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LEZIONE 1: 08/03/2021

LA GEOTECNICA

La Geotecnica è la disciplina dell’Ingegneria che studia su basi fisico-matematiche (capisco l’evoluzione del
fenomeno ed eseguo opportuni calcoli) il comportamento meccanico di corpi, naturali o artificiali, costituiti
di rocce sciolte o lapidee, soggetti al peso proprio e/o ad azioni esterne o modifiche delle condizioni al
contorno. L’Ingegneria Geotecnica studia i problemi che si pongono all’ingegnere per impostare
/implementare permanentemente o temporaneamente opere sul suolo (e nel sottosuolo) o per l’impiego
dei terreni e delle rocce come materiali per la costruzione di rilevati, argini, dighe di materiali sciolti.

PROBLEMI GEOTECNICI

Stabilità dei pendii

I distacchi di blocchi da pareti in roccia sono fenomeni abbastanza comuni che possono arrecare danni
importanti qualora minaccino strade, infrastrutture, abitazioni. Le frane che comportano notevoli
spostamenti delle masse instabili sono da ritenersi tra le più pericolose. Una misura dell’intensità del
fenomeno franoso può essere legata all’entità dei volumi instabili oppure alla velocità con sui si spostano
tali volumi.

Geotecnica delle grandi aree

Studi geotecnici consentono di delineare un quadro significativo del rischio da frana in aree vaste, in cui si
individuano Aree a Rischio e Aree di Attenzione. Inoltre è possibile produrre tematismi di base ed ulteriori
carte.

Il sottosuolo in condizioni sismiche

Le prestazioni di un qualsiasi manufatto o infrastruttura sottoposto alle sollecitazioni sismiche è fortemente


dipendente dai terreni di fondazione. In particolare, la propagazione delle onde sismiche è influenzata dalla
stratigrafia del sottosuolo, dalla topografia della zona considerata e dalla rigidezza dei materiali usati.
Mentre un sottosuolo roccioso (tipo A) trasmette le stesse azioni sismiche che si producono in
corrispondenza dell’epicentro del sisma, un sottosuolo con caratteristiche di deformabilità e resistenza
peggiori (tipo B, C, D, E), invece, amplifica le azioni sismiche.

Opere di sostegno

Un esempio di opera di sostegno è la paratia, ossia una struttura verticale immersa nel suolo (parzialmente
o interamente). Ha funzione di sostegno del terreno, di tenuta idraulica, di fondazione profonda. Il
dimensionamento della paratia e dei tiranti richiede la valutazione dell’interazione terreno-struttura. La
scelta degli elementi che costituiscono la paratia, l’individuazione delle più appropriate modalità di
esecuzione, tecnologie ed attrezzature sono alcune delle problematiche da affrontare nelle fasi di
progettazione, realizzazione e collaudo.

Nell'ambito delle opere di protezione degli scavi, la palancola metallica assume notevole importanza per la
versatilità di utilizzo. Possono essere permanenti o provvisorie.

Tecnica delle fondazioni

Uno dei più semplici problemi geotecnici è legato al dimensionamento delle fondazioni. L’applicazione di un
carico uniformemente distribuito su un terreno di fondazione non omogeneo può portare a cedimenti
differenziali (spostamenti non uniformi) che si traducono in sollecitazioni sull’opera stessa.
Ponti

La realizzazione di ponti prevede lo studio del terreno sul quale insisterà l’opera. Ad esempio, assume
particolare importanza la realizzazione dei blocchi di ancoraggio dei cavi.

Costruzioni in sotterraneo

Al fine della realizzazione di opere sotterranee (esempio acquedotto, metropolitana) occorre studiare
l’andamento stratigrafico del sottosuolo. Ovviamente non si scava ugualmente in tutti i tipi di rocce
(variano difficoltà e tempi necessari per la penetrazione). Tra i macchinari utilizzati ricordiamo il Tunnel
Boring Machine (TBM), ossia la cosiddetta “talpa”. Particolare importanza è legata ad opere da realizzare in
presenza di un sottosuolo non omogeneo, di una falda acquifera o di edifici situati in prossimità dello scavo.

La mancata manutenzione di opere in sotterraneo spesso produce effetti indesiderati ed imprevedibili. Ad


esempio, la non corretta regimentazione delle acque sub-superficiali è spesso causa di fenomeni di
dissesto.

Opere in ambito portuale

L’ambiente portuale pone una serie di difficoltà logistiche, operative e tecnologiche. Il comportamento
meccanico dei terreni è fortemente condizionato dalla presenza del mare. All’interazione terreno-struttura
si aggiunge l’interazione struttura-moto ondoso che deve essere considerata per limitarne gli effetti
dannosi.

Costruzioni di materiali sciolti

La realizzazione di uno sbarramento finalizzato all’invaso delle acque spesso richiede ingenti volumi di
materiale da costruzione, per cui non è possibile ricorrere al calcestruzzo. Il ricorso ad una diga in terra
deve essere attentamente valutato in relazione ai terreni di fondazione e alle condizioni idrauliche al
contorno. Lo sbarramento, infatti, non può essere tracimato e deve garantire condizioni di sicurezza
rispetto a problemi di filtrazione e sifonamento.

Infrastrutture viarie

Il transito di mezzi di trasporto sulla sede viaria ne può compromettere la funzionalità. È necessario che i
terreni sottostanti non siano molto deformabili. Con il passare dei secoli, inoltre, sono divenute possibili
nuove soluzioni tecniche, che richiedono ulteriori valutazioni. Nel caso di strade in trincea ci si preoccupa
della stabilità dei versanti adiacenti al tratto viario; nelle strade in rilevato è essenziale scegliere
accuratamente il materiale ed eseguirne un buon costipamento.

Barriere anti-inquinanti

I moti di filtrazione sono un importante veicolo di propagazione degli inquinanti nel sottosuolo. Nel caso in
cui siano presenti sostanze inquinanti disciolte o mescolate con l’acqua, è necessario progettare opere in
sotterraneo, denominate barriere reattive, che consentano il passaggio dell’acqua ma non dei
contaminanti. A tal fine è necessario tener conto delle direzioni preferenziali degli inquinanti.

Fenomeni di dissesto

Controllo e monitoraggio di opere geotecniche

Problemi di subsidenza

Interventi di consolidamento
LEZIONE 2: 09/03/2021

CARATTERIZZAZIONE GEOTECNICA DEL SOTTOSUOLO

La Circolare NTC 2018 al capitolo 6 definisce:

La caratterizzazione e modellazione geologica del sito è una fase propedeutica all’impostazione della
progettazione geotecnica, legata ad opere infrastrutturali a grande sviluppo lineare o che investano aree
molto estese; esse derivano da studi geologici, basati anche sugli esiti di specifiche indagini.

Il progettista:

● definisce le scelte tipologiche dell’opera, i materiali da costruzione, le modalità e le fasi esecutive;


● può richiedere ulteriori indagini e accertamenti che concorrano a una migliore definizione del
modello geologico;
● può richiedere approfondimenti dello studio geologico;
● programma le indagini geotecniche per stabilire i modelli geotecnici di sottosuolo ed effettua le
verifiche agli stati limite.

La caratterizzazione geotecnica del sottosuolo comprende:

● definizione della stratigrafia;


● determinazione delle condizioni di falda;
● individuazione dello stato tensionale attuale;
● individuazione della storia tensionale;
● determinazione delle caratteristiche di permeabilità e delle caratteristiche meccaniche.

Le indagini geologiche riguardano aree e volumi di sottosuolo ampi e sono finalizzate alla definizione del
modello geologico; le indagini geotecniche riguardano il volume significativo, sono finalizzate alla
definizione dei modelli geotecnici e comprendono identificazione e valutazione dei parametri geotecnici
necessari alle verifiche.

Il volume significativo è la parte di sottosuolo che avrà interazione, diretta o indiretta, con il manufatto. Ci
interessa identificare anche i parametri di resistenza e di compressibilità del sottosuolo al fine di passare al
modello geotecnico. Per modello geotecnico di sottosuolo si intende uno schema rappresentativo del
volume significativo di terreno, suddiviso in unità omogenee sotto il profilo fisico-meccanico che devono
essere caratterizzate con riferimento allo specifico problema geotecnico. In tale modello occorre definire il
regime delle pressioni interstiziali e i valori caratteristici dei parametri geotecnici.

L’acqua può muoversi nel terreno (è un aspetto svantaggioso) lentamente (aspetto ancora più svantaggioso
poiché dopo anni può muoversi ancora con moti di filtrazione), ma in alcuni casi posso cambiare i valori
delle pressioni neutre (aspetto vantaggioso), che influenzano le tensioni efficaci (che a loro volta
influenzano rigidezza e resistenza di un terreno).

I mezzi di indagine

Al fine di realizzare il profilo stratigrafico del terreno posso impiagare mezzi di indagine diretti (come scavi
accessibili, tra cui pozzi, trincee e cunicoli, e fori di sondaggio) o indiretti (prove geofisiche e prove
penetrometriche statiche).

Scavi accessibili

Gli scavi accessibili (o trincee esplorative) comprendono pozzi, cunicoli e trincee. Hanno il vantaggio di
consentire l’osservazione diretta della successione stratigrafica del sottosuolo (tipo e natura dei terreni,
giacitura, successione degli strati, stato di fratturazione), possono essere eseguiti anche da ditte “poco
specializzate” e, inoltre, consentono il prelievo di campioni di grandi dimensioni. Tuttavia, tali soluzioni non
sono sempre praticabili. I limiti principali sono legati ai costi generalmente elevati per la realizzazione degli
scavi e alle limitate profondità raggiungibili (4-6 m). Gli scavi diretti si utilizzano per opere di grande
importanza (ad esempio le dighe di sbarramento) oppure per opere tanto modeste da non richiedere
l’intervento di una ditta specializzata.

Perforazioni di sondaggio

I sondaggi rappresentano il più diffuso ed importante mezzo d’indagine; sono perforazioni effettuate nel
terreno tramite una sonda che consentono di:

● ricostruire il profilo stratigrafico;


● prelevare campioni di terreno, da utilizzare per il riconoscimento e per le prove di laboratorio;
● installare strumenti;
● eseguire prove in sito;
● eseguire rilievi sulle acque sotterranee.

Identifichiamo due modalità di esecuzione dei sondaggi:

● sondaggi a distruzione;
● sondaggi a carotaggio continuo.

Si individuano i seguenti metodi di perforazione:

● perforazione a percussione;
● sondaggi eseguiti con elica;
● sondaggi eseguiti a rotazione.

SONDAGGI A DISTRUZIONE

I sondaggi a distruzione si usano quando non interessa il prelievo continuo di campioni. Consentono
l’attraversamento rapido di qualsiasi tipo di terreno fino a notevoli profondità. Come utensili di
perforazione si utilizzano scalpelli, triconi, utensili a diamanti. Il diametro è compreso tra 10 cm e 1.5 m. Gli
utensili scavano l’intera sezione del foro staccando detriti prodotti dallo scavo che vengono portati in
superficie dal fluido di perforazione (di solito fango).

Perforazioni a percussione

I sondaggi a percussione sono adottati generalmente per terreni a grana grossa; consentono il
raggiungimento di profondità massime di 60 m e prevedono diametri usuali compresi tra 100 e 600mm. In
particolare, per eseguire tale sondaggio si utilizza una batteria di aste (aventi lunghezza massima pari a
10m) collegata ad un utensile che consente l’avanzamento del terreno. L’utensile più comune è la sonda a
r
valvola (o cunetta, diametro compreso tra 100 e 600mm), a caduta libera; il terreno penetra nella sonda
attraverso la valvola e viene trattenuto da essa fino allo svuotamento dell’utensile in superficie. Di regola
nel foro, protetto da una tubazione di rivestimento, viene immessa acqua al fine di evitare il
surriscaldamento degli strumenti e per portare in superficie i detriti staccati in fase dei scavo. Nel caso di
stratificazioni lapidee o molto consistenti (terre coesive dure) la sonda viene sostituita dallo scalpello
(diametro compreso tra 100 e 125 mm), che frantuma il materiale consentendone la successiva
asportazione con la sonda (non consente l’esecuzione di prove in sito).

N.B. Con questo tipo di sondaggio non riesco ad ottenere campioni indisturbati, ma ottengo campioni di
qualità Q1 (o al più Q2).
Sondaggi eseguiti con elica

I sondaggi eseguiti con elica sono adatti ai terreni coesivi (argille), ma non è possibile eseguirli in presenza
di ciottoli. Come utensile per il metodo di perforazione a trivella si usa la barra (Kelly) o l’elica continua
(diametro 100-1500 mm) e si eseguono sondaggi con profondità minore di 50 m. Questa tipologia di
sondaggio consente il prelievo di campioni sia sopra falda che sotto falda (in questo caso il campione è
dilavato).

SONDAGGI A CAROTAGGIO CONTINUO

Sondaggi eseguiti a rotazione

I sondaggi vengono eseguiti quasi sempre con perforazione a rotazione (diametro compreso tra 75 e
150mm); è indispensabile la circolazione di un fluido (acqua, fango o aria compressa) di raffreddamento.
Questa tipologia di sondaggio reca poco disturbo e dunque consente di ricostruire il profilo stratigrafico. I
sondaggi a rotazione possono essere applicati a tutti i terreni, ma risultano essere meno adatti ai terreni
ghiaiosi poiché potrebbero causare la frammentazione del materiale. L’utensile di perforazione più comune
è costituito da un tubo di acciaio (carotiere) con una corona inferiore tagliente. Si riesce ad ottenere il
prelievo continuo di campioni di terreno (“carote”), adattando la tecnica di perforazione al terreno
mediante la scelta appropriata del tubo carotiere, della velocità di rotazione e della spinta (spinta e
rotazione si eseguono contemporaneamente), della portata e pressione del fluido di circolazione. Agendo
con apposite leve poste sul banco di manovra si fa scendere il carotiere fino alla profondità desiderata (le
profondità usuali sono pari a 50-150 m per carotiere semplice e doppio carotiere; oppure posso
raggiungere profondità “illimitate” con scalpelli e triconi) e poi si inverte il senso di marcia per risalire. Si
estrae il materiale campionato che viene conservato in cassette catalogatrici aventi appositi alloggiamenti
(ognuno dalla lunghezza di 1 m).

N.B. è possibile anche il “carotaggio a secco”, ossia in assenza della circolazione del fluido, purché sia
eseguito per brevi tratti; tale carotaggio provoca un essiccamento del terreno dovuto al calore sviluppato
per attrito dalla rotazione.

Un altro utensile di perforazione è il doppio carotiere, costituito da due tubi concentrici dei quali ruota solo
quello esterno. Il tubo interno raccoglie il campione evitando che esso venga in contatto con la parte
ruotante dell’utensile e proteggendolo dall’azione del fluido di circolazione. In tal modo si riescono ad
ottenere anche campioni di terreni eterogenei e molto fratturati.

STABILIZZAZIONE DEL FORO DI SONDAGGIO

La stabilizzazione delle pareti e del fondo del foro è un aspetto comune a tutti i tipi di esecuzione del
sondaggio. In terreni a grana fine, se mi trovo sopra falda e se la perforazione è poco profonda il foro risulta
essere stabile. Altrimenti si deve ricorrere ad uno dei seguenti metodi di stabilizzazione:

● infissione di una batteria di tubi di rivestimento (non si posano in opera prima della perforazione
per evitare di disturbare il terreno da campionare);
● stabilizzazione tramite fango bentonitico (3-5 % in peso). La bentonite è un’argilla ad elevata
plasticità. Il fango forma in stato di quiete una pellicola impermeabile sulla superficie del foro; la
pressione sviluppata sulle pareti e sul fondo del foro è sufficiente a garantirne la stabilità. Inoltre,
avendo peso specifico di poco superiore a quello dell’acqua, il fango è mantenuto ad un livello
superiore di quello della falda freatica (falda che si forma a profondità non molto elevate a causa
dell’accumulo di acqua su uno strato impermeabile).
PRELIEVO DI CAMPIONI DI TERRENO: IL CAMPIONAMENTO

Definiamo campionamento ideale la procedura che altera, nel corso delle operazioni di prelievo,
esclusivamente lo stato tensionale del campione.

Definiamo campione indisturbato un campione che conserva struttura, contenuto d’acqua e composizione
chimica del terreno in sito.

Il campionamento avviene nelle seguenti fasi:

● perforazione (in cui si ha rigonfiamento del terreno se si riduce la pressione o compressione se il


rivestimento è spinto sotto al fondo del foro);
● pulizia di fondo del foro;
● prelievo (in cui la fonte di disturbo è legata all’attrito tra campione e parete interna).

I campioni di terreno, prelevati per fini geotecnici, possono essere classificati in base al grado di disturbo
arrecato in fase di campionamento in cinque classi di qualità (Q1, Q2, Q3, Q4 e Q5). In particolare, Q1, Q2 e Q3
identificano i campioni disturbati (o rimaneggiati), Q4 fa riferimento a campioni a disturbo limitato e Q5 è
relativo a campioni indisturbati. La qualità del campione prelevato dipende dalla modalità di infissione del
campionatore, che è funzione del tipo di terreno da campionare. In funzione del grado di qualità dipendono
le caratteristiche geotecniche che si possono ricavare:

Campioni disturbati (Q1, Q2 e Q3) possono essere prelevati da scavi accessibili e conservati in contenitori,
come barattoli o sacchetti in plastica. Campioni a disturbo limitato o indisturbati (Q4 e Q5) devono essere
prelevati, sempre da scavi, con cilindri campionatori e conservati negli stessi cilindri con tappi a tenuta. Il
cilindro campionatore deve essere infisso a pressione nel terreno senza movimenti di rotazione e/o
oscillazione. Ultimata l’infissione, il terreno circostante al campionatore viene asportato e il campionatore
viene staccato dal fondo per mezzo di un utensile adatto. Per quanto riguarda il prelievo da fori di
sondaggio, i campioni prelevati con i normali utensili di perforazione sono generalmente rimaneggiati (Q1,
Q2 ed eccezionalmente Q3). Essi vengono conservati in apposite cassette catalogatrici. I campioni a disturbo
limitato o indisturbati (Q4 e Q5) possono essere ottenuti da fori di sondaggio con l’impiego di adatti utensili
detti campionatori. I più comuni sono:

● campionatore aperto a pareti sottili, per terreni coesivi;


● campionatore a pistone, per terreni di consistenza molto ridotta;
● campionatore a doppia parete, per terreni coesivi di elevata consistenza;
● campionatore continuo, per colonne di terreno di 20-30 m.
Campionatore aperto a pareti sottili

Un esempio di campionatore aperto a pareti sottili è il campionatore a tubo aperto con valvola a sfera tipo
Shelby. Questo campionatore, molto diffuso, è adatto per terreni coesivi di consistenza ridotta. Viene
infisso a pressione e durante l’infissione la valvola a sfera consente la fuoriuscita dell’acqua, nella fase di
recupero la valvola si chiude e trattiene il campione nel tubo. Il tubo a parete sottile funge anche da
contenitore e dunque deve essere resistente alla corrosione (è in acciaio zincato o acciaio inox). Il diametro
di questo campionatore è compreso tra 80 e 100 mm, lo spessore è dell’ordine dei 2 mm e presenta
lunghezza compresa tra 600 e 1000 mm.

Campionatore a pistore

Il campionatore a pistone rappresenta un’evoluzione del campionatore a tubo aperto; è dotato di un


pistone comandato da una colonna di astine indipendenti dalla colonna di tubi che comandano il cilindro
campionatore. In fase di prelievo, il pistone prima chiude l’estremità inferiore del tubo (evitando l’ingresso
di acqua e detriti), poi viene bloccato mentre si infigge il campionatore fino a trovarsi a contatto con la
parte superiore del campionatore stesso; in fase di recupero sostituisce vantaggiosamente la valvola a
sfera. Presenta dimensioni simili al campionatore Shelby, ma rispetto a quest’ultimo consente di eseguire
prelievi soddisfacenti in terreni a consistenza molto ridotta.

Campionatore a doppia parete

I campionatori a rotazione a doppia parete vengono impiegati nei terreni coesivi di elevate consistenza, nei
quali l’infissione non risulta possibile. In questi campionatori il tubo interno, che non partecipa alla
rotazione e funge da contenitore del campione, è spinto nel terreno mentre il tubo esterno, rotante e
dotato di corona tagliente, asporta il terreno che circonda il tubo interno. È necessario che il bordo
inferiore (denominato scarpa) del tubo interno fuoriesca rispetto al tagliente del tubo esterno, in modo che
il campione non entri in contatto con il fluido di perforazione che viene fatto circolare tra i due tubi. La
sporgenza, che deve essere tanto minore quanto più è consistente il terreno, viene ottenuta avvitando al
tubo interno scarpette taglienti di diversa lunghezza (in questo caso parliamo di campionatore Denison)
oppure può essere regolata automaticamente con una molla (campionatore Mazier).

CARATTERISTICHE GENERALI DEI CAMPIONATORI

Il tagliente di un campionatore viene conformato in modo da minimizzare il disturbo arrecato al campione.


La conformazione viene caratterizzata dai seguenti coefficienti (o rapporti adimensionali):
Si identificano anche i requisiti di un buon campionatore:

● coefficiente di parete Cp ≤ 15% (meglio se Cp ≤ 6%);


● rapporto di campionamento R compreso tra il 97% e il 100%;
● rapporto L/D compreso tra 8 e 12;
● coefficiente di spoglia interna (o coefficiente di ingresso) Ci compreso tra 0 e 0.5% per campioni
corti o superficiali, avanzamenti rapidi, terreni incoerenti e compreso tra 0.75 e 1.5% per campioni
lunghi e profondi, avanzamenti lenti, terreni coesivi [Ci considera il campo di variabilità della
differenza tra il diametro di ingresso e quello esterno del campionatore];
● coefficiente di spoglia esterna (o coefficiente di attrito esterno) Ca compreso tra 2 e 3% per terreni
coesivi (0 per terreni incoerenti) [Ca misura l’attrito esterno, dunque deve essere limitato].

PROVE DI IDENTIFICAZIONE E CLASSIFICAZIONE DEL TERRENO

Le prove di identificazione geotecnica dei terreni comprendono le seguenti prove di laboratorio:

● peso specifico (rapporto tra il peso di un campione e il suo volume);


● contenuto d’acqua (rapporto tra il peso dell’acqua e il peso del solido);
● analisi granulometrica;
● limiti di Atterberg.

Analisi granulometrica

L’analisi granulometrica consiste nella determinazione della distribuzione percentuale del diametro dei
granuli presenti nel terreno. A tal scopo si usano due tecniche:

- stacciatura (o vagliatura), per le particelle di diametro d > 0.074 mm;


- sedimentazione, per frazione fine, avente diametro d < 0.074 mm.

Per la fase di stacciatura si utilizzano setacci ASTM con dimensione delle aperture delle maglie differenti e
standard messi uno sull’altro. La sedimentazione è legata alla legge di Stokes che relaziona la velocità di
sedimentazione di una miscela torbida al diametro delle particelle che formano tale miscela. I setacci
generalmente sono 11. Con il materiale che passa (passante, ossia con diametro inferiore a quello del
setaccio) al setaccio n. 40 (diametro d = 0.42 mm) si effettua l’analisi dei limiti di Atterberg, con il passante
al setaccio n. 200 (diametro d = 0.074 mm) si effettua sedimentazione (o aerometria). Al fine di eseguire
l’analisi granulometrica, peso il materiale con una bilancia e poi lo faccio passare tra i setacci (appoggiati su
un motorino che scuotendo la pila di setacci facilita la fase di stacciatura). Infine peso il materiale
contenuto in ciascun setaccio e dunque sono in grado di associare a ciascun setaccio (avente un certo
diametro di apertura delle maglie) un certo valore in peso. L’analisi per sedimentazione consiste nel creare
una soluzione torbida acquosa con il passante al setaccio n. 200. Si utilizza un aerometro, che è un
densimetro che consente di calcolare la velocità di sedimentazione. Con la legge di Stokes leghiamo tale
velocità al diametro. Dopo aver eseguito stacciatura e sedimentazione traccio la curva granulometrica (che
è un diagramma in scala semilogaritmica che riporta sulle ascisse il diametro delle particelle e sulle ordinate
la percentuale di passante) che mi consente di determinare l’assortimento granulometrico e di individuare
il materiale che forma il terreno (a tal scopo ricordo i diametri di passaggio definiti dall’Associazione
Geotecnica Italiana AGI: 60 mm da ciottoli a ghiaia, 2 mm da ghiaia a sabbia, 0.06 mm da sabbia a limo,
0.002 mm da limo ad argilla).

Per identificare con un nome il materiale per cui si effettua l’analisi granulometrica si procede nel seguente
modo:

Limiti di Atterberg

I limiti di Atterberg sono contenuti d’acqua determinati in laboratorio con procedure standardizzate che
rappresentano passaggi critici del comportamento del terreno. Vengono determinati sulla frazione di
passante al setaccio n. 40 (d = 0,42 mm, dunque si riferiscono a terreni a grana fine, ossia limi e argille).

Identifichiamo:

- limite di liquidità WL, contenuto d’acqua in corrispondenza del quale il terreno possiede una
resistenza a taglio così piccola che un solco, praticato in un campione rimaneggiato, si richiude
quando il cucchiaio che lo contiene è sollecitato con dei colpi, secondo una procedura standard
(segna il passaggio tra lo stato plastico e quello liquido);
- limite di plasticità WP, contenuto d’acqua in corrispondenza del quale il terreno inizia a perdere il
suo comportamento plastico (segna il passaggio tra lo stato semisolido e quello plastico);
- limite di ritiro WS, contenuto d’acqua al di sotto del quale una perdita d’acqua non comporta più
alcuna riduzione di volume (segna il passaggio tra lo stato solido e quello semisolido).

Per la determinazione del limite di liquidità la procedura standard prevede l’uso del cucchiaio di
Casagrande, ossia uno strumento costituito da un cucchiaio e una manopola. Nel cucchiaio metto il terreno
a grana fine, in esso pratico un solco con uno strumento standard. Ruotando la manovella il cucchiaio si alza
e si abbassa sbattendo su un piano rigido presente al di sotto di esso. Conto il numero di colpi effettuati,
mantenendo velocità costante, per richiudere il solco. Ripropongo la prova almeno 5 volte variano il
contenuto d’acqua del campione (aggiungendo acqua o essiccando il campione) e riporto i risultati in un
grafico numero dei colpi-contenuto d’acqua. Interpolo i valori ottenuti con una retta e il limite di liquidità è
il contenuto d’acqua corrispondente a 25 colpi necessari per richiudere il solco.

Per la determinazione del limite di plasticità si realizzano bastoncini da circa 3 mm su una lastra di vetro.
Appena il bastoncino si fessura abbiamo raggiunto il limite plastico, per cui lo peso, poi lo essicco e lo
ripeso, determinando il contenuto d’acqua. Eseguo almeno 3 prove ed effettuando una media dei
contenuti d’acqua ottenuti determino il valore corrispondente al limite di plasticità.

Sulla base dei limiti di Atterberg si determinano diversi indici:

● indice di plasticità IP = WL - WP;


● indice di liquidità IL = (WN - WP)/IP (dove WN è il contenuto d’acqua naturale, ossia in sito);
● indice di consistenza IC = (WL - WN)/IP (= 1 - IL);
● indice di attività A = IP/CF% (dove CF% è la clay fraction, ossia la percentuale in peso di argilla).

In funzione dell’indice di attività tracciamo un diagramma di attività, che riporta sulle ascisse la percentuale
in peso di materiale avente diametro inferiore a 0.002 mm (ossia argilla) e sulle ordinate i valori dell’indice
di plasticità e identifica tre campi di attività (argilla attiva, argilla ad attività normale e argilla inattiva)
separati da 2 rette che identificano i valori 0.75 e 1.25 dell’indice di attività:

In particolare:

● se A < 0.75 l’argilla è inattiva (contiene illite);


● se 0.75 < A < 1.25 l’argilla presenta attività normale (contiene caolinite);
● se A > 1.25 l’argilla è attiva (contiene montmorillonite).

Una misura della capacità o meno di un terreno a grana fine di assorbire acqua è offerta dalla Carta di
plasticità di Casagrande. Tale carta riporta sulle ascisse i valori del limite di liquidità e sulle ordinate l’indice
di plasticità. Sono identificate 6 aree, ottenute riportando sul diagramma i contenuti d’acqua del 30% e del
50% e la linea A [che divide le argille, poste sopra a tale linea (ad eccezione delle argille organiche) dai limi]:
LEZIONE 3: 10/03/2021

CARATTERIZZAZIONE DELLE ROCCE E DEI FRONTI ROCCIOSI

L’ammasso roccioso è una struttura discontinua; sono strutture con resistenza a trazione bassa (o nulla). Le
discontinuità suddividono l’ammasso roccioso in blocchi di dimensioni e forme molto variabili, cui
conferiscono una precisa configurazione geometrica (struttura orientata). In funzione della loro genesi e
dell’esistenza o meno di scorrimenti relativi tra le pareti, le discontinuità si distinguono in:

● faglie
● giunti

Le discontinuità assumono, in relazione all’evento geologico che le ha prodotte (evoluzione tettonica e


morfologica) giaciture preferenziali, dando luogo a gruppi di superfici iso-orientate dette famiglie di
discontinuità, tra cui:

● discontinuità di strato (nelle rocce sedimentarie): piani paralleli e subparalleli con possibile
presenza di sottili livelli di argilla;
● giunti di scistosità o di ritiro (nelle rocce magmatiche intrusive): dovuti a variazioni differenziali di
volume durante il raffreddamento della roccia o a decompressione in fase di erosione, sono
generalmente caratterizzati da piani con differente spaziatura e persistenza;
● giunti trasversali, longitudinali o diagonali: sforzi tettonici che determinano la formazione di una
piega.

Rilievo, rappresentazione ed elaborazione delle misure di orientazione


L’andamento complessivo di una famiglia di discontinuità, pur presentando le superfici di discontinuità
ondulazioni e asperità con inclinazione e dimensioni variabili, può essere caratterizzato da una giacitura
piana.

Al fine della rappresentazione della giacitura di una discontinuità definiamo:

● direzione γ: angolo formato, su un piano orizzontale, dal Nord e dalla traccia del piano di
riferimento;
● inclinazione α: angolo formato dalla retta di massima pendenza (data dall’inclinazione tra il piano
inclinato e un piano verticale; risulta perpendicolare alle curve di livello) e dalla sua proiezione
verticale su un piano orizzontale;
● angolo azimutale dell’inclinazione o azimut β: angolo formato, su un piano orizzontale, dal Nord e
dalla proiezione della retta di massima pendenza;
● pitch: angolo che una qualsiasi retta forma con la direzione della discontinuità.

Per individuare in modo univoco l’orientazione di una discontinuità sono sufficienti gli angoli α
(inclinazione) e β (angolo azimutale).

Rilievo di una famiglia di discontinuità

Al fine di rilevare una famiglia di discontinuità faccio un campionamento utilizzando la bussola di Clar.
Questo strumento consiste in una livella a bolla d’aria con un coperchio piano che ruota intorno ad un asse
orizzontale, detto clinometro. Il clinometro viene poggiato sulla superficie di discontinuità e vengono
determinati, per ogni discontinuità presente sul fronte di esposizione, i valori α (inclinazione) e β (angolo
azimutale). Le misure vengono eseguite seguendo sulla parete una serie di linee di campionamento,
rilevando tutte le discontinuità intersecate dalla linea di campionamento nell’ordine in cui sono disposte.
Definiamo spaziatura S la distanza, rilevata lungo la normale alla giacitura, fra discontinuità adiacenti
parallele o subparallele.
Le discontinuità hanno dimensioni finite. Definiamo persistenza P il rapporto percentuale dell’area
occupata dalle discontinuità, rispetto alla roccia integra (ponti di roccia) su un piano contenente una o più
discontinuità appartenenti alla stessa famiglia.

Nella pratica, la persistenza viene valutata attraverso la lunghezza della traccia sul fronte di esposizione.

Identifichiamo tre tipi di terminazione della discontinuità sul fronte di affioramento:

● di tipo r, interruzione contro la roccia integra;


● di tipo d, interruzione contro un’altra discontinuità;
● di tipo x, penetrazione nell’ammasso.

Ad esempio, l’indice Tr rappresenta la percentuale di estremità tipo “r” rispetto al totale rilevato:

Le discontinuità di tipo “xx” sono più persistenti di quelle di tipo “dd” e queste, a loro volta, di quelle di tipo
“rr”.

RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DEI DATI DI ORIENTAZIONE

La rappresentazione grafica dei dati di orientazione si esegue effettuando una proiezione sferica, realizzata
attraverso l’ausilio di una sfera libera di traslare (ma non di ruotare) il cui centro può essere portato a
coincidere con qualsiasi punto dell’ammasso roccioso. Dunque considero un piano inclinato (piano di
discontinuità), lo inserisco in una semisfera, identifico il mediano della sfera di riferimento (individuato
dall’intersezione tra la sfera e il piano di discontinuità) e individuo il polo (punto di intersezione tra la
superficie della semisfera inferiore con la retta normale al piano della discontinuità passante per il centro
della sfera).
La rappresentazione sferica, per essere utilizzata su supporti piani, deve essere manipolata proiettando su
una superficie piana (piano di proiezione) gli enti geometrici (meridiani e poli) della discontinuità individuati
sulla superficie sferica. Nel caso di proiezioni stereografiche possiamo garantire la conservazione degli
angoli o la conservazione delle aree. Generalmente si utilizzano reticoli già predisposti di meridiani aventi
β= 0°, 90°, 180° e 270° e inclinazione α variabile da 0 a 90°.

A seguito della rappresentazione sul piano di proiezione dei poli delle discontinuità rilevate si passa alla
determinazione delle curve di isodensità polare. I diagrammi di isodensità (isofrequenza) polare
consentono un’agevole identificazione di principali parametri della struttura orientata dell’ammasso
roccioso: numero di famiglie di discontinuità, valori modali delle giaciture, dispersione dei dati rispetto ai
valori modali.

RESISTENZA A TAGLIO DELLE DISCONTINUITA’

La resistenza a taglio lungo una discontinuità dipende dalla configurazione geometrica della superficie e
dalle proprietà fisiche e meccaniche del materiale adiacente alla parete.

Consideriamo una prova di taglio diretto su una discontinuità scabra con asperità.

Fino al raggiungimento dello sforzo resistente di picco si ha un comportamento elastico-lineare dilatante;


con il progredire della prova si riduce l’area di contatto e lo stato tensionale agente sulla superficie della
discontinuità subisce una continua evoluzione. Prima, durante e dopo il raggiungimento della resistenza di
picco coesistono: attrito radente, dilatanza, fratturazione e deformazione della roccia intatta.

Esperimenti di Patton

Patton ha evidenziato che la resistenza a taglio τ lungo piani di discontinuità è una funzione dello sforzo di
compressione σ, dell’angolo di attrito radente su superfici piane φ’r e dell’inclinazione media delle asperità i

La relazione può essere anche ottenuta, in condizioni di equilibrio limite, considerando una discontinuità
inclinata dell’angolo i rispetto al piano di taglio.
Gli esperimenti di Patton su modelli con asperità regolarmente spaziate di inclinazione i comportano ad un
inviluppo biliniare (criterio di resistenza):

Nel caso di discontinuità reali, distinguiamo:

● asperità del primo ordine, ossia asperità con ampiezza di base elevata e bassi valori di inclinazione
(importanti per valori di σ elevati);
● asperità del secondo ordine, ossia asperità piccole e aguzze (importanti alla scala di laboratorio e
per valori di σ modesti).

Esperimenti di Barton

Con prove su modelli, Barton sostituisce il parametro di inclinazione i con l’angolo di dilatanza al picco don:

, dove

Nel caso di discontinuità naturali il criterio di resistenza empirico di Barton è il seguente:

Tale relazione empirica è applicabile per bassi valori dello sforzo normale:

La stima del parametro JRC si basa sull’utilizzo dei profili di scabrezza tipici oppure può essere determinato
analiticamente con prove di ribaltamento (tilt test). La stima di JCS si basa sull’utilizzo del martello di
Schimdt (misura eseguita sulla parete della discontinuità) o su una prova di compressione semplice
(eseguita su un campione prelevato in prossimità della discontinuità). La stima di φB si basa su prove di
taglio diretto (su superfici lisce create con sega circolare avente lama diamantata) oppure applicando valori
di letteratura.
LEZIONE 4: 12/03/2021

INDAGINI IN SITO

Le indagini in sito sono prove complementari alle indagini di laboratorio che consentono di campionare
alcuni terreni che non potrebbero essere caratterizzati diversamente.

Le indagini in sito comportano una serie di vantaggi:

● interessano un volume di terreno superiore a quello corrispondente ad un campione di laboratorio;


● è possibile ottenere, con apposite apparecchiature, registrazioni in continuo delle grandezze
misurate (si possono ottenere registrazioni in continuo di grandezze difficili o impossibili da
campionare: ad esempio per terreni a grana grossa non possono essere campionati campioni
indisturbati o di qualità necessaria per eseguire prove di caratterizzazione meccanica e idraulica);
● consentono la caratterizzazione meccanica di terreni incoerenti;
● sono indagini rapide ed economiche.

Tuttavia ci sono una serie di svantaggi:

● non è possibile definire e controllare le condizioni al contorno, differentemente dalle prove di


laboratorio;
● si ha una difficoltà di interpretazione dei risultati delle prove in sito (non esiste sempre un modo
univoco e diretto per interpretare i risultati delle prove, ma in alcuni casi occorre avvalersi di
correlazioni indirette);
● la natura del materiale indagato non è sempre direttamente identificata.

Parlando di indagini in sito ci riferiamo alle seguenti prove:

● SPT = Standart Penetration Test


● CPT = Cone Penetration Test
● DMT = Flate Plate Dilatometer Test
● PMT= Prebored Pressumeter Test
● VST= Vane Shear Test
La tipologia di indagine risulta essere più o meno efficace a seconda del materiale investigato (ad esempio,
le CPT sono adatte per quasi tutti i terreni, ad eccezione dei terreni argillosi molto consolidati e quelli
sabbiosi/ghiaiosi); questi limiti sono dettati dalla resistenza dell’attrezzatura impiegata e dalla possibilità di
danneggiamento della stessa. Le prove in sito si eseguono solitamente per argille (clays), limi (silts) e sabbie
(sands) e non per le ghiaie (gravels).

PROVE PENETROMETRICHE
Le prove penetrometriche servono per determinare il profilo stratigrafico e le proprietà fisico-meccaniche.
Tali prove si dividono in statiche e dinamiche. L’impiego ottimale delle prove penetrometriche statiche
riguarda la determinazione dei parametri di resistenza a taglio, ma consentono di avere anche informazioni
sul legame tensio-deformativo avvalendosi di interpretazioni empiriche; le prove penetrometriche
dinamiche non presentano nessun impiego ottimale, ma consentono di ottenere informazioni sul legame
tensio-deformativo avvalendosi di interpretazioni empiriche e per i soli terreni a grana grossa possono
essere impiegate per ottenere informazioni circa la resistenza a taglio.
PROVE PENETROMETRICHE STATICHE
Cone Penetration Test (CPT)
La prova CPT è una prova penetrometrica statica che si esegue in sito infiggendo, a velocità costante di 2
cm/s, mediante l’azione di un martinetto meccanico o idraulico, una punta conica standardizzata (detta
punta Begemann) avente diametro di 35.7 mm e inclinazione di 60°. La punta è collegata ad una batteria di
aste protetta da una tubazione di rivestimento. Al di sopra della punta c’è un manicotto (superficie laterale
150 cm2) opportunamente sagomato al fine di impedire l’ingresso di terreno nell’intercapedine tra aste e
tubi. La prova CPT può essere eseguita in continuo, senza la realizzazione preliminare di un foro.

La prova CPT può essere effettuata sia su terreni a grana fine che su terreni a grana grossa. Dai risultati di
questa prova è possibile ricavare il profilo stratigrafico, la resistenza a taglio (sia in condizioni drenate sia in
condizioni non drenate) e le caratteristiche di permeabilità.
La sonda ed il manicotto non sono collegati rigidamente perché l’esecuzione della prova avviene in tre fasi
di avanzamento distinte:

● fase 1: avanzamento della punta di 40 mm;


● fase 2: avanzamento del manicotto di 40 mm;
● fase 3: avanzamento solidale della punta e del manicotto (avanzano insieme) di 200 mm.

Ci interessano i seguenti parametri (misurati con una testa di carico collegata alla sonda):

● resistenza alla punta Rp, che corrisponde alla resistenza a cui è sottoposta la punta durante lo
scorrimento di 40mm che avviene nella fase 1;
● somma della resistenza alla punta più la resistenza laterale Rp + RL, che si determina nella fase 2
(avanzamento del manicotto 2 di 40mm) e dunque è misurata in un punto diverso rispetto alla sola
resistenza alla punta Rp;
● resistenza totale RT.

Questa prova viene ripetuta lungo una verticale ogni 20cm.


Vi sono dei limiti circa la profondità massima a cui possiamo spingerci, dovuti alla:

● verticalità delle aste, poiché le aste utilizzate sono snelle scendendo a profondità elevate potrei
avere uno svergolamento delle aste e dunque non avrei la verticalità;
● tipologia di terreno che si sta investigando, infatti che le prove CPT non sono adatte per strati
ghiaiosi o di sabbia grossolana, né per strati fortemente consolidati.
Dopo aver misurato la resistenza alla punta, la resistenza laterale e la resistenza totale passiamo al calcolo
delle grandezze derivate, che utilizzando correlazioni dirette o indirette (mediante abachi, relazioni
analitiche ed empiriche) ci consentono ottenere i parametri di cui necessitiamo.

Le sonde che abbiamo visto non sono le uniche presenti in commercio, infatti abbiamo anche altri
strumenti:

● penetrometro elettrico, che consente di eseguire misure localmente con trasduttori elettrici posti
alla punta e nel manicotto. Le misure locali consentono la separazione tra resistenza alla punta e
resistenza laterale. La resistenza misurata in testa alla batteria di aste può essere sensibilmente
diversa se misurata con trasduttori elettrici rispetto al penetrometro standard perché potrebbero
essere influenzate dall’attrito che si sviluppa lungo il mantello dietro la punta conica e alla batteria
di aste che sta attraversando lo strato di terreno;
● piezocono (CPTu), che è dotato di trasduttori di misura delle pressioni neutre nell’intorno della
punta. In questo caso la sonda non è standardizzata quindi questi trasduttori di pressioni possono
essere posizionati sia alla base della punta, sia in corrispondenza della punta, sia in una posizione
poco al di sopra del manicotto (o nel manicotto). La punta potrà generare delle sovrapressioni
durante l’infissione dipendenti dalla tipologia del terreno; a seguito di diversi studi la posizione dei
trasduttori più adeguata sembra essere quella alla base della punta conica. La CPTu consente la
determinazione delle sovrappressioni neutre in condizioni drenate per terreni a grana grossa e in
condizioni non drenate per terreni a grana fine.

Riassumendo devono essere rispettati i seguenti standard di riferimento internazionali e nazionali per
l’esecuzione di prove CPT e CPTu:

● velocità di penetrazione costante e pari a 20 ± 5 mm/s;


● il diametro della punta e il diametro del manicotto devono essere uguali e pari a 35.7 mm, con una
tolleranza pari a 0.35 mm;
● angolo di apertura della punta conica pari a 60°;
● rugosità (scabrezza) assoluta della punta inferiore a 1µm (la punta in acciaio deve essere
perfettamente liscia, con una bassa tolleranza);
● posso raggiungere un’inclinazione massima di 5° per 1m di penetrazione, al fine di ridurre il rischio
di rottura per flessione delle aste;
● non ci sono differenze di procedura per prove CPT e CPTu;
● la CPTu richiede la deareazione/saturazione del piezocono in sito utilizzando come fluido acqua
deareata, glicerina o olio al silicone; i filtri devono essere stati preventivamente deareati e saturati
sottovuoto in una cella di calibrazione in laboratorio e, inoltre, il filtro deve essere sostituito dopo
ogni prova;
● si raccomanda, preliminarmente a qualsiasi attività di interpretazione dei risultati, di accertarsi del
rispetto delle caratteristiche dell’attrezzatura richieste per l’esecuzione prova (con particolare
attenzione alla posizione del filtro poroso per la misura della u e alla calibrazione delle celle di
carico) e dello standard di riferimento adottato per l’esecuzione della prova.

INTERPRETAZIONE DEI RISULTATI DELLE PROVE CPT: LE CORRELAZIONI

Profilo stratigrafico
Al fine dell’individuazione del profilo stratigrafico occorre tarare i risultati sulla base di un buon sondaggio.
Ciò perché potrei misurare la stessa resistenza in punta (e dunque determinare la stessa resistenza alla
punta unitaria qc) anche in terreni a granulometria molto diversa. Per tale motivo è opportuno associare
alle prove CPT le prove di laboratorio (in particolare l’analisi granulometrica). Supponiamo di avere uno
strato sabbioso in un deposito di argilla tenera, esso per poter essere individuato deve avere uno spessore
almeno 10/15 volte superiore al diametro del penetrometro. Se invece avessimo uno strato argilloso in uno
sabbioso, per poter essere individuato è necessario che abbia spessore almeno 6/8 volte superiore al
diametro del penetrometro. Ciò rappresenta un limite delle prove CPT per l’individuazione del
penetrometro poiché è necessario che gli strati presentino uno spessore minimo (spessore significativo) per
poter essere rilevati: la resistenza alla punta risente di effetti di scala. Tale spessore significativo dipende
dal materiale (per argilla almeno 6/8 volte maggiore rispetto al diametro del penetrometro, per sabbia
almeno 10/15 volte maggiore). Poiché qc (argille) < qc (sabbie) gli strati presentano differente resistenza a taglio e
inoltre possono generarsi sovrappressioni interstiziali. Per capire se stiamo attraversando terreni incoerenti
o coesivi possiamo riferirci alla variabilità di qc: se è estremamente variabile il terreno è incoerente, se è
abbastanza uniforme il terreno è coesivo.
𝑞
Inoltre, il rapporto F = 𝑓𝑐 risulta essere elevato per terreni sabbiosi (F > 60) e basso per terreni limosi e
𝑠
argillosi (F < 30). Al fine della caratterizzazione dei terreni si può anche utilizzare la Correlazione di
Schmertmann 1978, che relaziona la resistenza alla punta unitaria qc al rapporto delle resistenze Rf:

Resistenza a taglio in condizioni non drenate

Con le prove CPT è possibile ricavare anche la resistenza a taglio non drenata Su:
𝑞𝑐 – 𝜎𝑣0
𝑆𝑢 =
𝑁𝑐
dove il fattore Nc dipende dal tipo di terreno attraversato:

- Nc = 14 per argille tenere;


- Nc = 17 ± 5 per argille preconsolidate;
- Nc compreso tra 10 e 30 per argille fessurate.

In letteratura sono presenti numerose correlazioni, che possono essere dirette o indirette.
Il primo abaco è un esempio di correlazione diretta: il parametro qc che viene misurato durante la prova ci
consente di ricavare, nota la tensione geostatica σv, il valore della densità relativa Dr. La densità relativa così
determinata ci consente di ricavare l’angolo di attrito φ’ (per un terreno a grana grossa, dunque sabbia o
ghiaia) con una correlazione indiretta (identificata dal secondo abaco); tuttavia, la densità relativa potrei
calcolarla anche con la correlazione diretta fornita dal terzo abaco (la determino noti i parametri qc e σv).

Tra le correlazioni dirette e quelle indirette sono più attendibili le correlazioni dirette, in quanto ci
consentono di stimare il parametro che stiamo ricercando utilizzando valori ricavati dalle prove in sito;
tuttavia le correlazioni dirette hanno lo svantaggio di essere state formulate in relazione a terreni che non è
detto essere corrispondenti al terreno che abbiamo in sito. Potrei pensare di utilizzare entrambe le
correlazioni per trovare il valore del parametro ricercato (ad esempio dell’angolo di attrito) che meglio si
adatta al materiale presente in sito: ad esempio, potrei effettuare una media tra i valori ottenuti con le due
correlazioni.

Esempio

Abbiamo un sondaggio eseguito dalla profondità di 1.4 m fino a 8.2 m ed è stato ricavato qc. Per questo
terreno omogeneo per peso e granulometria, sono noti sia γ che γsat e la profondità della falda zw=3m.
Ricaviamo σ’v (tensioni efficaci verticali geostatiche). Conosciamo qc ogni 40 cm lungo tutto la verticale.
Prendiamo 2 punti (celeste e rosso) dove quello celeste misura circa 3 metri (dove è la falda) e ricaviamo
σ’v. A 3 metri sappiamo che qc = 6,1 Mpa. Così troviamo una stima della densità relativa. Allo stesso modo
facciamo per il punto in rosso che si trova alla profondità di 5 metri.
Esercizio: classificazione dei terreni
Dobbiamo classificare due strati di terreno su cui è stata eseguita una prova CPT con punta Begemann,
ricavando i valori della resistenza alla punta qc e del rapporto delle resistenze Rf per entrambi i suoli:

I passaggi da effettuare sono i seguenti:

1. Convertiamo Mpa in kg/cm2 (1 Mpa = 10 kg/cm2);


2. Individuare i due punti sulla Correlazione di Schmertmann.

Il suolo A risulta essere una sabbia abbastanza densa, il suolo B un’argilla sabbiosa e limosa.
Esercizio : stima della coesione non drenata
Alla profondità di 7 metri la resistenza alla punta qc è pari a 800 kN/m2. Inoltre, sappiamo che il coefficiente
adimensionale del carico limite riferito alla prova Ncp è pari a 18 (argilla normal consolidata NC; nel caso di
argilla sovraconsolidate OC tale coefficiente risulta essere pari a 20).

La resistenza a taglio non drenata può essere determinata con la correlazione Su vista in precedenza, ma
anche con altre correlazioni, tra cui la seguente (valida per le argille):
𝑞𝑐
𝐶𝑢 = 𝑁𝑐𝑝
[𝑘𝑁/𝑚^2]

In questo caso, dal calcolo otteniamo una resistenza a taglio non drenata Cu = 44,4 kN/m2.

PROVE PENETROMETRICHE DINAMICHE


Le prove penetrometriche dinamiche hanno il vantaggio di essere più semplici nell’esecuzione e più
economiche rispetto alle prove penetrometriche statiche. Si utilizzano per determinare il legame tensio-
deformativo mediante interpretazione empirica e per determinare i parametri della resistenza a taglio dei
terreni a grana grossa; tuttavia, questa tipologia di prova non presenta alcun impiego ottimale.

Standard Penetration Test (SPT)

I primi impieghi della prova SPT risalgono al 1927 negli USA. Questa tipologia di prova risulta essere
abbastanza diffusa e a seguito della normativa NTC 2008 ricopre un ruolo importante anche nella
caratterizzazione fisica dal punto di vista sismico, poiché dalla normativa. Dai risultati della prova SPT,
effettuata in terreni a grana grossa, è possibile ricavare:

● profilo stratigrafico;
● densità relativa;
● resistenza a taglio in condizioni drenate;
● velocità di propagazione delle onde di taglio (in riferimento alla caratterizzazione sismica);
● modulo di taglio a piccole deformazioni;
● modulo di Young.

La prova SPT consiste nell’infiggere un campionatore Raymond a pareti grosse, collegato ad una batteria di
aste su cui viene fatta cadere una massa battente dal peso di 72 kg da un’altezza standard pari a 75 cm.

Differentemente dalle prove CPT (che non avevano necessità di eseguire in precedenza all’esecuzione della
prova un foro con una sonda, in quanto il penetrometro stesso eseguiva il foro avanzando nel terreno), con
la prova SPT è necessario eseguire preliminarmente un foro di sondaggio (in genere con una sonda a
rotazione circolare), pulire il fondo del foro e ritirare su la sonda; solo in seguito a tali operazioni è possibile
calare il campionatore ed eseguire la prova. Un’ulteriore differenza consiste nel fatto che le prove SPT non
si eseguono in continuo, ma è necessario un intervallo minimo di prova pari a 0,75 – 1,50 m per tener conto
del disturbo che arreca la prova stessa.

La prova SPT consiste nel determinare il numero di colpi necessari per ottenere un primo abbassamento di
15 cm (N1), poi il numero dei colpi necessari per un secondo abbassamento di 15 cm (N2) e infine il numero
dei colpi necessari per un ulteriore abbassamento di 15 cm (N3). La prova è discontinua poiché essa stessa
reca disturbo al materiale presente nella zona in cui la eseguo. Inoltre, proprio per tale motivo non
considero il numero di colpi relativi al primo abbassamento di 15 cm (N1 viene scartato). Inoltre, il
campionatore Raymond consente il prelievo di campioni che presentano bassa qualità (sono campioni
rimaneggiati di qualità Q1, Q2 o Q3) che possono essere usati per la classificazione granulometrica del
terreno.
La misura della resistenza penetrometrica in sito è relativa al parametro NSPT che rappresenta il numero di
colpi necessari per avere un abbassamento nel terreno di 30 cm (si scarta N1): NSPT = N2+N3.

Alcuni ricercatori consigliano di calcolare il valore medio di NSPT con la seguente equazione (è una media
pesata in funzione dello spessore in metri degli strati):

Inoltre, alcuni testi, per interpretare le prove e ottenere i parametri geotecnici desiderati, fanno riferimento
al valore di (N1)60 che rappresenta il numero di colpi normalizzato a una pressione effettiva di confinamento
pari a 100 kPa e un fattore rendimento energetico di 0,6 nell’esecuzione della prova. (N1)60 è dato dalla
seguente equazione:
Ci sono delle tabelle che riportano i valori dei fattori moltiplicativi di correzione di NSPT da utilizzare per
calcolare (N1)60. Il fattore di correzione della pressione CN (valore massimo di 1.7) può essere calcolato con
relazioni analitiche.

INTERPRETAZIONE DEI RISULTATI DELLE PROVE SPT

Profilo stratigrafico
Al fine dell’identificazione del profilo stratigrafico, le prove SPT consentono di riconoscere direttamente i
terreni attraversati (e ciò è un vantaggio rispetto alle prove CPT poiché con quest’ultime ciò non è
possibile); tuttavia gli aspetti svantaggiosi sono legati alla necessità di eseguire misurazioni discontinue a
causa del disturbo recato dalla prova stessa e ai costi maggiori che devo affrontare legati all’esecuzione del
foro di sondaggio (non richiesto per le prove CPT).

Resistenza a taglio in condizioni drenate


Anche nel caso delle prove SPT posso utilizzare correlazioni dirette (ad esempio, la correlazione di Gibbs e
Holtz per terreni normal consolidati e la correlazione di Bazaara per terreni sovraconsolidati consentono di
stimare la densità relativa in funzione del valore di NSPT determinato a seguito della prova, nota la tensione
geostatica efficace) e correlazioni indirette (stimata la densità relativa come descritto in precedenza, si
possono utilizzare gli stessi abachi visti per la prova CPT per ricavare il valore dell’angolo di attrito φ’).

Oltre a queste correlazioni possiamo fare riferimento alla correlazione densità relativa e n° di colpi che
dipende dal tipo di terreno poiché noti profondità falda, condizioni geostatiche e al contorno di esecuzione
alla prova, possiamo in base al tipo di materiale muoverci lungo asse secondario o principale delle ordinate
(DENSO, MOLTO DENSO, MEDIO, SCIOLTO, MOLTO SCIOLTO)

Oppure abbiamo correlazione diretta tra σ’v e numero di colpi per il valore di φ’

Si riportano in seguito anche altre correlazioni che potrebbero essere applicate:


Sia per quanto concerne le prove penetrometriche statiche sia per le prove penetrometriche dinamiche, in
fase di esecuzione devono essere compilati schemi che riportano una serie di informazioni, come il
seguente:

CORRELAZIONE RISULTATI DA PROVE PENETROMETRICHE CPT E SPT

Tra le prove CPT e SPT esiste una correlazione espressa dalla Trattazione di Robertson (1983), che ci
consente di passare dalla prova statica a quella dinamica e viceversa. Questa trattazione può essere molto
utile per entrare nelle tabelle presenti nella normativa (NTC 2008 e le successive), in cui sono considerati i
risultati delle prove SPT, anche con i valori provenienti dalle prove CPT.
Esercizio: valutazione dei parametri geotecnici

Calcolare i parametri geotecnici utilizzando i dati della prova SPT:

Per entrare negli abachi occorre determinare le tensioni efficaci e, noto il valore di N, è possibile ricavare il
valore della densità relativa della sabbia e dell’angolo di attrito.

N.B. Le correlazioni dirette sono da preferire particolarmente se abbiamo la stessa granulometria per la
quale sono stati elaborati gli abachi.

PROVE PRESSIOMETRICHE E DILATOMETRICHE

L’impiego ottimale delle prove dilatometriche consiste nella determinazione delle tensioni orizzontali σh0;
inoltre, avvalendosi di interpretazioni empiriche, è possibile ricavare informazioni sul legamte tensio-
deformativo. Invece, le prove pressiometriche possono essere impiegate in maniera ottimale sia per la
determinazione delle tensioni orizzontali sia per la determinazione del legame tensio-deformativo.
Entrambe le prove presentano limitazioni esecutive circa la determinazione della resistenza al taglio.

Dilatometro piatto (o dilatometro di Marchetti)

Il dilatometro piatto (o di Marchetti) è costituito da una piastra metallica (larghezza di 95mm e spessore di
14mm), con il bordo inferiore affilato, fissata all’estremità ad una batteria di aste (analoga a quella del
penetrometro statico) e infissa nel terreno mediante un’azione di spinta che può essere esplicata
analogamente a quanto avviene per il penetrometro utilizzato per le prove CPT. La piastra metallica è
dotata di una membrana deformabile circolare (dal diametro di 60 mm). All’interno della batteria di aste vi
è un tubicino per la circolazione di gas compresso a tergo della membrana.

L’esecuzione della prova prevede che il dilatometro sia spinto verticalmente nel terreno arrestando la
penetrazione ad intervalli di 20 cm per l’esecuzione delle misure. Si arresta la piastra alla profondità di
prova e si misura la pressione iniziale P0; poi si espande la membrana (grazie all’azione del gas in pressione
che circola nel tubicino dietro la membrana) e si determina la pressione P1 corrispondente ad uno
spostamento di 1 mm del centro della membrana; in seguito si diminuisce la pressione del gas all’interno
del tubo fino al ritorno della membrana nella posizione iniziale (corrispondente alla pressione P3). La prova
deve essere eseguita in un intervallo di tempo breve (2-4 minuti).

Misurati i valori di pressione si passa all’elaborazione dei dati, che consente di determinare i seguenti
parametri:

Combinando il modulo dilatometrico e l’indice del materiale si riescono ad ottenere informazioni sul tipo di
terreno, sullo stato di addensamento e sulla consistenza. In particolare, utilizzando apposite carte è
possibile utilizzare i risultati ottenuti con il dilatometro di Marchetti per il riconoscimento stratigrafico e per
la classificazione dei terreni.
Determinati i parametri elencati in precedenza, è possibile ricavare il coefficiente di spinta a riposo K0, il
rapporto di sovra-consolidazione OCR, la resistenza al taglio non drenata Cu, l’angolo di resistenza al taglio
φ, il coefficiente di consolidazione Ch, il coefficiente di permeabilità Kh, il peso specifico γ e il modulo
edometrico M.

Pressiometro

La prova pressiometrica consiste nel misurare le deformazioni radiali provocate nel terreno dall’espansione
di una sonda detta pressiometro. Abbiamo diverse tipologie di pressiometro:

● Menard (MPM)
● Autoperforante

La differenza tra queste due tipologie di pressiometro è legata al fatto che quello di Menard si installa in un
foro trivellato a rotazione (eseguito in precedenza) avente diametro pari a 60 mm, mentre la sonda
autoperforante procede nel terreno eseguendo essa stessa il foro. Il pressiometro di Menard risulta essere
dunque svantaggioso in termini di costi (che sono maggiori data la necessità di realizzare un foro
precedentemente all’esecuzione della prova) e di grado di disturbo (anche se esistono correlazioni che
permettono di correggere la misura, considerando il disturbo arrecato dall’esecuzione del foro).

Pressiometro autoperforante
Nel pressiometro autoperforante la sonda espandibile è cava ed è preceduta da un cilindro di acciaio
all’interno del quale agisce in rotazione un utensile disgregatore. L’avanzamento avviene a distruzione, con
la circolazione di un fluido nella sonda che consente la risalita dei detriti per non creare alcun intercapedine
fra le pareti del foro e la sonda.
Pressiometro di Menard

Il pressiometro di Menard consiste in una sonda suddivisa in tre celle. La cella centrale, detta cella di
misura, espandibile contiene acqua ed è collegata mediante un tubo a un serbatoio chiuso posto al piano
campagna e dotato di un misuratore di livello. Aumentando la pressione dell’acqua con l’immissione di gas
in pressione nel serbatoio si provoca la dilatazione della cella, la cui variazione di volume viene determinata
dalle variazioni del livello del liquido nel serbatoio. Le due celle laterali, dette celle di guardia, contengono
gas in pressione ed hanno il compito di simulare uno stato di tensione e di deformazione corrispondente
all’espansione di una cavità cilindrica di lunghezza infinita. Il pressiometro di Menard ha un diametro di 58
mm ed una lunghezza di 350 mm; viene installato in un foro di 60mm e consente l’applicazione di pressioni
fino a 2,5 MPa. Con questo dispositivo si misura la pressione radiale e la variazione di volume ΔV della cella
mediante la variazione del livello del liquido presente nel serbatoio posto sul piano campagna.

L’interpretazione dei risultati ottenuti si ottiene relazionando i valori di pressione con il volume iniettato.
Devono essere applicate le seguenti ipotesi:
1. terreno omogeneo e saturo;
2. condizioni di deformazione piana;
3. indipendenza dalla velocità di deformazione.
Sotto tali ipotesi è valida la teoria dell’espansione di una cavità cilindrica. Si identificano due fasi (successive
al punto in cui si ritorna allo stato tensionale antecedente l’esecuzione del foro, corrispondente ad un
valore di pressione P0, da cui si ricava il coefficiente di spinta a riposo K0):

1. fase 1, ossia una fase pseudo-elastica in cui i risultati si interpretano nell’ipotesi di deformazione
elastica, lineare e isotropa (correlazioni per determinare il modulo di Young E);
2. fase 2, ossia una fase delle grandi deformazioni in cui si assume un comportamento perfettamente
plastico del terreno.

È possibile stimare il coefficiente di spinta a riposo a condizione di conoscere il regime delle pressioni
neutra nell’intorno del pressiometro e il livello di falda. Tuttavia, il valore di pressione P0 si ha in
corrispondenza del flesso della curva, che non è sempre chiaramente individuabile. La maggior parte delle
informazioni che la prova può fornire vengono ricavare dalle misure effettuate nei primi millimetri di
deformazione della cavità cilindrica; questo significa che la presenza di terreno disturbato attorno alla
sonda influenza negativamente i risultati. L’utilizzo del pressiometro autoperforante consente di ridurre
l’entità dei disturbi; tuttavia, anche con tale strumento è indispensabile che tra la fine delle operazioni di
scavo e l’inizio della prova ci sia un adeguato tempo di rilassamento a causa delle inevitabili fonti di
disturbo.

Applicando il modello di equilibrio della cavità cilindrica indefinita ottengo i seguenti risultati:
LEZIONE 5: 15/03/2021
PROVE GEOTECNICHE DI LABORATORIO

Prova edometrica

La prova edometrica viene eseguita al fine di ottenere informazioni sulla compressibilità, sulla permeabilità
e sulla storia tensionale di un terreno. Si determinano:

● indice di compressione Cc;


● indice di ricompressione Cr;
● indice di rigonfiamento Cs;
● coefficiente di compressibilità edometrica av;
● coefficiente di compressibilità volumetrica mv;
● modulo edometrico Eed;
● tensione di preconsolidazione σ’v.
La prova edometrica si esegue su provini di terreno a grana fine (limi e argille) indisturbati (Q5). Il campione
viene rimosso dalla fustella campionatrice e sospinto nell’anello edometrico attraverso il pistone estrusore.
Il provino è di tipo cilindrico tozzo (rapporto diametro/altezza dell’ordine 2:1, con valore solito del diametro
d=5cm) al fine di ridurre al minimo le tensioni tangenziali di attrito con l’anello e di contenere i tempi di
consolidazione. Il provino è confinato in un anello edometrico in metallo rigido, in maniera tale da impedire
le deformazioni laterali. Sopra e sotto al provino sono posti dei dischi in carta filtro e delle pietre porose per
garantire il drenaggio sia sopra che sotto al campione. L’anello edometrico è tenuto fermo da un apposito
sistema di bloccaggio, costituito da un anello di bloccaggio che si avvita su appositi supporti. In sommità
viene posto un pistone per l’applicazione del carico verticale di forma tronco-conica, dotato di un
alloggiamento sferico, su cui verrà posta una sfera.

Il processo avviene in una cella edometrica che è un contenitore completamente riempito di acqua
distillata, al fine di garantire la totale saturazione del provino durante la prova. Una volta assemblata, la
cella edometrica si pone sul banco di consolidazione edometrica che è collegato ad un sistema di leve che
consentono l’applicazione di un carico perfettamente verticale (si inseriscono dei pesi in appositi
alloggiamenti). Le modalità standard di esecuzione della prova prevedono l’applicazione del carico verticale
N per successivi incrementi, o gradini di carico (es. 0-10-25-50-100-200-400-800-1600-800-400-200-100-50-
25-10), ciascuno dei quali è mantenuto il tempo necessario per consentire l’esaurirsi del cedimento di
consolidazione primaria (in genere 24 ore, ovviamente è un tempo da stimare in funzione del tipo di
terreno).

Poiché le deformazioni laterali sono impedite dall’anello metallico rigido, le variazioni volumetriche le
posso considerare legate alla sola deformazione verticale εz.
Nel tempo osserviamo cedimenti verticali del campione (in genere diagrammati in un diagramma semi-
logaritmico log tempo-cedimento, per ogni gradino di carico): con una prova edometrica ottengo tante
curve cedimento-tempo quanti sono i gradini di carico.

In particolare, dall’intersezione delle due tangenti identificate nella figura precedente (in rosso) otteniamo
il tempo di fine consolidazione t100 e il corrispondente cedimento δ100.

La prova si esegue sia in fase di carico che in fase di scarico. Ad ogni variazione di carico, decorso il tempo di
consolidazione, calcoliamo la variazione di altezza del campione e, sapendo che l’aria di base è costante
(deformazioni laterali impedite), posso scrivere la relazione per determinare l’indice dei vuoti:

(N.B. proviene dal rapporto volume dei vuoti Vv / volume totale Vtot)

I valori della deformazione assiale e/o dell’indice dei vuoti corrispondenti al termine del processo di
consolidazione primaria per ciascun gradino di carico (o più spesso, per comodità ma commettendo un
errore, corrispondenti al termine delle 24h di permanenza del carico di ogni gradino), vengono diagrammati
in funzione della corrispondente pressione verticale media efficace σ'v=4N/πD2. Collegando fra loro i punti
sperimentali si disegnano le curve di compressibilità edometrica.

Nel grafico in scala semilogaritmica riportato nella figura precedente è rappresentato l’andamento
dell’indice dei vuoti (asse delle ordinate a sinistra) e della deformazione assiale (asse delle ordinate a
destra) in funzione della pressione verticale media efficace, ottenuto sperimentalmente da una prova
edometrica standard condotta su un provino indisturbato di terreno a grana fine (le due curve sono
omologhe, in quanto le variabili deformazione assiale εa e variazione dell’indice dei vuoti ∆e sono
proporzionali). Nel grafico si individuano tre tratti per la fase di carico:

- un tratto iniziale a debole pendenza (punti 1-2)


- un tratto intermedio a pendenza crescente (punti 2-5)
- un tratto finale a pendenza maggiore e quasi costante (punti 5-8).
La curva di scarico (punti 9-11) ha pendenza minore e quasi costante.

Il grafico può essere interpretato tenendo conto della storia tensionale e deformativa subita dal provino di
terreno. Il provino, quando si trovava in sito, era soggetto alla pressione litostatica (pressione dovuto al
carico di terreno sovrastante). Durante le fasi di campionamento, estrazione, trasporto, estrusione dal
campionatore ha subito una serie di disturbi (inevitabili) ed una decompressione fino a pressione
atmosferica in condizioni di espansione libera. A causa della decompressione il provino si è espanso e, a
parità di contenuto in acqua, è diminuito il grado di saturazione e si sono generate pressioni neutre
negative. Poi è stato fustellato con l’anello metallico della prova edometrica e inserito nella cella riempita
d’acqua, dove assorbendo acqua in condizioni di espansione laterale impedita ha in parte rigonfiato. Infine
è iniziata la fase di carico. Il tratto iniziale della curva (punti 1-2) corrisponde perciò ad una ricompressione
in condizioni edometriche che tuttavia segue ad uno scarico (non rappresentato nel grafico) non
edometrico. Perciò il primo tratto non è rettilineo, e comunque non ha pendenza eguale a quella del ramo
di scarico. Il secondo tratto della curva (punti 2-5) è marcatamente curvilineo e comprende il valore della
pressione di consolidazione in sito, la cui determinazione sperimentale viene eseguita prevalentemente con
la costruzione grafica di Casagrande. Il terzo tratto della curva di carico (punti 5-8) corrisponde ad una
compressione edometrica vergine o di primo carico. Il diagramma in scala semilogaritmica viene utilizzato
per stimare i parametri di compressibilità. A tal fine, la curva sperimentale di compressione edometrica e-
σ’v, in scala semilogaritmica, viene approssimata, per le applicazioni pratiche, con tratti rettilinei a
differente pendenza: il tratto di ginocchio a pendenza crescente è sostituito con un punto angolare (punto
A), corrispondente alla pressione di consolidazione σ’c. La pendenza del tratto iniziale è detta indice di
ricompressione Cr (è un parametro non molto significativo per i motivi citati in precedenza). La pendenza
del tratto successivo al ginocchio, ovvero alla pressione di consolidazione, è detta indice di compressione
Cc. La pendenza nel tratto di scarico tensionale è detta indice di rigonfiamento Cs. Valori tipici di Cc sono
compresi tra 0.1 e 0.8; Cs è dell’ordine di 1/5÷1/10 del valore di Cc.

In particolare le pendenze dei tratti (e dunque gli indici) sono date dal seguente rapporto adimensionale:

Per determinare la pressione di preconsolidazione σ'p la procedura più comunemente utilizzata è quella di
Casagrande, che prevede i seguenti passi:

1. si determina il punto di massima curvatura (M) del grafico semilogaritmico e- σ'v ;


2. si tracciano per M la retta tangente alla curva (t), la retta orizzontale (o) e la retta bisettrice (b)
dell'angolo formato da t ed o;
3. l'intersezione di b con la retta corrispondente al tratto terminale della curva di primo carico
individua la pressione di preconsolidazione.

Considerate le difficoltà spesso esistenti nell'individuare il punto di massima curvatura, è utile confrontare
sempre il valore di σ'p ottenuto con i suoi possibili limiti inferiore e superiore:
- il primo è rappresentato dall’ascissa del punto di intersezione tra la retta di ricompressione e
quella di compressione vergine (punto S);
- il secondo dall’ascissa del punto R a partire dal quale la relazione e-log σ' diventa una retta.

Confrontando il valore della σ’p, determinato sperimentalmente, con la tensione verticale efficace σ’v0
(calcolata) esistente in sito alla quota di prelievo del campione, si determina il rapporto di
sovraconsolidazione OCR del deposito in esame (nel punto di prelievo del campione).

𝜎′𝑉𝑝
Il rapporto di sovraconsolidazione OCR= 𝜎′ mi consente di capire se in passato il terreno ha sopportato un
𝑉0
carico maggiore rispetto a quello applicato:

- se OCR>1 il terreno è OC (sovraconsolidato);


- se OCR=1 il terreno è NC (normalconsolidato).

I valori sperimentali della deformazione assiale (εa) e dell’indice dei vuoti (e), ottenuti al termine del
processo di consolidazione primaria per ciascun gradino di carico, possono essere rappresentati anche in
grafici in scala naturale (e non semilogaritmica). La rappresentazione in scala naturale rende ancor più
evidente la non linearità e l’aumento di rigidezza al crescere della tensione applicata.

Il diagramma nel piano naturale consente di definire i seguenti parametri di compressibilità che, a
differenza di Cc e di Cs, sono dipendenti dal campo di tensione cui si riferiscono:
PROVA DI TAGLIO DIRETTO

La prova di taglio diretto è la più antica, la più intuitiva e la più semplice fra le prove di laboratorio per la
determinazione della resistenza al taglio dei terreni. Essa può essere eseguita su campioni ricostituiti di
materiali sabbiosi e su campioni indisturbati o ricostituiti di terreni a grana fine (solitamente si utilizzano
campioni a sezione quadrata con lato di 60 mm e spessore di 20 mm).

La scatola di taglio è costituita da due parti:

● una parte inferiore (A) che viene resa solidale con il carrello mobile (carrello porta scatola);
● una parte superiore (B) che viene resa solidale all’anello dinamometrico (che è strumento che
serve per misurare la deformazione subita dal campione; inoltre, moltiplicando quest’ultima per la
costante dell’anello si ottiene il valore della forza) che risulta bloccato rispetto al movimento del
carrello.

L’anello dinamometrico, reso solidale alla scatola attraverso una serie di viti, andrà a misurare la forza
orizzontale, quindi nota l’area di base del nostro campione andremo a ricavare la tau e quindi andremo a
ricavare lo sforzo di taglio.

Nell’iniziale fase di consolidazione le due parti sono tenute insieme da viti di bloccaggio; il sistema, in
questa fase, impedisce le deformazioni laterali del campione e consente solo quelle verticali (in altre parole
il campione è in condizioni edometriche). Successivamente si tolgono le viti di bloccaggio e si aziona il
motore, che ha la funzione di far muovere il carrello al cui interno è solidarizzata la parte A della scatola
(prova a deformazione controllata); il movimento relativo orizzontale tra le parti A e B consentono di
ricavare gli sforzi tangenziali e le deformazioni. Non è superfluo ricordare che all’interno del carrello le parti
A e B sono immerse in acqua al fine di mantenere il campione in condizioni sature e per evitare la
formazione di menischi nel provino (con menischi si intende la possibilità che si formino nel campione dei
capillari che comportino un aumento delle tensioni efficaci, falsando la prova).
Le piastrine dentate servono per tenere ferma la base della metà inferiore del campione, mentre la piastra
rigida di ripartizione ha il compito di evitare che le basi del campione si inflettano. La testa di carico è
dotata di alloggiamento sferico che garantisce la distribuzione uniforme delle tensioni verticali (la sfera
garantisce la centratura del carico verticale).

Tra la pietra porosa e il campione viene interposto uno strato di carta da filtro al fine di proteggere la pietra
porosa da eventuali fenomeni di intasamento provocati dal transito di particelle più sottili durante il moto
di filtrazione che si genera a seguito dell’incremento di carico. La scatola di taglio è collegata a un
micrometro verticale e a un micrometro orizzontale, che servono per misurare, rispettivamente, gli
spostamenti verticali (in fase di consolidazione) e gli spostamenti orizzontali (in fase di taglio).

Al fine del contenimento dell’acqua necessaria alla saturazione del campione di prova, si pone la scatola di
taglio all’interno di una base scorrevole (il carrello porta scatola, che può scorrere da sinistra verso destra, e
viceversa) che ha dimensioni leggermente maggiori rispetto alla scatola di taglio e poggia su un cuscinetto
costituito da sferette metalliche.

La prova si esegue su almeno tre provini, che in genere hanno sezione quadrata di lato 60÷100 mm e
altezza 20÷40 mm. La dimensione massima dei grani di terreno deve essere almeno 6 volte inferiore
all’altezza del provino, per cui sono escluse le ghiaie e i ciottoli, salvo che non si disponga di
apparecchiature speciali, molto grandi. Il provino è inserito in un telaio metallico a sezione quadrata diviso
in due parti da un piano orizzontale in corrispondenza della semialtezza, ed è verticalmente compreso tra
due piastre metalliche nervate e forate, oltre ciascuna delle quali vi è una carta filtro ed una piastra di
pietra porosa molto permeabile. Attraverso una piastra di carico è possibile distribuire uniformemente sulla
testa del provino una forza verticale di compressione. Il tutto è posto in una scatola piena d’acqua che può
essere fatta scorrere a velocità prefissata su un’apposita rotaia. La metà superiore del telaio metallico è
impedita di traslare da un contrasto collegato ad un anello dinamometrico (per la misura delle forze
orizzontali T applicate), cosicché il movimento della scatola produce la rottura per taglio del provino nel
piano orizzontale medio.

La prova si esegue in due fasi. Nella prima fase viene applicata in modo istantaneo e mantenuta costante
nel tempo una forza verticale N che dà inizio ad un processo di consolidazione edometrica. Durante la
prima fase si misurano gli abbassamenti nel tempo del provino, controllando in tal modo il processo di
consolidazione e quindi il raggiungimento della pressione verticale efficace media σ’n = N/A , essendo A la
sezione orizzontale del provino. La durata della prima fase dipende dalla permeabilità del terreno e
dall’altezza del provino. Nella seconda fase si fa avvenire lo scorrimento orizzontale relativo δ, a velocità
costante, fra le due parti del telaio producendo il taglio del provino nel piano orizzontale. Durante la fase di
taglio si controlla lo spostamento orizzontale relativo e si misurano la forza orizzontale T(δ), che si sviluppa
per reazione allo scorrimento, e le variazioni di altezza del provino. La velocità di scorrimento deve essere
sufficientemente bassa da non indurre sovrapressioni interstiziali. A tal fine la velocità può essere scelta in
modo inversamente proporzionale al tempo di consolidazione della prima fase. A titolo puramente
indicativo, le velocità di scorrimento sono dell’ordine di 10-2 mm/s per terreni sabbiosi e di 10-4 mm/s per i
terreni a grana fine. La prova va continuata fino alla chiara individuazione della forza resistente di picco Tf o
fino ad uno spostamento pari al 20% del lato del provino (quando non si riesce ad individuare chiaramente
un valore di picco della resistenza).

La tensione efficace normale a rottura σ’n,f = σ’n e la tensione tangenziale media a rottura sul piano
orizzontale τf = Tf/A (in realtà l’area su cui distribuisce la forza resistente di picco Tf a rottura sarà inferiore a
quella iniziale A per effetto dello scorrimento relativo delle due parti del provino) sono le coordinate di un
punto del piano di Mohr appartenente alla linea inviluppo degli stati di tensione a rottura. Ripetendo la
prova con differenti valori di N (almeno tre) si ottengono i punti sperimentali che permettono di tracciare la
retta di equazione τ = c'+σ '⋅tanφ' e quindi di determinare i parametri di resistenza al taglio c’ e φ’. I valori di
N, e quindi di pressione verticale, devono essere scelti tenendo conto della tensione verticale efficace
geostatica.

I principali limiti della prova di taglio diretto sono:

● l’area A del provino varia (diminuisce) durante la fase di taglio;


● la pressione interstiziale non può essere controllata;
● non sono determinabili i parametri di deformabilità;
● la superficie di taglio è predeterminata e, se il provino non è omogeneo, può non essere la
superficie di resistenza minima;

Se la prova è condotta a velocità troppo elevate, per consentire il drenaggio si ottiene una sovrastima di c’ e
una sottostima di φ’. L’esecuzione di prove di taglio diretto “rapide e non drenate” è fortemente
sconsigliata, poiché la rapidità della prova non è comunque sufficiente a garantire l’assenza di drenaggio ed
i risultati non sono interpretabili né in termini di tensioni efficaci né in termini di tensioni totali.

Cosi come nelle prove dinanometriche, anche per le prove di taglio diretto non abbiamo una misura delle
pressioni neutre e quindi sia nella fase di consolidazione che nella fase di taglio non abbiamo informazioni
sulle pressioni neutre. Quindi nella fase di taglio dovremo applicare uno spostamento di taglio con una
velocità tale da non generare sovrapressioni neutre per non sopravvalutare la resistenza al taglio. Quindi la
velocità della prova viene imposta in funzione del tempo di consolidazione del nostro campione che stiamo
testando.

Di seguito vediamo il campione nella sua configurazione finale, dove vediamo la formazione della superficie
di taglio corrispondente alla separazione tra le due scatole che scorrono l’una sull’altra e notiamo la
formazione di questa superficie di taglio che imposta. La superficie è imposta in questo caso e con questa
apparecchiatura ma essa può anche non esserlo in altre apparecchiature.

Utilizziamo questa prova per i parametri di resistenza al taglio, pur sapendo dove tagliare il campione
generando dei valori di tau un pochino differenti se fosse libera, perché è molto semplice da eseguire. La
prima fase infatti, di compressione è molto simile alla prova edometrica e differisce da essa solo per le
dimensioni del campione.
Il volume deve essere necessariamente noto perché una volta prelevato il campione va pesato (e se ne
prende nota), la stessa azione va poi nuovamente effettuata a fine prova (quando il campione è umido) e
dopo una sosta per 24 ore in una stufa (per fargli perdere tutta l’acqua di porosità per ottenere il peso
secco); queste tre pesate sono quelle necessarie per determinare tutte le proprietà intrinseche del
campione.

La fase di taglio è molto semplice e consiste nell’applicare con una certa velocità uno spostamento
orizzontale a una porzione della scatola di taglio, mentre sull’altra misuriamo un valore della forza
orizzontale.

Inoltre la prova è molto semplice da interpretare perchè abbiamo un carico assiale in kN, un valore di
deformazione già calcolato perché abbiamo uno spostamento orizzontale e già sappiamo quanto vale,
l’area del campione anche è nota. Si possono quindi ricavare con facilità dei diagrammi tau-spostamenti
orizzontali o tau-deformazioni e dei diagrammi , grazie a dei micrometri che misurano gli spostamenti sia
orizzontali che verticali , che ci permettono di vedere e studiare gli spostamenti del nostro campione.

Calcolare le deformazioni nella prova di taglio non è proprio semplice e comunque le deformazioni laterali
sono impedite. Non è semplice perché c’è chi crede che esse siano contenute tutte nella banda di taglio,
banda che conosciamo l’altezza grazie al serraggio delle viti dell’apparecchiatura e conoscendo anche lo
scorrimento si possono calcolare le deformazioni. Più avanti vedremo come si fa a livello matematico
attraverso un seminario, per adesso la deformazione la considereremo come lo spostamento orizzontale.

Ricapitolazione delle Fasi della prova:


Il nostro obiettivo di ricavare i dati dai micrometri. Misurare nella prima fase lo spostamento orizzontale e
il carico verticale che viene applicato con incrementi di carico simili alla prova edometrica. Per i terreni
saturi , la seconda fase viene applicato uno spostamento di tipo costante con una macchina molto semplice
(una specie di pistone).

(Ci sono però prove più complesse in termini d’apparecchiatura eseguite anche su terreni parzialmente
saturi e sono prove in cui si può decidere di impostare la velocità di crescita della tau.)
La prova viene eseguita tre volte a tre diversi valori di carico verticale significativi. I risultati vengono
riportati nel piano di Mohr tau/sigma primo per ottenere il nostro criterio di resistenza.

Nella foto è riportata anche la formula di Mohr che è fondamentale che ci permette di calcolare i dati
incogniti come l’angolo.

I parametri ottenuti saranno indicativi di ciò che avverrà in rottura specialmente per i campioni prelevati in
modo indisturbato. La rottura può essere dovuta a un eccesso di carico in fondazione o a delle particolari
condizioni per esempio la rottura di un pendio.

Esempio:

Imponiamo delle velocità tali per cui le condizioni di rottura si verifichino condizioni drenate. Abbiamo
necessità di trev punti e quindi tre diverse prove da eseguire a diversi valori di carico assiale, carico assiale
che viene trasformato in sigma verticale e come forza in KN/m^2.

Abbiamo la forza di taglio orizzontale(tau)misurata durante l’intera prova dall’anello dinanometrico


misurato in Newton e quindi dovrò fare conversioni. Al denominatore faccio la differenza moltiplicando per
il lato in quanto l’area è al quadrato e lo devono essere entrambe le misure. Poi metto in evidenza L visto
che l’area è L*L perché provino è quadrato.

Dalle tre prove otterremo quindi tre punti punti che nel piano di mohr, grazie poi all’interpolazione lineare,
ci forniranno i valori di:

● c’
● φ’
PROVA TRIASSIALE

Sono delle prove i cui i campioni possono avere dimensioni variabili che devono essere opportunamente
scelte in base alla granulometria del materiale da investigare.

L’altezza dovrà essere paria due volte il diametro indipendentemente dalle dimensioni del provino, questo
rapporto va sempre rispettato.

Si specifica che il provino è cilindrico e si evidenzia che rispetto alla prova di taglio, qui la superficie di
rottura non viene imposta, verranno imposte altre condizioni di tipo assial-simmetrico.

L’attrezzatura è costituita da una membrana di gomma che andrà a d avvolgere il campione che è stato
campionato tramite una fustella campionatrice. Abbiamo degli anelli di gomma che serviranno ad isolare il
campione dalla restante parte della cella triassiale, delle pietre porose necessarie per il drenaggio
dell’acqua presente all’interno del campione e un pistone d’estrazione del nostro campione dalla fustella e
che permette il passaggio all’interno della membrana che verrà tesa dal tendi membrana.
Il campione verrà messo come anticipato nella cella triassiale. La cella in genere è costituita in plexiglass e
viene riempita di acqua in pressione. Si mette prima il campione e poi l’acqua.

Le celle sono rinforzate da anelli visto che l’acqua è in pressione.

E’ facile notare come rispetto alle prove precedenti la strumentazione sia più complessa.

Rispetto alle altre prove in cui il campione può scambiare in modo diretto acqua, qui lo può fare solo
attraverso la membrana attraverso le due basi tramite dei drenaggi(tubicini collegati a dei rubinetti)e non
viene e non può essere scambiata lateralmente.

L’acqua in cella ha solo il compito di applicare una tensione uguale in tutte le direzioni.

La cella triassiale viene in genere collegate a due sistemi di controllo delle pressioni, una per applicare la
pressione di cella ovvero la pressione dell’acqua che avvolge il provino per avere tensioni uniformi e la
seconda al black pressure.
La prova è applicata su un campione saturo con tensione assial-simmetrico perchè la pressione di cella è
tale da avere tensioni principali, intermedia e minore uguale tra loro mentre la tensione principale
maggiore potrà variare per applicare uno stato tensionale isotropo per esempio.

Vedremo che le diverse configurazioni di carico corrispondono a diverse prove triassiali che si
differenzieranno tra loro anche grazie all’apertura e chiusura dei sistemi di drenaggio che permettono lo
scambio d’acqua del campione dall’esterno.

Infatti possiamo determinare:

Ad ogni tipologia di prova, eseguendo tre prove a diversi valori valori, ci permetterà di ricavare alcuni
parametri geotecnici.

Vediamo ora le varie prove:


Nella prova di consolidazione eseguita come detto sopra, avremo σ1 e σ3 saranno uguali e che non si
genereranno sovrapressioni in quanto i drenaggi sono aperti. Nella fase di compressione assiale aumenta la
σ1 facendo avanzare il pistone.

Questa prova viene utilizzata solo per dei materiali con una granulometria non eccessivamente fine,
altrimenti peer non produrre sovrapressioni, il pistone dovrebbe scorrere con una velocità troppo lenta e
non compatibile con le esigenze comuni e i costi sostenibili.

Da questa prova ricaviamo:

● L’evoluzione della tensione deviatorica q dalla fase di rotture, perché nella fase di consolidazione
q=o e p’ e p crescono nel tempo fino a raggiungere il punto A. Nella fase di rottura la tensione
deviatorica q cresce come crescono anche le deformazioni assiali medie e le deformazioni
volumetriche.

Nella fase di rottura vengono in genere calcolate la pressione media, la pressione deviatorica ed in
base alla natura del materiale è possibile riscontrare dei meccanismi di rottura diversi.
Nelle immagini sono rappresentate nei vari piani, l’andamento dei dati della prova. Questa
raffigurazione è caratteristica delle argille normal cosnolidate.

Questi grafici, in particolare il grafico a è lo stesso riportato sopra ed è possibile osservare:


● Nel piano q-εa la tensione deviatorica cresce monotomicamente fino a raggiungere il valore B;
● Siamo in condizioni drenate, quindi nel piano q-p’ e q-p, gli andamenti saranno sovrapposti e
avranno una pendenza di 1 a 3
● Nel piano εa-εb il comportamento è di tipo contraente;
● Nel piano v-p’ ci stiamo muovendo da un punto A sulla retta di normal consolidazione a un punto B;
Cosa ricaviamo da tale prova?

Nel piano q-p’, esegeundo tre prove otteremo tre diversi punti di rottura B che per interpolazione ci
forniranno una retta che se ha intercetta nulla avrà un coefficinrte angolare m. Tale coefficiente angolare
m sarà legato a Φ’ tramite la relazione in funzione di Φ’ stesso.
Nella prova di consolidazione eseguita come detto sopra, avremo σ1 e σ3 saranno uguali come nella
precedente prova la differenza però è che nella compressioni qui i drenaggi vengono chiusi nmentre prima
no.

Durante questa prova non misuriamo più le deformazioni volumetriche come prima, ma con dei trasduttori
di pressione andremo a misurare le sovrapressioni neutre, la pressione dell’acqua nei condotti di drenaggio
e nei pori del nostro campione.

Cosa ricaviamo?

Visto che le deformazioni volumetriche sono impedite, il piano εa εv sarebbe individuato da una retta
coincidente più o meno con l’asse delle ascisse il piano che ci fornisce più informazioni è εa Δu.

Nel piano q-p’ non c’è sovrapposizione tra il percorso tensionale descritto in termini di tensioni totali e il
percorso tensionale descritto in termini di tensioni efficaci perché tali percorsi saranno distanti tra loro. Allo
stato iniziale, alla fine del processo di consolidazione e al’inizio della fase di rottura corrisponderà la
distanza tra i due percorsi tensionali e sarà chiamato U0. In seguito la loro distanza corrisponderà a u0 + un
Δu. L’andamento in termini tensioni totali avrà ancora un andamento di 1a3 e in termini di tensioni efficaci
l’andamento dipenderà dal grado di consolidazione del nostro materiale o dalla densità relativa nel caso in
cui il materiali si aricostruito nei terreni a grana grossa.

I grafici, si riferiscono sempre al provino utilizzato che nel nostra caso è stata una sabbia normal
consolidata.
Esiste poi la prova triassale non consolidata non drenata. In questa fase non abbiamo la fase di
consolidazione e la rottura avviene in condizioni non drenate e riusciamo ad ottenere valori di cu che
possono essere ricavati anche con altre prove. I valori di coesione non drenata però è importante
sottolineare che potrebbero essere non rappresentativi di ciò che accade in sito perché la coesione non
drenata è funzione della presenza o meno fratture, della presenza o meno di lineee d’acqua in cui si
muove, mentre per c’ e Φ’ c’è la corrispondenza tra sito e prove.

In tutte le prove il provino viene considerato come saturo visto che in molti problemi tale condizione è
cautelativa e a vantaggio di sicurezza.
I vantaggi per le indagini in laboratorio sono il poter fissare e avere note le condizioni a contorno riportate
in tabella. I tempi delle indagini in sito il tempo max è nell’ordine delle ore e per quelle in laboratorio
l’ordine max è dei giorni.
LEZIONE 6-STATO TENSIONALI DEI TERRENI

Lo stato tensionale ci interessa molto, ma perché? E quale stato tensionale ci interessa? Quello totale, quello
efficace o alle pressioni neutre?

A noi serve conoscere tutti e tre e di seguito vedremo come farlo.

Se andiamo in sito possiamo trovarci diverse situazioni:

● O un punto A che si trova alla base di un invaso idrico;


● O un punto B che si trova a una certa profondità con un piano di falda a quota superiore;
● O un punto C che è uguale a B ma molto più profondo;
● O la situazione D è quasi del tutto identica alla situazione B, magari con un sopralluogo ci potrebbe
apparire uguale. Noi ingegneri però non ci possiamo accontentare di una sensazione o di un semplice
sopralluogo ma dovremo fare delle prove ch3e ci consentano di ricavare dei dati certi e tenendo
presente che gli indici di compressione e rigonfiamento entreranno nei nostri calcoli.

Si ricorda che le prove non possono essere fatte da un automa ma occorre avere un intelletto perché ci
interessa capire quel terreno che stato tensionale ha.

Partiamo dai terreni B e D che sembrano uguali e Vediamo perché potrebbero trarci in inganno. Se andassimo
a misurare la tensione verticale 𝜎′𝜐𝑜 e 𝜎′𝜐𝑜, esse saranno uguali sui due terreni perché essi hanno stessa
profondità di falda e stessa quantità di terreno sepolto ma se porto un campione in lab sorgeranno delle
differenze. Questo perché il punto B ha avuto solo deposizione ma D ha avuto deposizione ed erosione. Come
me ne accorgo? Me ne accorgo sperimentalmente calcolando la tensione di prima consolidazione, in base al
confronto con 𝜎′𝜐𝑜 posso capire se il terreno è sovra consolidato o normal consolidato. La differenza in
termini progettuali è molto elevata, nella situazione B il mio palazzo potrà esibire cedimenti anche importanti
ma nel caso D molto meno, perchè le pendenze della curva sono diverse, elevate in B e quasi orizzontale in
D. La pendenza mi dice proprio quello che voglio sapere ovvero applicato un certo Δx ovvero un incremento
di tensione in ascissa, quale sarà la mia variazione dell’indice dei vuoti in ordinata? Si vede chiaramente come
dal punto B anche piccole variazioni di ascissa determinino variazioni abbastanza accentuate in ordinata. Gli
indici di compressibilità saranno differenti di almeno un ordine di grandezza tra B e D.

IL grafico ci mostra che se applico una tensione si ha ina differenza più o meno spinta dell’indice dei vuoti.

Il caso A è molto interessante perché la variazione di tensione efficace è nulla. Qui è importante perché se
gestisco la parte superficiale non debbo preoccuparmi del fondale perché non subirà variazioni come se fosse
un terreno indeformabile. I terreni a grana fine come le argille sono impermeabili rispetto ai terreni a grana
grossa.
scavo
Da C a D il terreno, per esempio se faccio uno scafo il terreno si rigonfia perché aumenta l’indice dei vuoti.

Le sabbie hanno un andamento quasi piatto, mentre le argille si rigonfiano anche molto tanto che i due rami
tendono ad incontrarsi.

Le tensioni geostatiche sono state viste ieri.

Terreni non saturi

Un terreno non saturo è un terreno vedi def. Un terreno saturo è un terreno che sembra asciutto
esternamente e se ci mettessimo acqua rimarrebbe in linea di massima li. Nei terreni saturi è presente acqua
che però va sottolineato che essa non è pura ma presenta Sali e potrebbe presentare anche e addirittura
inquinanti non solubili e in questo caso avrei due fasi liquide. L’aria è una miscela di gas, ma i gas presenti nei
terreni potrebbero essere diversi, naturali e non, da processi voluti o non voluti. L’aria all’interno del terreno
potrebbe essere a pressione più elevata di quella atmosferica. A livello pratico e in genere nella professione
l’acqua la considero come acqua semplice e l’aria la assumeremo in futuro alla pressione atmosferica. Queste
ultime due ipotesi saranno ricorrenti.

Tenderemo e cercheremo di ricondurre i terreni non saturi trifase in terreni bifasici per semplicità.
Le colmate consistono nel prendere materiale e metterlo dove prima non c’era, si fa soprattutto a mare per
fare delle barriere ai porti per esempio costruisco delle parati a forma di quadrilatero e all’interno c’è ancora
acqua, la tolgo e metto materiale asciutto, questa è una colmata.

Avere acqua però non è proprio male infatti averne un pochino riduce l’energia di compattazione richiesta e
si può addirittura individuare l’ottimo del contenuto d’acqua.

Il comportamento meccanico: dipende dal grado di saturazione e dipende dalle condizioni idrauliche a
contorno che possono variare con determinate frequenze anche in base all’interazione con l’atmosfera.

Per esempio se ho la parziale saturazione, ciò aiuta il comportamento dei terreni ma bisogna stare attenti
perché si potrebbero avere variazioni stagionali o esserci all’inizio e poi scomparire. Gli aspetti dei
comportamenti meccanico cambiano totalmente tra terreni non saturi e terreni parzialmente saturi.

Tutto ciò che è stato detto riguarda sostanzialmente la presenza di acqua tra le diverse particelle solide non
tale da riempire tutti i fori. Ma l’acqua tra gruppi di particelle solide, detti anche claster, che fa?

Determina vari fenomeni tra cui la risalita capillare. L’acqua si arrampica e risale generando i fenomeni di
risalita capillare, per via delle forza di attrazione relative alle superfici di contatto. Ciò può essere studiato sia
a livello teorico che a livello analitico e sperimentale.

Nell’immagine sono rappresentate due particelle solide e l’acqua in mezzo e in giallo è evidenziata la
curvatura della superficie di contatto.

Se l’aria è a pressione della pressione dell’acqua, la superficie di interfaccia è curva come in figura( a limite
uguale). La differenza tra la pressione dell’aria e la pressione dell’acqua si chiama suzione di matrice, definita
matematicamente come positiva.

Se la pressione dell’aria è uguale a zero, va da se che la pressione dell’acqua risulta minore di zero e allora
La suzione serve per non portarci dietro il segno meno, per essere più pratici e per poter trattare insieme
come detto prima l’acqua e l’aria. La suzione risulta molto utile anche per gli esperimenti in laboratorio ove
invece di dover trattare singolarmente le due pressioni. Ho un solo valore e ciò non è banale perché ciò che
conta è il rispetto della differenza tra i due valori delle pressioni e non il singolo valore della pressione Ua e
Uw. IN lab piuttosto che portare la pressione dell’acqua a valori negativi(molto difficile da gestire), allora la
alziamo, alzando anche la pressione dell’aria e il valore della suzione è comunque rispettato.

Entrambe le pressioni saranno le relative rispetto a quella atmosferica.

Attenzione: nel sottosuolo la pressione neutra dell’acqua può assumere sia valori positivi che negativi in base
al percorso e ai moti di filtrazione dell’acqua stessa. Nei primi metri di terreno invece assume valori negativi.

I fenomeni di risalita capillare sono tanto maggiori quanto più piccolo e il diametro del tubo e Nei fenomeni
di risalita capillare si può formare IL menisco capillare che sarebbe la superficie di risalita capillare curva. Il
menisco curva verso l’acqua perchè Ua>Ub La presenza dei menischi ci fa capire che il peso della colonna
d’acqua viene retta dalle forze di interazioni superficiali tra l’acqua e il materiale che costituisce il tubo. La
presenza del menisco ci fa capire che L’acqua può esercitare una pressione meccanica, che sarebbe in grado
anzi lo è di tenere un po' più vicine le particelle. Es. tira sabbia sul muro asciutta e bagnata e vedi che la
bagnata rimane attaccata alla parete grazie al fenomeno della capillarità che crea dei menischi per le
particelle ed esercita una forza uguale e contraria al peso.

Si potrebbe formare un cluster ovvero più granelli si mantengono tra loro attaccati grazie anche a dei ponti
capillari, ciò accade per granelli più piccoli ed è molto difficile per quelli più grandi , infatti i cluster sono molto
influenzati dalla granulometria. Potrei avere una struttura per scommessa, si mantiene apparentemente ma
se aggiungo altra acqua, elimino menisco e appesantisco struttura e all’improvviso cade tutto.

Se prendessimo un edometro potrei misurare il collasso, quindi applico un carico esterno con dentro il
terreno e parzialmente saturo e aggiungo acqua in maniera controllata, non ho nessuna risposta ma
all’improvviso la superficie se ne cade senza preavviso alcuno, questo fenomeno è pericoloso perché non ho
avvisi.

CURVA CARATTERISTICA

Curva caratteristica detta di redenzione perché ci spiega come il terreno può trattenere acqua al variare della
sezione. Che cos’è il grado di saturazione SR? Sr è il volume di acqua diviso il volume dei vuoti.

Se vale uno il terreno è saturo mentre se vale zero il terreno è asciutto. È compreso tra zero e uno, non ha
una variazione lineare e non è unico per tutti i terreni.

La curva Sr del grafico può essere letta da entrambi i lati.

Se aggiungo acqua, leggo il grafico da destra a sinistra, sto riducendo la suzione, sto aumentando il grado di
saturazione, sto facendo un processo di wetting. IMBIBIZIONE

Se vado da sinistra a destra, il contenuto di acqua scende e la suzione aumenta.

Perché nel caso di una sabbia e nel caso di un processo di essiccamento (da sx a dx), perché il contenuto
d’acqua subito diminuisce? ( ricorda che la sabbia ha i granuli solidi molto grandi rispetto agli altri terreni).
Se i granuli sono grandi anche lo spazio tra loro è più grade e quindi le occasioni per avete ponti capillari sono
inferiori perché c’è più spazio e quindi il terreno si desatura subito perché i ponti capillari ostacolano e si
oppongono all’ingresso dell’aria. Un'altra spiegazione è che se l’area vuole entrare perché la pressione
dell’acqua è inferiore, l’aria però riesce ad entrare con meno resistenza dove gli spazi sono più grandi anche
a livello di resistenza proprio fisica. In lab si misura la pressione di ingresso dell’aria.

Quando Ua diventa molto maggiore o cmq il disequilibrio è importante rispetto a Ub, l’aria entrerà nel
terreno. Dove leggio questo valore e come me ne accorgo? Se entra aria sicuramente diminuirà il grado di
saturazione, volendo dare una def: è il valore della suzione tale per cui il grado di saturazione smette di
essere uguale a 1. valore per cui entra aria

La ritenzione è la capacità di trattenere acqua al variare della suzione. Nel grafico è rappresentata da quel
tratto orizzontale sopra a tutto. La ritenzione dipende dal terreno, e la zona sopra dritta può essere quindi
più o meno estesa, in genere anche molto estesa per limi e argille mentre per le sabbie quel tratto è del tutto
trascurabile perché sarà piccolo piccolo.

ISTERESI

Se aumento e poi riduco la pressione dell’aria quindi effettuo wetting, essendo il terreno un assemblato
granulare, il percorso di andata saà diverso da quello di ritorno e come si mostra nella figura successiva, il
terreno non ha un andamento lineare ma seguirà prima la curva A e poi la curva B.

La curva A rappresenta il processo di essicamento ovvero sto svuotando l’assemblato di grani mentre nel
tratto B sto cercando di riempirlo. Risulta evidente dal grafico come il processo di riempimento e
svuotamento dei vuoti con acqua non sia reversibile, in quanto, la curva di ritorno non riesce poi a
raggiungere e/o uguagliare il valore di partenza, questo avvenimento bisogna ricercarlo nel fatto che il
terreno non è monogranulare e non ha grani tutti uguali e sferici. Ma perché non riesco a risaturare
completamente tutto il terreno anche iniettando tonnellate di acqua? Perché ci saranno delle bollicine di
acqua che rimarranno intrappolate e per farle uscire dovrei effettuare solo dei lavaggi controllati in
laboratorio o innalzando di molto la pressione dell’acqua.

IL comportamento evidenziato, non reversibile dei terreni viene chiamato isteresi.

La curva A viene detta curva principale di essiccazione e mi permette di arrivare al grado di saturazione
minimo ovvero quel grado che mi identifica una quantià d’acqua al disotto della quale non riesco ad andare
con azioni meccaniche (l’acqua sta azzeccata e non riesco a staccarla solo con forza ma dovrei usare forni per
essicamento). La curva è influenzata e varia al variare dell’indice dei vuoti
LEZIONE 7: 17/03/2021

Interazione meccanica tra acqua e scheletro solido

Il contenuto d’acqua volumetrico ϑ ci dice quanta acqua è presente volumetricamente nel terreno ed è
data dal rapporto tra il volume dell’acqua VW e il volume totale VT. Si può scrivere anche come volume
dell’acqua VW diviso il volume dei vuoti VV che moltiplica il volume vuoti VV diviso il volume totale VT, che
può essere riscritto come il prodotto tra Sr per la porosità n. Talvolta, si preferisce rappresentare la curva di
ritenzione in termini di ϑ(s) [teta in funzione della suzione] poiché si tiene conto del fatto al variare della
suzione s il terreno potrebbe essere sottoposto ad una variazione di porosità.
𝑉𝑊 𝑉𝑊 𝑉𝑉
𝜗= = = 𝑆𝑟 𝑛
𝑉𝑇 𝑉𝑉 𝑉𝑇
Su tutto questo contano molto le condizioni in cui il terreno si può deformare. Immaginiamo che stiamo
seguendo un processo di imbibizione (ci interessano molto per la stabilità dei pendii): piove, l’acqua si
infiltra e quindi il grado di saturazione aumenta. Se aumenta il grado di saturazione avremo anche una
risposta meccanica del terreno perché cambia la tensione efficace. Il terreno si deforma in funzione delle
condizioni in cui ci troviamo. In una prova edometrica, saturando il campione esso può avere solo
deformazione volumetrica (poiché il campione non può presentare dilatazioni laterali) anche sotto un
carico esterno (tensione esterna verticale) molto grande (inoltre cambierà la sua porosità). Se mi metto
nell’apparecchiatura di taglio semplice (non taglio diretto): è un’apparecchiatura in cui c’è un provino di
dimensioni identiche a quello usato nella prova edometrica che sottopongo ad una tensione σ e con un
sistema di dischi sovrapposti, che possono scorrere in modo sincronizzato uno rispetto all’altro
mantenendo la stessa distanza relativa orizzontale (è come se ci fossero dei pendoli); se oltre alla tensione
verticale applico una forza di taglio può succedere che il campione si distorce ma può anche avere una
variazioni volumetrica (dovuta all’abbassamento del campione) [con tale prova si conserva l’integrità del
campione]. Si registra anche un cambio di porosità, legato anche al tipo di sollecitazione esterna: non
dipenderà solo dallo stato tensionale σ, ma anche dal rapporto τ/σ (dunque in un processo di wetting, ossia
di imbibizione, ho una deformazione sia volumetrica che distorsionale: la porosità potrà cambiare anche in
funzione di questo rapporto).

Il caso dell’edometro corrisponde a quello in cui ho un palazzo su un piano campagna e sta piovendo (è una
sollecitazione in termini di infiltrazione); posso studiare questo caso con l’edometro se mi metto subito
sotto alle fondazioni perché ho un carico molto esteso rispetto alla profondità di un provino che considero.
Se mi metto in altri punti potrei avere distorsioni sia lungo la verticale che lungo l’orizzontale e quindi
potrei studiare questo problema nell’apparecchiatura triassiale. Nell’apparecchiatura triassiale posso
mettere uno stato tensionale verticale e uno orizzontale noto e su piani qualunque ho sia tensioni normali
che taglio. Le apparecchiature di taglio semplice e di prova triassiale triassiale le posso applicare per
studiare come il terreno si deforma lungo un pendio che ha una certa inclinazione (ho sia componenti
normali sia tangenziali) quando piove. Dalla conoscenza sperimentale della curva di ritenzione possiamo
avere elementi utili per capire come sta cambiando la suzione, il grado di suzione o il contenuto d’acqua in
problemi di notevole interesse.
La parziale saturazione entra in gioco quando ho superato il valore di ingresso d’aria (da 0 fino al valore di
ingresso d’aria vige il campo di totale saturazione con pressioni neutre negative); superato questo punto,
che è un punto di non ritorno perché ho un’isteresi. Man mano che faccio cicli di drying (essiccamento) e
wetting (imbibizione) ho un’isteresi sempre meno pronunciata: se svuoto un vaso della terra e provo a
rimetterla dentro vedremo che non riusciamo a rimetterla tutta dentro perché i cicli di draying e wetting
hanno comportato un aumento e una riduzione del grado di saturazione (perché mettiamo e togliamo
acqua), ma il processo di deformazione è irreversibile.

Questo processo, visto nella lezione precedente, non è reversibile perché passando dal punto B al punto C
stiamo anche dando un’aliquota di deformazione plastica (non reversibile) perché ho una riduzione
dell’indice dei vuoti che viene recuperata solo in parte. Ciò avviene sia applicando carichi esterni, sia
quando ho cicli di draying e wetting. Infatti, si parla anche di tensione di preconsolidazione dovuta alla
parziale saturazione. Se nel vasetto con la terra metto acqua e poi essicco al sole, poi metto altra acqua e
vedo che il piano campagna si abbassa; ad un certo punto smette di avere deformazioni così spinte e le
isteresi che potrebbe avere risultano essere poco marcate. Dunque, se un terreno non è stato rimaneggiato
per molti anni sarà caratterizzato da cicli di isteresi meno pronunciati.

Nelle applicazioni pratiche il valore di ingresso d’aria per le sabbie è pari a pochi kPa, per le argille posso
avere anche molte decine di kPa per il valore di ingresso d’aria (in colonna d’acqua corrisponde ad avere
risalite capillari anche di alcuni metri: ricordiamo che circa 10 kPa, 9.81, di pressione neutra corrispondono
a 1 m in colonna d’acqua). Consideriamo di essere sul piano campagna ed effettuo delle indagini in sito da
cui capisco che ho argilla e che linea di falda si trova ad una profondità di circa 4/5m, con ottime probabilità
la risalita capillare copre tutta la fascia che va da linea di falda al piano campagna, ossia il terreno è saturo:
non ho parziale saturità. Tuttavia, è necessario misurare le pressioni neutre in sito e valutare come variano
nel tempo poiché la falda può salire e scendere durante il corso dell’anno (può verificarsi un’escursione del
livello di falda): devo capire se quando c’è il livello minimo la risalita capillare è ancora in grado di coprire
tutta la zona compresa tra la falda e il piano campagna o meno. Devo capirlo perché se la risalita capillare
non copre tutta questa fascia avrò una zona non satura (ho parziale saturazione); posso valutare questa
cosa con le indagini in sito e con i moti di filtrazione.

La seguente è una rappresentazione in 2D semplificata; la realtà è molto più complessa.


Con alcune analisi posso riconoscere alla scala dei micro esattamente ciascun menisco capillare, misurato
come un assembrato di voxel (è l’estensione alle tre dimensioni del pixel, relativo al 2D). Con tali tecniche
sofisticate posso vedere voxel per voxel con estrema precisione se lo spazio è occupato da solido, acqua o
aria: la combinazione di vari voxel identifica la presenza dei menischi. Non sempre si effettuano indagini
così sofisticate, ma la ricerca parte anche da evidenze di questo tipo con lo scopo di arrivare a formulazioni
di semplice utilizzo. In precedenza, quando non potevo avere quest’evidenza sperimentale così spinta, si
partiva da schemi geometricamente più semplici e da soluzioni analitiche. Ad esempio, se ho la bulk water,
ossia l’acqua che riempie completamente gli interstizi tra molte particelle, si può vedere che la forza
esistente tra due particelle in ragione della presenza dei menischi è proporzionale al quadrato del raggio
delle particelle. Dal punto di vista dell’interazione meccanica non è molto differente questa aliquota di
acqua da quella presente in un terreno saturo; invece, i menischi vi aggiungono forze proporzionali al raggio
delle particelle. In applicazioni ingegneristiche queste formulazioni analitiche non sono molto interessanti
poiché le particelle non sono tutte sferiche (anzi, tutt’altro) e c’è un assortimento granulometrico che le
rende inapplicabili, però ci dicono che è importante la granulometria.

Effetti meccanici della suzione di matrice

La suzione di matrice ha una serie di effetti:

● deformazioni elastiche: un incremento di suzione tiene le particelle più serrate. Consideriamo lo


schema analogico della molla: considero due particelle aventi una molla interposta tra esse, se
aumenta la suzione aumentano le forze che tengono serrate le due particelle. Avrò delle
deformazioni legate al livello di suzione: sicuramente ci sarà una parte di deformazione elastica
recuperabile. Un incremento di suzione produce delle deformazioni elastiche delle particelle e
dunque una compressione elastica del terreno; esso agisce quindi nello stesso modo di un
incremento della tensione media efficace in un terreno saturo.

● deformazioni volumetriche: questo deformazioni sono di tipo plastico. Può succedere che si altera
la struttura geometrica delle particelle, per cui le particelle che subiscono un incremento di suzione
si “incastrano” di più tra di loro riducendo la possibilità di muoversi. Un incremento di suzione
produce un incremento degli sforzi normali in corrispondenza dei contatti tra le particelle e quindi
riduce la possibilità che queste ultime scorrano le une rispetto alle altre producendo deformazioni
plastiche; esso agisce pertanto come una riduzione della tensione media efficace in un terreno
saturo.

Questi due aspetti (deformazioni elastiche e deformazioni volumetriche) influiscono sulla resistenza al
taglio: le particelle sono più vicine e incastrate maggiormente per cui registro un incremento della
resistenza al taglio all’aumentare della suzione. Un incremento di suzione produce un incremento degli
sforzi normali in corrispondenza dei contatti tra le particelle e quindi aumenta la resistenza offerta allo
scorrimento; esso agisce dunque come un incremento della tensione media efficace in un terreno saturo.

In definitiva, un incremento della suzione nei menischi agisce da un lato come un incremento della tensione
media efficace (nel produrre deformazioni elastiche e nell’aumentare della resistenza al taglio) e dall’altro
come una riduzione (nel ridurre le deformazioni volumetriche plastiche).

Occorre capire come modellare questo comportamento e adattare ad esso il principio delle tensioni efficaci
di Terzaghi (tale principio non è valido per terreni parzialmente saturi: bisogna avere una sua
generalizzazione).

Principio delle tensioni efficaci

Per terreni saturi vale il principio delle tensioni efficaci di Terzaghi (derivato da osservazioni sperimentali e
dunque di validità limitata ai soli effetti “misurabili”. Tale principio stabilisce che per un terreno saturo le
tensioni efficaci controllano le variazioni di volume e la resistenza e che esse possono essere calcolate con
la relazione:

Scritto in termini tensoriali il tensore delle tensioni T’ è dato dalla differenza tra le tensioni totali T e le
pressioni neutre uw che agiscono sul tensore identità I (matrice 3x3 che presenta tutti i termini nulli, tranne
quelli sulla diagonale che risultano essere pari a 1). Ricordiamo che la pressione neutra uw non altera gli
sforzi di taglio, ossia le tensioni tangenziali τ (usiamo il plurale poiché abbiamo componenti in ogni piano e
in ogni punto), poiché l’acqua non assorbe tali sforzi.

Ad esempio, se metto su un tavolo di lavoro un campione di argilla resta lì sempre senza muoversi; se
capovolgo un contenitore contenente un campione di sabbia, questo tende a spanciarsi e diviene un
mucchietto; se capovolgo un contenitore contenente acqua, questa andrà a distendersi sul tavolo perché
non può assorbire sforzi di taglio, sopportati invece sia da sabbia sciolta sia da un campione di argilla.

Per un terreno non saturo, Bishop enunciò il seguente principio: le tensioni efficaci dipendono dalle
tensioni totali e dalla pressione neutra, ma dovrei considerare anche la pressione dell’aria (tuttavia, in
laboratorio se non ho aria compressa non posso fare nulla; invece, in sito potrei non considerare tale
pressione, a meno di applicazioni particolari).
Dunque la novità della formulazione di Bishop riguarda la presenza del parametro adimensionale χ (chi) che
varia in funzione del grado di saturazione S e assume valori compresi tra 0 (terreno secco) e 1 (terreno
saturo) da valutare sperimentalmente. Ovviamente non misuriamo la pressione per ogni grano, ma
macroscopicamente utilizziamo uno strumento di misura per misurare macroscopicamente il valore di
pressione neutra “media” uw. Bishop dice che se il terreno fosse stato tutto saturo Terzaghi avrebbe avuto
ragione, ma siccome c’è anche aria, la pressione dell’acqua non riesce a fare lo stesso lavoro, ma fa un
lavoro parziale perché non riempie tutti i vuoti. Può fare tale lavoro parziale secondo una funzione χ avente
valori compresi tra 0 e 1 e che devo determinare sperimentalmente. Formulazioni più recenti fanno vedere
che è meglio mettere Sr diviso Sr residuo (che significa adimensionalizzare la curva tra il valore massimo 1 e
il valore minimo dell’acqua che non riusciamo ad estrarre meccanicamente). Sostanzialmente si arriva al
prodotto di Sr per s. In wetting (imbibizione) Sr aumenta e la suzione s diminuisce, invece in drying
(essicamento) Sr si riduce e la sezione s aumenta: di conseguenza non sappiamo se in generale questo
prodotto aumenta o diminuisce sia in wetting che in drying. Tale prodotto dipende dalla forma della curva
di ritenzione: dobbiamo osservare come tale curva influenza il comportamento meccanico del terreno. Il
processo in realtà non è un processo idraulico ma è meccanico perché cambiando il prodotto stiamo
cambiando la tensione efficace (e dunque avremo una risposta meccanica). Dalla meccanica delle terre
sappiamo che se ho una variazione dello stato tensionale efficace ho una risposta meccanica del terreno,
ciò continua a valere anche nel caso dei terreni parzialmente saturi.

Il modello costitutivo lega il tensione dello sforzo efficace al tensore delle deformazioni. L’approccio
proposto da Bishop è molto conveniente perché, con questa definizione delle tensioni efficaci, quando Sr=1
(ua = 0) tale formulazione risulta essere analoga al principio delle tensioni efficaci in un terreno saturo.

Posso avere anche un approccio diverso. Diversi studi hanno mostrato che l’espressione di Bishop è
inadeguata per descrivere tutti gli aspetti del comportamento meccanico dei terreni non saturi. Più in
generale è stato dimostrato che non è possibile combinare le tensioni totali σ e le pressioni interstiziali ua e
uw in un’unica “variabile tensionale efficace”. Sperimentalmente si è visto che potrei usare un approccio in
cui uso due tra le seguenti variabili tensionali per la descrizione del processo meccanico:

● tensore delle tensioni nette (T - ua I, ossia tensione totale meno pressione dell’aria per matrice
identità);
● tensore delle tensioni efficaci di Terzaghi (T - uw I);
● tensore isotropo della suzione s (ua - uw)I.

La scelta più comune ricade sulla coppia tensore delle tensioni nette e tensore isotropo della suzione. In
particolare, in condizioni triassiali le variabili tensionali che vengono adoperate sono:

L’approccio bitensoriale consente di studiare, ad esempio, il moto di filtrazione (sotto alcune ipotesi) però
comporta delle difficoltà nell’utilizzo di modelli costitutivi più o meno complicati poiché non ho una
variabile quantificabile e utilizzabile direttamente nei modelli costitutivi (la tensione totale e la suzione non
governano da sole le deformazioni).

Resistenza al taglio

Per capire come si può gestire questo approccio a due variabili, considero un terreno saturo, scrivo il
criterio di resistenza alla Mohr-Coulomb (anche se disegniamo solo un semicerchio in realtà vale l’intero
cerchio di Mohr perché se applico una certa σ e una certa τ posso arrivare a rottura e se cambio il verso
della τ comunque il terreno si rompe).

Consideriamo un terreno saturo e su un campione di tale terreno eseguo una prova di taglio diretto:
sostanzialmente trancio il campione in due e misuro le resistenze che le due parti del campione esercitano
una rispetto all’altra durante lo scorrimento. Se faccio desaturare lo stesso campione (ossia lo metto in una
cella pressurizzata, aumento la pressione dell’aria e un po' di aria entra nel campione, che diviene
parzialmente saturo) prima di metterlo nella scatola di taglio, eseguendo la prova, noto che con la stessa
tensione normale il campione riesce a resistere a τ maggiori. Ovviamente devo mantenere qualcosa
costante: immagino di mettere tre provini che presentano stessa suzione ma sottoposti a tensioni totali
differenti. Facendo così ottengo punti che possono essere inviluppati bene da una retta. Poi prendo provini
con suzione più alta e vedo che i punti “salgono ancora”: ottengo una nuova retta, ottenuta come inviluppo
dei punti ottenuti, e in particolare questi inviluppi sono subparalleli (gli inviluppi sono sostanzialmente
schematizzabili rette parallele). In pratica, nella formulazione matematica sta cambiando il criterio di
resistenza: oltre alla coesione efficace compare un termine indipendente dalla σ che deve essere
interpretato analiticamente. La distanza tra queste curve è letta come intercetta sull’asse delle ordinate τ,
ossia come intercetta aggiuntiva di coesione. Se considero incrementi di suzione costanti, questa distanza
tende a decrescere all’aumentare della suzione: se desaturo sempre di più il terreno (che ad un certo punto
diventa asciutto, anche se in realtà è una situazione molto rara in applicazioni pratiche) avrò un incremento
della resistenza (considerando lo schema analogico della molla, ho molle sempre più forti), tuttavia tale
incremento è via via minore all’aumentare della suzione (il numero di molle si riduce). Graficamente, gli
inviluppi di rottura tendono ad “andare” verso l’alto, ma non risultano essere rette equidistanziate, ma
risulterranno via via sempre più vicine (N.B. stiamo considerando uguali incrementi di suzione: la distanza
tra i punti 2 e 3 è uguale a quella tra 3 e 4). Traccio la curva di ritenzione (Sr-s) partendo da un terreno
saturo, supero il valore di ingresso d’aria e facendo altre prove a livelli di suzione superiore (2, 3 e 4),
avanzando della stessa quantità, l’incremento di resistenza che vado a registrare (ossia la distanza tra gli
inviluppi di rottura successivi) sarà sempre minore:
Questo ragionamento ci fa capire che la tangente di φb è una funzione crescente della suzione, ma con una
derivata seconda (derivata di un incremento) minore di 1: φb non è costante ma parte dal valore φ’ e tende
a 0 (ad un certo punto, all’aumentare della suzione, non ho un incremento significativo di resistenza).
Ovviamente se mi metto in un certo range di suzione noto che per un certo incremento di suzione ho un
certo incremento di resistenza e dunque posso stimare un valore medio della tangente di φb.

Dunque, rispetto ad un terreno saturo, la suzione entra nel criterio di resistenza o con l’approccio
monotensoriale di Bishop, che comporta la scrittura del criterio di resistenza di Mohr-Coulomb τ=c’+σ’ tgφ’,
o con approcci bitensoriali, che portano alla scrittura del criterio di resistenza come τ=c’+ (T-ua)I tgφ’+ s,
dove la suzione s è indipendente dallo stato tensionale netto (o totale se la pressione dell’aria è pari a 0). Se
aumenta la suzione, il grado di saturazione diminuisce: ciò comporta un’intercetta di coesione aggiuntiva
alla coesione efficace c’ (tale intercetta di coesione aggiuntiva è detta anche coesione apparente, ma in
realtà è una coesione che esiste ed è variabile in funzione della suzione s). Se aumenta la suzione ho molle
sempre più forti ma sono sempre meno: macroscopicamennte ho incrementi di resistenza, ma tali
incrementi sono via via sempre meno elevati. Descrivo questa variabile con la funzione tg φb, che indagini
sperimentali hanno dimostrato che assume valori pari a tg φ’ quando la suzione s assume valore 0:
graficamente vediamo che le curve hanno inizialmente inclinazione pari a tg φ’ e arrivano ad inclinazione
nulla. Se mi metto in un certo range di suzione posso identificare una pendenza media della curva (se mi
trovo a suzioni molto basse φb ingegneristicamente può essere considerata coincidente a φ’)

Gli inviluppi di resistenza, sia per terreni saturi che per terreni parzialmente saturi, sono descrizioni
semplificate del comportamento del terreno: se ho terreno granulare (ad esempio un ghiaione) asciutto ho
un criterio di resistenza fortemente non lineare (a bassi livelli tensionali l’incastro relativo gioca un ruolo
importante, poi superati certi livelli di tensione gioca un ruolo meno significativo). Questo criterio di
resistenza ricorda l’inviluppo di resistenza delle rocce: lo chiamiamo così poiché ci concentriamo sempre su
un certo range di tensioni che ci interessa, in cui eseguo le prove sperimentali e ottengo il criterio di
resistenza. Operando in questo modo, matematicamente il criterio di resistenza presenta un’intercetta di
coesione, ma ciò non vuol dire che le particelle di ghiaia sono attaccate tra di loro.

A noi ingegneri interessa linearizzare il tutto: per lo stesso materiale posso considerare due descrizioni
linearizzate del comportamento meccanico del materiale perché se sto confinato in un certo range di
tensioni non mi serve utilizzare una curva non lineare, ma è opportuno scrivere una relazione matematica
legata a quel range che mi semplifica il tutto (per tale motivo nel grafico precedente ho linearizzato la curva
nel piano σ’-τ con due inviluppi lineari: quello blu, valido per bassi valori di σ’, e quello rosso, valido per
valori maggiori di σ’).
La permeabilità (coefficiente di conducibilità idraulica) è la resistenza che l’acqua trova nell’attraversare un
mezzo poroso (se serve molta energia, gradiente idraulico, la velocità di filtrazione è molto bassa).
Consideriamo un mezzo poroso parzialmente saturo (ho alcuni vuoti riempiti da acqua e altri riempiti da
aria), se voglio farlo attraversare da acqua, questa filtrerà principalmente dove c’è altra acqua perché la
resistenza dell’aria sarebbe maggiore. Dunque, la capacità di filtrazione (la permeabilità) di un mezzo
parzialmente saturo risulta essere più bassa rispetto a quella di un mezzo saturo (perché nel mezzo
parzialmente saturo ho meno vuoti riempiti da acqua rispetto allo stesso mezzo saturo e dunque nel mezzo
parzialmente saturo la resistenza da vincere, dovuta all’aria, sarà maggiore). La permeabilità di un terreno
parzialmente saturo è minore della permeabilità di un terreno saturo perché l’acqua filtra principalmente
dove c’è altra acqua.

Considero argilla (1), limo (2) e sabbia (3), a questi tre terreni associo tre diversi andamenti della curva di
ritenzione e della curva di conducibilità idraulica (che parte dal coefficiente di permeabilità del terreno
saturo KSAT e decresce all’aumentare della suzione), schematizzati di seguito:

Notiamo che per certi campi di suzione potrei avere quello che sembrerebbe essere un paradosso: la sabbia
ha permeabilità più bassa di un limo e di un’argilla ad elevati valori di suzione.

Oltre alla curva di curva di ritenzione e alla curva di conducibilità idraulica, ho anche la curva
granulometrica (grain size distribution GSD, che rappresenta la percentuale in peso in funzione dei diametri
del materiale costituente il terreno); alcuni studi in letteratura hanno messo in relazione queste curve e
sono state proposte delle formule. In mancanza assoluta di dati, queste formule ci consentono di effettuare
un’iniziale stima in prima approssimazione. Il problema di queste curve è che sono fortemente non lineari
e, inoltre, il campo di variazione del coefficiente di permeabilità K è molto ampio: K varia da 10-2 per le
sabbie a 10-8 per le argille (ci sono 10 ordini di grandezza di differenza). Per studiare i moti di filtrazione nei
terreni parzialmente saturi devo avere necessariamente la curva di ritenzione Sr(s), e la curva di
conducibilità idraulica K(s).

Stato tensionale geostatico

In sito potrei avere le seguenti situazioni (condizioni geostatiche):

● terreno asciutto (in realtà è una condizione difficilmente riscontrabile nelle pratiche applicazioni),
in cui lo stato tensionale totale e lo stato tensionale efficace coincidono;
● falda coincidente con il piano campagna (è una situazione che spesso ritroviamo negli esercizi, però
nella realtà se ci troviamo in questa situazione diventa complicato fare qualsiasi operazione: se ad
esempio devo fare uno scavo dovrei avere cautele aggiuntive, soprattutto per gli operai che
eseguono il lavoro, poiché mi troverei a scavare sottofalda e, inoltre, avrei maggiori problemi per
moti di filtrazione indotti; se invece vengono realizzati dei manufatti, si indurrebbero pressioni
neutre aggiuntive a quelle esistenti che si dissiperanno nel tempo, che si traduce in cedimenti
differiti nel tempo, che rappresentano un bel problema, e inoltre l’acqua per risalita capillare può
dare problema all’estetica del manufatto);

● piano di falda inferiore a quello campagna (rappresenta la situazione più ricorrente). Identifico un
piano dei carichi e posso anche avere acqua localmente ferma (nel sottosuolo l’acqua è sempre in
moto di filtrazione, ma può essere in un moto di filtrazione laterale talmente lento da poter
considerare l’acqua come se fosse ferma); individuo una zona di risalita capillare e una zona sotto
falda (nelle quali vale il principio di Terzaghi) e poi un’altra zona in cui devo capire come operare. È
necessario capire l’andamento delle pressioni neutre: a tal scopo devo fare misure in sito e poi
elaborarle. Potrebbe succedere che ha fatto tanto caldo tanto da rendere la pressione neutra
praticamente negativa (il terreno è stato sottoposto ad un processo di essiccamento molto spinto),
poi man mano che scendo in profondità trovo sempre un po' di acqua in più; poi viene un
acquazzone e i primi strati di terreno si saturano (l’acqua non riesce ad infiltrarsi tutta
immediatamente, ma individuiamo un fronte umido che si propaga: la pressione neutra si azzera
lentamente nel tempo). Ne consegue che la zona in cui ho terreno parzialmente saturo è
interessata da pressioni neutre fortemente dipendenti dal tempo. In realtà dobbiamo misurare sia
le pressioni neutre nella zona satura sia nella zona parzialmente satura. Se non conosciamo il grado
di saturazione, la suzione e le pressioni neutre non possiamo determinare lo stato tensionale
iniziale, da cui dipendono la deformabilità e la resistenza del terreno e in generale il
comportamento meccanico (ossia come le deformazioni si legano alla possibile evoluzione dello
stato tensionale).
LA MISURA DELLE PRESSIONI NEUTRE

Preso un riferimento che ha l’asse z verso l’alto e fissato un origine 0, la quota piezometrica è definita come
somma della quota geometrica z più l’altezza piezometrica h, pari al rapporto tra pressione neutra PW e
peso specifico dell’acqua γw. In tue tubi comunicanti posso conoscere l’andamento della pressione
dell’acqua (partendo dal valore 0 in superficie fino al valore assunto alla base); analiticamente si traduce nel
fatto che la quota piezometrica h è costante lungo il tubo pieno d’acqua: nei punti A e B ho uguale quota
piezometrica, ossia non ho moto di acqua né da A verso B né da B verso A perché non c’è differenza di
quota piezometrica. Se ad una colonna di acqua sostituisco una colonna di terreno devo cercare di capire
come fare per avere uno strumento di misura assimilabile concettualmente al tubo pieno d’acqua con cui, a
seconda del livello d’acqua che vedo al suo interno, riesco a fare un’ispezione indiretta di cosa c’è nel
terreno e riesco a capire cosa succede in B: questi dispositivi che possono essere utilizzati si chiamano
piezometri (che misurano le pressioni neutre positive) o tensiometri (che misurano le pressioni neutre
negative).

LEZIONE 8: 19/03/2021

MISURA DELLE PRESSIONI NEUTRE

Come spiegato nelle lezioni precedenti, si utilizza in genere utilizzare un sistema di rifermento con l’origine
al di sotto di qualsiasi punto ci interessi e l’asse inteso come positivo con andamento verso l’alto.

Z è la quota geometrica
La quota geometrica dipenderà dalle scelte effettuate nella scelta del sistema mentre l’altezza piezometrica
sarà indipendente dalla scelta del sistema perché si ricorda essere uguale al rapporto tra pressione neutra e
peso specifico acqua. La somma della quota geometrica e dell’altezza piezometrica ci restituirà la quota
piezometrica.

Immaginiamo di prendere due colonne d’acqua e che tutto sia fermo. Mi accorgo che l’acqua è ferma se
prendo il diagramma z e h, se non ci sono differenze tra due punti qualsiasi allora l’acqua è ferma.

Questi concetti che sono di idraulica possono essere applicati anche alla geotecnica schematizzando il
terreno come uno schema solido con una matrice fluida all’interno che si muove.

Cosa ci interessa?

A noi interessa come prima cosa la misura della pressione dell’acqua. Per far ciò si sostituisce a uno dei due
tubi di colonne d’acqua si sostituisce il terreno. A livello teorico è semplice, ovvero scelgo una profondità,
metto il tubicino, misuro livello idrico dell’acqua nel tubicino, conoscendo il livello dell’acqua e l’altezza
piezometrica risulta semplice il calcolo della pressione dell’acqua. Il problema è capire come mettere sto
tubicino a 10m e come essere sicuro che la pressione sia uguale tra il punto A e B(accennata prima per
vedere l’acqua ferma. Quindi i problemi ingegneristici sono:
● Quale Strumentazione utilizzare;
● Istallazione (come eseguirla);
● Come essere sicuri che tramite la pressione del tubo io stia misurando la pressione nel punto voluto
e non una cosa diversa ovvero in un altro punto. Questo problema non è presente nei vasi
comunicanti perché io posso vedere che il livello e quindi la pressione del punto A è uguale a B
mentre nei terreni non me ne posso accorgere

Ora immaginiamo di poter eseguire le fasi appena dette e vediamo cosa possiamo ricavare da
queste misure. Si riporta di seguito un elaborazione grafica.

Analizziamo prima l’immagine al di sotto e misuriamo:


● l’altezza d’acqua nel tubo che è l’altezza piezometrica
● considero la z considerando un sistema di riferimento come disegnato sotto

Sommando altezza d’acqua e quota geometrica otteniamo la quota piezometrica, che nell’immagine di
seguito sono riportati a titolo di esempio con valori di 22 e 38m.
Risulta chiaro che hp(38m)>hq(22m) e quindi potremmo fare dei ragionamenti, ovvero che da q a p c’è una
linea di flusso. Ma se considero le linee di flusso. L’ortogonale a tale linea e con h costante si chiama linea
isopiezica. L’isopiezica può essere tracciata a maniera una volta nota la linea di flusso, a un certo punto
incontrerà il piano campagna e in quel punto come ogni punto del piano campagna avrà p=0 e h uguali e
l’unico punto che ha la stessa h. Ma M e N per definizione hanno anche la stessa quota geometrica perhè
appartengo alla stessa isopiezica e quindi hanno la stessa h, questi punti hanno anche la stessa pressione
perché uno sta al piano campagna e uno sopra al tubicino e quindi per definizione devono avere la stessa
altezza geometrica. Quindi con una costruzione geometrica è possibile conoscere di un punto dove passa
l’isopiezica sul piano campagna.

Quinsi siamo andati in sito e abbiamo fatto una misura del livello corrispondente al punto n.

Immaginiamo di fare un'altra misura in sito al punto q e misurerò un altro livello R.

Ma ragioniamo, P ed M e Q ed R hanno stessa h perchè l’abbiamo misurata e quindi sappiamo e


conosciamo due isopieziche, grazie a cui possiamo ricavare e disegnare le linee di flusso e disegnare le reti a
maglie quadre già con due misure.

Questo ipotizzando Q e R a uguale h ma potrebbe anche non essere uguale e quindi potrei avere delle linee
di flusso e ciò modifica la filtrazione per esempio.
ANDIAMO A VEDERE NELLA PRATICA

Una sola misura delle pressioni neutre è inefficace e cosi come la pressione del sangue esse variano nel tempo
ciò non è per niente banale e bisogna tenerlo sempre presente. Per capire o meglio immaginare ciò che
dovremo aspettarci è sempre molto utile guardare sia molto a valle che molto a monte, per esempio se ho
argilla ai pendii di una montagna è facile immaginare che le acque che defluiscono si potrebbero fermare li e
quindi l’argilla risulta completamente satura ma non sempre.

Nella pratica e professione non ci interessa tantissimo se l’acqua è in regime freatico o artesiano ma bensi
l’individuazione degli stessi. L’individuazione ci interessa non per l’estrazione ma perché potrebbe capitare
che se facessi perforazione e prova ed il livello dell’acqua salisse sopra al piano campagna, come farei?

(il caso b è un caso in cui l’acqua risalirebbe sopra al piano campagna)


Ora analizziamo la figura C

Nel punto 1 risulta chiaro che lo quota piezometrica risulta nel punto 1>del punto 2>del punto tree e ciò
vorrà dire che ci sarà filtrazione dal punto 1 al punto 3.

I punti 1,2,3 per stare in questa situazione, vorrà dire che gli strati grigi dovranno essere sicuramente poco
permeabili come l’argilla per esempio e lo strato bianco invece sarà un terreno a grana grossa. Quando ho
un terreno a grana grossa tra due terreni poco permeabili, esso si dice acquifero e li avrò possibilità di estrarre
acqua perché ci sarà sicuro e per di più essa si muoverà in quello strato.

La direzione del moto di filtrazione detta prima da 1 a 3 la definiamo come moto lungo la direzione S e la
velocità del moto lungo la direzione S ad esempio è uguale al prodotto del coefficiente di permeabilità
moltiplicato gradiente idraulico.

Ora passiamo a fare delle considerazioni sulla quota piezometrica e immaginiamo che essa valga
rispettivamente 80 nel punto 3 e lo vediamo dal grafico mentre nel punto 4 coinciderà con la quota
geometrica circa 50m+0 perché risulta a contatto con l’aria. Se perforo e metto tubo sicuramente uscirà
acqua a morire lungo la direzione Z perché sto dando un gradiente uguale a:
Δs=alla distanza

Il ragionamento appena fatto può essere applicato a tutti i punti conoscendo la z dove misuro e conoscendo
anche h, ciò ci consent1rà di calcolare la velocità di uscita dell’acqua e moltiplicandolo per l’area del tubo
potrò ricavare anche la portata. La filtrazione si verifica però anche con velocità basse tipo 0,1xK tra i punti 1
e 2 e 1,5xK tra i punti 3 e 4 come calcolato sopra. Tutto ciò è stato detto a titolo di esempio per capire la
natura fisica della situazione.

L’equalizzazione si sviluppo e non è altro che l’uguaglianza di pressione tra i due tubi.

Vediamo le differenti tipologie di piezometro:


Il piezometro a tubo aperto è il più semplice e si costruisce effettuando prima un foro e poi installando un
tubicino che viene chiuso alla sommità. La misura dell’acqua all’interno di un foro viene fatta dal sondatore
e segnata sul tubo ma è comunque una misura da interpretare.

In rosso è raffigurato il segno di questa misura sul tubo come avviene in realtà in quanto la figura e tutti i
dettagli come sono evidenziati in giallo non riguardano la misura piezometrica in se ma la stratigrafia per
capire

Il tappo, messo dopo il foro, viene realizzato in una miscela cemento bentonite che è sicuramente più
economico del sughero ad esempio e si precise che la bentonite è un’argilla con un coefficiente di
permeabilità molto basso, ciò consente la non risalita dell’acqua affinchè essa non mi alteri il tratto di prova
in cui eseguirò la misura.

Il tubicino avrà sia un tappo inferiore che superiore ed è finestrato con dimensioni delle finestre
opportunamente scelte per bloccare senza problemi particelle trasportate dall’acqua come per esempio
granelli di limo.

Io metto il tubo nel terreno e se c’è una pressione positiva l’acqua risale fino a un certo punto e funziona
bene quando ho terreno uguale ma può avere problemi come riportati nella slides.

Il tubo è piccolo ma non capillare e non lo voglio in modo da risentire effetti di capillarità vista che voglio la
pressione neutra. L’acqua trasportata è di pochi centimetri cubi.

C’è anche un evoluzione di questo piezometro che è quello di CASAGRANDE


Il piezometro di casagrande è un piezometro aperto 2.0 che ha 2 tubi, la presenza dei due tubi consente in
sito di verificare che l’acqua salga uguale nei tubi facendo quindi una misura in sito. Se l’acqua non sale uguale
vuol dire che la pietra porosa della punta cilindrica ha subito unocclusione da parte di particelle fini
trasportate dall’acqua.

Uso la punta cilindrica fatta da materiale poroso, ceramico e ad alto valore d’ingresso d’aria. Questo
materiale una volta saturata rimane satura perché sotto terra ho pressione acqua positiva, se metto con filtro
in contatto questa punta con acqua positiva, leggerò sul tubino la pressione dell’acqua però bisogna stare
attenti a terreno che potrebbe occludere il tutto anche se si può ovviare a ciò con un lavaggio ma senza
esagerare.

Il livello nel tubo lo misuro grazie a una sonda calata dall’alto.

I tubi qui possono essere più piccoli perché possono far scorrere meno acqua e ciò consente di risparmiare
tempo rispetto al piezometro visto prima.
Un’altra applicazione di notevole importanza riguarda l’istallazione in un unico foro di più piezometri
dandomi cosi informazioni lungo la verticale a profondità diverse magari.

Immaginiamo per esempio di avere tre punti A,B,C e che si trovino a profondità crescenti, ciò nonostante
potrebbe capitare che il livello misurato in C sia maggiore di quello misurato in B e quindi avrò sicuramente
moto filtrazione da A a B ma filtrerà anche da C a B, La velocità di filtrazione la calcoliamo con la formula vista
prima. Facendo una sola perforazione posso accorgermi di ciò se posso mettere più pieziometri ma c’è un
però, ovvero per usare questo sistema oo quello di casa grande la pressione dell’acqua non deve salire sopra
al piano campagna altrimenti sto sistema è inutilizzabile, dovrò quindi usare un piezometro a tubo chiuso.

I PIEZOMETRI A TUBO CHIUSO

Questi piezometri sono tutti saturi all’interno e perciò utilizzeremo un nanometro all’interno. I vantaggi sono
diverse ed elencate sotto nella slides ma è da tener presente che questo strumento è essenziale per la misura
di falde artesiane dove ho acquiferi.
CELLE PIEZOMETTRICHE:

Sono di più difficile utilizzo e quindi necessitano di operai specializzati e i costi della manodopera sono
maggiori ma non avendo movimento d’acqua i tempi sono sicuramente minori.

CELLE A FILO VIBRANTE:

Utilizzano membrane per la misura. Il funzionamento è concettualmente semplice ed è come un tiro alla
fune dove da entrambi i lati si spinge, io spingo da un lato fino raggiungere un equalizzazione con la
pressione che c’è dall’altro lato della membrana. La pressione può essere applicata tramite un
compressore.
Oppure potrei consentire l’inflessione perché non applico nessuna forza e faccio deformare liberamente la
membrana e conoscendo le caratteristiche di essa posso misurare la deformazione per misurare la
pressione che mi interessa. L’inflessione si misura con un estensimetro.
Prontezza (tempo di risposta) di un piezometro

Nello strumento di misura deve entrare una certa quantità d’acqua da un certo terreno che deve essere
omogeneo nella zona di misura e per questo motivo utilizziamo strumenti di misura così piccoli perché
riduciamo l’acqua che deve entrare nello strumento di misura e, inoltre, abbiamo così una misura più
localizzata, ossia una misura locale dal punto di vista spaziale.

La prontezza, ossia il tempo di risposta, di un piezometro è il tempo con cui esso si mette in equilibrio con la
pressione neutra esterna; dipende dal tipo di piezometro (dunque dalla dimensione del tubo), dal tipo di
terreno (in particolare dalla permeabilità del terreno circostante) e da qualcosa che considera la geometria
del problema. In particolare, il tempo di risposta del piezometro cresce al diminuire della permeabilità e
diminuisce al diminuire della quantità di acqua da immagazzinare all’interno della cavità piezometrica (al
diminuire della dimensione del tubo). I tempi di risposta sono riportati con il pedice 95: nell’intorno dello
strumento di misura avviene un fenomeno di consolidazione (ossia di filtrazione più deformazione) [infatti
ci ricorda il t100 visto in meccanica delle terre che rappresentava il tempo di consolidazione]; al 95% è
praticamente esaurito; incrociando il tipo di piezometro con il tipo di terreno otteniamo la prontezza del
piezometro stesso:

Ovviamente, al diminuire della permeabilità il tempo di risposta aumenta.

Nel seguente diagramma in scala semilogaritmica sono diagrammati il tempo di risposta in funzione della
permeabilità (in relazione alla quale differenziamo diverse tipologie di terreno) e sono presenti diverse
linee che rappresentano strumenti di misura differenti.
Le misure dovranno essere ripetute per alcuni giorni, per alcune settimane, per alcuni mesi (se ad esempio
ci interessa la variazione stagionale).

I tensiometri

Se abbiamo interesse a misurare pressioni neutre negative occorre usare i tensiometri. I tensiometri sono
degli strumenti in versione anche portatile: con un bastoncino di metallo o di legno si esegue un preforo (se
mi interessano basse profondità, massimo 70-90 cm), che si autosostiene per basse profondità visto che
stiamo anche in terreni parzialmente saturi, e successivamente si inserisce lo strumento di misura che è un
tubo pieno d’acqua con una punta ceramica a elevato valore di ingresso d’aria e del tutto satura d’acqua
con un manometro. Se la pressione dell’acqua è negativa e tutto lo strumento è saturo d’acqua, avrò in
sommità un valore di pressione neutra negativa R e poi una colonna d’acqua ancora in pressione negativa
(ci interessa poco se in corrispondenza del tubo assuma valori positivi o negativi), ma è importante che si
riesce a misurare il valore R e che la pendenza è pari a γw: se conosciamo la differenza di quota (distanza
geometrica) tra il manometro e il tensiometro (sarebbe la somma h+d) riusciamo ad ottenere la grandezza
che vogliamo (ua - uw). [ovviamente, misurata R, nota l’inclinazione γw, noto il tratto fuori terra d e la
profondità dal piano campagna h, possiamo ricavare facilmente la pressione neutra negativa generica x].

La pietra porosa presenta un elevato valore di ingresso d’aria, quindi quando metto tale pietra in contatto
con terreno in cui c’è anche aria, l’acqua presente nel terreno andrà ad egualizzarsi con l’acqua presente
nella pietra porosa e nel tubo stesso. Tipicamente questa operazione richiede pochi minuti anche
nell’attesa dell’equalizzazione. Tutto lo strumento di misura e la pietra porosa devono essere
assolutamente sature altrimenti non avrei una colonna d’acqua a pendenza γw: il problema di questo
strumento è la saturazione e il mantenimento della saturazione.
Misura della permeabilità in sito

In sito possiamo avere permeabilità molto diverse in base al tipo di terreno , per tale motivo è
importantissimo misurare tale parametro. Nella seguente tabella sono riportate gli ordini di grandezza che
potremmo trovare (notiamo valori molto differenti in funzione del tipo di terreno: ho 10 ordini di grandezza
diversi).

N.B. nei manuali più recenti troviamo valori di permeabilità in m/s.

Prove in sito

Se porto un campione di terreno a grana fine in laboratorio posso misurarne tranquillamente la porosità; in
sito potrei eseguire delle prove in foro o a carico costante o a carico variabile. Inizialmente la pressione in
due punti geometricamente vicini A e B è praticamente la stessa, poi con le nostre operazioni ne
modifichiamo una delle due e di conseguenza si genera un moto di filtrazione in un certo volume (quello in
marrone). In sito si opera con diversi schemi di installazione (posso avere dei filtri, delle sezioni terminali
rettangolari o a simmetria cilindrica,…). Nel volume di terreno considerato (quello marrone) posso avere un
moto di filtrazione per cui l’acqua tende ad uscire (avrò una diminuzione della pressione neutra) oppure
tende ad entrare (sto aumentando la pressione neutra); se in quel volume di misura, ad esempio, riduco la
pressione neutra, siccome l’ordine di grandezza delle tensioni totali non varia (a meno della perforazione,
che è molto piccola in tal caso), aumentano le tensioni efficaci e quindi avrò delle deformazioni elasto-
plastiche. Potrei fare uno schema in cui le pressioni neutre Pw nel volume di riferimento (quello in
marrone) tendono ad aumentare in modo tale che le σ’ tendano a diminuire e ciò comporta la possibilità di
studiare deformazioni elastiche. Posso studiare questo problema di consolidazione in campo elastico: ho sia
il vantaggio di non indurre deformazioni al terreno con le prove in foro (che sono delle misure) sia il
vantaggio di studiare un problema più facile. Per avere che le pressioni neutre nella zona di misura tendano
ad aumentare, nel foro tendo ad avere un livello più alto di quello misurato all’inizio, che è rimasto tal
quale nel punto A. Ci sono espressioni analitiche che mi consentono di interpretare le prove in foro: nota la
geometria (che si traduce in un parametro F) e noto il dislivello ricavo la permeabilità. Se la prova è a carico
variabile il tutto si traduce nella misura di n valori di h nel tempo: posso fare la misura tra due istanti
temporali diversi. Sto misurando la permeabilità di un certo strato (es. strato B).
In casi particolari potrei aver bisogno di operare in un altro modo. Consideriamo, ad esempio, il caso in cui
ho un terreno a matrice grossolana (ad esempio un deposito alluvionale) con intercalazioni di argilla
(oppure strati di argilla e sabbia intercalati ad una matrice grossolana). In tal caso ci interessa conoscere la
permeabilità di tutto il mezzo (“tutto il blocco”): faccio una prova in sito in cui cerco di coinvolgere un
ampio volume di terreno, ossia cerco di fare andare l’acqua da sinistra a destra e da destra a sinistra e vedo
la permeabilità in una zona molto più ampia; dunque non sto misurando la permeabilità locale, ma la
permeabilità di tutta una porzione di sottosuolo.

Prove di pompaggio

Per l’estrazione di una quantità d’acqua (realizzazione di un pozzo) e l’osservazione del livello piezometrico
in una o più verticali si esegue una prova di pompaggio, che serve a misurare la permeabilità. Il numero di
prove da eseguire e lo schema della prova dipendono dalla sezione stratigrafica e dal tipo di acquifero.

Se l’acquifero è confinato per l’interpretazione della prova le linee di flusso devono poter essere
considerate orizzontali e, inoltre, la zona filtrante interessa tutto l’acquifero o parte dell’acquifero. In tal
caso l’influenza della componente verticale della velocità di filtrazione può essere trascurata.

Se l’acquifero è non confinato la zona filtrante è nella parte inferiore dell’acquifero (metà o un 1/3 dello
spessore) e in generale non si trascura la componente verticale della velocità di filtrazione.
Se ad esempio, prima dell’inizio delle operazioni, la linea di falda si trovava in prossimità del piano
campagna, estraggo acqua con una certa portata in una certa zona (osservo un certo livello nella zona di
estrazione),eseguo altre misure e potrò ricostruire l’andamento della linea piezometrica, dalla quale
ricavare la permeabilità che consente di avere quel moto di filtrazione. Questo è un classico problema di
analisi inversa: data una portata estratta e le quote piezometriche (ossia nota la soluzione del problema),
nota la geometria, qual è il k che mi consente di fare questa operazione? Potrei risolvere questo problema
per varie configurazioni geometriche (o per varie portate estratte) ed avere varie stime della k e fare una
statistica (determino valore medio, mediana,…). Tutto ciò è relativo ad un deposito in cui c’è acqua non
confinata. Se mi interessa realizzare un pozzo in corrispondenza di un acquifero confinato (è
un’applicazione più rara) si esegue una prova di pompaggio, ma il moto di filtrazione sarà ad esempio
suborizzontale.

Dunque siamo in grado di misurare la pressione neutra Pw e le quote piezometriche h in punti che ci
interessano; sappiamo che queste misure sono regolate in particolare dalla permeabilità k (ricordando che
c’è il terzo incomodo, ossia la J, valutata come gradiente idraulico tra due punti lungo la direzione
congiungente i due punti).

MOTI DI FILTRAZIONE

Moti di filtrazione per terreni saturi


Definiamo il concetto di CONDIZIONI STAZIONARIE: se le pressioni neutre sono stazionarie, ossia non
cambiano nel tempo, per ipotesi (ce lo dicono le misure) e le tensioni totali σ sono costanti, allora le
tensioni efficaci σ’ sono costanti, ossia stiamo studiando un problema in cui non ci sono deformazioni dello
scheletro solido (ε = 0, non ho né componente plastica né componente elastica), cioè lo scheletro solido è
immobile per le condizioni in cui si trova. Scrivo l’equazione di continuità dell’acqua: se il mezzo è saturo
non può entrare altra acqua (o meglio, potrebbe entrare altra acqua tra i grani però dovrebbe cambiare la
porosità o il volume dell’elemento di terreno, ossia dovrebbe deformarsi) perché non si deforma. In questa
condizione l’acqua che entra è uguale a quanta ne esce (ossia la massa entrante è uguale a quella uscente;
ciò è valido in tutte le direzioni). Poi consideriamo la legge di Darcy v = kJ; poi devo inserire varie ipotesi di
lavoro che possono essere verificate.

La divergenza (somma delle tre derivate spaziali) della velocità di filtrazione v deve essere nulla: la velocità
di filtrazione porta acqua in entrata e in uscita con un bilancio complessivo pari a 0.

Può succedere che ci sia una capacità maggiore di filtrazione in una delle direzioni; ad esempio potrei avere
argilla e uno strato di sabbia: rispetto a un moto di filtrazione verticale la sabbia non toglie nulla perché è
molto molto più permeabile dell’argilla ma alla scala dell’ingegneria non influisce su nulla (essendo sistemi
in serie una gocciolina di acqua ci mette tantissimo tempo ad attraversare uno strato di argilla e ci metterà
un tempo molto piccolo per attraversare un piccolo strato di sabbia; tuttavia, essendo uno strato piccolo, ci
avrebbe messo poco tempo anche per attraversare uno strato di argilla di uguale spessore), in direzione
orizzontale gli strati di sabbia comportano differenze enormi. Tutto ciò si studia considerando coefficienti di
permeabilità diversi nelle tre direzioni.

Alla nostra scala ha senso considerare la densità dell’acqua costante (perché considero pressioni applicate
relativamente basse, ossia di pochi kPa) e inoltre considero il fluido incomprimibile. Posso ipotizzare che il
mezzo sia omogeneo (come capita spesso), ossia ciascuna caratteristica è indipendente dalla posizione
spaziale (Kx, Ky e Kz possono essere portate fuori dalle derivate), e isotropo, ossia con uguale
comportamento in ogni direzione (ossia tutte le K sono uguali). Queste ipotesi comportano una
semplificazione dell’espressione: ottengo un’equazione denominata legge di Laplace (il laplaciano di h deve
essere uguale a 0).

Tutto questo ci dice che se ho un moto di filtrazione esclusivamente verticale, ossia solo lungo l’asse z, (ho
un moto in una direzione 1D) la derivata seconda di h rispetto a z è nulla, cioè h è una funzione lineare con
z (derivata prima nulla). Un esempio di moto di filtrazione prevalentemente verticale è quello di uno scavo
o di una paratia. In tale esempio, in discesa e in risalita h e Pw sono lineari con z (non è idrostatica poiché
l’acqua si muove, ma è lineare e dunque mi basta conoscere solo due punti, in realtà uno solo perché so
che in superficie h=0, per definire tutto il moto di filtrazione con ottima approssimazione), invece nella zona
in cui l’acqua deve girare il ragionamento è diverso poiché il moto non avviene lungo un’unica direzione.

Un esempio di tale moto di filtrazione riguarda il processo che avviene in una macchinetta del caffè:
creiamo un gradiente di pressione dell’acqua, tramite la temperatura (in geotecnica in realtà, a meno di
casi particolari, l’aspetto termico non l’avremo), che risale (per l’aumento di pressione) e attraversa un
mezzo granulare (il caffè) che abbiamo precedentemente compattato in condizioni asciutte che ha una
permeabilità bassa; successivamente tale mezzo si satura e dunque ho un moto di filtrazione in condizioni
sature, però con un livello idrico e dunque una pressione via via diversa: man mano che il caffè esce la
quota piezometrica di uscita è costante mentre la quota piezometrica da cui si genera il moto di filtrazione
andrà via via riducendosi e dunque cala la portata.

Moti di filtrazione per terreni parzialmente saturi


Nei terreni parzialmente saturi la differenza tra massa uscente e massa entrante può essere diversa da 0: se
ho un cubetto di terreno con acqua all’interno, faccio il bilancio di acqua tra tutte le facce del cubetto e può
essere che ha immagazzinato o ha perso un po' di acqua.

Poi considero sempre la legge di Darcy perché sperimentalmente è stato dimostrato che in terreni
parzialmente saturi l’acqua si muove ancora più lentamente e dunque ricade certamente, alla scala
ingegneristica, nelle ipotesi di moto laminare. Le ipotesi da imporre sono le stesso relative ai moti di
filtrazione per i terreni saturi, ma cambia che il K è funzione dell’altezza piezometrica (nelle equazioni
rientra la curva di conducibilità idraulica e al secondo membro rientra il dϑ/dt, ossia la variazione del
contenuto volumetrico d’acqua ϑ, che è pari al rapporto tra volume d’acqua Vw e volume totale VTOT).

N.B. dϑ/dt lo riscriviamo come (dϑ/dψ)*(dψ/dt), dove dϑ/dψ rappresenta la curva di ritenzione (ricordiamo
inoltre che ϑ è pari al prodotto della porosità n per il grado di saturazione Sr).

Poi si eseguono semplificazioni legate all’ipotesi di mezzo omogeneo e isotropo in cui però continuo ad
avere una funzione fortemente non lineare. La grossa novità è legata alla dipendenza dal tempo: per
risolvere questo tipo di equazioni mi servono le condizioni iniziali perché in un terreno parzialmente saturo
la stazionarietà è un concetto molto difficile da ottenere. Non si riesce ad ottenere uno stato stazionario
perché terreni parzialmente saturi si trovano sempre nelle zone più superficiali del sottosuolo che sono
quelle in cui cambiano continuamente le condizioni idrauliche al contorno, ossia si hanno continue
alternanze di portate in ingresso e in uscita dal sottosuolo (esce il sole, le piante tirano acqua, piove, si
hanno infiltrazioni d’acqua). Dunque in terreni parzialmente saturi lungo una verticale possiamo avere
anche andamenti fortemente non lineari (del coefficiente di permeabilità k, CREDO) perché l’andamento è
influenzato da diverse sollecitazioni.

L’equazione ottenuta prende nome di equazione di Richards. Quando avviene un moto di filtrazione in un
terreno parzialmente saturo, se cambiano le pressioni neutre, in generale, cambiano anche le tensioni
efficaci e dunque avvengono delle deformazioni che non possono essere studiate con le equazioni che
abbiamo scritto: infatti abbiamo ipotizzato che lo scheletro solido sia indeformabile (studio solo il moto di
filtrazione immaginando che lo scheletro solido si deformi talmente poco da poter trascurarne le
deformazioni). In molti problemi applicativi questa ipotesi è verificata perché un terreno parzialmente
saturo è comunque più rigido rispetto a quando è in condizioni asciutte o quando è totalmente saturo.
Tutto ciò dipende ovviamente dai livelli di suzione in cui ci muoviamo: alla diminuzione della suzione,
aumenta la tensione efficace (sia nelle componenti di compressione sia in quelle di taglio) e quindi ho
deformazioni.

Caso studio: rinforzo di un argine fluviale lungo il Tevere

La configurazione iniziale dell’argine è riportata nell’immagine seguente:

Si individuano quattro terreni (A, B, C e D), il livello minimo è a quota 5.90, il livello medio è a quota 8.52, la
piena che si è avuta ha raggiunto una quota pari a 16.20, maggiore della quota massima dell’argine (15.82).
La piena ha superato l’argine (allagando anche alcune strutture sportive realizzare in prossimità dell’argine)
e inoltre si è formata una superficie di scorrimento (una parte dell’argine si è mobilizzata). Dunque questo è
un caso in cui una variazione della condizione idraulica al contorno ha comportato un problema di
instabilità di un pendio. Il terreno B è a grana fine perché l’acqua scorre su esso senza arrivare allo strato C
e inoltre vi è una zona subverticale (un materiale che risulta essere parzialmente sommerso ed è
subverticale può essere solo un materiale a grana fine: sabbia e ghiaia non possono mai disporsi in questo
modo). Pure l’altro lato del fiume ha avuto instabilità, però ci si è concentrati maggiormente su questo
argine (possiamo considerare verosimilmente una sezione simmetrica soprattutto per fiumi di grandi
sezioni) poiché dall’altra parte le strutture erano più distanti e dunque non sono state coinvolte. È stata
realizzata una gradonatura dello strato B e sono stati eseguiti un riempimento con materiale granulare
(sabbia e ghiaia) e un rinforzo con materiali polimerici (geogriglie). Il tutto è stato rinverdito, ottenendo un
argine rinaturalizzato e rinforzato.
Questo problema può essere analizzato con l’equazione di Richards. Si risolve l’equazione agli elementi
finiti, impostando la condizione iniziale (acqua ferma al livello medio) e le condizioni idrauliche al contorno
(ad un certo punto ad una certa distanza gli scambi di acqua sono molto modesti: condizione di
impermeabilità del fondo. Inoltre la superficie interagisce con l’atmosfera, il che vuol dire che se non sta
piovendo il flusso d’acqua è nullo). Le indagini in sito necessarie sono stati 5 carotaggi, la determinazione
delle curve granulometriche, dei limiti di Atterberg, del peso specifico del terreno, del contenuto d’acqua
naturale e della resistenza a taglio in condizioni sature, del grado di saturazione, della porosità, dei
coefficienti di permeabilità, della tensione efficace, dell’angolo di attrito, di ϕB, delle curve di ritenzione.

LEZIONE 9: 22/03/2021

EFFETTI DELLA SUZIONE E DELL’IMBIBIZIONE SUL COMPORTAMENTO DI TERRENI PARZIALMENTE SATURI

Nel corso della lezione si vedranno le caratteristiche i comportamenti di alcuni terreni, evidenziato quelle che
sono le differenze tra i terreni saturi e quelli parzialmente saturi. La prima differenza risiede nelle variazione
volumetriche che nei terreni saturi dipendono dall’assorbimento o dal rigetto dell’acqua mentre nei terreni
parzialmente saturi ci sono e possono essere diversi fenomeni che influenzano le variazioni volumetriche
stesse.

Questo perché nei terreni saturi tutti i pori sono riempiti da acqua, per i terreni parzialmente saturi invece,
oltre l’acqua abbiamo anche area nei vuoti e quindi il terreno viene considerato come un mezzo trifase ovvero
costituito da acqua, aria e particelle solide. Alcuni studiosi però considerano il terreno parzialmente saturo
aggiungendo un'altra fase identificata nella presenza dei menischi che sono dovuti all’interfaccia acqua/area.

A livello ingegneristico è difficile che si lavori con terreni saturi in natura o con condizioni in cui la falda sia
coincidente con il piano campagna, queste condizioni infatti si ritrovano con poca frequenza e molto più
spesso ci si ritrova con una falda al di sotto del piano campagna e talvolta nel caso in cui terreni al disopra
della falda non siano in condizioni di totale saturazione. Fortunatamente Bishop e altri autori hanno però
esteso il principio delle tensioni efficaci, oltre che per i terreni saturi, anche ai terreni parzialmente saturi.
Ciò. Ovvero la descrizione del comportamento dei terreni parzialmente saturi avviene attraverso l’adozione
di invarianti di tensione, quali:

● la tensione netta: σ-Ua


● la suzione
● sorta di estensione del principio di Terzaghi che mette in relazione quanto detto attraverso una
variabile che è in funzione del grado di saturazione: χ(chsi)

Alcuni studiosi, come Bishop ad esempio, hanno considerato χ uguale proprio al grado di saturazione anche
se alcuni studi hanno dimostrato che ciò non è proprio corretto.

A livello ingegneristico, e quindi per i nostri scopi, il problema lo risolviamo utilizzando le prove sui terreni
viste finora. Immaginiamo ora di dover studiare dei cedimenti, come si fa?

Caso 1: cedimento sotto a un palazzo

Consideriamo il palazzo come un carico uniformemente distribuito di dimensioni molto maggiori rispetto
all’elemento di elemento di terreno che andiamo a considerare al di sotto che si ipotizza essere in condizioni
edometriche. Per capire la natura e l’entità dei cedimenti si effettuano in genere delle prove edometriche su
questo elemento, le prove edometriche sono quasi del tutto uguali tra terreni parzialmente saturi e terreni
saturi tranne che per delle differenze nell’apparecchiatura. In alcuni casi si effettuano prove di compressione
triassiale.

Caso 2: superficie di rottura sotto a un rilevato stradale

Per una superficie di rottura che si trova al di sotto di un rilevato possiamo usare i risultati di una prova
triassiale anche se comunque ci da dei risultati che differiscono dalla realtà, in quanto le condizioni sono
diverse. Questo gap si supera utilizzando usare una scatola di taglio semplice.

L’apparecchiatura di taglio semplice imprime uno spostamento orizzontale alla base superiore del campione
che però non si trova più nella scatola di casa grande come per l’apparecchiatura di taglio diretto.
L’apparecchiatura a taglio semplice è costituita da un insieme di dischi solidali tra loro grazie a una serie di
pendoli. Questa apparecchiatura consente di riprodurre condizioni più vicine a quelle in sito e imprime al
terreno una deformazione laterale ϒ, la resistenza è mobilitata gradualmente attravero una σ le deformazioni
laterali sono impedite e sono consentite le assiali e le angolari. Questa apparecchiatura, come nell’immagine
è per i terreni parzialmente saturi ma può essere applicata anche ai terreni saturi. Il funzionamento è
meccanico è lo stesso ma differisce l’apparecchiatura e differiscono le pressioni neutre.

L’apparecchiatura di taglio semplice è quasi del tutto uguale a quella di taglio saturo, differisce da quella
triassiale, per la presenza di pareti in acciaio perché per applicare la suzione presente(come nella prima
slides) bisogna applicare, per evitare il fenomeno cavitazione, pressioni dell’aria maggiori di quella
atmosferica e quindi la pressione dell’acqua verrà anch’essa aumentata( avrà valori positivi) a pressioni
positive per mantenere invariato il valore della suzione. Rispetto a un’apparecchiatura per terreni saturi
abbiamo necessità di controllare:
- la pressione dell’aria presente nei pori, che sia nella prova di taglio semplice che taglio diretto, la pressione
di cella sarà uguale alla pressione dei pori del campione;
- la pressione neutra;
-i volumi d’acqua scambiati dal campione con l’esterno. Ciò viene effettuato grazie a un sistema di Burette.

Il sistema di burette consentono di misurare il livello d’acqua scambiato dal campione con l’esterno ed il
sistema è costituito da due Burette, una di misura e una di riferimento. Questo sistema consente di misurare.
oltre che il livello d’acqua e quindi la quantità, una pressione neutra. Queste prove non sono proprio comuni
e standard ma sono comunque prove che ci danno informazioni più dettagliate consentendoci quindi una
conoscenza più approfondita del nostro volume geotecnico di riferimento sia in fase di progettazione, sia in
fase di realizzazione e successivamente monitoraggio della stessa.

Perché è poco utilizzata l’apparecchiatura di taglio semplice rispetto ad altre prove per ottenere i parametri
di resistenza terreno?

Perché la prova di taglio semplice ha comunque degli svantaggi, infatti per esempio l’interpretazione dei
risultati della prova non è cosi ben consolidata come le prove triassiali o di taglio diretto. Questo a sua volta
si verifica perché lo stato tensionale del nostro campione non è totalmente definito, in quanto abbiamo un
incognita sulla tensione principale media e quindi non è possibile definire completamente lo stato tensionale
del campione e i cerchi di mohr. Questo avviene perché nella prova taglio semplice applichiamo una tensione
verticale(σ) e una tau, le deformazioni laterali sono impedite ma le direzioni principali di deformazione non
sono ben definite come avviene per esempio nella prova triassiale, essendo quindi libere di ruotare non
conosciamo n’è le direzioni n’è il valore della σ2. Questo ci fa capire anche come l’interpretazione dei dati
non sia agevole e più complessa rispetto a una prova triassiale in cui la superficie di taglio è imposta.

VEDIAMO COSA AVVIENE NEI TERRENI PARZIALMENTE SATURI :


Vediamo cosa succede considerando una prova edometrica o considerando una prova di compressione
isotropa, come nell’immagine al lato eseguita su una betonite-caulinite, si nota che come per i terreni saturi
è possibile linearizzare a tratti la curva di compressione, identificando dei tratti di:

● compressione vergine
● tratto comportamento reversibile di carico e scarico tra i punti B e C, ma va sottolineato come la
presenza della suzione giochi ruolo importante in termini di tensione di snervamento che può subire
variazioni al variare della suzione stessa. Per alti valori di suzione queste tutte curve confluiscono
tutte in un’unica curva a pendenza unica anche se le evidenze sperimentali sono poche. Le prove
sperimentali sono poche in quanto è difficile applicare la suzione durante prove di laboratorio perché
oltre ad avere variazione della pressione dell’area che risulterà maggiore di quella atmosferica,
occorre fare anche delle variazioni sui dischi ceramici e le pietre porose utilizzate.

È difficile anche perché per i terreni parzialmente saturi si usano dei dischi ceramici ad alto valore di ingresso
d’aria tuttavia per avere una curva in cui confluiscano tutte le rette vergini dovrei avere un disco ceramico
con valori di permeabilità difficilmente trovabile evidenziando quindi un concetto teorico ma di difficile
emulazione pratica. Si ricorda come il valore d’ingresso d’aria vada a porre dei limiti alla suzione.

Variazione della suzione

Per quanto riguarda la variazione della suzione dobbiamo distinguere due casi (in cui il comportamento è
abbastanza diverso):

● essiccamento, ossia l’aumento della suzione;


● imbibizione, ossia l’imbibizione della suzione.

Per quanto riguarda la fase di essiccamento (aumento della suzione), per suzioni inferiori al valore di
ingresso d’aria, un incremento di suzione equivale a un incremento della tensione media (fa pensare a un
comportamento abbastanza simile ai terreni saturi in cui vario la tensione media), per valori maggiori al
valore di ingresso d’aria, una variazione di suzione produce una variazione di indice dei vuoti, come ci
aspettiamo nel caso di compressione di un terreno saturo, ma tale variazione è minore rispetto a quella
prodotta da una variazione di tensione media netta in un terreno saturo.
Per descrivere questi percorsi tensionali in genere facciamo riferimento a due variabili tensionali tra loro
indipendenti: la tensione netta e la suzione. Ciò è sufficiente solo per l’essiccamento, per l’imbibizione
necessitiamo di un ulteriore parametro: l’indice dei vuoti. Aggiungendo quest’ulteriore parametro
arriviamo a definire non più un piano in cui ci muoviamo seguendo il nostro percorso tensionale, ma ci
riferiamo ad una superficie nello spazio tridimensionale. Notiamo che aumentando la suzione, a tensione
netta costante, ci muoviamo sulla linea tratteggiata se la suzione ha un valore minore rispetto al valore di
ingresso d’aria (è una retta presente nel piano e-ua ed è abbastanza simile a ciò che avremmo nel caso di un
incremento della tensione netta).

Per quanto riguarda l’imbibizione (riduzione della suzione), abbiamo ancora la necessità di usare una
superficie tridimensionale, però in tale superficie a seconda di alcune caratteristiche del terreno (ben
rappresentabili dall’indice dei vuoti e dal grado di saturazione) potremmo avere percorsi differenti: una
riduzione della suzione potrebbe provocare sia un’espansione volumetrica (un rigonfiamento del terreno)
sia una compressione volumetrica (un fenomeno di collasso).

Ad esempio, il collasso dovuto al wetting (all’imbibizione) è il collasso che avviene a una tensione netta
costante con riduzione della sola suzione, invece per quanto riguarda la compressione che avviene a
suzione nulla notiamo un comportamento leggermente diverso.

Terreni collassabili

Per valutare la suscettibilità di un terreno al collasso dovremmo andare a studiare il comportamento


volumetrico e soprattutto il comportamento in termini di indice dei vuoti perché il fenomeno di collasso
non può essere spiegato solo dal punto di vista macroscopico, o comunque utilizzando esclusivamente le
variabili di tensione indipendenti, ma bisogna studiare il comportamento del terreno a diverse scale. Ciò
perché è stato notato che i terreni soggetti a collasso dovuto all’imbibizione sono quelli dotati di una
microstruttura particolare (ad esempio è individuata la presenza di menischi tra particelle di sabbia o di
materiale più fino tra particelle di sabbia tenuto insieme da acqua). In genere, qualsiasi sia la struttura,
deve essere una struttura caratterizzata dalla presenza di ponti (dovuti alla presenza di menischi d’acqua o
costruiti da argilla o aggregati di granelli di sabbia e granelli di materiale più fine). Da evidenze sperimentali
si è notato che nei terreni in cui sono presenti dei ponti tra le particelle, in fase di imbibizione si ha una
brusca riduzione dell’indice dei vuoti dovuta alla rottura di questi ponti (di qualsiasi natura essi siano) e per
sopportare quella tensione netta costante il terreno deve riorganizzarsi in una struttura più densa, quindi
con un indice dei vuoti più basso. In altre parole, i terreni collassabili sono quelli dotati di una particolare
microstruttura. Tale microstruttura è costituita da aggregati di particelle grosse collegate tra loro attraverso
particelle fini o collegate tra loro in aggregati tramite la presenza di acqua (di menischi). Se sottoponiamo
tale struttura a una tensione costante, ma provochiamo riduzione della suzione (ad esempio con
un’aggiunta di acqua), essa regge fino a un certo punto, ma poi collassa: i legami presenti tra le particelle
del terreno si rompono e quindi il terreno per sopportare quella tensione applicata si deve riorganizzare in
una struttura con indice dei vuoti più basso, ossia più densa.

Per quanto concerne il collasso occorre eseguire uno studio su più livelli di osservazione: non basta fermarsi
solo ad acquistire tensioni, suzioni, contenuti d’acqua o variazioni di porosità, ma è opportuno un’analisi
multiscalare. Non è semplice eseguire tali analisi perché gli strumenti a nostra disposizione o sono indagini
distruttive (viene prelevato un campione di terreno, viene portato a diversi livelli di suzione, viene distrutto,
se ne preleva un pezzettino che viene analizzato al microscopio elettronico SEM; oppure si usano
strumentazioni distruttive che non ci consentono di vedere l’intera evoluzione del campione sottoposto ad
imbibizione). In genere, quando non erano presenti neanche queste indagini distruttive, per definire un
terreno collassabile o meno si usava principalmente l’indice dei vuoti: sono presenti diversi criteri per i
quali la variazione dell’indice dei vuoti durante la saturazione rapportata all’indice dei vuoti iniziale ci dava
informazione sulla possibilità o meno dei terreni di collassare. In realtà sono presenti numerosi criteri che
oltre all’indice dei vuoti considerano anche il limite liquido, l’indice di plasticità, il valore di γ; si cercava di
individuare dei criteri in grado di tener conto della struttura interna del campione.

Indagini sui terreni collassati: informazioni presenti in letteratura

In genere si utilizzano edometri standard o a suzione controllata oppure apparecchiature triassiali. Ad


esempio, si può applicare la tecnica dei due edometri: in un edometro si esegue una prova su un
campioncino di terreno saturo (del quale si valuta l’intera curva di compressibilità) e in un altro edometro si
esegue una prova o a contenuto d’acqua naturale (nel caso di edometro standard) oppure a suzione
costante (nel caso di edometro a suzione controllata), nel piano e-log σ’v si rappresentano le due curve e si
stima la differenza di indice dei vuoti a parità di tensione. Un’altra tecnica è quella di eseguire in un
edometro (standard o a suzione controllata) il processo di imbibizione: nel caso dell’edometro standard,
raggiunto un certo valore di tensione σ’ per un campione non saturo, possiamo procedere aggiungendo
istantaneamente una quantità di acqua fin quando osserviamo una variazione di volume (collasso) oppure
un rigonfiamento nel caso in cui il terreno non sia collassabile. Tutte queste prove si possono rappresentare
nella superficie tridimensionale vista prima.
In realtà anche per le prove a suzione controllata nelle apparecchiature triassiali possiamo definire lo stesso
piano tridimensionale in cui, al posto di σ-ua, inseriamo la pressione media netta (p-ua), la suzione e il
deviatore (che ha sostituito l’indice dei vuoti).

Ciò è quello che avviene al livello del campione, quindi alla scala dell’elemento rappresentativo di volume
(rapresentative element of volume, REV). In realtà, è possibile passare alla microstruttura: ad esempio,
tramite immagini al microscopio SEM è possibile individuare gli aggregati (particelle grossolane unite tra
loro da particelle più fini e acqua); inoltre, con la tecnica dell’intrusione del mercurio (è una prova perché
quando lo introduco non posso continuare la prova: non è possibile assorbire il mercurio e aggiungere
acqua) è possibile vedere come varia l’indice dei vuoti prima e dopo l’imbibizione. Esistono anche tecniche
non distruttive che consentono di ricostruire la struttura interna del campione e seguire l’intera evoluzione
della struttura durante la prova di imbibizione. Una di queste tecniche non distruttive è stata applicata nel
seguente caso studio.

Caso studio

Consideriamo la frana che ha interessato Sarno nel ’98. Il complesso di frane che ha coinvolto Sarno,
Bracigliano, Quindici e altri comuni della zona limitrofa ai monti di Sarno è stato analizzato da studi
dell’Università di Salerno. Nei primi studi è stato considerato il pendio indefinito (ossia gli effetti di bordo
della parte di innesco e di deposizione della frana non sono stati considerati) ed è stata ricostruita la
successione stratigrafica dei terreni (una poltre detritica di natura piroclastica e uno strato roccioso
sottostante, bedrock, di natura carbonatica), sono state individuate le superfici di distacco del materiale e
le condizioni al contorno quali le immissioni di acqua a seguito di una sorgente. La causa innescante di
questo fenomeno franoso era la pioggia. Quindi è stata simulata la pioggia caduta nei giorni precedenti al
fenomeno franoso e i percorsi tensionali, se visti in termini di campioni soggetti a prove triassiali, li vediamo
rappresentati nella seguente immagine.
Consideriamo il campione posto in A: questo campione è presente su una superficie di rottura che si è
formata prima che la poltre cominciasse ad evolversi in un fenomeno franoso, ossia si trovava nella
condizione 0 (quindi era soggetto a valori di p’ e q noti ed era in condizioni di parziale saturazione) e a
seguito della pioggia è passato alla condizione 1 (che giace sulla linea di rottura), ossia questo elementino in
sito, in seguito alla rottura, si è mosso come una frana di tipo slide (uno scorrimento). Consideriamo
l’elementino B: esso giace sulla superficie di rottura che si è formata in seguito alla formazione di una
superficie di rottura S1, era in condizioni iniziali 0 e, a seguito di una riduzione della pressione media
efficace, a seguito dei movimenti della superficie di rottura S1 e a seguito dell’imbibizione è passato alla
condizione 1, successivamente, a seguito del movimento della superficie S2, ha raggiunto la condizione 2 (si
è spostato sul criterio di rottura). Dunque il campioncino B è stato sottoposto inizialmente ad un
movimento di scorrimento e poi ad una colata. La frana di tipo colata è dovuta ad un campioncino sciolto,
quindi con una porosità abbastanza elevata, per cui l’apporto di acqua dovuto principalmente alla pioggia
(e in parte alla sorgente) ha provocato il raggiungimento di una condizione prossima allo stato di rottura e
nell’ipotesi di terreno saturo più che collasso si parla di un fenomeno di liquefazione. Questi stati tensionali
si analizzano con l’apparecchiatura triassiale (imponendo una σ’a e una σ’r) e con l’apparecchiatura di taglio
diretto. Utilizzando il principio delle tensioni proposto da Bishop per i terreni parzialmente saturi, è stato
possibile identificare un unico criterio di resistenza perché la σ’ definita da Bishop degenera nel principio
delle tensioni efficaci di Terzaghi nel caso in cui il grado di saturazione Sr sia pari a 1. Per questi terreni sono
state ricavate anche le curve di ritenzione sia a tensione verticale netta nulle sia a tensioni verticali nette
diverse da 0 , al fine di avere una curva di ritenzione per ogni strato in cui possiamo dividere la poltre
piroclastica. Sapendo che i terreni che ricoprono i rilievi di Sarno sono terreni piroclastici, originati
dall’attività eruttiva del Vesuvio, e quindi sapendo che sono già terreni caratterizzati da elevata porosità e
da un basso valore di peso specifico e che per la loro origine presentano una microstruttura aperta e con la
presenza di aggregati, sono stati eseguite diverse prova a scala diversa per valutarne la collassabilità. In
passato le prove sono state eseguite con apparecchiature triassiali e apparecchiature edometriche e poi
utilizzando un’apparecchiatura di taglio semplice a suzione controllata. Il campione è stato prima
consolidato con una consolidazione a suzione costante con una modalità simile a quella
dell’apparecchiatura edometrica, successivamente, nell’apparecchiatura di taglio semplice, è stato portato
ad un valore di τ (minore a quello di rottura) che rappresenta gli stati tensionali presenti in sito
(rappresentato dal poligono rappresentato in giallo). A seguito di questa fase è stata eseguita
un’imbibizione: i campioni sono stati portati a una suzione nulla o alla fase di rottura con velocità di
imbibizione costanti o variabili con una determinata legge. Tali velocità sono state scelte utilizzando dati
vicino alla realtà ottenuti da simulazioni numeriche di frane meteo-indotte.

Dunque, la prova è stata eseguita prima consolidando in maniera edometrica il campione, poi è stato
applicato uno sforzo di taglio τ al fine di riportare il campione ad uno stato tensionale simile a quello che
avrebbe in sito sul fianco di un pendio e dai dati ottenuti, sia utilizzando la carta delle pendenze dei rilievi
su cui sono stati prelevati i campioni sia dalle informazioni del criterio di resistenza, sono stati individuati
dei rapporti τ/σ’ realistici da applicare a suzione costante, poi si è proceduto all’imbibizione, ossia ad una
riduzione della suzione con velocità tarate utilizzando dei dati di simulazioni numeriche su frane che hanno
coinvolto i terreni piroclastici (meteo-indotte). Nella fase di taglio sono stati ottenuti risultati simili su tutti i
campioni su cui sono state eseguite le prove: in tale fase è stato raggiunto grado di deformazione di taglio
minore del 10% e una deformazione assiale minore del 5%; stimando il grado di saturazione è stato
possibile notare che le variazioni di esso in tale fase sono piccole e trascurabili e analogamente le variazioni
di suzione misurata (la fase di taglio è stata eseguita con una velocità di taglio abbastanza bassa da non
provocare variazioni della suzione misurata). Nella fase di imbibizione il comportamento varia: in base alla suzione

● per suzioni comprese tra 5 e 30 kPa le deformazioni assiali e le deformazioni di taglio sono
trascurabili (o comunque molto piccole), ma corrispondono a variazioni del grado di saturazione
abbastanza elevate (questo era un risultato atteso perché in tale fase è stata immessa acqua nel
campione;
● per suzione inferiore a 5 kPa si hanno delle accelerazioni della produzione di deformazioni sia assiali
che di taglio e, inoltre, il comportamento volumetrico non è collassabile ma dilatante: abbiamo
rigonfiamento. Tale comportamento è legato al fatto che le prove sono state eseguite su
un’apparecchiatura non convenzionale e su campioni ricreati in laboratorio (sono state imposte
porosità e contenuto d’acqua iniziali) per i quali, per quanto potessero essere simili al terreno in
sito, è stata annullata la storia tensionale dei campioni [occorre considerare che i terreni naturali in
condizioni indisturbate sono estremamente variabili (hanno una certa variabilità delle loro
proprietà): il rimaneggiamento dei campioni ha causato una riduzione di aggregati rispetto al
terreno indisturbato in sito e ha fatto perdere le caratteristiche tipiche dei terreni collassabili.

Dunque è importante caratterizzare ogni aspetto del comportamento meccanico del terreno e ciò si può
fare con diverse apparecchiature e sotto diverse condizioni di sollecitazione e deformazione.

Al fine di investigare la collassabilità del suolo ad una scala ancora più spinta si può utilizzare un tomografo,
che consente di ottenere immagini (tipo delle radiografie) da diversa angolazione del campione, ottenute
mantenendo ferme sorgente e detector e con il campione in rotazione (al contrario del tomografo ad “uso
umano” applicato per l’esecuzione delle TAC). Si tratta dunque di una tecnica non convenzionale. La
procedura di prova prevede una prima scansione, effettuata per conoscere le condizioni iniziali; poi la
suzione è stata applicata con la tecnica della colonna d'acqua negativa; un valore di suzione costante è
stato applicato per un giorno; alla fine di ogni step è stata acquisita una radiografia del campione.

MODELLI COSTITUTIVI

Al fine della spiegazione del comportamento meccanico delle terre (es. collasso, consolidazione
edometrica, cedimento di una fondazione) si utilizzano dei modelli, ossia degli schemi più o meno
semplificati, che interpretano fenomeni fisici complessi per prevedere il comportamento delle terre sotto
determinate azioni (carichi, incrementi di contenuto d’acqua). Possiamo avere diverse tipologie di modello:

● il modello elastico, ossia con comportamento lineare, reversibile o irreversibile;


● modelli dipendenti dalle tensioni applicati, dai valori e dai percorsi di carico seguiti;
● modelli viscosi, ossia in cui la velocità di carico, la temperatura, il tempo, l’applicazione della
suzione possono avere delle ripercussioni sulla risposta dei terreni.

Un modello costitutivo deve essere in grado di descrivere il comportamento di un materiale e di


rappresentarne gli aspetti più importanti del comportamento meccanico al variare delle condizioni di carico
e di deformazione.
Per le terre non esiste un unico modello costitutivo da poter applicare. Innanzitutto dobbiamo dividere la
modellazione delle terre sia per terreni saturi che per terreni parzialmente saturi.

Modello elastico
Il modello elastico consente di poter assimilare il comportamento del terreno studiato a quello di una molla
soggetta ad una forza di trazione. Se il comportamento è elastico-lineare, le deformazioni prodotte e la
forza applicata si muovono lungo una retta di pendenza pari alla costante elastica k; se il comportamento è
di tipo elastico non lineare non abbiamo più una corrispondenza biunivoca tra forza applicata e
spostamento prodotto, ma abbiamo comunque una relazione in funzione dello spostamento. Sappiamo che
qualsiasi forza applichiamo, una volta rimossa la sollecitazione le deformazioni ritornano allo stato iniziale.

Tale modello, in genere, si utilizza in geotecnica per il calcolo della deformazione dei terreni
sovraconsolidati, per l’analisi della diffusione delle tensioni nel terreno e per il calcolo delle strutture di
fondazione (tale modello sarà valido nelle ipotesi del mix design, per il quale le fondazione devono lavorare
in campo elastico).

Modello plastico

Il comportamento è plastico se, raggiunto un determinata soglia di sollecitazione, si manifestano delle


deformazioni permanenti e indipendenti dalla durata delle sollecitazioni applicate.
Raggiunto il valore F* ci muoviamo lungo il tratto AB avente pendenza pari a 1/H, dove H è detto
coefficiente di incrudimento (se è H = 0 il terreno è schematizzato come mezzo perfettamente plastico, se
H> 0 il terreno è ad incrudimento positivo, se H < 0 il terreno è ad incrudimento negativo). In genere, si usa
tale modello per i problemi di equilibrio limite, quali problemi di instabilità dei pendii, problemi relativi alla
capacità portante della fondazione, per opere di sostegno e altri problemi in cui si considera un equilibrio
limite.

Modello elasto-plastico

In questo modello la parte elastica e la parte plastica si combinano in serie. Questo modello, in genere, nei
problemi geotecnici si applica per la compressibilità edometrica dei terreni sovraconsolidati (come visto
anche in meccanica delle terre).

I modelli appena analizzati sono i modelli più semplici, ossia le basi di molti modelli utilizzati per
schematizzare vari problemi di ingegneria. In realtà per i terreni piroclastici campani, in particolare per
quelli provenienti da Sarno visti in precedenza, l’utilizzo di questi modelli semplici non è sufficiente, in
particolare per alcune sollecitazioni. Per il fenomeno di collasso di questi terreni (a seguito del processo di
imbibizione) è stato considerato un modello basato sulla teoria della plasticità generalizzata, in cui oltre alla
relazione forza-spostamento si tiene conto di diverse grandezze geotecniche: ad esempio, il modulo
elastico è funzione sia della tensione di compressione che dell’indice dei vuoti, si tiene conto anche della
linea di stato critico, della curva caratteristica riguardante la parte dei terreni parzialmente saturi e di un
parametro di stato, ovvero della distanza tra indice dei vuoti corrente (allo stato iniziale) e indice dei vuoti
preso sulla retta di stato critico allo stesso valore di tensione efficace media, poi si tiene conto di leggi della
dilatanza e, inoltre, il modello si definisce una volta definite le direzioni dei vettori di carico e scarico e dei
moduli riguardanti la legge plastica. Questo modello così avanzato richiede la calibrazione di 13 parametri
basati su prove di laboratorio su campioni di quei terreni, sia in condizione di totale che di parziale
saturazione. Questo modello è stato utilizzato per simulare i wetting test (prove di imbibizione) eseguiti con
apparecchiature di tipo edometrico (utilizzando sia con edometro standard sia con edometro a suzione
controllata) o triassiale (utilizzando l’apparecchiatura triassiale a suzione controllata). Questo modello è
utilizzato alla scala delle prove di laboratorio, ossia alla scala del REV, ossia dell’elementino di terreno dalle
dimensioni di un campione. Esistono anche altri modelli costitutivi ancora più avanzati (che consentono di
scendere ancora di più nel dettaglio) che simulano il comportamento dei terreni in prove di imbibizione in
condizioni di taglio semplice (per la calibrazione si usa la retta di stato critico ricavata con prove di taglio
semplice e la curva di ritenzione). In particolare, esistono modelli sperimentali che consentono di analizzare
il fenomeno dal punto di vista del movimento delle singole particelle solide (dei singoli granuli) e di come
l’acqua si diffonde all’interno del campione a seguito di un processo di imbibizione. La modellazione
numerica permette di simulare come varia la microstruttura interna a seguito di una riduzione della suzione
che provoca apporto d’acqua che si ridistribuisce nel campione.

L’aspetto principale è che mentre le prove sono standard, il piano di indagine deve essere valutato volta per
volta. I modelli matematici consentono di riprodurre i comportamenti dei terreni per ottenere parametri di
resistenza che poi serviranno in fase di progettazione.

LEZIONE 10: 23/03/2021

Esempi di esercizi con GeoStudio (vedi registrazione).

LEZIONE 11: 24/03/2021

CARATTERIZZAZIONE GEOTECNICA DEL SOTTOSUOLO E SEZIONE STRATIGRAFICA DI PROGETTO

Nell’Ingegneria Geotecnica è necessario caratterizzare quella “parte del sottosuolo che influenza il
comportamento dell’opera in esame” (o meglio potremmo generalizzare parlando di “comportamento
della questione in esame” perché se considero la stabilità di un pendio non mi riferisco a un’opera
realizzata ma bisogna studiare il territorio; che poi molto spesso mi interesso della stabilità di un pendio
perché a breve distanza c’è un elemento esposto all’eventuale rischio derivante dall’instabilità)
individuando:

● terreni presenti (in tale fase può essere d’aiuto il supporto di un geologo);
● geometria delle stratificazioni, che richiede indagini in sito;
● regime delle acque sotterranee;
● proprietà fisico-meccaniche dei terreni
● stato tensionale e passato

Questa operazione di caratterizzazione viene indicata sinteticamente come caratterizzazione geotecnica del
sottosuolo, che deve essere svolta dall’ingegnere, che si assume della responsabilità dei risultati,
coadiuvato da diverse figure (geologo, topografo).

Le finalità delle indagini

Consideriamola realizzazione di un’opera in ex-novo; il contributo delle indagini geotecniche si differenzia


nei vari passi della progettazione (tipicamente è opportuno eseguire indagini in più fasi):

● analisi di fattibilità;
● scelta del sito;
● supporto alla progettazione e all’organizzazione del lavoro (es. scelgo quale perforazione per la
realizzazione di una galleria è migliore nell’area in cui ci troviamo).
L’altro grosso caso riguarda gli interventi su manufatti esistenti; in tal caso le indagini sul sottosuolo hanno
come finalità principale la caratterizzazione del sottosuolo (spesso il progettista è differente da quello
dell’opera originale).

Per interventi a seguito di fenomeni di dissesto, le indagini devono fornire gli elementi conoscitivi che
interpretare l’accaduto e risalire alla causa del danno.

Acquisizione informazioni preliminari

In tutti e tre i casi occorre acquisire informazioni preliminari (presso enti, altri professionisti che conoscono
la zona, da lavori eseguiti in precedenza in quel territorio, materiale bibliografico), tra cui:

● conoscenza della situazione geologica (es. che tipi di terreni ci sono);


● risultati di indagini precedentemente effettuate nei pressi del sito in esame (tuttavia occorre fare
attenzione perché le indagini devono essere legate alla stessa finalità: ad esempio se ho mal di
schiena non serve prendere informazioni precedenti legate a controlli effettuati da un otorino);
● visione diretta dei luoghi (è un aspetto fondamentale: tutto parte da un sopralluogo; non è
possibile dire che non può farsi un sopralluogo perché già da qualche anno potrei farli a distanza,
comodamente dallo studio, prima del raggiungimento del sito, permettendo anche una migliore
gestione del lavoro e della attrezzature da impiegare, utilizzando in maniera quantitativa anche le
immagini satellitari di “street-view” ad esempio con Google Earth).

Articolazione delle indagini

Per le opere di minore importanza potrei evitare gli studi di fattibilità perché ovviamente se ci sono tutte le
autorizzazioni sicuramente non ho problemi legate al sottosuolo, per opere di maggiore importanza è
opportuno fare studi per capire innanzitutto individuare il sito migliore per realizzarla e capire in che modo
eseguirne efficacemente la progettazione. Ad esempio, se devo realizzare una discarica devo stare attento
a non recare danni legati alla diffusione di inquinanti delle acque che poi distribuisco alla popolazione; per
quanto riguarda la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina in che punto preciso devo realizzare le
torri e in che punti devo installare i blocchi di ancoraggio. Se ritenute necessarie, bisogna prevedere
indagini in fase di studio di fattibilità molto più estese, in termini di area e profondità interessate, di quelle
da operare in fase di progetto perché, non essendo nota la soluzione progettuale adottata, non è stimabile
in modo attendibile il volume di terreno interessato.

In fase di progetto, invece, ho individuato la zona in cui realizzare l’opera e ho definito la soluzione
progettuale da applicare; ne consegue che le indagini da eseguire in tale fase devono fornire le conoscenze
della stratigrafia e del comportamento meccanico dei terreni. L’estensione di tali indagini è minore, ma la
densità è maggiore perché la densità del sottosuolo deve essere più dettagliata. Sono possibili alcune prove
per studiare soluzioni tecnologiche particolari (iniezioni, jet grouting) o per valutare il comportamento di
elementi strutturali (prove di carico su pali e tiranti). Ad esempio, se mi rendo conto che sotto al pilone di
un ponte non ho resistenza adeguata potrei decidere di eseguire il jet grouting (che è una tecnica che,
mediante l'iniezione nel terreno di una miscela cementizia ad alta pressione attraverso degli ugelli,
consente di consolidare i terreni di fondazione). Un altro tipo di prova è rappresentato dalle prove di carico
su pali: porto alcuni pali a rottura per avere la curva carico-cedimenti, dalla quale vedo che, aumentando il
carico, ad un certo carico ho una grande deformazione (definisco il carico limite del palo, ossia il valore
limite della forza che riesco ad applicare che comporta spostamenti molto grandi, non compatibili con le
opere civili, e il terreno subirà un meccanismo di rottura tale per cui non riesco più a sopportare questo
carico. Tipicamente questa prova si conduce a spostamenti controllati: impongo uno spostamento e vedo
quale carico mi serve per produrre questo spostamento.
Le indagini in corso d’opera sono indispensabili quando in fase di progetto è impossibile prevedere alcuni
aspetti del comportamento dei terreni. Un esempio tipico riguarda lo scavo delle gallerie, per il quale,
differentemente dalla maggior parte delle altre tipologie di cantieri, l’interazione delle operazioni con il
sottosuolo continua per periodi molto lunghi (per ottimizzare le gallerie in contemporanea si parte sia
dall’estremità di destra che da quella di sinistra e si procede verso il centro fino a quando le perforazioni
raggiungono la stessa sezione), tipicamente molti mesi. N.B. per esplorare e avere informazioni dirette sui
terreni attraversati dallo scavo di una galleria si eseguono dei tunnel esplorativi, o cunicoli di ispezione,
ossia si esegue un “mega sondaggio in orizzontale” nel quale possiamo entrare fisicamente per esplorare
tutti i terreni attraversati). Qualora necessarie, tali indagini forniscono indicazioni tempestive sulle
procedure e sulle soluzioni tecniche da adottare e non potrebbero in alcun modo essere sostituite dalle
indagini eseguite in fase di progetto.

Quando facciamo delle indagini può essere eseguire il monitoraggio delle opere, ossia controllare la
variazione nel tempo di alcune grandezze (spostamenti, forze, pressioni neutre) assunte come
rappresentative del comportamento di un’opera in fase di realizzazione o dell’opera completata. Il
monitoraggio delle opere è indispensabile quando la non funzionalità dell’opera può avere conseguenze
catastrofiche (consideriamo ad esempio la fallanza di una diga o di una galleria).

Tutte le fasi (indagini in fase di studio di fattibilità, indagini in fase di progetto, indagini in corso d’opera e
monitoraggio delle opere) sono eseguite per lavori di una certa importanza (costruzione di dighe, gallerie,
discariche) e coinvolgono solitamente diverse figure professionali. Nella maggior parte dei casi più
semplice, le indagini sono racchiuse preferibilmente in due fasi: in una prima fase di indagini di
inquadramento, in cui ci facciamo un’idea e facciamo dei conti, soprattutto con i committenti, e una
seconda fase di approfondimento, in cui facciamo indagini più approfondite, basandoci sui risultati ottenuti
nella fase precedente.

Estensione delle indagini

Il volume di terreno che, con le sue proprietà, influenza in modo apprezzabile il comportamento dell’opera
si definisce “volume significativo”. A tale volume vanno indirizzate le indagini. L’aspetto fondamentale è
che tale volume non è noto a priori, però si possono fare opportune considerazioni.

Ad esempio, se ho un muro di sostegno alto H il terreno coinvolto è quello che sta sotto al muro stesso e
l’effetto del carico coinvolgerà la porzione di terreno fino a una profondità pari circa ad H (il carico non
influenza tutto il terreno “fino al centro della terra”). Se dovesse nascere un cinematismo (una superficie di
scorrimento) che coinvolge il muro, esso non interessa una quantità di terreno infinita, ma un volume di
terreno tipo quello indicato in figura (L = 2H e D= H). Se consideriamo un rilevato, può verificarsi una
superficie di scorrimento che comporta il crollo di una parte del rilevato. Per le fondazioni devo
innanzitutto considerare la tipologia di fondazione (superficiale, profonda) perché influenza la profondità di
terreno coinvolto dai carichi.
Raccomandazioni AGI

Nel caso di terreni omogenei, un’indicazione di massima del volume significativo è legato alla tipologia e
alle caratteristiche dell’opera da realizzare e alle caratteristiche del terreno stesso.

Nel caso di terreno stratificato e soprattutto in presenza di stratificazioni profonde di terreni scadenti, le
profondità indicate andranno opportunamente maggiorate. Nel caso di terreni dalle buone proprietà
meccaniche molto superficiali, è buona norma approfondire comunque le indagini fino ad opportune
profondità.

Esempi semplici

- Fabbricato a pianta rettangolare con lati di 15 m x 30 m, con sollecitazione sul piano di posa di 100
kPa (corrispondente a sette - otto piani) => volume significativo = 104 m3
- Impianto industriale con dimensioni in pianta di 250 m x 150 m, con sollecitazione sul piano di posa
di 70 kPa => volume significativo = 5 106 m3

L’ingegnere è essenziale perché serve una figura che riesca a schematizzare la questione e con poche
indagini consente di ottenere i parametri necessari alla caratterizzazione del sottosuolo e all’individuazione
dei parametri necessari per eseguire la progettazione.

Alcune indicazioni

Per quanto riguarda la frequenza o “densità” delle indagini, bisogna tener presente che il volume di terreno
effettivamente indagato è comunque una percentuale estremamente ridotta del volume significativo.
Un’indicazione di massima della frequenza delle indagini in funzione del tipo di opera è riportato nella
seguente tabella:
Costi delle indagini

Non è possibile stabilire con precisione che aliquota del costo totale dell’opera venga spesa per le indagini,
essa dipende dall’importanza dell’opera e dalle difficoltà tecniche presentate dal sito

Individuiamo un diagramma “sondaggio e/o prove penetrometriche in relazione all’aria investigata” in cui
individuo tre zone:

Nell’area in cui devo progettare i parcheggi posso eseguire un numero inferiore di indagini rispetto al sito in
cui realizzo gli edifici perché i carichi che graveranno sul sito adibito a parcheggi sono di minore entità.

Su progetti esecutivi il numero di indagini aumenta perché voglio una caratterizzazione più spinta e una
determinazione dei parametri di resistenza con maggiore dettaglio e precisione.
Si può ragionevolmente affermare che il costo delle indagini non supera il valore di qualche unità
percentuale del costo totale dell’opera. Le percentuali si riducono all’aumentare del costo totale dell’opera.
Risparmiare sul costo delle indagini nella maggior parte dei casi non riduce significativamente il costo totale
dell’opera e può condurre ad errate valutazioni dalle conseguenze economiche molto onerose. Nel caso in
cui dovessero essere eseguite in maniera inadeguata le indagini (indagini mal eseguite o mal programmate)
potrebbero verificarsi errori e dunque ne consegue la necessità di dover eseguire prove e indagini
aggiuntive ed eventuali interventi di adeguamento: ciò comporta un incremento dei costi e dei tempi
necessari per realizzare l’opera.

LEZIONE 13: 26/03/2021

Seminario

LEZIONE 14: 29/03/2021

Attività progettuale n.1

LEZIONE 15: 30/03/2021

STABILITA’ DEI PENDII

Un pendio è una parte inclinata della superficie terrestre. I pendii più problematici sono quelli meno acclivi
(le dolci colline e le dolci montagne possono essere più franose) perché tipicamente sono composti da
materiali a grana fine (argille) poco resistenti: nei millenni gli agenti atmosferici le hanno erose, scalfite e
oggi si trovano nella configurazione in cui le vediamo. Se parliamo di un costone roccioso questo pendio
può essere quasi verticale (difficilmente si arriva a 90° rispetto all’orizzontale, ma si hanno forti angoli).
L’azione delle onde può erodere il fronte roccioso per cui potrei trovarmi anche blocchi di roccia aggettanti.
È chiaro che un pendio molto acclive (molto pendente) presenta comunque delle problematiche: in un
pendio molto inclinato potrebbero venirsi a creare superfici di scorrimento e la massa che eventualmente si
distacca può raggiungere elevata velocità (maggiore trasformazione di energia potenziale in energia
cinetica) con aumento dei pericoli legati soprattutto per case e infrastrutture prossime al pendio stesso.

Potrei avere un pendio in argilla poco acclive attraversato da una strada: occorre prestare attenzione
perché, come anticipato, questi pendii presentano bassa resistenza e dunque potrebbero franare,
portandosi dietro anche l’infrastruttura. Potrebbe anche capitare che non si sviluppi una superficie di
scorrimento (non arrivo a rottura), ma ho deformazioni molto importanti che portano allo spaccamento
della strada: non ho fenomeni di instabilità di un volume definito, ma nel tempo si potrebbero sviluppare
delle deformazioni diffuse. Ciò può essere dovuto ad esempio al livello di falda che cambia nel tempo e ai
moti di filtrazione: il comportamento tensio-deformativo è dipendente dall’andamento delle pressioni
dell’acqua nel tempo.

Occorre differenziare pendii naturali e pendii artificiali. Per i pendii naturali valgono tutte le
caratterizzazioni del sottosuolo viste in precedenza: “quello è e non possiamo cambiarlo”! Le
problematiche relative al sottosuolo e alle indagini sono spinte e complicate nel caso della stabilità dei
pendii perché non si possono applicare diverse semplificazione.

Passando ai pendii artificiali cambia tutto. Uno scavo è una situazione intermedia tra pendii naturali e
artificiali. La zona manomessa (i fronti di scavo) è un pendio artificiale o naturale? E dunque se si stacca una
massa frana un pendio naturale o artificiale?

Nei pendii naturali lo stato dei luoghi, ossia la topografia, è dovute all’evoluzione storica di quel luogo (ad
esempio imputabile all’azione degli agenti atmosferici) oltre ad una piccola parte in cui l’uomo è
intervenuto in piccola parte (ossia con interventi non molto invasivi, es. costruzione di una strada che può
aver cambiato il ruscellamento delle acque). Un pendio artificiale è un pendio del quale scegliamo la
geometria e le proprietà meccaniche: sono realizzati scegliendo materiali, inclinazioni,... I rilevati stradali e
ferroviari, le dighe in terra, gli sbarramenti fluviali, le movimentazioni delle terre (tipo terrazzamenti), le
scogliere artificiali di protezione della costa, le discariche sono esempi di pendii artificiali. I pendii artificiali
interagiscono con terreni naturali (ad esempio gli scogli sono posti sul fondo marino e interagiscono con
esso) che devo investigare. In giallo ci sono le parti da investigare con le indagini.
Lo scavo (in inglese cut slope), sebbene sia un pendio creato artificialmente, può essere ritenuto naturale
poiché i terreni erano già in quel luogo. Tutto sommato lo possiamo considerare una via di mezzo in quanto
presenta caratteristiche sia di pendio naturale sia di pendio artificiale.

Prima degli eventi di Sarno si costruiva ovunque perché non c’era regolamentazione: per tale motivo oggi ci
ritroviamo molte costruzioni realizzate precedentemente in zone che sono successivamente descritte come
zone di rischio (es. rischio da frana, ma anche rischio idraulico, rischio da incendio,…). Dunque l’ingegnere è
chiamato a studiare le relazioni tra i pendii con le opere di ingegneria civile ed ambientale.

Origine dei pendii

I pendii naturali traggono origine dall’azione di agenti naturali (quali le azione tettoniche, l’erosione, le
glaciazioni, le frane,…) che hanno configurato la morfologia del territorio, creando incisioni e valli e quindi i
pendii.
I pendii artificiali sono dovuti all’azione antropica che modifica la topografia dei luoghi. Essi possono essere
parte di uno scavo o una costruzione di terra.

Nei pendii naturali e negli scavi i terreni che formano la scarpata sono quelli in posto, quindi originati dal
processo di deposizione geologico, caratterizzati da stratigrafie complesse non note a priori e da forte
variabilità delle proprietà meccaniche ed idrauliche. Nelle costruzioni di terra i materiali messi in posto
sono scelti dal progettista, quindi noti e selezionati opportunamente (si spera), se le esigenze di progetto lo
impongono, secondo rigorosi capitolati che regolano i lavori. Anche i procedimenti di costruzione possono
essere scelti in modo da migliorare le qualità della costruzione.

Modello dei terreni costituenti il pendio

● Pendii naturali e scavi

Nel caso di pendii naturali e scavi il progettista e i suoi consulenti devono indagare i terreni, limitatamente
ad alcune verticali (indagini), e devono estrapolare i dati ottenuti nelle verticali indagate a tutto il volume
interessato dalle analisi, in modo da ottenere un modello continuo di sottosuolo su cui eseguire le verifiche
imposte dalla vigente normativa. Esistono sensibili incertezze legate:

● alla conoscenza del sottosuolo (queste sono tanto minori quanto più ampia è l’indagine);
● alla variabilità naturale dei terreni e delle proprietà (sono tanto maggiori quanto più ampia è la
dispersione delle grandezze in gioco).
I pendii naturali possono avere e hanno delle incertezze soprattutto a livello geologico. Per tale motivo sui
pendii naturali sono necessarie apposite indagini (già analizzate nelle lezioni precedenti); sui pendii
artificiali (se successivamente alla realizzazione c’è interesse a essi è perché tipicamente ci sono dei
dissesti) si potrebbe accedere alla documentazione di progettazione, ma certamente occorre indagare lo
stato dei luoghi. Tuttavia, occorre considerare che non è semplice indagare su alcuni manufatti (ad esempio
non è banale investigare su una diga o una discarica perché si dovrebbero prevedere indagini poco invasive
e non distruttive). Nei pendii naturali ci sono alcune incertezze da gestire. Il malcostume italiano ha
trasformato queste incertezze in “sorprese geologiche”. Negli anni sono state permesse varianti inutili a
progetti, però di sorpresa non c’è niente: non ci si può sorprendere se il sottosuolo risulta essere
eterogeneo e molto articolato (non ci si può sorprendere dalla variabilità naturale dei terreni e delle loro
proprietà meccaniche di resistenza); la vera sorpresa che ci si può trovare è legata al fatto che un rilevato
dichiarato come costituito da ghiaia e sabbia in realtà presenta un cuore tenero di materiale scadente
(questo è un reato perseguibile legalmente).

● Costruzioni in terra

Nel caso delle costruzioni in terra l’elemento di conoscenza dei materiali è rappresentato dalle prescrizioni
contenute nel capitolato speciale d’appalto che detta le regole per la scelta dei materiali e per la loro posa
in opera. Le indagini sono comunque indispensabili per la conoscenza dei terreni di fondazione. Infine si
eseguono controlli per verificare che le proprietà delle terre messe a rilevato corrispondano a quelle di
progetto.

Indagini

Le indagini sui versanti instabili possono essere eseguite in fase di programmazione urbanistica o in fase di
progetto di un’opera di stabilizzazione o di un manufatto fondato sul pendio. In questo secondo caso le
indagini vengono eseguite di norma in due momenti successivi, ovvero prima ai fini del progetto
preliminare poi ai fini del progetto esecutivo, e sono caratterizzate da diversi livelli di approfondimento.

Le indagini riguardano:

● geologia;
● geomorfologia ed evoluzione del versante;
● topografia e sua evoluzione nel tempo (*);
● stratigrafia;
● caratteristiche climatiche del sito (piogge (*) ed eventualmente temperature);
● caratteristiche meccaniche e idrauliche dei terreni;
● regime delle acque nel sottosuolo (*).
(*)
Grandezze oggetto di monitoraggio, ovvero di controlli ripetuti nel tempo finalizzati alla misura della
variazione della grandezza nel tempo.

In alcune circostanze può essere utile indagare:

● storia ed eventi pregressi [ciò è di particolare interesse per pendii argillosi poco acclivi che
periodicamente subiscono deformazioni: es. possiamo notare una strada che periodicamente
subisce deformazioni (ogni anno la troviamo sempre più diroccata, sebbene venga “riparata”);
tipicamente in tal caso si cerca di inserire opere di sostegno che interagiscono con il pendio
sovrastante oppure si scava verso l’interno spostando un po' la strada, dunque rimuovendo una
parte di terreno ai piedi del pendio];
● fattori locali [es. vibrazioni indotte da esplosioni (magari nei pressi di cave di estrazione), …; le
vibrazioni, ad esempio, possono essere legate anche ai lavori nei cantieri oppure al passaggio dei
treni (però avere vibrazioni tali da indurre instabilità di versante rappresenta un caso un po'
remoto)].

Influenza del processo di formazione sul regime di pressione neutre

● Pendii naturali

Il processo di formazione (accumulo o erosione di materiale, faglie, … ) è sufficientemente lontano nel


tempo da poter ritenere che allo stato attuale sia stata raggiunta una condizione di equilibrio idraulico in
cui le pressioni neutre nel sottosuolo sono dipendenti dalle sole condizioni idrauliche al contorno. Le
trasformazioni naturali che sono intervenute dalla formazione geologica del pendio ad oggi sono in genere
molto lente; quindi anche queste, in genere, non inducono sovrapressioni neutre nel pendio, conseguenti a
variazioni dello stato tensionale totale.

● Pendii artificiali

Il processo di formazione è quasi sempre rapido rispetto alla capacità dei terreni di smaltire le
sovrappressioni neutre legate alla variazione dello stato tensionale totale, dovute alla stessa formazione del
pendio. Esiste pertanto una fase della vita del pendio, immediatamente successiva alla sua formazione, in
cui le pressioni neutre variano sensibilmente e tendono ad egualizzarsi con le condizioni idrauliche al
contorno. Altre trasformazioni, se di natura antropica, sono quasi sempre rapide e quindi capaci di indurre
sovrapressioni neutre nel pendio.

L’acqua nei terreni per egualizzarsi devono muoversi alla velocità di Darcy (v=kJ) ossia ci vuole molto
tempo, mentre il tempo di realizzazione di un’opera è dell’ordine dei mesi: per ragioni pratiche ed
economiche non è pensabile di poter scavare in modo geologico, cioè senza generare pressioni neutre e
quindi deformazioni, perché dovrei scavare all’incirca mezzo metro ogni cinque anni comportando
incremento dei costi e delle tempistiche di realizzazione dell’opera. Di conseguenza, può succedere che
realizziamo un pendio in cui le pressioni neutre sono più alte di quelle in equilibrio con le condizioni
idrauliche al contorno:

Dunque, in condizioni di esercizio, un pendio artificiale può avere una sovrappressione neutra da smaltire.

Le pressioni neutre cambieranno nel tempo e dunque avrò delle deformazioni nel tempo (si possono avere
rotture dilated, ossia dilazionate nel tempo, anche dopo molti anni). Tuttavia, se le indagini sono eseguite
opportunamente si possono stimare i coefficienti di sicurezza nel tempo, anche per tempi molto lunghi.

Condizioni drenate e non in un pendio


Un pendio naturale, costituito da terreni a grana fina saturi, si trova normalmente in condizioni drenate.
Durante la vita del pendio può esservi un incremento o decremento di carichi al contorno (perturbazione)
che può determinare una condizione totalmente o parzialmente non drenata, con insorgenza di
sovrapressioni neutre Δu.

Un pendio artificiale, costituito da terreni a grana fina saturi, si trova nella sua fase iniziale in condizione
non drenata, a causa del suo stesso processo di formazione, che induce sovrapressioni neutre Δu. Queste si
dissipano nel tempo fino al raggiungimento della condizione drenata. Anche in questo caso durante la vita
del pendio può esservi un incremento o decremento di carichi al contorno che può determinare
sovrapressioni neutre Δu. Inoltre, Il Δu (disequilibrio delle pressioni neutre) oscilla maggiormente in un
pendio artificiale rispetto a uno naturale.

Pendii naturali: regimi delle pressioni neutre

Il regime di pressioni neutre nel pendio può trovarsi in equilibrio con le condizioni idrauliche al contorno
(condizione stazionaria) o in condizioni di squilibrio (condizione transitoria). In prossimità del piano
campagna (per alcuni metri o per qualche decina di metri) la condizione è sempre transitoria per la
continua variazione delle condizioni idrauliche al p.c.: alternanza di pioggia ed insolazione. Ad una certa
profondità dal p.c. nei pendii naturali il flusso d’acqua è quasi sempre stazionario, perché si estingue
l’effetto delle variazioni idrauliche al p.c.

In particolare, dobbiamo capire che le condizioni al contorno le fissiamo noi: dobbiamo estendere lo studio
fino a dove c’è una certa condizione idraulica al contorno visibile e misurabile.

Variazione stagionale delle pressioni neutre in un pendio naturale

In un pendio naturale di Argille Varicolori, nella valle del Basento, sono state misurate le altezze
piezometriche nei due piezometri Casagrande installati a diverse profondità: la cella superiore segnala le
escursioni stagionali, quella profonda no. Nel grafico seguente sono riportati i risultati:
In particolare, è stato posto un piezometro che pesca a 3 metri dal p.c. e un altro a 12m e sono state
registrate le due serie temporali. Si osserva che la quota piezometrica misurata dal piezometro superficiale
è maggiore di quella misurata dal piezometro in profondità: l’acqua tende a muoversi con un moto di
filtrazione dall’alto verso il basso con velocità variabile nei diversi periodi. Queste misure sono relative ad
uno studio importante per il quale è stato fatto un monitoraggio per una serie di anni.

Cause di frana di un pendio naturale

Tra le cause di una frana in un pendio naturale (perturbazioni) abbiamo:

● modifiche topografiche e apposizione di carichi al piano campagna (inizialmente il pendio sta per i
fatti suoi e successivamente lo modifichiamo o applichiamo su essi dei carichi);
● erosione al piede del pendio (ad esempio dovuto per l’azione naturale di un fiume che scorre lungo
la valle e nel tempo erode il pendio, oppure ad azioni antropiche legate alle movimentazioni di
terreno per la costruzione di una strada);
● degrado meccanico dei terreni (ammorbidimento) [l’interazione degli agenti atmosferici non
migliora le caratteristiche meccaniche di terreni e rocce, ma le riduce];
● innalzamento della falda (il movimento della falda può causare la formazione di superfici di
scivolamento con conseguente movimento di masse franose);
● spinta idraulica nelle fratture [es. consideriamo il caso di una frattura piena d’acqua; in essa il
diagramma delle pressione neutre è lineare con pendenza γw. Posso immaginare questa situazione
come una cannuccia perché ho l’acqua di pioggia che per continuità entra da una parte e deve
uscire da un’altra (consideriamo flusso stazionario: quanta acqua entra tanta ne esce). Avrò due
spinte: la risultante 1 tende a sollevare il blocco, l’azione 2 tende a spingerlo: ne consegue che il
blocco va a valle];

N.B. Può esserci anche il caso in cui si crea solo la spinta 1 (in tal caso devo vedere se la frattura è solo
orizzontale oppure è anche inclinata verso il basso perché in quest’ultimo caso potrebbe scivolare) oppure
solo la spinta 2 dovuta all’acqua (in tal caso devo capire se il blocco riesce a resistere per il solo attrito alla
base).
● evoluzione retrogressiva (se un pendio si instabilizza, la parte che rimane esposta a seguito dello
scorrimento sarà più pendente in certe zone rispetto alla situazione precedente: si può creare una
nuova superficie di scorrimento, ossia si crea un effetto domino con successivi scorrimenti);

● sisma (potrebbe determinare frane, ma non è detto che sia così).

Le precedenti cause di frana possono determinare condizioni non drenate nel pendio costituito da terreni a
grana fine saturi se sono in grado di produrre una variazione rapida dello stato tensionale totale nel
sottosuolo. Se non c’è variazione di tensioni totali o se questa è molto lenta, tale da consentire il drenaggio,
il pendio raggiunge la rottura in condizioni drenate. La variazione di tensioni totali nel corpo di frana può
derivare dall’applicazione di carichi esterni o da una ridistribuzione delle tensioni nell’ambito del corpo di
frana. Dunque, occorre capire se ci troviamo in condizioni drenate o no.

Sismi e frane

Prendiamo in riferimento un sisma che è una sollecitazione estremamente rapida che può creare o meno
sovrappressioni. Posso avere oscillazioni non accompagnate da variazioni di volume che comportano
assenza di variazione delle pressioni neutre (legate alla deformazione volumetrica).

Un terreno non esibisce tendenza a deformazioni di volume (né di contrazione né di dilatazione) allo stato
critico. Se abbiamo una frana già mobilitata, in cui ho raggiunto lo stato critico (magari sto già in condizioni
di tau residua, dunque c’è stato un grosso scorrimento) anche se continua lo scorrimento non ho variazioni
di volume: lungo la superficie di scorrimento le pressioni neutre non variano.

Se l’azione sismica è talmente forte da causare variazioni volumetriche si creano sovrappressioni neutre:
nel tempo queste sovrappressioni tenderanno ad egualizzarsi e dunque può riattivarsi una frana (ciò può
avvenire anche dopo ore o giorni o settimane o mesi: in Irpinia c’è stato terremoto e dopo tempo si sono
viste frane, la spiegazione è questa appena riportata).

In molti parti del mondo ed in differenti contesti geologici si sono manifestati eventi di frana indotti da forti
sismi. Secondo tali esperienze è sufficiente una magnitudo pari a 4 ad innescare frane di varia natura: se il
sisma investe un’area vasta sono possibili decine o addirittura centinaia di frane connesse.

Raggio di influenza delle azioni sismiche

Keefer (1984) sulla base di dati sperimentali stabilì delle correlazioni fra l’intensità del sisma e la distanza
dall’epicentro alla quale si risentivano gli effetti in termini di frane mobilitate. La correlazione si specializza
per i vari tipi di frana (crolli e scorrimenti, scorrimenti in terreni coesivi, colate e colamenti).
Effetti meccanici del sisma

Il sisma conferisce alla massa un’accelerazione detta appunto sismica, in aggiunta a quella di gravità. La
forza di massa che ne deriva, integrata sul possibile volume instabile, determina una risultante che
rappresenta l’effetto inerziale del sisma. Nei terreni saturi lo scuotimento può provocare l’insorgere di
sovrappressioni neutre nel sottosuolo.

La relazione fra frana e tempo

L’effetto inerziale è rilevante su piccoli volumi ma è trascurabile su grandi volumi, dove l’accelerazione non
può considerarsi, nel generico istante, ovunque ugualmente diretta ed equiversa. Le frane causate
dall’effetto inerziale si innescano col sisma e si fermano al termine dello scuotimento. Le grandi frane
indotte o riattivate dai sismi sono da ricondursi probabilmente all’ insorgere di sovrapressioni neutre, che, a
differenza dell’effetto inerziale, non si annullano al termine del sisma. Anzi la sovrappressione neutra nei
terreni argillosi può continuare ad aumentare dopo la fine del sisma per l’effetto viscoso dei terreni che
prolunga nel tempo la tendenza del materiale a comprimersi.

Pendii artificiali

I pendii artificiali possono essere costituiti da:

● terreno in sede (scavi, anche se il professore ritiene gli scavi meglio considerabili come una
condizione intermedia tra pendii artificiali e pendii naturali);
● terre compattate (rilevati, dighe).

Per i pendii artificiali si pone il problema della stabilità del pendio, cioè delle scarpate che costituiscono il
manufatto: ma il problema è più delicato ed impegnativo se il manufatto modifica la topografia di un
pendio naturale, aggravandone le condizioni di stabilità. La situazione è ancora più delicata quando le
modifiche antropiche avvengono su un pendio già in frana.

Pendii artificiali in siti stabili

I possibili problemi di instabilità derivano da modifiche geometriche e tensionali apportate dalla


costruzione del manufatto. Le superfici di scorrimento sono di neoformazione. E’ prassi eseguire le verifiche
di stabilità con la resistenza di picco dei terreni attraversati.
N.B. ricordiamo che il caso delle trincee è riconducibile al caso dello scavo e dunque alle considerazioni
fatte a inizio lezione.

Scavi su un pendio naturale

Può capitare che scalziamo al piede una frana già mossa in precedenza. Lo scavo in frana può mettere a
giorno o meno la superficie di scorrimento esistente. Possono verificarsi due casi:

1. Nel primo caso è evidente la possibilità di riattivazione della suddetta superficie.;


2. Nel secondo caso è possibile l’innesco di una superficie di neo-formazione, di raccordo fra la
superficie esistente e il fronte di scavo.

Lo scavo in frana è un’operazione particolarmente delicata, se si ritiene che possa essere attivata una
superficie di scorrimento esistente. In tal caso infatti può essere mobilitata l’intera frana a monte dello
scavo, o una porzione di essa, in quanto viene rimosso un cuneo di terreno che assicurava una forza di
contenimento per il terreno a monte. Lo scavo deve essere protetto (si devono prevedere opere di
contenimento): le opere più comunemente utilizzate sono le paratie e le gabbionate.

La protezione con gabbioni può avere alcuni problemi: si tratta di una struttura sufficientemente
deformabile e ciascun blocco è sufficientemente rigido da non adattarsi bene alle eventuali deformazioni
dell’intera opera. Inoltre, non è banale calcolare e progettare una paratia che interagisce con un corpo di
frana. In condizioni normali si identifica un volume di terreno che spinge sulla paratia per cercare di
ribaltarla, inoltre è presente un volume di terreno che, essendo un corpo di frana, presenta forze resistenti
alla base inferiori alle forze stabilizzanti dovute alla componente tangenziale alla superficie di scorrimento
della forza peso del volume di terreno che va a gravare sulla paratia. Dunque è importante capire quali
sono i volumi in gioco (quelli in giallo) che devono essere sostenuti dal cuneo di terreno alla destra della
paratia:
Per migliorare l’azione di protezione della paratia si potrebbe prevedere anche una serie di tiranti (da
ancorare appositamente).

Se il motore dell’instabilità è legato alle pressioni neutre, potrei prevedere dei drenaggi sub orizzontali che
abbattono le pressioni neutre lungo il loro sviluppo lineare, oppure una serie di pozzi (possiamo vederli
come una sorta di drenaggi verticali) con analoga funzione (essi “portano aria” nei terreni).

La cosa importante da tenere in considerazione per intervenire realizzando opere di stabilizzazione è capire
quali sono i motori dell’instabilità stessa e qual è il volume geotecnico interessato dall’instabilità.

LEZIONE 16: 31/03/2021

Una massa di terreno che si stacca da un pendio generalmente può compiere tre cinematismi: traslazione
verticale, traslazione orizzontale e rotazione. I coefficienti di sicurezza rappresentano dei livelli di sicurezza
che posso quantificare, ad esempio, come rapporto tra momento (o forza) stabilizzante e momento (o
forza) instabilizzante. In generale è possibile definire tre coefficienti di sicurezza: uno rispetto alla
traslazione verticale, uno rispetto alla traslazione orizzontale e uno rispetto alle rotazioni. Questi livelli di
sicurezza rispetto al fenomeno studiato potrebbero essere anche diversi: ad esempio, in una certa
condizione una certa massa potrebbe essere più suscettibile a ruotare piuttosto che a traslare; ad esempio i
terreni granulari non coesivi amano le traslazioni perché tale cinematismo è favorito dall’assenza di
coesione (si generano scivolamenti traslativi), viceversa in pendii coesivi (quelli in argilla per capirci)
l’instabilità tende ad essere di tipo rotazionale. Dunque un’instabilità dipende dalle caratteristiche
meccaniche dei terreni e i coefficienti di sicurezza possono essere diversi e dipendono dal tipo di
cinematismo. In realtà noi ingegneri cerchiamo un coefficiente di sicurezza rappresentativo dei tre
cinematismi (non è una media di sicurezza) che descriva il livello di sicurezza rispetto all’intero volume in
gioco e rispetto a tutti i cinematismi. Questa è una prima alternativa, però potremmo anche pensare di
scegliere il tipo di cinematismo (scelgo la superficie di scorrimento e dunque il volume interessato) per il
quale calcolare il coefficiente di sicurezza (ad esempio non avrebbe senso considerare una superficie di
scorrimento circolare in un terreno granulare: pensiamo al movimento che fanno i granelli di sabbia in un
cumulo, che “scorrono” gli uni sugli altri e non si ha una rotazione; viceversa in terreni a grana fine ho la
possibilità di osservare interi blocchi che si staccano con superficie di scorrimento rotazionale). Poiché
scegliamo la superficie di scorrimento, automaticamente identifichiamo anche il volume interessato.
L’ipotesi che in prima battuta facciamo (ma che non è sempre vera) è che l’intera massa di terreno si
muova come corpo rigido, ma ci sono dei problemi da tenere in considerazione in quelle che sono le frane
retrogressive.

Metodi all’equilibrio limite

I metodi all’equilibrio limite sono metodi che tendono a fornire informazioni sulla distanza del sistema fisico
analizzato da un equilibrio che è al limite, ossia in le forze (o i momenti) stabilizzanti sono pari alle forza (o i
momenti) instabilizzanti. Tali metodi studiano le condizioni di equilibrio di volumi di terreno delimitati
inferiormente da superfici di scorrimento, senza esaminare lo stato tensionale dell'intero pendio. Viene
valutato lo stato tensionale lungo le superfici che delimitano inferiormente i volumi presi in esame, lungo le
quali viene definito il coefficiente di sicurezza allo scorrimento. La superficie critica è quella caratterizzata
dal minimo valore del coefficiente di sicurezza.

Partiamo da un piano campagna più o meno complicato e identifichiamo una possibile superficie di
scorrimento, identificabile già in sito utilizzando un inclinometro (è uno strumento che posto in verticale mi
consente di indagare una verticale e ottenere il diagramma degli spostamenti δ in funzione della profondità
z: potrei avere inizialmente spostamenti costanti fino ad una certa profondità, poi c’è una zona di taglio in
cui ho distorsioni fortissime e poi non ho scorrimenti).

È opportuno individuare diverse superfici di scorrimento del corpo di frana perché non sappiamo in realtà
come si muoverà quel corpo di frana (può anche retrogredire e muoversi differentemente).

Dunque, occorre individuare il corpo di frana, potenziale o esistente, e diverse superfici di scorrimento. È
chiaro che se mi metto in un punto P per il quale passa una superficie di scorrimento e ragiono sulla
tensione normale σ’ che agisce su esso (che dipende da σ e uw) ricordo che in dipendenza dalla σ’ si
possono individuare sforzi di taglio τ che calcolo con i criteri di resistenza. Per un pendio potrei ragionare
localmente: potrei fare un’analisi dello stato tensio-deformativo purché sia accuratamente noto il regime
delle pressioni neutre. Oggi vogliamo avere un approccio globale: prendo l’intero volume di terreno e
ragiono sulle risultanti: identifico un peso W, T è l’integrale lungo la superficie di scorrimento S delle τ in ds;
N’ sarà l’integrale lungo S di tutte le σ’.

Tale formulazione è valida per un blocco rigido che scorre su un piano inclinato (potremmo utilizzarlo per
spiegare il movimento di un blocco di roccia su un pendio).

In realtà si può dimostrare che se abbiamo un sistema che scomponiamo in due soli cunei (due strisce con
una separazione verticale) abbiamo la possibilità di applicare senza alcuna indeterminazione statica le due
equazioni: possiamo calcolare il coefficiente di sicurezza senza difficoltà.

In realtà, nella pratica professionale, secondo una serie di metodi standardizzati, dividiamo la massa di
nostro interesse in n strisce considerate rigide che interagiscono tra loro (ognuna spinge sulla striscia
adiacente che a sua volta reagisce con una forza uguale e opposta: si generano forze di interazione verticali
e orizzontali tra i blocchi). Complessivamente il blocco vuole ruotare, ma queste forze verticali e orizzontali
che si sono formate presentano un braccio (non sono allineate per la geometria: la massa si trova su un
pendio): si formano momenti stabilizzanti. Dunque, il blocco vuole ruotare ma a tale moto si oppongono i
momenti resistenti (o stabilizzanti) legati alle forze orizzontali e verticali che si instaurano tra i blocchi.

Ricapitolando, partiamo da un mezzo che sappiamo essere costituito da tanti granelli, lo schematizziamo
con provini che sottoponiamo a prove di laboratorio per ricavare il criterio di resistenza, successivamente
arriviamo alle risultanti T ed N’, che si applicano a dei volumi (che possono essere un blocco, due blocchi
interagenti tra loro con forze orizzontali e verticali oppure n blocchi interagenti tra loro).

Metodi delle strisce

Consideriamo un pendio di forma complessa (piano campagna irregolare) costituito da terreni che possono
essere anche eterogenei (dal nostro punto di vista ciò non influisce perché sappiamo comunque calcolare il
peso delle strisce; se ho materiali con rigidezze molto diverse potrei aspettarmi un diagramma tensione-
deformazione più articolato, ma alla fine operativamente eseguo gli stessi calcoli: posso avere qualche
cautela in più sapendo che queste forze in gioco stanno approssimando distribuzioni di tensioni un po' più
articolate, ma operativamente ho lo stesso numero di incognite e risolvo le stesse equazioni), individuiamo
una superficie di scorrimento e suddividiamo il volume di terreno in strisce numerate da destra a sinistra;
inoltre il pendio è parzialmente sommerso (alcune strisce sono sature, in altre occorre fare delle
considerazioni in relazione alla posizione della linea di falda: potremmo avere strisce interessate da risalita
capillare oppure in parte asciutte). Dobbiamo calcolare le pressioni neutre, considerando che il regime delle
pressioni neutre sia variabile. Estraiamo una singola striscia (schema di riferimento) e vediamo le forze Ei ed
Ei-1 che formano una coppia, analogamente alle forze Xi e Xi-1. Queste coppie possono assumere valori
piccoli, ma tuttavia per ciascuna striscia è possibile scrivere l’equazione di equilibrio alla rotazione.

Definiamo le incognite:

La forza peso Wi è nota ed è data dal prodotto tra il volume della striscia e il peso dell’unità di volume;
ovviamente dobbiamo fare attenzione al peso per unità di volume: per la striscia n-1 che è completamente
sommersa posso considerare il γsaturo, per le strisce parzialmente sommerse devo fare delle considerazioni
legate alla posizione della linea di falda (se dalle misure e dalle analisi risulta una linea di falda come quella
riportata nell’immagine seguente, la striscia 2 sarà in parte satura e in parte bisogna capire se è asciutta o
se è parzialmente satura, se c’è risalita capillare).

È opportuno considerare i pesi totali: una striscia è costituita da grani solidi, da acqua e aria (che non pesa),
per cui nel conteggio del peso devo considerare tutte le aliquote.

Tuttavia, tutte le altre forze sono incognite: ho n-2 incognite sovrabbondanti.


Se ho n strisce, avrò n-1 interfacce tra le n strisce:

Trovo n-2 incognite perché per ciascuna faccia sono incognite sia la forza di interstriscia orizzontale sia il
punto di applicazione. Se conosco la forza Ei agente su una faccia, sulla faccia adiacente ho una forza uguale
e contraria poiché sono forze interne (tale discorso vale sia per Ei che per hi).

Analogamente lo stesso discorso si può estendere alla forza verticale Xi. Posso allora calcolare Ni’ come
integrale tra i punti Ai-1 e Ai delle σ’ (avrò n valori di N’ perché ho n strisce).

Mi interessa una misura globale del coefficiente di sicurezza, per cui ne avrò uno: non calcolo un
coefficiente di sicurezza per una singola striscia poiché stiamo focalizzando l’attenzione su un certo volume
e non sulle singole strisce. Ovviamente è possibile riferirsi anche a un volume più piccolo scegliendo
un’altra superficie di scorrimento. Fissata la superficie di scorrimento, in totale si identificano 4n-2
incognite. Il problema è che è possibile scrivere un numero limitato di equazioni: ho n corpi assunti
mediamente rigidi per i quali posso scrivere 3n equazioni (avrò n equazioni di equilibrio alla traslazione
verticale, n equazioni di equilibrio alla traslazione orizzontale e n equazioni di equilibrio alla rotazione).

Poiché ho n-2 incognite sovrabbondanti, se n fosse uguale a 2 il problema si risolverebbe: non ci sarebbe un
problema di indeterminatezza statica, ossia avrei un’unica soluzione. Tuttavia n=2 risulta essere una
condizione un po' limitativa (potrebbe essere significativo in un meccanismo di instabilità a blocchi in un
pendio roccioso, altrimenti tale condizione ci dice poco).

Ragioniamo sul fatto che il regime delle pressioni neutre può essere qualsiasi e anche variabile. Se cambia il
livello di falda nel terreno cambiano le pressioni neutre e dunque anche il coefficiente di sicurezza (che lo
troviamo con le simbologie FS o FoS o SF). Quando piove cambiano le pressioni neutre e spesso si possono
avere instabilità dei pendii, prevalentemente in terreni con tempo di risposta abbastanza breve, ossia quelli
caratterizzati da permeabilità maggiore (terreni a grana grossa). Consideriamo un cumulo di sabbia e ci
applichiamo una gocciolina di acqua (se la facciamo cadere da grande altezza stiamo tra l’altro applicando
un carico statico, studiato con il fenomeno “rain splash erosion”, che causa erosione da impatto) notiamo
che ad un certo punto la sabbia inizia a traslare lungo la superficie perché le pressioni neutre stanno
aumentando, la sabbia ha un coefficiente di permeabilità molto elevato e trasmette questa sollecitazione
esterna agli strati più profondi, creando instabilità; invece in terreni a grana fine questa cosa non succederà
in tempi brevi: l’instabilità può avvenire o in corrispondenza di azioni atmosferiche o anche dopo molto
tempo perché la trasformazione degli afflussi meteorici in variazioni di pressioni neutre richiede del tempo,
regolato essenzialmente dalla permeabilità del terreno (e in misura minore dalla deformabilità).

In questo approccio di tipo statico e all’equilibrio limite non consideriamo le deformazioni, ma teniamo
conto del regime delle pressioni neutre (una variazione di esse comporta variazione del coefficiente di
sicurezza), la geometria, la stratificazione, i livelli di sicurezza rispetto a tutti i possibili cinematismi traslativi
e rotazionali (sapendo che non in tutti i terreni può avvenire qualsiasi tipo di movimento).

Soffermiamoci sulla definizione della forza Ti (integrale delle tensioni effettivamente presenti nel terreno):

Definito il termine tra parentesi pari a Ti*(Ti mobilitata), possiamo riscrivere Ti = Ti*/F, dove F è il
coefficiente di sicurezza locale (che assumo essere lo stesso in ogni punto per cui lo considero globale, per
questo non metto il pedice i). In particolare sarà valida la relazione F = Ti/Ti*.

Nota la lunghezza della striscia Δli (= bi / cos αi, dove bi lo fissiamo noi) e noto Ni’, se conosco il terreno che
interessa la base della i-esima striscia, posso calcolare Ti* (= c’ Δli + Ni’ tgϕ’). In particolare, si fissa un valore
molto piccolo di bi perché in tal caso Ni’ e Ti saranno rispettivamente misure integrali di σ’ e τ in tratti molto
piccoli: sto immaginando che tutte le τ e le σ’ siano praticamente uniformi lungo tutto il tratto.

Osservando le incognite del problema si può notare che è stato portato in conto solo Ni’ e non Ti proprio in
virtù della relazione che intercorre tra queste due grandezze (nota Ni’ si può calcolare Ti).

La risultante delle pressioni neutre alla base della striscia Ubi deve essere nota e la ottengo dall’analisi dei
moti di filtrazione.

Metodi rigorosi e metodi approssimati

Abbiamo due soluzioni per risolvere il problema: metodi rigorosi e metodi approssimati.

I metodi rigorosi ricercano n-2 equazioni supplementari in modo da pareggiare il numero delle equazioni e
delle incognite. Invece, i metodi approssimati ricercano il pareggio tra equazioni ed incognite considerando
note alcune delle grandezze (intensità, direzione, punto di applicazione) che definiscono alcune delle forze
incognite. In tal modo la soluzione a cui si perviene non è equilibrata e le equazioni, normalmente, risultano
sovrabbondanti rispetto alle rimanenti incognite. I metodi approssimati, quindi, si limitano a soddisfare solo
alcune delle condizioni di equilibrio.

N.B. Non dobbiamo lasciarci influenzare dall’aggettivo “rigorosi” perché anche in questi metodi stiamo
facendo delle approssimazioni legate al considerare che le strisce siano rigide e che dunque non si
deformino, ma ad un certo punto esse arrivano a rottura.

In particolare, con i metodi approssimati considero o solo le forze (equilibrio delle forze) o solo i momenti
(equilibrio dei momenti). L’equilibrio delle forze consiste in metodi che utilizzano solo l’equilibrio alla
traslazione per la ricerca del coefficiente di sicurezza F, invece l’equilibrio dei momenti consiste in metodi
che utilizzano solo l’equilibrio alla rotazione per la ricerca di F. Dunque, in queste sottofamiglie avrò la
possibilità di pareggiare il numero di incognite e quello di equazioni tralasciando una parte del problema.
Metodi approssimati: equilibrio dei momenti

Consideriamo una superficie circolare che descrive la superficie di scorrimento (è un arco di una
circonferenza di raggio r e centro O). La congiungente il centro O con la base della striscia mi restituisce la
normale (e dunque le direzioni di Ni’ e Ubi) e la relativa direzione ortogonale (ossia la direzione di Ti). Posso
determinare le quantità ΔXi e ΔEi (legate al fatto che la striscia trasla verso l’alto o verso il basso e verso
destra o verso sinistra in dipendenza di questi valori). In particolare, la singola striscia ruota e trasla per
effetto della sua forza peso che presenta componenti in entrambe le direzioni citate in precedenza.

Rispetto al centro O:

● N’i e Ubi hanno momento nullo;


● Ti ha braccio pari ad r;
● Xi ed Ei sono forze interne;
● Wi hanno braccio pari a r sen αi.

Posso scrivere le seguenti equazioni di equilibrio in cui compaiono delle sommatorie:

I coefficienti di sicurezza F sono dati dal rapporto tra la sommatoria delle forze (o dei momenti) stabilizzanti
diviso la sommatoria delle forze (o dei momenti) instabilizzanti.

In tali equazioni, essendo nota la geometria, le incognite sono solo le Ni’ (ed eventualmente le forze di
interstriscia, Xi e Ei, e i relativi punti di applicazione; in particolare, se non ho forze concentrate orizzontali
ΔEi = 0, se non ho forze concentrate verticali delta ΔXi = 0).
Metodo di Fellenius – superficie circolare

Fellenius trascura gli effetti delle forze di interstriscia perché considera che in questo tipo di cinematismo,
tali effetti si vadano a compensare tra di loro.

Ha senso assumere tale ipotesi semplificativa: man mano che si riduce la dimensione della striscia, la forza
a destra e a sinistra della striscia tenderanno a essere uguali tra loro per equilibrio (i ΔXi e i ΔEi si annullano
o comunque sono molto piccoli, ossia sono grandezze che possiamo ridurre scegliendo strisce di piccole
dimensioni), inoltre i Δ sono moltiplicati per quantità minori di 1 (che fa ottenere valori ancora più piccoli);
in sostanza si ottengo valori che presentano stesso ordine di grandezza (sono due valori piccoli e simili in
valori assoluto), per cui facendo una differenza tra tali valori ottengo una quantità tendente a 0 che posso
trascurare. Ne consegue che questa approssimazione è assolutamente accettabile purché si utilizzi una
schematizzazione abbastanza fitta delle strisce.

Notiamo che nella formula finale avanti alle pressioni neutre c’è un segno meno: se esse aumentano il
coefficiente di sicurezza si riduce. Con questo metodo, estremamente semplificato, si tiene conto di
un’evidenza: quando piove possono essere favorite le instabilità di versante e, inoltre, se aumentano nel
sottosuolo le pressioni neutre può esserci un’instabilità.

Tuttavia tale metodo è estremamente cautelativo (si ottengono coefficienti di sicurezza fortemente
sottostimati) per cui in alcuni contesti potrebbe non essere utilizzabile o che comunque sottostima troppo i
coefficienti di sicurezza (ad esempio con tale metodo potrei ottenere un valore del coefficiente di sicurezza
di un pendio stabile minore di 1, ciò le forze stabilizzanti sono più piccole di quelle instabilizzanti); tuttavia è
un metodo semplice che, nota la geometria del problema e le caratteristiche meccaniche, consente di
calcolare il coefficiente di sicurezza. Il problema che porta all’ottenimento di risultati estremamente
cautelativi non è legato all’ipotesi semplificativa che è stata introdotta, ma è legato alla scelta delle
equazioni di equilibrio reggenti il problema e in particolare della 2) perché è come se per ogni striscia la
traslazione avvenisse in una direzione differente (analiticamente è molto conveniente perché in tal modo
non entra mai la Ti, ma fisicamente è una considerazione poco efficace).
Metodo di Fellenius – superficie non circolare

Il metodo di Fellenius si può estendere anche a superfici non circolari.


Metodo di Bishop

Il metodo di Bishop cambia l’equazione 2) rispetto al metodo di Fellenius. Bishop prevede di eseguite per
ogni striscia la traslazione verticale (il vantaggio della traslazione verticale è legato al fatto che consente di
considerare le forze peso in valore, senza proiettarle): ciò coglie molto bene l’aspetto del motore
dell’instabilità (il peso proprio).

Il “problema” di tale metodo è che la formula non è più una relazione esplicita, ma è una relazione
implicita. Anni fa ciò era un problema perché non si avevano potenti mezzi di calcolo, per cui si procedeva
con una stima iterativa ponendo come valore di primo tentativo la soluzione di Fellenius (che è una buona
stima per difetto della soluzione reale).

Metodo di Bishop semplificato


Per superare il problema del metodo di Bishop, nasce il metodo di Bishop semplificato:

In sostanza, con tale metodo semplificato si eliminano le ΔXi moltiplicate per tg ϕ’ (che è sempre una
funzione minore di uno per gli angoli α’ che sono angoli piccoli, tipicamente compresi tra 10° e 30°). Questo
metodo funziona estremamente bene perché considero che mentre tutto il blocco ruota rigidamente in
senso orario, lungo le verticale i ΔXi sono nulli, ossia durante il movimento (e anche prima) non si generano
grosse differenze di forze (tipicamente lungo la direzione verticale si generano tali forze di interstriscia
quando ci sono scorrimenti tra le due strisce, che tuttavia posso ipotizzare di piccola entità).

Dunque, il metodo di Bishop semplificato (ma anche quello non semplificato) piace molto perché risulta
essere semplice; il problema è che non tutti i pendii sono propensi a rompersi secondo superfici di
scorrimento circolari (ad esempio i terreni a grana grossa sono propensi a scorrimenti traslazionali).
Lezione 09.04.2020

Oggi completiamo la parte di stabilità dei pendii, completeremo i metodi di calcolo


e poi andremo a leggere la normativa di riferimento.

Allora abbiamo un piano campagna e una potenziale superficie di scorrimento

Come abbiamo visto la volta scorsa, un modo semplice per affrontare il problema è
di dividere in strisce verticali questa massa potenziale.

Utilizzo strisce verticali perché le forze principali sono le forze peso e devono essere
proiettate in maniera adeguata, poiché se iniziassi a proiettare queste forze, che
sono il motore principale per la stabilità, su altre direzioni, allora capite bene che le
equazioni reggenti che andiamo a scrivere sono poco efficaci.
Dopodichè ci facciamo il conto delle incognite delle equazioni

e vengono fuori queste strategie, cioè o mi ricavo delle equazioni aggiuntive legate
a delle variabili , e quindi le risolvo con metodi matematici rigorosi che tengono
conto di tutte le equazioni che potevo scrivere dall’inizio, cioè ad esempio posso
scrivere n equazioni di equilibrio alla traslazione orizzontale, verticale e alla
rotazione. E quindi ne scrivo 3 n.

La numerosità delle incognite delle equazioni non è una scelta nostra ma dipende,
fissato il numero di strisce, poi dipende o da n o da n-1 o in realtà vi ricordo anche il
coefficiente di sicurezza che assumiamo sia uguale a tutte le strisce il che ha il
significato ingegneristico di dire che voglio conoscere un coefficiente di sicurezza
medio dell’intero ammasso di terreno.

Il concetto di media in questo caso non è inteso come la media tra coefficienti di
sicurezza calcolati singolarmente ma piuttosto un valore medio.

Altra possibilità è dire vabbe ma alcune incognite possono essere trascurate.


Allora se trascuro alcune incognite e mi focalizzo

su alcuni cinematismi, ad esempio meccanismi

prevalentemente traslativi e allora

ha molto senso ad esempio non utilizzare

l’equazione alla rotazione e viceversa,

se il cinematismo della massa instabile è prevalentemente rotazionale allora non ha


senso portare in conto tutte le equazioni

di traslazione ma solamente quelle verticali,

poiché quello orizzontale potrebbe essere

addirittura inutile perché ad esempio,

se ho un pendio con una superfice circolare e un centro,

nel ruotare gli spostamenti orizzontali complessivi di tutta la massa potrebbero


essere pressochè trascurabili.

L’altra volta abbiamo detto “Ma in quali terreni succede che le tensioni all’interno
del terreno sono tali per cui la superficie di scorrimento tende ad essere circolare?”

Quelli a grana fine, perché se ho una coesione c’ efficace ho una certa zona
( tratteggiata in figura) fino ad una certa profondità, lo stato tensionale complessivo
è nettamente inferiore alla c’ e non si muoverà mai niente, è tutto già stabilizzato
dalla presenza della coesione efficace.
Invece a profondità maggiori si può iniziare a formare una superficie

di scorrimento, che si propaga verso monte e valle e poi rispunta

verso piano campagna.

Allora noi prendiamo l’intera superficie e cerchiamo di capire se ha una propensione


ad essere in equilibrio o instabile. Metodi avanzati, in cui si calcolano le tensioni
efficaci e le deformazioni, ci fanno vedere esattamente questo
processo, ovvero dove si forma la superficie di scorrimento e come si propaga.

Noi oggi invece stiamo ragionando sul coefficiente di sicurezza complessivo ,


ecco che questi metodi si chiamano metodi di equilibrio limite.

Abbiamo visto anche che pendii granulari che possono avere pendenze molto
importanti, succede che il materiale tende a spettarsi attraverso fenomeni di
instabilità piuttosto superficiali di tipo traslativo.

Esempio in cui ho una serie di piccole instabilità e quindi ci deve orientare nella
scelta del metodo da utilizzare, quello che conta sarà l’angolo d’attrito essendo la c’
inesistente, però voi vi ricordate che molti pendii si reggono in piedi perché hanno
quell’incremento di resistenza legato al prodotto tra grado di saturazione per la
suzione di matrice.

Ecco che alcuni pendii potrebbero anche avere superfici di scorrimento un po' più
profonde di quello che vi aspettate oppure instabilizzarsi a seguito di piogge anche
di durata non eccessiva.

Allora andiamo a vedere i metodi:

l’altra volta abbiamo visto il metodo di Fellenius in cui c’era la rotazione dell’intero
ammasso di terreno rispetto al centro O.
Questa è la sommatoria dei momenti instabillizanti , in cui si è
semplificata la r, poiché essendo la stessa r in quanto la superficie di scorrimento è
un arco di circonferenza, ebbene la sommatoria contiene per tutti i termini iesimi la
stessa r e quindi si semplifica.

Questa F è una forza instabilizzante perché è la componente instabilizzante


della forza peso che ho disegnato con questa freccia rossa e quindi stiamo
calcolando questa forza rossa moltiplicata per r, capite bene che ogni striscia tende
a buttare giù questa massa di terreno.

Quest’altra forza nella parentesi, è quella che abbiamo chiamato


che ha lo stesso braccio r ma rivolto al contrario.

La forza rossa tende ad instabilizzare e quella gialla

a stabilizzare e andiamo a vedere chi ha una prevalenza.


Andiamo a ricavare Ni’ e nella formula ci troviamo le pressioni neutre, cerchiate in
rosso, che riducono Ni e poi mi trovo questo blocco di incognite che sono le forze
laterali, dove Xi è la forza iesima veritcale mentre la Ei è la forza orizzontale. Alle
strisce successive me le ritrovo con verso opposto.

Ora sostituiamo la 2 all’interno della 1 e assumiamo l’ipotesi di trascurare la


sommatoria, poiché deltaXi sono quantità molto piccole perché aumentando il
numero di strisce diventa un infinitesimo, poi deltaEi anch’esso è un infinitesimo
dello stesso ordine, mentre seno e coseno sono quantità minori di uno e avvalorano
ancora di più il fatto che possiamo trascurare.

Alla fine si scopre che il metodo di Fellenius ci da coefficienti sottostimati perché la


fisica del problema non è perfetta e per sopperire a questo problema, è stato
utilizzato un metodo diverso, quello di Bishop.
Il metodo di Bishop è molto utilizzato, anche per i pendii granulari.

Viene fuori un’equazione dal punto di vista matematico più sconveniente poiché
troviamo una funzione che contiene all’interno il coefficiente di sicurezza F
che è l’incognita e quindi nella soluzione ritroviamo il coefficiente sia a sinistra che a
destra. La cosa si risolve banalmente perché la soluzione di primo tentativo
potrebbe essere 0 o 1 ma potrebbe essere anche il coefficiente di sicurezza di
Fellenius perché sappiamo che questo sicuramente è minore del coefficiente di
sicurezza di Bishop .

Nell’ipotesi di Bishop semplificata invece si dice che il termine cerchiato in rosso lo


andiamo a trascurare.
Se il cinematismo è principalmente di traslazione mi conviene concentrarmi
sull’equilibrio delle forze, infatti non ci sono più le equazioni alla rotazioni e avrò di
conseguenza 2n equazioni e 3n-1 incognite.

Il problema è risolto solo se n vale 1,

ovvero se ho una striscia

Questo lo chiameremo pendio

Indefinito perché tutte le striscie

sono perfettamente identiche tra di

loro, succede che se prendo questa

striscia di interesse, questo sistema di

forze che sta a monte e a valle è

autoequilibrato essendo ogni verticale

identica alla precedente e alla

successiva.

Succede che potrò risolvere nel caso di pendio indefinito il problema senza
preoccuparmi delle forze laterali ma guardando solo le forze di massa e alle forze di
superficie alla base del pendio.

Quindi scriveremo una serie di equazioni in cui ci andremo a calcolare i Ub la Ni’ e la


T partendo dalla forza di gravità.
Poi capiremo quando posso approssimare o una zona di innesto di frana

con un pendio indefinito, il ragionamento è geometrico ma non solo,

ovvero quando H << L dove L è la lunghezza della zona che può essere coinvolta.

Per facilità di comprensione possiamo anche definire un angolo deltai dove se deltai
vale 0 la forza di interstriscia è orizzontale, mentre se vale 1 la forza è a 45 gradi.

Se sto risolvendo le sole equazioni di equilibrio alla traslazione, questa soluzione la


so trovare anche graficamente, basta c he chiudo il poligono delle forze.

C’è un problema però, chi me le da queste deltai? Allora si utilizzano delle equazioni
aggiuntive.
La numerosità delle deltai se le trisce sono n, le interfacce sono n-1, quindi devo
scrivere n-1 equazioni aggiuntive per risolvere il problema da un punto di vista
matematico.

Qualcun altro utilizza altri metodi

Nel metodo del corps of engineers, ho che alfai è la pendenza della striscia alla base,
le forze siccome il blocco rigido si muove lungo la base, le Z saranno allineate e
quindi posso scrivere deltai=alfai e ho risolto il problema.

Nel metodo di Lowe devo prendere deltai come la media tra l’inclinazione della base
e del piano campagna.

Prendiamo un altro metodo, quello di Jambu semplificato


Dove l’ipotesi Xi=0 vuol dire che le deltai saranno =0, poi scrivo l’equazione alla
traslazione verticale della singola striscia per calcolare Ni’.

Questo metodo è molto utilizzato quando la superficie è poco profonda, infatti se


d/L non è 0 ma inizia a crescere, rispetto al coefficiente di sicurezza calcolato devo
avere un incremento che dipende dalla cadente di resistenza perché la superficie di
scorrimento avrò tutte queste forze aggiuntive diverse e sicuramente in numero
superiore rispetto a quelle che avrei lungo la congiungente.

Poi ho il metodo di Spencer che riesce ad equilibrare il numero di equazioni e di


incognite.
Qui iniziano i metodi rigorosi

In cui farò sia l’equilibrio in direzione normale rispetto alla base della striscia che in
direzione parallela, poi dalla prima equazione ricaverò Ni’ ma ho che Qi è un
incognita, quindi la vado a ricavare rispetto alla seconda equazione.

Ora per effetto dell’assenza di forze e momenti concentrati alle estremità avrò che
le forze interne lungo la verticale deve essere un sistema di forze nullo e quindi la
somma di tutte le Xi saranno uguale a zero, analogamente anche le Ei e i momenti
M.

Essendo teta costante avremo un sistema di equazioni non lineari nelle incognite F e
teta, quindi praticamente ricavate le Qi da un’equazione, le sostituisco nell’altra
equazione mi calcolo la F e la teta.
Nella scelta del metodo di calcolo è consigliabile utilizzare metodi rigorosi ma di
sapere valutare calcoli fatti con metodi approssimati come quello di Bishop.

Un altro metodo è quello di Sarma che ha come ipotesi che le deltaXi siano
proporzionali a lambda e a delle forze Psi che sono forze interne e che andiamo a
valutare facendo un’ipotesi che in ogni striscia ci sia forza peso e una forza
orizzontale proporzionale ad essa attraverso un coefficiente Kc.

Questo metodo può essere utilizzato anche in presenza di azioni sismiche tradotte
come pseudostatiche nel calcolo.

Sostanzialmente i passaggi sono sempre gli stessi solo che in questo caso ho n
equazioni, una in più di prima perché ho anche lambda e kc che sono incognite.

In realtà kc la conosco perché in condizioni statiche vale 0, allora si può risolvere


iterativamente questo problema partendo dal fatto che kc è il valore che ci da
coefficiente di sicurezza e per ogni assegnato kc avremo il coefficiente di sicurezza.
Sostanzialmente i passaggi sono sempre gli stessi solo che in questo caso ho n
equazioni, una in più di prima perché ho anche lambda e kc che sono incognite.

In realtà kc la conosco perché in condizioni statiche vale 0, allora si può risolvere


iterativamente questo problema partendo dal fatto che kc è il valore che ci da
coefficiente di sicurezza e per ogni assegnato kc avremo il coefficiente di sicurezza.

È chiaro che se invece avrò delle forze orizzontali aggiuntive, il coefficiente di


sicurezza via via si riduce.
Un altro metodo è quello di Morgenstern che ipotizza la larghezza infinitesima delle strisce
forze. I procedimenti sono gli stessi, l’unica particolarità è la condizione aggiuntiva.

Se andiamo a confrontare i vari metodi visti, avremo una tabella riepilogativa in cui
vedremo quali equazioni utilizzano i diversi metodi .
Geotecnica Lezione 9/04/21
Il pendio indefinito
Il pendio indefinito è pericolosissimo, esso viene definito tale quando, L>>s e ogni verticale è uguale alla
successiva. Queste situazioni vengono evocate quando i pendii sono molto ripidi e mi trovo davanti terreni
granulari. Questo pendio tende a rompersi lungo la sua superficie parallela, ma se ci sta una forza al di sotto
della superficie esso tende a “rompersi” più in profondità propagandosi a monte e a valle.
-linee rosse verticali: sezione superficie
-linea rossa “parabolica”: superficie di scorrimento

Vediamo ora un esercizio di alcune situazioni tipo.

Nella figura cerchiata in blu abbiamo un terreno asciutto, nella figura cerchiata in rossa abbiamo un pendio
sommerso, e in verde un pedio che segue un modo di filtrazione parallelo alla sup. di scorrimento. Vediamo
come analizzare un pendio incoerente e asciutto con coesione nulla:
Chiediamoci ora quant’è che FS(coefficiente di sicurezza) è pari ad 1? FS è uguale ad 1 quando α=ϕ’,
[ATTENZIONE: α è l’inclinazione del pendio mentre ϕ’ è l’angolo d’attrito].
Nel pendio in assenza di falda con terreno incoerente viene fuori un coefficiente di sicurezza indipendente
dalla profondità.

Vediamo l’esempio nel caso ora nel caso che ci sia coesione. Notiamo che il coefficiente FS ha un ulteriore
termine dove compare la z. Cosa vediamo che per z molto piccoli il termine cerchiato in rosso tende a valori
molto grandi, mentre per z molto grandi quel termine tende a 0. Quindi un questa situazione potremmo
avere una zcr dove il coeff. FS sia pari all’unità. Questo ragionamento è molto importante perché se abbiamo
un pendio parzialmente saturo potrebbe arrivare a rottura ad una certa profondità rispetto ad un’altra.

Possiamo osservare
che c’=Sr*s

Può essere il caso tipico ad esempio di un terreno parzialmente saturo che copre un terreno totalmente
saturo, per cui il terreno sottostante si rompe ad una certa profondità che porta ad instabilizzare un terreno
parzialmente saturo. Vediamo quindi come calcolare la zcr :
Analizziamo ora il pendio sommerso
Il pendio sommerso è poco analogo in termini si coeff. di sicurezza al pendio asciutto, ma questo perché;
perché se nel pendio sommerso l’acqua è ferma (non c’è moto di filtrazione) tutte le forze idrauliche che
conosciamo si trasformano in spinte di Archimede che tende a ridurre il peso. Ma se in FS il peso del terreno
NON compare (vedi formula slide sopra), quindi fissata la z quello che notiamo è un fatto ingegneristico
interessante ovvero che il coefficiente di sicurezza è indipendente dalle pressioni. Quindi se ci sta un invaso
naturale o artificiale il coeff. di sicurezza non cambia nelle due fasce (Nota: le pressioni neutre sul fondo
cambiano ma vengono equilibrate dal peso e il terreno non si instabilizza).

Se ci troviamo davanti ad un moto di filtrazione la situazione si complica, perché la spinta cerchiata in rosso
(spinta negativa) tende a ridurre il peso, dobbiamo però fare attenzione e capire quali sono le spinte di destra
e di sinistra. Analizziamo un caso in cui non c’è la coesione:
Svolgendo i calcoli siamo arrivati a scrivere l’equazione in rosso, la differenza con il caso precedente del
pendio sommerso è la presenza del termine γ’/γsat , quindi se in un pendio sommerso si generano dei moti
di filtrazione il coefficiente di sicurezza si dimezza, perché γ’=9, γsat =18, il rapporto sarà pari a 2. Quindi nel
complessivo il coefficiente di sicurezza per un pendio sommerso con moti di filtrazione si dimezza. Quando
abbiamo una grossa differenza tra α e ϕ il problema può essere dovuto proprio al moto di filtrazione.
Ovviamo il nostro pendio può essere saturo fino a sopra, oppure possiamo avere solo una parte satura:

Vediamo come il
coefficiente di sicurezza
dipende da m (altezza
della parte satura).

La normativa NTC 2018 ci dà informazioni sulla modellazione geologica del pendio:

Quindi nella modellazione geologica bisogna riconoscere i possibili processi di instabilità e le criticità di
natura geologica.
Ora passiamo alla modellazione geotecnica del pendio:

La definizione dei caratteri geometrici: capire se la frana è una frana superficiale o profonda e la sua
cinematica.
Se parliamo di una frana di un pedio naturale allora riusciamo a riconoscere facilmente tutto questo, se
invece stiamo parlando di un’analisi di previsione (capire l’evoluzione di un certo pendio), allora risulta
essere più difficile perché capire i caratteri cinematici e la cinematica della frana.

Pendii naturali:

Tenere in considerazione le azioni sismiche e al controllo degli interventi di stabilizzazione. Abbiamo già visto
che un pedio può instabilizzarsi anche qualche giorno dopo dal sisma, questo perché il sisma con la sua
oscillazione determina delle sovrapressioni neutre che posso essere portate da una parte del pendio ad
un’altra e si generano dei moti di filtrazione, che come abbiamo visto, i moti di filtrazione all’interno di un
pendio portano alla riduzione del coefficiente di sicurezza.
Le indagini:

Le indagini sono finalizzate al modello geologico per comporre la relazione geologica ma anche al modello
geotecnico, cioè le indagini vanno fatte per una finalità una volta che si è prefissato uno scopo.
Soffermiamoci sul termine evidenziato del regime idrico superficiale cioè se ci sono zone in cui l’acqua tende
a convergere ( Acque ruscellari che non penetrano nel terreno), il perché non penetrano è dato dalla
superficie impermeabile. Per quando riguarda le azioni applicate sul pendio, se ad esempio decidiamo di far
passare una strada sul pendio che porta a dei carichi ciclici sul pendio con conseguenza generazione di
possibili superfici di scorrimento.

Vediamo ora la normativa cosa ci dice sulle possibili verifiche di sicurezza:

Il prof consiglia prima di risolvere il problema e poi vedere se tali risultati rispettano i vincoli normativi.
La normativa mi va anche ad indicare un percorso riguardo gli interventi di stabilizzazione:

Esprimendo due concetti:


1) Andare a vedere per le azioni di calcolo i valori caratteristici. I valori caratteristici sono le migliori
stime possibili per le grandezze in gioco, cioè quei valori più ragionevoli possibili dei termini cerchiati
in rosso senza applicare nessun coefficiente di sicurezza.
2) La normativa lascia libera scelta al progettista sull’accettabilità del fattore di sicurezza, cioè capire se
quel coefficiente di sicurezza è accettabile o no. Perché ovviamente dipende dai casi, in alcuni casi
mi serve un coeff. di sicurezza maggiore mentre in un altro caso non è così importante.

Interventi di stabilizzazione:
Nei pendii invece interessati da nuova costruzione è buon senso fare le verifiche prima dell’opera e dopo
l’opera.

Fronti di scavo:
Sui fronti di scavo abbiamo un caso ibrido, perché esempio ho un piano campagna stratificato in certo modo,
andando ad effettuare un taglio si crea un problema tra un pendio artificiale e naturale, perché la stratigrafia
del pendio non la possiamo scegliere, mentre il taglio e la pendenza la creiamo noi, quindi posso generarsi
delle superficie di scorrimento. La normativa quindi ci dice di verificare l’influenza dello scavo sulla stabilità
del pendio, mentre per scavi in trincea deve essere prevista una struttura di sostegno delle parete di scavo
che superano i 2 metri.

Per le verifiche di sicurezza di vanno ad amplificare opportunamente le azioni ed a ridurre le resistenze in


modo da amplificare il coefficiente di sicurezza.

I numeri diversi sono indicativi del livello di incertezza che ho.

Dalla normativa:
Lezione 13/04/2021

LE OPERE DI SOSTEGNO
Le opere di sostegno possono essere di diverse tipologie; di seguito ne sono riportate alcune, ma
non tutte quelle possibili.

In particolare, con l’ingegnere F. ci soffermeremo sulla tipologia b), la quale prevede un rinforzo
interno con materiali resistenti a trazione e con sviluppo prevalentemente orizzontale (vi
dedicheremo anche l’attività progettuale). Tale soluzione progettuale, infatti, si rivela sotto diversi
punti di vista nettamente vantaggiosa rispetto alle opere in calcestruzzo armato.
Il primo concetto di base è che nelle opere di sostegno accade che ci sia un’azione reciproca tra il
terreno e l’opera: il terreno spinge il muro ed il muro trattiene il terreno alle proprie spalle (sono
forze interne). Affinché le forze interne si sviluppino deve avvenire un processo deformativo, ossia
il terreno, in qualche modo, si deve deformare perché esse si sviluppino. Prendiamo ad esempio il
caso c) in cui abbiamo che il terreno spinge sulle palancole, queste ultime spingono i puntoni, i
quali, a loro volta, resistono e quindi si creano delle interazioni. Sono tutte forze interne, ma si
creano perché il terreno in prossimità delle opere di sostegno si deforma.
Nel caso b) c’è un’interazione molto complessa, in quanto si possono formare superfici di
scorrimento di diverso tipo come, ad esempio, superfici che attraversano i rinforzi o superfici che
chiameremo “globali”. Infatti ci possono essere cinematismi in cui interi volumi di terreno molto
grandi tentano di dislocare il sostegno oppure cinematismi in cui volumi di terreno più modesti
interagiscono con l’opera di sostegno.
Alla base di tutto questo vi è comunque la necessità che si verifichi un processo deformativo,
altrimenti l’interazione non si insatura. Immaginiamo ad esempio di trovarci nel caso a): se nel
terreno non vi è alcuna deformazione, il muro non avverte alcuna sollecitazione. In realtà, in questa
configurazione il terreno tende a deformarsi e quindi ad applicare una spinta al muro che, a sua
volta, resiste.
Anche nei muri di sostegno, ovviamente, le condizioni di carico possono essere le più svariate. Ad
esempio nel caso e) vi è un appoggio e quindi sicuramente ci sarà una forza verticale, anche di
entità molto importante (quasi sicuramente quella nell’immagine riportata in alto è rappresentata
una campata, che quindi non avrà una luce piccola). In altre configurazioni, come nel caso f), ci
possono essere dei tiranti che sono elementi strutturale snelli.
Un’altra peculiarità è capire che direzione abbia il rinforzo. Vediamo che, tipicamente, le opere di
sostegno hanno sviluppo verticale, ma ne esistono varie anche con uno sviluppo differente come, ad
esempio, il tipo b). Inoltre si possono avere anche strutture con configurazione bidimensionale, è il
caso d) in cui vi è uno scatolare o il caso g) in cui l’opera è costituita da uno scatolare con due
elementi strutturali, il terreno posto in mezzo ed i tiranti.
Quindi, sostanzialmente, possiamo individuare quattro categorie di elementi strutturali per il
sostegno del terreno:
1. Opere a sviluppo prevalentemente verticale;
2. Opere a sviluppo prevalentemente orizzontale;
3. Tiranti, tipicamente inclinati;
4. Elementi bidimensionali.
Va da sé che la tipologia b), in cui abbiamo un terreno granulare, un rinforzo orizzontale ed un
sistema di ancoraggio al fronte, costituisce una struttura bidimensionale di sostegno del terreno
retrostante. Infatti queste opere in letteratura vengono chiamate MSE = Mechanically Stabilized
Earth (Struttura interna Stabilizzata Meccanicamente). La parte granulare e, quindi il terreno
tipicamente costituito da sabbie grossolane, viene compattato e poi vi sono inseriti elementi che
rinforzano a trazione.

Adesso, per capire un po’ come muoverci, dobbiamo capire come si comporta il terreno in un certo
punto alle spalle delle opere di sostegno.
È doverosa una breve parentesi che riguarda i muri e le paratie. Il muro è una struttura di altezza
inferiore a quella della paratia. Stiamo dicendo questo perché ci dobbiamo chiedere quali siano le
sequenze costruttive per la realizzazione dell’opera nel caso a).

In rosso è indicato il vecchio piano campagna. Il nostro fine è quello di ricavare il piazzale
orizzontale in basso. Dal vecchio piano campagna si va a fare uno sbancamento un po’ sotto il
livello di fondazione e il terreno rimosso viene portato in discarica oppure utilizzato
opportunamente.
In basso va realizzato un magrone con uno strato di terreno granulare, poi si posiziona la
cassaforma, si realizza il muro e si fa il rinterro. Per il rinterro serve terreno che deve essere di
buone proprietà meccaniche ed in volume pari a quello indicato in blu nell’immagine. Allora va
da sé che io tenterò di minimizzare il volume di rinterro, aumentando al massimo l’angolo α. Infatti,
se riesco a fare uno scavo relativamente piccolo, con inclinazione di α subverticale, avrò ridotto il
volume di interro.
Di conseguenza queste sono le grandezze in gioco: α, che determineremo in maniera tale da non
avere problemi di stabilità, ed il volume di rinterro utile. Tutto questo nella terza dimensione, che si
può estendere anche per decine o 200-300 metri, con riverbero sulla componente economica.
Non è una cosa ottimale riposizionare il terreno dello scavo dietro al muro perché esso può essere
un terreno di scarse qualità. Per capire meglio facciamo un esempio.
Esempio: immaginiamo di avere un vasetto di terra. Se premiamo col dito nel vaso dove c’era una
piantina, il terreno può deformarsi o meno. Tuttavia è certo che, se svuotiamo il vaso e
successivamente lo riempiamo nuovamente con lo stesso terreno, accadranno due cose:
1. Non riusciremo a metterci di nuovo tutto il terreno perché, non compattato, avrà una porosità
più grande;
2. Se col dito esercitiamo la stessa pressione sul terreno dopo il rinvaso noteremo deformazioni
maggiori, il che vuol dire che esso è più deformabile e meno resistente.
Quindi, se dietro ad un muro di sostegno si pone materiale di scarsa qualità, tale muro è soggetto a
condizioni molto più gravose. Per spiegare ancora meglio immaginiamo il caso ipotetico (che NON
rappresenta un caso reale) in cui venga posto dietro il muro un telo impermeabile e successivamente
si riempia d’acqua il volume retrostante. L’acqua non resiste a sforzi di taglio e genera spinte molto
grandi sul muro.

Se, invece, dietro al muro metto un materiale resistentissimo a taglio, a compressione ed a trazione
come, ad esempio, un blocco di roccia intatto, il muro NON sente alcuna sollecitazione. Per tale
ragione capiamo come la resistenza a taglio del materiale che si trova alle spalle sia fondamentale
(l’acqua genera una spinta enorme mentre, la roccia una spinta pari a zero).
Noi ci troveremo in un caso intermedio tra questi due, poiché avremo un certo materiale, ossia un
terreno, che avrà una certa resistenza a taglio ma che non sarà indeformabile. Quindi i concetti di
deformabilità e resistenza del terrapieno sono fondamentali per l’opera che stiamo andando a
realizzare.

Avremo una distribuzione delle tensioni e, chiaramente, se tra i grani è presente anche acqua ci sarà
anche una distribuzione delle pressioni neutre. Ci saranno una distribuzione di σ’ ed una di u w, che
andranno a sommarsi per darmi quella che è la distribuzione di tensioni lungo il paramento
dell’opera di sostegno.
Inoltre, in relazione alla uw noi già sappiamo fare tutto perché, nota la configurazione geometrica
stratigrafica e le condizioni idrauliche al contorno, noi sappiamo dire se l’acqua sia ferma, in
movimento, in condizioni di filtrazione stazionaria o transitoria, parzialmente saturo o saturo, etc.
Ciò vuol dire che metà del problema già lo conosciamo e lo sappiamo risolvere. Quindi ci
dobbiamo impegnare per capire che tensioni efficaci porterà il processo deformativo che avviene
alle spalle del muro.
Invece, per quanto riguarda la paratia, la sequenza costruttiva è molto diversa. Guardiamo, ad
esempio, il caso f):
1. Se faccio lo scavo senza la paratia mi viene tutto addosso, per questo viene prima realizzata la
paratia;
2. Scavo fino ad un certo livello;
3. Perforazione;
4. Si mette in posa il tirante;
5. Si fa l’ancoraggio;
6. Si fa il placcaggio;
7. Si finisce lo scavo;
8. Sono giunto al livello del piano campagna più in basso, come desideravo.

Per il caso a), invece, le fasi costruttive sono meno complesse:


1. Scavo;
2. Riparo il sottofondo;
3. Realizzo l’opera;
4. Rinterro.
Il rinterro può anche avere tutta una serie di dispositivi di drenaggio che poi vedremo.
Da un punto di vista di importanza, di certo le paratie sono le più gravose anche in termini di costi,
anche perché posso avere fronti di scavo anche molto alti.
Una tecnologia interessante che vedremo è quella delle terre rinforzate le quali prevedono, come
per i muri di sostegno lo scavo, e poi la posa a dimora di strati alternati di terreno e rinforzi.

Ricapitoliamo i concetti fondamentali:


1. Le tipologie e strategie di sostegno e rinforzo;
2. Le modalità costruttive;
3. Il concetto di interazione tra terrapieno ed opera in funzione della propria resistenza a taglio e
deformabilità (questo vale anche per le paratie);
4. In dipendenza dal comportamento dello scheletro solido si avranno delle tensioni di contatto σ’
(che ricordiamo essere un vettore e quindi scomponibile nelle componenti normale e
tangenziale) alle quali si somma il contributo, che sappiamo già valutare, dell’acqua.

Ora ci addentriamo proprio nell’ultimo aspetto, ossia ci chiediamo come facciamo a calcolare le
tensioni di contatto tra il sottosuolo e l’opera di sostegno; vedremo due tipi di approcci: la Teoria di
Rankine e la Teoria di Coulomb.
Il principio di base è che nella Teoria di Rankine utilizzo un approccio nel quale calcolo delle
tensioni punto per punto mentre, nell’ambito della Teoria di Coulomb, ragiono con delle forze.

Sappiamo bene dalla Meccanica Razionale che, applicando forze di superficie ad un corpo
deformabile, vengono fuori stati deformativo e tensionale.
Il sostituire le tensioni alle risultanti è un’operazione del tutto indolore se il corpo è rigido. Tuttavia,
se il corpo è indeformabile, tale operazione mi fa perdere delle informazioni ed un grado di
conoscenza. Per cui, dal punto di vista teorico, i due approcci NON sono proprio la stessa cosa.
Certamente, se siamo nel caso in cui le distribuzioni di tensioni lungo la x e lungo la z hanno un
andamento abbastanza semplificato, per le quali riesco analiticamente a calcolare analiticamente le
risultanti, gli approcci iniziano ad essere confrontabili nei loro risultati.
Ecco che, pertanto, non avremo due Teoria completamente scollegate, ma cercheremo di mettere in
qualche modo in relazione i risultati. Vedremo che per casi e condizioni di carico geometricamente
relativamente semplici i risultati ingegneristici delle Teorie sono praticamente sovrapponibili e
coincidenti.

Fatta questa premessa dobbiamo chiederci quando andiamo a calcolare le spinte.


Certamente il materiale alle spalle dell’opera di sostegno deve avere una certa resistenza. I terreni
sono, per loro natura più o meno granulari, quindi c’è sempre una componente di resistenza di tipo
attritivo. Noi vedremo il caso in cui vi è una certa coesione efficace.
N.B.: Nella slide il termine “coesione” è inteso da un punto di vista meccanico e matematico come
“intercetta di coesione”. Questo perché possiamo avere una coesione c’ (i grani sono incollati
l’uno all’altro) oppure può essere una coesione legata alla parziale saturazione Sr (contributo
aggiuntivo Sr ∙ s ∙ tan tan φ ' che dipende da tutte le caratteristiche meccaniche, quali angolo di attrito,
curva di ritenzione, grado di saturazione e suzione la quale, a sua volta, dipende fortemente dai
fattori ambientali/meteoclimatici).

Poi vedremo anche cosa accade in condizioni NON drenate.


Ad esempio, cosa accade se scavo in presenza di un argilla satura? Molto spesso anche fronti di
scavo realizzati in queste condizioni possono essere stabili in breve termine e quindi non avranno
bisogno di opere di sostegno. Quindi procederò andando a realizzare il mio sbancamento, preparo il
terreno di fondazione, l’opera di sostegno e poi faccio il riempimento di terra; addirittura posso
scavare in maniera subverticale.

Vedremo cosa accade in presenza di sovraccarichi e cosa accade se si hanno deformazioni a monte
dell’opera, dato che si avranno come conseguenza azioni sull’opera di sostegno.

Vedremo inoltre che, l’azione dell’acqua spesso e volentieri è pari a 2/3 volte l’azione dovuta allo
scheletro solido, in termini di risultante delle compressioni.
Per questo andremo a mettere una serie di drenaggi e faremo delle operazioni in cantiere ed in
progettazione per limitare al massimo la spinta dell’acqua.
Questo è un fatto interessante perché ci sono muri di sostegno che collassano anche dopo 50-60
anni. Ciò non è causato dalla degradazione del calcestruzzo o dall’ossidazione delle armature, ma
avviene perché in realtà sul lunghissimo periodo quello che può essere cambiato non è tanto il
materiale del terrapieno, bensì la “componente acqua”. Può accadere che i drenaggi smettano di
funzionare, oppure che nelle vicinanze si smettano di usare dei pozzi e quindi il piano di falda sale.
Ovviamente difficilmente sappiamo cosa accada vicino al muro di sostegno in ampie aree e quindi
nel tempo la spinta dell’acqua cresce sempre di più causando il collasso dell’opera.
Altro possibile caso: una zona a monte del muro era impermeabilizzata e l’acqua veniva raccolta in
una zona industriale (caso realmente visto dal prof). Quest’ultima venne dismessa e quindi non
veniva più svolta l’operazione di drenaggio e raccolta dell’acqua, che inizia ad infiltrarsi nel
terreno.

Un ulteriore caso di interesse può essere quello diametralmente opposto, ossia una zona in cui
l’acqua non viene utilizzata e quindi scorre indisturbata nel sottosuolo. Successivamente la zona
viene impermeabilizzata e tutta l’acqua “buttata” altrove.
Tutto questo non altera la falda globalmente ma, localmente, può causare moti di filtrazione anche
molto importanti con linee piezometriche molto alte.

Questa è l’impostazione del problema dal punto di vista degli aspetti teorici più significativi.

LA TEORIA DI RANKINE
La Teoria di Rankine si basa sull’assunzione che lo stato limite di sforzo, agente sulla parete, sia
uguale a quello esistente, in condizioni limite, sulla stessa giacitura prima dell’inserimento
dell’opera di sostegno.
Se prendo un determinato volume di terreno è lo decomprimo/comprimo, cosa succede? Dobbiamo
immaginare che la tensione verticale agente su un volume di terreno più o meno rimane la stessa,
mentre, la tensione orizzontale cambia, in particolare è associata ad un determinato cinematismo (ad
una certa deformazione). Quindi, il terreno in una determinata colonna di terreno, deve mantenere al
suo interno le tensioni verticali costanti e le tensioni orizzontali una volta vengono aumentate e una
volta diminuite. Per capire quello che stiamo dicendo facciamo un esempio con il muro di sostegno:
ipotizziamo che questo terreno manterrà il suo livello tensionale verticale costante,
lateralmente/orizzontalmente tenderà a decomprimersi o comprimersi? Il terreno tenderà a spingere
l’opera di sostegno e il muro di sostegno tenderà a ribaltarsi o a traslare, di conseguenza il terreno
tenderà a decomprimersi lateralmente. Se ho un elemento di terreno io vedrò una configurazione in
cui il terreno tenderà ad allargarsi lateralmente. È come se il fronte di scavo rimanesse fermo ed il
terreno spingendo verso il fronte di scavo tende a stabilizzarlo, mentre, spingendo dal lato del muro,
il muro non essendo vincolato da nessuna parte tenderà a ruotare o traslare quindi si comprime.

Un altro esempio che possiamo fare è la paratia, la paratia a monte e a valle ha terreno, che tenderà
a fare questa paratia non dilantata?

Con la seguente rappresentazione (riportata in alto) a livello energetico è sconveniente. Allora come
tenderà a ruotare?

Tenderà a ruotare in senso antiorario rispetto al punto di rotazione che si trova verso la base, non
sulla base, ma, sul 0.5-10% dell’altezza totale. In questo caso succede che il terreno che sta a monte
tenderà a decomprimersi, mentre, il terreno che sta a valle tenderà a comprimersi (la tensione
orizzontale aumenta, anche perché la tensione orizzontale è ortogonale a quella verticale. La
tensione verticale è essenziale per tutte le opere di sostegno perché funge da direzione, che hanno
un paravento verticale interno o sub verticale). La nostra attenzione si focalizza sulle tensioni
efficaci orizzontale, ragion per cui distinguiamo due situazioni: spinta attiva(decompressione) e
spinta passiva(compressione).

Per poter attribuire un significato a queste due spinte dobbiamo sempre ricordare che stiamo
parlando dell’interazione tra l’elemento strutturale e il terreno , quindi, quando parliamo di spinta
attiva sono quelle situazioni in cui il terreno si viene a trovare alle spalle delle opere di sostegno ( a
tergo, dietro le opere) subisce una decompressione(in figura riportiamo i due casi), parlo di spinta
passiva nel caso in cui l’opera aumenta lo stato di compressione del terreno e il terreno
passivamente “resiste”(fornisce sforzi di compressione e taglio). Se ci mettiamo nel sistema di
riferimento solidale al muro di sostegno vedo che il mio terreno alle spalle=spinta attiva mi spinge
perché tento a traslare verso sinistra e a ruotare, nel caso 3=spinta passiva sono io che vado verso il
terreno tendo a comprimerlo ed è legato al tipo di cinematismo, per semplicità possiamo definirle
anche tensioni di contatto.

Le tensioni che si generano di interazioni tra corpi a contatto dipendono dalle modalità di
deformazioni del cinematismo.
Prendo un elemento di terreno inizialmente in condizioni di spinta a riposo, metterò un valore pari a
σ’vo costante e orizzontalmente un valore pari a σ’ho, se sono su un piano campagna orizzontale
saranno anche tensioni principali di tensione, non ci sono sforzi di taglio quindi posso disegnare il
cerchio di Mohr. In condizioni di spinta attiva notiamo che la σ’ho da un valore zero decrementa alla
nuova σ’attivo, nella situazione di spinta passiva σ’ho aumenta fino ad un valore di σ’passivo, abbiamo
specificato ciò perché sarà oggetto del nostro caso di studio, questo vale per un qualsiasi materiale
che ha resistenza attritiva o coesiva.

Per farla semplice prendiamo c’=0 e disegniamo un piano cartesiano, disegniamo la σ’vo e la σ’ho
individuando il cerchio di Mohr iniziale in condizioni lontane dalla rottura. Con questo vogliamo
dire che σ’vo rimane costante, stiamo comprimendo il terreno, se allentiamo la presa possiamo
notare che il terreno si inizierà a rompere secondo delle direttrici ben definite. Per intenderci questo
ragionamento lo possiamo vedere con una cella triassiale, teniamo costante la tensione superficiale
e succederà che il nostro campione tenderà a rompersi sotto un certo carico assegnato e costante
perché tendo a diminuire man mano la tensione laterale, per essere più precisi il valore che diamo
nella prova triassiale al carico verticale è σ’vo mentre quello di cella è pari σ’ho. Tornando al nostro
cerchio di Mohr vado a diminuire sempre di più il valore di σ’ho, il cerchio diventa sempre più
grande perché aumentano le τ è si arriva alla rottura.

Conosco esattamente la tensione minima laterale, se comprimo più di quello il terreno si romperà è
σ’a prenderà il nome di spinta attiva. Se conosco il polo delle giaciture e il punto di rottura, posso
unire il piano in cui si desta lo stato tensionale σ’ e la coppia σ’ τ a rottura e anche la direzione.
Infatti, dal cerchio di Mohr io conosco esattamente la direzione dei piani di rottura e lo stato
tensionale agente sui piani di rottura. Come si calcola il polo delle giaciture? L’intersezione tra i
due piani dove agiscono rispettivamente σ’vo σ’ho determinano il polo delle giaciture.

Da questioni trigonometriche è possibile ricavare la σ’a dalla formula riportata in basso conoscendo
la σ’vo e Ka (spinta attiva):

Questo coefficiente di spinta attiva lo utilizzeremo nel calcolo della spinta nelle opere di sostegno.
Per un terreno non dotato di coesione viene utilizzata la seguente formula:

Domanda: Ka sarà più piccolo o più grande di K0? Ka è più piccolo di K0. Se φ’=0 vuol dire che è
un materiale che non resiste a trazione, di conseguenza, Ka=1 che è il massimo valore possibile, non
ha più senso parlare di mezzi multifase perché praticamente ci stiamo riferendo ad una miscela o un
fluido pesante che non ha lo stato tensionale interno efficace.
Tutto questo per dire che la cosa fondamentale, alle spalle di un’opera di sostegno in condizioni di
spinta attiva, è che avviene un meccanismo di deformazione e decompressione che cambia il
cerchio di Mohr è ci porta a toccare il criterio di resistenza. Dalle formule trigonometriche si può
ricavare l’angolo riportato in figura:
quindi nel caso 1 che sto analizzando vuol dire che il terreno si rompe secondo delle bisettrici
simmetriche. Però a noi interessa la superficie di rottura m o n, simmetriche secondo la verticale?
A noi interessa che il terrapieno si rompa lungo superfici m perché ci sarà un volume che si andrà a
definire e a caratterizzare perché si deforma complessivamente, vuol dire che lungo quella
determinata direttrice si genererà un piccolo spostamento, si isola un piccolo volume che interagisce
con l’opera di sostegno.

Il terrapieno non deve essere costituito da materiale scadente, immaginiamo sia costituito da sabbia
è che φ’=30°, l’angolo sopra rappresentato sarà uguale a 60°, vuol dire che di tutto il terrapieno che
ho inserito ci sarà una parte di volume che spingerà l’opera a cui porrò maggiore attenzione.
Rankine calcola lo stato tensionale di tutto il terrapieno per trovare la parte che si deforma è di
conseguenza quali sono le tensioni che si vanno a generare. Prendiamo come esempio un paravento
verticale liscio, se conosco tutte le σ’ho punto per punto conosco la distribuzione delle tensioni
orizzontali, anzi, nel caso in cui fosse ruvido se conosco la componente normale posso determinare
quella tangenziale. In realtà per la stabilità del muro a noi interessa la risultante orizzontale, la quale
determinerà una forza di traslazione e un momento ribaltante rispetto al punto più lontano.

Con la teoria di Rankine riesco ad ottenere l’andamento delle tensioni di contatto alle spalle del
muro.
Ora vediamo cosa accade nel caso 3 in condizioni di spinta passiva, aumentando il cerchio di Mohr
aumento lo stato tensionale fino ad un determinato punto oltre il quale non riesco più ad andare
perché ho raggiunto il criterio di resistenza. Calcoliamo la σ’p attraverso il coefficiente Kp di spinta
passiva che è strettamente più grande di K0.
Caso 1: il terreno tende a decomprimersi passa da K0 a Ka, la σ’a(orizzontale) rispetto a quella
verticale σ’vo, invece di moltiplicare per K0 viene moltiplicata per Ka, quindi questa decompressione
del terreno riduce le azioni. Il fatto che il terreno tende a decomprimersi è un fatto positivo perché
tenderà a trovare un equilibrio in cui le azioni dell’opera di sostegno saranno più grandi, ma, anche
il fatto che il Kp sia più grande è positivo perché nel caso 3 l’elemento strutturale spinge il terreno
ed il terreno aumenta il suo stato di decompressione, perché il terreno reagisce con forze superiori.
Quando un terreno tende a decomprimersi riduce i suoi livelli tensionali e quindi spinge di meno
l’opera, mentre, in condizioni di spinta passiva può raggiungere tensioni molto elevate.
Nella paratia, nel caso 3, se non ci sta la spinta passiva del terreno a valle della paratia l’opera viene
giù, non si mantiene, la paratia tende a ruotare e crolla tutto.
Perché la σ’vo rimane più o meno costante?? Perché nel caso 1 il terreno sarà stato compattato
quindi anche in presenza di un cinematismo il terreno non sprofonda, al massimo si decomprime.
Nella progettazione, nel calcolo delle tensioni di contatto, dobbiamo capire a quali parametri il
progetto fa riferimento, ovvero, alla spinta a riposo, spinta attiva o spinta passiva, quindi, bisogna
capire bene come si deforma l’elemento strutturale rispetto ai terreni. Tutto questo ragionamento è
stato fatto per un piano campagna orizzontale, ma, se fosse genericamente inclinato? Possiamo
ripetere gli stessi passaggi per il calcolo della spinta attiva e passiva, solo che le tensioni principali
del piano sono ruotate.

Ma nel caso in cui abbiamo che c è diverso da zero?


I piani di rottura hanno la stessa giacitura. Posso ripetere gli stessi ragionamenti, ma, la σ’a può
diventare ancora più piccola, può arrivare anche a zero. Perché? Perché il mio criterio di resistenza
è molto alto, quindi ho un terreno che caricato verticalmente può essere in equilibrio con stato
tensionale nullo o leggermente negativo.
Da un punto di vista applicativo vuol dire che se abbiamo un muro di sostegno ed un terreno
coesivo, alle spalle del muro di sostegno succede che σ’a =0, quindi non succede niente.

Precisazione: all’esame quando ci verrà chiesto di disegnare un muro di sostegno dobbiamo


disegnarlo come in figura, non dobbiamo commettere l’errore di disegnare un semplice trapezio.
LEZIONE 20: 14/04/2021

Stato limite attivo o passivo

Mezzo omogeneo (c’=0, φ’≠0, γ ≠ 0) delimitato da una superficie orizzontale

Quando il piano campagna è orizzontale un terreno viene a trovarsi in quelle che sono condizioni
geostatiche, in cui le tensioni verticali e orizzontali sono tensioni principali e il loro rapporto è definito dal
coefficiente k0 . In questo caso è possibile calcolare le tensioni efficaci verticali iniziali σ'v in funzione di z e
tipicamente si ha una funzione crescente con la profondità.

σ'v (z)

σ'h

Nel caso di terreno asciutto σ'v = γ d z, invece nel caso in cui il terreno è saturo fino al piano campagna allora
σ'v = γ ’z. In presenza di un moto di filtrazione, indipendentemente che sia di tipo monodimensionale o
bidimensionale, è possibile calcolare le tensioni verticali efficaci secondo la seguente formula σ'v = σv-uw.
La tensione verticale totale σv sarà sempre calcolabile ponendoci lungo la verticale e facendo il rapporto tra
il peso della colonna di terreno ad una certa profondità e l’area di riferimento.

p.c

z area di rif.

In condizioni di spinta a riposo le tensioni efficaci orizzontali saranno pari a σ'h = k0 σ'v . In
caso di spinta attiva abbiamo una variazione delle tensioni orizzontali e il coefficiente sarà k a. Il profilo delle
σ'a (z) avrà un andamento simile a quello delle σ'v, cioè lungo la verticale sarà proporzionale alla z e nullo al
piano campagna (questo si verifica spesso ma non sempre). Le stesse
considerazioni è possibile farle nel caso di spinta passiva σ'p (z). Quindi queste due tipologie di distribuzioni
sono lineari e crescenti verso le maggiori profondità.

Mezzo omogeneo (c’≠0  presenza di coesione , φ’≠0 , γ ≠ 0) delimitato da una superficie orizzontale

Nel caso di terreno tutto


saturo: σ'v = γ ’z
In prossimità del piano campagna le tensioni attive saranno negative (a causa della componente -2c’ √ k a ) e

quindi il materiale sarà sottoposto a compressione, ma essendoci coesione efficace quest’ultimo non si
sgretola. Ciò si verifica fino a quando non si raggiunge la profondità z* tale per cui la tensione σ'a sarà nulla.
Una volta che verrà raggiunta questa profondità le tensioni efficaci saranno positive, cioè per avere
equilibrio avrò bisogno di uno strato di compressione. Nel caso di uno scavo basterà una piccola
perturbazione per violare l’equilibrio, cioè se la forza a destra riportata nell’immagine seguente sarà
leggermente più bassa arrivo a rottura.

Nelle applicazioni pratiche le condizioni di equilibrio limite si verificano nel momento in cui l’ipotesi di
omogeneità non è rispettata totalmente e quindi ci saranno zone di debolezza locali arrivando così a
rottura. Da un punto di vista meccanico quindi vi sarà una perturbazione che mi porta a violare l’equilibrio,
ma queste sono situazioni che devono essere evitate. Nel momento in cui viene superata la z* è necessario
quindi prevedere delle opere di sostegno, ed è proprio per questo motivo che in alcune applicazioni il muro
di sostegno viene inserito solo per rinforzare il piede di una scarpata e non a tutta altezza.
È possibile notare che superando la profondità z 0 si avrà una tensione crescente.
In un generico punto z sarà possibile calcolare la risultante, sapendo che il punto di applicazione sarà ad 1/3
essendo la distribuzione triangolare.
Quanto detto finora varrà anche nel caso di k p.

Sarà possibile andare a diagrammare questa distribuzione σ ' pad esempio nel caso di una paratia, che ruota

intorno all’estremo più vincolato, la quale avrà un’intercetta non nulla al fondo scavo.

La pendenza di questa distribuzione ovviamente sarà k p e quindi a valle della paratia si crea un trapezio
grande di tensioni resistenti, mentre a monte la pendenza sarà minore (anche in presenza di coesione) in
quanto è regolata dal ka. Da una parte si avrà una distribuzione a tutta altezza che tende a far ribaltare la
paratia e dall’altra solo una parte può resistere, quindi questo spiega anche come ci sia un meccanismo
esistente valido ed efficiente (cioè alcune tensioni in condizione di spinta passiva sono molto più alte di
quelle che si generano a monte in condizione di spinta attiva).
Ponendoci nel caso in cui non c’è coesione, appena si realizza la paratia si ha la stessa distribuzione k 0 sia a
destra che sinistra. Nel momento in cui si effettua lo scavo la distribuzione di pressione a sinistra andrà in
spinta passiva (aumentando la pendenza), mentre dall’altro lato andrà in spinta attiva e si avrà una
distribuzione meno inclinata. La paratia, nel momento in cui si inizia a scavare, cerca di resistere mentre il
terreno a destra dell’elemento strutturale si comprime e quindi si avranno le seguenti distribuzioni k p e ka.

Quindi rispetto al punto di rotazione, che sarà circa alla base, le risultanti saranno orizzontali ed applicate
ad 1/3; in particolare la risultante a sinistra sarà molto più grande rispetto a quella di destra e c’è possibilità
di equilibrio.

Ruolo delle pressioni neutre

Fino ad ora abbiamo ragionato in termini di tensioni efficaci, ma è necessario andare ad analizzare il ruolo
dell’acqua. Consideriamo un’opera di sostegno e il terrapieno presente alle sue spalle. In base alle
caratteristiche del terrapieno possiamo avere due casi diversi:

Terrapieno totalmente saturo

(γ ’ · H · K a)· H
La risultante delle tensioni efficaci N’ sarà: .
2
(γ w · H ·)· H
La risultante delle pressioni neutre U w, in condizioni idrostatiche, sarà: .
2
N ' (γ ’ · K a)
Facendo il rapporto tra queste due risultanti avrò:
Uw
= .
γw

Passiamo ad un esempio pratico.


1−sin θ
θ ’= 30°  Ka= = 0,33
1+sin θ
γ sat = 18 kN/m3  γ ’=18-10 = 8 kN/m3
Il rapporto tra N’ e Uw :

N ' (γ ’ · K a) 8 · 0,33 ¿ ¿
= =
Uw γw 10 =0,27

Il reciproco di tale rapporto sarà:

Uw
= 3,7
N'
Quest’ultima condizione è da evitare nella progettazione in quanto la spinta dell’acqua in questo caso è
circa 4 volte più grande di quella dovuta all’interazione tra scheletro solido e opera di sostegno.

Nel momento in cui effettuo uno scavo è necessario quindi conoscere come sono distribuite e come variano
le pressioni neutre per prendere i necessari provvedimenti. L’ideale sarebbe minimizzare U w e portarla a 0
in modo da abbattere la spinta complessiva di 1/5, dove la spinta complessiva sarà N= N’+Uw ( N

rappresenta la spinta che il terreno effettua sull’opera di sostegno ed è data dalla somma del contributo
dello scheletro solido e quello dell’acqua).

Terrapieno saturo per una certa altezza


Nel caso di un’opera, come ad esempio la paratia, inizialmente non è in condizioni di equilibrio e quindi
tende a ruotare. Dobbiamo capire se lo consentiamo o meno e nel caso in cui ammettiamo che possa
ruotare devo capire di quanto dovrà ruotare per avere spinta attiva e passiva.

∆H
Nel grafico sulle ascisse è riportata che rappresenta quanto l’opera ruota ( ∆ H mi dice quanto
H
trasla l’opera in testa), mentre sulle ordinate sono riportati i coefficienti di spinta attiva e passiva. Il grafico
può essere diviso in due parti a partire dal punto corrispondente al valore di ascissa 0 e di ordinata 1.
Analizziamo la parte in alto a destra. È possibile notare che il coefficiente di spinta avrà una brusca caduta
da 1 a circa 0,1 ed essendo in condizioni di spinta attiva il terreno si decomprime. Il crollo del coefficiente
Ka sarà molto marcato per una sabbia densa, diversamente dal comportamento che si ha in caso di sabbia
sciolta.
Ad esempio considerando il valore sulle ascisse pari a 0,2% e dato un muro alto 3m, affinchè si abbia spinta
attiva il muro dovrà traslare di una quantità pari a ∆ H =6 mm.
Analizzando il coefficiente di spinta passiva vediamo che la curva nel caso di sabbia densa sarà quasi
verticale in quanto rappresenta lo sforzo che deve fare il terreno per recuperare tensione, perché
comprimendo una sabbia densa i grani saranno già abbastanza vicini differentemente dalla sabbia sciolta la
cui curva corrispondente salirà più lentamente. In spinta passiva per avere coefficienti alti avrò bisogno di
valori ∆ H /H di circa 5% . Ad esempio se la paratia è ammorsata di 3 m mi serve il 5% e cioè per avere
spinta passiva completamente mobilitata devo avere 15 cm di spostamento. Per raggiungere K p più bassi,
tra 1-2, mi basta l’1% ovvero 3 cm a fondo scavo.

Muri di sostegno

Le strutture di sostegno sono opere in grado di garantire stabilità ad un fronte di scavo potenzialmente
instabile. Tra queste opere rientrano i muri di sostegno.
La stabilità è garantita dal peso proprio e dal peso del terreno che insiste sulla suola di fondazione. Esistono
diverse tipologie:

- Muri a gravità

Sono strutture tozze (tipicamente alte fino ad un paio di metri) e tutto il materiale reagisce a compressione.
La risultante R rappresenta la somma della forza P inclinata alle spalle del muro di sostegno ( calcolata
come somma della spinta dello scheletro solido e dell’acqua) e della forza peso del muro stesso W . La
risultante sarà una forza inclinata verso il basso che deve ricadere nel nocciolo centrale d’inerzia, in quanto
non deve determinare uno stato di trazione nel materiale che non è armato.

In questa tipologia di muro di sostegno è necessario fare degli accorgimenti importanti, come ad esempio
mettere un paramento inclinato anziché verticale in modo da passare da una forza diretta orizzontalmente
ad una forza inclinata verso il basso, la quale incide sulla forza risultante R. Qualora la forza P fosse stata
orizzontale, la forza R sarebbe stata meno inclinata verso il basso e quindi era più facile che uscisse dal
nocciolo centrale d’inerzia. La pendenza del paramento interno quindi mi aiuta nel meccanismo di
resistenza. Anche il paramento esterno è necessario farlo inclinato ( pendenza ≥5 %) in modo tale che le
piccole rotazioni che subiranno i muri saranno meno evidenti. Dal punto di visto costruttivo un muro in
sommità deve essere > 0,3 m.

- Muri a semigravità

La struttura è impegnata a flessione e a taglio. Ho un risparmio sul materiale e sulla base, ma devo
prevedere un’armatura altrimenti non resisterebbe a trazione.

- Muri a mensola

È una struttura impegnata a flessione e a taglio ed è costituita da una suola di fondazione. I muri di questa
tipologia sono caratterizzati dall’incastro di due elementi strutturali: quello verticale che necessita di
resistenza a trazione dal lato interno e quello orizzontale che può essere diviso a sua volta nella parte
costituita dal dente che va verso l’esterno e quello che va verso il terrapieno.

In queste situazioni realizzerò uno scavo come quello tracciato,


realizzerò lo strato di lavoro, il muro ed infine realizzerò il terrapieno
compattandolo e inserendo dei drenaggi.
Il terreno disposto alle spalle dell’opera non è incluso nell’opera, ma di fatto partecipa al funzionamento di
essa, in quanto il peso che esercita sulla fondazione tende a fornire un momento orario rispetto al punto
più depresso dell’opera, la quale tenderebbe a ruotare in senso antiorario. Tale rotazione dipende dal fatto
che lungo il piano di riferimento tratteggiato (non è un piano di rottura, in quanto il terreno tenderebbe a
scendere orizzontalmente in caso di deformazione) ci sono tutte le tensioni calcolate alla Rankine, le quali
in questo caso specifico sono inclinate di i. Se invece il piano campagna sarà orizzontale i=0, le tensioni
saranno orizzontali, la risultante sarà applicata ad 1/3 perché c’è una linearità in termini di σ ' e quindi
l’opera tende ad essere ribaltata in senso antiorario. A questa rotazione resisterà la struttura di sostegno
con il peso proprio e il peso del terreno evidenziato in giallo.

- Muri a contrafforti o a speroni

In questa tipologia vengono inseriti degli elementi irrigidenti a sostegno della lastra verticale in modo da
aumentare la resistenza flessionale. Anche in questo caso il peso del terreno presente alle spalle dell’opera
aiuterà a bilanciare la rotazione a cui può essere sottoposta la struttura.

Nel caso dell’impiego degli speroni si avrà un ispessimento dei muri a gravità, i
quali assicurano localmente una sezione resistente molto più grande.

Inoltre vi sono soluzioni innovative di opere di sostegno, ovvero


strutture composte di elementi prefabbricati come i crib walls e terra
armata.

Crib walls
Terra armata
Sono sistemi che hanno un rinforzo sia in facciata che orizzontale, al di sopra del quale viene messo il materiale
compattato formando uno strato di 60-70 cm.

Inoltre posso avere anche strutture in legno riempite di terreno. Quindi diversamente dai classici muri di
sostegno, i quali sono caratterizzati da materiali diversi per sostenere il terrapieno, in queste nuove
tipologie usiamo anche il terreno come materiale da costruzione (ovviamente non quello presente in sito,
ma materiale con ottima resistenza).

La teoria di Rankine

La teoria di Rankine si basa sull’assunzione che lo stato limite di sforzo, agente sulla parete, sia uguale a
quello esistente, in condizioni limite, sulla stessa giacitura prima dell’inserimento dell’opera di sostegno.

Nel primo caso la spinta attiva sarà calcolata come la risultante delle tensioni di spinta attiva σ'a , che a loro
volta dipendono dal coefficiente di spinta attiva k a e dalle tensioni verticali efficaci σ'v0 . La risultante sarà
1
proprio l’area del triangolo, ovvero H per la tensione kaϒ’ cos i H. La formula della spinta attiva sopra
2
riportata vale sia per il muro a gravità che per il muro a mensola.

N.B.: Nel caso di muro a mensola la parte di terrapieno che spinge il terreno parte dal punto più basso del
terreno (punto A in figura). Quindi se questo elemento strutturale trasla o ruota lo farà completamente,
perché il paramento verticale è incastrato nella fondazione. Quindi tutto il volume di spinta che tenderà a
mobilitare l’opera di sostegno è rappresentato dal terreno tratteggiato in arancione.

Sempre in riferimento al muro a mensola se prendo la verticale di riferimento passante per i punti A e B,
posso calcolare l’inclinazione evidenziata in rosso perché è legata alle condizioni di spinta attiva. L’altro
cuneo che si forma invece, se si deforma, lo farà per spinta passiva. Quindi il terreno a destra della verticale
tenderà a decomprimersi rompendosi lungo la direzione rappresentata in verde, mentre il terreno a sinistra
tenderà a comprimersi nella direzione rappresentata in blu. Lungo la verticale, quindi, valgono le
espressioni viste in precedenza di spinta attiva e passiva.

τ τ
N.B.: Lungo la superficie rossa il rapporto tra lo fornisce il criterio di resistenza.  = C.R.
σ' σ'
Spesso ci poniamo nel caso in cui c’=0 perché tendiamo a mettere materiali granulari che hanno maggiore
resistenza e possono allontanare le acque anche più facilmente (coefficiente di permeabilità più alto),
conseguendo così ulteriori vantaggi anche dal punto di vista della distribuzione delle pressioni neutre.

C’è un caso in cui la superficie inclinata di α2 tocca il paramento interno e si avrà una distribuzione di
tensioni diversa, in particolare sarà necessario introdurre il concetto di attrito terreno di opere di sostegno
δ . In particolare la tanδ è legata alla tangente del terreno a contatto tan φ ' . Solitamente questo angolo di
1 2
attrito è circa pari a ÷ dell’angolo di attrito del terreno a contatto.
3 3
1 2
tan δ= ÷ tan φ '
3 3

La teoria di Coulomb

La teoria di Coulomb (1773) considera l’equilibrio limite globale di un cuneo di terreno delimitato dal
paramento del muro, dalla superficie limite del terreno e dalla potenziale superficie di scorrimento. È un
metodo alternativo a quello di Rankine, ma non sostitutivo.
Considerando un muro a gravità la cosa certa è che il terreno dietro il terrapieno si deforma e formerà un
cuneo di spinta, cioè lungo la superficie di rottura le N’ e le T saranno legate dal criterio di resistenza.
Ad esempio, quando non c’è coesione efficace e capillarità, una possibile relazione può essere T=N’tgφ’.
La teoria di Coulomb dice che il terreno si deforma e si forma una superficie di scorrimento, quindi mi andrà
a definire il cuneo di spinta (si ragiona in termini tridimensionali perché è caratterizzato dal muro, dalla
superficie di scorrimento e dal piano, ma geometricamente in due dimensioni è una specie di triangolo).
Il cuneo che si forma avrà una forza peso W e saranno considerate eventuali forze esterne W s, la risultante
delle pressioni neutre Ub al di sotto del cuneo; tutte queste forze si combineranno in risultanti che
andranno a spingere il muro, il quale reagirà restituendo le stesse azioni come ad esempio la spinta
ortogonale E’(applicata ad un’altezza a’ rispetto al punto più depresso) e tangenziale X al paramento
interno, la distribuzione delle pressioni neutre U (diversa da U b) agente sul paramento interno, la forza T
( la superficie potrebbe essere arcuata e quindi b’ rappresenterà la freccia della superficie di scorrimento),
la forza N’ (applicata ad una distanza d’).

Nel caso di condizioni geometriche semplici posso andare a risolvere il problema graficamente chiudendo il
poligono, perché se il terrapieno ha c’=0 avrò una forza normale W t ( nota in modulo, direzione e verso),
una tangenziale R inclinata di φ ’ e una forza Pa inclinata di δ ( quest’ultime due rappresentano le giaciture).
Definendo la Pa è possibile risolvere anche il problema analiticamente, dove la k a è la soluzione
generalizzata proposta da Muller-Breslau che, oltre a tener conto di φ ’ e i, considera l’inclinazione del
paramento interno β ( fa ruotare alcune direzioni delle forze in gioco) e l’angolo di attrito del terreno δ (fa
ruotare alcune delle componenti di tensione). muro-terreno
1 2
Pa= γ H K a
2
La Teoria di Coulomb, che permette di usare le risultanti al posto delle tensioni, funziona bene per la spinta
attiva, ma risulta essere inadeguata per calcolare la spinta passiva. Questo perché nel caso di spinta passiva
c’è una grossa deformazione del terreno e grande variazione delle tensioni, per cui l’interazione tra terreno
e opera determina uno stato di tensione di spinta passiva difficilmente rappresentabile tramite modelli
teorici e operativi. Inoltre nel caso in cui il paramento è liscio la superficie sarà piana, viceversa la superficie
AC sarà arcuata. Tali aspetti non vengono considerati nella teoria di Coulomb.

Nel caso in cui volessi applicare il metodo di Coulomb ed implementarlo tramite un file excel, fissato un
cuneo otterrò una spinta sul muro uguale e contraria ad R. Al variare del cuneo preso in considerazione
avrò diverse spinte che agiscono sul muro, ma quale prenderò in considerazione e come saranno tra di

loro?

Nel caso di α grande avrò cunei piccoli e quindi le forze in gioco saranno piccole (poniamoci nel caso in cui
la spinta sia prossima a 0). Nel caso di α piccoli , ad esempio 20°, la spinta (ovvero la componente del peso
del cuneo lungo la superficie inclinata) sarà molto modesta e quindi prossima a 0. Se si procede per punti,
ogni 5°-10°, è possibile notare che ci sarà sempre una funzione che ha un massimo assoluto. L’angolo α che
massimizza la spinta è il valore che mi interessa. Quindi con il metodo di Coulomb si determina la spinta in
funzione di tutti i cunei possibili e si prende in considerazione il massimo.
N.B.: In condizioni di geometria semplice, di terreno omogeneo, di piano campagna orizzontale la teoria di
Rankine e la teoria di Coulomb restituiscono lo stesso risultato.
Per tale motivo in casi generali non si parla di n cunei, ma direttamente di quello che massimizza la spinta.
Ovviamente l’esatta posizione della superficie di scorrimento non è nota a priori, ma va ricercata a partire
da un possibile angolo che potrebbe essere quello già espresso da Rankine.

Vediamo ora cosa succede al muro nel caso in cui sia presente acqua. Il peso del cuneo W f sarà legato in
parte al terreno asciutto e in parte dal terreno asciutto parzialmente saturo, poi ci sarà la risultante di
pressioni neutre U, la risultante delle tensioni efficaci R , la tensione P a ‘ ( è inclinata perché essendoci
contatto tra terreno e muro di sostegno è presente l’attrito δ ¿.

Drenaggi

I drenaggi permettono di abbattere e ridurre fino a 0 il profilo di pressioni neutre alle spalle del muro. Ad
esempio, nel caso di un elemento strutturale verticale a contatto con un terrapieno predisponiamo dei
drenaggi. Se l’acqua non esce i tubi saranno puliti, se passa acqua si formerà il muschio.
Quello che posso fare è generare un moto di filtrazione facendo uscire l’acqua oppure cercare di avere un
moto di filtrazione subverticale alle spalle del muro. Questo secondo caso è preferibile in quanto il
diagramma delle pressioni alle spalle del muro è 0, cioè il terreno sarà tutto saturo però c’è un moto di
gravità con isopieziche equidistanziate tra loro. Ogni isopiezica avrà h w= z+0, mentre il gradiente idraulico
j=1 in quanto ∆ hw =∆ z .

È necessario verificare come posso garantire questo, se con materiale drenante e un tubo di raccolta
perfettamente funzionanti o usando anche dei fori in facciata. Ovviamente se uno di questi elementi o tutti
smettono di funzionare correttamente non avrò più pressioni nulle, ma sarà possibile avere anche pressioni
idrostatiche, con conseguente traslazione o rotazione del muro.
Venerdì 16/04/2021 (SEMINARIO PROF. FRIGO) PARTE 1
GEOSINTETICI
“Geosintex”: azienda che produce geotessili non tessuti.
Sommario:
- Materiali geosintetici: aspetti normativi e tipologie
- Opere di sostegno in terra rinforzata: muri rinforzati e pendii rinforzati
- Geofiltri tubolari
- Conclusioni

CONTESTO STORICO
1935: prima pubblicazione di un materiale tessuto in cotone impiegato come un attuale geotessile, per
separate e stabilizzare il terreno in sito per una strada non pavimentata.
1963: Henry Vidal ha brevettato la “Terra rinforzata”, con un brevetto che copriva ogni tipo di rinforzo e di
fronte. Significata sostenere il terreno con delle inclusioni ( non più con muri in cemento armato ma con
elementi inseriti nel corpo del rinforzato).
1965: fu realizzata la prima struttura rinforzata. Il fronte era realizzato con degli elementi metallici a “c”
(esteticamente brutti), con all’interno delle barre metalliche con sezione pari a 3 cm x 0.5 cm e lunghezza
calcolata ad hoc.
1971: tecnologia si diffonde anche negli USA
1985: J. P. Giroud conia il nome “geotessile”, attualmente usato in tutto il mondo per questo tipo di
geosintetico non metallico.

Nasce quindi una prima distinzione:


- Terra armata: opere di sostegno realizzate con elementi metallici all’interno del terreno
- Terra rinforzata: opere realizzate con geosintetici, ovvero prodotti provenienti da materiali
polimerici.

Per realizzare un’opera di ingegneria civile con geosintetici che sia sicura ed economica, occorre far
comunicare tre aspetti:
- Ingegneria geotecnica (o ingegneria per l’ambiente ed il territorio nel caso di discariche)
- Codici (normative dei vari Paesi, NTC 2008 o 2018 in Italia, ed Eurocodici)
- Ingegneria dei geosintetici (come si comportano questi materiali all’interno del terreno)

Questi sono gli aspetti fondamentali per tenere sotto controllo, durante tutta la vita dell’opera, il
comportamento dei geosintetici.
Bisogna conoscere:
- Come varia la loro resistenza nel tempo
- Come si deformano

INGEGNERIA GEOTECNICA
Comprende:
- indagini e prove (in sito e in laboratorio)
- metodi di calcolo (SLU per lo studio dell’equilibrio della struttura e SLE per lo studio delle
deformazioni)
- monitoraggio delle strutture una volta realizzate

INGEGNERIA DEI GEOSINTETICI (INGEGNERIA DEI CONTATTI)


Comprende:
- proprietà fisiche (tipo di polimero, massa aerica…)
- proprietà meccaniche (resistenza a trazione, deformazioni a carico massimo, rigidezza…)
- proprietà idrauliche (permeabilità normale o nel piano. Nella superficie di contatto ci sarà
permeabilità, oppure non dovrà esserci passaggio di acqua fra una zona e l’altra)
- durabilità (i vari fattori di riduzione)
- interfacce (i geosintetici vengono posti a contatto col terreno. Di solito essi sono posti come strato
di separazione tra terreni. Nella superficie di contatto ci sarà un attrito da dover determinare. Altre
volte, ad esempio nelle discariche, i geosintetici sono posti a contatto l’uno con l’altro, per tanto
occorre conoscere l’attrito anche tra geosintetici, ed occorre caratterizzare l’attrito non solo in
condizioni statiche ma anche in condizioni sismiche, e in condizioni sia asciutte che bagnate).
CODICI
Comprende:
- Eurocodici (è raro che gli eurocodici trattino strutture in geosintetici, in quanto contemplano solo
l’acciaio, il cls e il legno. A breve entreranno a far parte della normativa anche i geosintetici)
- Annessi nazionali agli Eurocodici ed altre linee guida europee (British Standard BS 2016, EBGEO
german edition 2010, NF per pendii ripidi rinforzati). Essi sono stati introdotti proprio perché gli
eurocodici non comprendevano la trattazione dei geosintetici.
- Codici internazionali: AASHTO, FHWA (USA)

Le norme sui geosintetici vengono elaborate dall’ISO (International Organization for Standardization), ha
sede in Svizzera ed è diviso in comitati tecnici, ed il TC 221 tratta i geosintetici. Ogni comitato è diviso in
sottogruppi che trattano le varie proprietà dei geosintetici.
Il mondo accademico e dei laboratori dei materiali ed il mondo industriale partecipa a questi gruppi (a volte
anche i progettisti).
A livello europeo abbiamo il CEN/TC 189 che tratta i geosintetici. Anche qui si hanno sottogruppi.
Le norme partono dall’ISO e poi vengono discusse nel CEN o viceversa. Il CEN può elaborare normative per
la CE senza dover interpellare l’ISO.
Negli USA abbiamo la ASTM (che elabora normative sui geosintetici). Abbiamo anche il Geosynthetic
Institute (privato).

Alcune definizioni dalla UNI EN ISO:


- Geosintetico GSY: termine generico che descrive un prodotto, del quale almeno uno dei
componenti è composto di un polimero sintetico o naturale, sotto forma di foglio, striscia o
struttura tridimensionale, utilizzato in contatto con il terreno e/o altri materiali in applicazioni
geotecniche e di ingegneria civile
- Geotessile GTX: materiale tessile polimerico (sintetico o naturale), permeabile, planare, che può
essere non tessuto, a maglia o tessuto, utilizzato in contatto con il terreno e/o altri materiali in
applicazioni geotecniche e di ingegneria civile
- Geogriglia GGR: struttura planare, polimerica, che consiste di una rete regolare aperta di elementi
resistenti a trazione interamente collegati, che possono essere connessi mediante estrusione,
saldatura o interlooping o intrecciatura, le cui aperture sono più larghe dei costituenti.

Norma armonizzata: per i geosintetici sono norme che sono accettate in modo uguale in tutti i paesi della
CE e che favoriscono lo scambio dei materiali. Se produco un materiale in Italia, devo scrivere una scheda
tecnica. Le prestazioni scritte nella scheda tecnica dicono quale test fare sul materiale (resistenza a
trazione, allungamento, permeabilità etc.) e questi test sono uguali per tutta la CE. Così si possono
confrontare più prodotti.
Non è un processo banale, perché entra in gioco la politica e l’industria.

Eurocodici: sono realizzati a livello europeo. Il nostro eurocodice per la geotecnica è il 7. L’8 è quello per le
strutture sismiche.

I MATERIALI GEOSINTETICI
- GEOTESSILI NONTESSUTI: rotoli bianchi, un tempo erano fatti a filo continuo (con un filamento che
usciva in modo continuo da un ugello, faceva un percorso random creando il geotessile).
Successivamente si è passati al geotessile a fiocco (uniti fra loro attraverso processi di agugliatura e
termocalandratura). Sono realizzati in poliestere o polipropilene, di fibra vergine o riciclati. Hanno
un allungamento a rottura elevatissima (50/60/80%). La resistenza a trazione va da pochi KN/m fino
a 30-40 KN/m (si prendono provini di 20 cm di larghezza e con dei dinamometri si determina la
resistenza a rottura del materiale, o a deformazione massima scelta, e poi si rapporta al metro di
lunghezza). Sono permeabili soprattutto perpendicolarmente al piano.
La resistenza massima si raggiunge con deformazione intorno al 60-70% (meglio che non venga
usato come opera di sostegno, per via della deformazione eccessiva).
- GEOTESSILI TESSUTI IN PP: geotessili in polipropilene sono in tessuto (come le maglie). Sono
realizzati con una vera e propria trama, con dei telai come quelli degli abiti. Sono realizzati a
bandelle che poi vengono tessute. La resistenza massima si ottiene al 10-12% di allungamento
(molto meglio per un’opera di sostegno rispetto ai nontessuti).
I primi elementi di rinforzo erano in cotone, ma il cotone non resiste nel tempo perché dopo
qualche mese si decompone.
Resistenza massima intorno ai 200 KN/m.
Sono stabili chimicamente, sia in ambienti acidi che basici.
I geotessili in polipropilene hanno un grip molto alto.
I geotessili in poliestere hanno un grip molto basso, una resistenza a trazione che arriva a 1000 KN/
m, ma sono più attaccabili dal punto di vista chimico.

- GEOGRIGLIE: realizzare un muro in terra rinforzata con i geotessili precedenti dava un attrito fra i
tessuti ed il terreno molto basso (pari a 0.4-0.5 tgφ). Così si è deciso di concentrare la forza in alcuni
elementi (lasciando alcuni spazi vuoti): le griglie. Così fra terreno e terreno c’è forte attrito, e negli
spazi non vuoti c’era un attrito minore (ma comunque in un’area ridotta).
Abbiamo le geogriglie per il rinforzo dell’asfalto, che vengono usate per rinforzare gli strati di
conglomerato bituminoso, per evitare le fessurazioni. Sono in fibra di vetro o poliestere.
Abbiamo poi le geocelle, strutture alte 10 cm, riempite di terreno, per aumentare la capacità
portante del terreno o per favorire la rivegetazione di argini fluviali.
Abbiamo le biostuoie, per favorire il rinverdimento. Trattengono temporaneamente il terreno
finché il seme non attecchisce
Abbiamo le geostuoie, che servono per trattenere il terreno su scarpate e argini, sulla quale si
mette il terreno vegetale, e con le radici si tratterrà il terreno.
Abbiamo i geocompositi bentonitici, che sono due strati all’interno del quale viene posto uno strato
di bentonite e servono per impermeabilizzare dall’acqua, come le geomembrane.
Abbiamo i geocompositi drenanti, che all’interno hanno appunto un’anima drenante, in cui l’acqua
passa e viene poi convogliata.
Abbiamo poi i geomaterassi, nella quale viene iniettata una miscela di cemento o bentonite.
Vengono usati nelle banchine a giorno dei porti, per evitare le erosioni delle eliche delle
imbarcazioni, per protezione dei fondali.

Come si studia la durabilità nel tempo dei materiali?


Il termine durabilità è un termine generico che raggruppa vari tipi di decadimento della resistenza:
-Dovuto ad agenti chimici: si fanno delle prove inserendo un campione di materiale all’interno di un
liquido basico o acido (con pH noto), si immerge per un tot di ore o giorni e poi si determina la
resistenza a trazione dell’elemento sottoposto a degradazione. Si confronta poi con un elemento
non sottoposto alla prova. Si fa il rapporto tra la res. Del campione integro con quella del campione
degradato e si ottiene un numero maggiore o uguale a 1 (ad esempio se il rapporto è uguale a 2,
significa che la resistenza si è dimezzata)
-Dovuta a “creep”, nel tempo il materiale può andare a rottura a causa di una deformazione sotto
carico costante, che porta a rottura il materiale anche con carico notevolmente inferiore al suo
carico ultimo, a condizione che sia applicato in modo continuativo nel tempo.

- FILTER UNIT: sacchi riempiti di pietrame, usati per lavori di controllo di argini o di immersione dei
piedi di ponte. Possono essere esposti anche a raggi UV senza subire degradazioni, in quanto
trattati.

- GEOFILTRI TUBOLARI: due geotessili tessuti uniti tra loro, all’interno del quale viene inserita del
fango proveniente da industre agricole o alimentari. Hanno il compito di ridurre la quantità d’acqua
all’interno del fango per ritrasformarlo in terreno. Per riuscire a trasportare all’interno dei tubi il
fango che poi andrà nei geofiltri, la concentrazione di acqua dovrà essere circa pari all’80%, col 20%
di terreno. Il comportamento del geofiltro cambia perché il comportamento del terreno nel tempo
cambia.
FUNZIONI DEI MATERIALI
Nella ISO 10318 viene indicata la funzione dei materiali geosintetici, che può essere di:
- Separazione (ad esempio con geotessile non tessuto), per separare pietrisco da uno strato più fine
di materiale (ad esempio durante la costruzione di una strada). Nella posa in opera c’è la
sovrapposizione di strati geotessili contigui, che è fondamentale per avere continuità nella
progettazione.
- Barriera: impermeabilizzazione del fondo ad esempio di una discarica. In questo caso si effettua la
sovrapposizione dei tessuti, ma poi vengono saldati i vari rotoli. Prima della geomembrana, nel
fondo della discarica, viene messo uno strato di 50 cm di argilla. Eventualmente al di sopra della
geomembrana viene messo un geocomposito bentonitico. Si creano dei sistemi sovrabbondanti di
sicurezza, per prevenzione.
- Filtrazione: consiste nel separare una zona a permeabilità elevata (che serve per convogliare e
allontanare l’acqua da una zona) dall’esterno, per evitare fenomeni di filtrazione di terreni a grana
fine, favorendo comunque il passaggio dell’acqua stessa.
- Drenaggio: ad esempio nel rivestimento finale (esterno) della discarica, per convogliare le acque
meteoriche nelle zone di raccolta. Costituito da una georete interna e due geotessili esterni; sul
geocomposito drenante viene messa una geogriglia e al di sopra il terreno.
- Armatura: serve per creare una terra rinforzata (per dare resistenza al terreno). Si deve
regolarizzare il terreno di base, inserire una geogriglia al di sopra, sui fronti si mettono i “casseri”
(cassaforma) e poi uno strato di iuta a formare il fronte della terra rinforzata. Le geogriglie qui non
sono saldate ma sovrapposte. Al di sopra delle geogriglie verrà posto un “terreno ingegnerizzato”,
che ha una granulometria selezionata in modo da poter essere utilizzato in modo ottimale.
- Controllo dell’erosione superficiale: viene realizzato con un materiale impermeabile (con un nucleo
di argilla) per evitare il passaggio dell’acqua. Poi viene posto del pietrame in superficie, e tra
pietrame e nucleo fine viene posto un elemento di separazione (strato geotessile) per evitare che
durante l’innalzamento del corso d’acqua venga asportato il fine e portato all’interno dell’acqua.
- Protezione: ad esempio nel fondo di una discarica si mette la geomembrana. Per proteggerla da
eventuali rotture si mette uno strato di nontessuto di protezione.
- Rinvenimento di distensione: controllo delle fessurazioni in uno strato di asfalto. Quando si fresa
una strada per manutenzione ordinaria, c’è la possibilità di inserire queste griglie in fibre di vetro al
di sotto del tappetino di usura (strato superficiale della pavimentazione) in modo da evitare la
deformazione e fessurazione della strada. Al di sopra di esso ci vanno 3 cm di strato bituminoso.
Spesso non viene impiegata la griglia per motivi economici.

APPLICAZIONI DI GEOSINTETICI
LA FUNZIONE DI RINFORZO
Prova ISO 10319 per misurare la resistenza (dura circa un minuto) su 20 cm di materiale. Si inizia ad
applicare la forza, la geogriglia si allunga e si inizia a misurare la deformazione con il micrometro. Arriva a
rottura della geogriglia, con registrazione dell’allungamento massimo da parte dello strumento.
Con gli strumenti attuali si ottiene una registrazione continua della deformazione in funzione della forza
applicata, fino ad arrivare a rottura. (Prove a velocità di deformazione costante, no accelerazioni).
Nel grafico sono riportate 5 prove. Sulle x c’è
l’allungamento in percentuale (l-l0)/l0, sulle y si
riporta la forza in kN/m.
Ad esempio, nella prima prova si vede che si
arriva a rottura al 10% dell’allungamento e la
resistenza massima è circa 70 kN/m.

Perché 20 cm?
I ricercatori hanno scoperto che le condizioni
teoriche sono quelle di deformazioni piane. Se
usiamo un provino con larghezza minore di 20 cm, con le geogriglie e con i geotessili tessuti si ottiene un
valore di tensione ultima superiore a quelle delle deformazioni piane. Con i nontessuti si ottengono valori
inferiori. 20 è un buon compromesso, in quanto usando una larghezza maggiore ci si avvicinerebbe ancora
di più al valore reale ma con tensioni molto più grandi per raggiungere la rottura (difficilmente raggiungibili
in laboratorio).

Nel grafico seguente si illustra la resistenza nel tempo

Sull’asse delle x riportiamo il tempo, su quello delle y la percentuale di resistenza residua rispetto a quella
ultima. La resistenza richiesta al materiale è la linea continua, mentre quella tratteggiata è l’azione che
viene esercitata sul materiale. All’inizio la resistenza è massima.
Nella fase 6 c’è la movimentazione (si suppone di dover costruire un’opera e portare il materiale in
cantiere. Lo si posiziona in cantiere, e lì l’azione sul geosintetico è nulla e la resistenza è massima).
Nella fase di posa in opera (fase 7) si suppone di fare una terra rinforzata, si mette al piano campagna il
primo strato di geogriglia e sopra uno di terreno. Il rullo compattatore deve passare al di sopra di esso,
quindi la sollecitazione è elevata e la perdita di resistenza è notevole perché la geogriglia viene
danneggiata.
Una volta compattato lo strato di geogriglia si è nel punto 8 e si posano gli altri strati. Ci sarà comunque una
perdita di resistenza e una sollecitazione sul materiale, che però non saranno come quello precedente in
quanto si costituiscono altri strati che sono su altezze diverse. Alla fine della fase 8 l’opera sarà realizzata
completamente.
Nella fase 9 la sollecitazione sul materiale rimane costante, mentre c’è un decadimento costante nel tempo
delle proprietà del materiale (resistenza).
Nel punto 10 (ad esempio 100 anni) in cui si raggiunge il fattore di sicurezza con cui questi materiali sono
stati progettati. Il tempo 5 è quello in cui posso effettuare la manutenzione per evitare di arrivare al punto
11.
Nel punto 11 avviene la rottura del materiale. (se non si agisce si arriva al collasso della struttura).

Una delle possibili tecniche per manutenere una struttura di sostegno è mettere dei tiranti all’interno del
terreno per andare ad inserire una nuova forza che sia in grado di riequilibrare la struttura. Altrimenti si
demolisce e riscostruisce.

RESISTENZA DEI GEOSINTETICI


Può essere determinata seguendo delle linee guida dare da PD ISO/TR 20432:2007
Essa definisce:

Nei nostri modelli di calcolo si deve tenere conto di tutti i fattori precedenti, così posso calcolare una
resistenza a lungo termine:

Ma TD non potrà essere usata perché non tengo in considerazione il fattore di riduzione γM.
Quindi nel software di calcolo andrò ad inserire T all.
I γM assumono diversi valori a seconda dei Paesi in cui si legge la normativa. Il valore varia da 1.2 a 1.4.

DETERMINAZIONE DEGLI RF
I test per individuare i valori di RF sono indicati dalla PD ISO TR 20432:2007.
I test si fanno col “protocollo”, che definisce sia le prove sia le relative estrapolazioni per la determinazione
degli RF. (Le estrapolazioni sono sempre molto delicate).
Ci sono tre livelli di attività di laboratorio:
- Index test: sono i più veloci ma non simulano le condizioni in sito (sono fatte per controlli di qualità)
- Performance test: sono i più complessi e simulano le condizioni in sito (servono per corroborare
metodi di calcolo empirici)
- Quasiperformance test: molto vicini a performance test ma con alcune semplificazioni e
approssimazioni (sviluppo di metodi di calcolo empirici)
ESEMPIO
RF di danneggiamento.
RFID tiene conto del danneggiamento durante la posa del materiale. È stato definito sia dall’ISO TR che dal
professore Leshchinsky.
L’index test è definito dall’ UNI EN ISO 10722:2007, e serve a valutare il danneggiamento meccanico sotto
carico ripetuto.
Si pone su una scatoletta d’acciaio il materiale granulare, il geosintetico o la geogriglia e poi altro materiale
granulare. Successivamente si applica una sollecitazione ciclica, per un determinato numero di cicli. Si
confronta poi il risultato con un campione che è stato danneggiato ma non ciclicamente.
Avremo 200 carichi ciclici da 10 kPa a 500 kPa. In confronto si fa con un campione sottoposto a carico
statico di 500 kPa per 60 secondi.
Aggregati da 5 mm a 10 mm (materiale granulare).
NB: Questo è un index test che non fornisce l’ RF ID

Per trovare l’ RFID, come indicato dal PD ISO TR 20432, occorre un testo di danneggiamento in sito. Occorre
realizzare una matrice con terreno di base e rinforzato. A sinistra avremo un terreno compattato in modo
strandard, al centro un terreno sovracompattato, a destra due strati di terreno compattati in modo
standard.

Si passa sopra con il rullo vibrante. In questo modo si determina l’RF da usare nei nostri calcoli, NON CON
L’INDEX TEST PRECEDENTE, in quanto quello (con i carichi ciclici) da solo l’attitudine del materiale ad essere
usato in particolari ambienti.

La prova di resistenza a trazione da un range di risultati che vengono elaborati statisticamente e poi per
trovare il valore caratteristico (il 5%) si fa il valore medio – k*S (dove S è la deviazione standard -ipotizzando
una gaussiana- e k vale 1.64). Negli stati uniti k=2 (per coprire il 97.5% di casi, piuttosto che il 95%).

TERRA RINFORZATA
Terra ingegnerizzata che incorpora strati discreti di rinforzo di terreno, posizionati in generale in
orizzontale, che sono disposti tra strati successivi di terra durante la costruzione.

Principali documenti disponibili per la progettazione sono:

MURI E PENDII RINFORZATI


A seconda della norma (e quindi del Paese), la pendenza in base alla quale si stabilisce se si tratta di muro o
pendio varia.

I muri in terra rinforzata sono calcolati con la teoria che si usa per i muri in cemento armato (Renkine e
Coulomb, quindi teoria della spinta delle terre).
Nel caso in cui si avesse a che fare con un pendio rinforzato si usa il metodo di Taylor, Bishop, Fellenius (per
la stabilità dei pendii).

Questi metodi sono applicati in base al meccanismo di rottura. Si parte da un’analisi di laboratorio e si
individua il meccanismo di rottura in laboratorio, successivamente si applica la teoria opportuna.

Nell’NTC 2008 si parla di Terre rinforzate e a volte si usa ancora quella perché alcune opere sono state
costruite seguendo questa normativa, quindi si continua ad utilizzare la stessa al posto della NTC 2018.
Lezione 19/04/2021

Seconda lezione ing. L.F.

In precedenza, abbiamo dato una visione globale dei diversi geosintetici presenti sul mercato,
adesso entreremo nel dettaglio della progettazione delle terre rinforzate.
Abbiamo visto la distinzione tra muri e pendii rinforzati: i primi sono quelli con inclinazione
sull’orizzontale >70° mentre, per pendii rinforzati, si intendono le scarpate con inclinazione
inferiore o uguale a 70°; tale distinzione non è semplice nomenclatura, ma poggia su basi fisiche di
cinematismi di geo-rottura diversi.
Adesso esaminiamo tali cinematismi per i muri, oltre alla capacità portante che significa arrivare a
condizioni limite di resistenza del terreno in sito, con una particolare rottura.

⮚ Per traslazione si intende letteralmente la traslazione dell’opera sul piano di posa oppure su
ogni singolo rinforzo.
⮚ Stabilità generale o rottura per instabilità generale composita significa che si creano
superfici di rottura che passano dietro la terra rinforzata oppure che tagliano il terreno
antistante o nella zona verso monte, posteriore, e che tagliano anche i rinforzi.

⮚ Si può avere inoltre il ribaltamento attorno un asse particolare punto di rotazione,


schematizzabile come un corpo rigido che ruota attorno ad un asse.

⮚ La stabilità interna è una novità perché per i muri in c.a. non è previsto questo tipo di
rottura, ma è caratteristico delle terre rinforzate. Questa rottura si forma a cuneo di spinta
attiva, con i metodi di Rankine e Coulomb, verificandosi un’azione che deve essere
contrastata da una resistenza fornita, NON dalla parente in c.a. sulla fondazione, ma dai
rinforzi stessi distribuiti lungo l’altezza del muro.
Per i muri rinforzati, in base alle NTC2008, abbiamo diversi approcci che si possono applicare:
l’approccio A1+M1+R3 si applicava alla capacità portante delle fondazioni, scorrimento, stabilità
interna e sfilamento. L’EQU era separato e sta per “ribaltamento attorno al piede del muro
rinforzato”. Esso era una combinazione a parte, ossia la EQU+M2.

Lo sfilamento (Pullout) non era specificato nelle NTC 2008, allora occorreva riferirsi ad altri
approcci quali, ad esempio quello francese (in cui si utilizzava per M1 un fattore di sicurezza pari a
1.35 pari a 1.10 per M2), o tedesco (nell’EBGEO tale fattore era 1.40).
Per quanto riguarda il fattore di sicurezza sul geosintetico γM è pari a 1.25 per l’approccio francese
ed 1.40 per quello tedesco (EBGEO). La stabilità composta si tratta come quella globale ed il
coefficiente è pari sempre a 1.1.
Nelle NTC 2018 è tutto uguale a quelle del 2008, fuorché per l’EQU che è stato tolto ed inserito
nell’approccio A1+M1+R3.
Anche in queste NTC non ci sono indicazioni per lo sfilamento e per il fattore di sicurezza sul
geosintetico e quindi si fa riferimento alle norme di Paesi europei che ci stanno attorno o
statunitensi. Tuttavia, attualmente gli Eurocodici stanno inglobando le nuove versioni anche con
opere con geosintetici e vi saranno specificati anche questi coefficienti parziali.
Inoltre, bisogna dire che i coefficienti indicati sono quelli minimi, nulla vieta al progettista di
utilizzare coefficienti maggiori di quelli che l’Eurocodice indicherà tra qualche anno.
Per quanto riguarda la granulometria è chiaro che le terre rinforzate non si possono fare con terreni
vegetali (idem i muri rinforzati). Anche se utilizziamo i rinforzi più resistenti che vi sono in
commercio dobbiamo utilizzare granulometrie apposite; questo punto è importantissimo perché le
deformazioni indotte da una scelta scorretta del terreno di riempimento sono una delle cause di
rottura principali dell’opera di terra rinforzata, assieme alla compattazione ed alle pressioni neutre,
quindi alla presenza di acqua nel corpo rinforzato. La presenza di grana fine deve essere molto
molto contenuta. È ammesso l’utilizzo di materiali lapidei anche molto grossi che però danno
problemi di compattazione, infatti massi di 20-30 cm di diametro non consentono la corretta
compattazione, quindi si pone il limite a 10 cm. Anche il pH deve essere controllato e compreso tra
4 e 9.
È riportato un esempio su come utilizzare i coefficienti parziali delle NTC 2008, quindi la
differenza che troveremo sarà solo per l’EQU, dato che per traslazione, ribaltamento e capacità
portante non vi è nulla di nuovo di quello visto per i muri in cemento armato. La novità sta nella
stabilità interna, cioè la tensione in ogni rinforzo.
Ora, supponiamo di voler determinare la tensione di questo rinforzo: si determina la tensione
orizzontale σH, data dal prodotto del coefficiente di spinta attiva k a ed il γz amplificato (tensione
verticale sovrastante) + l’eventuale sovraccarico q sempre amplificato.

σ H =k a ( γ G 1 γZ + γ Q 1 q)

Trovata la σH, questa va integrata nell’interasse del posizionamento dei rinforzi e dà la trazione
massima agente sul geosintetico di riferimento, espressa dimensionalmente come forza/lunghezza
[kN/m].
Questa era la tensione agente mentre, la resistenza del rinforzo è data dal rapporto tra le tensioni
caratteristiche ed i fattori di riduzione, ancora diviso γ M. Quest’ultimo vale 1.5 per le norme francesi
ed 1.4 per le norme tedesche.
T char
П
R D= RF
γM

La verifica è soddisfatta se la trazione massima è inferiore o uguale alla resistenza del geosintetico.
Per pullout, invece, si intende lo sfilamento del rinforzo. Nel caso indicato nella slide vi è trazione
verso sinistra ed il geosintetico è teso. Nel punto in cui c’è la discontinuità tra cuneo di spinta attiva
e terreno in sito, ci sarà una trazione diretta verso sinistra, applicata al geosintetico inserito nel
terreno. Se non c’è sufficiente ancoraggio, ossia se il geosintetico ha una lunghezza inferiore ad una
determinata lunghezza Le, le τ che agiscono sopra e sotto, cioè le tensioni di trazione che agiscono
sulle due superfici del geosintetico non riusciranno a contrastare la tensione massima.
Quindi, se osserviamo la formula di Le riportata nella slide e riportiamo il denominatore a sinistra
della relazione, noteremo che tutto il primo termine è l’integrale delle tensioni di trazione e che esso
deve essere maggiore della tensione massima presente nel geosintetico. Quindi abbiamo un
equilibrio di forze in cui la forza resistente deve essere superiore.
“Cpo” è il coefficiente di pullout che viene determinato attraverso prove di laboratorio e, in genere,
assume valori tra 0.7 e 0.8; esso viene moltiplicato per tanφ, quindi assume il significato di un
angolo di attrito del terreno in condizioni di sfilamento, che è una frazione d'attrito del terreno
stesso.
Il coefficiente α tiene conto dell’effetto scala delle prove di trazione, in quanto lì non abbiamo un
provino continuo e non siamo in condizioni di deformazione piana. Poi c’è σ V, che è la tensione
verticale.
“C” è un coefficiente che tiene conto delle due forze nelle superfici del geosintetico.
“Rc” è un fattore di copertura perché in alcuni casi gli elementi possono essere stesi in continuo o in
maniera discontinua nel terreno.

N.B.: fare attenzione a cosa debba essere fattorizzato e cosa no! In questo caso se noi amplifichiamo
γG1 si va a sfavore di sicurezza, quindi esso va posto pari ad 1 e γ Q1 addirittura pari a zero perché, nel
determinare il pullout, non si tiene conto dell’incremento dato dal solo carico altrimenti andiamo in
condizioni sfavorevoli per la sicurezza. Questo perché il sovraccarico aumenta la resistenza però
non è sempre presente nel pendio e se noi lo mettiamo in conto facciamo un errore andando a
sovrastimare il pullout presente quando non c’è il sovraccarico.

Esistono diverse condizioni di carico, infatti i pendii non hanno sempre condizioni semplici di
spinta con una superficie superiore di spinta orizzontale dove è facile applicare le teorie di spinta
attiva ma, a volte, esse sono inclinate allora sono stati elaborati dei metodi semiempirici per i quali,
oltre ad una componente orizzontale ce n’è anche una verticale dell’azione del terreno sulla zona
rinforzata. Si deve tenere conto di questo aspetto soprattutto quando si fanno le verifiche di capacità
portante.
Se i pendii sono compositi, si determina una inclinazione i data dalla formula riportata nella slide. È
un metodo semiempirico che fornisce una leggera sovrastima, che però serve a stare a vantaggio di
sicurezza.

Effettuate le verifiche di stabilità interna, rimangono da fare le verifiche di stabilità globale, con
superfici che passano esternamente, eventualmente la stabilità composita con superfici interne al
muro rinforzato e la traslazione su ogni singolo geosintetico.

Per ora abbiamo parlato di condizioni statiche, adesso parliamo di quelle sismiche.
Con le NTC 2008 si potevano considerare unitari solo i coefficienti parziali sulle azioni, mentre, i
parametri meccanici ed i coefficienti di riduzione sui parametri geotecnici dovevano rimanere
uguali a quelli delle condizioni statiche. Ad esempio, con il gruppo di coefficienti di riduzione M2,
la tanφ dell’angolo di attrito del terreno doveva essere ridotta per 1.25, cioè la tanφ (design) era pari
a tanφ (caratteristico) diviso 1.25 ed a questo valore applicare il kh (coefficiente sismico orizzontale)
e il kv (coefficiente sismico verticale, verso l’alto e verso il basso). Era un metodo molto gravoso,
infatti uscivano dimensionamenti molto importanti rispetto a quelli fatti seguendo le norme
precedenti (1988) nei quali non si usavano i coefficienti parziali.
Con le NTC 2018 si è un po’ ritornati indietro, ossia si fa un dimensionamento simile a quello di
una volta in condizioni sismiche: è possibile porre pari ad 1 sia i coefficienti sulle azioni che quelli
geotecnici e utilizzare i valori di γ R riportati nel capitolo 7 di tale norma, riguardante le verifiche
sismiche.
Ora ci dobbiamo chiedere se per il geosintetico il comportamento statico sia uguale a quello
sismico. Visto che esso è un materiale visco-elasto-statico in condizioni sismiche esso ha un
comportamento un po’ strano, difatti la PD ISO TR 20432:2007 dice che “durante le condizioni
sismiche o per carichi applicati velocemente è possibile porre il coefficiente sismico pari ad 1, cioè
non considerare la perdita di resistenza per creep”.
Quindi la resistenza in condizioni sismiche è pari alla resistenza caratteristica diviso tutti i fattori
visti per le condizioni statiche eccetto quello legato al creep.

Tutto ciò sembra un assurdo perché le condizioni sismiche sono ovviamente più gravose di quelle
statiche ma, i ricercatori, facendo prove a trazione del tipo 10-3-19 (trazione su un provino posto in
un dinamometro), hanno scoperto che il tasso di deformazione è pari all’1% al minuto, il che vuol
dire che la velocità di deformazione è costante (curva rossa nel grafico a destra nella slide riportata
in basso). Dato che è una prova rapida (dura un minuto) potrebbe essere idealizzata come la risposta
del materiale in condizioni sismiche, perché il sisma rappresenta una risposta di breve termine.
Se invece applichiamo un determinato carico (curva nera nello stesso grafico), poi ci fermiamo ad
un determinato valore (es: 20 kN/m) trovandoci quindi in condizioni statiche, è come se il provino
fosse sottoposto ad una forza costante, rappresentata dal tratto piano della curva.
Supponiamo inoltre che durante un evento sismico ci sia uno scorrimento velocissimo della
struttura, la rigidezza del materiale è tale per cui il comportamento del geosintetico ritorna al caso
precedente, ossia è quello della curva rappresentativa della prova rapida, anche se è stato sottoposto
per un notevole intervallo di tempo (30 giorni) ad un carico fisso.
Questo comportamento è incredibile e, pertanto, nella sua storia non risente delle condizioni di
creep, cioè delle deformazioni avvenute a carico costante. Di conseguenza tali studi hanno
dimostrato perché sia possibile porre il coefficiente legato al creep pari a1: il materiale “si ricorda”
della sua risposta nel breve termine anche se sono trascorsi anni dal momento in cui è stato posto in
opera.
Esistono dei metodi di calcolo per valutare la stabilità esterna di un’opera in terra rinforzata in
condizioni sismiche, ma sono casi particolari che non si trattano all’università.

Per quanto riguarda la stabilità interna, invece, generalmente si determina il coefficiente k v, che è
il coefficiente sismico della zona, e poi si applica o il metodo di Mononobe-Okabe oppure un
metodo semplificato, comunque validato da un ente terzo e quindi non scelto da noi.
Si applica il coefficiente sismico al peso del terreno determinato in condizioni statiche e si
suddivide la forza sismica per gli n rinforzi o in base alla lunghezza Li (lunghezza di ancoraggio
esterna al cuneo di spinta attiva).
Il carico totale sarà dato dal carico statico più il carico sismico.
Adesso guardiamo l’esempio di un muro realizzato in Lombardia. La pendenza è elevata (intorno
agli 80°) ed i rinforzi notevoli, con 13 m di muro e lunghezza dei rinforzi pari a 12 m. Colori diversi
stanno ad indicare le diverse resistenze a trazione delle geogriglie adoperate, che vanno da 35 a 150
kN/m. È stato opportunamente previsto anche un risvolto di 2 m utile per chiudere la geogriglia e
trattenere il terreno inclinato ad 80° gradi sul fronte.

Queste opere si inseriscono in maniera ottimale nell’ambiente rispetto al cemento armato (seppure
in alcuni casi, dove le terre armate non possono essere eseguibili, esso sia indispensabile) e, grazie
alla parete verde, permettono una riduzione della CO2 emessa.

Quando alcune condizioni (generalmente di esproprio) non permettono di realizzare l’opera su un


determinato terreno, la scarpata diventa più ripida e si utilizzano geogriglie che corrono da una parte
all’altra della facciata. Inoltre, si possono realizzare sezioni sia in trincea che in rilevato.

Uno dei possibili programmi di calcolo che si possono adoperare è il MSEW 3.0, sviluppato da un
accademico ed utilizzato da un ente americano che esegue strade ed autostrade, equivalente
dell’ANAS italiano. Utilizzare questo software significa tra il sistema americano e le NTC italiane.
Facciamo un esempio.
Problema: muro in terra rinforzata secondo le NTC2018, quindi con l’approccio sarà A1+M1+R3.
Ne valutiamo la stabilità interna.
⮚ Ai valori caratteristici riportati nelle slide, siccome siamo nelle condizioni di combinazione
di carico A1+M1+R3, si fanno corrispondere coefficienti sui materiali pari a 1.
⮚ Ipotizziamo un cinematismo di rottura, come riportato in figura, con lo sviluppo di una
superficie di rottura piana, a partire dal piede della terra rinforzata. Nella sezione
rappresentata vediamo un triangolo, ma nella terza dimensione (se consideriamo 1 metro)
esso corrisponde ad un cuneo di spinta attiva che si muove verso sinistra. Questo è il nostro
modello di calcolo, quindi non si ipotizzano rotture diverse da questa.
⮚ Si calcolano ka e α, come riportato nella slide.
⮚ Se vogliamo determinare la trazione nella geogriglia numero 2, dobbiamo per prima cosa
studiare la tensione verticale e calcolarla come riportato. La lunghezza h 2 è pari alla distanza
tra la sommità ed il piano di posa della geogriglia in questione. Amplifichiamo la σ
moltiplicandola per 1.3 perché vogliamo massimizzare il valore della trazione.
⮚ Otteniamo 31.2 kPa. Questa è la tensione verticale che esce su questo piano.
⮚ La tensione orizzontale si ottiene moltiplicando ka per σv. Non andiamo ad amplificare σh
perché abbiamo già amplificato la tensione verticale.
⮚ Calcoliamo la tensione massima nella geogriglia come riportato. Δh 2 è l’area di influenza
della geogriglia in esame. Se partiamo dalla geogriglia 1, l’area di influenza della geogriglia
1 sarà pari alla metà del primo strato, quindi Δh1 sarà pari a 0.3. Per le geogriglie intermedie,
dalla 1 alla n-1 (con n=numero totale di griglie), l’area di influenza sarà sempre pari
all’interasse, ossia 0.6. Per l’ultima geogriglia in sommità l’area di influenza sarà
0.6+0.3=0.9.
⮚ La trazione si determina per tutte le geogriglie (abbiamo riportato la seconda solo per
esempio).
⮚ La trazione ottenuta si confronta con la resistenza a lungo termine del geosintetico, ossia la
Tk fratto la produttoria di tutti i fattori di riduzione che abbiamo visto, incluso quello di
creep perché siamo in condizioni statiche.
⮚ Ci sono tre geogriglie perché la scelta del numero è influenzata dall’utilizzo dei casseri. Si
possono seguire due approcci per decidere quante geogriglie mettere: se nel muro rinforzato
utilizziamo tutte geogriglie con la stessa resistenza, la spaziatura diventa variabile, ponendo
le geogriglie in maniera più fitta alla base (dove vi è trazione maggiore) e più diradate verso
la sommità. Non è consigliabile perché vorrebbe dire fare tutti casseri diversi e, per questo
motivo si segue un altro approccio, ossia si stabilisce prima l’interasse tra le geogriglie, che
in genere va tra 60 e 70 cm, così casseri (reti metalliche che si mettono sul fronte) hanno
altezza costante e si riesce a realizzare una terra rinforzata con un solo tipo di cassero. Se si
va oltre i 70/80 cm vi possono essere rotture tra due strati successivi di geogriglie.
⮚ Per il pullout per la geogriglia 2 devo tenere conto che non voglio che la geogriglia si sfili.
Sulle geogriglie si possono formare delle τ che non riescono ad equilibrare la T max e quindi
la geogriglia si potrebbe sfilare dal terreno. Per tale motivo la lunghezza di ancoraggio è
fondamentale affinché lo sfilamento non avvenga.
Si procede con un equilibrio alla traslazione, ossia un equilibrio di due forze: la trazione e la
resistenza. Si possono seguire due possibili approcci, uno più antico (1982) ed uno più
recente (NRFD), uno è statunitense e l’altro europeo. Il secondo è l’equivalente del metodo
semiprobabilistico agli stati limite mentre e utilizza dei coefficienti parziali.
Quindi, si trova la trazione massima e si divide per:
● 2, dato che sono due le superfici della geogriglia;
● 24, la tensione verticale che si ha a quel livello, non più incrementata di γG1 il quale
viene posto pari a 1. Dato che siamo al denominatore, utilizzando un coefficiente
maggiore di 1, si otterrebbe una lunghezza di ancoraggio minore, trovandoci a sfavore
di sicurezza;
● F*=0.667 che sarebbe l’attrito tra terreno e geogriglia nella zona di pullout.
● α=tang 32. In genere si determina sperimentalmente con prove di laboratorio (prove si
sfilamento o pullout) oppure, in via di calcolo definitivo e non esecutivo si può porre
pari a 2/3*tanφ;
● 0.8 perché nelle prove di pullout non si ha una perfetta deformazione piana, ma si
creano effetti di bordo;
● 1 perché i rinforzi sono continui, in caso contrario si dovrebbe prevedere un
coefficiente inferiore.
● 0.7 è un coefficiente di sicurezza (valore dalle norme statunitensi).
Fatto questo abbiamo trovato la lunghezza minima di ancoraggio. La lunghezza di ancoraggio si
determina per tutte le geogriglie, anche se il muro si fa tutto con geogriglie della stessa dimensione
per ragioni operative di cantiere.
Tutto questo vale per la stabilità interna, quindi nei calcoli potrei trovare che in un punto basti
mezzo metro ed in un altro un ancoraggio molto più elevato.
La scelta finale della lunghezza finale della geogriglia dipende anche da condizioni pratiche e
dettate dalla stabilità globale. La verifica di pullout, infatti, fornisce una L minima (ad esempio
mezzo metro) poi, facendo la verifica di traslazione si può ottenere una lunghezza maggiore come,
ad esempio, 2 metri ed infine, con le verifiche di stabilità globale, posso trovare una lunghezza
ancora maggiore, che corrisponderà a quella finale.
N.B.: Fare attenzione alla nomenclatura adottata! Per lunghezza di ancoraggio si intende la
lunghezza di pullout, ossia quella lunghezza che parte dal punto in cui la superficie di rottura taglia
la geogriglia e va verso l’interno del muro. Chiameremo, invece, lunghezza totale della geogriglia,
la lunghezza che è somma tra la lunghezza di ancoraggio e quella del cuneo di spinta attiva.
N.B.: Considerazione sul peso proprio del terreno: esso può essere un fattore sia stabilizzante che
instabilizzante. Quindi, a seconda delle verifiche che stiamo facendo dobbiamo capire se il peso sia
un fattore a vantaggio o svantaggio di sicurezza.
Vale sempre l’esempio del vaso da pianta pieno di terra. Se ci metto un pesetto non succede nulla di
grave, avrò solo un piccolo cedimento. Se invece, al posto della terra ho del polistirolo, un materiale
molto simile ad un terreno a grana grossolana ma con peso proprio quasi nullo, il pesetto
sprofonderà. Questo perché il peso proprio del terreno, in questa condizione, sta svolgendo un ruolo
di forza stabilizzante.
Se invece abbiamo uno scavo o un pendio o una terra rinforzata accade che il terreno sarà ancora un
fattore stabilizzante nel calcolo delle tensioni (all’interfaccia delle geogriglie nel caso delle terre
rinforzate). Allo stesso tempo il terreno è anche un motore di instabilità, tant’è vero che stiamo
studiando un cinematismo di rottura.
I terreni resistono attraverso il proprio stato tensionale normale, il quale dipende dalle loro forze di
massa.
Inoltre, se ci fosse un sovraccarico distribuito, si dovrebbe aggiungere γ q∙Q al calcolo della
tensione verticale. Nel calcolo del pullout, invece, esso NON va aggiunto
altrimenti andrei a sovrastimare le τ, andando a fare un calcolo a sfavore di
sicurezza.
Ora passiamo alle condizioni sismiche. Facendo riferimento al muro che abbiamo analizzato
precedentemente, supponiamo che in questo caso ci sia una spinta sismica con valore pari a
Kh=0.043:
La procedura AASHTO 2007 prevede di applicare un valore di Kav = Kh=0.043, sempre per
la stabilità interna, al volume del cuneo in spinta attiva determinato in condizioni statiche.
Dobbiamo moltiplicare il peso del cuneo Wa (dato dal suo γ per l’area) per Kav (come
esplicitato anche prima, sarebbe il Kh =coefficiente di spinta orizzontale) determinando
un’azione inerziale Pt dovuta al sisma applicato. Nella slide viene riportato che il seguente
valore Wa è il peso del terreno nella zona attiva, ma, attenzione ci sta un errore perché non si
parla di peso “non fattorizzato”, ma, “non AMPLIFICATO”. Non amplificato perché ci
troviamo in condizioni sismiche, non dobbiamo moltiplicare il peso per γG1, nel senso che
da normativa in questo caso viene posto γG1=1. Dopo aver determinato l’azione inerziale
possiamo procedere nella risoluzione del problema con due metodi. Il metodo 1 è molto più
semplice, consiste nel trovare la trazione in condizioni sismiche dividendo Pt per il numero
delle geo griglie, oppure, il metodo 2 consiste nel suddividere Pt in proporzione alle
lunghezze di ancoraggio. Supponiamo di applicare il metodo 2:
● primo passaggio: l’area A=0.898 (calcolata usando AutoCAD) moltiplicata per Kh ci porta
ad ottenere una forza in aggiunta durante le azioni sismiche;
● secondo passaggio: consiste nel determinare la somma delle lunghezze di ancoraggio di tutti
gli strati;
● terzo passaggio: calcolare la trazione aggiuntiva nelle rispettive geo griglie, moltiplicando i
due coefficienti ottenuti dai precedenti passaggi.
Come facciamo a scegliere le nostre geo griglie? Conosciamo una T disponibile del lavoro,
ma, noi conosciamo la tensione sulle geo griglie non conosciamo l’esistenza disponibile del
materiale. Attraverso la tensione disponibile sulle geo griglie dobbiamo determinare la
tensione caratteristica cioè la forza, perché noi dobbiamo scegliere quale geo griglia
calcolare. Supponiamo che dobbiamo determinare “TD=Tall x γM ’’, dopo aver ottenuto TD la
moltiplichiamo per i fattori di riduzione ed otteniamo la Tcaratteristica. Quindi, durante il
progetto delle terre rinforzate noi conosciamo T di lavoro delle geo griglie e dobbiamo
moltiplicarla per γM e per i Rf (coefficienti di riduzione). Ricapitoliamo come determinare la
Tcaratteristica in fase di progetto:
Una volta determinata la Tcaratteristica dobbiamo confrontarla con la Tcaratteristica ottenuta dal test
ISO10319. Infine, la Tcaratteristica deve risultare maggiore uguale della TULTIMA proveniente dal
test ISO10319.
Nella verifica il processo è inverso, parto dalla Tcaratteristica la divido per tutti i fattori ed
ottengo una T ammissibile è per ultimo la vado a confrontare con T di lavoro.
Il seguente esercizio viene svolto anche sul programma di calcolo:
● primo passaggio: definire la geometria;
● secondo passaggio: definire le geo griglie con i fattori di riduzione, i relativi strati ed
ulteriori parametri che vengono richiesti;
● terzo passaggio: elaborazione dei risultati finali.
Notiamo che in condizioni statiche la Tmax è maggiore nella seconda geo griglia, quindi
maggiormente sollecitata, mentre, in condizioni sismiche Tmd è maggiore per la geo griglia
1 poi man mano diminuisce, perché? Perché sappiamo che il metodo applicato (metodo 2)
distribuisce il carico sismico proporzionalmente alle lunghezze di ancoraggio, quindi
andando sempre più in profondità mi aspetto che σvo aumenta e σho è maggiore, diciamo che
la condizione viene rispettata. In condizioni statiche, invece, risulta che è la seconda geo
griglia ad avere una Tmax, questo dipende dall’area di influenza, perché alla seconda geo
griglia viene attribuito metà del primo strato, ragion per cui il valore tende ad aumentare.

PENDII

I pendii sono opere che hanno un’inclinazione del fronte inferiore a 70°, non sono strutture
verticali, ma, sono strutture che si inseriscono nell’ambiente in maniera leggera e seguono
l’andamento naturale del terreno.
Perché la superficie di rottura ha forma circolare? Si parte da un’analisi di risultati di prove
in centrifuga è si arriva a scoprire che i metodi di Bishop, metodi dell’equilibrio limite
possono essere utilizzati anche in questo caso. L’importante è che i rinforzi non vanno ad
alterare la forma di superficie di rottura.
I rinforzi sono forze che vengono aggiunte dove la superficie di rottura taglia il geosintetico.
Vengono utilizzati determinati programmi per la stabilità dei pendii, modificati per tener
conto della resistenza nelle geo griglie.

Esistono due metodi per capire se le equazioni sono state sviluppate correttamente:
● metodo A= consiste nell’applicare i fattori di sicurezza finali del pendio solo al terreno
rinforzo;
● metodo B= i fattori di sicurezza finali vengono applicati non solo al terreno, ma, anche al
rinforzo.
Optiamo per la scelta del metodo A, molto più funzionale del metodo B, perché segue il
tradizionale metodo di Bishop, dove i fattori di sicurezza finali si applicano su c e f ,non
anche alle forze attive nel geosintetico. Al terreno vengono applicati i coefficienti di
riduzione, mentre, al geosintetico è applicato il suo coefficiente di riduzione, sono due
materiali differenti che hanno caratteristiche differenti, ragion per cui non possiamo
applicare gli stessi parametri.
Per capire quali metodi utilizza il programma di calcolo che stiamo adoperando, bisogna far
attenzione al valore di Fs che ci viene fornito nei dati.

Le superfici che dobbiamo considerare sono: superficie circolare, bilatere che passano per
ciascuna geo griglia e superfici trilatere.
La resistenza nel geosintetico non è costante, ma, ci sarà una zona in cui è presente
“Tammisibile=Tultimo/i fattori di riduzione”. Nel caso di muri si eseguono sia progetto
che verifica, nel caso dei pendii solo verifiche. Non è costante la resistenza disponibile, ma,
varia perché è presente una zona di pullout sia nella parte finale che in quella iniziale.

Per i pendii rinforzati :


Per terreni :

Come si esegue una fase di posa per un pendio? Dobbiamo procedere in questo modo:
● si esegue uno scavo di sbancamento;
● si posiziona un geotessile di separazione;
● si posiziona il terreno di fondazione bonificato e i casseri delle geo griglie;
● si compatta il terreno con un rullo compattatore;
● si sagoma e si costruiscono i vari strati.
I primi strati in genere sono interrati per garantire una maggiore sicurezza alla traslazione
dell’opera.
Nel caso in cui ci troviamo di fronte ad una scarpata, come vediamo nell’immagine
sottostante, il progettista ha scelto di incastrare l’opera nell’affioramento roccioso ,ma , nel
caso di un terreno non si può fare.
Ci sono situazioni anche un po’ più complicate , come ad esempio nella figura sottostante, la
scarpata è costituita da balze, dove ogni singola balza ha un inclinazione di 76° circa, quindi
si tratta di muri o pendii? Questi sono enigma, l’unica cosa che possiamo fare per rispondere
a questa domanda è fare un’analisi numerica, ovvero, utilizzare metodi di calcolo che
permettono lo sviluppo naturale della superficie di rottura, dove non ci sono superfici
preimpostate.

Simulazione di un esercizio sul programma ReSSA(DA VEDERE NELLA REC).


Fino adesso, abbiamo parlato di stati limiti ultimi non considerando le deformazioni del
terreno, ma, considerando un meccanismo rigido plastico. Questo per dire che dobbiamo
considerare anche gli stati limiti di esercizio prendendo come riferimento le indicazioni da
BS 8006. Per i muri la deformazione non deve essere superiore all’1,0%., si studiano
attraverso le curve isocrone, curve che danno il livello di deformazione ha un determinato
tempo, mentre, per i pendii si considera che la deformazione massima sia contenuta al 5,0%.

Ci sono dei metodi per determinare lo stato limite di esercizio:


Per quanto riguarda i parametri, troveremo tre valori della resistenza:
● Picco= resistenza massima;
● Critico=volume costante;
● Residuo=terreni che mostrano un comportamento residuo.
Quale di questi tre valori dobbiamo prendere in considerazione nei nostri calcoli, per
progettare le nostre strutture? Di solito si utilizzano i valori critici o residui perché sono i
valori più cautelativi per quest’opera. In realtà, ci sono indicazioni di normative statunitensi
che consentono di utilizzare φ di picco per determinare la stabilità interna dell’opera, però
per ragioni di sicurezza tendiamo sempre a scegliere valori critici o residui.
Posso utilizzare la coesione? Che effetto ha la coesione su un muro o terra rinforzato? La
coesione è meglio non utilizzarla perché ha valore massimo pari a 5kPa, infatti, viene
consigliato di mettere un valore pari a zero. Perché? Perché un terreno rialzato, come quello
presente per una terra rinforzata non è una coesione in sito, ma, dopo crea un effetto che
prende molta forza riducendo la tensione sulle geo griglie. Se questa coesione non viene
acquisita nel tempo sottostimiamo la tensione delle geo griglie, sottostimiamo l’elemento di
rinforzo della struttura che sia una geo griglia o un tirante in acciaio è la stessa cosa.
A parità di risorse, è meglio investire di più per avere un terreno con caratteristiche migliori o
puntare ad avere le geo griglie migliori possibili? Il terreno è fondamentale, se un terreno si
presenta con tratto fine ed abbiamo la presenza di falde, queste possono portare a sovrappressioni
neutre che vanno a deformare l’opera, mentre, se il terreno non è compattabile anche in questo caso
si hanno delle deformazioni. Ci sono tante geo griglie in commercio l’importante è che la resistenza
che usiamo nel nostro metodo di calcolo sia garantita su tutta la durata di vita dell’opera, (per 100
anni), bisogna chiedere all’azienda o al fornitore le prove di laboratorio dove viene esplicitata la
durata e la resistenza Rf dell’opera. Le geo griglie sono fatte in stabilimento con opportune
strumentazioni che controllano ed analizzano tutti i processi, mentre, il terreno si trova in natura
non è preconfezionato, quindi, bisogna con attenzione valutare tutte le possibili situazioni.
Lezione 21/04/2021

Stabilizzazione e consolidamento sono sinonimi. στΔ

Questo argomento incrocia le tematiche per i pendii e per le opere di sostegno. Da ingegneri siamo
interessati ai progetti; si parte dalla relazione geologica in cui ci sono l'analisi e la descrizione dei fenomeni
e delle cause dei meccanismi, quindi l'osservazione in sito e la raccolta di informazioni ci consentono la
descrizione dei luoghi e dei fatti. Dopodiché abbiamo la campagna di indagine, la caratterizzazione
meccanica, geometrica dei luoghi e dei fatti (dove i fatti possono essere migliaia di m 3 di terreno). Ad un
certo punto se capiamo che è necessario e utile intervenire con degli interventi allora andiamo alla
progettazione con un classico approccio di progetto-verifica associato al piano di monitoraggio.

Un punto cruciale vi è tra la caratterizzazione in modellazione geotecnica del sottosuolo e analisi di stabilità
in assenza di interventi. Quando intervengo? Come? C'è la teoria del rischio da frana.

A questo livello di rischio concorrono:

 -L'intensità del fenomeno;


 -La presenza di elementi esposti e la loro vulnerabilità;

Bisogna capire se il rischio è accettabile o no. L’elemento esposto al rischio chi è, le persone o le strutture?
Se sono le persone, posso decidere di spostare o in maniera permanente o temporanea l’elemento
esposto. Di fatto sto riducendo di molto il rischio. Se ho 10 persone esposte e ne sposto 9, il rischio si
abbatte in maniera drastica. Se sto parlando di edifici, viadotti, ecc. non posso farlo. Inizio a ragionare sugli
interventi solo dopo queste analisi che sono tecniche ma incrociate con delle decisioni; solo ora decido se
voglio fare degli interventi.

Esistono frane di vario tipo e velocità: da estremamente lente a estremamente rapide. Tutto questo
dipende da due fattori: l’acclività dei pendii e la tipologia di materiali che si mobilitano.

Es: pendio poco acclive con materiale argilloso: avrò fenomeni estremamente lenti.

Es: pendio acclive con materiali incoerenti: appena raggiungo le condizioni di equilibrio limite si innesca la
frana.
Vediamo ora le cause del movimento.

In alcuni casi posso avere sia l’aumento delle sollecitazioni o la diminuzione di resistenza. Le azioni naturali
e le azioni antropiche agiscono o sulle forze esterne o sulla geometria del problema. Tutto porta ad una
variazione delle tensioni totali σ. Negli altri due casi si parla di cause che agiscono sulle pressioni neutre u w.
L'aumento delle pressioni neutre ha come conseguenza la riduzione delle tensioni efficaci e certamente la
riduzione della tensione massima disponibile, quella del criterio di resistenza. Questo non vuol dire che sta
cambiando l'angolo d'attrito o la coesione efficace; sta cambiando invece il prodotto tra il grado di
saturazione e la tg(φ’), che è un contributo stabilizzante. Quindi l'aumento delle u w va nella diminuzione
delle resistenze perché le rocce si disgregano; cambiano sia la geometria che la capacità di resistere al
taglio.

Terreni fini: softening, caso delle argille sensitive. Se vengono sollecitate poco resistono, altrimenti no.

Definizione di frana: una frana è un movimento di una massa di roccia, terra o detrito lungo un versante.
Cos'è un detrito? Deriva dalla roccia ma non è ancora un terreno ben definito perché avere una
distribuzione granulometrica è assai complicato.

Analisi e descrizione del fenomeno di instabilità

 -Quali sono le finalità dello studio geologico?


 -E’ un'area vasta o una singola frana?
 A che scala lavoro per acquisire i dati ed elaborarli?
Classificazione delle frane.

Possiamo avere frane per crolli, ribaltamenti, scorrimenti traslazionali (in genere per terreni a grana
grossa), scorrimenti rotazionali (per terreni a grana fine). Si può capire tramite analisi in sito quali blocchi si
siano mossi prima. Possiamo avere anche colate ed espansioni laterali.

Descrizione geometrica del corpo di frana.

E’ molto difficile stabilire in sito il confine tra zona di innesco o di propagazione dalla zona di deposito
finale; nei casi di piccoli spostamenti possono sovrapporsi parzialmente.

Nell'applicazione della normativa tecnica passeremo dei valori caratteristici a quelli di progetto con gli
opportuni coefficienti di sicurezza, la cui scelta compete al progettista. Possiamo avere interventi di urgenza
ed interventi definitivi. Gli interventi di urgenza sono costosi, risolutivi per breve tempo, si ha la riduzione
del rischio per una data finestra temporale. Es: rimozione del materiale di una frana da un rilevato
ferroviario: frana di Montaguto (BN)

Gli interventi lungo i pendii possono essere caratterizzati in due classi:

 Interventi attivi: mirano ad elevare il coefficiente di sicurezza del pendio.


o Si può aumentare la resistenza.
o Si può diminuire la tensione agente.
 Interventi passivi: interagiscono col corpo di frana per proteggere le strutture e le infrastrutture.

Quali sono i requisiti tecnici per entrambi gli interventi? In quanto tempo otterrò il beneficio? Qual è
l'efficienza nel tempo? C'è manutenzione da fare? Ci sono altri spostamenti al piano campagna? Qual è il
costo dell'intervento? In che modo mi conviene intervenire? Qual è l'ingombro? C'è lo spazio per
quell'opera?

Il rischio R in funzione dei beni esposti, i manufatti, si misura in euro.

Da una parte abbiamo il costo dell'intervento mentre dall'altro il rischio. Qui si fanno le analisi costi
benefici. Interviene in nostro aiuto il coefficiente di sicurezza FS:
Curva di distribuzione statistica

 Approccio deterministico: o sono a destra, o sono a sinistra dell'unità.


 Approccio semi probabilistico: ho il 10% di probabilità che il coefficiente di sicurezza FS sia minore
di uno.

La norma ci propone un approccio intermedio. Per stabilizzare un pendio serve quindi aumentare il
coefficiente di sicurezza FS; immaginiamo di voler ridurre le forze equilibranti, come possiamo fare?
Vediamo gli interventi attivi.

1. Prima modifica, cambio la geometria.

Principio fisico 1: riduzione degli sforzi tangenziali lungo la superficie di scorrimento, stiamo parlando delle
forze che sono legate al volume in frana. Provvedimenti: interventi modesti, movimentazione della terra.

Principio fisico 2: trasformazione degli sforzi tangenziali. Es: trasferire gli sforzi ad un muro di sostegno,
paratia, pali. La paratia deve andare sotto la superficie di scorrimento e deve essere tale da non generare
altre superfici di scorrimento. Provvedimento: opere di sostegno

2. Seconda modifica, aumento delle forze resistenti.

Principio fisico 1: aumento degli sforzi normali totali di effettivi lungo la superficie di scivolamento. Cos'è
quest'ultima? Es: se ho una superficie di scorrimento lungo questa superficie avrò sforzi di taglio resistenti, i
quali dipendono dagli sforzi normali. Io dall'esterno posso aumentare gli sforzi normali totali, ma si
trasferiscono tutti sullo scheletro solido? E’ immediato o ci vuole del tempo? Dipende dal tipo di terreno
dove sto andando ad operare. Tipico esempio: elementi strutturali con tiranti pre-tesi.
Es. 1: fronte roccioso. Non ha acqua interstiziale diffusa ma ha acqua libera di muoversi eventualmente
presente nelle fratture; posso fare quelle che sono dette chiodature dove vado ad aumentare gli sforzi
normali; tutto si trasferirà allo scheletro solido, alla parte rocciosa, in maniera istantanea e al 100%

Es. 2: rinfianchi al piede del pendio. Sto aumentando le forze di massa in gioco e quindi sto aumentando in
maniera diffusa le σ, cioè lo stato tensionale complessivo.

Principio fisico 2: riduzione delle pressioni neutre.

Il primo provvedimento, più efficiente e più rapido, è quella della regimentazione delle acque superficiali,
perché le acque meteoriche non convogliate, non canalizzate, oppure convogliate selettivamente ma in
posti e modi sbagliati sono quanto di peggio possa esserci. Esempio: canalizzare tutto in un punto può
portare all' erosione dei pendii.

Secondo provvedimento: per le acque più profonde posso intervenire con una serie di drenaggi.

Terzo provvedimento: posso usare anche l'elettrosmosi ma è più costosa e non si fa quasi mai.

Il draining è un mezzo formidabile di intervento perché posso avere dreni orizzontali e verticali, dipende
dalla geometria del sistema. Prendiamo un pendio con una certa inclinazione, un certo livello di falda. Si
crea ad un certo punto una superficie di scorrimento e si ha un corpo di frana che può muoversi.

Nella parte sotto la falda ho pressioni neutre elevate. Posso pensare di abbattere di molto i livelli di
pressioni neutre, soprattutto considerando che siamo in 4D, posso capire quali sono le escursioni di falda
che creano instabilità. I dreni sono formidabili perché posso arrivare a zone in cui la profondità dal piano
campagna corrispondente è molto elevata, ma lo posso fare in maniera molto efficiente cioè possiamo
trivellare dreni di decine e decine di metri di lunghezza. Vengono utilizzati tubi molto grandi, forati, che
conducono l’acqua all'esterno. In realtà il principio fisico non è quello di asciugare il pendio ma di ridurre le
pressioni neutre. Allora il concetto legato ai dreni è che stiamo portando all'interno del pendio una zona
dove stiamo imponendo che uw=0; stiamo quindi introducendo una condizione idraulica al contorno in
questi volumi di terreno. Il volume campito si troverà improvvisamente circondato da condizioni al
contorno di uw=0 sia superiormente che inferiormente, sia al piano campagna. Le pressioni neutre lì dentro
si adatteranno a queste nuove condizioni al contorno e quindi andranno a ridursi, al limite possono andare
a zero perché si può instaurare un modo di filtrazione gravitativo (le frecce in rosso) dall'alto verso il basso
con gradiente unitario. Nel caso più clamoroso di efficienza massima ho pressioni neutre uguale a zero (nel
pendio) che è eccezionale; noi però non puntiamo a questo perché sarebbe molto costoso ma facciamo una
progettazione rispetto ad un valore di pressioni neutre in una certa zona target rispetto al quale vogliamo
progettare.

Principio fisico 3: miglioramento della resistenza al taglio del materiale.

Ipotesi addensamento: ma come faccio ad addensare il materiale lungo un pendio naturale? Immaginiamo
una massicciata, un rilevato che poi si instabilizza; come lo compattiamo? Sono fattibili delle iniezioni che
creano degli inclusi rigidi (questo può far sì che la superficie di scorrimento cambi e aumenti). Significa che
raggiungo condizioni di rottura, raggiungo un rapporto tau/sigma’ tale per cui soddisfa il criterio di
resistenza, quello massimo (mentre prima lo raggiungevo lungo una serie di punti allineati ad una superficie
di scorrimento, adesso quest’inclusione ha cambiato le σ’, le τ in tutto il pendio, per cui questo nuovo stato
di equilibrio limite si raggiunge da un'altra parte).

Adesso vediamo qualche intervento passivo:

 Reti paramassi.
 Galleria paramassi: in accostamento a fronti rocciosi molto esposti o a pendii molto acclivi. È una
galleria fatta con un solaio granulare che serve ad assorbire l'urto dei massi che cadono tale per cui
se cade un blocco di progetto (con una certa intensità ed una certa probabilità) è tale per cui questa
struttura non si danneggi.
 Scudo di protezione: Opera di protezione di un manufatto con valore economico e strategico molto
elevato; è tale da non generale superficie di scorrimento.

Visti gli interventi, dove li posso applicare? Quali sono vantaggi e svantaggi?

Es. 1: movimenti di terra. Possono essere utili per gli scorrimenti rotazionali (tolgo materiale in testa, lo
aggiungo al piede; il cinematismo rotazionale viene inibito). Ma se ho uno scorrimento traslativo? Tolgo
materiale in testa e lo metto a piedi: non succede nulla, non serve. I movimenti di terra possono essere utili
con frane di notevoli dimensioni. Quando abbiamo frane grosse realizziamo opere strutturali capaci di
contrastare le spinte in gioco. Tra gli svantaggi si ha che la zona interessata andrà regolamentata nell'uso.

Es. 2: opere di sostegno. Tra gli svantaggi abbiamo una difficile progettazione perché stiamo parlando di un
elemento strutturale che taglierà una zona instabile (tratteggiata in rosso). C'è una parte di sopra che si
stava muovendo con grosse deformazioni, lungo la zona instabile sono elevatissime; sotto non succede
nulla. Noi con quest'opera stiamo cercando di cambiare lo stato tensionale e deformativo della zona di
sopra, nella zona di scorrimento, sia a monte che a valle; capiamo che non è banale la progettazione.
Es. 2: riduzione delle pressioni neutre. E’ come se fossero delle iniezioni di aria nel pendio. Tra gli svantaggi
c'è che si deve completamente rimodulare il regime delle pressioni neutre. Ci saranno anche deformazioni;
ci sarà un processo combinato tensioni- deformazioni, cioè avverrà la consolidazione. E’ un'opera i cui
effetti si vedono nel tempo. Bisogna calibrare bene l'intervento, eventualmente combinando un tempo
utile per la realizzazione dell'opera, aspettando che l'effetto delle trincee si verifichi (in tutto ciò posso
sfruttare la ciclicità dell'andamento di falda data dalle stagioni). Possiamo combinare anche un ΔFS dato dai
movimenti di terra con un ΔFS dato dalla riduzione delle pressioni neutre.

Opere di sostegno: abbiamo 3 tipologie.

Nel caso 1 cerchiamo di aumentare indirettamente gli sforzi di taglio resistenti sulla superficie di
scorrimento. Come si ottiene? Applicando dall'esterno una forza.

Nel caso 2 (paratia) si cerca di avere delle tensioni di contatto determinate dalla presenza di materiale
diverso (calcestruzzo armato della paratia a contatto col terreno), sia normali che tangenziali.

Nel caso 3 ragionando sul volume totale posso pensare di avere delle forze resistenti esterne. La frana
spinge sull'opera, la quale restituisce una forza resistente.
LEZIONE 25: 23/04/2021

Effetti della vegetazione e delle radici sui terreni

Vedendo una pianta nel suo insieme possiamo dire che essa è costituita da due parti principali: una parte
visibile che si trova al di sopra della superficie del terreno (il fusto e le foglie) e una parte poco visibile o non
visibile che si sviluppa all’interno del substrato, quindi nei primi centimetri del terreno (l’apparato radicale).
Per assolvere alla loro funzione vitale, le piante interagiscono con suolo, atmosfera e acqua, influenzandone
continuamente i processi. Esempi di processi influenzati dalle piante sono riportati in seguito:

 le radici estraggono acqua del sottosuolo per garantire la traspirazione della pianta;
 la pianta stessa (o un insieme di piante) regola il ruscellamento dell’acqua piovana perché la
copertura fogliare intercetta l’acqua di pioggia (dunque la pioggia netta che arriva al suolo può
essere ridotta);
 la presenza di radici potrebbe cambiare i flussi di infiltrazione di acqua nel terreno (alcuni
sostengono che le radici compattano il terreno, ossia lo addensano e riducono l’infiltrazione, altri
sostengono che la presenza delle radici può creare delle vie preferenziali di flusso, aumentando
l’infiltrazione; entrambe le teorie sono vere: la prima è associabile ad apparati radicali di specie
erbacee, che producono una fitta rete di radici fini che addensa il terreno, la seconda può essere
associata a specie alboree ed alberi a grosso fusto);
 una pianta può regolare il flusso dei nutrienti nel terreno per il suo sostentamento e può regolare le
attività microbiche nell’area radicata;
 dal punto di vista delle proprietà idromeccaniche, chimiche e fisiche di un terreno possiamo dire
che in presenza di radici un terreno cambia la conducibilità idraulica, la struttura e le proprietà
meccaniche, per effetto delle radici che occupano i pori (modificano la porosità del terreno).

A scala locale, anche di singola pianta, c’è una stretta interazione tra terreno, atmosfera, pianta e acqua. In
un contesto più ampio, a scala di bacino, le piante possono contribuire a molteplici scopi, tra cui procurare
servizi ecosistemici (benefici prodotti dall’ecosistema al genere umano; la presenza delle piante favorisce la
biodiversità, crea habitat per la fauna locale, favorisce l’impollinazione, pulisce l’aria), mitiga i pericoli
naturali (frane, controllo dell’erosione superficiale, consolidamento degli argini fluviali) e mitiga i
cambiamenti climatici (si sente parlare spesso di rimboschimento e reforestazione, la tendenza a parlare di
città verdi, ossia che abbiano più parchi e aree verdi, perché in ambito urbano gli alberi riducono le
temperature, producono zone d’ombra, puliscono l’area, contribuendo al benessere della società).

Vegetazione lungo un pendio

La vegetazione ha due principali effetti sul pendio:

- la copertura vegetale e le foglie nel loro insieme riducono la precipitazione netta, tramite
intercettazione fogliare, riducendo l’erosione da ruscellamento;
- l’apparato radicale influenza il comportamento idro-meccanico del terreno. Ad esempio, da un
punto di vista idraulico, le radici tramite l’estrazione dell’acqua dal suolo per la traspirazione,
regolano il piano di falda e l’infiltrazione; da un punto di vista meccanico le radici possono
intercettare un’eventuale superficie di scorrimento e aumentare la resistenza di tensione.

Effetti meccanici separati da quelli idraulici

Da un punto di vista meccanico possiamo pensare il terreno permeato da radici come un materiale
composito che è anche resistente a tensione. Le radici sono resistenti a tensione, mentre il suolo è debole a
sforzi di tensione (un’analogia dal punto di vista ingegneristico può essere il calcestruzzo armato, in cui le
barre di acciaio sono resistenti a tensione e sono inserite nella matrice calcestruzzo).

Ingegnerizzare la radice, che è un elemento vivo che è parte di un più complesso apparato radicale, non è
cosa facile. Tuttavia, nel corso degli anni anni si è tentato di quantificare la resistenza a tensione delle radici
e di trovare dei modi per tener conto, con approcci numerici, la presenza delle radici e il loro effetto sul
rinforzo del terreno. Questo apporto meccanico è esclusivamente esercitato nella zona radicata (che nel
75% dei casi raggiunge profondità medie di 40 cm).

L’effetto del singolo albero fornisce resistenza solo per lo scorrimento delle prime superifici di scorrimento,
ossia di quelle che intercettano l’apparato radicale. Il contributo a resistenza si riduce con la profondità
perchè all’aumentare della profondità si riduce la densità radicale (generalmente, per tutti i tipi di
vegetazione, la biomassa radicale è consistente negli strati più superficiali, dove si concentrano la maggior
parte delle radici, e poi tende a diminuire con la profondità).

Se osserviamo il criterio di Mohr-Coulomb per un terreno radicato (riportato nell’immagine precedente)


avremo un’aliquota cr che è un’addizionale coesione data dalla presenza delle radici. In questo modo
otteniamo un aumento della resistenza meccanica del terreno, dovuta alla presenza delle radici.

Come si calcola cr? Il modello semplificato W e W calcola la coesione radicale in funzione della resistenza a
trazione della radice.

L’immagine seguente esegue uno zoom su una singola radice; si identifica una superficie di rottura
intercettata dalla radice, e si ipotizza che la radice sia perpendicolare alla superficie di rottura: si creano
sforzi tangenziali e sforzi normali espressi in funzione della resistenza a trazione t r mediante un certo
angolo di distorsione teta (che è la distorsione che la radice ha nel momento in cui c’è lo scorrimento).
Essendo difficile determinare tale angolo, tendenzialmente si assume che tutto il valore in parentesi sia pari
a k’, che assume valori compresi nell’intervallo 1-1,2. La resistenza a trazione della sungola radice, invece, è
direttamente dipendente dal diametro. In particolare se la superficie di scorrimento intercetta più radici, la
resistenza a trazione dell’apparato radicale è data dalla sommatoria della resistenza a trazione delle radici
che intercettano il piano di rottura che appartengono a una determinata classe di diametro moltiplicato per
il termine RAR (rappresenta la superfice occupata dalle radici per unità di terreno).

Da alcune investigazioni in sito è stato ottenuto il grafico riportato nell’immagine seguente che riporta
l’andamento del parametro RAR con la profondità: nei primi strati RAR è maggiore e poi diminuisce fino a
raggiungere valore 0 alla profondità in cui non ci sono più radici.

Quanto più la superficie di scorrimento è profonda tanto più sarà basso il contributo sulla resistenza a
trazione delle radici perché all’aumentare della profondità si riduce il parametro RAR. La resistenza a
trazione tr dipende da molti fattori, il più importante è il diametro della radice.

Quanto visto finora fa riferimento al modello W e W (anni ’70). Nel corso degli anni i modelli sono stati
perfezionati e approfonditi. Con l’introduzione del Fiber Bundle Model (esteso successivamente dal Root
Bundle Model) si considera che la rottura delle radici non avviene nello stesso momento e si considera
anche la resistenza a pull-out delle radici. Si è osservato che con il modello semplificato W e W si tendeva a
sovrastimare la coesione addizionale delle radici perché si teneva conto che le radici si rompevano tutte allo
stesso momento (cosa non vera perché esse hanno resistenze diverse).

Come detto in precedenza, la resistenza a trazione delle radici dipende particolarmente dal loro diametro.
Nell’immagine seguente si riportano risultati di prove a trazione su radici di varie tipologie di specie
arboree, erbacee, arbusti. Vediamo una distribuzione esponenziale negativa della resistenza a trazione in
funzione del diametro.

Allo stesso modo in cui effettuiamo prove geotecniche standard per determinare le caratteristiche
meccaniche di un terreno, possiamo estendere tali prove a terreni radicati. Vengono eseguiti studi
mediante prove di taglio di laboratorio e in sito su campioni di dimensione dell’ordine delle decine di
centimetri. Nell’immagine seguente sono riportate foto di un apparato di taglio diretto di laboratorio e in
sito (sono apparecchi di grandi dimensioni). Ovviamente dipende anche dalla grandezza delle radici: se
parliamo di radici di grandi dimensioni c’è bisogno di fare prove su campioni di dimensioni maggiori, se
abbiamo radici molto fitte e sottili (come spesso accade per le specie erbacee) si possono anche utilizzare
campioni di dimensioni standard.

Dalla prova di taglio diretto siamo in grado di tirare fuori il criterio di rottura di Mohr-Coulomb.
Sulla destra dell’immagine precedente abbiamo un esempio di inviluppo a rottura per terreno nudo e per
terreno vegetato con vari tipi di specie erbacee. Vediamo che la coesione c r aumenta rispetto al caso di
terreno nudo e ovviamente dipende dal tipo di specie erbacea impiegata.

Il limite dell’apparato di taglio diretto è che è in grado di cogliere il comportamento delle radici solo lungo
la superficie di rottura predeterminata. Per sopperire a tale limite si possono eseguire anche prove triassiali
che, differentemente dalle prove di taglio diretto, non prevedono la predeterminazione di una superficie di
scorrimento e, inoltre, si possono effettuare prove sia in condizioni drenate sia in condizioni non drenate
quindi tale prova è in grado di riprodurre più verosimilmente le condizioni di rottura che si possono
verificare in sito.

Da alcuni test triassiali è stato verificato che non solo l’apparato radicale contribuisce all’aumento di
coesione, ma in alcuni casi le radici possono contribuire anche all’aumento dell’angolo di attrito che
aumenta dell’ordine di qualche grado (come visibile dal grafico in basso). Il grafico in alto nell’immagine
precedente fa vedere come la coesione radicale e l’angolo di attrito aumentano in funzione del parametro
RVD (che rappresenta la densità radicale del provino: quanto più aumenta la densità di radici nel terreno
tanto più aumentano i valori dei parametri meccanici).

Rinforzo idrologico

Oltre alla funzione di miglioramento delle caratteristiche meccaniche del terreno, le radici forniscono anche
il rinforzo idrologico. Il termine “idrologico” è usato perchè le radici influenzano i flussi di acqua nel
substrato e quindi la distribuzione e il movimento d’acqua nel terreno verso l’atmosfera e viceversa. Si
parla di “rinforzo” perché si ha un miglioramento delle prestazioni del terreno per quanto concerne la
stabilità. L’acqua fluisce dal suolo attraverso le piante e raggiunge l’atmosfera attraverso il cosiddetto soil-
plant-atmosphere continuum, non c’è un interruzione di questo flusso d’acqua e la pianta può essere
considerata il mezzo attraverso cui l’acqua si muove (come fosse un tubo capillare) attraverso un gradiente
idraulico, ossia alla differenza di potenziale idraulico che si instaura tra le foglie e le radici. Questo processo
è noto come traspirazione. Ci interessa capire come questo processo influenza il cambio del contenuto
d’acqua e dunque il cambio della suzione di matrice (siamo in condizioni parzialmente sature) nell’area
radicata. Possiamo dire che quando c’è estrazione di acqua tramite la traspirazione si ha una riduzione di
soil water content (contenuto d’acqua del terreno), un aumento della suzione di matrice e un aumento di
resistenza. Il criterio di Mohr-Coulomb esteso per terreni parzialmente saturi contiene un’aliquota che
rappresenta l’incremento di resistenza dovuto alla suzione di matrice. Un aumento della suzione di matrice
comporta un incremento della resistenza a rottura. Quindi, in un terreno vegetato avremo tre termini che
contribuiscono all’aumento della resistenza a rottura.
Diversi studi hanno cercato una correlazione tra l’aumento di suzione e le caratteristiche della pianta. In
alto nella seguente immagine è riportata la correlazione tra la suzione di matrice e il rapporto tra biomassa
radicale e biomassa fogliare (correlazione lineare positiva: all’aumento di questo rapporto, che aumenta
all’aumento della biomassa radicale, aumenta la suzione di matrice perché l’attività di traspirazione delle
piante è maggiore). In basso si correla il rapporto tra biomassa radicale e biomassa fogliare con la
resistenza a penetrazione.

Tuttavia, occorre considerare che il rinforzo idrologico e il rinforzo meccanico non dipendono solo dalle
caratteristiche intrinseche della pianta (radice, diametro, struttura, tipologia) ma dipende anche dal
contesto, ad esempio dal tipo di terreno (che influenza anche la crescita dell’apparato radicale),
dall’ambiente, dal clima, ossia occorre considerare anche il contesto in cui ci troviamo. Riguardo al clima un
altro aspetto importante che entra in gioco, soprattutto nel rinforzo idrologico, è la variabilità stagionale.
Essendo il processo di evapotraspirazione direttamente proporzionale alle temperature e ad altri fattori
legati alle proprietà delle piante (es. copertura fogliare) esso dipende dalle stagioni dell’anno. Solitamente i
picchi di suzione sono più alti in estate per climi temperati, quando la vegetazione è rigogliosa e le piante
hanno maggiore bisogno di acqua (si ha una maggiore evapotraspirazione); in inverno, quando le piante
sono nella loro fase dormiente e siamo prossimi alla saturazione del terreno (per effetto delle piogge), la
pianta non necessita di traspirare tanta acqua e quindi la suzione indotta dal processo di traspirazione è
ridotta. Questo concetto è valido per climi temperati (come nelle nostre aree); si è osservato che in climi
tropicali questa stagionalità è meno pronunciata e dunque si deve considerare anche l’effetto della
stagionalità sulla suzione indotta dalla traspirazione.

(Domanda) La presenza degli alberi non rappresenta un aspetto svantaggioso in termini di incremento di
peso sul terreno? Non è semplice rispondere a questa domanda, ma occorre considerare diversi aspetti.
Innanzitutto, gli apparati radicali si sono adattati per resistere a tante azioni, tra cui a quelle del vento, in
modo ciclico, per cui non sono tali azioni a instabilizzare un pendio. I pendii si instabilizzano in presenza di
piogge oppure nel tempo per effetti differiti dell’infiltrazione di acque meteoriche nel terreno. Un aspetto
positivo è rappresentato dal fatto che una parte di acqua viene intercettata dagli alberi (questo aspetto è
anche complesso poiché l’intercettazione varia nelle stagioni in base alla caduta delle foglie nelle stagioni
sfavorevoli, ad eccezione degli alberi sempreverdi che non perdono le foglie). Gli alberi, inoltre,
comportano rinforzo meccanico nelle zone superficiali, che non ci sarebbe con assenza delle specie
erbacee. Poi la presenza delle radiga provoca cambiamenti nel regime delle regioni neutre. Sicuramente la
presenza di alberi comporta un peso; nella stabilità dei pendii le forze di passa, come analizzato nelle lezioni
precedenti, potrebbero sia prendere parte alle componenti instabilizzanti sia contribuire alla componente
della resistenza del terreno lungo potenziali superfici di scorrimento. Dunque, non possiamo stabilire a
priori se è meglio o peggio la presenza di alberi in termini di stabilizzazione dei pendii, ma occorre
analizzare caso per caso se in quella zona, per quel pendio e per quella specifica specie erbacea o arborea si
hanno contributi positivi o negativi alla stabilità (in alcuni casi potrei considerare trascurabili tali contributi:
se parliamo di una superficie potenziale di scorrimento a profondità di 40 m e le radici arrivano a 1/2 metri
non avrebbe senso considerare tale contributo alla resistenza).

SPERIMENTAZIONE

Uno dei possibili contributi delle piante è quello del cambiamento della suzione oppure se vogliamo
calcolare i coefficienti di sicurezza, ci domandiamo per raggiungere coefficienti di sicurezza di progetto di
che resistenza aggiuntiva ho bisogno? Come con i geosintetici prima abbiamo capito che incremento di
resistenza aggiuntivo ci serviva e poi abbiamo cercato di materializzare e trovare quindi un prodotto che ci
dia tale resistenza. Anche con le essenze erbacee cerchiamo di farlo. È chiaro che la standardizzazione delle
metodiche è molto più recente e quindi ha più prospettiva. Per mitigare il rischio di questi fenomeni si
implementano soluzioni di mitigazione del rischio da frana. Esempio di opere strutturali che sono state
pensate dopo la frana di Sarno sono le vasche di accumulo che vanno a contenere in caso di innesco questa
massa che si propaga verso valle e per stopparla prima che raggiunga il centro abitato. Questo sistema di
vasche e canali con briglie per dissipare l’energia cinetica, non solo è molto costoso ma provoca anche un
grande impatto ambientale e necessita di una grande manutenzione.

Questo tipo di misure a Sarno sono state implementate 3 vasche. Questo tipo di misure è sicuro perché
porta il rischio pari a zero, sono misure passive e nel momento in cui si innesca un fenomeno sono in grado
di accogliere quasi tutto il volume.

Se vediamo l’immagine sulla destra, vediamo che le opere così dette “Passive” sono nella zona
PEDIMONTANA. Perché non hanno la finalità di bloccare l’innesco della frana ma di ridurre le conseguenze.
Esistono misure opposte dette “Active control work” misure attive volte ad evitare o ridurre la probabilità
di innesco della frana. Ovviamente individuare l’area esatta dove effettuare una misura attiva è molto più
complicato perché è necessario conoscere le caratteristiche geotecniche, la geomorfologia, modellare e
determinare valori di precipitazioni per diversi periodi di ritorno, quali aree sono più suscettibili a fenomeni
franosi per vari periodi di ritorno e agire in modo puntuale. Non è un processo semplice. Da un punto di
vista pratico è vero che le vasche hanno un grosso impatto sull’ambiente ma sono più facili perché non
vanno a bloccare l’innesco ma a ridurre gli effetti della massa. Abbiamo i mezzi per determinare le aree più
suscettibili ad innesco. La domanda è: nel caso di terreni piroclastici siccome sono terreni e coltri che sono
superficiali (occupano pochi metri delle coltri), cosa succede se andiamo ad utilizzare specie erbacee per
ridurre le probabilità di innesco di tali fenomeni e quindi andare a cambiare le caratteristiche
idromeccaniche attraverso le radici? L’esperimento rappresenta un piccolo passo verso una possibile
adduzione di tali misure che sono più sostenibili e che vanno a ridurre la probabilità di innesco di frane
dovute a precipitazione nei terreni piroclastici. In questo lavoro abbiamo usato una particolare specie
erbacea a radicazione profonda le cui radici possono raggiungere fino a 2m di profondità dell’apparato
radicale e come si vede dall’immagine anche creare una rete di radici molto fitta. Due fenomeni stagionali
che si possono verificare in Campania, l’obbiettivo non era tanto quella di mitigare l’innesco di fenomeni
erosivi perché sappiamo già che la vegetazione riduce il ruscellamento e l’erosione superficiale. L’idea era
quella di vedere come le radici cambiavano le caratteristiche idromeccaniche dei primi strati di terreno e
delle coltri superficiali. La sperimentazione condotta a scala di laboratorio ha permesso di valutare l’effetto
delle radici sulle proprietà idromeccaniche dei terreni piroclastici. Il set-up sperimentale è costituito da 2
colonne identiche della lunghezza di 2m e 20cm di diametro in plexi-glass trasparente e riempite di
materiale piroclastico prelevato direttamente da pizzo del Vano un delle aree di innesco delle frane di
Sarno. Le colonne sono state messe sotto una pensilina per ripararle dalla pioggia diretta e strumentate
lungo 4 profondità con sensori di contenuto d’acqua e tensiometri per la misura di suzione di matrice. Sulla
sinistra della foto si vede una schematizzazione dell’apparato strumentale: una colonna vegetata, una non
vegetata e un particolare della colonna. Successivamente le colonne sono state coibentate da un materiale
di alluminio per proteggere le radici dai raggi solari diretti e in alto è stato applicato un simulatore di pioggia
per le prove di filtrazione.

Alcuni particolari della fase di riempimento.

Essendo le colonne di 2m di lunghezza, sono state divise in 4 moduli di 50 cm di lunghezza l’uno frangiati in
modo tale che possono essere collegati l’uno all’altro da bulloni. Il riempimento è avvenuto dal modulo più
basso fino a quello più alto. È stato usato come metodo di riempimento quello detto del Moist tamping
perché è stata fissata una porosità di progetto e calcolato il peso di terreno per riempire uno straterello di
5cm. Riempito per 5cm alla volta in modo da avere un terreno con porosità omogenea lungo tutta la
colonna.
Fatto poi partire l’esperimento a Gennaio del 2016 quando la colonna vegetata è stata piantata con questa
specie erbacea e monitorato la profondità dell’apparato radicale e dell’apparato fogliario. Si è osservata
una correlazione lineare tra apparato fogliale e apparato radicale. Inoltre le radici avevano raggiunto 180
cm di profondità dopo 8 mesi. Si è partiti anche in questo caso dal capire se questa radice potesse
attecchire nei terreni piroclastici ed era importante monitorare la crescita della biomassa e dell’apparato
vegetativo. I 2m di colonna rappresentavano un limite perché dopo 8 mesi si era arrivati alla base ma
probabilmente se ci fosse stata una profondità maggiore sarebbe continuata a crescere. Queste specie
sono state fornite da una compagnia di Milano che utilizza da anni queste specie per scarpate artificiali,
rilevati autostradali e stradali per il controllo dell’erosione superficiale. Siccome però avevano questo
apparato radicale profondo l’idea era quella di capire cosa succedeva al cambiamento dei parametri
idromeccanici dei terreni piroclastici. Sono stati monitorati contenuto d’acqua e suzione in 2 anni e sono
state effettuate prove di EVAPOTRASPIRAZIONE e FILTRAZIONE. Per le prove di EVAPOTRASPIRAZIONE
siccome si era interessati anche alla stagionalità di questi fenomeni, si sono fatte prove con clima umido e
con clima secco per capire l’effetto delle radici sull’aumento di suzione sul terreno.
Nel caso di terreno non vegetato i valori della curva caratteristica erano coerenti con la curva di rottura e la
curva caratteristica è cambiata nel tempo durante la crescita radicale e sono riferite alle 4 profondità di
indagine: 30cm,60cm,1,20m e 1,80m. È stato osservato che le curve tendevano a spostarsi verso l’alto
quindi le radici tendevano ad occupare i pori addensando il terreno e cambiando la capacità di ritenzione
del terreno radicato provocando un cambio di permeabilità. Sono state raggruppate le curve caratteristiche
nelle 3 fasi vegetative, terreno nudo, dopo 7 mesi dalla crescita radicale e l’anno successivo quando le
radici erano già a regime e completamento sviluppato. Ciò che si notato è che le curve tendono ad
appiattirsi e a muoversi verso l’alto e quindi a parità di suzione, un maggior contenuto d’acqua nel terreno.
Le curve di evapotraspirazione sono state fatte nella stagione umida e nella stagione secca.

In cosa consistevano? Nel saturare completamente la colonna, partendo da suzione pari a zero e
lasciandola a condizioni atmosferiche per 15 giorni monitorando la suzione e contenuto d’acqua. Sono stati
raggruppati per la colonna non vegetata, per la colonna vegetata nel primo anno nel mese di aprile e per la
stessa colonna nell’anno successivo quando era completamente vegetata. Questi sono valori di suzione nei
15 giorni dell’esperimento. Si è calcolato l’incremento di suzione giornaliero che dà la pendenza delle curve
e si nota che nel terreno non vegetato dipende dalle profondità, a profondità minori la suzione aumenta
più velocemente, nel terreno vegetato succede la stessa cosa ma anche a profondità più elevate.

Per il mese di luglio, la suzione aumenta ancora di più perché la vegetazione era più rigogliosa e l’aumento
di suzione dovuto all’evapotraspirazione è funzione della stagione dell’anno. Ciò ci dà l’idea che in presenza
di vegetazione qual è la suzione che mi aspetto di avere dopo un certo numero di giorni senza pioggia. In
parallelo di queste sperimentazioni si sono fatti altri test con cilindretti di 20cm di diametro e 20cm di
altezza a porosità target diverse. Si sono riempiti 4 cilindri con porosità crescenti per capire la porosità nei
terreni piroclastici.

Si voleva capire cosa succedeva al volume in presenza della radici. Si sono piantate le stesse specie erbacee
per 20 settimane monitorando l’indice dei vuoti dei cilindretti e nel grafico si vede in 3 fasi di crescita delle
radici come è cambiato l’indice dei vuoti. Nella fase 2 dopo 10 settimane già si è notata una riduzione della
porosità per effetto della crescita radicale fino ad arrivare a 20 settimane con un ulteriore aumento della
porosità, in questo caso l’apparato radicale già riduceva la porosità del terreno.

Poi si sono fatte prove di collassabilità per quantificare l’effetto delle radici sulla collassabilità da
saturazione. Si sono estrusi una serie di campioni dai 4 cilindretti e sono state fatte prove edometriche che
normalmente partono da condizioni di saturazione ma in questo caso si è partiti dal contenuto d’acqua
naturale e con una pressione di consolidazione bassa e successivamente è stato saturato il campione per
misurare la collassabilità. Il coefficiente di collassabilità è stato calcolato come differenza dell’indice dei
vuoti prima e dopo la saturazione diviso l’indice dei vuoti prima della saturazione. Da tutte queste prove
fatte, si è visto che tale coefficiente era direttamente proporzionale all’indice dei vuoti iniziale, cioè quanto
più è poroso il provino tanto più è collassabile nei terreni nudi.
Nei terreni vegetati, non solo si partiva da condizioni di saturazione più bassa perchè con la vegetazione la
porosità si era ridotta, ma a parità di indice di vuoti iniziale il coefficiente di collassabilità veniva ridotto.

Le prove meccaniche eseguite tramite uno smantellamento della colonna e prendendo campioni a
profondità diverse della colonna perché si voleva come la densità radicale influiva sulle proprietà
meccaniche e ottenuti provini per le prove triassiali consolidate drenate e prove triassiali con solidate non
drenate. Al termine delle prove triassiali si sono andate e misurare le classi di diametri, fino a 2.2mm quindi
molto sottili. Nella classificazione comune d<2mm erano quelli delle specie erbacee. Si è andata a misurare
la massa secca di radici. Il campione veniva passato a setaccio e pesate solo le radici. La massa radicale
secca diminuisce con la profondità. Poi si è ricavato il volume delle radici per un dato volume di terreno.

Dai risultati delle prove consolidate non drenate il trend a rottura è completamente cambiato rispetto a
quello del terreno nudo. 2 trend uno intermedio e uno dilatante, quindi i terreni radicati hanno avuto due
trend differenti ciò dipendeva anche dalla densità radicale. Per terreni con densità radicale maggiore
avevano un trend dilatante. Le radici avevano addensato il terreno e ne avevano cambiato anche il
comportamento a rottura.

Infine è stato tirato fuori l’inviluppo a rottura e non solo è stato trovato un aumento di coesione ma anche
un aumento dell’angolo di attrito.
Correlando la resistenza a rottura con il parametro radicale RVD si è visto che per valori RVD bassi non c’è
differenza sostanziale tra terreni radicati e terreni nudi, mentre per RVD in aumento cioè per aumenti di
densità radicale si hanno anche aumenti del valore dei parametri meccanici. Importante tener conto che il
rinforzo è strettamente legato alla densità dell’apparato radicale.

Soil bio-engineering (ingegneria naturalistica)

L’ingegneria naturalistica (soil bio-engineering) nasce intorno agli anni ’50 in Germania; essa impilica l’uso
di materiali vivi (piante o parti di esse, come radici o tronchi) come principali materiali strutturali in un
sistema di protezione dei pendii. È importante conoscere bene il processo che si vuole trattare e le
caratteristiche che possiamo associare alle funzioni ingegneristiche che desideriamo far avere alla pianta
(es. massimizzare il rinforzo meccanico). Dopo aver fatto un’analisi delle specie che possiamo impiegare in
quel contesto ambientale, è possibile utilizzare una serie di indicatori che ci permettono di selezionare una
specie piuttosto che un’altra, in base al tipo di processo che vogliamo trattare. Uno schema propone di
separare in due classi differenti di processo (frane superficiali ed erosione superficiale) i parametri che la
pianta dovrebbe avere al fine di essere efficace per contrastare questo tipo di processo.

Non sempre una pianta possiede tutte le caratteristiche volute, per cui a volte è necessario usare un mix di
piante oppure delle tecniche ibride (associare all’opera strutturale anche le piante). Un mix di piante
ovviamente risulta anche più sicuro perché non è detto che in un determinato contesto ambientale tutte le
specie scelte saranno in grado di attecchire e di stabilirsi in un determinato periodo (potrebbero esserci
alcune specie che attecchiranno prima e creano condizioni del substrato favorevoli, con maggiore sostanza
organica e maggiori nutrienti, promuovendo la crescita e l’attecchimento delle specie più lente e restie a
svilupparsi).

Applicazioni di soil bio-engineering

Ci sono una serie di tecniche che sono adottate nel campo dell’ingegneria naturalistica, come ad esempio:

 per scarpate in erosione si può procedere con un rinverdimento della scarpata, ma non a caso: ad
esempio la forma a “y capovolta”, visibile nell’immagine precedente, ha lo scopo di creare canali di
drenaggio delle acque superficiali e utilizzare dei tubi di fascine da posizionare nei canali e
piantumare delle talee (che sono parti tagliate di arbusti o piante prive di radici nel momento in cui
sono tagliate ma che poi sviluppano in seguito; rami di arbusti che vengono tagliati e poi sviluppano
l’apparato radicale divenendo piante vere e proprie) lungo tutti i canali in modo tale che, non solo
sono stati creati i canali di drenaggio, le talee stesse cresceranno e faranno le radici che daranno un
apporto meccanico alla resistenza;
 briglia naturale di contenimento dei sedimenti;
 piantumazione di talee lungo un argine fluviale;
 strutture di contenimento in legno, per le quali è necessario tener conto, mediante appositi calcoli,
anche del fatto che il legno potrebbe andare in contro a deterioramento nel tempo (soprattutto a
causa dell’assorbimento di acqua).

I muri realizzati in materiali vegetali hanno il vantaggio di essere strutture filtranti, analogamente ai muretti
a secco e diversamente dai muri in calcestruzzo armato. I muri a secco hanno il difetto di non poter
superare certe altezze, ma hanno il grosso pregio (a parte la sostenibilità ambientale e il costo) di essere
opere filtranti: sostengono il terrapieno e consentono il drenaggio migliore possibile. I terrazzamenti si
fanno spesso con i muretti a secco e tra un terrazzo e un altro la vegetazione è più in grado di attecchire
perché si forma più sostanza organica.

Molte di queste misure sono adottate in Nepal e in altri paesi asiatici anche perché c’è una facile reperibilità
dei materiali necessari (si utilizzano specie vegetali in loco, dunque facilmente reperibili e a basso costo).
L’uso così intensivo di queste tecniche nei paesi asiatici è anche legato al fatto che in molta parte dell’Asia
le precipitazioni sono molto intense e dunque anche i fenomeni di ruscellamento superficiale sono molto
amplificati; di conseguenza, gli effetti di intercettazione e convogliamento delle acque superficiali sono
molto importanti.
Nature based solutions (NBS: soluzioni basate sulla natura).

“Nature based solutions” è un termine abbastanza recente (nasce nel 2015) che va molto di moda ed è un
concetto che abbraccia soil bio-engineering. Si tratta di soluzioni sostenibili ispirate alla natura o supportate
dalla natura (o che imitano i processi naturali oppure che sono supportati dalla natura, ossia si basano
sull’utilizzo di materiali naturali) che aiutano ad affrontare le sfide della società e allo stesso tempo sono
economiche, positive per l’ambiente e per la società (portano anche servizi ecosistemici, benefici aggiuntivi
al benessere della società). Il concetto della NBS è nato soprattutto per la mitigazione dei cambiamenti
climatici, ma si estende anche ad altri problemi (frane, alluvioni; tra l’altro tali fenomeni sono identificabili
come le conseguenze dei cambiamenti climatici). Dunque, le NBS servono per adattarsi ai cambiamenti
climatici (es. adattarsi all’aumento delle temperature) e per mitigare gli effetti di tali cambiamenti (frane,
alluvioni, …). L’ingegneria naturalistica può essere considerata la pioniera della nature based solutions nel
campo dei pericoli naturali.

Nature based solutions in ambiente urbano

Anche in ambiente urbano si parla di soluzioni basate sulla natura che hanno lo scopo di aumentare la
superficie permeabile per evitare l’effetto negativo di eventuali eventi pluviometrici estremi, come:

 tetti verdi (green roof);


 riapertura di torrenti urbani che erano stati chiusi e cementati in passato;
 realizzazione di laghetti o aree lasciate libere di poter essere riempite d’acqua in caso di eventi
pluviometrici estremi;
 piantumazione di aiule altamente permeabili e drenanti, capaci di allontanare le acque meteoriche
con un sistema di drenaggio sotterraneo.

La soluzione nota come “bosco verticale” è spacciata per nature base solutions, ma non lo è perché le NBS
devono essere soluzioni sostenibili anche dal punto di vista economico. Il bosco verticale, invece, non lo è,
anzi si può considerare come una soluzione di lusso, bellissima esteticamente e che comunque porta del
verde in ambiente urbano, ma i costi di manutenzione (già per cambiare le specie erbacee e arboree
utilizzate), oltre agli elevati costi di condominio, non lo rendono una nature based solutions. Il “bosco
verticale” si potrebbe considerare come un esempio di architettura naturalistica.

Ritornando ai nature based solutions, la loro peculiarità è che non solo devono essere in grado di assolvere
a una specifica funzione (es. riduzione degli alluvoni, drenaggio delle acque meteoriche), ma devono recare
servizi ecosistemici e benefici all’uomo (benefici sociali, economici, miglioramento della qualità della vita) e
benefici ambientali. Ultimamente le NBS si implementano anche per contrastare i pericoli naturali (es. per
prevenire le frane superficiale) e in tal senso la vegetazione gioca un ruolo importante. In particolare, si
osserva che i lavori che coinvolgono l’uso di NBS è aumentato negli ultimi anni (il trend è positivo).

Molti articoli scientifici riguardano l’uso della vegetazione per migliorare la stabilità, alcuni la gestione della
vegetazione o il cambio dell’uso del suolo per capire come ciò possa influenzare la probabilità di innesco di
frane superficiali, altri lavori sono rivolti alla stima dei danni legati alla vegetazione quando ha luogo una
frana. Molti casi applicativi di NBS vengono implementati in Europa e in Italia per varie finalità
(consolidamento di argini fluviali, ridurre i fenomeni erosivi di argini fluviali e scarpate, stabilizzare i pendii,
…).

In un report sono stati classificati gli interventi in base al processo sul quale vogliono agire. È stato creato
un catalogo di misure di mitigazione di NBS con diverse categorie. Ogni categoria ha un suo titolo che
riflette il processo che si vuole contrastare. Si individuano le seguenti categorie: approcci vivi per ridurre
l’erosione superficiale (in cui rientrano misure di mitigazione che coinvolgono l’uso di materiale vivo, senza
presenza di inerti, biostuoie e materiali legnosi); opere di sostegno per migliorare la stabilità di un pendio
(in cui rientrano i “live crib walls”, ossia opere di sostegno realizzati con legno e materiale vegetale);
combinazione di materiali vivi e non vivi per ridurre l’erosione superficiale (in cui rientra anche
l’inerbimento con biostuoie).

Le misure classificate in questo modo sono state aggiunte ad un portale online (LaRiMiT) accessibile
gratuitamente. Questo portale è stato realizzato allo scopo di aiutare i tecnici e i decisori a selezionare le
tecniche di mitgazione più appropriete per un determinato caso di frana. In sostanza il portale risponde a 4
domande principali: quali sono le opzioni disponibili? Sono realizzabili? Quanto sono costose? Che impatti
ambientali comportano? È presente un database di misure di mitigazione che ad oggi conta oltre 80 misure
di mitigazione del rischio da frana. Ogni misura di mitigazione è dotata di una scheda tecnica che riporta
una piccola descrizione (in cui si riportano vantaggi, svantaggi, esempi di applicazione della misura) e una
tabella che contiene dei punteggi da 0 a 10, attribuiti da esperti nel campo di mitigazione del rischio da
frana, in base all’adeguatezza di quella misura rispetto a quell’indicatore. Ad esempio, le vasche di
dissipazione della massa franosa (quelle utilizzate a Sarno e viste nella seconda parte della lezione) sono più
appropriate per le colate (alle quali viene assegnato punteggio elevato) rispetto alle altre tipologie di frana
(alle quali si assegnano punteggi inferiori). Altri criteri tecnici legati alla tipologia di frana riguardano il
materiale coinvolto, la profondità del movimento, il tasso di velocità, il regime delle pressioni neutre, ecc. Ci
sono anche criteri economici e di fattibilità; abbiamo il tempo di implementazione, l’adeguatezza
ambientale e l’adeguatezza economica (che per le vasche di dissipazione hanno punteggi bassi perché sono
opere costose e con alti impatti ambientali e che necessitano di un certo tempo di implementazione).

Quindi il database rappresenta la parte statica; la parte dinamica prevede che l’utente, tramite login
nell’area privata, può immettere i dati specifici della frana (tipologia di frana, materiale coinvolto,…). Si crea
il nuovo caso di frana in base alle esigenze di quel particolare caso studio e, mediante un algoritmo, il
portale confronta i dati della frana immessi dall’utente con le schede tecniche presenti nel database e come
output fornsice una lista di misure di mitigazione, ordinate dalla più pertinente alla meno pertinente sulla
base dei punteggi dati dagli esperti. Dunque, la prima soluzione riportata nella lista sarà quella più adeguata
rispetto alle caratteristiche tecniche della frana, alle esigenze socio-economiche dell’utente, alle esigenze
ambientali. Esempi di misure sono idrosemina, inerbimento, piantumazione, geotessili con inerbimento,
ecc.

Hybrid solution

Non è detto che la vegetazione possa abbassare il rischio a 0 e per questo motivo spesso la si associa a
misure tradizionali dell’ingegneria civile classica. Queste soluzioni ibride consentono di avere un
miglioramento anche dei fattori ambientali e socio-economici.
LEZIONE : 26/04/2021
VEDI FILE WORD
Erosione superficiale di pendii
L’erosione superficiale è oggetto di studio perché, al di là delle varie applicazioni dell’ingegneria
civile come pendii naturali ed artificiali, in Campania c’è una vasta zona ricoperta da terreni
vulcanici derivanti dal Vesuvio (area campita in verde nella successiva immagine). Il diametro del
cratere antico (linea arancione in figura) era molto più largo, ma è stato demolito eruzione dopo
eruzione da vari episodi vulcanici.

È facile dedurre che la quantità di materiale iniettata nell’atmosfera e poi trasportata nei millenni

è stata enorme.
Ad ogni eruzione in funzione della direzione dei venti il trasporto avveniva in diversi punti, come
evidenziato dalle aree azzurre. Oltre ai depositi aerei si sono verificate anche grosse eruzioni di
tipo effusivo, ovvero la lava. Da questi fenomeni, rappresentati dalle aree in rosso, nascono i tufi
(tufo giallo, tufo grigio, etc.).
I terreni piroclastici presentano molteplici caratteristiche:
-collasso volumetrico nel caso di terreni parzialmente saturi (sono collassabili rispetto
all’imbibizione);
-liquefazione statica nel caso di terreni completamente saturi (sempre se ciò avviene nel caso in
cui sono sottoposti a determinate modalità di deformazione);
-elevata erodibilità nel caso di terreni poco vegetati.
Curva di ritenzione
Riprendiamo il concetto di curva di ritenzione, la quale è espressa in termini di contenuto d’acqua
volumetrico.

VH O VH O VV
θ =V 2
= V V = Sr n
2

TOT V TOT

Quando un terreno si deforma ovviamente cambierà sia la n , ma può cambiare anche Sr . Questo
rappresenta un tipico esempio di comportamento idro-meccanico accoppiato, cioè c’è un cambiamento del
contenuto d’acqua (quindi dal punto di vista idraulico) e della porosità (cioè la struttura del nostro terreno
e quindi dal punto di vista meccanico). In realtà questa distinzione non c’è poiché è tutto riconducibile ad
un comportamento meccanico, però a volte viene menzionato anche il termine idro per sottolineare che
questi fenomeni possono essere innescati da agenti esterni di tipo idraulico come ad esempio la pioggia.
Facendo riferimento a quest’ultima essa cambia certamente il grado di saturazione Sr , e quindi anche le
pressioni neutre uw, le quali comporteranno una variazione delle tensioni efficaci σ’ e quindi di conseguenza
varierà anche n . Questo è un tipico esempio di comportamento idro-meccanico accoppiato, cioè le due

variabili cambiano insieme.


Andiamo ora ad analizzare i terreni rappresentati nel seguente diagramma.
Il terreno B è quello più superficiale, il terreno A è più fine ed infine abbiamo le pomici P. Quest’ultime sono
materiali estremamente leggeri, possono essere molto porosi (n=0,69 come valore tipico), molto permeabili
(10-4 m/s) e abbastanza resistenti (φ ' =37 ° ¿ . I materiali di tipologia B sono principalmente sabbia, ma
anche un po’ limo e ghiaia, come visibile nel diagramma. Essi sono materiali ancora incoerenti (c’= 0-5) e
saranno ovviamente materiali erodibili, quindi una qualsiasi perturbazione dislocherà il granello in un’altra
posizione. I terreni di tipologia A invece presentano una certa coesione efficace.
P nelle B
Ad esempio nostre zone possiamo avere una stratigrafia analoga a questa.
A

Substrato
carbonatico

Ci sono delle eccezioni poiché in alcune zone è possibile trovare solo materiali di tipo B (che sono i più
recenti),mentre in altre zone ad esempio questi terreni B sono stati dilavati e portati via da frane e quindi
avrò solo terreno A non erodibile.
I fenomeni erosivi superficiali interessano i primi centimetri del sottosuolo, quindi nel caso di erosione
dovuta da pioggia si parlerà dell’ordine di qualche centimetro per singolo episodio. Differentemente in
fenomeni come frane veloci con velocità di 10 m/s la colata di fango, che raggiunge spessori di 1-2 m
( paragonabili agli espisodi di Sarno), può trascinare materiale dal piano campagna fino a diversi metri di
profondità perché le forze in gioco sono totalmente diverse.
Ciò che vogliamo dire è che materiali erodibili e materiali incoerenti sono quasi la stessa cosa. Erodere un
materiale coesivo non è facile,ma potrebbe succedere e ciò è legato anche alle deformazioni del pendio
stesso.

Vediamo ora una sezione verticale di un terreno tipo B. Le parti più dense hanno un colore che si differenzia
da quelle meno dense, mentre i vuoti sono neri. Essendo i grani a spigoli vivi è possibile riconoscere un
materiale granulare con un determinato angolo di attrito interno.

È necessario far riferimento alle particelle perché durante un’erosione esse vengono mobilitate
singolarmente e quindi è necessario capire cosa succede. Ad esempio considerando questo elemento di
volume disposto lungo un pendio, l’acqua ruscellando fa muovere le particelle di vario colore e dimensione
che si trovano superficialmente. Queste particelle verranno trasportate,ma quanto durerà questo
x,y,z
fenomeno? Data una fissata posizione geografica x,y,z , dove z è importante per capire a monte cosa c’è
poichè l’acqua che arriva al secondo punto (in rosso) è molto più grande rispetto al primo punto (in
arancione), potrò andarlo a calcolare tramite una banale equazione.
Vediamo ora delle immagini che rappresentano un collasso volumetrico. La cosa importante è che in sito
posso trovare una struttura molto aperta (fig. 1) o una struttura con porosità più bassa (fig.4), ma ciò è
possibile misurarlo grazie ad n. Quindi anche la propensione all’erosione è legata alla porosità.

Tutti questi aspetti dovranno essere implementati in modelli su area vasta ( AV), perché se ad esempio
voglio studiare il ruscellamento superficiale non potrò farlo “mattonella per mattonella”. Fare ciò e quindi
procedere per singola sezione longitudinale non mi sarà molto utile in quanto è un problema
tridimensionale e quindi dovrò sapere anche come l’acqua superficiale va a convergere negli impluvi.
Quali sono i fenomeni che possono verificarsi in seguito all’erosione superficiale?

L’acqua che si infiltra può generare conseguenze come le frane, mentre l’acqua che ruscella può
determinare flash floods (inondazioni improvvise). Nel caso di deflusso superficiale spesso facciamo
riferimento a flussi iperconcentrati, in quanto sono caratterizzati da un’alta concentrazione di materiale
solido.
In aggiunta nel nostro modello si potrebbe inglobare la possibilità di analisi di quello che succede in termini
di distacco della particella solida dalla sua posizione originale, trasporto e deposizione fino a trovarsi in una
nuova posizione; nell’ambito di uno stesso evento pluviometrico potrebbe essere rimobilitata e quindi è un
fenomeno assolutamente dinamico. La cosa interessante è che se ciò avviene nei mesi o negli anni ci
interessa poco,ma assume particolare importante se ciò avviene in qualche minuto/ora poiché le mie opere
idrauliche dovranno essere pronte a recepire questo materiale (acqua+materiale solido). Oltre ai motivi
legati alle opere idrauliche, ciò è importante anche per la salvaguardia della vita umana.
Se considero l’infiltrazione nulla e quindi che tutto ruscella, ciò massimizza la quantità di acqua (curva in
rosso).

Nel caso in cui ci sia una certa concentrazione di sedimenti in aggiunta all’acqua, com’è possibile cambiare
con la stessa teoria il diagramma? Amplifico di una certa quantità la curva iniziale in funzione dell’aumento
percentuale del volume solido (curva in verde). Questo diagramma, che chiaramente io leggo a valle,
perché sarà semplicemente un aumento percentuale della curva precedente? In realtà non sempre è così in

(Splash erosion)

quanto il materiale solido quando inizia ad essere molto non verrà trasportato come succede con l’acqua,
ma si propaga come mezzo proprio fino a raggiungere anche velocità più elevate. Per tale motivo l’effetto al
suolo che si potrebbe verificare a valle è rappresentato dalla curva in azzurro, la quale può assumere varie
configurazioni a seconda dei casi.
In riferimento all’erosione si possono distinguere divere tipologie:

In tutto ciò assume molta importanza la vegetazione. In particolare:

Da molteplici studi è noto che all’aumentare dell’intensità della pioggia aumenta la dimensione delle gocce,
aumenta la velocità con la quale cadono, ma sono più diradate e distanziate. Data l’intensità è quindi
impulso
possibile conoscere quante goccioline ci saranno per un’area di riferimento in pianta e con che velocità
arriveranno. Ad esempio dato un pendio fatto di singoli grani di terreno, i goccioloni avranno una certa
quantità di moto m v . L’impatto (splash) in termini di urto vuol dire che è anelastico, cioè tutta la quantità
di moto viene trasferita impulsivamente al terreno nella zona di influenza (pari al diametro della goccia).

 Graficamente l’impulso può essere rappresentato:

Supponiamo di avere come dati la durata di un singolo impulso d e un certo numero di gocce per area
lineare. Applicando ad un sistema di granellini delle forze è possibile notare come dalla superficie
considerata fuoriescano delle particelle e quindi è possibile simulare la massa di terreno erosa e trasportata
via da quella zona.

Modello fisicamente basato LISEM


Apparato fogliare:

-Evapotraspirazione (cambia la suzione)

-Intercettazione di pioggia (riduce la parte di pioggia che arriva al suolo e


che comporta frane ed erosione del suolo)

-Riduzione dell’energia cinetica

Copertura al suolo:

-Intrappolamento particelle terreno

-Rallentamento velocità deflusso superficiale

Apparato radicale:

-Incremento resistenza terreno

-Influenza sulle capacità di infiltrazione (non è banale capire se le radici


aumentano o diminuiscono il coefficiente di permeabilità di un terreno)
Facciamo ora riferimento ad un modello proposto dagli olandesi, soffermandoci maggiormente sui singoli
parametri menzionati nelle varie equazioni. Alcune equazioni sono propriamente della geotecnica e altre
derivano dall’idraulica fluviale/costruzioni idrauliche, in quanto parliamo di fenomeni costituiti da materiale
solido ed acqua.

LAI ( Leaf area index) = Indice di area fogliare

Come funziona l’intercettazione? Consideriamo una zolla di terreno caratterizzata da varie specie con
capacità diversa di trattenere parte di acqua e distribuite in modo tale da occuparne solo una percentuale.

Per capacità di accumulo si intende quella della superficie topografica lungo il pendio, in quanto può essere
estremamente liscia o molto rugosa, poco acclive o molto acclive.

%
È possibile già iniziare ad individuare quali siano i nostri dati di input delle due equazioni espresse finora.
La pioggia cumulata Pcum sicuramente la posso conoscere, sia se sto facendo un’analisi a ritroso (c’è stato un
evento meteorico e voglio simulare ciò che è successo) sia in un’analisi di proiezione futura. La frazione
coperta da vegetazione Cp è possibile conoscerla tramite le mappe nazionali dell’uso del suolo. Invece i dati
relativi a quante foglie ci sono (k) e quanta acqua possono trattenere (S max) si estrapolano dagli studi
riportati in letteratura. La
rugosità superficiale RR dipende dalla granulometria del terreno (GSD= grane size distribution), ovviamente
maggiori saranno i grani e quindi gli spazi tra loro e più rugosa sarà la superficie. A questo
punto, noti i parametri di input appena analizzati, avremo i seguenti risultati del modello.

Il distacco per impatto Ds è espresso in kg/s, cioè l’erosione espressa in peso perché se si muove ogni
singolo grano di terreno quello che riesco a misurare in sito è un peso di materiale. Diversamente far
riferimento ad un volume è più difficile in quanto i grani arrivano in una determinata zona in momenti
diversi e per definire un volume devo definire delle distanze tra le particelle.
Data un volume iniziale di terreno V di porosità n e con corrispondente spessore t di terreno che viene
eroso. Questo è un volume totale Vt , ma tramite la porosità n corrisponde anche ad un volume solido V s,
che attraverso il peso specifico Gs mi restituisce proprio il peso del materiale solito P s. Questo Ps può essere
senza dubbio legato al distacco per impatto D s, quindi se nel modello ottengo il Ds sulla “mattonella” di
terreno che mi interessa posso conoscere uno spessore medio eroso t.
1m 1m

t n

Vediamo che all’interno di Ds abbiamo i veri termini che sono: As, P, KE, d. Se analizziamo i termini cerchiati
in rosso sopra ovvero (Ds, MSD, Cs) possiamo scrivere l’equazione di Cs tramite l’utilizzo delle equazioni
MSD e Cs.

La capacità di trasporto del flusso (T c) è composta dai termini: (gs, c e d, S, v), il termine c e d ci indica la
granulometria e la coesione delle particelle, infatti se ho due particelle più grandi farò più fatica a
trasportarle avrò bisogno di sforzi ti taglio più grandi, se invece sono molto piccoli e sono avvicinate la
coesione è più grande quindi la si considera come una singola particella. La velocità del flusso più è alta la
pendenza più aumenta la capacità di trasporto.

In definitiva avrò gli ultimi modelli:

Ora ci chiediamo quand’è che abbiamo il distacco per il deflusso? Quando la corrente ha una capacità di
trasporto sufficiente, cioè questo flusso potrebbe essere già carico di sedimenti e quindi non ha più la
possibilità di aggregarne altri. Se supponiamo un flusso d’acqua che scende da un pendio ad una certa
pendenza esso avrà una data capacità di trasporto, se supponiamo che la pendenza varia (ad esempio
diminuisce) allora succede che i sedimenti raccolti tenderanno a depositarsi sul fondo perché il flusso perde
la sua capacità di trasposto, possiamo anche avere il caso contrario. La capacità di trasposto (Tc) è la
capacità del flusso di raccogliere materiale.

Invece quand’è che abbiamo l’erosione? L’erosione è la somma dei termini Ds, Df e Dp (vedi formula), dove
il deposito lo si può calcolare (formula cerchiata in verde). Si ha quindi un bilancio del solido legato alle
caratteristiche idrauliche del flusso (velocità tirante).

NOTA: Nell’ultima ora il professore ha fatto alcune applicazioni utilizzando esempi di sperimentazioni.

Studiamo il caso di Atrani e Minori. Vediamo che nel periodo del 2010 i fenomeni si non localizzati nel
Bacino Dragone (linee verdi) mentre in passato nel bacino sambuco.
Vediamo con questi grafici cosa succede allo sbocco, ovvero gli effetti a terra allo sbocco. La sequenza di
pioggia conta tantissimo per ciò che arriva a valle con portate elevate.

La distribuzione spazio-temporale ci da la
distribuzione delle portate che non è la classica
campana ma sarà leggermente differente (vedi
figura). Il tratto sottolineato in blu è un tempo di
quiete anche se già sta piovendo. Se prendiamo il
grafico tratteggiato il tempo di quiete dura 180
minuti.

Le concentrazioni volumetriche le posso calcolare, cioè il


materiale si carica di sedimento e poi è difficile che si deposita
perché ho una montagna che va a picco a mare (figura cerchiata
in verde) e quindi è impossibile che si deposita. Nel nostro la
quantità di solido accumulata è di circa il 20 % che non è poco,
parlando di volume accumulato è come se stessimo accumulando
un volume di materiale di 1m*1m*0.20m.
In tutto questo come giocano le curve di ritenzione? in realtà in questi modelli si inserisce il contenuto
d’acqua iniziale del terreno che è legato alla sezione, vediamo un esempio di tre curve di ritenzione:

Vediamo che abbiamo tutto uguale, terreno uguale, stessa vegetazione, piove nello stesso modo, se mi
metto nello sbocco del vallone cambia tutto.

Cambia tutto perché l’infiltrazione cella per cella è diversa e


quindi anche il contributo al deflusso cambia. Notiamo che il picco è quasi uguale e anche il tempo di arrivo
è uguale, la differenza la notiamo nell’andamento temporale (vedi cerchio blu) che ci indica come proprio
come varia l’andamento delle portate nonostante le condizioni iniziali sono le stesse.
Vediamo l’ultimo esempio:

Si è notato che molte frane venivano nei punti cerchiati in rosso in figura proprio sotto le curve di livello,
questo perché l’acqua si incanala nelle strade e va a sfociare in queste zone.

Vediamo in questa figura la massima altezza del battente di acqua cella per cella:

se il pendio è regolare, l’acqua scorre ma con un tirante


bassissimo (al di sotto del cm). Nella prima figura (figura
a) man mano che vado più in basso noto che il colore
aumenta di intensità. In questo caso la modifica
antropica produce erosione (figura c), l’erosione
maggiore si ha dove l’acqua ha defluito di più che crea
dei solchi. L’acqua man regimentata lungo i pendii mi
determina erosione ed indebolimento del pendio.
LEZIONE 25: 27/04/21

PARATIE
Dopo aver parlato delle varie tipologie di muri e delle terre rinforzate che possono essere o muri rinforzati
o pendii rinforzati vediamo quelle che sono le paratie. Le paratie pongono un problema di interazione
terreno-struttura molto importante perché le condizioni di spinta a monte e a valle dell’opera sono
innanzitutto estremamente diverse. Ricordiamo infatti che dietro la paratia si forma un cuneo di spinta
attiva e a tergo si forma un cuneo di spinta passiva, attraverso questa distinzione preliminare molto
semplificata però si inizia a capire che senza la spinta passiva (la quale corrisponde alla risultante di tutte le
azioni verticali agenti sul lato anteriore della paratia) che equilibra quella attiva crollerebbe tutto. Un’altra
evidenza importante è che durante l’operazione di scavo noi partiamo da una condizione in cui installiamo
la paratia e quindi a destra e sinistra abbiamo distribuzioni auto equilibrate in condizioni ko, dopodiché
quando inizio ad effettuare lo scavo succede che dal lato dove scavo la distribuzione non sarà più uguale a
quella dal lato opposto e quindi avremo che la paratia deve ruotare. Ruotando succede che la distribuzione
a monte diminuisce (perché si sta decomprimendo) e a valle diventa più grande (perché si comprime) in
modo da auto equilibrarsi nuovamente. In realtà può succedere anche che a monte la spinta diventa molto
piccola e a valle una spinta molto grande in termini di momento ribaltante, il problema sarà che nonostante
una spinta molto piccola a monte il braccio del momento ribaltante sarà molto maggiore rispetto quello a
valle e quindi al fine di equilibrarsi la spinta a valle deve essere molto grande. Questo appena visto è il
primo schema di funzionamento delle paratie cosiddette libere. Un problema potrebbe essere che il delta
(ovvero lo spostamento alla sommità della paratia dovuto alla rotazione) potrebbe essere non accettabile
perché troppo grande. Quindi potrei aver bisogno di bloccare la paratia in sommità, ma sempre facendo
attenzione perché bloccandola sto tenendo una zona dove la paratia può inflettersi molto se l’altezza h
sopra segnata è molto grande, quindi la paratia può essere intirantata per bloccare gli spostamenti ma mai
sulla sommità. Per quanto riguarda il tirante andrò ad ancorarlo in una zona in cui posso scaricare le forze
che mi servono. In questo caso lo schema strutturale sarà quello di una trave appoggiata-appoggiata e avrà
uno spanciamento dal lato dello scavo. Quindi adesso volendo partire da un atto di moto rigido la paratia
non potrà più ruotare verso monte ma potrà ruotare solo verso valle (ma anche in questo caso la resistenza
passiva dal lato dello scavo è fondamentale). Nel caso di paratie ancorate la verifica a traslazione è più
complessa perché abbiamo la forza F del tirante e quindi la spinta a monte sarà equilibrata oltre che dalla
spinta passiva di monte anche dal tirante (la quale va calcolata sfruttando l’equazione di traslazione
orizzontale).
COME SI PREDIMENSIONANO QUESTE OPERE
Si predimensionano rispetto ai cinematismi di moto rigido, dopodiché lo SLE lo calcoliamo tenendo conto
della rigidezza dei materiali. Le paratie si realizzano o tramite la realizzazione di pali o di diaframmi. I pali si
realizzano facendo una perforazione eventualmente sostenuta, parliamo di fori grandi circa 600-700 mm e
siccome le paratie le costruisco quando lo scavo supera altezze di 5-6 metri e essendo la lunghezza di
infissione 1.5 volte la lunghezza di scavo arriviamo a dimensioni di 15-20 metri minimo. Abbiamo due
alternative o pali affiancati o pali secanti. I pali sono in calcestruzzo armato perché non avrebbe senso
realizzare colonne di materiale non rinforzato, anche se in realtà le realizziamo tipicamente con la ghiaia ad
esempio immaginiamo di avere un terreno comprimibile ad esempio una bella pianura alluvionale,
possiamo avere zone tutte molto deformabili e quindi si fanno spesso dei pali, facendo prima una
perforazione dopodiché l’idea è quella di avere colonne di ghiaia(rinforzata) e quindi è come avere un
calcestruzzo armato però senza cemento e senza armatura, quindi sarebbe inutile perciò vengono inseriti
materiali geosintetici (per rinforzare la colonna) che aumentano la rigidezza e queste strutture vengono
chiamate GEC. Ritornando ai pali per la realizzazione di paratie, che saranno in calcestruzzo armato
affiancati. Uno dei problemi di paratie di questo tipo è che tra gli spazi tra i pali che formano la paratia filtra
acqua e quindi tra gli spazi la pressione dell’acqua uguale a zero, di conseguenza nel lato posteriore della
paratia non potremmo avere pressioni molto alte cosa buona. Ma l’acqua filtrando può trasportare anche
materiale e questo è un problema perché si può intasare la zona posteriore ai pali e di conseguenza non
sono sicuro di poter garantire che questa zona non ha apporti idrici.
Queste opere sono opere filtranti. Si può fare anche diversamente se voglio un’opera non filtrante ad
esempio si può realizzare una paratia con pali in cls armato che siano secanti tra di loro. La realizzo facendo
il primo palo non armato poi lascio il secondo palo in stand by il terzo lo realizzo non armato e proseguo in
questo modo realizzando uno sì e uno no. Dopodiché tra gli spazi lasciati in stand by realizzo pali armati
creando così un setto con una sezione rettangolare che ha delle armature in delle zone dove ho realizzato
pali armati. Un’altra possibilità è l’uso di una macchina che scava già un profilo rettangolare e poi di
conseguenza dispongo armature e getto.

Definiamo ora le grandezze utili per dimensionare una paratia. Abbiamo l’altezza di scavo h che corrisponde
alla profondità dello scavo e la lunghezza di infissione d che corrisponde alla lunghezza della paratia oltre lo
scavo. Per distinguere se dietro lo scavo abbiamo una paratia o un muro di sostegno possiamo andare ad
intuito che se ho un’altezza di scavo molto alta ci sarà quasi sicuramente un setto o una paratia, in realtà
poi tutti potrebbero accorgersene che quando ho un muro di sostegno il paramento esterno è leggermente
inclinato mentre invece nelle paratie abbiamo il fronte perfettamente allineato. Distinguendo invece tra
paratia ancorata e libera si può subito intuire che nella paratia ancorata posso avere una lunghezza di
infissione minore rispetto quella libera. Per il dimensionamento dell’opera dobbiamo e conto delle tensioni
di interfaccia, che sono influenzate dai cinematismi dell’opera. Per il dimensionamento usiamo il metodo
dell’equilibrio limite. I punti di rotazione di questi cinematismi rotativi sono nel caso della paratia libera un
punto che è verso la fine della paratia, nessuno ci obbliga a pensare che sia esattamente il punto più
profondo (anche se non è mai così) perché è fisicamente e energeticamente è poco conveniente, mentre
nel caso di paratie ancorate il punto di rotazione lo imponiamo noi dove mettiamo il tirante. La cosa diventa
un po’ più complicata (perché lo schema di moto rigido diventa poco cautelativo) se abbiamo più tiranti
come spesso si fa.
Vediamo nella slide abbiamo piano campagna, fondo scavo e setto, poi abbiamo il punto di rotazione O;
prima osservazione le spinte a monte e valle lungo la verticale non saranno continue perché in realtà se la
paratia ruota ci sono 4 zone 1,2,3,4. Nella zona 1 abbiamo condizioni di spinta attiva, nella zona 2 passiva,
nella zona 3 passiva e nella zona 4 attiva. Ora lungo la verticale se ho una spinta attiva la pendenza è legata
al Ka, quando sono in spinta passiva il diagramma è proporzionale a Kb il quale è maggiore di Ka. Quindi
passando dalla zona 1 a 2 avrò un salto del diagramma di spinta come posso vedere dalla slide. La stessa
cosa passando dalla zona 3 a 4 avrò un salto del diagramma della spinta. Guardando il diagramma di spinta
abbiamo che la spinta a destra sopra al punto O che è quella instabilizzante tende a ribaltare il muro
(ovviamente più basso sarà il punto di rotazione più facilmente si ribalterà), però la spinta sotto il punto O
tende a contrastare questo ribaltamento e tende a far salire il punto di rotazione. Quindi che succede: che
al di sopra del punto O avrò spinta attiva e passiva, invece sotto avrò due spinte di forma trapezoidale di cui
non conosco l’altezza; questo è un sistema di forze tale per cui la loro risultante certamente sarà R
rappresentata nella slide. Non conosco la risultante e il suo punto di applicazione (tra il punto O e la fine
della paratia). Se trascuro il momento di trasporto posso dire che questo sistema di queste distribuzioni
incognite è del tutto uguale a quello rappresentato nella slide dove R è applicata in O (posso farlo perché a
vantaggio di sicurezza). Quante incognite abbiamo? R e la lunghezza di infissione d, abbiamo due equazioni
una alla rotazione e una alla traslazione orizzontale. Scriviamo l’equazione alla rotazione intorno ad O
avremo come incognita la sola d. Poi faccio quella alla traslazione orizzontale conoscendo la lunghezza di
infissione d posso conoscere le due spinte e fare l’equilibrio e ricavo R. Posso fare un’altra operazione se mi
concentro sulla parte di sotto che ho trascurato che nota R se scrivo di nuovo l’equilibrio alla traslazione
orizzontale delle due distribuzioni sotto il punto O potrò determinare do. Quindi ora saranno note h,d,do.
Succede che la paratia tenderà a fare questo movimento come riportato nello schema c della slide ovvero
tenderà a ruotare ma anche inflettersi. Questo schema qua mi porterà ad avere un Mmax tipicamente si
trova in qualche punto al di sotto del fondo scavo. Negli schemi d ed e possiamo vedere i diagrammi del
momento e del taglio che ci serviranno per progettare le nostre armature. Come cambia lo scenario quando
abbiamo il tirante. Qui la geometria è nota, perché l’altezza “a” la scelgo io, h è il complemento all’altezza
libera e d la devo calcolare. Il sistema di spinta qui è più facile perché abbiamo visto che l’atto di moto
rigido congruente con quest’ opera è del tipo opposto a quello senza tiranti ovvero tende a ruotare verso il
terreno.
Nel caso di Paratia con tiranti avremo due zone 1,2. La zona 1 in spinta attiva e la zona due in spinta passiva.
Possiamo vedere dal diagramma del taglio che dove abbiamo la forza c’è una discontinuità pari alla forza
del tirante. Possiamo avere due situazioni, una che l’affondamento della paratia nel terreno combinata alle
caratteristiche del terreno fanno sì che tutta la base della paratia tenti di ruotare, questo implica che abbia
uno sposamento. Vuol dire che di fatto è come avere un carrello ad asse verticale alla base della paratia con
una molla affianco la quale sta ad indicare che c’è una risposta tenso-deformativa del sistema in cui quello
che si deforma molto è sempre il terreno. Ovviamente però ne risente sia il terreno che la struttura. Allora
da certi punti di vista quando facciamo deformare il terreno stiamo riducendo lo stato tensionale nel
terreno e quindi le tensioni di contatto. Voglio conoscere d ed F, e abbiamo le due equazioni viste prima.
Faccio una prima equazione alla rotazione intorno al punto di applicazione del tirante e ricavo la d, una
volta ricavata d sono note le forze delle spinte e attraverso l’equilibrio ricavo F. Ultimo caso sempre per
paratie ancora il terreno potrebbe offrire un vincolo rigido (ovvero un livello di confinamento più elevato)
vuol dire che la paratia non si può muovere più di tanto. Come possiamo vedere dalla slide è come se
avessimo un carrello ad asse orizzontale. Se così fosse la paratia tenderebbe ad inflettersi raggiungendo
uno spostamento max in corrispondenza del fondo scavo e anche un momento max. Come ragionato prima
abbiamo sempre la risultante Rd delle due distribuzione trapezoidale e trascuro il momento di trasporto
metto Rd nel punto O. Calcolo la d dall’equilibrio alla rotazione intorno ad O poi calcolo Rd, F e infine do.
LEZIONE 28/04/2021

GEOFILTRI TUBOLARI

Altre opere di sostegno del terreno, oltre alle terre rinforzate, sono i geofiltri tubolari. I geofiltri possono
essere opere di sostegno del terreno, ma, possono anche svolgere funzioni che non sono connesse con il
solo sostegno del terreno. Essi sono stati sviluppati da alcuni decenni e si ottengono unendo due fogli di
tessuto, in genere di polipropilene, attraverso cuciture lungo il bordo longitudinale. All’interno, tramite
delle bocchette, viene iniettata una miscela di acqua e terra (80% di acqua e 20% di fango). Poi man mano
l’acqua esce dal tubo, perché il tessuto è impermeabile, mentre, tutto il terreno rimane concentrato al suo
interno. All’interno avremo non più fango, ma, terreno, questo processo si chiama DEWATERING, processo
di allontamento dal terreno dall’acqua che viene fatto nel caso in cui esso contenga sabbia. Nel caso in cui
si tratti di limi o fanghi, invece, si devono aggiungere flocculanti. I flocculanti sono poli-elettroliti con carica
negativa che vanno ad unirsi alle lamelle di argilla e le fanno flocculare. Si riuniscono in grani più grandi,
caratterizzati da densità maggiori, ragion per cui precipitano.
Nello specifico, come possiamo vedere nella figura sottostante, vengono utilizzati per la costruzione di
pennelli trasversali, posti in maniera da dissipare l’energia delle onde ed evitare l’erosione della costa. Sono
utili per evitare che ogni anno si debba procedere con il ripascimento a causa dell’erosione della costa. In
questo caso, la parte interna viene realizzata con i geofiltri tubolari, mentre, la parte esterna viene
ricoperta da massi. I geofiltri si possono sovrapporre per realizzare più strati formando una piramide.

Un altro uso del geofiltro tubolare è negli impianti di depurazione delle acque, nei quali essi vengono
utilizzati per disidratare i fanghi prima che essi vengano conferiti in discarica.
Un esempio di utilizzo dei geofiltri tubolari è rappresentato dal caso della diga sul Lago di Occhito. Lo strato
interno della diga era ostruito dalla presenza di sedimenti, quindi è stato fatto un processo di sfangamento
di raccolta dei fanghi è di iniezioni di miscela raccolta all’interno dei geotubi, dopodiché i geotubi sono stati
lasciati in opera e posti nel pendio, ricoperti da terreno.
Infatti, l’idea dei geofiltri è quella di iniettarvi all’interno volumi di terreni saturi sfruttando la loro azione di
confinamento laterale (esempio: come quando per togliere acqua da una spugna la si strizza). Prima
dell’introduzione dei geofiltri, venivano usate le vasche di colmata, ossia vasche di grandi dimensioni
realizzate facendo un rilevato di contorno e ponendovi il materiale all’interno. Poi si aspettava che la parte
solida si sedimentasse, è quindi da un unico materiale si otteneva uno stato di fondo che è un terreno in
fase di deformazione e consolidamento sotto il proprio peso ed uno strato superiore di fluido, questo
processo avviene per gravità.
Questi elementi possono essere utilizzati anche come opere di sostegno del terreno.

In alcuni casi sono stati utilizzati anche per strutture temporanee, infatti, nell’immagine possiamo vedere il
disegno di una strada temporanea realizzata nei pressi di una costa. Come si vede dall’immagine i geotubi
sono disposti in maniera tale che due siano alla base e uno posto superiormente è nel mezzo viene fatto un
riempimento di terra, equivalente anche dall’altro lato, anche qui ci sono problemi geotecnici. Perché?
Perché oltre al livello medio del mare abbiamo problemi di durabilità causata dai raggi UV, ci sono problemi
di spinte delle terre, di traslazione e di liquefazione.
Un altro aspetto importante di cui tener conto sono le problematiche legate al sisma.
I metodi di calcolo sono ben definiti per un unico geotubo, si basano sulla teoria di Timoshenko delle
membrane elastiche e possiamo usufruire anche di programmi di calcolo ad hoc. Inoltre, se immersi c’è la
liquefazione in condizioni sismiche e in generale con azioni dinamiche. Per geotubi sovrapposti, se sono
disposti a piramide non esiste un metodo in forma chiusa di calcolo, ma, occorrono analisi numeriche ad
esempio con il FLAC. Alle differenze finite siamo riusciti ad ottenere delle analisi, ma, agli elementi finiti no.
L’acqua all’inizio sta nel geotubo però può anche muoversi creando dei vortici, per questo è difficile
simulare un modello matematico che serve per questo fenomeno. Inoltre, servono delle formulazioni
generali perché l’acqua può uscire ed entrare nel terreno o passare per un mezzo poroso. Il metodo MTM
consente di implementare equazioni strettamente generali, in cui si eseguono le varie fasi, ossia l’acqua il
solido il modo in cui si possono combinare.
Le verifiche geotecniche sono queste:
Il comportamento dei geotessili, si può studiare con l’equilibrio delle forze, calcolando l’intensità delle forze
che agiscono, ma, studiare la forma e le tensioni dei geotessili su una piramide di elementi è complesso.
Calcolo di un singolo elemento: si inserisce una densità del fluido in ingresso che varia da 1200-1400 kg/m 3,
ma, si preferisce 1200. Inserendo i dati riportati in slide si riesce a definire il sistema deformato, cioè
l’altezza, la larghezza, la tensione nel geotessile e l’area per sapere quanto materiale riesce ad
immagazzinare (nel riquadro in arancione vengono riportate queste specifiche).
Gli stessi calcoli possono ripetersi anche con il FLACC 2D. si arriva a determinare la tensione nel geofiltro,
tenendo conto dell’attrito tra terreno e tessuto. Quella che si vede nella slide è la tipica conformazione che
si viene a creare quando vi è attrito tra terreno e tessuto (lo stesso che abbiamo visto per le terre
rinforzate). Nel diagramma di destra si vede una parte nulla dove non vi è stato spostamento tra geofiltro e
terreno. Ci saremmo aspettati che nella sezione di mezzeria, per ragioni geometriche, non vi sia nessun
spostamento. Tuttavia, abbiamo un andamento in cui si ha la massima trazione disponibile agli estremi, un
andamento tipicamente lineare per poi arrivare a zero. Il ragionamento è lo stesso dell’aderenza tra la
barra di rottura e il calcestruzzo. Se eliminiamo l’attrito tra terreno e tessuto non avremmo il tratto nullo,
ma, nella parte inferiore lo sforzo sarebbe costante è non lineare.

Per il predimensionamento si può usare la formula riportata nella slide, determinando le tensioni per unico
geofiltro :

L’analisi più difficile si verifica quando abbiamo terreno a tergo, quello riportato in slide è un esempio, per
avere un’idea di cosa accade quando abbiamo sia un unico elemento che un insieme di più elementi. È stata
condotta anche un’analisi sulla liquefazione, mediante il programma è stato possibile attivare il comando
riguardo l’incremento delle pressioni neutre così da poter vedere l’aumento delle tensioni in caso di sisma.
I geosintetici nei rivestimenti delle discariche e nelle applicazioni di dewatering
I geosintetici nelle discariche trovano applicazione:
 nella stabilità del corpo nella terra rinforzata;
 lateralmente nella copertura delle scarpate per trattare il terreno;
 in sommità per impermeabilizzare e drenare il biogas;
 nel fondo e nelle sponde per impermeabilizzare e drenare.
L’immagine sottostante descrive il fondo della discarica:
Dobbiamo far riferimento al decreto legislativo del 2020, dove possiamo notare, come i rifiuti vengano
divisi in due grosse famiglie: rifiuti inerti e rifiuti pericolosi o non pericolosi. La stratigrafica della discarica,
partendo dall’alto verso il basso , è composta:
 strato superficiale di copertura con spessore ≥ 1 metro;
 strato drenante con spessore ≥ 0,5 metri;
N.B= la trasmissività è una misura della capacità di un certo spessore di terreno di drenare. Con la
trasmissività forniamo la capacità dell’acqua di attraversare una sezione. Se il terreno fosse omogeneo (non
presenta variazione delle componenti fisiche e meccaniche) avremmo che la trasmissività sarebbe uguale a
“T= DxHxK”.
 strato minerale strato di argilla, deve essere compattato per evitare che l’acqua entra nel corpo i
rifiuti e va ad aumentare la formazione del percolato;
 strato di regolarizzazione.
Nella figura sottostante, viene rappresentato lo strato finale che può essere o di due metri o di un metro,
questo perché posso sostituire allo strato minerale con bassa conducibilità termica un geo composito
drenante e allo strato drenante una geo membrana. Possiamo verifiche sia in condizioni sismiche che
statiche, in condizioni orizzontali che sismiche, come potete leggere nel riquadro:
Impianti per rifiuti non pericolosi e rifiuti pericolosi , la stratigrafia è composta da:
È un terreno di 2,5 metri con una geo membrana:

Nel caso in cui il terreno è inclinato, possono sorgere dei problemi (elencati nella slide) bisogna tentare di
risolverli con delle soluzioni.
Le soluzioni che ci vengono in aiuto sono i geosintetici laddove è possibile. Il geo composito drenante una
volta veniva sostituito senza problemi ora deve essere approvato dalla regione o provincia, la geo
membrana viene integrata o sostituita nello strato minerale nelle discariche dei rifiuti inerti, il geo
composito drenante viene utilizzato per sostituire lo strato di raccolta delle acque meteoriche dove al di
sopra viene posta una geo griglia per sostenere il terreno vegetale di copertura:

Le funzioni :
 Separazione=non tessuto che separa il terreno di riporto dai geosintetici o geo membrane
sottostante;
 Barriera= utilizzata per creare l’impermeabilizzazione sia nel fondo che nel capping;

 Filtrazione= nelle discariche si possono fare delle trincee drenanti, quindi, possiamo inserire un geo
tesile di filtrazione per evitare l’interramento delle trincee;
 Drenaggio longitudinale=drenante presente nel capping;
 Armatura vuol dire rinforzo, se noi non mettiamo la geo griglia il terreno scivola giù, la mettiamo
così il terreno viene trattenuto dalle tensioni delle geo griglie. La geo griglia va ancorata in sommità
se no slitta verso valle;

 Protezione=un elemento non tessuto protegge la geo membrana da eventuali danneggiamenti


creati dal terreno di riposo;

In geotecnica siamo abituati a pensare al mezzo continuo, il terreno , quindi è presente la velocità di
filtrazione che è un vettore che ha la stessa direzione del gradiente idraulico e verso opposto. Essendo che i
geosintetici sono dei materiali con uno sviluppo tridimensionale , ma , diverso in piano, rispetto alla
direzione ortogonale ha senso fare una differenza tra filtrazione che è ortogonale e il drenaggio
longitudinale che è avviene all’interno.
I vantaggi sono:

Le norme:
Prova di trazione a banda larga=si tira un provino fino a rottura e si registrano le curve che vedete nel primo
grafico. Il secondo grafico fa riferimento all’andamento della resistenza a trazione nel tempo;
Le prove di attrito su piano orizzontale, si ottengono applicando un carico verticale e poi un carico
orizzontale è si registrano gli spostamenti in base ai carichi applicati, man mano σ aumenta le bassi tensioni
di picco sono meno evidenti e presentano una deformazione standard, poi si riportano i valori in un
diagramma τσ, ovvero, piano Mohr-Coulomb, si ottengono due curve una di picco e una curva per la
resistenza residua. Nel piano inclinato sono molto più difficili perché ci sarà un attrito di primo distacco, si
arriva sempre a φ standard di attrito tra geosintetico e geosintetico.

Ogni funzione deve essere quantificata (drenaggio, armatura, protezione, etc.) ed è necessario un criterio di
verifica perché non si può semplicemente pensare di stendere i geosintetici e basta.
Esaminiamo principalmente la funzione delle armature nelle coperture delle discariche, ciò perché
facciamo riferimento ad un modello geotecnico costituito da: un terreno di rifiuti, un terreno di
regolarizzazione, una successione di geosintetici con un determinato attrito (eventualmente ridotto dalla
presenza di una falda), un terreno superiore di riporto che può essere soggetto ad una falda, un carico
(mezzo d’opera durante la posa), la presenza di un sisma, la presenza del carico sa neve. Tutte queste sono
le nostre condizioni al contorno.
Se non si interviene lo strato di h=1 metro può traslare verso il basso, per questo occorre inserire un
geosintetico con funzione di armatura o rinforzo al di spora del geosintetico drenante ed al di sotto del
terreno di riporto superiore. Tale geosintetico deve essere dimensionato per sostenere tutti i carichi
appena descritti che devono essere noti.
Un esempio di successione di geocomposito è di seguito riportato. Si può osservare un’argilla +
geocomposito drenante + geogriglia di rinfrozo + terreno.

Quelle indicate in questa immagine sono le domande a cui dobbiamo rispondere per esaminare lo SLU,
ossia quale sia la resistenza necessaria a stabilizzare la struttura e quale sia la resistenza fornita dal
geosintetico nelle differenti condizioni di carico a lungo termine. Quindi l’approccio è quello di fare una
verifica di stabilità del capping della discarica allo SLU. Ovviamente nei libri di testo difficilmente si trova
qualcosa a riguardo, vi si trovano solo i principi generali. Per questo si devono consultare pubblicazioni in
riviste del settore o le raccomandazioni dell’EBGEO.
Sono tutti metodi all’equilibrio limite, ossia un equilibrio di forze su un blocco scorrevole e si suddivide il
capping in blocco attivo e blocco passivo. Tutto questo altro non è che una sommatoria delle forze posta
pari a zero, in condizioni inclinate e quindi un’applicazione del primo principio della dinamica.

Confronto tra i diversi metodi


Come si vede nella tabella il metodo di Drushel tiene conto anche di sovraccarico e azione dinamica del
sovraccarico come, ad esempio, un mezzo meccanico che frena e che quindi trasmette una forza inerziale
alla sovrastruttura.
Il metodo viene scelto in base alle azioni di cui si ha interesse a tener conto.
Il metodo di Koemer è l’unico che le considera tutte, ma è difficile da interpretare. Invece, uno dei metodi
consigliabili è quello di Leschinsky che considera poche cose però è chiaro e fatto bene.

Nell’immagine di seguito riportata si vede il capping.

Questo è un vero esempio di pendio “indefinito”, uno dei pochissimi che esiste nella pratica tecnica:
abbiamo 1-2 metri di terreno su lunghezze molto maggiori, circa 20-30 metri, con un’inclinazione costante.
Vi si deve determinare Fs sempre con una formula che deriva dall’equilibrio delle forze, ma ampliata per
tenere conto dei Ta, Ca, del sisma e dell’acqua. Si considera una parte in condizioni attive ed una in
condizioni passive, quindi si avranno una spinta attiva ed una spinta passiva e quindi vi sarà una spinta
interconcio che si equilibra.
È proprio su questa interfaccia che si ha la fine del pendio indefinito sommitale e quindi abbiamo il pendio
indefinito sommitale che tende a decomprimersi e che quindi, se si romperà, andrà verso uno stato di
rottura di spinta attiva e poi c’è un cuneo passivo che di fatto tende ad aumentare il proprio livello di
compressione.
Nell’immagine sono indicate tutte le forze in gioco: forze di attrito, forza peso, forza sismica (orizzontale e
verticale) e le forze interconcio. Si fa l’equilibrio di tutte queste forze, chiudendo il poligono delle forze sia
per il cuneo attivo che per il cuneo passivo, imponendo che P sia uguale e si trova F s, fattore di sicurezza allo
scorrimento senza il geosintetico.

Al numeratore abbiamo tutte le forze di resistenza, mentre al denominatore abbiamo quelle instabilizzanti,
ossia la componente instabilizzante del peso (perché siamo su un piano inclinato) e la componente sismica.
In TA compare Cds che indica l’attrito tra geosintetico e terreno.
Notiamo che il metodo che stiamo applicando altro non è che il metodo dell’equilibrio limite globale, nel
caso di due strisce, caso in cui il problema risulta determinato perché non abbiamo una sovrabbondanza di
incognite rispetto al numero di equazioni. Le forze P sono interne ed infatti non compaiono nell’equazione
che ci dà il coefficiente di sicurezza.
Nel caso in cui FS>1 occorre inserire un geosintetico di rinforzo.

La forza richiesta sarà la resistenza tra le azioni e le resistenze, ossia tra il numeratore ed il denominatore.
Vi si metterà in conto l’attrito minore del pacchetto.
La t che abbiamo trovato è la resistenza a lungo termine mentre, quella a breve termine la troviamo
applicando i vari rf. Gli aspetti chiave quindi sono: il coefficiente di scorrimento diretto, la resistenza a lungo
termine del geosintetico, la combinazione di azioni e resistenze allo SLU e la definizione di azione sismica.

Il coefficiente di attrito si calcola come segue.

In questa formula δ si determina con le prove viste in precedenza relativamente all’attrito geosintetico -
geosintetico e geosintetico – terreno, mentre φ è il coefficiente di attrito del terreno.
L’attrito tra geosintetico e terreno può avere un picco residuo e questo vale per tutti i geosintetici presenti
nel pacchetto, quindi quale considero? NON quello che ha minore residuo, ma quello che ha il minimo
picco.

La resistenza a lungo termine si calcola come segue.

Essa è data dal rapporto tra la resistenza caratteristica ed il prodotto di tutti i coefficienti di riduzione.
Tuttavia utilizzeremo la resistenza che è il rapporto tra T D ed il γM (coefficiente del materiale) e questo
rapporto corrisponde alla t precedentemente determinata come differenza tra le forze attive e forze
resistenti.
Questa sarà la tensione disponibile a cui sarà sottoposto il geosintetico e sarà da confrontare con quella di
calcolo ricavata prima.
Le combinazioni di carico da applicare sono quelle definite nelle NTC2018.

Tali norme impongono di valutare la stabilità delle pareti verticali della discarica. In particolare nel caso di
barriere composite devono essere valutate le condizioni di stabilità lungo superfici di scorrimento che
comprendono anche le interfacce tra i diversi materiali utilizzati. Quindi entrano qui in gioco i geosintetici e
le loro diverse interazioni.

La verifica è A2+M2+R2 con R2=1.1 in condizoni statiche ed occorre estendere le verifiche anche alle
condizioni di durabilità.

Nelle discariche ci sono diversi tipi di sovraccarichi, che spaziano dalla neve ai mezzi d’opera.
Occorre ripetere la combinazione riportata nella slide più volte, considerando ogni volta come sovraccarico
dominante una variabile diversa e le altre azioni come variabili di accompagnamento. Nelle iterazioni
successive si prenderà una delle variabili, che precedentemente era stata considerata di
accompagnamento, come dominante e tutte le altre saranno di accompagnamento (tra le quali quella che
precedentemente era stata considerata come dominante). In questo modo si tiene conto di tutte le
combinazioni di carico possibili.

Le condizioni sismiche si valutano ponendo pari a 1 tutte i coefficienti sulle azioni sui parametri e la
combinazione da usare è quella riportata nella slide.

Questo è un problema abbastanza complesso che non ha ancora trovato soluzione. Noi utilizziamo la teoria
monodimensionale per trovare i coefficienti sismici, data dalle NTC2018. Tuttavia il problema qui è
bidimensionale, quindi vanno bene i kh individuati con la teoria monodimensionale? Questa è una
domanda cui i ricercatori stanno ancora cercando di rispondere. Attualmente non esiste un metodo
semplice per il calcolo dei kh in 2D, a meno che non si eseguano analisi numeriche ad hoc.
Qui abbiamo la numerazione numerica di interfaccia che si modella per studiare le deformazioni negli stati
limite di esercizio, anche questi calcoli abbastanza complessi. La forza, che viene aggiornata ad ogni step di
calcolo, ha una componente attrattiva alla Coulomb ed una elastica, di attivazione della resistenza a taglio e
che si ricava dalle prove a taglio diretto e che dipende dalle dimensioni della mesh.

Le geogriglie vanno ancorate in sommità. Consideriamo sempre un equilibrio solo che, alcuni considerano
una forza agente pari a Tcosβ, anche se è più consigliabile seguire l’approccio fornito dall’Eurocodice, ossia
quello di ipotizzare che vi sia una puleggia senza attrito, dove il geosintetico varia solo la direzione della
forza ma non il modulo. Questo perché il modulo è sempre costante, ciò che varia è la direzione della forza,
quindi avremo una puleggia ideale senza massa e senza attrito.

Esempio discarica 1
Vediamo un esempio di una discarca per rifiuti non pericolosi a sei scarpate con inclinazione media di 24° e
con lunghezza che va dai 28 ai 68 metri. Stabilizzare un fronte del genere è impegnativo per le grosse
dimensioni.
La vegetazione va eliminata perché nel tempo crea superfici di attrito ridotto.
Nell’immagine successiva si vede la successione degli strati, progettata secondo la normativa precedente.

La successione è: geocomposito – drenaggio – biogas – argilla – geocomposito di drenaggio – 1 metro di


terreno vegetale. In totale si ha uno spessore di 1.5 metri da stabilizzare, che è tantissimo.
Sopra il geocomposito drenante viene messa la prima geogriglia da 400 kN/m (che è tantissimo), poi mezzo
metro di argilla, ancora geocomposito drenante e nel terreno vegetale due strati di geogriglie disposte a
mezzo metro. L’ancoraggio è di 13 metri + 1.5 metri in verticale su una scarpata di 60 metri. Quest’opera è
stata realizzata da qualche anno e per ora sembra funzionare bene.
Per questa opera sono state fatte delle prove ad hoc, era impensabile fare altrimenti.
Nelle immagini che seguono possiamo vedere la stratificazione.

È stato creato un modello 2D per studiare le deformazioni con FLAC.


La grid è infittita dove abbiamo maggiore interesse a studiare le tensioni, in particolare dove abbiamo le
geogriglie.

Possiamo notare come nel punto di cambio della direzione sia un valore della tensione uguale. Cambia la
direzione, ma il modulo è uguale e quindi non va utilizzato Tcosβ per la verifica di questo ancoraggio.

Esempio discarica 2

Questo è un altro esempio di discarica, un po’ più semplice di quella precedente. Vi sono due geocompositi:
uno drenante e sopra una geogriglia di rinforzo.
Sulla parte sommitale viene posta della terra, questo perché, in caso contrario, verrebbe giù tutto. Quindi
prima si fa l’ancoraggio e si posa il terreno sopra, poi si pongono gli strati.
Anche per i geosintetici va determinata l’impronta di carbonio, dalla loro produzione fino al loro
conferimento in discarica dopo aver terminato la loro vita utile. Lo studio è stato fatto dall’ EAGM -
Associazione europea dei produttori di geosintetici.
Supponiamo di essere nel caso in cui si debba realizzare una sovrastruttura stradale nella quale vi sia la
necessità di porre un filtro mediante o materiale granulare o un geotessile (vedi immagine slide). La
domanda è: quanta anidride carbonica emetto nei due diversi casi? Per rispondere a tale domanda sono
stati fatti degli studi e si è visto che come minimo vi è una riduzione del 75% di tutti gli indicatori, dell’85%
dell’utilizzo di energie non rinnovabili e del 90% di riduzione delle emissioni.

Nelle analisi si tiene conto di tutte le fasi, dalla realizzazione dei materiali, del trasposto, della loro posa,
etc.
Il seguente grafico mette a confronto tutti gli indicatori nei due diversi casi sopracitati.
Questi studi, fatti per la funzione di filtro, sono stati fatti anche per la funzione di rinforzo,
impermeabilizzazione e per tutte le altre funzioni per cui possono essere utilizzati.

Per quanto riguarda i costi, generalmente si ha un risparmio pari al 40-50% se si realizza una terra rinforzata
anziché un muro in cemento armato.
LEZIONE 03/05/2021

LE FONDAZIONI

Fondazione: parte di una struttura a diretto contatto con il terreno, al quale trasmette i carichi su di essa
agenti.

In tutti i tipi di fondazione che avremo, sia lungo le parti a sviluppo orizzontale che verticale, saranno
sempre “vincoli attritivi e unilaterali”. Immaginate un corpo che col suo peso agisce sul terreno, vogliamo
che la fondazione sia sempre a contatto col terreno sottostante, ma se per ipotesi si sollevasse, si
staccherebbe.

La stessa cosa avviene lungo piani verticali, quindi se avessimo la superficie di contatto di un palo, avremmo
che il palo caricato verticalmente da un sistema di forze il più generale possibile, su una parete laterale
eserciterà uno sforzo normale e quindi una sollecitazione di taglio. Se staccassimo per ph il palo, questo se
ne verrebbe. (VINCOLO UNILATERALE)

La superficie di contatto esiste perché esisterà sempre uno sforzo normale applicato, e l’interazione
dipenderà dall’entità di questo sforzo.

Quindi la funzione della struttura di fondazione è quella di “vincolare la struttura in elevazione al terreno di
fondazione (come spiegato sopra), e di ripartire le sollecitazioni della struttura in elevazione su una
superficie tale da assicurare il rispetto di determinati requisiti”. Noi abbiamo una struttura in elevazione
enorme, peso proprio della struttura enorme e materiale che dal punto di vista meccanico (il terreno) è
scadente (in quanto aggregato di grani solidi di diversa granulometria e con acqua all’interno, infatti se
volgiamo usare il terreno come materiale da costruzione, selezioniamo una certa gamma granulometrica -
abbastanza stretta, in genere sabbie/ghiaie- e lavoriamo in modo tale da avere assenza di acqua), in sito
ovviamente il terreno non è selezionabile, nel caso in cui dovessimo usarlo come fondazione.

I requisiti di cui si parlava prima sono:

- Sicurezza rispetto alla rottura per carico limite del terreno: La prima cosa da fare è effettuare uno
scavo, non si possono fare le fondazioni su terreni assai comprimibili, ma bisogna rimuovere lo
strato vegetale.
Quando si realizzerà la fondazione, applicando il sistema di carico, al di sotto posso arrivare ad
avere vari cinematismi di collasso, se aumento il sistema di forze in elevazione, perché nella zona
superficiale della crosta terrestre, le tensioni efficaci sono basse
- Limitazione degli spostamenti della struttura a valori “ammissibili”: il discrimine fra rottura e grandi
spostamenti è assai sottile. Nel terreno si sviluppano delle zone di maggiore concentrazione di
tensioni. Queste possono superare i valori del criterio di resistenza, arrivando a rottura. Qualsiasi
sollecitazione aggiuntiva comporta deformazioni. Tutto ciò non è visibile macroscopicamente, se
non quando si hanno grosse risposte in termini di spostamenti e ribaltamenti. Il passaggio da
piccole deformazioni, gradi deformazioni a rottura è graduale. Bisogna fare in modo che la
struttura non abbia deformazioni troppo grandi.
- Resistenza della struttura di fondazione ai carichi su di essa agenti: la fondazione non deve avere
rotture al proprio interno (rotture del materiale).
- Fattibilità della realizzazione della fondazione: non bisogna sovrastimare la struttura
- Economicità: spesso si traduce in un quesito: fondazioni superficiali (quindi travi rovesce o platee) o
fondazioni profonde (pali con struttura di fondazione di collegamento)?

REQUISITI DEL CARICO TRASMESSO IN FONDAZIONE

Da una parte avremo i carichi in elevazione ((ordine di molti MPa), dall’altra avremo che le τ del terreno,
che dipendono dalle σ’, sono solo di alcuni kPa.

Come si scaricano queste forze di superficie con queste tensioni di lavoro? Bisogna coinvolgere un grosso
volume di terreno. (ripartire i carichi agenti)
Questo regola la progettazione delle fondazioni.

TIPOLOGIE DI FONDAZIONI

NB: all’esame non fare la linea con rettangolo sopra, ché si incazza.

Nelle fondazioni profonde la L coincide con la lunghezza dei pali. Il rapporto di questa col diametro del palo
dovrà essere molto maggiore di 1.
La casetta di destra in figura ha un terreno poco resistente al di sopra di uno più resistente, il terreno di
sotto può essere più resistente per due motivi:

- Si trova a stati tensionali più elevati (essendo più in profondità).


- Potrebbe avere ad esempio un φ’ più grande, o un substrato roccioso.

I pali in figura, cosiddetti appoggiati, potrebbero essere sostituiti da cosiddetti “pali sospesi”, nel caso in cui
non incontrassero un terreno più resistente alla punta rispetto al terreno laterale.

Nella fondazione superficiale abbiamo un meccanismo di resistenza unicamente al di sotto della


fondazione. Nella fondazione profonda invece si ha un meccanismo di resistenza alla punta, ma lì il
diametro è piccolo rispetto alla lunghezza, quindi non trascuriamo la resistenza laterale, data dall’attrito
(che potrebbe essere anche nettamente superiore in termini globali rispetto alla resistenza alla punta).

PLINTI ISOLATI

Le fondazioni isolate in zona sismica sono ormai vietate da tempo (perché ogni plinto inizia ad andare per
conto suo -cit.). (Se siamo su una spalla di ponte si possono avere sia spostamenti orizzontali che verticali).

La forma prismatica dei plinti permette di trasferire forze assai concentrate su volumi più ampi.

In funzione della loro altezza i plinti si dividono in:

- Alti: quando l’altezza è maggiore dell’aggetto rispetto al pilastro. Sono i più rigidi e anche i più
economici. (in cls armato)
- Bassi: quando l’altezza è inferiore all’aggetto. Minimizzano gli sbancamenti
- Zoppi: quando occorre fondare pilastri in aderenza a costruzioni preesistenti. Presentano
allargamenti pronunciati su uno dei lati.

TRAVI ROVESCE

Lo scavo va progettato. Una volta che si hanno le dimensioni bisogna movimentare il terreno. Parte della
progettazione riguarderà anche il “movimento terra”, ovvero quanti m3 di materiale bisogna spostare?
Dove porto il terreno spostato?

Le pareti degli scavi si autosostengono e autoproteggono, in quanto il contatto con l’atmosfera ne aumenta
la suzione e quindi la stabilità (questo grazie alle radiazioni solari).

Le travi rovesce hanno determinate caratteristiche:

- Soletta (a contatto col terreno) e anima (sulla quale poggiano i pilastri)


- Pilastri disposti lungo un allineamento
- Interasse dei pilastri relativamente ridotto
- Possono essere collegate da cordoli trasversali

La rigidezza delle travi dipende dal rapporto tra altezza della trave e luce, ovvero interasse dei pilastri.

Queste sono dette travi rovesce perché queste vengono caricate dal basso dalla tensione del terreno, e
vincolate in alto dai pilastri.

I pilastri scaricano grandi forze, e dal basso trovano un grosso volume di terreno (che supporta le tensioni
verticali), e quindi l’elemento strutturale si trova ad avere un carico uniforme (o pressocché uniforme) di
tensioni dal basso e dei punti di vincolo che sono proprio i pilastri.

Per questo motivo le armature sono poste al contrario rispetto alle travi in elevazione.
Il nome trave rovescia nasce come nomignolo di cantiere, per evitare di fare confusione.

Travi rovesce si preferiscono rispetto, ad esempio, alla platea perché evitano spostamento di grossi volumi
di terreno. Inoltre le platee sono più costose da realizzare, per via dei materiali.

Le fondazioni continue si usano con strutture in elevazione a telaio (acciaio, legno, c.a.) o con murature
portanti (laterizi, blocchi in pietra). Quando la struttura portante in elevazione è in muratura, si usa la
fondazione continua a larga base che deve essere realizzata in c.a.

PLATEE

Piastra che trasmette i carichi di numerosi pilastri.


Risulta conveniente se l’area di impronta del reticolo
supera il 50-60% dell’area dell’edificio. È conveniente
in presenza di piani interrati (specie sotto falda). Ve
ne possono essere di diverse tipologie (spessore
costante, a fungo, nervate, scatolare, etc.)

Vengono usate quando il terreno non presenta buone


caratteristiche di portanza con elevata deformabilità,
è necessario minimizzare il valore della pressione
indotta sul suolo di fondazione.

Le platee possono paragonarsi a solai caricate dalla


reazione del terreno. La platea presenta un’armatura
a rete sia inferiormente che superiormente, a maglie
fitte in corrispondenza degli allineamenti strutturali.

Nelle opere di nuova costruzione sarebbe interessante fare una platea o una fondazione su pali? Spesso i
pali vengono usati come “riduttori di cedimenti”. Immaginando che travi rovesce, platee e pali diano tutte e
tre un accettabile margine di sicurezza rispetto alla rottura. In termini di cedimenti dell’opera avranno però
prestazione diverse. Con la fondazione superficiale posso allargare e questo riduce i cedimenti; posso
irrigidirla e quindi avere altezza maggiore; però così facendo si aumenta il peso proprio ma aumentano
anche i cedimenti.

Coi pali invece io ho un grado di possibilità in più nella progettazione, perché si possono scegliere numero
di pali, lunghezze degli stessi, relativi diametri. Quindi si hanno varie soluzioni per ridurre al minimo i
cedimenti.

FONDAZIONI COMPENSATE

Facendo lo scavo, sul piano della fondazione prima c’era un carico (il peso del volume di terreno rimosso).
Se su quel piano di posa si mette un carico esattamente uguale a quello rimosso cosa farà il piano di posa
della fondazione?

Prendiamo un elemento sul piano di fondazione e lo portiamo nell’edometro. Si


troverà in un punto (di cui conosco la “e” e la σ’ (perché in sito sono conosciute).
Quando effetto lo scavo, l’elementino si scaricherà rigonfiando un po’, andando a
σ’ circa pari a 0. Quando si ricarica, si andrà in una curva di ricarico pressocché
coincidente con quella di prima. A-B-C (con C=A). I cedimento sarà stato pari a 0.
Quindi si potrà avere una fondazione che sopporta i carichi esterni con cedimenti
pari a zero (questo è il concetto di fondazione totalmente compensate).

Addirittura, ci si potrebbe fermare a D, ovvero mettere un carico più basso di


quello che c’era prima (es. garage interrato che prima sul piano di posa aveva un carico enorme. Questo
carico viene sostituito da un solaio molto leggero etc.) <- fondazione “parzialmente compensata”.

Vantaggi: possibilità di realizzare fondazioni in terreno da caratteristiche meccaniche scadenti

Svantaggi: rigonfiamento del terreno e pericolo di rotazione della struttura per p.c. inclinato.
Si fa uso di fondazioni indirette quando il terreno di fondazione è formato da materiali poco coerenti, e non
possiede quelle caratteristiche di resistenza sufficienti a sostenere la struttura di un edificio.

La funzione delle fondazioni indirette è quella di:

- Collegare la struttura con gli strati più resistenti del terreno (pali appoggiati)
- Garantire la stabilità per attrito tra terreno e la loro superficie laterale (pali sospesi)

I pali di fondazione possono essere classificati in base a differenti criteri:

- Dimensioni (piccolo medio o grande diametro)


- Materiale di costruzione (cls, acciaio o legno). Non è una scelta banale. I pali di legno totalmente
immersi in acqua non hanno problemi di deterioramento, ma quelli a metà sì (ad esempio in
Olanda)
- Procedimento costruttivo (battuti o trivellati).

A seconda del procedimento, del materiale e dell’interazione con il terreno si possono avere caratteristiche
di resistenza differenti. Ad esempio, una struttura metallica o in legno ha un attrito laterale diverso rispetto
a quello che potrebbe avere il cls, anche in base al tipo di terreno (che sia argilla o sabbia o altro).
REQUISITI DA SORRISFARE NEL PROGETTO GEOTECNICO DELLE FONDAZIONI

Quando si parla di carico limite si parla di SLU, quando si parla di spostamenti e cedimenti si parla di SLE.

La differenza fra l’etichetta GEO e STR è che nel primo caso va in crisi il terreno, nel secondo caso va in crisi
l’elemento strutturale.

Per quanto riguarda la fattibilità economica, bisogna tener conto del mercato del lavoro ( non bisogna
proporre sempre strutture costosissime).

Di seguito sono riportati alcuni stralci dell’NTC 2018 e della circolare allegata.

Le fondazioni si progettano contestualmente con la struttura in elevazione. Il caso delle fondazioni


compensate è l’esempio lampante.
Bisogna fare attenzione nel leggere la normativa, in quanto questa dà dei valori minimi ed in alcuni casi
bisogna mettersi in maggiore sicurezza.
È importante rispettare le regole evidenziate in rosso, in particolare la seconda frase rossa, poiché se non
rispettata si generano delle interazioni molto complicate. Casi del genere si possono riscontrare soprattutto
in casi di pendii, in cui cambiano molto stato tensionale e stato deformativo iniziali.

Un’altra cosa molto importante è la velocità di applicazione dei carichi. Noi pretendiamo di avere la stessa
velocità di costruzione in elevazione indipendentemente dal terreno sottostante.

Se vado ad aumentare il livello tensionale con una certa velocità su una ghiaia satura, i grani si spostano e
l’acqua esce. Se lo faccio con una sabbia, il processo è pressoché simile e quindi abbastanza veloce. Se lo si
fa con un’argilla la pressione dell’acqua aumenterà sempre di più generando una sovrapressione aggiuntiva
rispetto a quella iniziale e quella possibile di equilibrio data dalle condizioni al contorno. Questa
sovrapressione va calcolata perché nel corso del tempo varierà.

Avere alte pressioni di acqua nel terreno non è mai una cosa buona, perché essa abbatte la σ’.

Per questo occorre calcolare gli SLU sia a breve che a lungo termine (coi cedimenti dilazionati nel tempo).
NB alla storia di costruzione che c’è dietro ai muri di sostegno (la parte retrostante potrebbe essere stata
portate interamente ex novo oppure potrebbe essere stata sostituita soltanto la parte immediatamente
vicina al muro).

POSSIBILI CINEMATISMI DI ROTTURA https://www.youtube.com/watch?v=q9vXQLJBUi8

Nel video si vedevano i vari strati di terreno, in cui si vedevano le direzioni dei piani di rottura e come quei
cunei di spinta dipendendo da una dimensione tipica che è la base della fondazione, arrivano anche a
profondità legate alla B (base).
Si crea un cuneo di spinta passiva che tenta di ostacolare il meccanismo. Questo perché introducendo una
fondazione si va ad occupare un volume di terreno con un corpo esterno. Il terreno quindi altrove si deve
deformare e comprimere maggiormente.

Come?

Il tutto dipende dalla geometria e dalle caratteristiche del terreno.

A noi interessa poter distinguere tra meccanismi totalmente diversi.

- La rottura di tipo generale è quella che massimizza il volume di terreno coinvolto. È un ottimo
meccanismo di resistenza, infatti si cerca di progettare rispetto a questa opzione, perché ci
consente di avere il massimo carico esterno possibile, con un cedimento minimo.
- Punzonamento: ho un piccolo volume di terreno coinvolto e che si deforma molto durante
l’applicazione del carico. Il carico massimo, in confronto al meccanismo precedente, è molto più
basso, e un cedimento molto alto. (CASO PEGGIORE) Quando possibile si cerca di evitare verifiche
così gravose, perché se ho per forza questo meccanismo, so che il carico che posso applicare sarà
molto piccolo.
- Rottura locale: non è l’ottimo, ma è un comportamento intermedio.

Nei casi estremi ovviamente anche l’incertezza derivatane sarà differente, quindi i coefficienti di sicurezza
in caso di punzonamento saranno più elevati perché ogni piccola incertezza o variabilità di una proprietà
fisico/meccanica nel caso di punzonamento può risultare in un enorme aggravio in termini di sicurezza.

In tutti e tre i casi noi avremo un livello di sicurezza tale da farci stare lontano dalla situazione più critica.

ROTTURA DI TIPO GENERALE

Ho un meccanismo di tipo fragile. Non voglio arrivare al picco perché se per un qualsiasi motivo lo supero,
nella fase successiva ho un crollo della resistenza che manda tutto in frantumi. Occorre stare sempre al di
sotto. Da vecchia normativa il coeff. di sicurezza era 3, quindi circa al 30% del carico massimo. Ciò garantiva
anche bassi cedimenti e che tutto il terreno reagente si comportasse in modo ELASTICO, perché andando a
vedere il legame deformativo del singolo elemento di volume di terreno, ci si trova nella prima parte della
curva (nel ramo elastico).

Da un’analisi
sperimentale è evidente
che per ottenere la
curva carichi-cedimenti
occorre imporre un
aumento graduale dello
spostamento. Non è
possibile avere la stessa
accuratezza andando ad
incrementare la forza.
(quindi schemi di prova
a deformazione
controllata piuttosto
che a carico
controllato).

ROTTURA PER PUNZONAMENTO


Attenzione perché in caso di punzonamento il terreno comunque può giungere a rottura sotto la
fondazione poiché lì c’è una zona di forte compressione ma lungo i piani verticali il terreno deve andare a
rottura. Infatti, il terreno per comprimersi sotto la fondazione, necessita di una superfice di taglio verticale
che parte dagli spigoli. Di fatto la fondazione sta rompendo il terreno lungo le superfici verticali.

ROTTURA LOCALE

Non c’è molto da dire, è un caso intermedio, quindi un po’ di uno e un po’ dell’altro.

COSA SUCCEDE IN QUALI CASI (QUASI SEMPRE)

Se nel terreno non può avvenire un cambio di volume (condizioni non drenate), non si può avere
punzonamento (che è dato proprio da un cambio di volume). Questo nel breve termine, poiché nel lungo
termine l’acqua tende ad uscire.

La differenza sostanziale sta tra condizioni drenate e non. Ci si trova in condizioni drenate solo se alla fine
del periodo di costruzione, l’acqua è stata completamente drenata. Questa condizione può verificarsi anche
dopo decine di anni.

Nella pratica una parte di drenaggio avviene durante la costruzione, ma se la struttura che è molte volte
iperstatica vede piccoli spostamenti e deformazioni, non succede nulla. Ma se ho una struttura non molto
resistente, si avrà un danno funzionale ma soprattutto estetico.

L’interazione tra terreno e struttura inizia subito, quando non c’è la struttura, poiché iniziano le opere di
scavo.
LEZIONE 04 05 2021

Riprendiamo dalle fondazioni.

Ieri ci eravamo fermati cercando di esplorare quelli che sono i meccanismi di rottura e abbiamo visto che in
realtà sono importanti fattori tra cui : tipologia di fondazione, tipologia di terreno, stato e caratteristiche del
terreno e la condizione di carico.

Perché sicuramente per avere punzonamento devo avere un deltavolumetotale, quindi se ad esempio sono
in terreno a grana fine in condizione non drenate è praticamente impossibile avere una rottura per
punzionamento, quindi avrò una rottura generale. Poi è chiaro che se ho sabbia sciolta la rottura per
punzonamento sarà favorita perché a qualsiasi applicazione del carico corrisponderà sicuramente una certa
variazione di volume totale.

Questo diagramma fa vedere come sostanzialmente, andando verso densità relative più basse
tendenzialmente vado verso il punzonamento e, ad esempio, fissato che sia una certa densità relativa
abbastanza importante, se aumento il grado di approfondimento passo da un meccanismo di rottura
generale, verso gli altri.

Oltre questo abaco, dobbiamo introdurre anche delle formulazionin analitiche.

Spesso quello che viene utilizzato è il criterio di Vesic, che tratta la rigidezza della fondazione rispetto al
terreno. In altri termini potremmo dire la deformzbilità del terreno rispetto alla fondazione.

Quindi voglio capire in quali casi il terreno è molto più deformabile della fondazione tale per cui ho questa
compressione volumetrica, e questa affinchè sia possibile deve darmi delle superfici di taglio presspchè
verticali e passante per i bordi della fondazione. Cioè queste linee che ho tratteggiato devono essere
porzioni di piano di rottura.

Quindi se vado a vedere quali sono le sigma applicate a questa profondità e le tau corrispondenti del
criterio di resistenza, succede che le tau agenti in sito devono uguagliare le tau del criterio di resistenza,
quindi tau=taulimite.
Per studiare questo problema andiamo a prendere una profondità caratteristica in cui la tau uguagli il
criterio di resistenza e la si sceglie alla profondità D+B/2, dopodichè nelle formule porteremo la tensione
verticale sigmav a questa profondità e andremo a considerare sia la rigidezza del terreno ma non espressa
in fattori di E, ni, bensì sottoforma di G ovvero il fattore di rigidezza al taglio e fi’ resistenza del terreno.

Tutti questi parametri servono per esprimere l’indice di rigidezza Ir e l’indice di rigidezza critico Irc che
troviamo all’interno delle diseguaglianze.

L’indice di rigidezza critico dipende sia dalla geometria del problema e sia dai parametri meccanici del
problema stesso. Analogamente l’indice di rigidezza della nostra fondazione.

Quindi sul terreno della fondazione non possiamo fare molto ma sulla geometria della fondazione possiamo
lavorare molto, ovvero sulla D e sulla B poiché rientrano all’interno delle formule.

Verificata poi, ad esempio, l’insorgenza di un meccanismo per punzonamento, abbiamo ancora margini fi
manovra per cercare di condurci a quello di rottura generale.

Perché c’è questo tentativo di avere la rottura generale come meccanismo di rottura preferito? Perché la
rottura per punzonamento coinvolge un piccolo volume di terreno e quindi potrà sostenere un carico
esterno piccolo, la rottura generale coinvolge un grande volume di terreno e quindi un carico esterno
maggiore e al tempo stesso limitare gli abbassamenti della fondazione.

Ora passiamo a determinare il carico che la fondazione può sopportare.

Lo schema geometrico che dobbiamo avere in mente è sempre lo stesso, uno scavo con altezza D e base B,
ho una fondazione (rettangolino rosso), soggetto a carico verticale.

Sappiamo che alla base di ciascun pilastro la caratteristica della sollecitazione comprende le tre
componenti, normale, tangenziale e momento.

Vediamo come impostare teoricamente il problema.

Le soluzioni sono 2, una per eccesso e una per difetto.

Facciamo un esempio col meccanismo di rottura generale, se faccio un esperimento in vera grandezza in
scala ridotta, aumento la q e qui ho un cedimento della fondazione, a un certo punto arriva un picco e poi
decade perché si è formato ormai un meccanismo che avrà varie superfici di scorrimento.

Però nel momento in cui c’è un cinematismo che si sta generando è evidente che per fare lo stesso
spostamento che prima mi richiedeva un grosso incremento di carichi esterni, a un certo punto la
fondazione si muove per inerzia perché si sta generando un cinematismo dinamico, questa è la definizione
del carico limite.

Le soluzioni teoriche consentono di avere o una stima per difetto in cui dirò che qlim <q1 oppure che è una
soluzione per eccesso cioè che qlim<q2.

Da un punto di vista progettuale ci interessano quelle per difetto.

In realtà se riesco a massimizzare le soluzioni di tipo q1 e a massimizzare le soluzioni di tipo q2 ottengo un


range strettissimo che è il valore esatto.
Iniziamo a vedere delle ipotesi per ragionare e poi andare alla teria di Prandl e poi di Terzaghi.

Partiamo dalle condizioni drenate, vuol dire che i carichi li applico piano piano, lo schema è ancora
simmetrico e c’è sempre lo scavo che in maniera semplificata viene sostituito da un carico pari all’altezza di
scavo D per un peso per unità di volume da determinarsi.

Se il materiale è saturo fino a sopra sarà gammaprimo perché mi interesseranno solo le tensioni efficaci, mi
interessano gli sforzi tra i grani. Quindi il processo di applicazione del carico non cambierà le pressioni
neutre.

Sulle fondazioni superficiali, trascurare la parziale saturazione non vi fa sovradimensionare di molto le


fondazioni, mentre sulle opere di sostegno si sta arrivando a metodi per portare in conto la parziale
saturazione così da avere opere più economiche e sostenibili.

Avere un carico esterno o avere un terreno non è la stessa cosa perché se si sviluppa una superficie di
questo tipo c’è questo tratto calcato in rosso che farà parte della superficie di scorrimento, quindi tenderà
ad esercitare sforzi di taglio contrari al cinematismo. Tutto il sistema vorrà avere un cinematismo
rototraslativo e ci saranno sforzi di taglio resistenti. Quindi oltre ad esercitare questo carico ci sarà anche
questo effetto cerchiato che formulazioni più recenti ci permettono di tenere in conto.
Poiché dobbiamo partire dal cantiere perché quando realizziamo la fondazione noi non scaviamo tutto ma
solamente dove dobbiamo fare le fondazioni, quindi il terreno laterale non è danneggiato e se ha un fi’ va
conservato.

La teoria che può essere usata ora è quella della teoria delle spinte delle terre, perché se qui uno vede
questi due cunei e ipotizza che lungo questo segmento ST ci sia un cuneo che spinge in alto, nella
condizione di equilibrio limite devo avere che a destra del segmento ST sono andando in condizioni limite
evidentemente però sono andato in spinta passiva perché la fondazione scende e vuole incrementare lo
stato tensionale dal lato della fondazione e sotto la fondazione tenderà ad esserci spinta attiva. Però sono
in condizioni di equilibrio limite, il che vuol dire che ho equilibrio ma sono arrivato a rottura in certe zone. ,

Applico la teoria di Rankine e guardando dal lato destro della figura dico che sono in condizioni di spinta
passiva Pp, dall’altra parte ho spinta attiva Pa.

Ho calcolato la sola incognita qlimite da queste due equazioni che hanno restituito un equazione trinomia
con tre coefficienti Ngamma Nc e Nq.

Ngamma tiene conto del peso del terreno al di sotto della fondazione, infatti più è pesante il terreno e più
può portare carico esterno.

Nc tiene conto della coesione efficare.


Nq è il sovraccarico laterale, ma lo si capisce dal fatto che tutto il meccanismo tende a dislocare il terreno
secondo dei cunei, più aumento il carico laterale e più il meccanismo viene inibito. Il sovraccarico laterale
aumenta se aumento lo scavo e il piano di posa.

Fi’ oltre a comparire all’interno delle formule dei coefficienti di capacità portante, agisce anche sulla
geometria e sul carico limite.

q’ invece all’interno della formula è il carico laterale sul terreno che non vado a scavare in sito.

Le soluzioni esatte, come dicevamo prima, sono state messe a punto da Pranl e da Terzaghi.

Prandl ha raffinato lo schema precedente immaginando che sotto la fondazione ci sia un cuneo rigido e poi
si sviluppino delle deformazioni all’interno di zone che hanno direttrici ben determinate. In particolare
ritroviamo la zona passiva di Rankine e una superficie di scorrimento a spirale logaritmica.
Tutto questo ha consentito di ottenere una stima migliore di Nc.

Analoghe elogubrazioni ci danno la possibilità di studiare il secondo termine della formula trinomia vista
prima.

Poi si arriva allo schema proposto da Terzaghi in cui effettivamente ci sono i tre termini che moltiplicano c’
coesione efficace, B base e q sovraccarico laterale.

I coefficienti Nq, Nc e Ngamma sono tabellati.

Storicamente in base all’angolo di attrito fi’ venivano dati i valori dei coefficienti e anche la formula di carico
limite diventa più semplificata da un punto di vista matematico.

Ovvero non ritroveremo più gli N espressi come prima nei rettangoli colorati, cioè come radici di ka o kp
ecc, ma infondo ka è proprio 1-senfi’/1+senfi, mentre kp è 1/ka che ritroviamo nelle formule.
Allora perché siamo partiti dalla semplice applicazione della teoria di Renkine? Perché nella formula
trinomia del carico limite della fondazione, in questi coefficienti di forma ci deve stare per forza ka, kb e i
loro derivati.

Successivamente dagli anni 40 agli anni 70 hanno rielaborato la formula della qlimite come estensione delle
teorie precedenti.

Operativamente queste funzioni avranno una serie di coefficienti amplificativi, correttivi che a noi interessa
capire se hanno valore maggiore o minore di 1. Se è maggiore di 1 è un effetto benefico mentre se è minore
di 1 non posso non considerarlo, quindi bisogna fare attenzione al valore numerico di queste numerose
funzioni numeriche.

Andiamo ad analizzarli.
Prima questione, coefficienti di profondità dq e dc che sono maggiori di 1.

Secondo, coefficiente di forma.

Questi coefficienti di forma sq e sc’ sono maggiori di 1.

Terza situazione, carico inclinato con sforzo di taglio alla base del pilastro.
È chiaro che se c’è una forza da una parte, la fondazione tenderà a trascinare il terreno sotto, quindi è
chiaro che il meccanismo prevalente sarà quello verso destra. Aggiungere una forza orizzontale decrementa
il carico limite, infatti nella iq c’è sia 1 – ma anche c’è anche una potenza positiva che fa scendere di molto il
carico limite.

Quarto aspetto, piano, posa, fondazioni inclinato.

Il caso più classico è quello del muro di sostegno che metto con fondazione inclinata, perché rispetto alla
verifica a traslazione sarà meglio gestita perchè la componente sarà più piccola.
Quinto aspetto, piano campagna inclinato.

C’è un ultimo aspetto progettuale rispetto ai casi reali, quello del momento in fondazione.

Nel caso peggiore avremo il carico talmente eccentrico, che va a raggiungere il bordo del nucleo centrale
d’inerzia, anzi addirittura se va fuori la sezione si parzializza, cioè che da una partela fondazione dovrebbe
avere compressione e dall’altra parte trazione, quindi la sezione resistente si parzializza.
non dà contributo di resistenza
La cosa che si fa tipicamente è di considerare l’eccentricità del carico nelle due direzioni possibili lungo la B
e lungo la L, eb è l’eccentricità lungo B, ed è l’eccentricità lungo L.
Ricordiamoci che B è il lato minore della fondazione mentre L è il lato più lungo.

Quello che si fa è di considerare una sezione di terreno ridotta di 2 volte rispetto all’eccentricità, quindi
consideriamo nei calcoli B’ e L’. Questo chiaramente nell’ipotesi che la sezione sia parzializzata e quindi è
anche un po' a vantaggio di sicurezza.

Quindi questa è la sesta situazione che non aggiunge fattori moltiplicativi ma interviene sulle dimensioni
geometriche che entrano nel calcolo.

Come fare a distinguere tra i vari meccanismi e che fare se c’è punzionamento?

Se Ir è minore di Irc allora avremo rottura per punzonamento e

operativamente succede che nella qlimite andrò a mettere dei fattori

moltiplicativi che assumono dei valori che in dipendenza di fi’,

ad esempio fi’ uguale a 20 gradi e B/L quadrato o cerchio succede

che rispetto alla rottura

generale il carico per punzonamento mi porta un terzo nel primo fattore

perché psiq e psigamma sono circa 0,35.


Tutto questo è in condizioni drenate.

In condizioni non drenate dovrò guardare innanzitutto alle tensioni totali quindi di sigma e cu, mentre fiu=0

Tutte le formule viste prima si semplificano perché uno dei tre fattori di capacità portante si andava ad
eliminare.

La formula di qlimite quindi è diventata binomia e i 5 coefficienti correttivi si semplificano.


Leione 05/05/2021

Nella lezione precedente siamo partiti dal definire la fondazione superficiale profonde e poi all’applicare la teoria di Rankine per
iniziare a studiare la capacità portante di una Fondazione.
Obiettivo era data un'aria che andiamo a caricare lateralmente (zona in rosso), ed una zona che non è stata oggetto di scavo che
schematizziamo un carico laterale (zona in blu), vogliamo sapere qual è il carico limite (q lim).
Abbiamo visto che applicando la teoria di Rankine, sul segmento ST (segmento in verde) troviamo due sezioni limite, due
diagrammi di spinta riferibile a due condizioni diverse, a destra passive a sinistra. attive
Con tale approccio abbiamo schematizzato un legame rigido perfettamente plastico (schema B) o un criterio alla Mohr (schema
C) .

Successivamente abbiamo visto che dall’uguaglianza delle due forze P a e Pp agenti a sinistra e a destra del segmento ST , avremo
un'unica equazione in cui qlim risulta la unica incognita.

Primo termine

Terzo termine Secondo termine

Tale approccio ci ha consentito di introdurre una struttura di tipo trinomia in cui sono tre gli ingredienti fondamentali.
Primo termine Carico laterale della zona non oggetto di carico
Secondo termine Termine legato alla coesione del terreno di Fondazione (per terreno di fondazione intendiamo terreni sotto il
piano di posa della fondazione)
Terzo termine  Termine legato alle dimensioni geometriche della Fondazione dove B rappresenta la dimensione minore della
Fondazione e sappiamo che nei coefficienti Ka e Kp è presente sempre l'angolo di attrito del terreno di Fondazione.
Da come abbiamo visto nella lezione precedente, sappiamo calcolare il carico limite (q lim) e lo sappiamo calcolare anche quando
vi è il punzonamento.

Il punzonamento non è un funzionamento ideale della fondazione, perché affidiamo a un piccolo volume di terreno di
Fondazione la capacità di resistere, ed esibendo questo volume avremo grosse deformazioni ma purtroppo dobbiamo scontare
grossi abbassamenti della Fondazione stessa, quindi questo meccanismo di funzionamento è lontano da dall’ essere ideale
perché mi dà poca capacità di resistere ai carichi esterni e tanti cedimenti.
Però Abbiamo visto dei casi in cui vi è una propenzione del sistema fondazione terreno di andare verso questo tipo di
cinematismo e scontiamo ciò andando a mettere dei fattori di punzonamento (ψ q,ψ c ,ψ γ )
che riducono il carico limite.
La vecchia normativa DM88 ci dice che il coefficiente di sicurezza globale è uguale a q lim/qes (carico limite/carico di esercizio)
Il carico di esercizio è un carico netto qnet=qext-qscavo
(qext= carico esterno; qscavo è il carico che vado a rimuovere per effetto dello scavo)
In tabella vediamo alcuni coefficienti di sicurezza e notiamo che la media di tali valori è 3, un valore molto alto, è chiaro che se ho
problemi di fondazioni ho il rischio di perdere l’intero edificio.
Ho una matrice perché ho dei fattori concorrenti rispetto la possibilità di avere una crisi in fondazione (terreni e carichi).

APPROCCIO DA2(A1;M1;R3)
A1→A sta per azione
M1→M sta per materiale
R3→R sta per resistenza

Peso terreno
Nell’approccio DA2(A1;M1:R3) notiamo che i coefficienti di sicurezza parziali sono molto più bassi di quelli visti in
precedenza(coefficienti si sicurezza globale) ,ciò e dato dal fatto che in questo caso faccio n operazioni di amplificazione delle
azioni e di riduzione delle resistenza ,quindi intervenendo n volte è chiaro che singolarmente posso prendere coefficienti di
sicurezza numericamente più piccoli rispetto a quelli precedenti, infatti i coefficienti di sicurezza globali hanno all’interno la
sicurezza, l’incertezza e la semplificazione del metodo di analisi
-Sicurezza quando distante devo stare dall’evento avverso
-Incertezza studio statistico di un determinato dato, grandezza o parametro che soddisfa o meno la verifica
-Modello di calcolodipende dal modello di analisi, abbiamo modelli più semplificati che hanno alla base ipotesi semplificate
con il pregio di avere pochi parametri, poi abbiamo modelli più sofisticati che al loro interno hanno molti più parametri, più
variabili, più prove e molti più dati.
Molto importante è l’azione del peso di un terreno che può agire in modo sfavorevole o meno.
Esempio: il fatto che un terreno pesa è il motore principale di qualsiasi fenomeno d’ instabilità, ma il fatto stesso che il terreno
pesa mi dà tensioni interne efficaci quindi capacità di resistenza

Esempio: se ho una superfice di questo tipo a direttrice circolare la parte in blu gioca a sfavore rispetto al
cinematismo rotativo, mentre quella in rossa cerca di bilanciarlo, in tale caso il pendio deve essere capace
di dare un grosso contributo di resistenza (sotto)

FONDAZIONI PROFONDE

L’idea è quella di immaginare un palo caricato solo assialmente (si prende in considerazione
un palo singolo per semplicità di studio, ma sappiamo che nella realtà, in quei punti specifici,
mettiamo come minimo 2 pali, mettendone 2 avrò una buona resistenza a flessione
dell’intera fondazione profonda più quella superficiale di collegamento in un piano ma non
nell’altro (non si opta mai per un solo palo ma per 2,3,4….).
Il carico è prevalentemente verticale, il mezzo è omogeneo, chiamiamo con l la lunghezza, d il
diametro e poi immaginiamo di decomporre il carico limite (che quindi corrisponde ad una
condizione di equilibrio) nella somma di un carico alla punta P e di un carico laterale S
Possiamo avere diverse applicazioni :
→ Un carico limite che risponde prevalentemente alla punta perché forse ho un substrato roccioso sul quale è appoggiato il palo,
ho un substrato indeformabile (strato roccioso) ed i pali lavorano di punta essenzialmente
→Palo che agisce lateralmente perché non ha un gran diametro (palo lungo)
→Caso in cui ho entrambe le aliquote
Possiamo distinguere i pali in Tozzi e Lunghi in riferimento al rapporto l/d(lunghezza/diametro) ma anche in funzione del sistema
di resistenza, infatti il caso due, può essere tipico di un palo lungo.
Alla punta del palo avrò tanti piccoli meccanismi di rottura e per semplicità immaginiamo di avere una tensione media di contatto
(p) tra il palo di fondazione lungo la verticale, quindi immagino di conoscere la tensione media per poi andarla a moltiplicare per
area trasversale del palo così da ottenere P, questa imposizione è vantaggiosa da un punto di vista analitica.
In analogia voglio stimare le tensioni laterali di contatto S (s è in funzione di Z che rappresenta la profondità calcolata dal piano
campagna), notiamo che nel secondo membro dell’equazione se portiamo all’interno dell’integrale πd stiamo calcolando l’area
laterale di un cilindro di altezza dz con circonferenza πd il tutto da integrare tra l e 0.

Se un terreno è deformabile, però riesco a trovare uno strato di roccia su cui appoggiare caso(a), è chiaro che lungo il fusto del
palo avrò scorrimenti relativi più bassi di quelli che ho nel caso(b).
Nel caso(b) sto mobilitando l’attrito laterale facendo scendere il palo di molto nel terreno ,in questo caso ho molti cedimenti ma
allo stesso tempo man mano che il palo scende aumenta la capacità di resistenza perché si sviluppano sforzi di taglio laterale, ma
se il caso(b) non è accettabile andiamo nello schema(a) ed in tale caso non possiamo pretendere che ci siano grossi sforzi laterali
mobilitati lungo il fusto, come abbiamo visto ci sono diversi schemi di funzionamento.
Possiamo avere la circostanza in cui un palo può essere tirato verso l’alto, cioè dipende dall’azione dei momenti.

SE abbiamo un palo di questo tipo con un momento orari, avrò zone di compressione e un’altra di
trazione, quindi tende a mobilitare sforzi di taglio nell’altro senso (schema c)

Poi abbiamo dei meccanismi in cui l’interazione non si sviluppa con il palo schema(d), notiamo che a sinistra sto andando verso
spinta passiva, ciò è possibile perché i pali pur avendo dimensioni molto grandi hanno una loro flessibilità, sono deformabili
→schema F= può capitare che vi è uno scavo, e questo va a giocare a sfavore, perché non ho più gli sforzi di taglio
→schema G = se faccio uno scavo in aderenza di pali stiamo modificando lo stato tensionale
→schema H= terreni rigonfianti →dalle prove endometriche possiamo studiare il comportamento del terreno facendo delle
prove di carico e scarico.
Esempio: se carichiamo e scarichiamo un provino ed esso si deforma di poco posso dire che si tratta di un terreno normal-
consolidato, esso può avare anche andamento di questo tipo
Normal-consolidato Terreni rigonfianti

È tipico di alcune argille che possono essere enormemente rigonfiate, perchè quando andiamo a caricare e a scaricare stiamo
cambiando la struttura della matrice del terreno.
Quindi possiamo vedere che da una semplice prova endometrica capiamo la capacità e la modalità e l’entità di deformazione di
un certo terreno.
Se ho un terreno rigonfiato, il terreno tende a risalire lungo il fusto del palo e ho le azioni che cambiano verso rispetto a quello
che mi sarei aspettato.
Per i pali ,stiamo parlando di due concetti diversi tra loro , il primo è un contatto unilaterale alla punta, cioè il palo lo poggio sul
terreno e preme, tale contatto unilaterale può darmi solo compressione nel terreno, il secondo è un attrito laterale relativo (per
cui l’entità degli sforzi di interazione tangenziale dipendono dall’entità degli scorrimenti relativi ), più il palo scende nel terreno e
più si destano sforzi tangenziali rivolti verso l’alto sempre più di maggiore entità ,però più scende il palo più ho problemi perché
la fondazione legata al palo scende con essa ma è anche vero che aumenta la resistenza per cui devo trovare un compromesso.
Questo tipo di azione laterale dipende dal tipo di cinematismo cioè se il palo tende a sollevarsi rispetto al terreno o se il terreno
tende a scendere rispetto al palo.

TECNICA COSATRUTTIVA

PALI INFISSI
In sabbia sciolta si ha un addensamento del terreno circostante (in sostanza ho una diminuzione della porosità con un aumento
dell’angolo d’attrito della zona circostante).
Per pali infissi in argilla satura avviene in condizioni non drenante quindi non ho variazione di volume , per cui se ho tolto un
volume di terreno perché adesso è occupato dal palo, avrò nell’interno una certa deformazione e vedrò anche un
rigonfiamento ,quindi nell’intorno del palo ci sarà uno scorrimento di verso contrario rispetto a quello che voglio, ad esempio ho
un’argilla ,inserisco il palo , il terreno si deforma in condizione non drenata e quindi ho una perdita di resistenza al taglio lungo il
fusto del palo.
PALI TRIVELLATI

Fase delicata è il getto del calcestruzzo, il getto lo inizio da sotto, a profondità maggiori, questo materiale ha densità maggiore di
quello di sopra e quindi man mano che effettuo il getto tutto il resto risale.
Possiamo infine effettuare indagini non distruttive oppure posso fare delle è prove di carico su pali, cioè posso portare a rottura i
pali (parlo di pali di prova realizzati in cantiere).
Capacità portante del singolo palo

La completa mobilitazione di Qs si ha per spostamenti dal palo di 6-10mm indipendentemente dal diametro, mentre la completa
mobilitazione di Qb si ha per spostamenti pari a circa l’8% del diametro per pali infissi e pari a circa il 25%del diametro per pali
trivellati.
Quindi è chiaro che quando vado a costruire dei pali trivellati da un lato ho una facilità di esecuzione ma dall’altra per stabilire un
livello tensionale adeguato alla base, ho bisogno che il terreno interagisca con esso.
Casi estremi:
Nq

j(◦)
,
In condizioni drenate si tende a non considerare la presenza di c .
Nella meccanica del problema ho che inferiormente si forma un cuneo di spinta e si vorrebbe determinare un meccanismo che
ha queste colonne di terreno (in rosso)
L’incertezza dovuta all’elevate lunghezze delle strutture che attraversano molti strati di terreno, hanno portato i vari studiosi ad
usare differenti dataset, con differenti collocazioni geografiche e tipologie costruttive, per cui per semplicità si è imposto l’ascissa
lineare (dove ho l’angolo d’attrito) e l’asse delle ordinate logaritmica in base 10.
σ΄vl: è la tensione verticale alla profondità alla base del palo, quindi di fatto sto considerando l’effetto del carico di punta.

Se il palo è trivellato l’angolo d’attrito si riduce

Se il palo e battuto ho un guadagno in termini di angolo d’attrito

Condizione non drenate


Lo sforzo laterale(S) presenta le sembianze di una classica espressione t=s tanj’+c (c aliquota indipendente da j’)

sh

a= coefficiente di adesione
sh=tensione orizzontale (ortogonale a S) e si può calcolare da quella verticale a meno di un coefficiente K (stato di sforzo laterale)
u è proprio la tg j’ o un valore molto prossimo ad esso.
Posso dire che S è proporzionale alla sh
In condizione non drenate il ragionamento è simile però la componente d’attrito è nulla.
La Cu vale all’interno del terreno non al contatto, quindi vi sarà un’aliquota di C u
Notiamo che la resistenza ha un’espressione articolata ,man mano che aumento le verticali indagate i coefficienti di riduzione
della resitenza sono via via più piccoli
Lezione 10 maggio ’21
In esercizio vogliamo avere delle prestazioni accettabili sia sul lato strutturale che sul lato del terreno. Se
uno o l’altro va a stato limite ultimo non riusciamo a sostenere i carichi, questo perché i carichi che noi
andiamo ad applicare al terreno non sono modesti. Noi non dobbiamo pensare solo alle opere da
costruire ,ma, anche a quelle già costruite, quindi dobbiamo iniziare a pensare allo stato limite ultimo di
esercizio. Dobbiamo partire dalla base, da teorie e metodi applicativi semplici, per poi arrivare a calcolare il
cedimento e il danno per una struttura.
Risposta tenso-deformativa del terreno sotto carichi esterni

Come potete vedere nella slide, viene rappresentata una villetta a schiera inglese che hanno la particolarità
di avere un livello -1. Il livello -1 riduce il carico netto , rimuovo il terreno di scavo ed applico a quella quota
(-1) il carico esterno.
Che cosa succede sotto la casa? Il terreno si deforma. Per quanto riguarda i terreni dobbiamo considerare
due aspetti importanti:
1. Non reversibilità =noi la indichiamo come plasticità. Plastico vuol dire che alla non reversibilità è
presente un’aliquota di deformazione che non viene mai restituita “un danno permanente”. Sia per
i campioncini di terreno e sia per i problemi al finito(al contorno, problemi plastici) sappiamo
calcolare la condizione di plasticità. Questi modelli prendono il nome di “modelli costitutivi”. I
modelli costitutivi descrivono la capacità del terreno di reagire alle sollecitazioni esterne. Per
ricostruire questi modelli abbiamo bisogno:
● 1° FASE: in questa fase abbiamo bisogno di dati, delle esperienze sperimentali presi in laboratorio.
Ci serve la calibrazione perché dobbiamo individuare per ogni dato un certo comportamento,
determinate proprietà e caratteristiche del terreno. Con questa fase vogliamo capire se il modello è
capace di riprodurre il comportamento osservato.
● 2°FASE: fase di validazione. Provo ad utilizzare questo modello per predire dei risultati che già ho.
La fase di validazione ci può dire anche l’accuratezza/l’errore che commetto in termini di qualsiasi
grandezza. Che cosa stiamo cercando di dire? Noi abbiamo un pacchetto di dati, dove una parte di
questi dati vengono usati per la calibrazione e la validazione dopodiché confronto i dati usciti da
queste due fasi con la seconda parte dei dati del mio pacchetto.
● 3° FASE: l’ultima fase è la fase di esportazione dei dati.
L’altro aspetto importante dei terreni da considerare è:
2. La dipendenza dallo stato tensionale σ’, quello che avviene a un metro di profondità non sarà la
stessa cosa che avviene a 10 metri di profondità.
In realtà anche le sollecitazioni sono diverse, perché? Perché ad un metro di profondità si risente molto
dell’interazione terreno-atmosfera, mentre, a dieci metri l’effetto è più piccolo.
Per parlare dello stato limite di esercizio del sistema terreno-fondazione , dobbiamo far riferimento alla non
reversibilità, alla dipendenza dallo stato tensionale e alle pressioni dell’acqua pw. Ci sarà un regime delle
pressioni neutre al tempo ‘t0’, con permeabilità ‘k’, il terreno potrebbe essere saturo o parzialmente saturo
‘Sr’ ed abbiamo un coefficiente di consolidazione ‘cv’.
Legame costitutivo :

Eseguo una prova a deformazione controllata, faccio salire la pressa, noto che passo dallo stato X allo stato
Y ed infine a quello C. In condizioni di stato limite di esercizio non posso andare a destra del grafico, ma,
devo stare a sinistra del grafico ovvero nella parte disegnata in verde, poiché il terreno si deve deformare
pochissimo. La scelta progettuale è quella di considerare che il terreno si deformi pochissimo è che si tiene
in uno stato di deformazione di tipo elastico-lineare. Il terreno in ogni suo volumetto si può comportare
come elastico-plastico ,ma, non lineare poiché dobbiamo considerare che all’interno potrebbe esserci
dell’acqua.
La teoria dell’elasticità è un qualcosa che noi iniziamo a conoscere dopo aver parlato dei mezzi continui. Il
terreno spesso e volentieri è a cavallo di un fluido e un solido, alla fine si tratta di una miscela acqua e
solido. I terreni che scegliamo hanno la matrice solida che prevale su quella liquida , noi non andiamo a
costruire nelle paludi. Noi ci approcciamo al problema tentando di semplificarlo immaginando due continui
sovrapposti, concettualmente abbiamo un mezzo continuo che per noi è rappresentato/governato dalle
tensioni efficaci σ’ e poi è presente una fase fluida che si muove all’interno di esso ed è governata dalle
pressioni neutre uw. Le relazioni di queste fasi sono:
● Porosità “n=volume dei vuoti/volume totale”;
● Come cambia la porosità quindi “ξv volumetrica”, quanta acqua può uscire e può entrare;
● Permeabilità “k”;
● Coefficiente di consolidazione “cv”.
Concentriamoci su un mezzo ad una fase σ’, immaginiamo o un mezzo continuo asciutto o un mezzo come
il terreno dove ci interessa solo la fase solida, lasciamo l’acqua da parte. Se ci concentriamo solo su un
mezzo solido ci concentriamo su un problema elasto-plastico, dove plastico sta ad indicare le deformazioni
nel sottosuolo del terreno che noi vogliamo siano piccolissime.
● Nelle equazioni indefinite di equilibrio il secondo termine è uguale a zero perché consideriamo che
le deformazioni siano piccolissime, ma, anche perché non c’è derivata m*v. Il termine che
troveremo sempre sarà il secondo “ρb1”, il terreno ha un peso. Se ci muoviamo nello spazio le
∂ σ0
tensioni varieranno . Ragion per cui l’equilibrio di un generico cubetto di terreno dipenderà
∂ xi
dalla variazione spaziale delle tensioni, dalle forze di massa e da zero al secondo termine.
N.B.= il cedimento è l’abbassamento di un punto del terreno.
Nelle variazioni di spostamenti, per avere una certa deformazione devo guardare gli spostamenti nella
direzione ij e nella direzione ortogonale. Se premo il terreno verticalmente , succede che al di sotto non
saranno presenti solo deformazioni verticali ,ma, anche lineari quindi si deforma anche
orizzontamentalmente.
Se io applico un carico verticale e notiamo che il palazzo a fianco subisce un’inclinazione , è perché sono
subentrate anche deformazioni orizzontali questo dipende dal fatto che la spinta meccanica è data dal
coefficiente di Poisson.
Nei mezzi solidi abbiamo K=RIGIDEZZA VOLUMETRICA E G=RIGIDEZZA AL TAGLIO.
ν è difficile da misurare nelle apparecchiature convenzionali, perché dovremmo misurare le deformazioni
assiali e laterali in maniera indipendente , la deformazione deve mantenersi uniforme nel provino, questo
potrebbe non accadere se nel provino il legame costitutivo è instabile.
Sperimentalmente possiamo misurare K, G e il modulo di Young in laboratorio.

Nel modello elastico-lineare le componenti che contano sono quelli normali.

Abbiamo la nostra villetta a schiera con livello -1 , in un punto dello spazio voglio determinare la ξz.
Partendo da t=0 voglio sapere al mio δ cosa succederà. Potete notare che nella matrice sono presenti i δ,
dove il δx’ sta ad indicare che in quel punto devo considerare un incremento, ovvero, la variazione di
tensione che il mio cantiere ha comportato, non è la tensione al tempo t=0.
Nei libri e nei manuali I δ quasi sempre non vengono riportati , ma, ci sono e dobbiamo considerarli,
bisogna fare attenzione.
Mi metto in un punto sotto la fondazione, voglio sapere qual è l’incremento di deformazione o la
deformazione che il mio cantiere comporterà , devo fare il prodotto della riga per la colonna non soltanto
lungo la direzione d’interesse ma anche rispetto alle altre due direzioni rappresentate nel disegno, riportato
sottostante:

In condizioni di simmetria assiale:

Per quanto riguarda le condizioni assiali, in laboratorio è preferibile utilizzare questo tipo di configurazione:

Immaginiamo che rappresenti un castello di sabbia, dove applichiamo ξa=deformazione assiale, ed


abbiamo un incremento di tensione radiale delta σr’ , se il castello non è sostenuto, lateralmente inizia a
spanciarsi.
In tre dimensioni possiamo avere comunque una scrittura più snella, da un punto di vista sia analitico che
operativo, se facciamo due operazioni: riferirci ai moduli di rigidezza volumetrica e al taglio ed alla coppia di
invarianti p’ e q.

P’ e q sono definiti come segue:

' σ ' 1 +σ ' 2+ σ ' 3


p= q=q ' =σ 1 −σ 3=σ ' 1−σ ' 3
3

Lo sforzo q rappresenta la tensione deviatorica ed il punto più in alto nel Cerchio di Mohr, ossia la tensione
di taglio sul piano di rottura (essendo il punto sull’asse delle ascisse il polo delle tensioni). In altri termini
rappresenta la massima τ che si può avere in ogni caso, anche se il polo delle tensioni fosse un altro punto
diverso da quello indicato. Questo è il significato fisico della tensione deviatorica q. In realtà q non è
esattamente lo sforzo di taglio, ma è assai simile.

Queste nozioni ci interessano perché ci consentono di ottenere una matrice diagonale.


Le deformazioni di tipo volumetrico (quelle con pedice p) nel modello elastico lineare sono semplicemente
dipendenti dall’incremento di stato isotropo. Quando vado a fare il prodotto riga x colonna ottengo:

1
δε p= δp'
k

Questa è una definizione anche operativa, infatti nelle prove di laboratorio ottengo la rigidezza andando ad
aumentare sempre di più la rigidezza e misurando la deformazione volumetrica.
Se, invece, guardo le deformazioni di tipo distorsionale (pedice q), queste dipendono dalla rigidezza a
taglio.
Ad esempio, immaginiamo di avere un’apparecchiatura a taglio semplice in cui abbiamo una scatoletta
rettangolare o cilindrica e vi applichiamo una distorsione. La prova triassiale funziona in maniera del tutto
equivalente perché, dato che vi applichiamo una piccola forza laterale ed una grande forza assiale, stiamo
andando ad aumentare lo sforzo di taglio (lo si vede anche nel cerchio di Mohr).
Se il problema è invertito, ossia se conosco le deformazioni e voglio sapere quale sarà l’incremento di stato
tensionale, la matrice è ancora più semplice.

Questo modello elastico lineare deriva dalle prove sperimentali, ma dobbiamo chiederci se funzioni bene
per i terreni. Esso, per l’appunto, mostra dei “difetti”.
Anzitutto vediamo cosa stanno ad indicare gli zeri fuori dalla diagonale principale della matrice e vediamo
che implicazione abbia per il terreno il fatto che questi elementi non siano diversi da zero. Essi, infatti,
stanno ad indicare che se applico tensioni sferiche su tutti i lati non avrò distorsioni e se applicassi
deformazioni distorsionali non dovrei avere deformazioni volumetriche.
Questi due aspetti per i terreni sono assolutamente falsi, o meglio non valgono ovunque. Infatti, nel
lavorare, ci andremo a mettere nelle condizioni dove tali deformazioni saranno molto molto piccole, ma
non pari a zero.
Per capire meglio facciamo un esempio: se applichiamo un carico uniforme vi è una deformazione di
volume ed anche una distorsione. Se fossimo in laboratorio, osserveremmo in una prova di taglio semplice
un aumento o una diminuzione di volume che si va conseguentemente a misurare. Se invece facciamo una
prova di taglio diretto nella quale facciamo scorrere le due semiscatole e portiamo a rottura, quindi siamo
sicuri di avere delle τ e che stiamo andando oltre le distorsioni, anche in questo caso misuriamo variazioni
di volume. Tutto questo per dire che, in un terreno, le deformazioni volumetriche e distorsioni (ε p e εq)
sono tra loro intimamente legate.
Di conseguenza, nel modello elastico lineare, stiamo facendo una grossa semplificazione nell’immaginare
che le deformazioni volumetriche dipendano essenzialmente dallo stato tensionale isotropo e che le
deformazioni distorsionali dipendano dallo stato tensionale deviatorico.
Tuttavia, dobbiamo guardare anche all’entità delle deformazioni, infatti noi vogliamo che il terreno si
deformi pochissimo e, se le deformazioni sono piccole, questa approssimazione va bene, perché la
configurazione deformata è molto simile alla configurazione originaria, derivandone tutta una serie di
implicazioni sia progettuali che di calcolo.
I programmi di calcolo lavorano proprio su questo presupposto: ogni punto avrà una propria tensione, una
propria deformazione, ma coordinate geometriche pressoché invariate. Il comportamento meccanico di un
mezzo complesso come il terreno e la semplicità di questo modello non è assolutamente in contraddizione
tra loro, proprio per l’ipotesi di piccole deformazioni.

Legge di Hooke

In questo grafico vediamo in che rapporto sono G/K e ν tra loro. Per v=0.5 G/K vale 0 perché K diventa
infinito, ossia la rigidezza volumetrica tende ad infinito. Se v=0 (esistono alcuni materiali con v prossimi allo
zero) avremmo G/K=1.5. la cosa interessante di cui tener conto è che G e K sono dello stesso ordine di
grandezza.

In condizioni NON drenate, in riferimento allo stato tensionale totale ed alle deformazioni, si scrive tutto
allo stesso modo (pedice u=undrain).
Inoltre, sempre in condizioni non drenate K=∞ e v=1/2.
La cosa importante è che, sia in condizioni drenate che non drenate, gli sforzi di taglio sono assorbiti dallo
scheletro solido, non dall’acqua, per cui vi deve essere l’uguaglianza tra G u e G (riportata in slide).

In questo modo ottengo che la Eu, la e la G sono legate. Fare attenzione: questo sempre nel caso di
materiale elastico lineare!
Se per un terreno in certe condizioni di carico determino la G e la E u, dato che il terreno non è un mezzo
elastico lineare, questa condizione (Eu=3G) potrebbe non essere rispettata, soprattutto a certi livelli
deformativi dove il terreno smette di essere elastico lineare.
Facciamo un altro esempio: immaginiamo di avere un campionatore inserito nel terreno.
All’interno vado a prendere un provino che poi andrò a sottoporre alla prova triassiale e lo prendo lì perché
spero che esso non abbia subito perturbazioni derivanti dalle condizioni al contorno (in figura è
rappresentato l’andamento della perturbazione, il provino è estratto nei punti in cui essa va a zero).
È intuitivo capire che, se questo materiale è una sabbia, vi è un problema di campionamento perché i grani
tendono a muoversi molto. Allora, applicando una deformazione di taglio, si ottiene una deformazione
radiale e la sabbia facilmente si addensa, nel momento in cui viene inserito il campionatore; di conseguenza
difficilmente riesco a campionare in maniera indisturbata.

Quanto appena detto vale per i provini di terreno, ora vogliamo capire come utilizzare tutto questo per i
problemi applicativi. Infatti, abbiamo capito che se abbiamo una componente delle tensioni efficaci σ’
possiamo calcolare una componente delle deformazioni ε e, inoltre, sappiamo una cosa importante, ossia
che la relazione è biunivoca. Quindi non c’è dipendenza dal percorso.
Partendo da questa considerazione possiamo cercare di capire come le Δσ’ si diffondono nel terreno,
cosicché io possa calcolare gli incrementi Δε e gli spostamenti u del piano campagna.
La catena logica sarà quindi: data un’azione esterna vediamo che essa determina incrementi di tensione,
che, a loro volta determinano incrementi di deformazione e ancora, a loro volta, seguiti da spostamenti (ad
esempio lungo z).

Problema di Boussinesq
Esso considera il caso più semplice, ossia una forza puntuale diretta verso il basso. Mi metto in condizioni di
assialsimmetria e vedo cosa succede in direzione radiale ed in direzione z (perpendicolare al raggio).
Si passa al sistema di riferimento polare indicato in figura.
Adesso voglio calcolare lo spostamento che si ha lungo la circonferenza (lo spostamento è ortogonale alla
circonferenza), ad una certa profondità ed una certa distanza dal punto di applicazione. Nel calcolare
questo spostamento mi rendo conto che non ci sono parametri compatibili tar di loro.
Ai fini della risoluzione di questo problema si scrivono: le equazioni di equilibrio, le equazioni di congruenza
ed il legame costitutivo.

Dopo di che il sistema si può risolvere. La soluzione al problema è qui riportata.


Ma a cosa servono queste soluzioni? Posso ottenere una soluzione analitica applicando la forza puntuale ad
una certa area di carico ed integrandola su quell’area, che può essere quadrata (plinto o platea), un
rettangolo stretto e lungo (trave rovescia), etc.
Guardando le soluzioni al problema ci rendiamo conto che Boussinesq ci permette di calcolare la σ sia lungo
r che lungo z, ossia ad una certa profondità e ad una certa distanza dal punto di applicazione.
A questo punto avrò:
⮚ Al tempo t=0 le sole tensioni geostatiche;
⮚ All’applicazione della forza P otterrò un certo delta σ z;
⮚ Al tempo t1 ci saranno tensioni geostatiche + Δσz.
È importante non fare assolutamente confusione tra le tre grandezze appena citate: tensioni geostatiche,
Δσz e la somma tra le due.
Questa è una questione ingegneristica importante perché, se il terreno ha comportamento elastico lineare,
SOLO da questo incremento Δσz dipenderà la ε; la tensione iniziale non avrà alcun ruolo, infatti non
compare nelle formule. Per questo motivo, per trovare lo stato tensionale al tempo t 1, posso applicare il
principio di sovrapposizione degli effetti.
Nel caso di materiale a comportamento elasto-plastico, invece, la situazione cambia completamente,
perché, applicando lo stesso incremento di carico, non trovo solo una possibile deformazione ε, tensione e
deformazione, infatti NON sono biunivocamente corrispondenti (ciò si vede bene nel grafico).
Essendo fuori dal comportamento elastico lineare non me la cavo più con un solo step di calcolo, ma ne
servono di più, di conseguenza si deve seguire passo passo il percorso tenso-deformativo. Non basterà
conoscere la tensione per ottenere la deformazione, ma avrò bisogno di tutti gli incrementi di tensione per
ottenere via via le diverse deformazioni che poi dovrò sommare.
Adesso andiamo a studiare gli incrementi di tensione. Possiamo notare che essi si incrementano con il
diminuire della z, in particolare il Δσ diminuirà con il quadrato della z perché al numeratore vi è z 3 ed al
denominatore R5 che a sua volta è pari a z3+r2.
In direzione laterale, ossia lungo r, la tensione si smorza molto più velocemente, ossia con la quinta
potenza. Ciò è molto positivo perché ciò vuol dire che, applicando un carico, lateralmente le tensioni si
smorzeranno facilmente in un raggio ristretto; la zona d’impronta del mio cantiere sarà molo contenuta.
Ma cosa accade alle potenze appena citate se ci sono due forze vicine? Esse interagiscono tra di loro?
Ovviamente sì. Di particolare interesse per noi sarà proprio la propagazione delle tensioni lateralmente.

Il problema di Boussinesq fornisce una soluzione anche per il calcolo degli spostamenti uz nei vari punti.
Potrò calcolare quanto vale uz al variare di r. Ad esempio se mi metto a z=0, otterrò un’espressione che è
inversamente proporzionale a r e che è lineare.
Osserviamo anche il fatto che, pur avendo applicato una forza in direzione verticale, ottengo anche una
deformazione in direzione laterale.

Altre rappresentazioni
Adesso vedremo risoluzioni analitiche, come quella appena trattata, ma rappresentate in maniera diversa.
La prima che vediamo è una rappresentazione grafica di una soluzione analitica.

Possiamo osservare che nel grafico è rappresentata la u z al variare di z e r, per un carico distribuito su
un’area circolare. In questo caso il raggio è chiamato “a”, mentre, le altre grandezze in gioco sono sempre
le stesse (z, r=distanza dall’asse baricentrico, q=entità del carico applicato).
Nelle applicazioni pratiche q sarà il carico netto q net. Esso altro non è che il carico di esercizio ma conviene
chiamarlo carico netto per tenere sempre bene a mente che esso è pari al carico esterno meno il carico
dello scavo.
In questo diagramma troviamo sull’asse delle ascisse il termine Δσ z/q, ossia l’incremento di tensione
verticale normalizzato rispetto al carico applicato e, di conseguenza, adimensionale. In ordinata, invece, è
rappresentato il rapporto z/a, ossia la profondità normalizzata rispetto al raggio dell’area di carico (se leggo
1 mi trovo alla profondità di 1 raggio, se leggo 2 mi trovo ad una profondità corrispondente a due volte il
raggio e così via).
I numeri che si leggono sulle curve sono i rapporti r/a, ossia la distanza dalla normale baricentrica
normalizzata rispetto al raggio quindi, se mi trovo a r/a=0 mi troverò esattamente sulla verticale nel
baricentro mentre, se mi trovo sul bordo r/a sarà pari a 1.
⮚ Partiamo dalla curva rappresentativa del rapporto r/a=0. Essa parte da un valore normalizzato
dell’incremento di tensione pari ad 1, il che vorrà dire che Δσ z varrà proprio q e che il carico applicato si
trasferisce interamente al terreno di fondazione che, pertanto, sarà totalmente flessibile.
⮚ A profondità adimensionalizzata pari a 10, la Δσ z diventa 0.02, ossia il 2% di q. Ciò vuol dire che il carico
esterno si è prima interamente trasferito al terreno e successivamente, nel volume di terreno che va da
r/a=0 a r/a=10 si è ridotto dal 100% al 2%.
⮚ Si può scendere anche oltre il 2%, ma abbiamo capito che il carico applicato ha esaurito i propri effetti
al raggiungimento di una certa profondità.
⮚ Se, invece, mi metto sul bordo della fondazione, la situazione è leggermente diversa. Infatti in questo
punto il terreno non risentirà totalmente della q perché da un lato è tutto caricato ma, dall’altro, non vi
è nulla.
⮚ L’ultima verticale di interesse è r/a=10. Lungo questa verticale vi è una zona nella quale il terreno non
risente assolutamente del carico applicato, poi la curva assume un particolare andamento. Lungo
questa verticale, infatti, vi è una profondità alla quale il terreno non risente di nulla, poi la curva assume
un diverso andamento. Ciò accade perché il terreno, compresso dal carico esterno, si spancia e quindi
esso tende a spostarsi lateralmente e quindi ciò comporterà il fatto che tenderanno a formarsi
deformazioni più in profondità che in superficie, anche sé di entità davvero piccolissima, praticamente
nulla. Solo per punti immediatamente vicini alla fondazione si possono avere piccoli incrementi di
tensione.
Quindi, ricapitolando, abbiamo detto che il terreno generalmente si deforma più in superficie e meno in
profondità ma, a grandi distanze laterali esso si deforma meno in superficie e più in profondità, anche se a
valori bassissimi.
La conoscenza della Δσz non risolve il problema perché devo conoscere anche la Δσ x e la Δσy e, da queste,
ricaverò la epsilon con zeta punto per punto.
Ora si crea una piccola questione: se arrivo a 2 metri ogni volumetto di terreno avrà avuto una
deformazione εz, ci chiediamo a cosa sarà uguale lo spostamento che sta più in sommità. Esso sarà pari
all’integrale di tutti gli spostamenti, ciascuno dei quali è pari all’altezza iniziale dei volumetti di terreno
moltiplicata per la εz.
Il concetto fondamentale da tenere a mente è questo: applico un carico esterno e quindi ho degli
incrementi di tensione, in teoria fino al centro della Terra, in pratica fino a una profondità pari circa a 10
volte “a”. L’abbassamento che si crea in questo volume di terreno è pari alla somma degli accorciamenti di
tutti gli elementi di terreno che vi sono all’interno.
Da ciò deriva che posso sempre calcolare u z che sarà massimo nel baricentro della zona caricata. Il calcolo di
uz dipende sia dal carico dell’area.

Nel grafico sottostante vediamo un’altra maniera di rappresentare la stessa soluzione.


Sull’asse delle ordinate ho lo stesso valore del grafico precedente, ossia z/a mentre, sull’asse delle ascisse
un valore pari a x/a. In pratica è come se avessimo una rappresentazione del suolo adimensionalizzato
rispetto ad “a” che è sempre il raggio della fondazione.
Le curve rappresentate sono le isolinee e rappresentano l’andamento del valore di Δσz /q. Esse indicano gli
incrementi di tensione che sto dando dall’esterno, ad esempio: la curva 0.4 sta ad indicare che a quella x
profondità ho Δσz =0.4*q. Muovendomi sulla stessa curva noterò che per avere lo stesso valore Δσ z devo
salire nel grafico, questo perché, muovendomi verticalmente, ho il carico solo verso l’alto, ma non di lato.
Le isolinee insieme rappresentano un bulbo delle tensioni indotte dal carico esterno, cioè rappresentano
graficamente la parte del sottosuolo che risente del carico esterno.
Oltre l’ultima curva a destra, quella corrispondente a 0.05, l’effetto in termini di incremento di tensioni
verticali sarà più piccolo del 5% di q, quindi praticamente si sta esaurendo in corrispondenza di una distanza
pari a due volte il raggio.

Le tensioni si propagano per aree così grandi (anche 4 volte “a”) in quanto il terreno è un mezzo molto
deformabile. Questo permette di distribuire le tensioni nel terreno e si traduce nella capacità di resistere ed
in livelli di deformazione contenuti.
LEZIONE 11/05/21

CONTINUO LEZIONE PRECEDENTE STATI TENSIONALI NELLE FONDAZIONI

Nelle Fondazioni con carico distribuito applicato nelle zone sottostanti il terreno arriva sempre e a
plasticizzazione, si capisce perché se prendo punto laterale della fondazione e guardo a destra ho il carico,
se guardo a sinistra non ho niente è evidente che il terreno tenderà a formare le superfici di scorrimento.
Molto lontano dal carico limite (ovvero agli estremi del carico) avrò che queste zone di plasticizzazione
saranno piccole man mano che mi avvicino al carico limite si formano le superfici di scorrimento. Quando le
deformazioni sono contenute tuto lo schema lo schematizziamo come elastico.

Nell’ipotesi di aree di carico flessibile di tipo circolare di raggio a e carico esterno q se mi metto in punto e
cerco di calcolare gli incrementi di tensione abbiamo visto che è possibile rappresentarli in maniera diversa
non in forma analitica ma in forma grafica. Possiamo vedere l’espressione analitica di delta Dsz (per r=0) è
una funzione di 1/z2 e di tipo decrescente come posso notare anche dal grafico accanto. Invece il Dsz’ è una
funzione di 1/ z5; questo ci fa ricordare che le tensioni indotte nel terreno si smorzano molto velocemente
spostandosi in profondità e ancor più velocemente spostandosi lateralmente. Lo spostamento sarà nella
verticale baricentrica, ma se l’area di carico è totalmente flessibile non avrò un cedimento uniforme sotto la
fondazione, infatti posso vedere che il cedimento medio sarà pari a u z,MEDIO = 0,85*uz,MAX. In altre parole,
applicando un carico uniforme sulla mia fondazione circolare avrò una deformata che avrà max al centro e
spostandosi lateralmente diminuisce e il valore medio sarà uguale a 0.85*u z,MAX.
Vedendo i diagrammi di tensione del terreno sotto la fondazione e dei cedimenti hanno forme differenti. A
sinistra vediamo caso di fondazione flessibile e a destra caso di fondazione rigida. Per la fondazione
flessibile applicando un carico q sotto ritroviamo un diagramma di tensioni costante pari proprio al carico q
mentre, in tratteggio posso vedere la deformata del piano campagna, invece sotto posso vedere il
diagramma degli spostamenti u della fondazione, i quali hanno un andamento parabolico. Nel caso di
fondazioni rigide posso vedere che applicando il carico q lo spostamento u sarà costante su tutto il tratto
come anche la deformata, quindi il diagramma della distribuzione di tensioni non potrà essere costante, ma
avrà un andamento parabolico dove agli estremi raggiungerà valori tendenti ad infinito. (tutto questo può
avvenire in condizioni drenate ovvero quando posso avere variazioni di volume, se sono in condizioni non
drenate le deformate non potranno essere così.) Abbiamo un digramma delle tensioni del genere, perché
dipende semplicemente dalle equazioni che stiamo scrivendo equilibrio e congruenza, perché se vediamo
lo spigolo della fondazione i lati da una parte sono caricati dall’altra no e per avere globalmente la
congruenza degli spostamenti e l’equilibrio delle tensioni devo avere questo tipo di diagramma. Questo
diagramma che va a infinito è del tutto teorico, perché in realtà avremo una soglia di plasticizzazione che
sarà raggiunta ai lati e di conseguenza farà aumentare anche leggermente le tensioni sulla fondazione
rispetto al caso di mezzo elastico lineare. Quindi dalla slide posso vedere in basso a destra il diagramma
delle tensioni nel caso elastico (linea sottile continua) e la soluzione in condizioni elastoplastico (linea più
marcata). Questa soglia che viene raggiunta qui è proprio il limite di plasticizzazione.
Guardando il bulbo (area circolare) dove abbiamo le curve che rappresentano le Dsz (per r=0), sugli assi
abbiamo x/a e z/a dove a rappresenta l’impronta di carico abbiamo le varie linee che rappresentano che al
di fuori del volume contenuto nella linea più ho incrementi di tensioni Dsz ’ minori del 5 % del carico
esterno q applicato nella seconda linea del 10% e così via di 5 in 5.

Ora vedremo aree di impronte diversificate, ma ogni volta troveremo che il bulbo delle tensioni si estende
in vari punti. Altro caso area rettangolare, abbiamo che Dsz/q sarà funzione di (L,B,z). C’è una dipendenza
tra le tensioni e le proprietà meccaniche del terreno e del cedimento, perché vediamo che i due parametri
costitutivi del terreno (E,n) sono sempre ben presenti, inoltre essendo il modello elastico lineare possiamo
vedere che il cedimento è inversamente proporzionale alla rigidezza del terreno, il che vuol dire che se ho
un’incertezza del 10 % sulla stima di E questo si traduce in un’incertezza del 10 % dello stesso ordine di
grandezza del cedimento. Guardando il diagramma sulla destra abbiamo sulle ordinate sz/q e z/b, vediamo pag. dopo
che abbiamo un andamento fortemente non lineare, inoltre siccome tra 0 e 2 sulle ordinate le curve sono
tutte accavallate sono state rappresentate sulla parte destra del diagramma in un'altra scala. Ci sono varie
curve perché lo smorzamento dipende da L/b, più L è grande più le tensioni si smorzeranno più lentamente,
perché siamo nel caso di carico distribuito q se aumenta L sto applicando una forza maggiore
complessivamente quindi le tensioni applicate nel sottosuolo saranno più grandi. A un certo punto
quest’effetto forma svanisce, cioè 10-20 volte L/b troviamo la stessa cosa perché ogni pezzo di fondazione
starà agendo su un certo volume c’è uno smorzamento anche lateralmente molto forte.Queste soluzioni
vengono fornite sullo spigolo per lo spigolo dell’area di impronta, perché così facendo posso calcolare
l’incremento di tensione e il cedimento in un qualsiasi punto di una fondazione rettangolare perché applico
questa soluzione per i 4 rettangoli in figura nella slide, poi sovrappongo gli effetti delle varie soluzioni
ottengo il cedimento complessivo in quel punto di interesse che sarà u z,n = uz,1 + uz,2 + uz,3 + uz,4.

Se ho la soluzione per un area d’impronta circolare io posso calcolare la soluzione per una fondazione fatta
come nella slide caso B. Avrò che u z,b = uz,1-uz,2 . Analogamente posso comporre le figure C, D e allo stesso
modo calcolare u. Quindi questo si può fare nel piano in pianta per un carico uniforme. Posso avere anche
un’altra soluzione duale ovvero la composizione di due carichi uno uniforme e uno lineare come nella slide.
Chiaramente questo è la composizione delle due soluzioni la 1 e 2 però interessante, perché applicato con
un asse di simmetria alla dine del carico uniforme è proprio il classico carico che ci viene rilevato nel
diagramma accanto. Vedo l’abaco dove abbiamo a/z e b/z sugli assi quindi fissata la geometria posso
calcolare le tensioni che ci interessano (in campo elastico).
Vediamo una serie di casi in cui abbiamo delle varianti su p. Se c’è uno stato comprimibile ma di spessore
limitato, cioè vuol dire che ad un certo punto c’è un substrato da una parte è meglio perché il punto sotto la
forza P si troverà a cedere avendo una serie di elementi deformabili che ad un certo punto finisce ad
esempio ho 10 metri di terreno deformabile invece di uno strato che arriva fino al centro della terra è
sempre meglio. La cattiva notizia è che se ne accorgono anche le tensioni in particolare siccome quel
terreno risente di un vincolo che è il terreno indeformabile ci aspettiamo che da una parte quello caricato
da una parte lo strato indeformabile lo tiene fermo quindi lo stato di compressione a cui andrà in contro,
l’incremento di sollecitazione potrebbe essere maggiore di quello del mezzo del semispazio indefinito. Per
capire meglio vedendo in alto a destra abbiamo due casi 1,2 nel caso due avremo Dsz‘ maggiori quindi avrò
nel caso 1 una colonna di terreno che in teoria arriva fino al piano campagna che si può deformare e nel
caso 2 una colonnina che è troncata, ma ho incrementi di tensioni maggiori, quindi ho un effetto negativo e
uno positivo vediamo qual è più rilevante. Vediamo attraverso due grafici di capire. Il primo è quello a
destra. Ho un’area con carico puntuale poi mi metto ad una certa distanza r/h dove h è lo strato
deformabile e sull’asse delle ascisse possiamo vedere il valore dell’incremento di tensione Dsz normalizzata
rispetto alla soluzione di Boussinesq ovvero la soluzione di curva a che passa proprio per 1 ed è relativa al
caso 1 citato sopra. Negli altri due casi abbiamo sempre uno strato h di terreno deformabile, ma in un caso
c’è assenza di attrito tra fondazione e terreno e nell’altro assenza di spostamenti relativi. Questo è
interessante perché se applico un carico il terreno sotto la fondazione se può defluire lateralmente, questo
tenderà a far diminuire leggermente le tensioni che il terreno esplica sulla fondazione, se invece non può
defluire le tensioni saranno proprio pari al carico. Infatti, vediamo che il caso b e il caso c sono leggermente
diversi tra di loro, ma questa è una differenza di poco conto, più importante è l’incremento di tensione che
posso vedere è 1,5 volte quello che abbiamo nel caso di semispazio indefinito. Tutto questo delta di
differenza si ha fino ad una distanza che è proprio pari a r/h=1, quindi non è un effetto trascurabile perché
abbiamo un volume che è più compresso rispetto al caso di prima che è il rettangolo in rosso in basso a
destra, mentre invece nel caso 1 in alto a destra dove h indefinito il volume significativo sarà più grande.
Questo è l’effetto positivo e negativo di avere un substrato indeformabile.
A questo problema ci sono vari studi e soluzioni. Vediamo quale sarà l’impatto sul cedimento massimo
dovuto a questo incremento di tensioni. Vediamo quale sarà il cedimento max su una fondazione
rettangolare in presenza di un substrato indeformabile. Ecco la soluzione di Egorov (1958) per i vari tipi di
forme di fondazioni sia per fondazione flessibile che rigida. Stiamo considerando un’area di impronta
rettangolare. Lo strato rigido ha dimensioni 2a e 2b e si trova ad una profondità hc il quale compare nella
prima colonna della tabella dove abbiamo il termine hc/a. Dopodiché applichiamo un carico q la funzione il
cedimento max sotto l’impronta di carico è data dalla funzione w dove la I è la funzione che assume dei
valori chiamati coefficienti che vediamo nella tabella sotto in base al tipo di forma. In questa tabellina c’è
caso del cerchio rettangolo e quadrato. C’è anche h/c=infinito ovvero che avrò uno strato h deformabile di
terreno che tende a infinito caso visto prima dove I=1. Ora tralasciando il caso infinito prendo valore sopra
ovvero caso hc/a=10 vedo che man mano che il rapporto hc/a diminuisce il valore di w diminuisce. Quindi
posso vedere che la presenza di substrato sia nel caso flessibile che rigido ci sono valori minori di 1 ed altri
maggiori fino ad arrivare a 2 (che significa avere 2 volte il cedimento che si ha nel caso di riferimento
ovvero senza strato indeformabile, il che ci fa capire che la presenza del substrato a seconda del valore hc/a
può avere un impatto sia positivo che negativo.Facendo un confronto tra la tabella con fondazione rigida e
fondazione flessibile posso evidenziare qual è il ruolo della rigidezza. Se vedo i numeri di destra sono più
bassi di quelli di sinistra e quindi capisco che una fondazione rigida mi dà cedimenti minori a parità di
condizione.
In tutto ciò non stiamo guardando quelle che avviene alle tensioni efficaci nelle tre direzioni, noi ci stiamo
focalizzando su z perché i carichi applicati in quella direzione solitamente e quindi è quella maggiormente
incrementata, ma importanti anche gli incrementi nelle altre due direzioni. Quindi quando noi troviamo il
cedimento che è uguale a:

ez =Ds‘/E - nDs'x - nDs'y dalle relazioni di NAVIER


In questa slide possiamo vedere le cose dette prima che per la fondazione rigida la distribuzione dei
cedimenti è disuniforme, mentre nel caso di fondazione rigida il cedimento è uniforme ed è inferiore al
cedimento medio di una fondazione flessibile. Inoltre, posso vedere dove si raggiunge il cedimento medio
nel caso di fondazione flessibile; caso circolare a 0,85R, nel caso rettangolare 0,26L e 0,26B.

In questa slide vedo forma Navier che si traduce in una compressione lungo z e una trazione lungo x. Il
cedimento del punto A sarà l’integrale tra 0 e infinito di d wi il quale rappresenta l’accorciamento dell’i-esimo
elementino. Il tutto si trasforma nell’integrale in fondo a destra che attraverso la teoria dell’elasticità vari
autori hanno già risolto, in particolare l’infinito nell’integrale non esiste perché dopo una certa distanza h
non abbiamo più incrementi di tensioni (massimo qualche percento) e quindi tronco l’integrale ad h.
Per quanto riguarda i limiti di questo approccio uno è la determinazione dello stato di sforzo nel terreno
perché dire che materiale è elastico non vuol dire che tensioni lineari, elastico vuol dire che il processo è
reversibile e può essere non lineare come vedo dal grafico in alto a destra. Se guardo in profondità e penso
di avere sempre la stessa rigidezza E la quale è legata al modulo edometrico E ed, ma se faccio una prova
edometrica e carico il campione sempre di più e poi diagrammo E ed in funzione di s’ avremo un grafico
fortemente non lineare. Poi abbiamo l’eterogeneità, che però è una questione che viene un po’ monte e
non c’entra con la teoria, perché se il materiale è eterogeno va trattato qualsiasi sia il metodo di calcolo. Poi
abbiamo l’anisotropia che non è rilevante in problemi usuali, mentre in altri può essere rilevante. Passiamo
alla scelta dei parametri di deformabilità. La matematica è estremamente semplice di questi metodi di
calcolo però ci costringe a fare degli ingegneri di alto livello, perché i parametri di deformabilità che
andiamo a mettere E,v,G,k devono tener conto delle condizioni di stato (cond. drenate o non drenate, del
livello deformativo e del percorso di carico.Nelle pratiche applicazioni di fondazioni orizzontali quello che ci
interessa di più sono le azioni di carico, in realtà poi per un diaframma abbiamo proprio la cosa opposto un
elemento a prevalente sviluppo verticale andiamo ad operare uno scavo e ci interessa quelle che sono le
tensioni di contatto che sono più articolate e addirittura sotto ci può essere un moto di filtrazione da sx a dx
(schema in basso a sinistra), cosa che almeno nelle fondazioni se il moto di filtrazione all’inizio c’è che va da
sx a dx ( schema in basso a destra) la mia fondazione non cambia tanto devo capire se sotto la fondazione si
crea un bulbo di pressioni neutre più alto rispetto quello iniziale.

Succede che rispetto al caso in cui il terreno era asciutto o il caso in cui le pressioni neutre non cambiano ho
una forte differenza. Perché vale che Dsz nel punto rosso nel disegno della slide sopra sarà uguale a
Dsz = Dsz‘+ Duw. Quindi se dall’esterno applico qualcosa che deve diventare Dsz se c’è acqua io devo capire
come si ripartisce; in merito a ciò ci aiuta l’edometro. Se prendo terreno saturo e applico carico distribuito
esterno questo come ripartisce; quale parte va sullo scheletro solido e quale sull’acqua?
Se disegno edometro, che posso vedere come una fondazione rigida applico carico uniforme, dentro
abbiamo terreno saturo, al tempo t 0 sono in condizioni geostatiche e vedo diagramma s‘e uw nella slide. Al
tempo t1 dopo aver applica carico q =F/A , come variano le s‘e uw ?

Se ez = Dsz/E*( Dsz‘- nDsx‘ - nDsy‘)

E ex = ey = 0 quando applichiamo questo carico che fine fa il carico esterno? L’acqua non può uscire
perché in condizioni non drenate, quindi abbiamo che il campione non si può deformare e anche ez =0.
Se non c’è deformazione vuol dire che Dsz‘ =0 e quindi il contributo del carico andrà tutto sull’acqua e
avremo che Duw= q e quindi il diagramma delle uw sarà sempre lineare ma avrà un incremento di q su
tutta la verticale. Per t > t1 il diagramma delle pressioni neutre che era aumentato si andrà a dissipare e
scompare e questo processo è detto consolidazione. Inoltre, al tempo t 1 avremo un cedimento iniziale e al
tempo t > t1 avremo un cedimento di consolidazione. La somma del cedimento di consolidazione, quello
iniziale e quello viscoso mi darà il cedimento finale w f = w0 + wc + wvisc.

Siamo passati da vedere ieri come tutto il carico andava tutto sullo scheletro solido ad oggi che va tutto
sull’acqua, in realtà quello che succede nelle pratiche applicazioni che un’aliquota va sullo scheletro solido
e una sull’acqua. L’aliquota che va sullo scheletro solido mi dà il cedimento iniziale, quindi ad esempio nel
caso visto sopra siccome Ds‘=0 anche il cedimento iniziale sarà zero. Ad un tempo t >> t1 come saranno le
pressioni s‘ e uw avrò che il diagramma delle s‘ avrà l’incremento q e posso calcolare anche il cediemento.

ez = Ds’z/Eed = q/ Eed

Ricordando che il cedimento è proprio l’integrale tra 0 e infinito che corrisponde ad H di ez in dz. Andando a
sostituire abbiamo che w= qH/Eed il quale corrisponde al cedimento in condizioni edometriche.
LEZIONE 36: 14/05/2021

Analisi dei cedimenti e criteri di danneggiabilità

L’analisi dei cedimenti che opere, strutture e infrastrutture subiscono durante la loro vita utile per svariati
motivi (sia cedimenti indotti al peso proprio sia a cause esterne naturali o antropiche) è importante perché
tali cedimenti provocano problemi in termini di danno alle opere.

Per quanto concerne la progettazione di opere di ingegneria civile e ingegneria geotecnica, la normativa ci
dice di eseguire due verifiche fondamentali: occorre garantire adeguati margini di sicurezza nei confronti
della condizione ultima, ossia la condizione di collasso del sistema geotecnico, rispettando le verifiche allo
Stato Limite Ultimo (SLU), in cui le azioni di progetto E d devono essere inferiori alle resistenze di progetto R d,
e occorre garantire margini di sicurezza accettabili anche nei confronti della condizione di servizio, ossia
occorre rispettare le verifiche agli Stati Limite di Esercizio (SLE), verificando che il cedimento che la struttura
potrà subire nella sua vita utile (o le grandezze a esso associate) siano minori o uguali rispetto a un valore
limite Cd, per garantire la funzionalità dell’opera durante tutta la sua vita. In molti casi le verifiche agli SLE
possono essere più restrittive rispetto a quelle allo SLU in quanto la struttura può non arrivare a collasso
(per carico limite nel caso delle fondazioni) ma può subire dei cedimenti o delle distorsioni tali da
pregiudicarne la funzionalità.

N.B. Il valore ammissibile Cd non è stabilito dalla normativa, ma essa prevede che il progettista deve dotarsi
di strumenti, metodi e criteri di analisi in grado di identificare il valore limite ammissibile che non rechi
problemi durante la fase di esercizio di quella particolare struttura progettata in quello specifico contesto.

N.B. Nelle verifiche agli SLE si considerano azioni in cui si considerano carichi che non andranno amplificati
con coefficienti parziali di sicurezza, che assumeranno tutti valore unitario.

Il problema si può affrontare seguendo due strade: una strada più semplice, normalmente seguita nella
pratica tecnica, in cui si trascura l’interazione terreno-struttura oppure si potrebbe seguire una pratica più
complessa e rigorosa in cui si contempla tale interazione ricorrendo a modellazioni numeriche.

Dal punto di vista della quantificazione del cedimento, le strutture possono subire cedimenti che, in
relazione alla natura del terreno in cui è realizzata l’opera, avvengono sia a breve termine (condizioni non
drenate) che a lungo termine (condizioni drenate). In generale, se facciamo riferimento a una fondazione
superficiale di un edificio, potremmo mettere in relazione il carico trasferito dalla struttura al terreno in
funzione nel tempo e potremmo analizzare i cedimenti registrati in questo tempo.
In tal modo individuiamo una prima fase di scavo (con cui raggiungo il piano di posa, che nel caso di
fondazioni superficiali è dell’ordine dei 2/3m, mentre sarebbero molto più elevate nel caso dei pali) che
avviene in un certo tempo t in cui non registro cedimenti poiché sto provocando uno scarico tensionale
(quindi una decompressione del terreno). Al termine dello scavo inizio a realizzare l’opera e quindi vado a
trasferire dei carichi che man mano incrementano durante la fase di costruzione dell’opera, che durerà un
certo tempo t, molto piccolo rispetto alla sua vita utile. In questo tempo si inizia registrare cedimenti
immediati (ossia si verificano subito in fase di realizzazione al tempo t=0). Al termine della costruzione
abbiamo trasferito tutti i carichi e quindi questo carico rimarrà costante nel tempo, ma si registrano
cedimenti (in un certo istante temporale t>0) dovuti alla graduale dissipazione delle sovrappressioni neutre
e quindi il trasferimento del carico allo scheletro solido (quindi alla conseguente variazione dello stato
tensionale efficace). Questi cedimenti sono detti cedimenti di consolidazione proprio perché sono legati al
fenomeno della consolidazione, che si instaura al termine della fase di costruzione (in alcuni casi tali
cedimenti avvengono anche prima, dipendono particolarmente dal tipo di terreno su cui si sta realizzando
l’opera). Alle aliquote di cedimento istantaneo e di cedimento di consolidazione si aggiunge anche
un’aliquota di cedimento, detto cedimento secondario o di creep, che si sviluppa a carico costante e quindi
non c’è variazione dello stato tensionale efficace perché tutto il carico è stato trasferito allo scheletro
solido. Il cedimento secondario è dovuto alla particolare natura del terreno su cui realizziamo l’opera
(soprattutto nei terreni altamenti compressibili, quali argille organiche e torbe, risulta essere molto
elevato). In definitiva, sappiamo come stimare il cedimento totale che l’opera subirà durante la sua vita
come somma delle tre aliquote: si applicano dei metodi da letteratura che ci consentono di stimare le varie
aliquote del cedimento. In realtà un primo problema è legato al fatto che questo cedimento non è l’unico
cedimento che l’edificio potrà subire: per effetto del trasferimento del carico sul terreno sicuramente è un
cedimento che subirà, ma ad esso si possono sommare altri cedimenti di diversa natura che, generalmente,
sono quelli più pericolosi in termini di effetti alla sovrastruttura, ossia in termini danni e di perdita di
funzionalità, e che molto spesso non si riescono a quantificare in fase di progettazione.
Questi cedimenti possono essere indotti da fenomeni di subsidenza (connessi a subsidenza naturale, legata
a una particolare mineralogia del terreno, come nel caso di argille organiche e torbe, oppure a fenomeni di
subsidenza legati ad attività antropiche, tra cui l’estrazione di acqua dalla falda sotterranea, la realizzazione
di opere sotterranee, come scavi, gallerie o parcheggi interrati). Poi ci sono cedimenti indotti da fenomeni
naturali (es. frane a cinematica lenta, molto diffuse nei nostri territori, in cui, in relazione al particolare
cinematismo, il piano di fondazione del fabbricato subisce spostamenti sia orizzontali che verticali con
conseguenti danni e problemi per la struttura in elevazione) oppure cedimenti indotti dalla liquefazione dei
terreni a causa di eventi sismici. Quindi al cedimento iniziale dovuti ai carichi verticali, che possiamo
stimare, si somma una serie di cedimenti nel tempo dovuti a cause diverse. La somma di tutti questi
cedimenti potrebbe portare ad avere valori dei cedimenti non più compatibile con il valore massimo limite
ammissibile della struttura, pregiudicandone la funzionalità e, nei cassi più gravi, provocandone problemi
sulla stabilità della struttura stessa (si può arrivare al collasso).

Ci interessa analizzare questi cedimenti e limitarli il più possibile perché comportano effetti sulle strutture
in elevazione. Questi effetti sono danni che la struttura (edifici, muri di sostegno, gallerie,…) subisce. I danni
si manifestano con comparsa di lesioni, la cui gravità è strettamente connessa alla modalità con cui la
struttura, il piano campagna, il piano di posa, la fondazione si andrà a deformare e all’entità, ossia
all’intensità (magnitudo), della grandezza rappresentativa (cedimento assoluto o differenziale o una
grandezza ad esso associata).
I danni possono essere di varia natura: possiamo avere danni di natura estetica (es. comparsi di lesioni
capillari che interessano il solo intonaco delle facciate dei fabbricati, ossia lesioni che non ci danno molta
preoccupazione se non dal punto estetico e che sono facilmente eliminabili con lavori di rifacimento
dell’intonaco e ritinteggiatura delle pareti), possono esserci danni con lesioni che portano a perdità di
funzionalità o di stabilità nel caso in cui le lesioni comincino ad avere ampiezze elevate e a interessare
elementi strutturali (se le lesioni cominciano ad intaccare travi o pilastri in una struttura in cls armato o una
fascia o un maschio murario potrebbero provocare problemi sulla stabilità della struttura stessa). Dunque,
noti i metodi che mi consentono di ricavare i cedimenti legati al peso proprio che la struttura può subire,
prima di stabilire il valore limite (e i metodi da applicare per determinare tale valore limite) è necessario
usare strumenti utili a quantificare il danno che una struttura può subire durante la sua vita utile a seguito
di un fenomeno esterno che produrrebbe un incremento dei cedimenti e dunque problemi alla struttura.

Il problema è che la classificazione oggettiva del danno non è semplice: è un compito complesso legato sia a
fattori di natura geologica e geomorfologica, che condizionano l’area in cui è realizzata l’opera (particolari
terreni coinvolti, presenza di fenomeni naturali che interagiscono con l’edificio, es. una frana), a problemi di
interazione terreno-struttura (in rapporto alle caratteristiche strutturali e fondali dell’edificio e i meccanismi
deformativi associati di tipo taglio o di tipo flessionale) oppure a possibili cause concomitanti (il quadro
fessurativo di una struttura può essere il cumulo di effetti diversi, non solo legati ai cedimenti, ma anche
legati ad altri fenomeni, quali frane e terremoti oppure ad errori di progettazione di qualche elemento
sismico).

Nella letteratura scientifica esistono una serie di schemi e classifiche che pososno essere impiegate per
classificare in maniera quanto più oggettiva possibile il danno subito da un edificio a seguito di un
cedimento in fondazione. Esistono diverse classificazioni che possiamo utilizzare in relazione al criterio che
vogliamo utilizzare (di tipo quantitativo, semi-quantitativo o qualitativo), strettamente connesso alla scala
di analisi (se ci muoviamo a grande scala, con un’analisi che interessa un intero comune, sono chiamato a
rilevare il danno subito da più strutture e in tal caso occore usare schemi di tipo qualitativo che in maniera
speditiva e veloce consentono di classificare e quantificare il danno subito da questi edifici; se ci muoviamo
a una scala di dettaglio, ossia su singoli edifici o su aggregati di pochi edifici, posso impiegare schemi basati
su criteri quantitativi o semi-quantitativi, cioè volti a quantificare alcune grandezze importanti da portare in
conto in analisi numerica per progettare un intervento di recupero del danno o dei cedimenti della struttura
danneggiata.
Rimanendo in ambito geotecnico, una delle classifiche più impiegata nel campo geotecnico, grazie alla
semplicità di applicazione, utilizzata per stimare i danni indotti dai cedimenti sugli edifici, è quella proposta
da Burland nel 1977 che si basa sull’osservazione dei danni visibili sulla struttura in un determinato istante
temporale (quando eseguiamo il rilievo sulla struttura) attraverso l’analisi dei quadri fessurativi, che si basa
sul monitoraggio dell’ampiezza delle lesioni e della loro diffusione sugli elementi che compongono l’edificio,
nonché sulla loro facilità di riparazione.

La classifica si articola su 6 categorie (da 0 a 5) a cui sono attribuiti diversi gradi di danneggiamento
(trascurabile, molto lieve, lieve, moderati, gravi e molto gravi) e ad ognuna delle quali è associata
un’informazione sull’ampiezza delle lesioni medie che possiamo registrare sull’edificio (che avrà un peso
diverso se interessa una tompagnatura rispetto a se interessa un elemento strutturale) e una descrizione
legata alle tipiche fessure che si registrano e alla loro facilità di riparazione. Possiamo raggrupparle in 3
macroclassi: le prima 3 classi rientrano nei danni di tipo estetico (quindi lesioni capillari che non superano
mai i 5mm di ampiezza, che interessano l’intonaco del fabbricato e dunque facilmente risolvibili), poi
abbiamo danni di tipo moderato che possono compromettere la funzionalità della struttura (quindi lesioni
comprese nel range 5-15 mm di ampiezza, che richiedono interventi di ristrutturazione maggiori) e infine ci
sono danni gravi (quando le lesioni superano i 15mm) o molto gravi (quando superano i 25mm), che
possono compromettere addirittura la stabilità della struttura stessa.

Questa è una classifica generale molto utile perchè in maniera molto semplice e speditiva riesce a valutare i
danni che l’edificio subisce a seguito del cedimento in fondazione. Poi ci sono altre classificazioni; alcune
sono calate in relazione al particolare problema esaminato (edifici interessati da frana cinematica lenta, da
soli fenomeni di subsidenza,…).

Con la classifica appena mostrata, attraverso un rilievo in sito, si analizza il quadro fessurativo che l’edificio
ci mostra. Nel caso riportato in precedenza a titolo di esempio all’edificio è stato attribuito un livello di
danno “molto grave” perché si vede un quadro fessurativo diffuso su tutte le pareti del fabbricato, lesioni
che presentano ampiezza notevole (tali da superare i 15-20 mm) che interessano anche parti strutturali
(fasce a maschi). Dunque queste lesioni hanno interessato non solo la funzionalità, ma anche la stabilità
della struttura (la struttura non è più agibile). È importante notare che i danni non sono stati indotti dai
carichi della struttura: la struttura non ha problemi dal punto di vista delle condizioni ultime, sia di tipo
strutturale sia legate alla fondazione, ossia alla capacità portante, ma presenta problemi nelle condizioni di
esercizio perché i cedimenti accumulati nel tempo hanno portato alla non agibilità della struttura stessa.

L’analisi del quadro fessurativo è accompagnata dalle classifiche che aiutano l’operatore, ma il problema è
che questa classificazioni sono caratterizzate da una forte componente di soggettività in quanto ogni
operatore può avere una sensibilità diversa nell’analizzare un certo danno, poi un altro problema può
essere legato al fatto che il danno rilevato ha più cause concomitanti. Magari ci sono edifici abbandonati
per i quali non sono stati fatti interventi negli anni che cominciano ad essere vetusti e in tal caso i danni
possono non essere strettamente legati ai cedimenti, ma anche all’assenza di manutenzione.

Occorre contemplare i cedimenti, sia quelli dovuti ai pesi propri, ricavabili con metodi di letteratura, sia
eventuali cedimenti indotti da cause esterne. Si possono usare strumenti che consentono di analizzare i
quadri fessurativi e quindi classificare il danno che l’edificio può subire. Per poter effettuare una verifica
(nella fasi di realizzare di una nuova opera o per progettare un intervento di recupero di un edificio
esistente danneggiato a causa dei cedimenti) occorre dotarci di strumenti che ci consentono di determinare
il valore limite ammissibile e dunque il massimo cedimento assoluto o differenziale che la struttura può
subire in utilizzo affinché possa lavorare in sicurezza.

I criteri di danneggiabilità, che possono essere raggruppati in tre grandi famiglie, possono essere impiegati
per analizzare e valutare i livelli di severità del danno subiti dagli edifici e capire quali sono i valori limite a
cui fare riferimento per evitare che si verifichino questi danni.

Se io sapessi quantificare i cedimenti che la struttura avrà per effetto del peso proprio, se so che in quella
zona ho problemi legati a cause esterne perché vado a realizzare l’edificio in quell’area?

Ad oggi le conoscenze sono andate avanti per effetto degli eventi di Sarno, ad oggi esistono piani in cui
tutto il territorio nazionale è mappato, dove ci sono le aree in cui il territorio nazionale è franoso, rischio
associato ecc.. Prima dell’evento di Sarno non si sapevano queste informazioni e c’è molto terreno urbano
in queste aree e si sono avuti cedimenti che hanno causato problemi. Laddove il progettista ha valutato
bene il cedimento della struttura, a questi cedimenti si sono aggiunti altri dovuti a fenomeni esterni e
quindi ad oggi molte aree del territorio nazionale sono state addirittura adeguate, in quanto non agibili.

Se da un lato abbiamo visto come analizzare questi cedimenti, quelli che sono i danni che possono indurre e
ci sono metodi che mi consentono di valutare e classificare il danno che l’edificio può subire. Dobbiamo
capire qual è il valore limite, ammissibile. Esistono una serie di criteri detti criteri di danneggiabilità che il
progettista può usare per analizzare quello che sono i limiti massimi in valore assoluto o differenziale che
corrisponde ad un certo valore di danno. I criteri di danneggiabilità, possono essere raggruppati in tre
grandi famiglie:

METODI EMPIRICI: Basati sull’osservazione di casi reali e si mette in correlazione in maniera deterministica
l’intensità della grandezza quindi il cedimento assoluto differenziale ecc con quello che è il livello di danno
osservato e da questi si sono ricavate correlazioni empiriche che possiamo sfruttare per capire i valori
ammissibili.

METODI SEMI-EMPIRICI: Sono più accurati ma comunque vengono fatte delle assunzioni e semplificazioni
che di fatto vanno a trascurare alcuni effetti quali l’interazione tra struttura fondazione e terreno.

METODI NUMERICI: Modellazione agli elementi finiti o comunque che dipende dal tipo di opera in cui si
contempla l’iterazione che la struttura ha con il terreno. Richiedono un numero di input più elevato, sono
onerosi e si immaginano utilizzati nell’analisi con riferimento a singoli edifici. Sono meno convenienti
quando si deve analizzare un gran numero di edifici come un centro urbano.

Possono essere utilizzati tutti e l’uso dipende dalle informazioni che abbiamo, dal tipo di opera. Se facciamo
un’analisi su un edificio di particolare pregio e l’edificio è interessato a cedimenti, dato il pregio della
struttura si va verso la modellazione. Ma in prima analisi anche il metodo empirico può dare utili
informazioni.

METODI EMPIRICI
Mettono in correlazione grandezze associate alla deformata del piano di posa della fondazione con il
possibile danno. In generale parliamo di cedimenti ma più che far riferimento a cedimenti assoluti si fa
parametri dei
cedimenti riferimento ad altri parametri. se immaginiamo una deformazione del piano di posa di una fondazione
differenziali avremo un cedimento assoluto massimo che è il punto che ha subito spostamento massimo e altre
grandezze quali il cedimento differenziale come differenza tra il punto che è ceduto di più e quello che è
ceduto di meno, la rotazione relativa o distorsione angolare che è il rapporto tra cedimento differenziale e
la distanza tra i due punti in cui abbiamo calcolato tale cedimento meno la rotazione rigida subita dal
fabbricato, l’inflessione che è il rapporto tra il piano di posa e il punto che è ceduto di più che è positivo o
negativo a seconda della concavità. Una deformata con concavità verso l’alto vuol dire che i punti centrali
della fondazione hanno subito cedimento maggiore rispetto ai bordi. Concavità contraria, i bordi cedono di
più rispetto alla parte centrale.

Rapporto di inflessione, massima inflessione diviso la lunghezza totale del piano di posa.

Tutti i criteri che vedremo fanno riferimento al cedimento assoluto ma legano il danno a tutti i parametri
appena visti. Nel momento della verifica lo studio delle deformazioni del complesso fondazione struttura si
articola in 2 fasi: valore massimo che le grandezze possono avere e valore ammissibile.
Come si fa? Qual è un approccio semplice e conveniente per stima e previsione dei cedimenti differenziali?
Se volessimo derivare il massimo cedimento che la struttura può subire nella vita utile che proviene dalla
teoria dell’elasticità ma possiamo essere interessati a capire quale sia il cedimento differenziale. Un primo
approccio è quello empirico-deterministico.
Se stiamo progettando una nuova opera possiamo essere interessati al cedimento differenziale, mentre con
un’opera preesistente quello assoluto. Tale approccio lega il cedimento assoluto massimo al valore
massimo di cedimento differenziale atteso, ciò dipende dalla tipologia di terreno su cui viene realizzata
l’opera e la rigidezza della struttura di collegamento.

Nel caso di sabbie nel grafico vediamo che il cedimento differenziale atteso è molto elevato e bisogna stare
attenti con le sabbie, per terreni coesivi quali argille il cedimento differenziale atteso è tanto più piccolo
quanto più è rigida la struttura di collegamento. Quindi gioca un ruolo importante.

Tra i criteri empirici proposti c’è quello di Skempton (56’) che è basato sull’osservazione di casi reali e in
particolare 98 casi.

Si sono andati a legare i valori limite di 3 grandezze rappresentative quindi il massimo cedimento assoluto,
il cedimento differenziale e la distorsione angolare alla comparsa delle prime fessure sugli elementi
strutturali. Si sono osservate le risposte delle 98 strutture e i valori massimi di queste 3 grandezze alla quale
corrispondevano la comparsa delle prime fessure. Sono venuti fuori una serie di valori ammissibili che
variano a seconda della tipologia di fondazione e in relazione alla tipologia di terreno sulla quale poggia.
Man mano che mi sposto da una fondazione isolata ad una continua e da terreno in sabbia ad argilla vedo
che i valori ammissibili aumentano. Possiamo sopportare un cedimento strutturale massimo maggiore su
una fondazione continua e minore su una isolata. I valori sono quelli in tabella precedente.

Analizzando questi 98 casi suggeriscono i valori massimi ammissibili. Da 8 a 13 cm cedimento massimo


assoluto e così via come nella seguente immagine:
CRITERIO DI BJERRUM (63)

Osservarono 1/300 come valore limite di comparsa delle prime fratture su elementi non strutturali e 1/150
valori limite per il quale si hanno problemi di stabilità. Ma consentono di usare valori più cautelativi per la
formazione di fessure.

Edifici tradizionali: 1/500 ma dipende comunque dal pregio dell’opera.

Ecc come in foto:


CRITERIO DI BURLAND E WROTH (74)

Quanto ripreso dallo studio precedente si basa su meccanismi deformativi solo di taglio come anche con
Skempton. Ma travi e pilastri sono sottoposti a taglio e a flessione. A tal fine un criterio che rientra in quelli
semi-empirici è quello proposto da Burland e Wroth in cui si schematizza la struttura come una trave
rettangolare di lunghezza pari ad L, priva di peso e spessore unitario. Il problema è quello di calcolare una
deformata della trave e i valori del rapporto di inflessione e le deformazioni d’estensione tali da portare alla
comparsa delle prime lesioni nella struttura. Se questa è la trave, quali sono i valori di deformazione ovvero
del rapporto di inflessione e di deformazioni orizzontali cioè deformazioni d’estensione come le chiamano
loro. Cosa vuol dire? Che nel momento in cui l’edificio subisce uno spostamento verticale subirà
deformazioni anche nella direzione orizzontale molto pericolose e il terreno tenderà a muoversi e subirà
anche trazione che vanno a contemplare nella loro analisi. Si chiedono: “Se si considerano diversi valori di
delta/L a cui associo anche deformazioni orizzontali e mi chiedo quali sono i valori limite di questi delta/L
per cui io osservo delle lesioni nella mia trave e di conseguenza nell’edificio. Si considera sia il caso della
trave con asse neutro nella mezzeria e quindi con fibre più tese quelle inferiori e superato il valore limite
insorgeranno delle lesioni che si localizzano nella fibra più tesa quindi considerando un meccanismo di
flessione oppure un meccanismo di taglio in cui la massima lesione sarà inclinata a 45 gradi. Osservano che
utilizzando le formule di Tymošenko e attraverso le ipotesi di carico uniformemente distribuito e centrato,
vanno a valutare quanto vale il rapporto delta/L che tiene conto delle deformazioni di trazione orizzontali
che subirà la trave e quindi l’edificio a seguito di uno spostamento verticale. Diagrammano questo rapporto
delta/L applicando diverse deformate alla trave in funzione di Ɛcritico massimo valore di deformazione a
trazione in funzione del rapporto L/H che è rappresentativa della snellezza della struttura. Rapporti L/H alti
significano struttura molto snella mentre rapporti L/H bassi rappresentano struttura tozza. Si osserva che
indipendentemente dal carico, sia esso un carico P concentrato (linea continua della figura) che un carico
distribuito (linea tratteggiata) se considero un meccanismo deformativo per taglio questi rapporti delta/L
partono da un valore circa 1 e subito all’aumementare della snellezza crescono a valori alti. Viceversa
considerando un meccanismo per flessione osservo che per valori L/H bassi parto da un valore delta/L
critico più alto e si riduce all’aumentare di L/H e poi cresce ma sempre per valori più bassi. Allora il
meccanismo a flessione gioca un ruolo importante per struttura snella, per valori di 0,6 il meccanismo che
prevale è quello di taglio. Laddove la struttura è snella trascurare la componente deformativa mi porta ad
una sottostima dei valori limite.
In generale si possono trarre alcune considerazioni che troviamo nella seguente slide:

SINFORME: Concavità verso l’alto

ANTIFORME: Concavità verso il basso

Se il mio pannello murario si deforma in modo sinforme o antiforme la risposta in termini di ampiezza e
diffusione delle lesioni è molto diversa. A parità di delta/L le strutture soggette a deformata antiforme
presenta danni maggiori questo perché la deformata antiforme soprattutto per terreni coesivi quale
l’argilla, l’edificio tende a seguire la deformata del piano di posa. Se la deformata è ANTIFORME la struttura
meno si adatta a quello che sarà la deformata del piano di posa. Gli autori suggeriscono valori limiti della
deformazione di trazione e la pongono in relazione al livello di danno, da trascurabile a molto grande.
A seconda del livello di danno da trascurabile a molto grande si associa un valore limite di deformazione a
trazione.

Posso prendere questo valore e andare nell’equazione precedente e valutare il valore limite di delta/L che
presenta un certo livello di danno e posso stabilire i valori limite di delta/L per cui supero ad esempio un
livello lieve, in modo tale che scongiuro problemi di funzionalità o stabilità della struttura. Per strutture di
pregio magari devo magari essere ancora più stringente e fare in modo che nemmeno l’intonaco si fessuri e
quindi devo fare in modo che il delta/L associato sia associato ad un livello di danno nullo.

In relazione al valore limite e sfruttando le equazioni degli autori possiamo conoscere il valore massimo
delta/L. Devo progettare la fondazione in modo che il delta/L di calcolo sia minore a quello limite.

Altro criterio: Grant et al. (74) metodo empirico. L’autore ci suggerisce valori ammissibili massimi,
prendendo i criteri precedenti di Skempton e Bjerrum e fissando il valore della distorsione angolare 1/500
che so che è il valore per cui non ho comparsa di fessure e in relazione al terreno e alla tipologia di
fondazione, mi fornisce dei valori massimi di cedimento che posso usare per il confronto con quello
calcolato. A parità di Beta(max)=1/500 considerando un valore della distorsione angolare per cui non ho
problemi di comparsa di fessure della struttura posso calcolare il valore del cedimento massimo che sarà
tanto più grande tanto più ammissibile man mano che mi sposto da terreni sabbiosi a terreni coesivi e
spostandomi da fondazioni isolate cioè plinti a fondazioni su platee isolate o continue, 60mm per plinti e
70mm per platee.
Sintesi valori ammissibili:
Altra tabella in cui si riassumono valori ammissibili in relazione ai diversi parametri e alla tipologia di
struttura:

Ci dobbiamo quindi dotare di uno di questi criteri per valutare con riferimento a quello più consono al
problema che stiamo verificando.

1. O cambiare tipo di fondazione o aggiungere una sottofondazione quali i pali. Per terreni con
caratteristiche meccaniche molto scarse o per ridurre al minimo i cedimenti si usano i pali.
3. A parità di cedimento assoluto più è rigida la struttura di collegamento minore sono i cedimenti
differenziali attesi.

Per recuperare le distorsioni ed evitare che la struttura arrivi in condizioni di perdita di stabilità abbiamo
altre possibilità come quelle indicate nella slide:

2. Iniezioni malta cementizia


3. Per riportare in orizzontale il piano di posa della fondazione

RECENTI SVILUPPI DI RICERCA SUL TEMA


I criteri sono raggruppati in 4 famiglie ma si basano su una relazione di tipo deterministico dell’intensità
della grandezza che il cedimento differenziale si viene a generare per effetto di una causa quali il peso
proprio, subsidenza ecc..

Dalla normativa vecchia in cui si prediligono approcci semi-probabilistici, ad oggi è possibile far ricorso ad
approcci probabilistici quali quelli che si basano sulla formazione di curve di fragilità e deformabilità.
Attraverso questi strumenti si arriva alla probabilità che un elemento a rischio possa superare un certo
livello di danno in funzione della causa perturbatrice. Si da come input la probabilità che su un edificio si
raggiunga un certo livello di danno o stato limite. La generazione di questi strumenti passa attraverso la
conoscenza di 3 tipologie di dati di input: tipologia dell’edificio (cemento armato o muratura), classifica che
mi fa fare un ranking del livello di danno che la struttura può subire e definire il parametro rappresentativo
del fenomeno ad esempio il cedimento assoluto o differenziale.

Il primo problema è la necessità di avere un campione identificativo e quanto più grande possibile, proprio
per questo gran numero di dati necessario è possibile far ricorso a tecniche di monitoraggio innovative
dette MONITORAGGIO DinSar che è telerilevamento basata su 2 o + immagini satellitari che orbitano
attorno alla terra che consentono il rilevamento di spostamenti subiti da elementi target quali edifici ponti
e strade su superfici anche molto grandi. Tali tecniche possono essere utilizzate per rilevare gli spostamenti
su elementi ben visibili, spostamenti nel tempo. Il satellite osserva una certa area a diversi tempi temporali
e dalla differenza in fase di elaborazione tra quella successiva e precedente si arriva allo spostamento
dell’elemento target ad esempio dell’edificio.
Oggi abbiamo soluzioni per edifici con N informazioni. Il satellite acquisisce informazioni dal 92 su tutte le
aree più o meno visibili del pianeta. Attraverso un unico rilevamento nel tempo si può avere un gran
numero di informazioni su numerosi edifici.

EDIFICI INTERESSATI DA FRANA CINEMATICA LENTA

Quando devo ricavare uno strumento per fare un’analisi del tempo, devo avere un campione di edifici
interessati da quel fenomeno. Si va ad intersecare la cartografia del territorio con la carta dei fenomeni
franosi dell’area, dopo di che su di essi viene eseguito un rilievo del danno attraverso un’analisi dei quadri
fessurativi. Attraverso l’analisi dei dati satellitari risalire alla causa del danno quali il cedimento differenziale
in questo caso. Definito il campione di analisi, sottoposto a spostamento, delle quali conosciamo il livello di
danno e il livello di intensità del parametro, si mettono insieme e risalire alla relazione tra causa e effetto.
Adottando opportuni modelli probabilistici sono state elaborate delle curve di fragilità che possono essere
utilizzate e impiegate per analizzare il comportamento delle strutture e usate combinate ad un
monitoraggio in continuo per capire ciò che succederà nel tempo.

Caso studio: COMUNE DI LUNGO(CS)


Si sono elaborati i dati attraverso mappe che si ottengono dall’analisi delle immagini satellitari, ad ognuno
dei punti target è associata una velocità di spostamento attraverso i 3 colori rosso, giallo e verde. A varie
letture si ha lo spostamento cumulato nel tempo di osservazione. La tecnica si è evoluta nel tempo
passando a sensori più innovative che permettono di arrivare a coperture elevatissime.

Andando in sito e rilevando le facciate dei fabbricati si hanno diverse informazioni geometriche e di danno.
I dati raccolti sono stati poi raccolti e queste informazioni sono state messe in correlazione con lo
spostamento subito. Si riesce a monitorare l’edificio nel tempo attraverso misure satellitari e quindi si
riesce a seguire da un lato lo spostamento e dall’altro il danno che ha subito. Si riesce a mettere in
correlazione lo spostamento o cedimento differenziale con il livello di danno che la struttura emetterà nel
tempo, ripetuto per N edifici si è arrivati al cedimento differenziale. Il cedimento differenziale è stato messo
in correlazione con il danno osservato. Il danno dipende dalla tipologia di deformazione che subisce
l’edificio e l’intensità del parametro identificativo che in questo caso è il cedimento differenziale.
Partendo da queste correlazioni empiriche, si è preso in esame l’edificio in muratura perché si aveva un
campione più identificativo, è stata fatta un’analisi di frequenza per intervalli di cedimento per individuare il
modello probabilistico più idoneo. Nello specifico è stato adottato un modello tramite la distribuzione log-
normale, derivando i parametri deviazione standard e mediana si è passato da una relazione di tipo
deterministico ad una di tipo probabilistico. Il cedimento dipende quindi dalla probabilità di accadimento di
quel livello di danno. Si entra con il cedimento differenziale nel grafico seguente e mi dà la probabilità di
avere un livello di danno di 1,2,3,4 e 5.

Questa che è rappresentativa della curva di fragilità di tipo empirico perché derivate da casi reali, partendo
da questa si può passare alla generazione di una curva di vulnerabilità e dare possibili pesi ai danni associati
e si ha una curva interpolata attraverso un modello di regressione in cui entrando con il parametro di
densità quindi il cedimento differenziale ci restituisce la probabilità che su quella struttura venga raggiunto
un certo livello di danno.
CASO STUDIO: PAESI BASSI
Edifici in muratura per un campione di 700 edifici. I cedimenti sono indotti da fenomeni di subsidenza
relativi alla particolare tipologia di terreni, che prevede fondazioni di tipo profondo.
Alcuni dei pali vanno a rompersi o a degradarsi per via del materiale creando una deformata nel piano di
posa con cedimenti differenziali molte volte localizzati e molto elevati. Si è utilizzato il dato satellitare per
cedimenti differenziali, rotazione e il rapporto di inflessione perché la copertura era molto elevata e il
territorio si adattava benissimo alla localizzazione tramite satellite. Sono state derivate innanzitutto le
correlazioni tra causa e effetto, e si è osservato sia per edifici con fondazioni superficiali che profonde dei
trend crescenti di quello che è il livello di danno in relazione al parametro di densità sia che considero il
cedimento differenziale che di rotazione che il rapporto di inflessione. Più evidente per i cedimenti
differenziali, quindi è il parametro più adatto. Si sono ricavate quindi le curve di fragilità e si può stabilire
quindi la probabilità che un certo livello di danno venga superato o raggiunto sulla struttura per poter
intervenire in maniera opportuna. Derivata poi una curva di vulnerabilità come prima e fare così un’analisi
nel tempo e capire quanto tempo ho per effettuare un intervento migliorativo.

Questi strumenti passando da un approccio deterministico ad uno probabilistico rientrano nella famiglia
degli approcci empirici perché sono stati derivati andando a confrontare intensità della causa con il danno
mediante osservazione di casi reali.

MODELLI NUMERICI
Si possono usare anche modelli più avanzati modelli numerici, posso contemplare la relazione tra terreno e
struttura e ho la necessità di avere informazioni sulle caratteristiche del terreno ecc. Impensabile farlo per
700 edifici ma per casi singoli è possibile farlo.

Caso: Edificio in muratura schematizzato tramite un software in maschi murari e fasce di piano collegate tra
di loro tramite nodi rigidi.

Su questa struttura è stato applicato il cedimento tenendo conto della struttura e schematizzando il terreno
attraverso un letto di molle alla Winkler le cui rigidezze nelle direzioni verticali ed orizzontali sono state
prese da dati di letteratura e basandoci su prove di laboratorio e in sito in modo tale che la molla con cui
abbiamo schematizzato il terreno abbia una rigidezza commisurata al tipo di terreno su cui la fondazione
dell’edificio è stata fondata.

Sono state eseguite una serie di simulazioni numeriche e sono state correlate ai diversi danni dei
macroelementi quindi maschi murari e fasce di piano con il danno presente sull’edificio in sito. La
corrispondenza tra le due ha portato ad un’analisi parametrica.
Preso l’edificio modellato con lo schema ai macroelementi, è stata variata la rigidezza delle molle,
simulando diversi terreni e diversi tipi di deformazioni quali lineari, sinformi, anteformi, che interessa uno
spigolo o un altro ecc ed è stata fatta una classifica di danno attraverso un parametro quantitativo e non
basato più sulla larghezza della fessura ma del rapporto tra spostamento esibito in testa alla parete per
effetto del cedimento e la larghezza della parete stessa, in modo da associare un livello di danno associato.
Fatta poi una simulazione numerica con 5 tipologie di suolo, 5 diverse deformazioni, ecc con 4000
simulazioni, di cui ho cedimento e livello di danno, sono state così ricavate curve di fragilità di tipo
numerico.
SEMINARIO 21 MAGGIO

Telerilevamento (Remote sensing): l’’insieme di tecniche consentono la misurazione e rilievo della


superficie topografica senza un contatto diretto ma con un controllo da remoto. Tutto si basa su una
registrazione di energia elettromagnetica (ci troviamo nello spettro dell’elettromagnetismo e della
diffusione delle onde elettromagnetiche) e a seconda delle diverse onde che percorrono l’atmosfera, si
possono ricavare delle informazioni diverse. Ciascuna delle lunghezze d’onda può essere associata a diversi
sensori. Ad es. nell’infrarosso esistono le telecamere ad infrarossi. Noi ci focalizzeremo sui sensori che
operano alla lunghezza delle microonde.

Lo schema in figura distingue il principio di base delle


tecniche di remote sensing che riguardano la
distinzione di sensoristica, che può essere di tipo
attivo o passivo.

I sensori di tipo passivo, dalla risposta della terra alle


radiazioni solari, possono effettuare dei veri e propri
scan della superficie terrestre registrando determinati
segnali trasmessi direttamente dalla superficie
terrestre a diverse lunghezze d’onda e a seconda di
queste, possiamo avere informazioni differenti.
(termico, infrarossi, ottico,…).

I sensori attivi, attraverso una sua antenna, invia onde elettromagnetiche alla superficie terrestre. Questo
provoca una risposta della superficie terrestre che rimanda indietro il segnale. La risposta viene registrata
dalla stessa antenna.

Vedremo una tecnica di monitoraggio che usa dei sensori chiamati “radar ad apertura sintetica” i quali
forniscono un contributo nel campo dell’ingegneria civile a una determinata distanza dalla terra. I sensori
vengono montati su piattaforme satellitari.

Il telerilevamento radar viene utilizzato perché:

- È un sistema di tipo attivo che non richiede una fonte di illuminazione esterna (luce solare) come i
sistemi ottici. Quindi funziona di giorno e di notte.
- Opera alle frequenze delle microonde e quindi può penetrare la coltre nuvolosa. Anche se non è
detto che l’effetto dell’atmosfera non possa avere delle conseguenze sulla qualità del segnale.
- È un sistema di tipo coerente: consente la misura precisa di variazioni della distanza sensore
bersaglio. Quindi verranno selezionati dei punti al suolo per la misura che nel tempo mantengono
inalterate determinate caratteristiche, in particolare nella riflettività del bersaglio a terra (quindi
caratteristiche spaziali e temporali).
GEOMETRIA DI ACQUISIZIONE

Sul satellite è stato montato un sensore


e lanciato nello spazio. Il satellite orbita
intorno alla terra ad una distanza di
800km. Ogni agenzia spaziale registra e
fornisce una serie di informazioni a
corredo dell’immagine vera e propria
che riguardano:

- L’orbita
- La velocità del sensore
(7,5km/s)
- La distanza dalla terra
- La linea di vista (line of sight)
Il satellite si muove lungo
l’orbita e guarda in basso e ha
due direttrici principali: l’azimut
(y) e il ground range (x) che è
una distanza ortogonale all’azimut. Prosegue con una strisciata al suolo variabile a seconda dei
sensori. I primi sensori avevano una larghezza al suolo di 100km. L’inclinazione può variare a
seconda dei sensori (da 23° a 36°), ma per quelli iniziali era di 23°.

La misura viene preso lungo una sola direzione fissa che è la LOS (line of sight), quindi sarà
monodimensionale.

ACQUISIZIONE DELLE IMMAGINI

La nostra orbita è la traiettoria del


satellite. Il sensore si muove lungo varie
posizioni dell’orbita. Guarda alla sua
destra inviando un fascio di segnale a
terra e poi ne registrerà la risposta. Le
informazioni acquisite sono lungo la
striscia azzurra.

Questa tecnica può servire a misurare gli


spostamenti della superficie topografica.

Passa un primo satellite, lancia un


segnale e acquisisce la posizione di un
determinato oggetto in base al tempo di
riflessione del sagnale. Se tale oggetto si sposta (ad esempio per una frana), al secondo passaggio del
satellite dopo circa 35 giorni, rilancia il suo segnale e il tempo di riflessione (quindi anche la distanza tra il
sensore e il bersaglio) sarà modificato. Esistono degli algoritmi che riescono a calcolare la differenza di
distanza ΔR tra il sensore e il bersaglio.

Come viene acquisita la distanza? Un segnale elettromagnetico è caratterizzato da un’ampiezza e da una


fase del segnale. Questa tecnica va ad analizzare la fase dell’immagine satellitare. Quindi, quando noi
lanciamo il segnale e questo viene registrato (viene fatta l’acquisizione a striscia sul suolo), il satellite
registra l’immagine SAR che contiene informazioni su ampiezza e fase del segnale. I dati di ΔR sono derivati
dall’ interferometria differenziale (DInSAR). Gli algoritmi
che porteranno alle mappe che sono alla base dei software
elaborati per processare le immagini e fornire informazioni
sullo spostamento al suolo si basano tutti sulla differenza
delle fasi tra due differenti immagini. Questa differenza di
fasi può essere tradotta come differenza di altezza al suolo,
che a sua volta può essere associata a degli spostamenti tra
le due immagini.

ΔΨ rappresenta la riflettività di come un sensore a terra


risponde ad un segnale inviato dall’onda elettromagnetica
(a terra non tutti gli elementi rispondono bene, come
farebbe un elemento in acciaio).

L’unico elemento non cancellato nella formula fornisce la


distanza sensore bersaglio.

Δα è il disturbo sub-atmosferico che tiene conto della


presenza dell’atmoosfera

“noise” è il disturbo del segnale (rumore).

Dalla differenza delle due fasi delle due immagini, se l’elemento non ha cambiato le sue proprietà di
riflettività, se conosciamo le caratteristiche atmosferiche e se il segnale non ha subito variazioni in termini
di rumore nel tempo, si otterrà una quantità che dipenderà dal ΔR. Ognuno degli anelli dell’inteferogramma
corrisponde ad un salto nel segnale di fase, cioè ad un salto della superficie topografiche avvenute nel
tempo tra le diverse acquisizioni. Tutti gli spostamenti sono relativi al tempo zero della prima rilevazione.

Data la rotazione terrestre, il satellite può illuminare una stessa zona una volta con orbita ascendente e una
volta con orbita discendente.

Nel corso degli anni sono stati lanciati vari satelliti con tecnologie e risoluzioni sempre migliori.

COSA PUO’ ESSERE MONITORATO?

I riflettori possono essere distinti in bersagli naturali e bersagli artificiali.

Bersagli naturali

Definiti tali perché naturalmente questi elementi sono dei buoni riflettori (non farsi fuorviare dal fatto che
gli edifici sono elementi antropici)

Dei buoni riflettori possono essere:

- i tetti degli edifici, che ci danno informazioni sugli spostamenti degli stessi
- le condotte in acciaio quando sono al di sopra della superficie topografica (acciaio è un buon
riflettore)
- rilievi con rocce esposte (a differenza di foreste che non sono buoni riflettori, sono quindi zone
d’ombra)
- Terreni denudati
Bersagli artificiali

Da utilizzare quando non si hanno dei riflettori di buona qualità. Si montano dei bersagli artificiali
opportunamente progettati per riflettere i segnali.

EVOLUZIONE DELLA TECNICA DI PROCESSAMENTO DELLE IMMAGINI NEL TEMPO

Nell’immagine ERS2 i punti più bianchi sono i punti più luminosi che visti sulla carta sono i punti in cui ci
sono edifici e costruzioni varie. La seconda immagine è un interferogramma, quindi la differenza di fase di
due immagini ERS2. Nella zona cerchiata (campi flegrei) si riconoscono delle curve di livello riconducibili al
fenomeno del bradisismo (abbassamento o innalzamento del livello del suolo).

Utilizzando una serie di interferogrammi, si arriva a produrre mappe di velocità DInSAR. Si vedono dei punti
colorati che rappresentano i cosiddetti “scatteratori permanenti”, cioè quei punti che permanentemente
nel tempo riflettono bene il segnale. I colori rappresentano la velocità di spostamento nel periodo di
osservazione. In rosso, arancio e giallo vengono rappresentati degli abbassamenti, quindi degli
allontanamenti lungo la direzione sensore bersaglio. In verde sono le condizioni di stabilità. In celeste e blu
sono degli innalzamenti o in generale degli avvicinamenti lungo la direzione sensore bersaglio.

Gli algoritmi che consentono di arrivare ad immagini di questo tipo sono molti, tra i quali i più importanti:

- Permanent scatterers (PS) (ferretti et al.,2000)


- Small BAseline subset (SBAS) (Berardino et al., 2002)

Ogni volta che il sensore passa su una zona acquisisce un’immagine e con 2 diverse immagini si creano degli
interferogrammi. Nel tempo vengono create varie differenze di fase e vengono impilati nel cosiddetto Stack
of interferograms. Gli algoritmi di cui sopra vanno a cercare tra tutti gli interferogrammi quei punti che nel
tempo hanno mantenuto la loro coerenza.
PRECISIONE

Delle misure PS abbiamo una serie di vantaggi e limitazioni.

Vantaggi:

- Regolare acquisizione delle immagini su aree vaste


- Bassi costi perché processando fasce larghe 100km si ha una grandissima quantità di punti al suolo
- Notevole densità al suolo (più di 1000 PS/km2)
- Processamento rapido
- Grande precisione ( nell’ordine del mm)
- Ci si può lavorare in ambiente GIS (formato modificabile)

Limitazioni:

- Zone vegetate senza puntini


- Tempo di rivisitazione limitato (ogni 30 giorni con un minimo di 5 giorni). Ciò impedisce di studiare
fenomeni che si sviluppano nel corso ad esempio di un solo giorno
- Quindi, trattazione solo di fenomeni lenti, con velocità minori di 10cm/anno in LOS

LA DIFFUSIONE DEI DATI: IL PIANO STRAORDINARIO DI TELERILEVAMENTO


Dal 2000 è stato bandito il piano straordinario di telerilevamento ed è stata programmata la copertura
totale con dati SAR di tutto il territorio nazionale con dati LIDAR lungo la linea di costa e le stecche fluviali. A
valle di questo progetto le immagini SAR sono state processate su tutto il territorio nazionale per cui oggi
l’italia possiede un dataset di dati SAR che partono dal 92. Sul Geoportale nazionale è possibile visualizzare
tali dati.

Esiste anche un progetto europeo chiamato TERRAFIRMA che raccoglie i dati di spostamento di alcune delle
capitali mondiali.

APPLICAZIONI TECNICHE DInSAR

Le principali applicazioni riguardano:

- Subsidenze (abbassamenti o innalzamenti della superficie topografica naturali o antropici)


- Frane (limitatamente a quelle a cinematica lenta) - es. frana di Ascea, frana di Assisi dove il satellite
ha confermato le analisi effettuate in loco dagli esperti.
- Faglie sismiche – es. nella faglia in California le immagini satellitari hanno confermato la presenza di
una faglia sismica.
- Misure su singoli edifici

Le questioni ancora aperte quindi sono:

- La definizione delle procedure standard per l’uso di dati DInSAR nello studio delle subsidenze
- Analisi della relazione tra causa (subsidenza) ed effetti (danni agli elementi esposti)

SCHEMA GENERALE DI IMPIEGO


L’analisi dei dati uscenti dalle tecniche DInSAR dovrebbe nascere dalla collaborazione di chi processa i dati e
da chi sa cosa si vuole fare di quei dati.

All’inizio occorre definire qual è il problema che si vuole analizzare (subsidenza? Frana cinematica lenta?).

Occorre definire l’analisi (Scopo, scala, ecc…)

Una volta fatto questo si comincia a capire quante immagini occorrono, il periodo di studio (scegliere il tipo
di sensore), risoluzione, ecc…

La scelta del sensore avviene in collaborazione tra l’esperto del fenomeno e chi processa le immagini.

Le immagini vengono processate dal tecnico e ci fornisce in uscita: velocità, serie storica, punto di aggancio
(tutti parametri relativi al punto ipotizzato fermo al suolo). Inoltre, in output c’è anche la coerenza, che è un
parametro di qualità in scala da 0 a 1.

Una volta acquisiti i dati di output si passa all’analisi del dato DInSAR.

PROBLEMA ESPLICATIVO PAESI BASSI

ANALISI E PREVISIONE DEL DANNO DI EDIFICI CON DIFFERENTE TIPOLOGIA FONDALE IN TERRENI DI ALTA
COMPRESSIBILITA’
In olanda uno dei problemi principali è che nel sottosuolo c’è una grande presenza di “torba”. Questo
genera il problema di subsidenza perché la torba è soggetta a cedimenti di tipo secondario o viscoso. Infatti,
in Olanda i cedimenti di tipo viscoso sono spesso superiori ai cedimenti di tipo primario. La soluzione è stata
il ricorrere alle fondazioni di tipo profondo.

Gli olandesi, conoscendo il problema, hanno pensato di ricorrere dove possibile a fondazioni di tipo
profondo. In olanda è molto diffusa la fondazione su pali proprio per questo motivo.

La mappa seguente ci mostra dove sono maggiormente presenti fondazioni con pali di legno

Il problema è molto antico, quindi possiamo trovare molte


fondazioni di questo tipo.

Oggi l’Olanda però ha il problema del deterioramento dei


suddetti pali, dovuto al fatto che, essendoci molti canali,
parte dei pali è fuori dall’acqua e parte all’interno.
(L’alzamento e l’abbassamento dei livelli di falda mette a
contatto, seppur minimo, il palo con l’aria). Per questo
motivo i pali vengono attaccati da una serie di batteri o muffe
e funghi, che deteriorano la testa del palo.

Così si riscontrano notevoli problemi di cedimenti delle


strutture, che viene risolto con la sostituzione del palo in
legno con uno in cemento.

Essendo il problema molto diffuso, anche in un paese


relativamente ricco, si ha necessita di prioritizzare gli
interventi, e decidere quali interventi fare prima.

C’è molto studio di mappatura della subsidenza, e gli enti che mappano forniscono alle società queste
misure di monitoraggio e anche delle indicazioni su quali sono gli edifici sui quali intervenire nel futuro.

Nel caso studio dell’Olanda, sono stati fatti degli studi in sito che hanno visto come oggetto di studio circa
700 edifici che sono stati interessati da danni di subsidenza. Il percorso è stato quello di individuare gli
edifici tramite mappa topografica, prendere i dati satellitari e quindi vedere quale fosse l’elemento esposto
tramite confronto, a quel punto è stato condotto il rilievo del danno su quegli edifici (da una parte è stato
classificato il danno, dall’altro è stata individuata l’intensità del fenomeno, che in questo caso poteva essere
un’indicazione del cedimento subito dall’edificio), da queste informazioni (combinandole) sono state
dedotte le curve di fragilità o di vulnerabilità, e in alcuni casi sono stati fatti dei check di efficacia della
riparazione.

Gli studi sono stati condotti in circa 4 città. Nel territorio olandese è disponibile il Geotop Model (Geological
Survey of Netherlands), è un modello 3d del sottosuolo. Esso è stato ricavato dall’interpolazione di dati
derivanti da prove penetrometriche.

Se si traccia una sezione su questi modelli, si può avere una sezione stratigrafica di questi terreni.

Venivano usate delle “schede del danno”, in cui erano riportate anche informazioni sul sottosuolo, la
classificazione del danno tramite la distinzione degli edifici su fondazioni profonde o superficiali.

Mettendo in relazione i risultati del rilievo del danno e i cedimenti differenziali dall’altro, essi potevano
essere combinati e si possono ricavare i seguenti andamenti. Si vede come all’aumentare del cedimento
differenziale aumenta il danno.
I valori sei cedimenti differenziali sono stati trovati
interpolando i valori dei cedimenti registrati sull’edificio nel
tempo di osservazione, in GIS si può tracciare una sezione e si
può vedere il profilo del cedimento differenziale.

Il valore è dato dalla differenza fra il minimo e il massimo.

Con un’analisi probabilistica si può arrivare alle curve di fragilità, che mettono in relazione il cedimento
differenziale (causa/intensità del fenomeno) e la probabilità D1, D2 e D3. Ognuna delle curve rappresenza
un livello di danno.

I primi criteri di danno erano basati su uno studio di


un centinaio di edifici. Utilizzando questi nuovi criteri si potrebbe disporre di un range molto più ampio e
relazionare per ognuno di questi edifici il danno col suo cedimento (facendo queste analisi su un campione
molto più omogeneo, perché sceglieremmo gli edifici omogenei).

Tra gli altri controlli si avevano anche mappe con informazioni di interventi su edifici per i quali era stato
effettuato un intervento in fondazione, e si è visto come dopo la riparazione sia cambiato il trend degli
spostamenti.

Con analisi di questo tipo, in ambito di differenti


tipologie di fondazione e di interventi stessi, ci si
può rendere anche conto degli interventi che
mostrano la maggiore efficacia.
PROBLEMATICHE RELATIVE A CEDIMENTI DI PONTI (AMSTERDAM)

In questo studio sono state selezionate diverse tipologie di ponti. Si parla di danni indotti da cedimento.

Sono state individuati i cosiddetti ponti a schema isostatico e iperstatico. Quelli con schema iperstatico
erano quelli che potevano subire danno da cedimenti indotto in fondazione dalle torbe.

La procedura prendeva in considerazione il contesto geologico della zona (e anche la probabilità di trovare
torbe in quelle zone).

In un primo momento è stato fatto un rilievo del danno dei vari ponti presenti in zona.

Poi è stata messa a punto una schema del rilievo del danno per i ponti suddetti (con info strutturali,
geologiche etc).

È stato fatto il cedimento differenziale per ciascuno dei ponti analizzati.

Le schede sono state messe insieme per rilevare le curve di fragilità.

MONITORAGGIO DI CEDIMENTI DI UN RIEVATO FERROVIARIO (LUNGO LA COSTA OLANDESE)

In questo studio sono stati presi 500 m di struttura ferroviaria. Se ne conoscevano le caratteristiche del
sottosuolo. È stato costruito un modello geotecnico e implementato lungo una serie di sezioni
caratteristiche.

Il coefficiente di consolidazione secondario è stato calibrato con l’utilizzo di dati satellitari.

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