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Teresa Crespellani
SOMMARIO. Nel contesto degli studi per la mitigazione degli effetti dei terremoti, è ormai
opinione concorde che le azioni sismiche di progetto per le costruzioni debbano essere
inclusive degli effetti di sito, e che la previsione dei fenomeni di instabilità che possono
essere indotti dai terremoti nei depositi e nei pendii (liquefazione, densificazione,
movimenti franosi) debba essere condotta con metodi quantitativi basati su parametri
sismici e geotecnici realistici e affidabili.
Le conoscenze sul comportamento dei terreni in condizioni di carico dinamico e
ciclico, ottenibili con prove in sito e in laboratorio, e l’impiego di modelli, contribuiscono
in modo decisivo a spiegare e prevedere i complessi processi dinamici d’interazione che
possono innescarsi in un dato sito fra onde sismiche e terreni, e permettono oggi di stimare
in modo quantitativo i parametri indispensabili per tenere in conto in modo adeguato degli
effetti di sito. La considerazione di tali effetti a scala urbanistica comporta tuttavia una
molteplicità di indagini multidisciplinari, che richiedono azioni coordinate e congiunte non
solo fra specialisti delle varie discipline ma anche con tecnici e amministratori degli enti
preposti al governo del territorio.
Nel presente lavoro vengono presentati, alla luce delle trasformazioni in atto nel campo
della difesa dai terremoti, i nessi fra aspetti sismologici, geotecnici, strutturali, e tra
questioni scientifiche, tecniche e normative che chiamano in causa l’ingegneria geotecnica
sismica per la messa in conto degli effetti di sito.
1. PERICOLOSITÀ SISMICA, EFFETTI DI SITO E VULNERABILITÀ DELLE
COSTRUZIONI: CONCETTI INTRODUTTIVI E TRASFORMAZIONI IN ATTO
Nel corso degli ultimi vent’anni, la scienza dei terremoti e in particolare l’ingegneria
sismica hanno attraversato una trasformazione tecnico-scientifica non meno straordinaria
di quella che ha visto nascere e svilupparsi a scala mondiale, tra gli anni ‘50 e ‘70, i primi
metodi ingegneristici di approccio al problema della difesa dai terremoti e le prime
normative sismiche per la protezione delle nuove costruzioni. Benché in linea di continuità
con la precedente, la nuova svolta è per metodi e contenuti molto diversa, e introduce tre
importanti elementi di novità.
2. Il secondo aspetto di novità riguarda l’importanza assegnata al sito (inteso come area di
interesse ai fini ingegneristici e con dimensioni areali variabili da quelle di un manufatto a
quelle di un centro abitato) nella valutazione delle azioni sismiche che possono essere
trasmesse alle strutture. I danni osservati durante i terremoti mostrano sempre irregolarità e
variazioni, in molti casi riconducibili all’influenza dei fattori geomorfologici e geotecnici
di sito e agli effetti di doppia risonanza fra il modo di vibrare del terreno di fondazione e
delle strutture. Il futuro verso il quale inevitabilmente ci muoviamo è che la messa in conto
dei fattori di sito è essenziale per valutare realisticamente le azioni sismiche sulle
costruzioni. Terremoto e costruzione erano state, fino agli anni ’70, le due polarità su cui la
ricerca scientifica e la regolamentazione tecnica e normativa per la prevenzione avevano
concentrato i loro sforzi perché la filosofia che stava alla base era che la difesa dai
terremoti è legata esclusivamente alla scelta del terremoto di riferimento e alle
1
Vedi ad esempio Petrini et al. (1998)
caratteristiche sismo-resistenti delle sovrastrutture. Dai quesiti, perciò, sulla severità delle
azioni sismiche, sul dove, come e quando un terremoto avrebbe potuto colpire un dato
territorio, e sulla base essenzialmente della identificazione delle aree sorgenti sismiche e di
leggi di attenuazione valide per terreni duri, cioè della pericolosità sismica delle varie
zone, sono nate le prime zonazioni e classificazioni sismiche dei diversi territori nazionali.
Dagli interrogativi sulla morfologia strutturale più appropriata, sui collegamenti strutturali
più efficienti, sulla risposta sismica delle costruzioni ai vari possibili input sismici, cioè
sulla vulnerabilità delle costruzioni sono derivate le prime procedure ingegneristiche di
valutazione del rischio sismico (inteso come prodotto fra pericolosità sismica dell’area e
vulnerabilità delle costruzioni) e le norme tecniche a scala nazionale per la protezione
sismica delle nuove costruzioni.
Seguendo l’evoluzione delle ricerche sismologiche e geotecniche, e anche delle
normative, a scala mondiale è facile notare la crescente importanza che, a partire dagli anni
‘70, viene assegnata a fattori riguardanti il sito e il terreno di fondazione. Questi, va
sottolineato, sono gli anni di nascita della Dinamica dei terreni, di quel ramo della
Geotecnica che ha fatto chiarezza sui principali meccanismi che sottostanno agli effetti di
sito e di instabilità dei depositi e dei pendii. Grazie agli sviluppi di questa disciplina è oggi
possibile raggiungere elevati livelli di protezione sismica delle costruzioni, attraverso
un’opportuna scelta dei siti, di spettri di progetto realistici e di tecniche fondazionali
appropriate alla natura delle interazioni fra struttura e terreno, ma anche attraverso
interventi di stabilizzazione del terreno e degli ammassi rocciosi. Soprattutto nei centri
storici, spesso arroccati su terreni acclivi, su bordi di ciglio, su creste sottili, affacciati su
dirupi instabili, e talora attraversati da faglie e discontinuità, cavità sotterranee, ecc. una
causa primaria di vittime e di danni è costituita dalla possibilità che durante i terremoti
avvengano movimenti franosi, cedimenti e collassi generalizzati, che possono coinvolgere
anche le costruzioni sismicamente più resistenti. Per ridurre tali effetti occorrono perciò
innanzitutto intervenire sui terreni di fondazione.
Terremoto, sito, e costruzione sono, oggi, i tre poli , ufficialmente riconosciuti, e
reciprocamente solidali, di ogni sistema di protezione nelle aree sismiche, e tutte le
normative tecniche a scala mondiale, hanno provveduto, o stanno provvedendo, seppure in
misura maggiore o minore, a introdurre criteri per la scelta dei siti, per la classificazione
dei terreni e dei depositi, per l’adozione di spettri diversificati per le varie categorie di
terreni, per la stima degli spostamenti e dei cedimenti in condizioni sismiche. Ma è
importante rilevare che quando si considerano gli effetti di sito sull’esposizione sismica di
un territorio il numero delle incognite cresce indefinitamente.
n
io
az
Tr
Superficie Superficie
di rottura Progressione di rottura
della frattura
Rigetto
ne
a zio
a sl
Tr
Strato
Superficie di liquefacibile
rottura potenziale
Affondamento
potenziale
Superficie di
rottura potenziale
Figura 1 - Alcuni scenari di pericolosità legati agli effetti locali indotti dai terremoti
La recente crisi sismica iniziata il 26 settembre 1997 che ha interessato il territorio
umbro-marchigiano ha evidenziato in edifici di analoghe caratteristiche numerosi casi di
livelli di danno molto diversi, talora anche di due tre gradi di intensità MCS, su distanze di
poche centinaia di metri. A Cesi bassa, ad esempio, poggiata su depositi argillo-sabbiosi
pleistocenici e olocenici di origine lacustre e fluvio-lacustre dello spessore di 35 m, si è
avuta un’intensità macrosismica del IX grado MCS, mentre a Cesi Villa, costruita su roccia
ricoperta da una esigua coltre detritica consistente, si sono avuti danni piuttosto lievi,
classificabili del VII grado. Come messo in luce da Capotorti et al.(1997), da Marsan e
Gorelli (1997) e da Mucciarelli (1998), l’analisi dei dati strumentali relativi agli
aftershocks ha evidenziato brusche variazioni spaziali delle caratteristiche vibratorie dei
movimenti sismici nella direzione orizzontale, correlabili con la morfologia e le proprietà
dinamiche degli strati più superficiali. La variabilità del danno può quindi essere
attribuibile in molti casi ad effetti di sito, che esaltando il moto sismico possono avere
anche indotto rotture localizzate, quali movimenti franosi, o spostamenti e cedimenti del
terreno incompatibili con l’equilibrio delle costruzioni.
Epicentro
Scorrimento ONDE R
OND
ON
EP
ONDE
di faglia O
RIF NDE
DE
RA
TT
E
S
S
E
O OND
RIF NDE
TT
EP
ON
LE
RE
SS
ON
E
DI
DE
DE
DE
ON
S
OND
OND
EP
Ipocentro
ES
Propagazione del
fronte d’onda
Figura 2 - Processi fisici associati alla propagazione delle onde sismiche dalla
sorgente al sito in un terreno ideale
Il terremoto è, come ben noto, associato all’accumulo di tensioni in particolari punti
della litosfera, fra le superfici a contatto di antiche faglie o in altre zone. Quando queste
tensioni superano la resistenza al taglio si hanno scorrimenti e rotture con liberazione di
energia sotto forma di onde sismiche di volume (onde P ed onde S). Queste onde si
irraggiano con velocità diverse in tutte le direzioni con fronti d’onda all’incirca sferici. Si
ha perciò una progressiva attenuazione dell’energia contenuta dalle onde sismiche di
natura geometrica (radiation damping).
Nel loro cammino le onde sismiche subiscono anche altre modificazioni, che sono
legate a fenomeni di riflessione e rifrazione in corrispondenza dell’interfaccia fra strati di
caratteristiche diverse (attenuazione per scattering) e allo smorzamento interno dei terreni
(material damping). Ne consegue un’ulteriore attenuazione del contenuto energetico con la
distanza e una ‘verticalizzazione’ della direzione di propagazione delle onde sismiche.
Se in superficie si avesse un terreno ideale (Figura 3), cioè duro e pianeggiante, gli
effetti in superficie di questi fenomeni fisici sarebbero essenzialmente associati alla :
1) sorgente (cioè alla quantità di energia liberata, ai meccanismi focali, alla lunghezza
della frattura, agli scorrimenti di faglia, ecc.)
2) cammino di propagazione (cioè alla distanza ipocentrale e ai processi fisici di
attenuazione dell’energia del movimento sismico).
MOVIMENTI MOVIMENTI
FORTI DEBOLI
Terreno duro
Scorrimento
di faglia Substrato roccioso
Ipocentro
Fronte d’onda
Effetti amplificativi
ai bordi di terrazzi
Crolli di roccia
Effetti topografici Movimenti traslativi
di banchi rocciosi
Ribaltamenti Effetti amplificativi
Liquefazione di per risonanza
sabbie sature
Scorrimento
di faglia Movimenti
franosi
2.3.2 Variazioni delle caratteristiche del moto sismico nella direzione verticale ed
effetti di filtraggio nei depositi.
E’ ben noto che le variazioni più significative del moto sismico avvengono passando
dalla base dura o rocciosa (bedrock) alla superficie dei depositi. I complessi meccanismi di
interazione fra onde sismiche e terreni che avvengono negli ultimi strati di terreno non
possono che essere spiegati che attraverso approfondite conoscenze sul comportamento
dinamico e ciclico dei terreni (Lo Presti, 1998) e l’impiego di modelli (Lanzo, 1998).
Per un orientamento generale è utile osservare le variazioni del moto sismico ottenute
in un foro strumentato.
La Figura 7 mostra le registrazioni accelerometriche delle componenti NS ottenute a
diverse quote a Lotung, Taiwan, in un foro di sondaggio opportunamente attrezzato con
accelerometri e piezometri, disposti a varie quote. Le registrazioni si riferiscono ad un
evento di magnitudo locale ML = 7 (Elgamal et al., 1997) e sono state ottenute ad una
distanza epicentrale di 77 km. Procedendo dal basso verso l’alto è facile osservare una
crescente amplificazione dei picchi di accelerazione e marcate variazioni del contenuto in
frequenza del segnale. Inoltre alla quota di 6.3 m si può osservare a partire da un certo
istante un brusco incremento delle pressioni interstiziali.
Usando dei semplici modelli (nel caso specifico il modello della trave a taglio) è
possibile valutare ad ogni quota l’andamento degli sforzi di taglio indotti dal terremoto e
quello delle ampiezze degli sforzi di taglio. Questi andamenti sono riportati sul piano τ, γ
nella Figura 8 che la forma dei cicli è sempre più coricata passando dal basso verso l’alto
(il che significa un comportamento sempre più isteretico). Nella Figura 9 si può osservare
l’andamento della deformazione di taglio γ e del modulo di taglio lineare equivalente G. Si
può osservare che il decadimento del modulo di taglio è molto più accentuato in
corrispondenza della fase forte e che l’incremento brusco delle pressioni interstiziali si ha
quando la deformazione di taglio raggiunge il valore di picco.
2.4.2. Indagini sperimentali e modelli geotecnici per la valutazione degli effetti di sito
Il contributo che le prove geotecniche dinamiche in sito e in laboratorio offrono per la
determinazione degli effetti di sito e per il controllo della stabilità dei depositi e dei pendii,
sono l’oggetto di approfondimento specifico di questo corso e in particolare delle relazioni
di Lo Presti (1998), Simonelli e Mancuso (1998), Lanzo (1998), Vannucchi (1998),
Cavalera e Brancucci (1998), Madiai (1998), a cui si rimanda.
Un aspetto che merita sottolineare in questa sede è il fatto che non solo le prove
dinamiche ma tutte le prove geotecniche sono essenziali per la conoscenza degli effetti di
sito essendo necessaria una completa caratterizzazione del sottosuolo (Tabella 2). Inoltre,
soprattutto nel caso di vaste aree, le prove geotecniche tradizionali di tipo statico possono
offrire anche un primo contributo alla conoscenza del comportamento dinamico attraverso
l’impiego di correlazioni empiriche (Simonelli e Mancuso, 1998)
Tabella 2 - Informazioni per la caratterizzazione geotecnica del
sottosuolo e tipi di prove
INFORMAZIONI RICHIESTE MEZZI DI INDAGINE
MICROZONAZIONE SISMICA
Figura 10 - Indagini e fasi di uno studio di microzonazione sismica
La microzonazione sismica, in quanto valuta quantitativamente gli effetti di sito e le
aree di possibili movimenti del terreno esamina la situazione di Figura 4, mirando ad
adeguare il livello di protezione alla minaccia sismica, alla natura dei siti e alla
vulnerabilità delle costruzioni.
Può perciò accadere che in alcune zone (o per alcuni edifici) la normativa sottostimi le
azioni sismiche che possono essere indotte dal terremoto di progetto, mentre in altre può
succedere il contrario. In molti casi si hanno le due cose insieme, nel senso che la
normativa può sottostimare le azioni sismiche negli edifici con periodi compresi entro una
certa fascia e sovrastimare quelle su edifici compresi in altre fasce. Le microzonazioni
condotte in Italia hanno evidenziato che nei nostri centri storici le costruzioni esistenti (di
pochi piani) sono spesso meno protette di quelle nuove (a molti piani) (AA.VV, 1981;
Vannucchi, a cura di, 1991; Crespellani et al., 1997 b).
4. CONCLUSIONI
Per concludere, sono possibili due osservazioni.
Riferimenti bibliografici