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27-10-06

Prof. Faella

Evoluzione dei metodi di calcolo delle Strutture in Muratura dal D.M. 2


luglio 1981 al D.M. 14 settembre 2005 (Norme Tecniche per le
Costruzioni)

Negli ultimi tempi l’evoluzione della normativa sulle costruzioni in muratura è stata notevole.
Essa è stata stimolata essenzialmente dalle problematiche di intervento sulle strutture danneggiate a
seguito dei sismi del Friuli del ’76 e della Campania-Basilicata dell’80.

L’O.P.C.M. 3274, invece, è stata stimolata dall’evento sismico di San Giuliano, ove è crollato un
edificio scolastico con perdite particolarmente significative.

Entrando nell’argomento, ricordiamo la modellazione meccanica generalmente adottata per la


muratura è quella di materiale non resistente a trazione: infatti la muratura se sollecitata a trazione,
o per effetto della pressoflessione o per effetto del taglio, si fessura. Dobbiamo pertanto difenderci
da una serie di fenomeni quali: la rottura per taglio diagonale indotto dal taglio, il ribaltamento di
maschi murari non adeguatamente collegati, il distacco di paramenti esterni, dissesti per spinte
localizzate, dissesti per variazioni di rigidezza concentrate, dissesti per cedimenti in fondazione.

Con riferimento alle spinte indotte dalle strutture inclinate delle coperture, si osserva che non
sempre le travi inclinate sono spingenti: se una trave inclinata è adeguatamente collegata in
sommità (non può scorrere verticalmente nè orizzontalmente ), essa non deve essere ritenuta
spingente.

Una problematica particolare in zona sismica è il problema delle resistenze sotto azioni taglianti
delle pareti forate; la rottura si manifesta, infatti, essenzialmente in due modi: quando le fasce di
piano sono di maggiore dimensione rispetto ai maschi, la rottura diagonale avviene nei maschi
stessi; viceversa accade quando le fasce di piano sono piccole rispetto ai maschi murari. Quindi
possono determinarsi due meccanismi alternativi nel collasso delle murature sottoposte a taglio ed
in conseguenza diversa dovrà essere poi la strategia di intervento.

Passando ad esaminare il quadro normativo italiano, osserviamo preliminarmente che di solito le


norme si succedono, ossia che le nuove norme sostituiscono le precedenti. In Italia, per le murature
in particolare, ciò non è sempre accaduto, pertanto siamo in presenza di coesistenza di diverse
norme.

La prima norma sulle murature in zone non sismiche è il D.M.Min.LL.PP. 20/11/87 con la
Circolare esplicativa n.30787 del 04/01/89.

In aggiunta abbiamo le norme sismiche. La principale attualmente in vigore è costituita dal


D.M.Min.LL.PP. 16/01/96.

Poi sono da prendere in considerazione una serie di provvedimenti post-sisma: D.M.Min.LL.PP.


02/07/81, Circ.Min.LL.PP. 30/07/81 n.21745, Decreti della Giunta regionale delle Marche, della
Toscana (limitati ad ambiti regionali, ma con rilevanza tecnico-culturale importante.).

Interessante è il fatto che nessuna di queste norme (ad eccezione del D.M. 81) espone metodi di
calcolo degli edifici in muratura sotto sisma. La legge dell’87 si limita a considerare pannelli murari
singoli considerati incernierati lungo i lati superiore ed inferiore (in realtà questa norma è molto
simile a quella europea sugli edifici a pannelli isolati caricati nel piano) e non dice nulla circa il
comportamento della struttura nel suo insieme.

Il D.M. 81 propone il metodo POR per la ripartizione delle azioni sismiche di piano tra i diversi
maschi in regime lineare e non lineare.

Uno dei tratti significativi della O.P.C.M. 3274 è la riclassificazione ai fini sismici del territorio
nazionale con una estensione delle zone di prima seconda e terza categoria, con il risultato che la
maggior parte del territorio nazionale è oggi da considerare di tipo sismico.

Se ci limitiamo ad un approccio puramente progettuale, prima della O.P.C.M. 3274 erano


possibili due approcci rispettivamente per zone non sismiche e sismiche.

1) Il D.M. 20/11/87 e la Circ. 04/01/89 n. 30787, unitamente al D.M. 16/01/96 e Circ. 10/04/97
n.65, danno criteri di verifica ma nessuna indicazioni su come trattare l’edifico in muratura nel suo
complesso;

2) Il D.M: 02/07/81 e Circ. 30/07/81 n. 21745, unitamente a D.M. 16/01/96 e Circ. 10/04/97
n.65, forniscono un modello di calcolo dell’intera struttura e criteri per la verifica a taglio e presso
flessione dei maschi murari
Il metodo per essere applicabile richiede ipotesi abbastanza restrittive: l’edificio deve essere
scatolarmente rigido, ossia con solai ben collegati, con non più di tre piani ed infine la struttura
deve essere relativamente regolare.

Un aspetto importante è stato introdotto dalle norme dell’Umbria e delle Marche: il concetto di
miglioramento sismico, secondo cui ogni intervento sulla struttura esistente deve rappresentare in
generale un miglioramento. Secondo una interpretazione minimale, se, ad esempio, si realizza un
intervento di sostituzione di un solaio esistente, dobbiamo garantire che il risultato della
sostituzione sia un miglioramento della situazione precedente anche dal punto di vista del
comportamento antisismico. In realtà il D.M. ‘96 dice qualcosa in più: possiamo ritenere accettabile
un intervento generale di miglioramento sismico che raggiunga almeno il 65% dell’adeguamento
effettivo, vale a dire in cui almeno il 65% delle azioni sismiche siano sopportabili dalla struttura.

Nell’immediato post-sisma del ‘80 gli ingegneri, allora poco preparati alla problematica sismica,
applicavano criteri poco raffinati per il rinforzo sismico arrivando a prevedere pareti in c.a. anche in
edifici monumentali come le chiese. Si capì presto che la filosofia dell’adeguamento degli edifici
monumentali a tutti i costi era improponibile sia per le conseguenze di snaturamento degli edifici
storici sia per il fatto che frequentemente le scarse conoscenze delle strutture e del loro
comportamento motivavano interventi eccessivamente invasivi. Pertanto fu messo un fermo a tale
fenomeno tollerando che le strutture monumentali potessero non avere un adeguamento sismico e
quindi scomparve l’interventismo eccessivo derivante dal volere a tutti i costi adeguare le strutture
esistenti.

In molti casi interventi troppo invasivi mirati a modificare lo stato di fatto, possono essere validi
solo sulla carta, ma nella realtà possono portare anche a peggioramenti strutturali. E’ pertanto
necessaria una opportuna prudenza e capacità tecnica.

L’Ordinanza 3274 introduce una serie di restrizioni rispetto al D.M. 20/11/87, che, come innanzi
richiamato, non era destinato alle costruzioni in zona sismica.

Una delle variazioni del D.M. dell’87 rispetto alla Normativa precedente è nella formula che
fornisce la resistenza a taglio della muratura. Viene suggerita la formula attritiva alla Coulomb che
lega la resistenza a taglio della muratura alla resistenza caratteristica della stessa in assenza di
sforzo di compressione incrementata di una quota della o sforzo di compressione. La formula
contenuta nelle norme precedenti (D.M. 02/07/81) faceva riferimento alla rottura diagonale
(Turnsek-.Cacovic)
Per quanto riguarda le azioni, la O.P.C.M. 3274 ha introdotto un nuovo modo di procedere;
mentre il D.M. del ‘96 parte direttamente da uno spettro di progetto che poi amplifica con
coefficienti β , per tener conto della scarsa duttilità della muratura, con la 3274 partiamo dallo
spettro elastico, vale a dire uno spettro di risposta indicativo della risposta sismica al suolo in una
determinata zona, che viene poi ridotto sulla base delle capacità duttili della struttura attraverso un
coefficiente molto variabile che permette appunto di differenziare comportamenti fragili da quelli
duttili. Questa differenza concettuale, che riguarda tutte le strutture, è l’aspetto più innovativo della
nuova norma.

Lo spettro di risposta elastico si divide in quattro tratti: uno lineare ascendente con il periodo,
uno costante, un terzo iperbolico ed il quarto ancora iperbolico in funzione del quadrato del periodo;
il coefficiente S (v. par 3.2.3 O.P.C.M) tiene conto dell’ amplificazione locale legata allle
caratteristiche del suolo.

Utilizzando per le murature questo tipo di spettro, occorre poi definire un coefficiente di
struttura; il problema non è banale, tanto è vero che la 3274 ha avuto due versioni. Nella prima
versione pubblicata nel 2003 si prevedeva un coefficiente di struttura pari a 1.5 in forma
indifferenziata, che risultava illogicamente penalizzante per le murature. Nelle successive
integrazioni è stato definito per il coefficiente q un campo di variazione ben più esteso (si va da 1.5
per strutture non regolari a 2 per edifici regolari amplificati da un fattore αu/α1 simile a quello
adottato per le strutture in c.a. per tener conto della sovraresistenza, ossia della resistenza successiva
alla prima rottura fragile ovvero successiva al campo elastico). Questo coefficiente viene assunto, a
norma della 3274 ultima versione, pari a 1.4 – 1.8 (moltiplicando 2 per 1.8 possiamo raggiungere
3.6). Il coefficiente q ha un valore minimo pari a 2 nel caso di strutture non regolari e edifici molto
bassi che hanno scarsa sovraresistenza. Infatti negli edifici ad un solo piano la rottura locale
coincide praticamente con quella generale, mentre in un edificio alto il rompersi di una trave alta di
piano non determinerebbe il crollo, ma una evoluzione in campo non lineare sino poi al collasso
definitivo.

Sulle azioni sismiche nel D.M. 96 abbiamo la sovrapposizione della condizione di carico
verticale con quella sismica. Sottolineiamo che i coefficienti amplificativi delle azioni γg e γq
variano rispettivamente negli intervalli 1-1.4 e 0-1.5. I valori in tali intervalli devono essere scelti in
modo da massimizzare le sollecitazioni. Questo implica che le condizioni di carico da considerare
siano almeno due: una con carichi amplificati, sia quelli permanenti che quelli accidentali, l’altra in
cui i carichi permanenti non sono amplificati e addirittura non ci sono i carichi accidentali. Se, ad
esempio, abbiamo un pilastro inserito in una struttura in muratura, essendo questo un elemento poco
rigido perché ha dimensioni piccole in entrambe le direzioni, sarà soggetto prevalentemente a
carichi verticali. E’ chiaro che per un pilastro in campo sismico la condizione peggiore è quella a
carichi amplificati; al contrario per una parete di taglio, che per effetto del carico verticale ha un
incremento di resistenza, la condizione peggiore è quando i carichi verticali sono i minori possibili;
quindi ha senso considerare entrambe le condizioni al fine di massimizzare l’effetto del sisma.

Un curioso confronto evidenzia che, a seguito di una circolare emanata in maniera specifica per
strutture esistenti, abbiamo una differenza notevole tra gli edifici nuovi calcolati ai sensi del D.M.
‘96 e gli edifici esistenti verificati ai sensi della stessa norma. Le differenze sono due: da una parte
il coefficiente β, che è amplificativo, vale 2 per gli edifici nuovi, mentre vale 3.4 nel caso di edifici
esistenti, con la conseguenza che gli edifici esistenti sembrano fortemente penalizzati. Tuttavia il
coefficiente parziale di sicurezza, che divide la resistenza caratteristica per ottenere quella di
progetto, per gli edifici esistenti vale 1, mentre vale 2 per quelli nuovi. Insomma si configura una
situazione un po’ altalenante. In realtà la formulazione per gli edifici esistenti nasce dal fatto che
nel modo proposto si delinea una modalità di verifica simile a quella introdotta dal Decreto
Ministeriale della Campania dell’ 80 (D.M. 02/07/’81). Infatti in tale norma si consideravano le
azioni amplificate da un coefficiente pari a 4 e si consideravano le resistenze caratteristiche.

In realtà, confrontando le due Norme si nota che i coefficienti sono più penalizzanti per gli
edifici nuovi rispetto agli edifici esistenti. Di fatto questo modo di procedere potrebbe trovare una
giustificazione nel fatto che gli edifici esistenti, per il solo fatto di esistere nonostante gli eventi
sismici passati, hanno dato in qualche modo una prova di un buon comportamento.

Confrontando la O. 3274 con il D.M. ‘96 integrato dalla Circolare 21745, sotto l’aspetto
dell’azione sismica, ossia del tagliante sismico alla base dell’edificio rapportato alla massa dello
stesso moltiplicato per il fattore parziale di sicurezza, otteniamo un fattore pari circa a 2. Ovvero le
azioni della nuova normativa sono circa doppie di quelle che si ottenevano con la precedente
considerando i fattori parziali di sicurezza sulle resistenze.

Utilizzando un valore di q pari a 1.5 della prima formulazione della 3274 otteniamo dei rapporti
molto più gravosi, il ché vuol dire che tale norma era molto più esigente sulle murature.

Il D.M. del 1987 non forniva nessun modello di calcolo delle strutture; il D.M. del 1981 forniva
il metodo POR, l’Ordinanza fornisce nuove indicazioni sui modelli.

Prima di parlare dei modelli ricordiamo alcuni concetti generali che possono essere utili per
capire la valenza delle variazioni dei modelli.
Il comportamento meccanico di un edificio in muratura è influenzato da vari fattori, ad esempio
dalla rigidezza dell’impalcato. Questa ha due finalità importanti:

1) collegare i muri sollecitati fuori dal piano, perché se le murature sono sollecitate fuori del
piano e non sono collegate efficacemente a livello di solaio diventano molto vulnerabili (si
ribaltano);

2) avere un impalcato rigido fa sì che le azioni sismiche siano riportate sugli elementi più rigidi,
che sono solitamente più resistenti, mentre se non abbiamo impalcato rigido la verifica si dovrebbe
fare per aree di influenza; quindi se abbiamo un pilastro gravato da una certa massa, isolato dal
contesto, tale massa va a gravare solo sul pilastro su cui poggia, che ha una resistenza al taglio
piccolissima. Pertanto la presenza di un diaframma rigido è spesso fondamentale. Per avere
diaframmi rigidi si ricorre a solette in c.a. al di sopra di solai deformabili oppure si ricorre ad altre
tecniche talora con materiali innovativi come i compositi (FRP).

Per quanto che riguarda il problema della ripartizione, l’azione sismica si ripartisce in funzione
della rigidezza. L’Ordinanza 3274 sul problema della rigidezza prevede che, in presenza di una
soletta di almeno 50 mm di spessore, collegata adeguatamente al solaio, si può ritenere il solaio
rigido. Naturalmente questa è una condizione sufficiente ma non necessaria.

Per quanto riguarda rigidezza e resistenza nelle fasce di piano, è opportuno che le fasce siano in
grado di resistere fino al collasso dei maschi, altrimenti il loro collasso porta in conseguenza quello
dei maschi determinando il collasso generale della struttura.

Se siamo in presenza di fasce di piano molto rigide, il modello meccanico che nasce è un
modello in cui ogni piano lavora in maniera quasi indipendente dall’altro e la sollecitazione è
ripartita in funzione della rigidezza: ogni maschio avrà la sua resistenza e il collasso si avrà quando
tutti i maschi arrivano a rottura o quando la deformazione dei maschi più sollecitati è arrivata al suo
limite.

Se invece le fasce di piano sono più deboli, avranno rigidezza e resistenza limitata; il
comportamento reale è schematizzabile con tante murature verticali alte che sono collegate o da
pendoli (se l’impalcato è infinitamente rigido), o non collegate affatto, o collegate da un vincolo
cedevole (se il solaio è deformabile). Queste sono situazioni estreme; di solito abbiamo una
condizione in cui sono deformabili un po’ le fasce di piano un po’ i maschi di piano e questo
introduce un nuovo modello di calcolo, il modello a telaio.

Questo modello a telaio è perfettamente surrogabile da un meccanismo agli elementi finiti. Tali
metodi agli elementi finiti sono stati utilizzati prevalentemente in ambito di ricerca, per una serie di
ragioni, quali la complessità del legame costitutivo della muratura oppure la difficoltà di
discretizzazione e di modellazione e la dimensione del modello che viene fuori. Molti di questi
inconvenienti possono essere superati grazie anche ai computer moderni, molto più potenti rispetto
a quelli degli anni ’80, quando si cominciò a parlare di queste problematiche; quindi anche il
software è molto più evoluto e forse anche il telaio, che sembrava un metodo complesso da gestire,
si può ritenere superato.

Per ciò che concerne il problema dell’impalcato, esistono soluzioni rapide, come il solaio in
cemento armato totale, e altre più soft richieste da committenze più rispettose della storia degli
edifici, che possono fornire altre soluzioni come, ad esempio, travi che si sviluppano nello spessore
dei solai, operando nel piano del solaio con la finalità di agganciare le murature esterne per evitarne
il ribaltamento.

Per quanto riguarda la problematica degli ammorsamenti, se i solai sono debolmente ammorsati,
le azioni orizzontali non agiscono sull’interpiano ma sull’intera altezza; inoltre, se le murature sono
a spessore variabile lungo l’altezza (come di solito accade) e sono allineate sulla faccia esterna, solo
per l’effetto della gravità sono già portate a ruotare verso l’esterno e se a questo aggiungiamo
l’azione sismica il risultato è chiaramente un ribaltamento. Quindi il collegamento dei solai è
fondamentale così come lo è anche l’altezza delle murature, tanto è vero che le Normative pongono
dei limiti sulle altezze dei maschi murari (4-5m), poiché è difficile garantire la resistenza di maschi
murari con altezze rilevanti.

I meccanismi resistenti dei muri all’interno di ogni campo possono essere schematizzati come
degli archi di scarico oppure come delle travi con tre cerniere; naturalmente questi meccanismi che
si possono sviluppare sia nel piano verticale che nel piano orizzontale hanno senso solo se la
muratura è ancorata ai muri trasversali, condizione necessaria per l’equilibrio. Quindi se abbiamo
edifici, come spesso accade in edilizia povera, con dei muri con collegamenti poco efficaci, la
capacità di resistenza è molto modesta per l’insorgere di questi fenomeni di disarticolazione delle
murature che indeboliscono in maniera radicale la muratura.

Sostanzialmente il metodo POR presuppone che la struttura per caratteristiche proprie, ovvero
per effetto di interventi appositi, garantisca a priori un comportamento scatolare di insieme. Al
contrario la 3274 assume di base un comportamento ad elementi murari indipendenti, non collegati
se non attraverso pendoli, supponendo il solaio efficacemente rigido nel proprio piano, oppure a
modelli di telaio o a modelli più complessi, come possono essere quelli agli elementi finiti.
La verifica dei pannelli murari introdotta nelle norme del 1987 riguarda il singolo pannello con
carichi nel piano con piccola o grande eccentricità. Fenomeni di instabilità intervengono quando gli
elementi sono relativamente snelli e sono presi in conto dalle formule fornite; ci sono regole per
calcolare l’eccentricità strutturale, considerando per esempio il fuori piombo del muro superiore
rispetto al muro del piano inferiore, ovvero del solaio superiore rispetto all’asse del muro. Pertanto
la verifica parte dalla determinazione di una serie di eccentricità strutturali che si sommano a quelle
accidentali e a quella del vento. Tutto ciò porta a definire una eccentricità che insieme alla snellezza
fornisce un coefficiente correttivo che rappresenta l’amplificazione dovuta all’eccentricità ed agli
effetti del secondo ordine.

Il metodo POR nasce da una definizione di un legame elasto-plastico della muratura; viene
definita una rigidezza tenendo conto del comportamento tagliante e flessionale e una resistenza
legata alla rottura per trazione diagonale con la formula di Turnsek-Cacovic.

Sulla base di questo legame si fanno delle ripartizioni tenendo conto della duttilità limitata e si
valuta la resistenza a taglio complessiva di ciascun impalcato. In realtà questo metodo ha una serie
di inconvenienti, perché ipotizza una infinita rigidezza e resistenza delle fasce di piano, cosa che
non sempre è verificata, anzi raramente; inoltre considera un solo meccanismo di rottura dei maschi
che è quello della fessurazione diagonale ed ipotizza un meccanismo di piano che, trascurando le
variazioni di sforzo normale nei maschi, costituisce una soluzione non equilibrata.

Per questa ragione sono stati sviluppati svariati studi volti ad indagare sui limiti del metodo POR
e sulla possibilità di introdurre procedimenti correttivi. Ad esempio studi condotti negli anni 86-87
hanno evidenziato con confronti tra risultati ottenuti con il metodo POR e con procedure di calcolo
agli Elementi Finiti che, al crescere del numero di piani dell’edificio, i due metodi non
concordavano più: il metodo POR portava a risultati inattendibili.

Si è avuta, dunque, una evoluzione Normativa e la OPCM 3274 ha apportato una serie di
correttivi: non si può trascurare il fatto che i maschi vadano a collegarsi a una trave di piano ( in
sostanza un comportamento a telaio) e la rottura non può avvenire solo per fessurazione diagonale,
ma anche per taglio o per pressoflessione, quindi le condizioni da verificare sono più di una, mentre
la rottura fuori piano resta sempre quella a pressoflessione.

Quindi col metodo POR guardiamo solo un aspetto del problema e sottovalutiamo altri
meccanismi altrettanto importanti, commettendo errori crescenti con il numero dei piani e la
snellezza delle murature.
La OPCM 3274, oltre all’analisi statica lineare, non molto diversa da quella con la quale siamo
abituati ad operare, introduce l’analisi dinamica lineare. L’analisi modale, associata allo spettro di
risposta di progetto, è da considerarsi il metodo “normale” per la definizione delle sollecitazioni di
progetto e va applicata ad un modello tridimensionale dell’edificio. Due modelli piani separati per
le due direzioni possono essere utilizzati a condizione che siano rispettati i criteri di regolarità in
pianta. Dovranno essere considerati tutti i modi con massa partecipante superiore al 5%, oppure un
numero di modi la cui massa partecipante complessiva sia superiore all’85%.

Inoltre, ricordiamo che la sovrapposizione secondo l’OPCM 3274 può essere fatta con la somma
dei quadrati se sono soddisfatte delle condizioni di regolarità, se i modi da considerare sono
sufficientemente distinti e se le frequenze sono distinte; se questi non sono sufficientemente distinti,
si usa un criterio di sovrapposizione diverso per tener conto della influenza di modi molto vicini
nella oscillazione.

La vera novità introdotta è la analisi statica non lineare, sviluppata nei telai e che si potrà portare
anche nelle murature con tecniche adatte; esistono degli sforzi in tal senso, ma sembra che non si sia
arrivati a un livello di sufficiente definizione: a tal proposito l’ ACCA Software sta introducendo
grosse novità.

L’analisi statica non lineare consiste nel considerare una curva di spinta (push-over), in cui si
fanno crescere le azioni orizzontali in proporzione di un coefficiente α, considerando almeno due
distribuzioni delle azioni: distribuzioni di tipo triangolare, affini al primo modo di vibrare, oppure
distribuzioni costanti; in genere questa è la condizione più pericolosa a parità di tagliante al piede.

Inoltre la Norma richiede che siano considerate entrambe le condizioni di carico e da queste si
traggono delle curve “tagliante alla base – spostamento”. Tali curve vengono poi ridotte, tenuto
conto che abbiamo considerato solo il primo modo, attraverso il coefficiente γ che è il coefficiente
di partecipazione delle masse al primo modo di vibrazione.

Una volta costruita la curva carico-spostamento corretta col coefficiente γ , la possiamo


rappresentare in un piano ADRS, che ha sull’asse orizzontale lo spostamento e sull’asse verticale la
pseudo accelerazione. L’utilità della rappresentazione della curva di risposta in tale piano è nel fatto
che nello stesso piano può essere riportato lo spettro di risposta caratteristico del suolo di impianto
dell’edificio in esame. Tale rappresentazione è in realtà un modo diverso di rappresentare gli spettri
di risposta.

Intersecando la retta iniziale della curva di push-over con lo spettro sollecitante del sito di
interesse, si ottiene la richiesta di spostamento con relazioni molto semplici. Se la curva di push-
over va oltre lo spostamento richiesto, la struttura può essere ritenuta come adeguata; viceversa, se
lo spostamento ottenuto (capacità) è inferiore a quello richiesto (domanda) la struttura non è
adeguata e la distanza tra questi due punti rappresenta il grado di inadeguatezza della struttura.

Il comportamento non lineare della struttura è definito a partire da quello dei singoli maschi
murari. Definito il ramo elastico dei maschi murari vengono modellati comportamenti elasto-
plastici, con campo di deformazione preassegnato in funzione del tipo di rottura. Infatti la Norma
definisce, a seconda del tipo di meccanismo di rottura, una diversa capacità di spostamento. In
particolare se abbiamo una rottura per taglio avremo una capacità di spostamento minore di quella
che avremmo in presenza di un meccanismo di rottura per pressoflessione.

Naturalmente è prevista anche una analisi dinamica non lineare che, date le difficoltà di
modellazione, mi sembra generalmente eccessiva per le murature, salvo adottarla per ragioni di
studio; magari tra 10 anni sarà possibile procedere con facilità ad analisi dinamiche non lineari, ma
ad oggi sembra cosa realistica fermarsi all’analisi statica non lineare.

Per quanto riguarda le verifiche fuori del piano, l’OPCM 3274 è molto più precisa del D.M. del
1996 e definisce le forze di piano evidenziando azioni fuori del piano di maggiore intensità ai piani
alti.

Il problema della verifica risiede nella modellazione dei vincoli al contorno. Ad esempio, se
consideriamo la parete incernierata sopra e sotto, avremo una resistenza nella sezione centrale che
può essere valutata in maniera semplice: essendo la forza sismica (q*h) distribuita uniformemente
lungo l’altezza, si ha un momento massimo in mezzeria pari a ql2/8.

Tuttavia questa verifica è piuttosto cautelativa: se il muro forma, sotto l’azione di queste forze,
un meccanismo con tre cerniere plastiche (al centro ed agli estremi inferiore e superiore),
nasceranno superiormente ed inferiormente momenti che incrementeranno la resistenza del pannello
murario. Quindi, assumendo modellazioni più accurate, si vede che gli spessori normalmente usati
sono generalmente sufficienti. Naturalmente siamo avvantaggiati se c’è un carico verticale: in tal
caso il momento plastico è più grande; in assenza di carico verticale il momento plastico è nullo,
almeno alla sommità del pannello.

Per valutare i momenti resistenti di sezioni di muratura sollecitate a pressoflesione, secondo


l’OPCM 3274, bisogna operare come si fa per il cemento armato normale considerando una
distribuzione uniforme di compressione (stress block) con una resistenza pari a 0.85 volte la
resistenza di progetto della muratura. Seguendo tale strada è facile scrivere delle relazioni di
equilibrio ipotizzando la conservazione delle sezioni piane e ricavare i domini di resistenza (M,N).
Da questi si capisce come, al crescere di N, cresca notevolmente M. Se abbiamo un carico
bassissimo su una muratura, il momento resistente sarà bassissimo, se abbiamo un carico medio il
momento resistente è molto alto. Se abbiamo un carico di collasso, è chiaro che non possiamo
apportare momento, perché basterebbe una piccola eccentricità per arrivare al collasso e quindi,
usando tali formule, si costruisce il dominio e si verifica se la nostra muratura capita all’interno o
meno.

Vediamo infine cosa aggiunge il Decreto Ministeriale 14/9/2005.

Il coefficiente riduttivo della resistenza γ , è dato dal prodotto di due coefficienti variabili ( γ m e

γ R ,d ); γ m dipende dalla categoria di muratura, ossia, se abbiamo muratura di qualità (artificiale),

con controllo di qualità, il γ m può essere più basso ( γ m =2); viceversa se abbiamo muratura
naturale con elementi non di altissima qualità, abbiamo un valore maggiore ( γ m =2.5); invece il γ R ,d

dipende dal tipo di verifica che si intende eseguire: alle tensioni ammissibili (=2) o agli stati limite
(=1.2); in campo sismico naturalmente facciamo sempre riferimento allo SLU.

Per il taglio valgono gli stessi coefficienti riduttivi da applicare alla resistenza caratteristica a
taglio.

I coefficienti analoghi del D.M. del 1987 sono rispettivamente 5 quando si adotti il metodo delle
tensioni ammissibili e 3 quando si adotti il metodo degli stati limite. Il confronto con il D.M.
14/09/2005 evidenzia per esso in campo sismico un valore variabile tra 2.4 e 3.o (2*1.2, 2.5*1.2)
maggiore del 2 della O. 3274. Anche per il taglio, poiché si passa da un 2 secondo la O. 3274, a
valori variabili tra 2.4-3 con il D.M. 14/09/2005, la verifica diventa più penalizzante.

Inoltre nell’ultimo D.M. è stata introdotta una nuova definizione di resistenza delle malte: invece
di avere M1 M2 M3 M4 abbiamo M15 M10 M5 che risulta più autoesplicativa, in quanto il pedice
specifica la resistenza della malte in N/mm2.

La verifica fuori del piano torna ad essere di tipo elastico con coefficiente φ dipendente dalla
eccentricità e dalla snellezza.

Sono introdotte ulteriori regole per le verifiche di resistenza. Nella verifica a taglio il coefficiente
β è un fattore correttivo che tiene conto della parzializzazione della sezione: se il muro è
interamente reagente β vale uno. Tale valore viene esteso anche al caso di eccentricità inferiore ad
1/3 della dimensione significativa

Fondamentale è ritenuta la resistenza delle fasce: le murature sollecitate assialmente hanno una
certa resistenza a flessione perché la compressione conferisce questa resistenza; una muratura
sollecitata a sola flessione non potrebbe sostenere alcun carico flettente. Le fasce di piano possono
sostenere azioni flettenti solo perché nell’inflettersi trovano contrasto nei cordoli di piano. Infatti,
poiché la trave di piano (fascia) comporta nel suo meccanismo di rottura una dilatazione, se ci sono
dei cordoli nasce questa azione di compressione pari alla trazione assorbita dai cordoli stessi. Se
non ci sono cordoli orizzontali allora la resistenza delle fasce non si può avere se non inserendo
catene o altri tipi di tiranti aggiuntivi.

In conclusione, nonostante la muratura sia tra i più antichi materiali da costruzione, resta uno dei
problemi più difficili da trattare con i metodi dell’ingegneria moderna.

L’evoluzione delle normative,divenuta impetuosa negli ultimi tempi in quanto stimolata dagli
eventi sismici frequenti e dalla rilevanza economica e storico-monumentale del patrimonio edilizio
in muratura esistente, richiede un continuo aggiornamento dei tecnici e degli strumenti operativi,
sempre più necessari per tener conto delle cresciute conoscenze sul comportamento delle murature.

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