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I dissesti strutturali dei solai in latero cemento

di Luigi Coppola e Alessandra Buoso

Tratto dal Capitolo 6 del libro di Luigi Coppola e Alessandra Buoso, edito da ULRICO HOEPLI, dal titolo “IL
RESTAURO DELL’ARCHITETTURA MODERNA IN CEMENTO ARMATO - Alterazione e dissesto delle strutture
in c.a. - Diagnostica – Interventi di manutenzione e adeguamento antisismico - Materiali, tecniche e
cantieristica”. La numerazione delle figure è stata mantenuta la stessa del libro.

Introduzione
Le opere in calcestruzzo armato possono essere interessate non solo dalle forme di alterazione e di
degrado) di tipo fisico-chimico causato da agenti aggressivi esterni (anidride carbonica, cloruri, solfati, etc.)
o determinate da errori commessi durante l'esecuzione dell'opera (macchie, bolle superficiali, perdite di
boiacca, etc.), ma anche da fenomeni di dissesto strutturale – generati dall'azione dei carichi verticali e da
quelli orizzontali (di natura sismica) o dalle coazioni promosse dal ritiro idraulico impedito – che si
manifestano generalmente in forma di quadri fessurativi, di deformazioni più o meno pronunciate degli
elementi costruttivi sia strutturali che non portanti, di schiacciamento del calcestruzzo e di svergolamento
delle barre di armatura e, nei casi più gravi, di crollo sia delle strutture portanti che di quelle accessorie.
La comprensione delle cause e dell'evoluzione di questi fenomeni rappresenta un compito difficile, spesso
controverso e arduo, che richiede una notevole sensibilità e una profonda esperienza, ma che si rende
necessaria per una corretta definizione di un intervento di ripristino. Intervento che, oltre ad eliminare le
patologie riscontrate, deve porsi come obiettivo anche quello di sanare le carenze insite negli elementi
strutturali e accessori al fine di migliorarne sia la risposta locale che complessiva nei confronti delle azioni
statiche e dinamiche agenti.
Sebbene le forme di dissesto strutturale possano essere molteplici e, per certi versi, "infinite", le situazioni
che possono determinare la comparsa di dissesti di tipo strutturale possono essere ascritte a (Fig. 6.1):
• cedimenti di fondazione.
• carenze statiche e/o costruttive nei confronti delle sollecitazioni flettenti, taglianti e di
compressione assiale.
• scadente risposta all'azione sismica e conseguenti danneggiamenti sia alle strutture portanti che
agli elementi secondari (ad esempio, tamponamenti e tramezzi).
Inoltre, le fessurazioni negli elementi in c.a. possono essere ricondotte alle coazioni che insorgono per
effetto del ritiro idraulico della matrice cementizia impedito dalla presenza dei vincoli interni ed esterni
all'elemento strutturale interessato dalla contrazione di volume.
Nel presente capitolo vengono presentate le principali forme di dissesto, i quadri fessurativi e deformativi
ad esse associati, gli elementi strutturali e accessori coinvolti, le possibili cause responsabili delle patologie
riscontrate.
Resta inteso, proprio per la molteplicità delle situazioni che si possono incontrare, che il presente capitolo
non ha altro obiettivo che individuare le patologie più ricorrenti e, pertanto, non ha la pretesa di catalogare
tutte le forme di dissesto possibili.
Questo equivale a dire che quando una determinata opera presenta fessure, deformazioni, schiacciamenti
localizzati o estesi del calcestruzzo, deformazioni delle barre d'acciaio, o semplicemente carenze di tipo
strutturale per errori di progettazione delle sezioni in calcestruzzo armato, sarà compito del progettista
analizzarle accuratamente e studiarne attentamente i provvedimenti finalizzati ad una messa in sicurezza
che garantisca un’eccellente risposta sia locale che globale dell'organismo che si sta indagando.

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Fig. 6.1 – Le principali cause di dissesto strutturale e gli elementi portanti e accessori coinvolti.

6.3 Dissesti nei solai


Nel presente paragrafo vengono presentati e discussi i principali dissesti che interessano i solai. Almeno in
Italia, la tipologia più ricorrente per questo elemento costruttivo è quella in "latero-cemento" realizzata
mediante (Fig. 6.23) da travetti in calcestruzzo armato (un tempo realizzati in opera oggi in elementi
prefabbricati), tra i quali vengono inseriti dei laterizi (pignatte) in cotto, collegati sull'estradosso da una
soletta (la "cappa") collaborante anch'essa in calcestruzzo armato generalmente di spessore variabile tra i 4
e i 6 cm. In questi solai, la struttura staticamente resistente è costituita dai travetti e dalla soletta
collaborante; le pignatte in laterizio, invece, sono elementi di alleggerimento del solaio stesso che hanno
anche la funzione di migliorare la coibenza ter-mica dell'elemento di partizione orizzontale.

Fig. 6.23 (sopra) – Sezione schematica di un solaio in latero-cemento a travetti e pignatte.

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La tipologia di degrado più diffusa nei solai in latero-cemento è rappresentata dalla corrosione
dell’armatura dei travetti in prossimità dell'intradosso degli stessi. Per effetto della formazione della
ruggine, molto più voluminosa del ferro metallico delle barre, il calcestruzzo degli elementi del travetto che
garantiscono l'appoggio delle pignatte viene espulso e, conseguentemente, si ha il crollo dei laterizi (Fig.
6.24).

Fig. 6.24 (a lato) – Corrosione dell'armatura dei travetti e crollo parziale delle pignatte in laterizio.

La corrosione è molto frequente nei solai all'esterno che alternano condizioni di asciutto/bagnato e che,
quindi, favoriscono la corrosione delle barre d'armatura promossa dell'anidride carbonica dell'aria. Nei
periodi asciutti, infatti, è favorita la diffusione della CO2 nella matrice cementizia; in quelli bagnati, invece,
la diminuzione di resistività elettrica del calcestruzzo del copriferro saturo di acqua favorisce il processo
corrosivo. Si tenga anche presente che – soprattutto nei vecchi edifici dove i travetti venivano realizzati
mediante getto del calcestruzzo in opera – il calcestruzzo per la necessità di fluire attraverso gli angusti
spazi del travetto (di modeste dimensioni: pari a circa 10 cm) veniva preparato con copiose aggiunte di
acqua (all'epoca non esistevano gli additivi "superfluidificanti") e, quindi, con rapporti a/c elevati (elevata
porosità della matrice) che favorivano la carbonatazione. Se a questo si aggiunge che, per le ridotte
dimensioni del travetto, anche il copriferro risultava di piccolo spessore (inferiore al cm in alcuni casi), si
intuisce come nei solai la corrosione trova condizioni favorevoli per manifestarsi. Per questi motivi, il
degrado si manifesta con una certa frequenza nei vecchi edifici, dove, ad esempio, le solette dei balconi
venivano realizzate prolungando i travetti del solaio interno all'abitazione (Fig. 6.24) oppure nei
camminamenti esterni o nelle rampe di accesso alle tribune degli stadi.

La corrosione dei travetti interessa anche i solai di copertura allorquando non esiste una efficace
impermeabilizzazione o se per difetti di coibentazione si verificano fenomeni di condensa che possono
alimentare il processo di corrosione. Il problema si può anche presentare nei piani interrati, dove i travetti e le
pignatte non vengono intonacati e sono, quindi, direttamente esposti alla condensa e ad eventuali infiltrazioni
d’acqua dal perimetro dello stabile. Oltre ai solai di copertura e a quelli dei vani interrati un potenziale
rischio di corrosione delle armature dei travetti sussiste anche nei bagni e nelle cucine per via dell’elevata
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produzione di vapore. Tuttavia, il dissesto è puramente "teorico" in quanto sono quasi inesistenti i casi di
crollo del solaio segnalati per questi ambienti.
Particolarmente esposti al rischio di corrosione sono i solai realizzati con elementi prefabbricati costituiti da
un fondello di laterizio e da un traliccio in acciaio (Fig. 6.25) il cui corrente inferiore è annegato in una malta
di cemento, mentre le staffe e il corrente superiore del traliccio sono a vista e vengono inglobati nel getto
di calcestruzzo che verrà realizzato in opera dopo aver predisposto tra i travetti le pignatte le cui pareti
laterali e la superficie superiore fungono da cassero a perdere per il getto del conglomerato del travetto e
della soletta collaborante.

Fig.6. 25 – Vista schematica di un travetto di solaio con fondello in laterizio.

La corrosione in questa tipologia di solai è favorita oltre che dal ridotto spessore del copriferro che ricopre
l'armatura del corrente inferiore del traliccio, dalla qualità particolarmente scadente (in termini di porosità)
della malta impiegata per l'inglobamento dell'armatura inferiore.

Un problema analogo si riscontra nei solai con travi stirate e gambaletti in laterizio completati in opera
mediante getto in calcestruzzo (Fig. 6.26 e 6.27). La trave in acciaio non è ad anima piena, ma è provvista di
un profilo ad andamento sinusoidale che collega i due correnti superiore ed inferiore. I "gambaletti"
appoggiati sull'ala inferiore della trave metallica fungono da cassero a perdere per il getto del travetto.

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Fig. 6.26– Vista schematica di una trave "stirata"

Fig. 6.27– Solaio a trave "stirata" con gambaletti in cotto, soletta collaborante in c.a. e controsoffittatura in
tavelloni di laterizio

Dal punto di vista squisitamente strutturale, indipendentemente dalla tipologia di solaio, il crollo delle
pignatte o degli elementi in laterizio non deve preoccupare. Infatti, gli elementi in cotto non assolvono
alcun compito statico essendo dei meri elementi di alleggerimento del peso proprio dell'orizzontamento.
Pertanto, l'intervento di ripristino di solai a travetti e pignatte deve essere finalizzato esclusivamente alla
ricostruzione degli elementi in calcestruzzo armato (Cap. 8).

Un ulteriore problema dei solai in latero-cemento (Fig. 6.28), ma anche dei solai costituiti da profili in
acciaio e tavelloni in laterizio è costituito dalla rottura del fondello dell'elemento in cotto (sfondellamento).
Questa problematica è da ascrivere all'utilizzo di intonaci utilizzati per la realizzazione della soffittatura che
possiedono un’elevata resistenza a compressione e, conseguentemente, un elevato modulo di elasticità.
Sono intonaci confezionati con "generosi" dosaggi di cemento e, pertanto, soggetti a forte contrazione
dimensionale per effetto del ritiro idraulico.

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Fig. 6.28 (a lato) – Rottura del fondello degli elementi in cotto in un aggetto.

L'impedimento al ritiro dell'intonaco esercitato dall'elemento in cotto determina la nascita di tensionali


tangenziali all'attacco del fondello con i setti trasversali in cotto. L'area ridotta sulla quale questi sforzi
agiscono produce il distacco del fondello dal corpo del laterizio. Il distacco è favorito anche dal fatto che per
il processo di produzione degli elementi in cotto (mediante estrusione dell'argilla cruda) determina proprio
in corrispondenza dell'attacco fondello-setti una zona di particolare debolezza.
Il problema dello sfondellamento riguarda principalmente i solai interni di edifici costruiti da almeno una
decina di anni, ove, erroneamente, sono state utilizzate per la realizzazione dell'intonaco del soffitto malte
particolarmente ricche di cemento. La motivazione del perché sono i solai interni a soffrire particolarmente
di questa problematica risiede nel fatto che all'interno delle abitazioni si realizzano umidità relative più
basse, rispetto all'esterno dei fabbricati, che favoriscono il fenomeno del ritiro idraulico dell'intonaco
responsabile della rottura del fondello. Ovviamente, la contrazione dimensionale aumenta nel tempo e
raggiunge il suo apice dopo qualche anno dalla realizzazione dell'intonaco e questo giustifica perché il crollo
dei laterizi si manifesta a distanza di tempo dalla ultimazione dei fabbricati. È da sottolineare, tuttavia,
come questo problema sia praticamente assente nei fabbricati di recente costruzione, in quanto, nella
realizzazione degli intonaci interni vengono utilizzate malte con bassi valori della resistenza a compressione
che, pertanto, grazie al basso dosaggio di cemento esplicano ridotte contrazioni dimensionali che, anche
per effetto del basso modulo di elasticità, inducono sforzi tangenziali compatibili con le capacità resistenti
del fondello in laterizio

Tratto dal libro di Luigi Coppola e Alessandra Buoso, edito da ULRICO HOEPLI, dal titolo “IL RESTAURO
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