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I dissesti strutturali delle strutture in c.a.

promossi dal ritiro e da


carenze statiche e/o costruttive
di Luigi Coppola e Alessandra Buoso

Tratto dal Capitolo 6 del libro di Luigi Coppola e Alessandra Buoso, edito da ULRICO HOEPLI, dal titolo “IL
RESTAURO DELL’ARCHITETTURA MODERNA IN CEMENTO ARMATO - Alterazione e dissesto delle strutture
in c.a. - Diagnostica – Interventi di manutenzione e adeguamento antisismico - Materiali, tecniche e
cantieristica”. La numerazione delle figure è stata mantenuta la stessa del libro.

Introduzione
Le opere in calcestruzzo armato possono essere interessate non solo dalle forme di alterazione e di
degrado) di tipo fisico-chimico causato da agenti aggressivi esterni (anidride carbonica, cloruri, solfati, etc.)
o determinate da errori commessi durante l'esecuzione dell'opera (macchie, bolle superficiali, perdite di
boiacca, etc.), ma anche da fenomeni di dissesto strutturale – generati dall'azione dei carichi verticali e da
quelli orizzontali (di natura sismica) o dalle coazioni promosse dal ritiro idraulico impedito – che si
manifestano generalmente in forma di quadri fessurativi, di deformazioni più o meno pronunciate degli
elementi costruttivi sia strutturali che non portanti, di schiacciamento del calcestruzzo e di svergolamento
delle barre di armatura e, nei casi più gravi, di crollo sia delle strutture portanti che di quelle accessorie.
La comprensione delle cause e dell'evoluzione di questi fenomeni rappresenta un compito difficile, spesso
controverso e arduo, che richiede una notevole sensibilità e una profonda esperienza, ma che si rende
necessaria per una corretta definizione di un intervento di ripristino. Intervento che, oltre ad eliminare le
patologie riscontrate, deve porsi come obiettivo anche quello di sanare le carenze insite negli elementi
strutturali e accessori al fine di migliorarne sia la risposta locale che complessiva nei confronti delle azioni
statiche e dinamiche agenti.
Sebbene le forme di dissesto strutturale possano essere molteplici e, per certi versi, "infinite", le situazioni
che possono determinare la comparsa di dissesti di tipo strutturale possono essere ascritte a (Fig. 6.1):
• cedimenti di fondazione.
• carenze statiche e/o costruttive nei confronti delle sollecitazioni flettenti, taglianti e di
compressione assiale.
• scadente risposta all'azione sismica e conseguenti danneggiamenti sia alle strutture portanti che
agli elementi secondari (ad esempio, tamponamenti e tramezzi).
Inoltre, le fessurazioni negli elementi in c.a. possono essere ricondotte alle coazioni che insorgono per
effetto del ritiro idraulico della matrice cementizia impedito dalla presenza dei vincoli interni ed esterni
all'elemento strutturale interessato dalla contrazione di volume.
Nel presente capitolo vengono presentate le principali forme di dissesto, i quadri fessurativi e deformativi
ad esse associati, gli elementi strutturali e accessori coinvolti, le possibili cause responsabili delle patologie
riscontrate.
Resta inteso, proprio per la molteplicità delle situazioni che si possono incontrare, che il presente capitolo
non ha altro obiettivo che individuare le patologie più ricorrenti e, pertanto, non ha la pretesa di catalogare
tutte le forme di dissesto possibili.
Questo equivale a dire che quando una determinata opera presenta fessure, deformazioni, schiacciamenti
localizzati o estesi del calcestruzzo, deformazioni delle barre d'acciaio, o semplicemente carenze di tipo
strutturale per errori di progettazione delle sezioni in calcestruzzo armato, sarà compito del progettista
analizzarle accuratamente e studiarne attentamente i provvedimenti finalizzati ad una messa in sicurezza
che garantisca un’eccellente risposta sia locale che globale dell'organismo che si sta indagando.

Fig. 6.1 – Le principali cause di dissesto strutturale e gli elementi portanti e accessori coinvolti.

6.3 Quadri fessurativi e deformativi promossi dal ritiro e da carenze statiche e/o costruttive
La comparsa di quadri fessurativi e deformativi negli elementi in c.a. può:
― favorire l'ingresso di sostanze aggressive e innescare, quindi, la corrosione delle barre d'armatura
e/o i processi di degrado del calcestruzzo per effetto dei cicli di gelo disgelo o delle reazioni chimiche
promosse dal solfato, dall'acido carbonico etc.;
― compromettere l'aspetto estetico della struttura;
― pregiudicare la funzionalità dell'elemento strutturale coinvolto o l'opera nel suo complesso;
― risultare pericolosa ai fini della sicurezza strutturale.
Per questo motivo, nelle nuove costruzioni è opportuno adottare tutti gli accorgimenti di calcolo, quelli
progettuali, come il ricorso ai giunti, ad armature di ripartizione che consentano di prevenire la comparsa
delle lesioni o di controllarne sia lo sviluppo che l'ampiezza. Nelle costruzioni esistenti, invece, è di
fondamentale importanza stabilire le cause che hanno prodotto la comparsa di un quadro fessurativo e/o
deformativo, onde valutare quale intervento di ripristino adottare. A tale scopo, al fine di comprendere la
"genesi" della lesione è opportuno valutare il suo andamento in relazione all'elemento strutturale
coinvolto, la sua posizione, l'apertura massima della lesione, i cigli e i ventri fessurativi nonché quando le
fessure si sono manifestate.

6.3.1 I quadri fessurativi promossi dal ritiro idraulico del calcestruzzo


In via del tutto generale, si ritiene che lesioni indotte dallo sforzo di trazione generato dall'impedimento al
ritiro del calcestruzzo non siano pericolose dal punto di vista strutturale, ma rappresentino un problema
per la durabilità delle strutture coinvolte e per la loro funzionalità. Si pensi, ad esempio, alle fessure nelle
pavimentazioni industriali prodotte da un'erronea o tardiva realizzazione dei giunti di contrazione. I quadri
fessurativi, in questo caso, tendono nel tempo a evidenziare fenomeni di sbrecciamento dei cigli della
lesione per effetto dell'azione esercitata dal passaggio di veicoli su ruote che possono compromettere la
funzionalità del pavimento. Oppure, si faccia riferimento alle fessurazioni di un muro verticale di sostegno o
di una vasca di contenimento di acque o di un canale. In questo caso, la comparsa delle fessure da ritiro
determina la perdita di tenuta idraulica della struttura.
In linea di massima, le fessure da ritiro igrometriche nelle travi non costituiscono un problema per la statica
delle strutture poiché presentano ampiezze modeste, inferiori a due-tre decimi di millimetro, e, pertanto,
non pregiudizievoli nemmeno per la durabilità dell'opera. In un telaio a più campate le fessurazioni da ritiro
si presenteranno con maggiore probabilità nelle campate intermedie, nelle quali maggiore, rispetto a quelle
di estremità, è il grado di incastro della trave ai pilastri. Inoltre, sebbene la tensione di trazione derivante
dall'impedimento alla contrazione da ritiro risulti massima in corrispondenza della mezzeria della trave, le
lesioni, grazie alla presenza dell'armatura che distribuisce la contrazione su tutta la luce della trave, si
manifestano nelle zone caratterizzate dalla minore percentuale di "ferro" che sono quelle ove si ha
l'inversione del diagramma dei momenti flettenti derivanti dai carichi verticali. Pertanto, la sede più
probabile per la soluzione di continuità è rappresentata dalle sezioni che distano dall'incastro con il pilastro
di circa ⅓ ÷ ¼ della luce della campata (Fig. 6.7 e 6.8).

Fig. 6.7 – Formazione di fessure dovute al ritiro idraulico nella trave della campata centrale nella zona ove per
effetto dell’inversione del diagramma del momento flettente la sezione è più sguarnita di armatura
presentando solo ferri piegati.
Fig. 6.8 – Particolare della trave della campata centrale di Fig. 6.7. Sono evidenziate le zone di possibile
formazione delle fessure per ritiro idraulico.

A proposito dello sforzo di trazione indotto dall'impedimento al ritiro in una trave in calcestruzzo armato
(Fig. 6.9), si possono configurare due distinte situazioni: una rappresentata da uno stato tensionale
superiore alla resistenza a trazione del conglomerato che determina la formazione della soluzione di
continuità. In tal caso, l'andamento delle fessure da ritiro in una trave è prevalentemente verticale e si
presenta con ampiezza costante lungo tutta l'altezza della trave. La seconda da uno stato di sforzo
prossimo, sebbene inferiore, alla resistenza a trazione del calcestruzzo. In questa seconda evenienza la
trave si presenta integra.

Fig. 6.9 – Schematizzazione dell'effetto dell'armatura sul ritiro di una trave in calcestruzzo armato

Nella Tabella 6.1, a titolo di esempio, si riporta lo stato tensionale indotto dall'impedimento al ritiro
esercitato dall'armatura in una trave ad armatura dissimmetrica (area del ferro 20 cm2) di sezione 20x50
cm.
Come si può notare, lo stato tensionale di trazione indotto nella trave per effetto del ritiro idraulico
impedito, non è trascurabile (σctmax), sebbene ridotto dalla viscosità del calcestruzzo (σctmaxC). È
presumibile che, grazie ai coefficienti di sicurezza adottati nel calcolo per il valore della resistenza a trazione
di progetto, lo stato tensionale effettivo indotto dal ritiro non risulti sufficiente a provocare la fessurazione
della trave.

Tabella 6.1 – Stato tensionale indotto dall'impedimento al riti-ro in una trave ad arma-tura dissimmetrica.

Tuttavia, per effetto di un evento esterno quale, ad esempio, il terremoto, il valore della tensione di
trazione può subire un incremento come conseguenza del fatto che l'azione orizzontale determina una
deformazione del telaio cui la trave appartiene. Lo spostamento della trave avviene inizialmente senza
alcun incremento delle compressioni/trazioni. Successivamente, per l'elasticità della struttura, il sistema
tende a ritornare nella posizione originaria inducendo trazione nella trave.

Questa sollecitazione di trazione aggiuntiva si somma a quella esistente nella sezione in calcestruzzo
armato per effetto del ritiro e può provocare la comparsa di lesioni, sebbene di modesta entità. Questo
significa che nei fabbricati in calcestruzzo armato soggetti all'azione del terremoto si possono evidenziare
fessure da ritiro che non si sarebbero manifestate in assenza del terremoto, anche se lo stato coattivo
esistente all'interno delle sezioni in calcestruzzo armato, prima dell'azione sismica, di fatto, non poteva
ritenersi trascurabile.
Sebbene gli effetti del ritiro idraulico siano riscontrabili in qualsiasi elemento in calcestruzzo armato –
purché esposto all'aria – tuttavia, i quadri fessurativi promossi dalla contrazione di volume di origine
igrometrica sono per lo più ricorrenti negli elementi strutturali caratterizzati da un elevato rapporto
superficie/volume, quali solette, pavimentazioni, rampe e muri verticali con elevato sviluppo lineare. In
queste strutture, infatti, per la rilevante superficie esposta all'aria, maggiore è il quantitativo di acqua che
dalla matrice cementizia può evaporare verso l'ambiente esterno generando elevate contrazioni di volume
della matrice cementizia. L'impedimento alla libera contrazione da ritiro genera stati tensionali di trazione
che nelle pavimentazioni – in assenza di giunti o quando questi sono realizzati in ritardo, ovvero non
correttamente distanziati e profondi – possono produrre quadri fessurativi ad andamento caotico (Fig.
6.10) e che nei casi più gravi possono determinare lo sbrecciamento e la completa disgregazione del
calcestruzzo per azione combinata di carichi mobili e di cicli di gelo disgelo (Fig. 6.11). Le fessurazioni da
ritiro, infine, si manifestano anche per la mancata progettazione e/o corretta esecuzione dei giunti negli
elementi di grande estensione superficiale o lineare (Fig. 6.12).
Fig.6.10 – Fessurazione ramificata sulla superficie di una pavimentazione in calcestruzzo (Showroom
Duvetica – Arch. Tadao Ando – Milano)

Fig.6.11 - Pista in calcestruzzo velodromo di Dalmine (BG) – Sbrecciamento e disgregazione del calce-struzzo
per effetto dei carichi mobili e dei cicli di gelo-disgelo in corrispondenza delle fessurazioni prodottesi per
effetto del ritiro igrometrico
Fig.6.12– Fessurazione per mancanza di giunti sulle gradinate in calcestruzzo del Velodromo di Dalmine (BG)

6.3.2 I dissesti per carenze statiche e/o costruttive


Fatta eccezione per i cedimenti di fondazione e per i quadri fessurativi promossi dal ritiro idraulico, peraltro
facilmente identificabili in quanto presentano – per localizzazione delle soluzioni di continuità e per
carattere della lesione – specificità non comuni ad altre cause di dissesto, la presenza di fessure e
deformazioni negli elementi costruttivi può derivare da carenze statiche e/o costruttive. Al fine di
comprendere la causa responsabile del dissesto e la sua pericolosità per la statica dell'elemento e della
struttura nel suo complesso, onde poter successivamente definire la "terapia" per gli eventuali interventi
provvisionali e per quelli definitivi tesi all'eliminazione della patologia riscontrata, sarà necessario (Fig.
6.13):
― rilevare l'andamento della lesione in relazione allo schema statico dell'elemento costruttivo. In
sostanza, è opportuno rilevare la localizzazione e l'estensione della lesione non fine a se stessa, ma
analizzata in relazione alla possibilità che la stessa possa interrompere o meno la continuità strutturale di
un'apparecchiatura costruttiva;
― analizzare l'andamento delle lesioni al fine di valutare se le stesse presentino caratteristiche tipiche
delle fessure prodotte dalla sollecitazione tagliante e/o flessionale. A questo proposito, sarà utile –
soprattutto negli elementi inflessi – identificare l'andamento della lesione rispetto alle isostatiche di
compressione/trazione dell'elemento costruttivo;
― valutare l'ampiezza della lesione in relazione al suo sviluppo al fine di individuare i ventri e le
cuspidi della soluzione di continuità e il punto in cui essa raggiunge la sua massima ampiezza;
― determinare lo spessore del copriferro onde stabilire eventuali errori nella disposizione della gabbia
di armatura con conseguente riduzione della coppia resistente interna della sezione in c.a. La
determinazione dello spessore del copriferro a ridosso della sezione fessurata si rende necessaria anche per
stabilire la pericolosità di una lesione come meglio verrà chiarito al successivo paragrafo 6.3.3.
Fig. 6.13 – Elementi chiave nel rilievo dei quadri fessurativi attribuibili a carenze statiche e/o costruttive

I quadri fessurativi degli elementi inflessi seguono l'andamento degli sforzi di compressione, sviluppandosi
in direzione perpendicolare agli sforzi di trazione (Fig. 6.14); le lesioni attribuibili alle sollecitazioni taglianti,
invece, si sviluppano in prossimità degli appoggi con un'inclinazione a 45° (Fig. 6.15).

Fig. 6.14 – Andamento schematico delle isostatiche di compressione e trazione per una tra-ve soggetta a
flessione.

Fig. 6.15 – Lesioni in funzione del tipo di sforzo agente su una trave in calcestruzzo
Le fessure per flessione su travi o solette in c.a. con vincoli di appoggio semplice o continuo si manifestano
generalmente all'intradosso nella mezzeria o all'estradosso in corrispondenza degli appoggi e sono
caratterizzate da un andamento perpendicolare all'asse principale della trave.
Le lesioni si presentano con la massima ampiezza in mezzeria all'intradosso (sono beanti verso l'intradosso
della trave) e agli appoggi sull'estradosso dove è massima la caratteristica flettente e, quindi, lo sforzo di
trazione.
Generalmente, esse non raggiungono il lembo opposto a quello ove l'apertura della lesione è massima e
tendono a diminuire in ampiezza per l'effetto di cucitura esercitato dai tondini di armatura (si tenga anche
conto che l'estradosso della trave in mezzeria è soggetto a sforzi di compressione e viceversa a
compressione è soggetto anche l'intradosso agli appoggi).
La comprensione dello schema statico/costruttivo di un elemento in c.a. è, quindi, fondamentale ai fini
della comprensione del quadro fessurativo sia dal punto di vista delle cause scatenanti che della
pericolosità. Relativamente a questo aspetto sembra persino superfluo ricordare come in un aggetto – il cui
schema statico è assoggettabile ad una mensola incastrata nella trave di bordo – le fessure pericolose sono
solo quelle che compaiono all'estradosso dell'elemento in corrispondenza dell'incastro alla trave di bordo.
Pertanto, se, ad esempio, in un terrazzo/balcone dovessero evidenziarsi fessure parallele all'asse della
mensola queste non interrompono la continuità statica dell'elemento strutturale e, quindi, debbono
ritenersi non pericolose. La genesi di queste lesioni deve probabilmente essere ricercata nella mancanza di
giunti nelle piastrelle e alla fessurazione del massetto sulla quale è avvenuta la posa del pavimento. Sempre
in quest'ottica, in una scala a "soletta rampante" in c.a. le soluzioni di continuità parallele alla direzione di
sviluppo della soletta stessa (Fig. 6.16), debbono ritenersi non pericolose per la statica del manufatto in
quanto esse suddividono la struttura in "strisce" assimilabili a singole travi che lavorano singolarmente e
indipendentemente una dall'altra, in accordo proprio allo schema statico (trave incastrata/incastrata e
appoggiata/appoggiata alle travi di estremità realizzate a livello dei pianerottoli) utilizzato per il
dimensionamento.

Fig. 6.16 – Possibili lesioni in una scala a soletta rampante in c.a. Le soluzioni di continuità di tipo 1 sono
staticamente non preoccupanti in quanto non interrompono la continuità statica della struttura in c.a.
Quelle di tipo 2 potrebbero essere legate a insufficienze strutturali dell'elemento costruttivo.

Quelle di tipo 2 potrebbero essere legate a insufficienze strutturali dell'elemento costruttivo.


Per contro, le fessure perpendicolari all'asse di sviluppo della soletta (tipo 2 in Fig. 6.16) sono quelle che
necessitano di essere valutate – in accordo alla procedura che verrà descritta nel successivo paragrafo – in
quanto potrebbero celare una carenza statica dell'elemento costruttivo. Nelle solette rampanti, infine, non
sono rare anche lesioni nella zona intradossale all'attacco tra rampa inclinata e pianerottolo per difetti
costruttivi legati alla disposizione dei ferri di armatura che possono determinare l'innesco di "spinte a
vuoto" dei ferri con conseguente comparsa di fessure perpendicolari all'asse di sviluppo della soletta
rampante.

Nelle scale realizzate con "travi a ginocchio" (Fig. 6.17) le sole lesioni pericolose per la statica dell'elemento
costruttivo sono quelle localizzate sull'estradosso dei gradini in corrispondenza della sezione d'incastro tra
gli elementi a sbalzo e la stessa trave a ginocchio.

Fig. 6.17 – Possibili lesioni in una scala con trave a ginocchio. Le soluzioni di continuità di tipo 1 sono
staticamente non preoccupanti in quanto non interrompono la continuità statica della struttura in c.a.

Per quanto attiene ai solai in latero-cemento (Fig. 6.18) l'andamento della soluzione di continuità deve
essere esaminato in relazione alla tessitura dei travetti in c.a. (o in c.a.p.).

Fig. 6.18 – Solaio in latero-cemento

Lesioni parallele all'asse dei travetti (Fig. 6.19) che non interrompono la continuità statica debbono ritenersi
non pericolose dal punto di vista statico. Al contrario quelle perpendicolari all'asse dei travetti localizzate
all'intradosso in mezzeria o all'estradosso sugli appoggi (che determinano quindi la comparsa di fessure nei
soprastanti massetti e pavimenti) possono presagire una insufficienza statica dell'elemento costruttivo. I
solai in laterocemento, tuttavia, possono presentare – proprio per la specificità dell'apparecchiatura
costruttiva – fessure che pur non essendo pericolose per la statica in "senso stretto", possono
rappresentare un pericolo per l'incolumità degli occupanti degli ambienti cui i solai fessurati afferiscono.
Queste fessure, infatti, potrebbero anticipare il crollo parziale degli elementi in laterizio con inevitabili
ripercussioni anche sulle suppellettili (negli ambienti interni) o alle automobili (nei garage) oltre che per
l'incolumità delle persone. Stante la specificità di questo tipo di dissesti nei solai gli stessi vengono
affrontati nel paragrafo 6.4.

6.3.3 La valutazione della pericolosità delle lesioni di tipo flessionale in una trave
Una volta stabilita la pericolosità della lesione, sulla base del suo andamento in relazione allo schema
statico dell'elemento costruttivo interessato dalla soluzione di continuità, e dopo averne attribuito la genesi
allo sforzo di trazione determinato dalla caratteristica flettente agente nella sezione, si può procedere ad
una valutazione di massima circa il grado di pericolosità rappresentato dalla fessura.
La valutazione della pericolosità di una lesione di tipo flessionale in una trave può essere effettuata, in
prima approssimazione, valutando lo stato di sforzo dell'acciaio (s) nella sezione fessurata. Il calcolo viene
effettuato assumendo che l'ampiezza della lesione (w) in mm, valutata sulla superficie del calcestruzzo, ad
esempio, sull'intradosso della trave, risulti pari all'allungamento assoluto della barra di armatura (ls)
presente nella sezione fessurata. Questa posizione è a vantaggio di sicurezza in quanto l'ampiezza della
lesione diminuisce verso l'estradosso dell'elemento in c.a. Pertanto, l'allungamento assoluto subito dal
tondino di armatura risulterà tanto minore quanto maggiore è il copriferro.
Per poter risalire allo stato di sforzo dell'acciaio è necessario, noto il suo modulo di elasticità Es, calcolarne
la sua deformazione (s = ls/l). Il tratto di tondino (l), sul quale ripartire l'allungamento assoluto subito
dall'acciaio (s = ls = w), sarà quello per il quale non ci possono essere scorrimenti mutui tra acciaio e
calcestruzzo.

Pertanto, tenendo presente che lo sfilamento della barra di acciaio può avvenire sia a sinistra che a destra
della sezione fessurata, il tratto l ove non vi possono essere scorrimenti relativi tra i due materiali è pari al
doppio della lunghezza di ancoraggio (lanc) acciaio/calcestruzzo. Quest'ultima, la lunghezza di ancoraggio,
per definizione rappresenta quel tratto cui corrisponde lo sfilamento dell'acciaio dal calcestruzzo quando il
tondino è sottoposto ad uno stato di sforzo pari a quello di snervamento (fyk). Pertanto, la lunghezza di
ancoraggio può essere determinata risolvendo l'equazione di equilibrio tra la forza che determina il
contemporaneo sfilamento e snervamento della barra di acciaio e la forza che si oppone allo sfilamento del
tondino dal calcestruzzo. Quest'ultima si calcola tenendo conto delle tensioni tangenziali di aderenza che si
mobilitano sulla superficie del tondino – all'interfaccia con il conglomerato cementizio – e risultano
dipendenti dal tipo di acciaio (liscio o ad aderenza migliorata) e dalla qualità del calcestruzzo (cioè dalla sua
resistenza caratteristica a compressione).
L'equazione di equilibrio tra le due forze può essere così scritta:

fyk ∙(π∙d^2)/4=fbd∙π∙d∙ lanc [1]

• fyk è la tensione di snervamento dell'acciaio che potrà essere desunta dagli elaborati progettuali,
oppure indirettamente dall'anno di esecuzione dell'opera, individuando se nella sezione vi sono
armature lisce o ad aderenza migliorata;
• d è il diametro del ferro più piccolo presente nella sezione;
• fbd∙ è la tensione tangenziale di aderenza di progetto acciaio/calcestruzzo che potrà essere calcolata
con una delle seguenti espressioni:
A - in accordo al D.M. 09/01/1996
fbd∙=0.32/γc ∙√(Rck ) [2]
(per barre lisce);
fbd∙=2.25∙fctk/γc [3]
(per barre ad aderenza migliorata)

B - in accordo al D.M. 14/01/2008


fbd∙=2.25∙η∙ fctk /γc [4]
(per barre ad aderenza migliorata)

C- in accordo alla UNI EN 1992-1-1 (EC2)


fbd∙=2.25∙η1∙η2∙fctd = 2.25∙η1∙η2∙ fctk /γc [5]
(per barre ad aderenza migliorata)
in cui i termini che compaiono sono:
• Rck resistenza cubica caratteristica a compressione del calcestruzzo;

• fctk resistenza a trazione diretta caratteristica del calcestruzzo pari a:


- in accordo al D.M. 09/01/1996
fctk =0.7∙0.27∙∛(Rck^2 ) [6]
- in accordo al D.M. 14/01/2008 e UNI EN 1992-1-1 (EC2)
fctk =0.7∙0.30∙∛(fck^2 ) [7]
(per calcestruzzi di classe non superiore a C50/60)
fctk =0.7∙2.12∙ln⁡(1+fcm/10) [8]
(per calcestruzzi di classe superiore a C50/60) con fck e fcm (fcm = fck + 8) rispettivamente resistenza a
compressione cilindrica caratteristica e media del calcestruzzo.

• γc coefficiente parziale di sicurezza per il calcestruzzo (1.5);

• η coefficiente pari a:
1.0 per barre di diametro Ø ≤ 32 mm;
(132-Ø)/100 per barre di diametro superiore.

Nel caso di armature molto addensate o ancoraggi in zona di calcestruzzo teso, la resistenza di aderenza va
ridotta dividendola almeno per 1.5;
- η1 è un coefficiente legato alla qualità della condizione di aderenza e alla posizione della barra
durante il getto pari a:
- 1.0 in condizione di "buona" aderenza;
- 0.7 in tutti gli altri casi e per barre in elementi strutturali realizzati con casseforme scorrevoli, a
meno che non si possa dimostrare che esistono "buone" condizioni di aderenza.
- η2 è riferito al diametro della barra ed è uguale a η.

Per la determinazione della resistenza a compressione del calcestruzzo si potrà far riferimento agli elaborati
progettuali oppure si procederà alla sua valutazione mediante tecniche di indagine semi-distruttive
(carotaggi, pull-out) oppure non distruttive (sclerometro, ultrasuoni o metodi combinati tipo SonReb) per le
quali si rimanda al successivo Capitolo 7 e all'Appendice C.
Dopo aver calcolato lanc risolvendo l'equazione [1], si potrà stimare il tasso di sforzo agente sull'acciaio nella
sezione fessurata (s):
σs=Es∙w/ (2∙lanc ) [9]
A questo punto si potranno presentare le seguenti situazioni:
- σs<fyk/1.15 : la verifica ha dato esito negativo sulla potenziale pericolosità della lesione. Essendo stato
condotto il calcolo a vantaggio di sicurezza, si può sicuramente concludere che la fessura è
staticamente non pericolosa;
- fyk/1.15<σs<fyk: la fessura presenta una potenziale pericolosità. Tuttavia, proprio per le ipotesi alla base
del metodo suggerito, è opportuno, prima di emettere una diagnosi definitiva, affinare il calcolo, ad
esempio, misurando l'ampiezza della lesione in prossimità dell'interfaccia barra/calcestruzzo e non
sulla superficie esterna del manufatto valutando lo stato tensionale dei tondini presenti non
soffermando l'analisi su quello di minor diametro (come fatto, invece, in prima istanza). Inoltre, si
tenga anche presente che la tensione di aderenza è stata assunta costante lungo l'intero tratto
corrispondente alla lunghezza di ancoraggio, mentre in realtà il suo andamento non è costante. Se si
considerasse un andamento di tipo lineare la lunghezza di ancoraggio diverrebbe doppia, riducendo in
questo modo il valore della deformazione dell'acciaio e, conseguentemente dello sforzo cui il tondino
è assoggettato;
- σs>fyk: la fessura è con quasi certezza pericolosa, in quanto l'acciaio potrebbe essere in campo plastico.
È bene evidenziare come questa situazione non va confusa con un imminente "crollo" della trave in
quanto, avendo calcolato lo sforzo agente sul tondino di minore diametro, nella sezione potrebbero
esserci ferri di maggiore diametro in grado di assorbire deformazioni maggiori. In questa evenienza,
tuttavia, oltre ad affinare il calcolo dello sforzo dell'acciaio come indicato al precedente punto, si dovrà
procedere ad una verifica strutturale della sezione per capire la causa responsabile della soluzione di
continuità.

Fig.6.19 – Possibili lesioni in un solaio in latero-cemento. Le soluzioni di continuità di Tipo 1 so-no


staticamente non preoccupanti in quanto non interrompono la continuità strutturale dell’elemento in c.a.
Quelle di Tipo 2 potrebbero essere legate a insufficienze strutturali dell'elemento costruttivo.

6.3.5 Le fessure di tipo tagliante nelle travi


Alle fessure presenti nella mezzeria della trave all'intradosso e a quelle all'estradosso sugli appoggi, spesso
si affiancano lesioni inclinate a 45° determinate dalla caratteristica tagliante (fessure per taglio). Queste
soluzioni di continuità presentano il ventre (la massima ampiezza) a metà dell’altezza della nervatura con la
cuspide inferiore che prosegue intercettando perpendicolarmente l’intradosso della trave, mentre la
cuspide superiore tende a disporsi tangenzialmente al piano di connessione nervatura-soletta per
assecondare le isostatiche di compressione (Fig. 6.20 e 6.21).
Fig. 6.20 (a lato) – Andamento schematico delle fessure per taglio in una trave. Il ventre fessurativo si
presenta a metà dell'altezza della nervatura. Le cuspidi intercettano perpendicolarmente l'intradosso della
trave e si dispongono all'attacco della soletta nella dire-zione delle isostatiche di compressione.

Fig.6.21 – Fessura per taglio in una trave.

Tra le cause che possono generare la comparsa di queste soluzioni di continuità si possono annoverare
carichi elevati, bassa rigidezza strutturale o anche l'assenza di un'adeguata armatura predisposta nella trave
per assorbire questa caratteristica.
Relativamente a quest'ultimo aspetto, non è difficile – soprattutto nei vecchi edifici realizzati negli anni
'50/'60 – imbattersi in fessurazioni da taglio laddove inizia la piegatura dei ferri (in corrispondenza della
zona dove si ha l'inversione del diagramma del momento flettente). In questi edifici, infatti, non esistendo
un obbligo normativo riguardo l'adozione di staffe sull'intero sviluppo della trave, la sollecitazione tagliante
veniva assorbita in parte dai ferri piegati e in parte da staffe che venivano però allocate esclusivamente in
corrispondenza degli appoggi.
Questo modo di armare la trave (assorbendo la caratteristica tagliante soltanto nelle zone ove essa è
massima) non teneva conto del fatto che lo scorrimento della porzione superiore della trave rispetto a
quella inferiore genera sforzi di taglio – sia pur minori rispetto agli appoggi – già a partire dalla mezzeria
della trave stessa. Per questo motivo, è necessario predisporre un'armatura minima per il taglio anche nelle
zone di mezzeria, dove la tensione tangenziale è minima, al fine di assorbire in maniera graduale lo sforzo di
taglio evitando che lo stesso si vada a concentrare in corrispondenza degli appoggi.
Questo è il motivo per il quale gli attuali regolamenti impongono di adottare un'armatura minima per il
taglio in forma di staffe (3 al metro) anche nelle zone di mezzeria. Le staffe consentono, inoltre, di
instaurare il cosiddetto "comportamento a traliccio" (Fig. 6.22), incrementando la resistenza a taglio
dell'elemento strutturale garantendo, nel contempo, un efficace confinamento del calcestruzzo che
conferisce all'elemento strutturale un comportamento duttile se sottoposto a carichi ciclici (sismici).

Fig. 6.22 – Rappresentazione degli sforzi generati dal comportamento a traliccio in presenza di staffe.

Tratto dal libro di Luigi Coppola e Alessandra Buoso, edito da ULRICO HOEPLI, dal titolo “IL RESTAURO
DELL’ARCHITETTURA MODERNA IN CEMENTO ARMATO - Alterazione e dissesto delle strutture in c.a. -
Diagnostica – Interventi di manutenzione e adeguamento antisismico - Materiali, tecniche e
cantieristica”.

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