 che, tolti i bordi, ha dimensione
efficace ~ 93%. Questo renderebbe errata la valutazione del rapporto Es2/Es1 ed errata per
eccesso (ma a favore della sicurezza) la stima del cedimento della piastra di maggiore dimensione
B2’. Un’indagine bibliografica indica che per valori grandi del rapporto B2/B1 il cedimento
incrementato ΔH2 non deve eccedere 1.6ΔH, mentre la capacità portante ridotta qa2 non deve
risultare inferiore a 0.4ΔH.

Per rapporti dimensionali piccoli (compresi fra 1.1 e 3) il rapporto fra cedimenti deve essere
compreso fra 1.1 e 1.2 e quello fra pressioni ammissibili fra 0.9 e 0.8.

Al posto di queste espressioni, in larga misura approssimate, si raccomanda l'uso della relazione
iniziale per le ragioni sopra evidenziate e per il fatto che essa è teoricamente esatta.

5.5.8.1 – Effetti delle dimensioni sulla capacità portante

La relazione può essere utilizzata anche per il calcolo della capacità portante. In questo caso si
prende ΔH1 = ΔH2 così da avere eguali cedimenti e si sostituisce q01 con qa1 e q02 con qa2.
Riordinando i termini si ottiene:

Assumendo che i cedimenti siano direttamente proporzionali a qa fornisce la relazione:

L'effetto della larghezza della base d’appoggio è stato già incluso. L'autore raccomanda di
utilizzare comunque la prima relazione, che è teoricamente esatta; la presenza di un maggior
numero di parametri raramente comporta difficoltà, in particolare poiché qa viene solitamente
ottenuta mediante prove penetrometriche (CPT o SPT) così che ottenere come risultato aggiuntivo
il modulo elastico è un esercizio banale che richiede solo la disponibilità di una Tabella come la
5.18.
5.5.9 – Metodi alternativi per il calcolo elastico dei cedimenti

Poiché il cedimento elastico è semplicemente:

ogni metodo che fornisca accuratamente le deformazioni nella zona di profondità H identificata
come zona d’influenza dovrebbe anche fornire una valutazione accurata del cedimento ΔH.

Come si può osservare in Tab. 5.17 non esiste attualmente alcun procedimento migliorabile di
quello proposto e che fa uso della relazione di base; tuttavia nell'ambito della tecnica delle
fondazioni a volte gli utilizzi speditivi d’esperienza prevalgono su altri metodi. Per tale motivo
vengono presentati due approcci alternativi al problema.

Un metodo è quello proposto da Schmertmann, nel quale la variazione nel bulbo di pressione di
Boussinesq veniva interpretata come correlata alla deformazione. Poiché il bulbo di pressione
cambia più rapidamente da circa 0.4B a 0.6B si ritiene che a questa profondità si abbiano le
deformazioni massime. Schmertmann ha quindi proposto di utilizzare un diagramma di
deformazione relativa di forma triangolare per modellare questa distribuzione di deformazione: i
vertici del triangolo si trovano nei punti (0,0B), (0.6,0.5B) e (0,2B) rispettivamente (le ascisse
rappresentano la deformazione relativa, le ordinate la profondità). L'area del diagramma è
correlata al cedimento e per Es costante (la stessa ipotesi usata per sviluppare il profilo della
deformazione) si può calcolare direttamente il cedimento come l'area del triangolo moltiplicata per
la deformazione, per ottenere:

Schmertmann ha incorporato anche due fattori correttivi per tener conto della profondità del piano
di posa (interramento) e del tempo, come segue:

Per l'interramento:

Per il tempo:

dove q- e q0 sono già stati definiti e t rappresenta il tempo, espresso in anni (si assume t > 0.1).
Con questi coefficienti correttivi la relazione viene riscritta come:

ΔH = C1 C2 (0.6 B) ε

Se Es non è costante, si è proposto di tracciare il profilo di deformazione e di ricavare dei


coefficienti d’influenza Iz calcolando il valor medio di Es per ogni incremento di profondità Δz
ottenendo:

ΔH = C1 C2 Δq ∑(Iz Δz)/Es
Tutto questo deve fornire un valore a favore di sicurezza del cedimento ΔH se Es è costante o
cresce con la profondità; se gli strati inferiori presentano tuttavia un valore molto più basso del
modulo elastico Es il metodo può fornire valori sottostimati di ΔH.

Con i due coefficienti correttivi indicati e assumendo Es = 2qc (sulla base dei risultati di CPT)
Schmertmann ha calcolato i cedimenti per un certo numero di casi tratti dalla letteratura (alcuni dei
quali sono riportati in Tab. 5.17) ottenendo un discreto accordo fra valori stimati e misurati di ΔH.

Un altro procedimento è quello di utilizzare il metodo del percorso degli sforzi (stress path) visto
nel 1° vol. Con tale metodo si realizzano una serie di prove triassiali nelle condizioni CK0UC
esistenti in situ diagrammando successivamente 2q = σ1-σ3 in funzione della deformazione e per
punti giacenti sull'asse verticale passante per il centro della fondazione a profondità
indicativamente pari a B/4, B/2, B, 1.5B, 2B, 3B, 4B o simili.

E’ possibile effettuare un numero minore di prove ma la pressione di sconfinamento K0 σ1 è un


parametro significativo che ha un effetto sostanziale sulla deformazione ε e richiede venga
eseguito un numero sufficiente di prove nello strato iniziale (per profondità da 0 ≤ z ≤ 4B) per
fornire un profilo di deformazione attendibile cosicché si possa utilizzare l'espressione:

Questo metodo richiede un'attenta ricostruzione dei campioni di sabbia o per le argille l'uso di
campioni indisturbati di buona qualità. Può fornire buoni risultati per sabbie normalmente
consolidate ma non per sabbie sovraconsolidate e/o cementate perché in tal caso risulterà
impossibile la ricostruzione dei campioni. Secondo Lambe & Whitman si può stimare il cedimento
con un livello di accuratezza piuttosto buono ma l'esempio da loro analizzato fa uso di 8 prove
triassiali su sabbia di gradazione da media a fine, apparentemente non preconsolidata (K0 = 0.4),
per valutare il cedimento al di sotto di un serbatoio circolare.

D'Appolonia et al., per una duna di sabbia sovraconsolidata, hanno utilizzato questo procedimento
per 2 serie di fondazioni con 7 prove triassiali per ciascuna con il massimo e il minimo grado di
sovraconsolidazione stimato per il sito; il risultato presenta una correlazione solamente discreta.

Poiché si iniziano le prove triassiali dalle condizioni K0 di consolidazione esistenti in situ, è


evidente che lo sforzo Δq della prova triassiale risulta in perfetta corrispondenza con lo sforzo Δσ1
prodotto dal carico di fondazione alla stessa profondità.

Il metodo di Boussinesq è comunemente impiegato per stimare Δq. A meno che (in particolari
situazioni) non ci si renda conto che il metodo dello stress path fornisce stime dei cedimenti
sostanzialmente migliori, il suo costo risulterà di gran lunga sproporzionato ai risultati a causa del
grande numero di prove triassiali necessarie.

5.5.10 – Sforzi e cedimenti in terreni stratificati e anisotropi

Esistono molteplici soluzioni elastiche per casi speciali, relativi al calcolo di sforzi e spostamenti in
suoli stratificati o anisotropi. Casi speciali sono a volte utili per ottenere un’indicazione della
probabile entità dell’errore che deriva dall’adottare un modello di suolo ideale (omogeneo, isotropo
etc.). In generale i casi speciali trattati riassumono un gran numero di diagrammi, abachi, tabelle
etc. non trovando corrispondenza in situazioni reali, oppure il tempo necessario a realizzare
interpolazioni da diagrammi e tabelle è superiore a quello che occorre per trovare in altro modo
una soluzione al problema.
Una delle applicazioni più promettenti del metodo degli elementi finiti é la risoluzione di questo tipo
di problemi. L’applicazione si rende con la seguente procedura:

- 1 - Modellare una ragionevole porzione (finita) del semispazio, facendo uso di un generatore
automatico di dati per definire le coordinate x e y dei nodi, la numerazione dei nodi e le
caratteristiche meccaniche del suolo nell'ambito di ciascun elemento. Il modello dovrebbe mettere
a disposizione ~5 differenti strati di terreno (se si vuole impiegarne un numero inferiore è
sufficiente attribuire le stesse proprietà al terreno appartenente a strati diversi).

- 2 - Risolvere il problema applicando un carico puntiforme a un nodo collocato sul piano di posa
della fondazione e omogeneizzando"il terreno (trattandolo ,cioè, come se fosse costituito da un
unico"materiale); le proprietà possono essere quelle di uno strato interno o quelle di uno strato
prossimo alla superficie oppure dei valori medi, in dipendenza del fatto che si vogliano o meno
valutare effetti di profondità.

- 3 - Risolvere nuovamente il problema con la medesima configurazione geometrica e di carico,


ma con la corretta stratificazione del suolo.

- 4 - Si ottiene il valore dello sforzo, utilizzando i bulbi di pressione della soluzione di Boussinesq,
nel punto desiderato al di sotto della fondazione (si mettono in conto in questo modo gli effetti
legati alla forma della fondazione e alla natura tridimensionale del problema).

- 5 - Si ricava il valore dello sforzo, nello stesso punto indicato nel punto 4, per le soluzioni con
carico puntiforme ottenute ai passi 2 e 3.

- 6 - Si calcola a qualunque profondità z lo sforzo dovuto alla presenza di stratificazione nel


terreno con una proporzione, così da ottenere:

qfL = qb(q3/q2)

dove qb è il valore dello sforzo calcolato col metodo di Boussinesq alla profondità desiderata in un
ammasso di terreno omogeneo, per una fondazione avente le stesse dimensioni, tenuto conto dei
coefficienti correttivi applicabili per la profondità di posa etc., qfL lo sforzo dovuto alla fondazione
alla medesima profondità in presenza di suolo stratificato mentre q3 e q2 rappresentano i valori
dello sforzo, sempre alla profondità considerata, ottenuti col metodo degli elementi finiti
rispettivamente per il caso stratificato (punto 3) e omogeneo (punto 2).

La qualità della soluzione ottenuta è almeno pari a quella dei parametri del terreno Es e μ utilizzati
come dati d’ingresso nel metodo degli elementi finiti. Il procedimento presentato consente di ridursi
alla soluzione di problemi bidimensionali per strati piani di sforzo o di deformazione, evitando la
soluzione di un problema tridimensionale che necessita di una disponibilità di memoria molto
maggiore per l'elaborazione. In modo analogo risulta possibile definire un procedimento per
calcolare i cedimenti.

5.5.11 – Cedimenti di consolidazione

I cedimenti di terreni coesivi saturi a gradazione fine risulteranno dipendere dal tempo; pertanto
viene comunemente impiegata la teoria della consolidazione, benché si possano usare (e a volte si
usino) metodi di calcolo elastico. Per i cedimenti di consolidazione s’impiegano, solitamente, le
relazioni teoriche relative; tuttavia viene anche utilizzata una forma alternativa scritta come:

ΔH = mv Δp H = ε H

Alcuni autori usano correntemente questa espressione per il calcolo di cedimenti di


consolidazione, tanto per argille quanto per sabbie di gradazione da fine a media, poiché il modulo
di compressibilità volumetrica mv viene determinato con una prova di consolidazione e vale mv =
1/Es (dove Es è il modulo di elasticità longitudinale a espansione laterale impedita). Avendo però i
campioni uno spessore dell'ordine di 20÷25 mm, la prova edometrica può dare risultati poco
significativi e, per le sabbie, risulta preferibile impiegare prove penetrometriche (CPT o SPT) in
quanto si possono ottenere a un costo relativamente basso un gran numero di valori a confronto
con l'impegno richiesto da prove di consolidazione, anche se eseguite in condizioni di carico
rapidamente variabile.

Nell'applicare la teoria della consolidazione al calcolo di cedimenti nell'argilla occorre innanzitutto:

- a - Valutare se il terreno è normalmente consolidato o se ha subito preconsolidazione (cioè se il


grado di sovraconsolidazione risulta OCR > 1);

- b - Stimare l'indice dei vuoti e0 in situ e ottenere un numero sufficiente di indici di compressione
da poter schematizzare adeguatamente lo strato (o gli strati) di argilla;

- c - Stimare l'incremento medio di sforzo Δq nello strato di spessore H.

Mentre nel § relativo alla teoria della consolidazione è stato esaminato ciò che occorre valutare nel
caso di strati sovraconsolidati e si sono forniti dettagli sul modo di ottenere e0 e gli indici di
compressione, in questa sede s’intende affrontare principalmente l'applicazione della teoria a casi
pratici.

L'indice dei vuoti in situ e0 si può solitamente determinare in modo ragionevole utilizzando il
contenuto d'acqua naturale (in situ) wN e il peso specifico riferito all'acqua Gs e/o i dati volumetrici-
gravimetrici ottenuti dal campione cilindrico di terreno impiegato per la prova di consolidazione.

È norma utilizzare i valori determinati a metà altezza dello strato che consolida; pertanto se il
campione sottoposto a prova edometrica proviene da una diversa posizione si può calcolare
l'indice dei vuoti a metà dello strato riordinando la relazione iniziale per ottenere:

e = e0 – Cc log [(p’0+Δp’0)/p’0]

dove e0 è l'indice dei vuoti del campione di terreno a profondità z; p’o = γ'z la pressione geostatica
efficace a profondità z; Δp’0 = γ'(dz) l'incremento o decremento della pressione p’0 valutato a
partire da profondità z; dz è la distanza (verticale) dalla profondità z di prelievo del campione di
terreno alla quota corrispondente alla metà dello strato (può essere una grandezza positiva o
negativa a seconda che il punto di prelievo stia rispettivamente al di sopra o al di sotto di tale
quota).

Si può osservare come la relazione sia non lineare (e probabilmente neppure l'indice di
compressione vari linearmente) cosicché non si devono adottare strati di spessore H eccessivo sui
quali mediare a metà altezza i valori di Δq, e0 e Cc.

L'incremento medio di pressione prodotto dal carico di fondazione nello strato di altezza H si può
ottenere semplicemente mediando i valori alla sommità e al fondo dello strato stesso in base alla
teoria di Boussinesq per spessori H fino a 1 m. Per spessori maggiori si deve ricorrere a tecniche
di integrazione numerica. La regola dei trapezi (insieme ad altri metodi d'integrazione numerica) si
presta allo scopo quando si adotta un incremento di profondità (o, più in generale, di lunghezza)
Δh costante, con valori estremi p1 e pn e punti interni equispaziati di Δh. Ciò fornisce l'area A di un
profilo di pressione come:
da cui l'incremento medio di pressione Δp vale:

Risulta poi necessario calcolare anche p’0 a metà altezza dello strato. Dove lo strato (o gli strati)
abbiano spessore > 2 m, si deve considerare l'esigenza di ricavare più valori di Cc e e0, di modo
che lo strato possa venire suddiviso in straterelli di spessore H, e il cedimento totale calcolato con
la relazione:

Questo può dare luogo ad una gran quantità di calcoli, motivo per cui può essere utile
programmare questi passi in modo da rendere il lavoro semiautomatico.

Si può porre in discussione la validità di applicare il metodo di Boussinesq quando il caso reale
presenti uno o più strati di terreno argilloso caratterizzati da valori di Cc diversi oppure strati di
terreno soggetti a cedimenti immediati sovrastanti uno o più strati di terreno argilloso che
consolidano. Benché il metodo non si riveli esatto, a meno che non si abbiano significative
differenze (ossia per un fattore di 5 e oltre) dei moduli elastici dei due materiali, calcoli più raffinati
migliorano in modo solo molto marginale i valori calcolati degli sforzi.

5.5.12 – Affidabilità dei calcoli

I cedimenti risultano generalmente costituiti dai contributi dovuti a fenomeni immediati, alla
consolidazione e alla compressione secondaria (o viscosità) ai sensi dell’espressione:

ΔH = ΔHi + ΔHc + ΔHs

In terreni non coesivi e nelle argille non sature è prevalente il contributo del cedimento immediato,
eventualmente accompagnato da una piccola componente viscosa ΔHs. Cedimenti di
consolidazione prevalgono invece nei suoli coesivi saturi, eccettuati i terreni molto organici, nei
quali può essere prevalente il termine viscoso. L'affidabilità della stima dei cedimenti immediati può
variare entro margini ampi ma, come mostra la Tab. 5.17, è possibile con alcune precauzioni
fornire valori del cedimento ΔHi piuttosto soddisfacenti.

La teoria della consolidazione tende a stimare con accuratezza l'entità del cedimento ΔHc ponendo
cura nel ricavare i parametri rappresentativi del suolo. Nella maggior parte dei casi la previsione
del cedimento risulta a favore della sicurezza (ossia lo si sovrastima), ma entro limiti accettabili.
Le previsioni risultano migliori per argille inorganiche a bassa sensitività che per altri tipi di terreno.
La stima richiede molta attenzione se il diagramma e-logp presenta ovunque un andamento curvo
o se l'argilla possiede elevata sensitività. Molta attenzione è altresì necessaria nel caso di argilla
altamente organica in quanto il contributo viscoso (dovuto a compressione secondaria) risulta
essenziale.

La durata dei cedimenti di consolidazione (cioè la velocità con la quale il fenomeno si sviluppa)
non viene, viceversa, stimata in modo soddisfacente; la ragione risiede nel fatto che il coefficiente
di permeabilità costituisce un fattore significativo. In laboratorio, inoltre, un campione sottile
sottoposto a compressione di qualsiasi entità subisce una grande variazione dell'indice dei vuoti al
confronto con quanto avviene in situ. Poiché il coefficiente di consolidazione Cc risulta funzione
dell'indice dei vuoti e0 esso viene stimato in modo insoddisfacente attraverso prove di laboratorio;
l’effetto si presenta quando si confrontano i valori di velocità di cedimento previsti con quelli
misurati in situ.
5.5.13 – Strutture su terreni di riporto

È spesso conveniente, e a volte necessario, costruire strutture o parti di strutture in zone costituite
da terreno riportato. Queste possono essere discariche di rifiuti, depositi di macerie provenienti da
edifici abbattuti oppure riporti costruiti secondo criteri urbanistici. Nel caso di discariche e depositi
di macerie è dubbio che una struttura possa venire costruita sopra un materiale di questo genere
senza subire cedimenti pregiudizievoli (della sua integrità e/o funzionalità) a meno che il riporto
abbia avuto tempo sufficiente a decomporsi e a consolidare completamente. Per la maggior parte
delle fondazioni su tali riporti i carichi devono essere trasmessi attraverso lo strato di riporto
facendo uso di pali infissi o trivellati di materiale esente da corrosione (solitamente si utilizzano
calcestruzzo o legno trattato).

Un rinterro ben costruito, facendo uso del controllo di qualità relativo sia al materiale che al
costipamento, produce spesso una base su cui porre le fondazioni migliori del terreno originale
sottostante. Molti tecnici, tuttavia, si sono dimostrati riluttanti a porre fondazioni su riporti (o
all'interno di strati di riporto) per 2 motivi:

- a – Ottenimento di risultati spiacevoli conseguenti all'avere collocato le fondazioni su riporti mal


costruiti. In assenza di controllo di qualità, infatti, non è raro ottenere dei rinterri costituiti da una
crosta dura sovrastante uno strato di qualche metro di materiale di riporto sciolto, come
conseguenza dall’aver praticato il costipamento solo sull'ultimo livello di riporto o dall’aver costruito
un livello troppo spesso per poterlo costipare con l'attrezzatura disponibile.

- b – Ottenimento di risultati spiacevoli conseguenti all'avere posto le fondazioni sul riporto non a
causa del cedimento del medesimo ma di quello del terreno sottostante, prodotto dal peso del
riporto e da quello della struttura.

Per i rinterri vi sono da prendere delle precauzioni, oltre ad applicare il controllo del costipamento,
come l'eliminazione dei materiali a elevata compressibilità, la disposizione di drenaggi adeguati e
la garanzia di aver tenuto conto dei cedimenti di consolidazione se la struttura deve essere
realizzata a poco tempo di distanza dalla conclusione dei lavori di costruzione del riporto.

Durante il fenomeno della consolidazione la struttura e il riporto cedono proprio a causa del peso
del riporto stesso e ciò si verifica sia che le fondazioni vengano poste sul terreno naturale sia che
vengano poste sullo strato riportato. Eccessivi cedimenti differenziali possono essere prodotti da
fenomeni di consolidazione degli strati soffici sottostanti se il riporto presenta spessore variabile in
misura considerevole o se parte della struttura viene costruita su terreno originale e parte su
terreno di riporto. Un rinterro mal costruito continua nel tempo a subire cedimenti e non vi esistono
teorie applicabili per valutare la durata del cedimento o la quantità di tempo necessaria a far sì che
il fenomeno cessi.

La determinazione della capacità portante (e dei cedimenti) procede come per il caso del terreno
vergine. Se il riporto è stato posto in opera prima che venga iniziata la fase,di indagine esplorativa
del sito, si applicano gli usuali metodi di indagine presentati (prove penetrometriche standard e
prove sul materiale campionato). Qualora invece l'indagine esplorativa in situ sia già stata
realizzata la capacità portante del riporto può essere determinata sulla base di prove di laboratorio
su campioni costipati fino alla densità proposta per il riporto. I valori dedotti da regolamenti edilizi
accoppiati ad esperienze di successo su suoli caratterizzati da proprietà e densità simili possono
essere utilizzati come linee guida.

5.5.14 – Tolleranze strutturali a cedimenti e cedimenti differenziali

Valori teorici dei cedimenti si possono calcolare per vari punti come lo spigolo e il centro di una
fondazione oppure al di sotto della fondazione più caricata e di quella meno caricata per ottenere il
cedimento totale e quello differenziale tra punti vicini.
Se l'intera struttura cede in direzione verticale di una certa quantità oppure subisce una rotazione
come un corpo rigido piano ciò non deve, in generale, produrre pericoli strutturali o danni
architettonici. Ad es. se una struttura cede di 20 mm da un lato e di 100 mm dall'altro, con una
variazione lineare del cedimento fra i 2 punti, fatta eccezione per considerazioni estetiche e di
pubblica sicurezza, è improbabile che si sviluppino danni alla struttura. L'edificio risulta avere
ceduto di 20 mm e avere subito una rotazione di valore ζ = (100-20)/L.

Sono i cedimenti localizzati che si sovrappongono alla rotazione rigida della struttura a produrre
danni all'edificio. Questi cedimenti localizzati, sovrapposti al cedimento uniforme e/o alla rotazione
rigida sono i cedimenti differenziali che il progettista delle fondazioni deve controllare, poiché essi
determineranno l'accettabilità o meno della struttura. Il cedimento totale (ossia della struttura
intesa come corpo rigido), parte del quale si verifica durante la fase di costruzione, può essere
mascherato adattando opportunamente l'ambiente circostante l'edificio, a costruzione finita o
anche in un secondo tempo, mentre crepe nei muri o distorsioni della copertura sono molto più
difficili da occultare.

Il cedimento differenziale può essere calcolato come differenza fra cedimenti di 2 punti vicini.
Indicativamente può essere stimato pari a 3/4 del massimo cedimento totale calcolato; pertanto, se
il massimo cedimento complessivo risulta pari a 40 mm, ci si può attendere un cedimento
differenziale Δh = 3/4(40) = 30 mm.

MacDonaId & Skempton hanno condotto uno studio su 98 edifici, per lo più costruiti col vecchio
schema a muratura portante ma anche in acciaio e in cemento armato, per fornire i dati della Tab.
5.19. Questo studio è stato confermato dai risultati di Grant et al. che hanno preso in esame altri
95 edifici di più recente costruzione. Feld, infine, riporta un numero piuttosto elevato di strutture
particolari fornendo informazioni sull'entità dei cedimenti e la risposta strutturale che possono
risultare d’interesse nel considerare uno specifico problema.

Tab. 5.19 – Cedimenti differenziali tollerabili da edifici (mm) e fra parentesi valori massimali raccomandabili.
Tab. 5.20 – Inclinazioni differenziali ammissibili in base alla normativa russa per edifici costruiti su terreni gelati e non.

Combinando tutte queste fonti è stato possibile concludere che:

1 - I valori riportati in Tab. 5.19 devono essere adeguati per la maggior parte delle occasioni. I
valori fra parentesi costituiscono valori di progetto consigliati; gli altri rappresentano degli intervalli
di valori dei cedimenti trovati sulla base di prestazioni strutturali soddisfacenti;

2 – Per poter stabilire quale sia una inclinazione accettabile sii deve guardare attentamente la
differenza fra cedimenti di punti vicini;

3 - Gli sforzi residui presenti in una struttura possono essere importanti, in quanto si è osservato
che esiste uno scarto, per edifici simili, fra i valori dei cedimenti differenziali tollerabili;

4 - Una costruzione realizzata in acciaio, che è un materiale più duttile, può sopportare cedimenti
maggiori che una realizzata in cemento armato o a muratura portante;

5 - L'intervallo di tempo durante il quale si sviluppa il cedimento va tenuto in conto: lunghi intervalli
di tempo consentono alla struttura di adattarsi e di resistere meglio a cedimenti differenziali.

5.6 – Fondazioni su plinto

Una fondazione che sostenga una singola colonna viene chiamata fondazione su plinto; la sua
funzione consiste nel diffondere sul terreno il carico trasmesso dalla colonna stessa, in modo da
ridurre l'intensità dello sforzo a un valore che possa essere sopportato con sicurezza dal terreno.
Questi elementi strutturali vengono talvolta detti anche fondazioni isolate o singole. Le fondazioni
di pareti portanti svolgono una funzione simile, consistente nel diffondere sul terreno il carico
trasmesso dalla parete; spesso, tuttavia, la larghezza delle fondazioni di pareti portanti è
determinata da fattori differenti dalla pressione ammissibile sul terreno, poiché i carichi che
provengono dalla parete (compreso il peso proprio) sono generalmente piuttosto bassi.

Il calcestruzzo rappresenta il materiale quasi universalmente usato per le fondazioni, in virtù della
sua resistenza in ambienti potenzialmente ostili e per ragioni economiche.
Le fondazioni su plinto con armatura a trazione vengono dette a doppia o a semplice armatura se
l'armatura di acciaio è disposta in entrambe le direzioni (caso comune) oppure in una sola
direzione (come solitamente avviene per le fondazioni di pareti portanti).

Le fondazioni isolate possono essere a spessore uniforme oppure costante a tratti (a gradini)
oppure a lati inclinati (rastremate). Le fondazioni a gradini oppure a lati inclinati sono per lo più
comunemente adottate allo scopo di ridurre, nelle zone dove i momenti flettenti sono modesti, la
quantità di calcestruzzo impiegata oppure nel caso in cui la fondazione non è armata. Quando i
costi di manodopera sono elevati rispetto al costo del materiale, allora risulta solitamente più
economico adottare fondazioni armate. In Fig. 5.26 sono illustrati diversi tipi di fondazioni su plinto.

Fig. 5.26 – Fondazioni singole: (a) fondazione su plinto a spessore costante; (b) plinto a gradini; (c) plinto rastremato; (d)
fondazione di parete; (e) fondazione su plinto con piedestallo.

Le fondazioni vengono progettate per sopportare interamente i carichi permanenti trasmessi dalla
colonna. I contributi dei carichi accidentali possono essere pari alla loro entità totale per edifici di
uno o due piani oppure pari a una quantità ridotta di questi, come indicato dalle diverse normative,
per strutture multipiano. Alle fondazioni, inoltre, può essere richiesto di sopportare, in
combinazione con i carichi permanenti e accidentali, gli effetti dovuti al vento o a un sisma.

I carichi agenti sulla fondazione possono consistere in una combinazione di carichi verticali e
orizzontali (con risultante inclinata) oppure in una combinazione di questi stessi carichi con
momenti ribaltanti. La procedura di progetto adotta fattori di carico ridotti per le diverse condizioni
di carico transitorie invece d’incrementare di quantità corrispondenti gli sforzi ammissibili del
materiale.

Per collegare colonne metalliche a plinti o a fondazioni di pareti poste a una certa profondità nel
terreno si possono usare dei piedestalli (Fig. 5.26e). Ciò previene la possibile corrosione del
metallo provocata dal contatto diretto con il terreno.
5.6.1 – Pressioni ammissibili sul terreno nel progetto di fondazioni su plinto

La pressione ammissibile sul terreno per il progetto di fondazioni viene determinata tenendo conto
della condizione più sfavorevole ottenuta valutando la capacità portante e l'entità dei cedimenti.
Nelle situazioni in cui l'aspetto predominante è dovuto ai cedimenti, il valore indicato consiste
nell'incremento netto ammissibile della pressione sul terreno. Ciò perché i cedimenti sono dovuti a
incrementi di pressione rispetto a quella presente (pressione geostatica).

La capacità portante fornita al progetto delle strutture viene corretta da un opportuno coefficiente di
sicurezza. Il coefficiente di sicurezza varia tra 2 e 5 per materiali non coesivi (in funzione della
densità, degli effetti del collasso e della cautela del consulente). Il valore può variare tra 3 e 6 per
materiali coesivi con adozione dei valori più elevati quando i cedimenti di consolidazione possano
manifestarsi in un lungo periodo di tempo.

E’ opportuno osservare come questi coefficienti di sicurezza risultino più elevati di quelli indicati in
precedenza. In genere, infatti, una riduzione di qa (ad es. da 500 a 300 kPa) ha come
conseguenza una fondazione su plinto di maggiori dimensioni mentre l'incremento percentuale
rispetto al costo totale della costruzione permane pressoché trascurabile. Questo può essere
considerato un elemento a favore della sicurezza poiché il collasso di una fondazione comporta
misure di intervento molto costose e riparazioni strutturali qualora i danni alla sovrastruttura
possano essere individuati e riparati facilmente.

5.6.2 – Ipotesi progettuali

L'analisi della teoria dell'elasticità e osservazioni pratiche indicano che la distribuzione degli sforzi
al di sotto di fondazioni caricate simmetricamente non è uniforme. L'effettiva distribuzione di sforzi
dipende sia dalla rigidezza della fondazione che dal terreno su cui essa poggia.

Fig. 5.27 – Distribuzione qualitativa della pressione al di sotto di una fondazione rigida. (a) per un terreno non coesivo;
(b) per terreni coesivi in generale; (c) distribuzione lineare comunemente adottata.

Per fondazioni su sabbie sciolte, i grani in prossimità dei bordi della fondazione stessa tendono a
fluire lateralmente mentre il terreno nella zona interna risulta relativamente confinato. Ciò dà luogo
a un diagramma di pressioni come quello illustrato qualitativamente in Fig. 5.27a. La Fig. 5.27b
mostra invece la distribuzione teorica delle pressioni per il caso più generale di fondazioni rigide su
un materiale qualsiasi.

L'elevata pressione ai bordi si può spiegare considerando che si deve verificare un taglio al bordo
prima che possa avere luogo qualsiasi cedimento. Poiché il terreno possiede una bassa resistenza
a rottura e la maggior parte delle fondazioni manifesta una rigidezza intermedia, è molto probabile
che non si producano elevati sforzi di taglio ai bordi. Gli sforzi sui bordi dipendono anche dallo
spessore z del terreno compressibile, come illustrato in Fig. 5.27b.

La distribuzione di pressioni al di sotto della maggior parte delle fondazioni risulta generalmente
indeterminata a causa dell'interazione tra la rigidezza della fondazione da un lato e il tipo del
terreno, lo stato del terreno e il suo tempo di risposta allo sforzo dall'altro. Per questa ragione è
abitudine comune adottare una distribuzione di pressioni lineare al di sotto della fondazione. Le pur
scarse misurazioni effettuate in situ indicano che tale ipotesi è soddisfacente.

Il progetto di fondazioni su plinto è basato quasi interamente sui lavori di Richart & Moe. Il lavoro di
Richart ha fornito un contributo nell'individuazione della sezione critica per i momenti flettenti; le
sezioni critiche per il taglio sono invece basate sul lavoro di Moe.

5.6.3 – Progetto di elementi in calcestruzzo armato: progetto allo stato limite ultimo

Col termine generico di normativa viene indicata nel seguito l’ultima versione delle norme
statunitensi per il calcestruzzo armato (ACI 318-86) la quale rivolge la quasi totale attenzione ai
metodi di progetto allo stato limite ultimo (o USD: Ultimate State Design).

Il progetto allo stato limite richiede la conversione dei carichi progettuali di esercizio in carichi ultimi
mediante l’adozione di coefficienti di carico nel modo seguente:

Pu = 1.4DL+1.7LL (a)

= 0.75 (1.4DL+1.77LL+1.7W) (b)

= (0.9 DL+1.3W) in alternativa, per effetti dovuti al vento (c)

In presenza di azioni sismiche la grandezza E (che denota i carichi dovuti a sisma) prende il posto
della grandezza W (che individua i carichi dovuti al vento).

La procedura di progetto allo stato limite ultimo riduce la resistenza del calcestruzzo per tener
conto dell'errore umano nel processo di fabbricazione e di altre incertezze mediante l'adozione di
coefficienti 0 definiti come segue:

Considerazioni di progetto Φ

Momento, in assenza di carico assiale 0.90

Puntamento, aderenza e ancoraggio 0.85

Elementi compressi, con armatura a spirale 0.75

Elementi compressi, con staffe 0.70

Fondazioni non armate 0.65

Piastre di base su calcestruzzo 0.70


La deformazione del calcestruzzo in corrispondenza dello sforzo limite viene assunta pari a 0.003
mentre la tensione di snervamento fy dell'acciaio da armatura viene limitata a 550 MPa.

L'acciaio da armatura maggiormente usato nella pratica presenta una tensione di snervamento
pari a fy = 400 MPa.

5.6.3.1 – Elementi di progetto allo stato limite ultimo

Per lo sviluppo parziale delle equazioni di progetto allo stato limite ultimo che seguono, si deve
fare riferimento alla Fig. 5.28.

Dalla Fig. 5.28b si osserva che la sommatoria delle forze orizzontali ΣFH = 0 fornisce C = T e,
adottando un diagramma degli sforzi di compressione rettangolare avente le dimensioni illustrate in
figura, si ha:

C = 0.85 f’c b a

Fig. 5.28 – Ipotesi adottate per la derivazione delle equazioni di progetto allo stato limite ultimo.

La forza di trazione T è pari a:

T = A s fy

Eguagliando queste due ultime espressioni si ottiene l'altezza del diagramma degli sforzi di
compressione, pari a:

a = As fy/ / 0.85 f’c b a

Imponendo l'equilibrio dei momenti rispetto a un punto opportuno (per esempio il punto
d'applicazione di T o di C), si ottiene:

T [d-(a/2)] = Mu = C [d-(a/2)]

che, risolta rispetto al momento ultimo e introducendo il coefficiente di riduzione, fornisce la:

Mu = Φ As fy [d-(a/2)] *

In alternativa, se si definiscono nel modo seguente le percentuali geometrica e meccanica di


armatura p e q:

p = As/bd q = pfy/f’c

la relazione ultima può essere riscritta con l’espressione:


Mu = Φ bd2 f’c q(1-0.59q)

La percentuale meccanica di armatura è stata definita come p = As/bd mentre la percentuale di


armatura per un progetto bilanciato verrà indicata con pb. Per assicurare una rottura a trazione
dell'armatura piuttosto che una rottura improvvisa del calcestruzzo a compressione, la percentuale
di armatura di progetto, pd, viene assunta ≤ 0.75pb dove la percentuale di armatura bilanciata pb
viene calcolata in base a una deformazione del calcestruzzo pari a 0.003 (in corrispondenza dello

sforzo ultimo) e con un modulo elastico dell'acciaio Es = 2 105 MPa come:

pb = 0.85 β1 f’c 600/fy(fy+600)

dove sia f’c che fy vanno espressi in MPa.

Il coefficiente β1 è definito nel modo seguente (f’c espresso in MPa):

β1 = 0.85 – 0.008 (f’c-30) ≥ 0.65

Nelle fondazioni per edifici, raramente si assume f’c > 21 MPa; per fondazioni di ponti è poco
probabile che f’c >i 28 MPa, cosicché il coefficiente β1, nella maggior parte dei casi, vale 0.85. Un
calcestruzzo di bassa resistenza risulta un po' più economico, a parità di volume, di uno di migliore
resistenza ma, cosa più importante, dà luogo a fondazioni più rigide, poiché queste devono essere
realizzate con uno spessore maggiore (valori maggiori dell'altezza complessiva D, in Fig. 5.28c).
La Tab. 5.21 fornisce i valori di β1 per diversi valori di f’c che possono essere utilizzati nel progetto
di platee di fondazione (→§ succ.) dove occasionalmente si adottano resistenze del calcestruzzo
più elevate. In Tab. 5.21 sono indicati inoltre diversi valori di 0.75pb (percentuale limite di armatura
in una sezione trasversale) che, come mostrato in precedenza, dipendono sia da f’c che da fy.

Tab. 5.21 – Percentuale massima ammissibile di armatura.

Per i requisiti di aderenza si specifica la minima lunghezza di ancoraggio Ld per le barre, espressa
in funzione del diametro db o dell'area Ab nel modo seguente:

Queste lunghezze devono essere moltiplicate per i seguenti coefficienti, nei diversi casi:
La lunghezza di ancoraggio (Articolo 12.3) per barre in compressione è assunta pari al maggiore
dei valori seguenti:

0.25 fydb/√f’c oppure 0.04 fydb oppure 200 mm

dove Ab è l’area della barra (mm2), db è il diametro della barra (mm), fy la tensione di snervamento
dell'acciaio (MPa) ed f’c la resistenza a compressione del calcestruzzo a 28 giorni (MPa). Le
medesime unità di misura vanno adottate anche nei 2 riquadri precedenti.

Per ridurre il valore della lunghezza di ancoraggio Ld richiesta da queste equazioni è possibile
piegare l'estremità delle barre realizzando degli uncini di forma standard; tuttavia solitamente non
si ricorre a tale pratica per le fondazioni.

Spesso il fattore che governa il progetto delle fondazioni su plinto è costituito dal taglio. Lo sforzo
tagliante viene espresso dalla relazione:

vu = Vu/bd

dove Vu è la forza di taglio ultima, ottenuta modificando i carichi secondo i coefficienti dati dalle (a),
(b) e (c) all'inizio del § e bd rappresenta l'area resistente a taglio, di larghezza b e altezza efficace
(d) calcolata dal lembo compresso al baricentro dell'ara matura tesa.

Il valore nominale calcolato vu del taglio viene confrontato con i valori ammissibili vc forniti da
verifiche a flessione e a puntamento definite in Fig. 5.29 . Tali valori ammissibili sono i seguenti
(dove f’c e vc sono espressi in MPa):
Fig. 5.29 – (a) sezione critica per il taglio della verifica a flessione; (b) sezione critica per il taglio della verifica a
puntamento; (c) metodo di determinazione dell’area A2 per la verifica dello sforzo ammissibile di contatto colonna-
fondazione.

Nella maggior parte delle situazioni progettuali pratiche le colonne hanno un rapporto fra i lati c/b ≤
2 (spesso hanno sezione quadrata o circolare con c/b = 1) cosicché vc = Φ√(f’c)/3.

La normativa consente la disposizione di armatura a taglio nelle fondazioni ed è anche ovvio che
un valore elevato di f’c del calcestruzzo tende a ridurre o a eliminare la necessità di armatura a
taglio. Nessuna di queste due alternative viene frequentemente adottata: piuttosto si aumenta
l'altezza efficace d della fondazione allo scopo di soddisfare i requisiti dettati dal taglio. Questa
soluzione fornisce inoltre il benefico effetto di aumentare la rigidezza del sistema cosicché è più
verosimile che sia verificata l'ipotesi di pressione uniforme sulla base; inoltre, in certa misura
risultano ridotti i cedimenti.

È richiesto un numero minimo di barre di ancoraggio per rendere solidale la colonna

alla fondazione; tali barre sono talvolta necessario per trasferire gli sforzi dalla colonna alla
fondazione, in particolare se il calcestruzzo della colonna è sostanzialmente più resistente di quello
della fondazione. Le barre di ancoraggio risultano necessario se lo sforzo di contatto della colonna
supera il seguente valore:

f’c = 0.85 Φ f’c √A2/A1

Si ha che A2/A1 ≤ 2 e il coefficiente Φ vale 0.7. L'area A1 rappresenta l'area di contatto della
colonna (di valore b x c); l'area A2 è la base del tronco di piramide che può essere interamente
racchiuso entro la fondazione, come illustrato in Fig. 5.29c.

La Tab. 5.22 fornisce i valori ammissibili del taglio per verifiche a flessione e a puntamento per
diversi valori di f’c.
Tab. 5.22 – Sforzi di taglio ammissibili per verifica a flessione e a puntamento per diversi valori della resistenza del
calcestruzzo per β ≤ 2 e comprensivi del coefficiente Φ.

5.6.4 - Progetto strutturale di plinti di fondazione

La pressione ammissibile sul terreno è il fattore che determina le dimensioni in pianta (B x L) di


una fondazione su plinto. Fattori strutturali (piano di posa etc.) e ambientali incidono invece sulla
profondità della fondazione nel terreno. Gli sforzi di taglio determinano solitamente l'altezza (o
spessore) della fondazione De. La verifica al puntamento determina sempre l'altezza di fondazioni
quadrate con carico centrato. La verifica a flessione determina l'altezza di fondazioni rettangolari,
quando il rapporto L/B > 1.2, e può rivestire il ruolo di fattore determinante per altri rapporti L/B in
presenza di carichi eccentrici o momenti ribaltanti.

L'altezza di una fondazione ottenuta da una verifica di rottura a taglio mediante puntamento dà
luogo a un'equazione quadratica che viene dedotta dalla Fig. 5.29b e c imponendo l'equilibrio delle
forze verticali:

Se si trascura il contributo della pressione del terreno esterno all'impronta della colonna (che
genera una spinta diretta verso l'alto) si può ricavare un valore speditivi approssimato dell'altezza
efficace d di calcestruzzo, per colonne a base rettangolare e circolare rispettivamente, come:
Le formule speditive forniscono quale risultato un valore d raramente > 25 mm rispetto ai valori
esatti forniti dalle relazioni analitiche. L’ultima di queste, invece, o l’ultima speditiva si usano
sempre per determinare l'altezza efficace di fondazioni di colonne a base circolare, poiché
adottando una colonna quadrata equivalente e la prima relazione analitiche si rileva un valore
inferiore. I passi da compiere nel progetto di un plinto di fondazione con carico centrato e in
assenza di momenti applicati sono:

a – Calcolo delle dimensioni B x L in pianta adottando la pressione ammissibile sul terreno:

Plinto quadrato: B = √combinazione di carico critica/qa = √P/qa

Plinto rettangolare: BL = P/qa

Una fondazione rettangolare può ammettere diverse soluzioni soddisfacenti a meno che non siano
fissati a priori B oppure L.

b - Trasformazione della pressione ammissibile del terreno qa in un valore ultimo qULT = q da


sostituire nelle relazioni (sia analitiche che speditive) per calcolare l'altezza della fondazione:

qULT = Pu/BL = q

c - Determinazione di Pu applicando appropriati coefficienti ai carichi di progetto assegnati.

d – Determinazione del valore ammissibile dello sforzo di taglio per rottura a puntamento vc dalla
Tab. 5.22 (oppure calcolarlo) e usando l'appropriata equazione, da scegliere fra le precedenti,
determinazione dell'altezza efficace d della fondazione.

e - Se la fondazione è rettangolare procedere all’effettuazione della verifica a flessione e adozione

del valore d maggiore fra quello ottenuto nel passo d e quello ottenuto nel passo e.

f – Calcolo della quantità d’acciaio necessaria per l'armatura a flessione e disponendone la


medesima quantità nelle due direzioni per fondazioni quadrate. Misura dell'altezza efficace d dal
lembo compresso fino all'intersezione dei due strati di barre per fondazioni quadrate e se d > 305
mm. Per d inferiore a tale valore e per fondazioni rettangolari utilizzare il valore effettivo di d,
diverso per le due direzioni. Calcolo del momento flettente in corrispondenza della sezione critica
illustrata in Fig. 5.30.

Per la lunghezza l illustrata, il momento flettente per unità di larghezza vale M = Mu se q = qULT ed
è usato nella relazione * per determinare la quantità di armatura per unità di larghezza. Verifica
della percentuale d'armatura p necessaria a soddisfare le prescrizioni per temperatura e ritiro con
verifica che non sia superata la percentuale d’armatura massima data in Tab. 5.21.
Fig. 5.30 – Sezioni per il calcolo del momento flettente. Si deve, in ogni caso, valutare l’aderenza nella sezione indicata
in (a); comunque, per praticità, la si valuta nelle medesima sezione in cui si calcola il momento.

g – Calcolo del carico gravante sulla colonna con adozione di ancoraggi se viene superato lo
sforzo ammissibile. Se tale sforzo viene superato, procedere col calcolo degli ancoraggi necessari
in base alla differenza tra lo sforzo effettivo e quello ammissibile moltiplicato per l'area della
colonna. Tale forza divisa per fy fornisce l'area dei ferri di ancoraggio necessaria.

È’ sempre necessario adottare un minimo di 0.005 Acol di ancoraggi d'acciaio e almeno 4 barre,
indipendentemente dallo sforzo esercitato. Qualora fossero necessari ancoraggi per trasferire il
carico proveniente dalla colonna, la loro lunghezza deve essere sufficiente a garantire aderenza in
compressione. La procedura corrente indicata è basata su prove effettuate da Richart che hanno
evidenziato in fondazioni nastriformi momenti flettenti più elevati in corrispondenza delle colonne e
momenti più modesti altrove. Bowles, mediante procedimenti numerici alle differenze finite e agli
elementi finiti, ha trovato che, mentre il momento flettente è più elevato nell'area in prossimità della
colonna, con metodi alle differenze finite il momento flettente medio attraverso la fondazione (nella
sezione assunta in Fig. 5.30) è il medesimo ottenuto col procedimento visto in precedenza. Il
momento massimo calcolato supera il momento medio di circa il 30% con il metodo delle
differenze finite e di oltre il 40% usando il metodo degli elementi finiti, nell'ipotesi che la colonna sia
rigidamente fissata alla fondazione (ipotesi peraltro vicina alla realtà per colonne in calcestruzzo. È
implicito nelle prescrizioni che si verifichino ridistribuzioni del momento flettente per ridurre l'effetto
fratturante nella zona in prossimità della colonna.

5.6.5 – Piastre portanti e bulloni d’ancoraggio

Gli elementi strutturali metallici compressi (colonne), inclusi alcuni elementi a traliccio, richiedono
una piastra di base per diffondere gli sforzi molto elevati (provenienti dall'elemento metallico
stesso) sull'area di contatto, di piccole dimensioni, della colonna/traliccio riducendone l'intensità a
un livello che i piedestalli o le fondazioni in calcestruzzo possano sopportare in regime di
sicurezza. La piastra portante viene tagliata nelle giuste dimensioni in officina e successivamente,
ancora in officina, viene saldata all'elemento di colonna oppure viene bullonata in opera. In officina
vengono effettuati i fori attraverso i quali si introducono prefissati bulloni filettati di ancoraggio, cosi
da fissare la piastra in modo sicuro alla base in calcestruzzo.

5.6.5.1 – Progetto di una piastra base

Le piastre di base possono essere progettate a favore della sicurezza seguendo le istruzioni degli
Enti preposti per colonne soggette a solo carico assiale, nel modo seguente:
I passi da compiere nel progetto di una piastra di fondazione comprendono:
Le norme AISC (USA) richiedono essenzialmente di dimensionare la piastra di base in modo tale
da soddisfare la capacità portante in termini di pressione fp. Successivamente viene determinato lo
spessore della piastra in base a una verifica a flessione, assumendo uno sforzo ammissibile pari a
0.75 Fy (Fy è la tensione di snervamento dell'acciaio della piastra di base), un braccio pari a nn e
una striscia di larghezza unitaria. Quando sulla colonna agisce, oltre al carico assiale, anche un
momento, si deve usare una formula del tipo:

Fp = P/BC ± Mc/I

Le norme AISC non affrontano direttamente questo problema, per cui il progettista deve fare
ricorso al proprio senso ingegneristico. Quando la colonna è soggetta anche a momento flettente,
la piastra di base deve essere ben vincolata alla fondazione in modo da poterle trasmettere tale
momento. Raramente colonne di acciaio trasmettono momenti su fondazioni a plinto isolate,
mentre è abbastanza comune che trasmettano momenti su fondazioni a platea.

Per quanto riguarda la posizione di sezioni critiche per taglio e momento per plinti di colonne con
piastre di base ci si riferisce alla Fig. 5.31. Si suggerisce di utilizzare la prima equazione speditiva
per l'altezza utile nella verifica a taglio di una fondazione con piastra di base, a causa delle
approssimazioni nella determinazione della sezione critica.

Fig. 5.31 – Progetto di base in accordo con le specifiche delle norme AICS.

E’ opportuno osservare come le piastre di base vengano tenute provvisoriamente sollevate per la
messa a piombo delle colonne e come, successivamente, l'intercapedine formatasi venga riempita
di malta per rendere permanente il livello della piastra di base. Non è un'operazione semplice
cementare questa intercapedine facendo in modo che la piastra appoggi completamente sulla
malta iniettata; spesso, infatti, si rivela un contatto irregolare dovuto a ritiro della malta o a
formazione di bolle d'aria. Per queste ragioni risulta preferibile adottare lo sforzo di contatto fp
piuttosto che la capacità portante, espressa in termini di pressione, che invece meglio descrive il
contatto di una colonna gettata al di sopra di una fondazione già posizionata precedentemente.

5.6.5.2 – Bulloni d’ancoraggio

I bulloni di ancoraggio sono necessari per fissare saldamente la piastra di base alla fondazione o
al piedestallo. Questi bulloni sono disponibili sotto forma di perni filettati, da serrare entro manicotti
a espansione, posizionati in fori della profondità di 7.5÷30 cm preventivamente realizzati nel
calcestruzzo indurito. Il manicotto può essere espanso contro il calcestruzzo dal bullone oppure
venire infisso su un cuneo d'acciaio che produce l'espansione; successivamente il bullone di
ancoraggio viene avvitato in posizione. La Fig. 5.32 illustra diversi tipi di bulloni di ancoraggio.
Sono anche disponibili svariati tipi di bulloni brevettati che funzionano in base a principi simili ma
principalmente forniscono in aggiunta la possibilità di aggiustamento verticale e la protezione della
filettatura durante il getto del calcestruzzo.

Fig. 5.32 – Bulloni d’ancoraggio.

I prodotti più usati negli USA sono i bulloni A-307 di materiale di grado A (qULT pari a 413 MPa e,
approssimativamente, fy = 248 MPa) oppure di grado B (resistenza ultima pari a 690 MPa).
Generalmente non sono necessari bulloni realizzati in materiale ad alta resistenza di grado A-325
e A-490 poiché il fattore che governa il progetto è l'aderenza/resistenza all'estrazione. Bulloni di
ancoraggio in materiale A-307 sono disponibili in diametri variabili tra 6.4 e 101.6 mm (1/4÷4”).

La maggior parte delle applicazioni strutturali richiede diametri nell'intervallo compreso tra 19.1 e
38.1 mm (3/4÷1.5”). La Tab. 5.23 fornisce dati selezionati di resistenza per la maggior parte dei
diametri più comuni negli USA.
Tab. 5.23 – Resistenza a trazione ultima per bulloni d’ancoraggio A-307. Coefficiente di sicurezza ottimale ~4.

In pratica i bulloni di ancoraggio, con dado/i e rondelle infilati per evitarne la perdita e per
proteggere le filettature, vengono annegati nel calcestruzzo fresco facendo sì che emerga dal
calcestruzzo una parte filettata sufficiente a consentire la regolazione in altezza della piastra di
base, l'iniezione dello strato di malta e un funzionamento pienamente efficace del dado. Un breve
tratto superiore può essere incluso in un manicotto (spezzone di tubo di metallo o di plastica)
avente un diametro fino a 3.8 cm superiore a quello del bullone di ancoraggio. Questo manicotto
consente al bullone, nel caso dei bulloni di diametro più piccolo, di piegarsi per adattarsi al foro
predisposto nella piastra di base e, indipendentemente dal diametro, fornisce al bullone una certa
lunghezza di libera deformazione qualora sia richiesta pretensione dei bulloni come nei casi di
colonne/tralicci soggetti all'azione del vento o ad altri carichi vibranti.

La piastra di base viene adattata sopra i bulloni di ancoraggio o tramite un dado addizionale per
effettuare l'allineamento verticale, oppure mediante inserimento di spessori (o cunei). Questa
operazione lascia sempre un'intercapedine che viene poi riempita con malta espansiva [una
miscela di sabbia, cemento (con additivi brevettati) e acqua] per costituire una base compatta.

5.6.7 – Piedistalli

Si impiega un piedistallo per trasferire i carichi da colonne metalliche attraverso il pavimento e il


terreno fino alla fondazione quando questa si trovi a una certa profondità nel terreno; questo evita
la possibile corrosione del metallo da parte del terreno. E’ necessario disporre un adeguato riporto
sopra la fondazione e attorno al piedistallo per evitare fenomeni di subsidenza e fratture nella
pavimentazione. Se il piedistallo è molto alto, un riporto ben costipato fornisce un sostegno laterale
(contrasto) sufficiente per controllare l'instabilità. Per i piedistalli le norme limitano il rapporto tra
lunghezza libera (priva di contrasto) Lu e minima dimensione trasversale h alla relazione Lu/h ≤ 3

II punto chiave consiste nella definizione di questa lunghezza libera Lu quando il piedistallo è
immerso nel terreno.

Le normative consentono la realizzazione di piedestalli sia armati che non armati.

In genere deve essere adottata la minima percentuale di armatura per le colonne pari a 0.01Ag (Ag
rappresenta l'area lorda della sezione trasversale di calcestruzzo) anche quando il piedistallo viene
progettato come non armato.
Qualora si adottino piastre metalliche di base, il piedestallo non deve essere armato allo scopo di
evitare che i carichi puntiformi delle barre d’armatura agenti sulla piastra vadano a incrementare gli
sforzi di flessione. Una volta completato il progetto è possibile aggiungere arbitrariamente la
minima percentuale di armatura.

Si deve invece aggiungere a volontà dell'armatura metallica alla sommità del piedistallo, per
evitare che questa si frantumi e per contenere i lati del piedistallo ed evitare quindi fratture, come
illustrato in Fig. 5.33.

Fig. 5.33 – Dettagli di piedistallo. Si osservi come l’armatura verticale debba essere progettata per resistere all’intera
azione di trazione o alla forza di sollevamento, quando la medesima è presente.

Bisogna comunque lasciare spazio per disporre i bulloni di ancoraggio e per posizionare la piastra
di fondazione e la colonna nella configurazione corretta. I bulloni di ancoraggio devono essere
disposti all'interno dell'armatura di contenimento (a spirale o a staffe) per migliorare la resistenza
all'estrazione.

I piedistalli vengono, generalmente, sovradimensionati in modo considerevole poiché l'eccesso di


materiale impiegato viene ampiamente compensato dalla riduzione del tempo di progetto e dal
beneficio, in termini di coefficiente di sicurezza, che ne consegue.

I piedistalli possono essere progettati come colonne tozze, in virtù del contrasto (supporto laterale)
fornito dal terreno circostante. Possono essere progettati sia per carico assiale che per momento
flettente, ma questo esubera dagli intenti della presente pubblicazione. Per la condizione piuttosto
consueta di colonna semplicemente appoggiata al piedistallo attraverso la piastra di base, si può
adottare la formula seguente:

Pu = Φ (0.85 f’c Ac + Asfy)

Dove Pu è il carico ultimo di progetto (già moltiplicato per il coefficiente di carico); Ac l'area netta di
calcestruzzo del piedestallo (Ac = Ag-As); per piedistalli non armati As = 0.0 e Ac è pari all'area
totale (lorda) del calcestruzzo; As è l'area dell'armatura se il piedistallo viene progettato come una
colonna armata;fy è la tensione di snervamento delle barre di armatura; Φ = 0.70 per piedestalli
con armatura di contenimento a staffe, = 0.75 per piedistalli con armatura a spirale, = 0.65 per
piedistalli non armati.

5.6.8 – Fondazioni rettangolari

Le fondazioni rettangolari vengono adottate quando non si possono realizzare fondazioni quadrate
per ragioni di spazio. Si possono adottare tali fondazioni nei casi in cui sia presente un momento
ribaltante, allo scopo di realizzare una fondazione più economica. Il progetto si svolge in maniera
analoga a quello delle fondazioni quadrate. L'altezza della fondazione è generalmente imposta dal
taglio, eccettuati i casi in cui o il rapporto L/B sia molto maggiore di 1 o ci si trovi in presenza di
momento ribaltante quando lo spessore è governato dall'azione flettente.

Un'altra importante considerazione riguardante le fondazioni rettangolari riguarda la disposizione


delle armature. L'armatura nella direzione longitudinale viene calcolata allo stesso modo
dell'armatura di fondazioni quadrate e valutando l'altezza utile d dal lembo compresso al baricentro
dell'armatura stessa. L'armatura nella direzione trasversale viene calcolata in maniera analoga
adottando il valore di d misurato dal lembo superiore al baricentro dell'acciaio dell'armatura
trasversale, che viene comunemente disposta al di sopra di quella longitudinale per ragioni di
maggior economia. Inoltre, poiché la zona della fondazione in prossimità della colonna risulta più
efficace nei riguardi della resistenza a flessione, viene disposta in questa zona una specifica
percentuale dell'armatura trasversale, come illustrato in Fig. 5.34.

Fig. 5.34 – Disposizione dell’armatura trasversale di una fondazione rettangolare.


5.7 - Fondazioni composte e speciali

Quando una fondazione regge due o più colonne allineate, viene detta fondazione composta.

Una fondazione composta può essere di forma rettangolare o trapezoidale, oppure può essere
costituita da una serie di blocchi connessi da travi strette e rigide (cordolo): varie tipologie di
fondazione composte sono mostrate in Fig. 5.35.

Fondazioni composte simili a quella mostrata in Fig. 5.35f, in particolare, s'incontrano con una
certa frequenza negli impianti industriali nei quali serbatoi orizzontali e altri componenti vengono
sorretti mediante grossi appoggi rettangolari. In questi casi i carichi d’esercizio, i gradienti di
temperatura, le operazioni di manutenzione etc., possono dar luogo a carichi sia verticali che
orizzontali. I carichi orizzontali applicati a livello dell'impianto producono momenti sugli appoggi ai
quali la fondazione composta deve essere in grado di far fronte.

5.7.1 Fondazioni composte rettangolari

Può capitare che risulti impossibile collocare colonne al centro di un plinto perché si trovano in
prossimità di un confine di proprietà o di un macchinario, oppure perché non sono equispaziati.
Colonne disposte in posizione non baricentrica producono una pressione non uniforme sul terreno.
Per evitare questo inconveniente, un'alternativa è quella di ampliare la fondazione per collocare su
di essa una o più colonne adiacenti allineate (Fig. 5.36). La geometria della fondazione viene
scelta in modo che la risultante dei carichi trasmessi dalle varie colonne cada nel baricentro della
fondazione. Questa geometria della fondazione e dei carichi consente al progettista di ritenere
uniforme la distribuzione delle pressioni sul terreno.
Fig. 5.35 – Tipologie differenti di fondazioni speciali.
La fondazione può essere rettangolare se la colonna che risulta eccentrica rispetto alla fondazione
diffusa trasmette un carico minore delle colonne interne. Anche le pile dei ponti sono disposte su
fondazioni composte rettangolari molto rigide.

L'ipotesi fondamentale alla base del progetto di una fondazione composta rettangolare è che si
tratti di un elemento rigido, in modo che la pressione sul terreno risulti lineare. Se la risultante dei
carichi (compresi i momenti trasmessi dalle colonne) cade nel baricentro della fondazione, la
pressione è uniforme. Tale ipotesi viene verificata con buona approssimazione se il terreno è
omogeneo e la fondazione è rigida. Nella pratica risulta assai complesso realizzare una fondazione
rigida, dal momento che lo spessore deve essere notevole; ciononostante, la schematizzazione a
elemento rigido, benché approssimata, è stata utilizzata con successo per molte fondazioni. Il
successo è dovuto, probabilmente, all'effetto combinato della viscosità del terreno, della
ridistribuzione degli sforzi nel calcestruzzo e del sovradimensionamento.

Preso atto del sovradimensionamento che consegue all'impiego del metodo classico (basato
sull'ipotesi di fondazione rigida), si tende, al giorno d'oggi, a modificare il progetto mediante
un'analisi con schema a trave su suolo elastico; con quest'ultimo tipo di analisi i momenti di
progetto risultano minori di quelli ottenuti col metodo classico, come illustrato nel prosieguo.

Fig. 5.36 – Fondazioni composte rettangolari.

Il progetto classico di una fondazione composta rettangolare prevede la determinazione della


posizione del centro della fondazione. Successivamente se ne possono determinare larghezza e
lunghezza. La fondazione viene quindi trattata come una trave di queste dimensioni, retta dalle 2 o
più colonne a essa collegate e si ricavano i diagrammi del momento e del taglio.

L'altezza è data dal vincolo più stringente tra quelli determinati con le verifiche a puntamento e a
flessione. Le sezioni critiche nei riguardi del puntamento e della flessione sono le medesime viste
a proposito dei plinti ossia, rispettivamente, a d/2 e a d dal filo della colonna.

Di norma non si fa uso di armatura a taglio, sia per ragioni di economia che per rendere più rigida
la fondazione. Il costo, in termini di manodopera, necessario per piegare e porre in opera i ferri
dell'armatura al taglio supera probabilmente di molto il risparmio in calcestruzzo che deriverebbe
dal loro impiego.

Determinata l'altezza, si può progettare l'armatura a flessione sulla base dei momenti critici ottenuti
dal diagramma dei momenti. In alternativa, assegnando come dati d’ingresso in un'analisi per
elementi finiti l'altezza e i carichi, si possono determinare i momenti corretti in base ai quali
dimensionare l'armatura a flessione. Di solito questi elementi a trave sono soggetti a momenti sia
positivi che negativi, per cui vanno disposte sia un'armatura inferiore che una superiore. La
percentuale minima di armatura deve essere presa pari a 200/145 fy (fy espresso in MPa) dato che
la fondazione viene progettata come trave (o elemento inflesso). Le fondazioni armate
superiormente (soggette a momenti negativi) non sono economiche, per cui si deve, in
sostituzione, far ricorso a plinti sovradimensionati, sempre che questa procedura si riveli possibile.
Se si calcolano i momenti flettenti agenti in direzione trasversale come per un plinto rettangolare, si
commette un errore notevole in quanto la pressione del terreno è maggiore in prossimità delle
colonne, per via del loro effetto irrigidente, mentre è minore nella zona tra una colonna e l'altra.

La zona in prossimità di una colonna (e praticamente centrata su questa) andrebbe analizzata


seguendo sostanzialmente le prescrizioni per plinti rettangolari. Le norme non specificano
esattamente quale area d'influenza della colonna debba essere messa in conto; tuttavia,
esaminando un gran numero di risultati ottenuti mediante programmi di calcolo basati sia sul
metodo delle differenze finite che su quello degli elementi finiti, vari autori propongono di
considerare orientativamente, quale area d'influenza quella mostrata, in Fig. 5.37. Va notato che,
al diminuire dell’ampiezza di tale zona, aumenta la sua rigidezza, in quanto vengono richieste delle
barre di armatura addizionali.

Fig. 5.37 – Armatura di una fondazione composta rettangolare. L’armatura nella zona a deve soddisfare il minimo
prescritto mentre nella zona b, oltre al minimo, deve soddisfare anche la verifica a flessione.

L'aumento di rigidezza tende a richiamare i momenti dalla zona compresa fra una colonna e l'altra;
peraltro tale fenomeno è difficilmente quantificabile in quanto nelle analisi ad elementi finiti o alle
differenze finite si utilizza normalmente il momento d'inerzia ottenuto sulla base dell'altezza
nominale D e non sulla base della sezione equivalente (cioè dell'altezza utile d), o momento
d'inerzia efficace. Riducendo sufficientemente l'area d'influenza, si mette in conto una quantità di
acciaio sufficiente a far fronte a qualsiasi momento addizionale di richiamo.
Fig. 5.38 – Diagrammi del taglio e del momento flettente per una fondazione composta.

Le tecniche di progettazione classiche richiedono il calcolo dei momenti e dei tagli in un numero di
sezioni sufficiente a tracciare i diagrammi del momento flettente e dell'azione tagliante. Inoltre, è
prassi comune arrotondare le dimensioni calcolate a multipli interi di 5 o 10 cm. Tuttavia, operando
l'arrotondamento prima del calcolo dei diagrammi del momento e del taglio, si può osservare un
errore finale che dipende da quanto le dimensioni sono state modificate; di conseguenza, si
raccomanda di arrotondare le dimensioni della fondazione soltanto nell'ultima fase della
progettazione.

I carichi trasmessi dalle colonne sono di fatto distribuiti sulla sezione delle colonne, come mostra la
Fig. 5.38, ma vanno sempre trattati come carichi concentrati. Ciò consente di semplificare
notevolmente il calcolo di momenti e dei tagli ottenendo, nelle sezioni critiche, gli stessi, valori con
entrambi i metodi.

L’operatore deve prestare attenzione al fatto che le fondazioni composte sono staticamente
determinate qualunque sia il numero delle colonne, per evidenti motivi di statica. I carichi trasmessi
dalle colonne sono noti e, assumendo che la fondazione sia rigida, si ottiene che la pressione
esercitata sul terreno è q = ΣP/A. Il problema si riconduce quindi a quello di una trave
uniformemente caricata, con tutte le reazioni (cioè i carichi trasmessi dalle colonne) note.

5.7.2 - Fondazioni trapezie

Una fondazione composta deve essere realizzata in forma trapezoidale se la colonna che
trasmette il carico maggiore dispone di uno spazio troppo limitato per poter poggiare su un plinto.
In questo caso, la risultante dei carichi trasmessi dalle colonne (momenti inclusi) è spostata verso
la colonna più sollecitata, ragione per cui, raddoppiando la distanza dal baricentro (come per la
fondazione rettangolare), non si ha una lunghezza sufficiente per raggiungere la colonna più
interna. La geometria di una fondazione di forma trapezia è illustrata in Fig. 5.39 da cui si ricava:

A = L(a+b)/2

x’ = L(2a+b)/3(a+b)

Dalle relazione si vede che il caso a = 0 corrisponde a una fondazione triangolare, mentre nel caso
a = b si ha una fondazione rettangolare. Ne consegue che, affinché si possa effettivamente avere
una fondazione trapezia, deve risultare:

L/3 < x’ < L/2

dove la distanza L è misurata fra i fili esterni delle colonne. Nella maggior parte dei casi, si usa una
fondazione trapezia con due sole colonne, come nel caso mostrato, ma la soluzione può essere
generalizzata al caso di più di due colonne. La disposizione delle casseforme e delle barre di
armatura in una fondazione trapezia risulta piuttosto scomoda. Per tale motivo può essere più
conveniente, non appena possibile, ricorrere a una fondazione a cordolo che consente
sostanzialmente di raggiungere il medesimo scopo, cioè di ottenere una pressione teorica
uniforme sul terreno.

Fig. 5.39 – Fondazione trapezia: nel caso in esame risulta necessaria ameno che la distanza S non sia così grande da
risultare più economico ricorrere ad una fondazione a cordolo.
Determinato il valore di x', che individua la posizione del baricentro della fondazione, si
determinano univocamente le dimensioni a e b della fondazione risolvendo il sistema costituito
dalle 2 relazioni. Il valore di L deve essere noto mentre l'area A dipende dalla pressione esercitata
sul terreno e dai carichi trasmessi dalle colonne (A = ΣP/q0 oppure ΣPu/qULT).

Note le dimensioni delle basi a e b, la fondazione può essere trattata in maniera analoga a quella
rettangolare (come una trave rovescia), salvo il fatto che l'andamento del carico sulla trave è
lineare (di primo grado), dato che a e b non sono eguali. Per conseguenza il diagramma del taglio
è una curva del 2° ordine e il diagramma del momento è una curva del 3° ordine. Al fine di
determinare le sezioni critiche per queste azioni il metodo più efficace è quello analitico, trattando
le colonne come carichi concentrati. Una fondazione di forma trapezia può anche essere
analizzata come una trave su suolo elastico; in questo caso si utilizzano elementi finiti di tipo trave
a larghezza costante, assegnando a ogni elemento la larghezza media del corrispondente tratto
della fondazione reale.

5.7.3 - Fondazioni a cordolo

Lo scopo di una fondazione a cordolo è quello di collegare il plinto di una colonna soggetta a
carico eccentrico a quello di una colonna interna, come mostrato in Fig. 5.40.

Fig. 5.40 – Carichi e reazioni da considerarsi nel progetto di una fondazione a cordolo. La larghezza del cordolo è
praticamente pari alla larghezza w della colonna più sottile.

Il cordolo serve a trasmettere il momento dovuto all'eccentricità del carico al plinto della colonna
interna in modo da ottenere una pressione uniforme sul terreno al di sotto di entrambi i plinti. Il
cordolo riveste la medesima funzione della parte interna di una fondazione composta, ma (al fine
di risparmiare materiale) risulta molto più stretto. E’ ancora opportuno osservare, dalla Fig. 5.40,
come la risultante delle pressioni sul terreno cada nel baricentro della fondazione, di modo che il
diagramma delle pressioni risulti uniforme.

Una fondazione a cordolo può venire usata in luogo di una fondazione composta rettangolare o
trapezia se la distanza tra le colonne è grande e/o la pressione ammissibile sul terreno è
relativamente alta, di modo che l'area aggiuntiva di una fondazione rettangolare o trapezia risulta
superflua. Le 3 importanti considerazioni di cui tener conto nel progetto di una fondazione a
cordolo sono:

- a – l’elemento deve essere rigido; orientativamente I cordolo/I plinto > 2. Tale rigidezza serve
a limitare la rotazione del plinto esterno.

- b – i plinti vanno dimensionati in modo che la pressione sul terreno sottostante sia praticamente
la stessa, evitando variazioni notevoli di B per ridurre i cedimenti differenziali.
- c - il cordolo non deve essere a contatto col terreno, così da non innescare reazioni sul terreno
che alterino le ipotesi di progetto riassunte in Fig. 5.40. In genere, nel progetto si trascura il peso
del cordolo. Si rivela opportuno controllare anche il rapporto altezza/luce (riferita al filo dei plinti)
del cordolo per vedere se si tratta di una trave alta.

Una fondazione a cordolo va presa in considerazione soltanto dopo che, a seguito di un attento
esame, si riveli impraticabile il ricorso a plinti di fondazione (per quanto sovradimensionati). Il costo
addizionale di progettazione e di costruzione fa di questo tipo di fondazione una risorsa estrema.
Può essere preferibile non far uso di armature a taglio nel cordolo per aumentarne la rigidezza.

La geometria dell’elemento può essere varia; quella mostrata in Fig. 5.40 fornisce peraltro la
massima rigidezza assumendo una larghezza almeno pari a quella della colonna più stretta. In
presenza di vincoli sull'altezza può essere necessario aumentare la larghezza del cordolo per
realizzare la rigidezza voluta. Il cordolo deve risultare saldamente collegato alle colonne e ai plinti
mediante staffe, in modo che il sistema funzioni come un tutt'uno.

Per dimensionare la fondazione si utilizzano le formule riportate in Fig. 5.40. La lunghezza del
plinto soggetto a carico eccentrico dipende dal valore e scelto arbitrariamente dal progettista,
motivo per cui, con tutta probabilità, la soluzione non è unica.

5.7.4 - Fondazioni (pile) da ponte

Generalmente, in un progetto, le pile dei ponti vengono assimilate a fondazioni rigide ma possono
anche essere analizzate come travi su suolo elastico. La Fig. 5.41 mostra alcune tipologie di pile
da ponte.

Fig. 5.41 – Tipologie di fondazioni di pile da ponte


È necessario che il progettista determini i carichi in testa alla pila. In genere si adotta uno schema
a telaio rigido, con colonne incernierate alla base. Si assume che le colonne siano poggiate sui
plinti, come mostrato in Fig. 5.42. Si tratta di una semplificazione fatta allo scopo di facilitare il
progetto della fondazione; tale semplificazione, tuttavia, non risulta necessaria se si ricorre a
un'analisi per elementi finiti. Tale semplificazione introduce nel calcolo un errore in quanto, di
norma, le colonne sono rigidamente connesse alla fondazione della pila (i vincoli effettivi sono
assimilabili più realisticamente a incastri). In genere, comunque, la fondazione è talmente rigida
che vale la formula:

q = P/A ± Mc/I

(che può rivelarsi, tuttavia, eccessivamente conservativa).

Può capitare che i momenti in direzione longitudinale siano tanto elevati che le prescrizioni più
severe siano quelle nei riguardi dell'armatura a flessione. L'armatura trasversale a flessione è
richiesta soltanto raramente, a meno che non sia l > Dc come riportato in Fig. 9.42. Questa
prescrizione vale sia per progetti realizzati con il metodo degli stati limite che con il metodo delle
tensioni ammissibili.

Fig. 5.42 – Caratteristiche generali della fondazione di una pila da ponte.


5.7.5 - Fondazioni ad anello

Le fondazioni ad anello trovano applicazione per strutture di sostegno di serbatoi, tralicci di


elettrodotti, antenne per telecomunicazioni e diversi altri tipi di strutture. La fondazione ad anello
considerata nel presente paragrafo è una trave circolare relativamente stretta, in contrapposizione
alla platea circolare che verrà considerata nel prossimo paragrafo. Supponendo che il progetto
proponga un'altezza tale da soddisfare la verifica a puntamento per determinare i momenti flettenti
nella fondazione ad anello si può ricorrere al metodo degli elementi finiti (Bowles ha dimostrato che
i risultati così ottenuti sono molto prossimi a quelli forniti da soluzioni analitiche).

Il metodo di risoluzione proposto da Bowles prevede la suddivisione dell'anello in 20 elementi finiti,


come mostrato in Fig. 5.43.

Le molle che simulano il terreno vengono calcolate internamente dal programma a partire da un
unico valore di k ottenuto in lettura. I carichi internodali vengono ripartiti sui nodi adiacenti con uno
schema a trave semplicemente appoggiata, commettendo un errore del tutto trascurabile.

In alternativa si può considerare il singolo elemento finito come trave incastrata agli estremi e
calcolare i tagli e i momenti d'incastro perfetto che consentono di ripartire il carico sui nodi
adiacenti; ciò richiede peraltro un lavoro supplementare che si traduce in una maggior precisione
dei risultati del tutto marginale.

I carichi agenti sull'anello vanno applicati sulla circonferenza luogo dei baricentri delle sezioni (e
non sulla circonferenza media) al fine di ridurre la torsione, in quanto una delle ipotesi
fondamentali della teoria delle travi su suolo elastico è che i cedimenti siano uniformi sulla
larghezza B della trave. Ci si deve quindi preoccupare della torsione agente in direzione
circonferenziale, che nasce per il fatto che il raggio interno è minore del raggio baricentrico, che a
sua volta è minore di quello esterno.
Fig. 5.43 – Soluzione matriciale per una fondazione ad anello. (a) Fondazione ad anello suddivisa in 20 segmenti; (b)
momenti circonferenziali agenti sul lato di un segmento; (c) numerazione usata per la soluzione matriciale con
riferimento al tratto ACE della figura (a).

La lunghezza degli elementi finiti viene calcolata nel modo seguente:

Calcolo del raggio medio:

Rm = √(Ri2+Re2)/2

Lunghezza degli elementi:

L = Rm (0.31416)

Rigidezza delle molle nodali:

Ki = ks Area fondazione/20

L'espressione dei momenti ottenuta col metodo delle differenze finite è la seguente:
M = EI (yn+1 – 2yn + yn-1)

Si può osservare come il momento flettente sia inversamente proporzionale a L2, in quanto gli
abbassamenti sono costanti per definizione; di conseguenza, il momento flettente Mi in
corrispondenza del raggio interno (Ri) sarà maggiore di Mm, ottenuto in base al raggio medio (Rm),
che sarà a sua volta minore di Me corrispondente al raggio esterno (Re), ossia:

Mi = (Rm/Ri)2 Mm e Me =(Rm/Re)2 Mm

dove Mi, Mm ed Me sono, rispettivamente, il momento flettente in corrispondenza del raggio interno,
quello fornito dal programma di calcolo e quello in corrispondenza del raggio esterno. La differenza
tra Mi ed Me corrisponde alla torsione dell'anello, che può richiedere un'armatura a torsione
supplementare (benché, nella maggior parte dei casi, l'armatura radiale minima per gli effetti del
ritiro sia anche sufficiente per soddisfare la verifica a torsione).

In particolare i serbatoi d'acqua sono, di norma, soggetti a momenti ribaltanti che inducono forze di
trazione in una o più colonne e aumentano i carichi verticali di compressione negli altri. Gli effetti
del momento possono essere tenuti in conto con la formula P/A ± Mc/I, per aumentare le
compressioni nelle colonne sottovento e diminuirle nelle colonne sopravvento.

5.8 – Platee di fondazione

Per platea di fondazione s’intende una piastra di calcestruzzo di grandi dimensioni usata per
collegare col terreno di fondazione una o più colonne allineate su diverse file.

Tale piastra può interessare l'intera area di fondazione oppure solo una porzione di essa. Una
platea può essere utilizzata come supporto di fondazione sia per serbatoi direttamente posati sul
terreno che per svariati elementi di impianti industriali. Le platee sono comunemente adottate
come fondazioni di gruppi di sili, ciminiere ed altri tipi di strutture a torre. Permane evidente, in tutti
i casi, come si riveli una questione di definizione stabilire in corrispondenza di quali dimensioni una
fondazione a plinto sia tale da poter essere denominata platea.

Nella Fig. 5.44 sono illustrate diverse tipologie di fondazioni a platea, così come possono essere
utilizzate per fondazioni di strutture edili. Tali soluzioni interessano l'intera pianta della costruzione,
sebbene ciò non sia sempre necessario.
Fig. 5.44 – Tipi di platee di fondazione: (a) piastra piana a spessore costante; (b) piastra ispessita sottocolonnare;

(c) piastra a cialda; (d) piastra con piedistalli; (e) pareti di locali interrati come parte di platea.

Una platea di fondazione può essere adottata in presenza di un terreno di fondazione con bassa
capacità portante oppure qualora i carichi trasmessi dalle colonne siano così elevati che più del
50% dell'area risulterebbe coperta da fondazioni a plinto convenzionali. È consueto l'utilizzo di
fondazioni a platea per piani interrati, sia per diffondere i carichi delle colonne attraverso una più
uniforme distribuzione di pressioni che per realizzare la piastra di pavimentazione del piano
interrato medesimo. Un particolare vantaggio fornito dalle platee per piani seminterrati o interrati
che si trovino in corrispondenza, o al di sotto, della falda freatica consiste nel fatto che esse
costituiscono una barriera nei confronti dell'acqua.

In dipendenza dei costi di costruzione locali, e osservando che una fondazione a platea richiede
armatura sia al lembo superiore che a quello inferiore, può risultare talvolta più economico adottare
fondazioni a plinto, anche se l'intera area dovesse risultare coperta dalle fondazioni. Tale
soluzione consente di evitare l'uso, di armature al lembo compresso e può essere realizzata, come
in Fig. 5.45, gettando le fondazioni in tempi alternati per evitare l'uso di casseforme e utilizzando
spaziatori per separare le fondazioni gettate in un secondo tempo. Le fondazioni a platea possono
essere sostenute da pali in situazioni in cui si presenti un livello di falda elevato (per controllare la
spinta d'Archimede) o qualora il terreno sia suscettibile di cedimenti elevati.
Fig. 5.45 – Soluzione con fondazione a platea al confronto con fondazioni su plinti.

E’ opportuno osservare come gli sforzi di contatto generati da una platea penetrino nel terreno a
una profondità maggiore oppure possiedano un'intensità relativa maggiore a profondità inferiori;
entrambi questi fattori tendono ad aumentare i cedimenti, a meno che non vi sia una
compensazione di sforzi dovuta al terreno rimosso, cosicché l'incremento netto di pressione risulti
limitato.

5.8.1 – Tipi di platee di fondazione

La Fig. 5.44 illustra diverse possibili tipologie di fondazioni a platea. In generale, il progetto più
consueto di platea consiste in una lastra piana di calcestruzzo dello spessore variabile tra 0.75 e
2.0 m, con armatura continua nelle due direzioni, disposta sia al lembo inferiore che a quello
superiore. Tale tipo di fondazione tende a essere pesantemente sovradimensionata per diversi
motivi:

a - per il costo addizionale di un'analisi più accurata e l'incertezza dei risultati;

b - perché l'incremento di costo dovuto al sovradimensionamento di tale elemento è di norma


piuttosto modesto, se il sovradimensionamento è d’entità ragionevole, in rapporto al costo totale
della struttura;

c – per il fatto che il sovradimensionamento, con un minimo costo addizionale, porta a un aumento
del margine di sicurezza.

5.8.2 – Capacità portante delle platee di fondazione

Una fondazione a platea deve essere progettata in modo da limitare i cedimenti entro valori
tollerabili. Tali cedimenti possono essere:

a - di consolidazione, incluso ogni effetto secondario.

b - immediati o elastici.

c - Una combinazione di cedimenti di consolidazione ed elastici.

Una platea deve risultare stabile nei riguardi di un'eventuale rottura a taglio in profondità, che può
risultare sia in una rottura rotazionale oppure in una rottura verticale (o per puntamento). Una
rottura per puntamento verticale uniforme non è particolarmente dannosa, poiché i suoi effetti si
riducono semplicemente a un cedimento considerevole, le cui conseguenze possono tuttavia
essere limitate attraverso un intervento sulla morfologia del terreno; comunque, poiché è poco
probabile che il cedimento sia uniforme o che possa essere previsto di tal fatta, una simile modalità
di rottura deve essere considerata alla medesima stregua della rottura per taglio a grande
profondità. Per calcolare la capacità portante del terreno possono essere utilizzate le equazioni:

oppure:

Si adottano B pari alla minore dimensione in pianta della platea, e D pari alla profondità del suo
piano di posa (Fig. 5.46). La pressione ammissibile sul terreno si ottiene applicando un opportuno
coefficiente di sicurezza.

Fig. 5.46 – Aumento della capacità portante con l’adozione di una fondazione a platea.

Quando la capacità portante viene stabilita in base a prove penetrometriche standard (SPT), si può
adottare la formula relativa considerando un cedimento ammissibile pari a 50 mm ottenendo:

Si assume F2 = 0.08 e Kd = 1+0.33D/B ≤ 1.33.

Con i dati della prova penetrometrica statica (CPT) in base alla formula relativa corretta e
raddoppiata per le platee, la capacità portante può essere stimata pari a:

II risultato è espresso nelle medesime unità di qc. Mentre queste equazioni sono, a rigore,
applicabili a terreni non coesivi (sabbie, sabbie limose, oppure ghiaie limose o sabbiose), in molti
casi, se non nella maggior parte di essi, la platea appoggia su terreno coesivo, dove qu
rappresenta il principale dato disponibile. Per realizzazioni di una certa importanza può risultare
necessario integrare i dati di compressione non confinata con migliori stime dei parametri del
terreno. Ciò può essere ottenuto sia attraverso prove in situ (pressiometrie, prove di taglio in foro)
sia con prove di laboratorio su campioni indisturbati. Prove di laboratorio come quelle del tipo CK0
(UU-CU-CD) possono essere realizzate sia in compressione che a trazione.
5.8.3 – Cedimenti di platee di fondazione

Le platee di fondazione vengono comunemente adottate nelle situazioni in cui i cedimenti possono
rappresentare un problema importante, come quando ci si trovi in presenza di depositi erratici o di
lenti in materiale compressibile, massi sospesi etc. I cedimenti tendono a essere controllati
attraverso:

a - pressioni di contatto sul terreno più basse.

b - volume del terreno rimosso (effetto di galleggiamento o flottazione); in teoria, se il peso dello
scavo eguaglia il peso combinato della struttura e della platea, il sistema galleggia nella massa del
terreno e non avvengono cedimenti;

c - Effetto arco dovuto a:

- Rigidezza della platea;

- Contributo alla rigidezza della platea fornito dalla sovrastruttura.

d - Consentendo cedimenti più elevati: ad es. 50 mm invece che 25 mm.

L'effetto di galleggiamento deve essere in grado, anche in quei casi in cui la consolidazione
rappresenti un problema o quando si utilizzano pali, di contenere i cedimenti della platea tra i 50 e
gli 80 mm. Un problema di più considerevole importanza consiste, invece, nel cedimento
differenziale.

Fig. 5.47 – Riduzione dei momenti flettenti sulla sovrastruttura mediante l’adozione di una fondazione a platea.

Il momento flettente M dipende dal cedimento differenziale tra le colonne e non dal cedimento totale.

La platea, infatti, tende a ridurre il valore del cedimento come illustrato in Fig. 5.47. Si può
osservare che i momenti flettenti (6EIΔ/L2) e le forze taglianti (12EIΔ/L3) indotte sulla
sovrastruttura dipendono dal cedimento relativo Δ tra le estremità della platea (schematizzabile, a
questi fini, come una trave). La continuità della platea consente di ottenere un cedimento relativo di
entità inferiore rispetto al totale atteso, a differenza di quanto accade per le fondazioni a plinto,
come segue:
I metodi computazionali che consentono di tener conto dell'interazione tra struttura e fondazione
permettono di stimare sia il cedimento totale che quello differenziale. Il rilevamento del cedimento
totale risulta tanto accurato quanto lo sono i dati del terreno e, se non si è utilizzata solo una
striscia di platea, l'onere computazionale risulta essere notevole.

Il cedimento differenziale può essere preso arbitrariamente pari a 20 mm se il cedimento totale


atteso ΔH ≤ 50 mm, oppure può essere approssimato adottando come fattore di rigidezza:

Kr = EIb/EsB3

dove EIb può essere assunto:

dove EIb è la rigidezza flessionale della sovrastruttura e della fondazione, Es il modulo elastico del
terreno, B la larghezza della fondazione in direzione perpendicolare a quella considerata,
Σ(Eah3/12) la rigidezza effettiva delle pareti di taglio (tamponamento) in direzione perpendicolare a
B essendo h l'altezza e a lo spessore della parete, Σ(EIbi) la rigidezza dei diversi elementi
strutturali che contribuiscono alla resistenza della sovrastruttura in direzione perpendicolare a B ed
EIf la rigidezza flessionale della fondazione (vedi tabella seguente).

Le analisi dei cedimenti devono essere svolte quando l'incremento netto di pressione supera la
pressione geostatica p0’ esistente in situ. Questi possono essere cedimenti immediati e/o di
consolidazione, corretti per tener conto del rapporto di sovraconsolidazione (OCR) e dipendenti
dalla stratificazione del terreno sottostante.

Un problema di maggiore importanza, specialmente per scavi profondi in argilla, è rappresentato


dall'espansione e/o scorrimento laterale della base (fondo) dello scavo, dove il fondo dello scavo
subisce un sollevamento. Questo fenomeno, denominato rigonfiamento, si presenta molto
comunemente con valori compresi tra 25 e 50 mm (in letteratura sono riportati valori fino a 200
mm).

Risulta pertanto difficile valutare i cedimenti quando si è verificato un rigonfiamento. In linea teorica
si deve recuperare l'intero rigonfiamento riapplicando attraverso la platea una pressione q0 uguale
a quella preesistente. In pratica, invece, ciò non accade o, comunque, non si verifica con la
medesima rapidità con cui si manifesta il rigonfiamento. Ci si deve aspettare che, se parte del
rigonfiamento deriva da uno scorrimento laterale profondo, sia molto difficile prevedere sia l'entità
totale del rigonfiamento sia quale parte di esso potrà essere recuperata mediante ricompressione
elastica.

In generale, in presenza di rigonfiamento, sono necessari considerevole esperienza e senso


geotecnico per stimare la probabile risposta del terreno, poiché non esistono al momento teorie
affidabili per la soluzione di tale problema. Esiste una certa pretesa che un'analisi a elementi finiti
del continuo elastico possa valere a risolvere il problema; comunque questa non è altro che una
procedura speculativa confortata dalla speranza di una fortuita coincidenza tra risultati numerici e
misurazioni. La ragione consiste nel fatto che un calcolo agli elementi finiti fornisce risultati accurati
quanto lo sono i valori dei parametri del terreno Es e μ (assegnati come dati in ingresso) e, se
anche si fosse in grado di ottenere un valore affidabile di Es questo valore cambia durante e dopo
la fase di scavo, poiché il rigonfiamento avviene in seguito a una perdita di pressione di
confinamento p0’ e per espansione.

Il fenomeno del rigonfiamento può manifestarsi anche in scavi profondi in sabbia ma in genere la
sua entità è molto limitata. Il rigonfiamento solitamente non viene preso in considerazione per
scavi dell'ordine di 2 o 3 m di profondità nella maggior parte dei terreni ma esso inizia a diventare
un problema importante per scavi da 10 a 20 m di profondità in terreni argillosi.

5.8.4 – Modulo di reazione k per platee di fondazione

I metodi per il calcolo di platee illustrati nel paragrafo fanno uso del modulo ks per il calcolo della
capacità portante della platea. Il modulo di reazione viene adottato per calcolare le rigidezze delle
molle nodali basandosi sulle aree d’influenza di ogni nodo della piastra come illustrato in Fig. 5.48.
Si osserva da tale figura che in corrispondenza di:

Per un triangolo si potrebbe adottare, in modo arbitrario, un'area di influenza pari a 1/3 dell'area
del triangolo per ogni nodo posto sugli spigoli. Per questi contributi d'area la quota di ks (contributo
alla rigidezza del nodo) dovuta a ogni elemento è Ki = ks area (kN/m) e viene espressa come
[F]/[L], in quanto ks ha dimensioni [F]/[L3] e viene moltiplicato per un'area, di dimensioni [L2].

Poiché questo calcolo fornisce unità di rigidezza per una molla, è uso comune denominare tale
effetto molla nodale.
Fig. 5.48 – Metodo per la distribuzione di ks per la costruzione di molle nodali per elementi rettangolari e triangolari.

In questo modo le molle sono indipendenti tra loro e il sistema di molle che sostiene la fondazione
viene denominato fondazione alla Winkler. Le molle risultano disaccoppiate: (→ l'abbassamento
di ciascuna molla non è influenzato dall'abbassamento delle molle adiacenti.

Poiché le molle sono disaccoppiate alcuni progettisti preferiscono non utilizzare il concetto di ks
privilegiando, invece, l'uso del metodo agli elementi finiti applicato al continuo elastico, adottando
Es e μ come parametri elastici. Ciò realizza in qualche modo un accoppiamento degli effetti; in ogni
caso i calcoli sono gravosi e tanto affidabili quanto lo sono i valori stimati di Es e μ.

In ogni caso, l'adozione di ks nell'analisi di fondazioni a platea risulta assai diffusa in virtù della
grande convenienza di tale parametro. Vi sono peraltro scarsi riscontri numerici che dimostrino che
il metodo degli elementi finiti per il continuo elastico fornisca soluzioni migliori rispetto al modello di
fondazione alla Winkler.

5.8.5 – Modulo di reazione e cedimenti di consolidazione

Non è affatto inusuale che una platea di fondazione venga posizionata su un terreno analizzato
mediante l'uso di ks sebbene, in alcuni casi, si trovino in aggiunta cedimenti di consolidazione che
si verificano più tardi nel tempo.

È tuttavia un esercizio relativamente semplice, usando la definizione di ks, includere gli effetti
dovuti ai cedimenti di consolidazione. Ciò può essere compiuto nel modo seguente:

ks = q0/ΔH

Sebbene la pressione di contatto q0 sulla base della platea si mantenga costante, il cedimento
totale vale:
ΔH’ = ΔH + ΔHc

da cui si ricava:

ks’ = q0/(ΔH + ΔHc)

dividendo la prima per la seconda si ottiene:

ks’ = ksΔH/(ΔH + ΔHc)

E’ possibile osservare che, tenendo conto dei cedimenti di consolidazione, ks assume un valore ks’
inferiore, fornito dall’ultima relazione.

5.8.6 – Progetto di platee di fondazione

Per progettare una platea si possono utilizzare diversi metodi:

1 - Metodo approssimato normale (AaN) in cui la platea viene divisa in strisce caricate da una
linea di colonne e con la reazione fornita dalla pressione del terreno; la singola striscia viene allora
analizzata come una fondazione composta. Il metodo può essere adottato quando la fondazione è
molto rigida e la distribuzione delle colonne è pressoché uniforme, sia in spaziatura che in intensità
di carico: tuttavia non viene molto consigliato a causa dell'ingente quantità di approssimazioni
adottate.

2 - Metodo approssimato delle flessibilità (AaF, descritto nel seguito) analitico ma dall’elevata
mole computazionale.

3 - Metodi a elementi discreti (per strutturisti) nei quali la fondazione a platea viene divisa in
elementi attraverso una griglia: tali metodi comprendono;

a. Metodo alle differenze finite (DF);

b. Metodo degli elementi finiti (FEM);

c. Metodo delle griglie finite o del graticcio equivalente (FGM).

5.8.7 – Metodo Approssimato delle flessibilità

L'applicazione del metodo speditivo delle flessibilità richiede l'esecuzione dei seguenti passi:

a - calcolo dello spessore richiesto per la platea in base all'azione di taglio per puntamento relativa
alla colonna che induca la peggiore condizione di carico (spigolo, bordo o punto interno).

b - calcolo della rigidezza D della piastra (indicata col medesimo simbolo usato per indicare la
profondità del piano di posa della fondazione).

c – calcolo del raggio L di rigidezza efficace (osservando come l'area d’influenza relativa a
ciascuna colonna valga approssimativamente 4L).

d – calcolo dei momenti in direzione radiale e circonferenziale, del taglio e degli spostamenti
adottando le seguenti equazioni (coefficienti Z di Hetenyi):
in corrispondenza del punto di applicazione del carico

a una distanza r dal punto di applicazione del carico

dove P è il carico trasmesso dalla colonna

espresso nelle stesse unità di un momento, dove μc è il modulo di Poisson per la platea (per il
calcestruzzo si adotti il valore 0.15), x il rapporto delle distanze r/L illustrato in Fig. 5.49, Z i
coefficienti ricavati dalla medesima figura in funzione di x, L il termine, avente le dimensioni di una
lunghezza, definito della relazione L = 4√D/ks, Mr e Mt i momenti radiale e circonferenziale per
unità di lunghezza e V il taglio per unità di lunghezza della piastra.

I momenti di progetto Mx ed My, espressi in termini di coordinate rettangolari, possono essere


calcolati come illustrato in Fig. 5.48.

Quando il lato della platea si trova all'interno del raggio d’influenza L si calcolano momento e taglio
sul bordo. Il momento parallelo al bordo e il taglio vengono allora applicati al bordo come carichi
cambiati di segno. Quando diverse colonne si sovrappongono nella zona L si applica il principio di
sovrapposizione degli effetti per ottenere l'effetto totale.
Fig. 5.48 – Coefficienti Zi di Hetenyi per il calcolo degli abbassamenti, dei momenti e dei tagli in una platea flessibile.

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