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Consolidamento di fondazioni
CISM, 25 febbraio 2005
note redatte da A. Benedetti per il corso di
tecniche di Analisi, Consolidamento, Rinforzo e Miglioramento Sismico di Edifici Storici
In edifici con file di aperture la formazione dell’arco di scarico si manifesta con lesioni e fessure a
carico degli spigoli delle finestre, con configurazione ad accentro circonflesso.
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Nel caso nella costruzione siano presenti aperture, l’inclinazione progressiva delle fessure è di
difficile individuazione perché le singolarità tensionali degli spigoli rientranti delle finestre tendono
a ridurre le differenze lungo l’altezza.
Benedetti – CISM 2005 - 4-
D
a
Fig. 3.1: schema di calcolo di Prtandtl Terzaghi Hill per lo scorrimento plastico
1
pu = c′N c + (γ D − γ w a) N q + γ ′BNγ
2
dove i fattori plastici di coesione, sovraccarico e peso proprio del terreno mobilitato valgono:
1 + sin ϕ ' π tan ϕ '
Nq = e N c = ( N q − 1) cot ϕ ' Nγ = 2 ⋅ ( N q + 1) tan ϕ '
1 − sin ϕ '
40
30
Nc
20
Nq
10
0 ϕ’
0 5 10 15 20 25 30 35
fig. 3.2: andamento di Nc e Nq con l’angolo d’attrito ϕ’
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Le fondazioni di edifici storici sono in generale caratterizzate da pressioni di contatto assai elevate
sulle fondazioni, ma non sempre tali pressioni elevate sono causa di cedimenti e dissesti. Infatti il
terreno nel corso del tempo per effetto della pressione applicata va incontro ad un fenomeno di
consolidazione che ne migliora le proprietà meccaniche. Se la pressione che agisce sul terreno è
maggiore della pressione litostatica (pressione di normale consolidazione), il terreno raggiunge uno
stato di sovraconsolidazione.e con esso, una maggiore capacità portante.
Ovviamente tale stato viene raggiunto attraverso una compattazione che dà luogo a consistenti
cedimenti; qualora il carico nella costruzione s’incrementi lentamente, ad esempio in conseguenza
di lavori che durano molti anni, la struttura è in grado di adattarsi ai cedimenti che via via si
manifestano. Se invece i carichi s’incrementano repentinamente, l’evoluzione dei cedimenti per
effetto ritardato della viscosità del terreno può causare notevoli dissesti alla costruzione, ed anche la
perdita di stabilità del terreno di fondazione.
Si comprende quindi che il coefficiente di sicurezza da applicare alle pressioni di rottura del terreno
sono funzione sia del cedimento che si ritiene ammissibile, sia del tempo nel quale si raggiunge la
situazione finale nelle fondazioni.
1 Dr ( B, L, z ) + L L Dr ( B, L, z ) + B z LB
C1 = ln + ln , C2 = tan −1 ,
2π Dr ( B, L, z ) − L B Dr ( B, L, z ) − B 2π B z Dr ( L, B, z )
e
Dr ( L, B, z ) = L2 + B 2 + z 2 .
Il calcolo del cedimento in un punto qualsiasi può essere ottenuto sovrapponendo gli effetti dei
quattro rettangoli che hanno come vertice comune il punto per il quale si desidera calcolare il
cedimento:
δ (ξ ,ψ ) = δ (ξ ,ψ ) + δ (ξ , B −ψ ) + δ ( L − ξ ,ψ ) + δ ( L − ξ , B −ψ )
La soluzione per un terreno stratificato definito da m moduli Esj estesi per profondità ∆zj = zj+1-zj
può essere ricavata per sovrapposizione delle differenze:
m −1
δ m = δ ( Em , zm ) + ∑ δ ( Esj , z j ) − δ ( Esj , z j +1 ) .
j =1
Infine, la rigidezza in una certa posizione (x, y) può essere ottenuta dividendo la pressione applicata
per il cedimento calcolato.
Figura 4.1: grafici carico – cedimento per pali trivellati in terreni coesivi (Reese e O’ Neill 1989)
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Figura 4.2: grafici carico – cedimento per pali trivellati in terreni sabbiosi (Reese e O’ Neill 1989)
figura 4.3: variazione della resistenza non drenata in funzione dell’area caricata (Lancellotta, 1999)
Attualmente si tende comunque ad abbandonare l'approccio in termini di tensioni totali, sia perché
e sempre più chiaro come un singolo coefficiente (α) non possa tener conto dei molteplici fattori
che influenzano la risposta del terreno all' interfaccia, sia perché risultano più credibili le
argomentazioni a favore di un approccio in termini di tensioni efficaci.
In tale direzione sono di rilevante interesse le osservazioni seguenti
a) Durante la fase di infissione del palo, nel terreno deformato plasticamente si sviluppa una
notevole sovrappressione interstiziale, caratterizzata da gradienti radiali così elevati che in pratica
se ne ha la quasi totale dissipazione nel corso dell'esecuzione dei lavori.
b) Nella fase successiva di carico, il palo si trova inizialmente in condizioni drenate e si può
presumere che tali condizioni permangano anche nel corso dell'applicazione dei carichi in quanto le
deformazioni che si producono nell'intorno del palo sono il prodotto di distorsioni a volume
costante. In tale fase infatti si hanno modeste sovrappressioni (di valore tipico ∆u = 0.2·su, in
contrasto con il valore ∆u = 10·su registrato nella fase di infissione) che possono essere trascurate.
Partendo da tali premesse Zeevaert (1959), Eide et al. (1961) e Chandler (1968) hanno suggerito di
valutare l'attrito laterale con l'espressione:
f s = σ h′ tan δ = Kσ v′0 tan δ
nella quale K e da intendersi come un coefficiente di spinta che correla la tensione orizzontale
efficace, agente suI palo all'istante di rottura, alla tensione verticale efficace iniziale.
Con riferimento a pali infissi, Burland (1973) propone si assumere per il coefficiente di spinta il
valore corrispondente al1a situazione a riposo e ipotizza che l'angolo di attrito all'interfaccia sia
pari all'angolo di resistenza al tag1io:
f s = (1 − sin ϕ ) tan ϕ ⋅ σ v′0
figura 4.4: coefficiente β di Burland (1973) figura.4.5: prove di carico su pali sospesi
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I valori di ϕ' sono usualmente compresi tra 20° e 30°; la funzione di ϕ’ che moltiplica la pressione
litostatica risulta poco variabile (figura 4.4) e può essere compattata in un coefficiente che dà luogo
al cosiddetto “metodo beta”:
f s = β ⋅ σ v′0
con valori di β teoricamente compresi tra 0.24 e 0.29.
A supporto di tali assunzioni Burland (1973) riporta i risultati di prove d carico eseguite su pali in
argille tenere illustrati in figura 4.5. dai quali si deducono valori medi compresi tra 0.25 e 0.40.
Nel caso di pali infissi in argille consistenti, Flaate e Seines (1977) confermano l'applicabilità
dell'approccio in termini di tensioni efficaci, suggerendo di introdurre nella valutazione il
coefficiente di spinta che compete al materiale preconsolidato:
K = K 0( NC ) ⋅ OCR
Nel caso dei pali trivellati in argille consistenti, i dati sperimentali indicano che I 'uso del
coefficiente di spinta maggiorato cin il grado di preconsolidazione conduce a una stima in eccesso.
Come probabile spiegazione Fleming et al. (1985) indicano la riduzione della tensione orizzontale
efficace rispetto al valore iniziale causata dal rilassamento conseguente alla perforazione.. In base a
ciòveine proposto di utilizzare un coefficiente di spinta ridotto
1 + K0
K=
2
Va infine osservato che quanto finora riportato si riferisce a pali aventi lunghezza non maggiore di
30 metri. Nel caso di pali infissi di lunghezza elevata (strutture off-shore, pile e spalle di ponti,
torri), la deformabilità assiale del palo, combinata con un elevato scorrimento medio, può portare,
soprattutto nei tratti del palo prossimi alla superficie, alla mobilitazione della resistenza residua. Ne
consegue che il coefficiente β da introdurre nella formula si riduce progressivamente all'aumentare
della lunghezza del palo, scendendo da un valore vicino a 0.30 per pali lunghi 25 m a un valore
pari a 0.15 per pali di lunghezza 60 m e oltre, come indicato. in figura 4.6.
figura 4.6: evoluzione del coefficiente di attrito con la lunghezza del palo
Meyerhof (1951, 1953) suggerisce il meccanismo di rottura profonda illustrato in Figura 4.7.b,
mantenendo però 1 'ipotesi di mezzo perfettamente plastico (e quindi incomprimibile). Berezantzev
(1961) utilizza un meccanismo non dissimile da quello relativo a una fondazione superficiale
(figura 4.7.c), ma la stima della tensione verticale efficace agente sul piano di testa palo viene
effettuata tenendo conto del terreno circostante al sovraccarico. Infine Skempton, Yassin e Gibson
(1953) e più recentemente Vesic (1975, 1977) hanno assimilato il problema della rottura intorno
alla punta del palo a quello di espansione di una cavità in un mezzo elasto-plastico, in modo da
tener conto anche della compressibilità del mezzo (Figura 4.7.d).
Come conseguenza di modelli di comportamento diversi si ottiene una variazione alquanto
significativa del coefficiente di capacita portante, che, ad esempio, per un valore dell' angolo di
resistenza al taglio pari a 35°, può passare da 55 fino a 500 (Figura 4.8).
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figura 4.8: fattore di profondità in funzione dell’angolo di attrito per differenti formulazioni
Alternativamente, per il solo caso di terreni omogenei, la capacità portante può essere valutata
utilizzando direttamente i risultati delle prove penetrometriche assumendo, come suggerito da
Meyerhof (1976):
qlim = qc = 0.4 ⋅ N SPT
Invece, nel caso di terreni stratificati, occorre tener conto della differenza di scala del diametro del
palo rispetto a quella del penetrometro, e quindi la valutazione della portata deve essere condotta
con riferimento ai possibili meccanismi di rottura .che si sviluppano attraverso strati contigui.
Se il palo penetra in uno strato sabbioso di notevole spessore, la completa mobilitazione della
portata di base si manifesta quando il palo è incastrato in tale strato per un tratto di almeno 10 volte
il diametro. In presenza di incastri inferiori (figura 4.8.a), pari ad esempio a LB, si può utilizzare un
R
valore di capacita portante qlim ottenuto riducendo il valore iniziale proporzionalmente alla
lunghezza di incastro
L
R
qlim = B qlim
10 D
Nel caso in cui lo strato sabbioso portante sia di spessore limitato (Figura 4.8.b). occorre cautelarsi
nei confronti di eventuali rotture per punzonamento. Anche in questo caso il valore da assumere
come carico limite unitario è un valore ridotto tanto più piccolo rispetto al valore teorico quanto
più il palo si avvicina al limite inferiore dello strato.
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figura 4.9: andamento della resistenza con il grado di incastro della testa del palo
Tabella 4.I
Valore del rapporto K/Ko (Kulhawy et al., 1983)
Pali trivellati 0.67 < K/K0 < 1.00
Pali infissi con trascurabile compattazione del terreno 0.75 < K/K0 < 1.25
Pali infissi con significativa compattazione del terreno 1.00 < K/K0 < 2.00
Volendo tener conto del decadimento dell’attrito con la profondità e delle modalità esecutive,
Kulhawy et al. (1983) forniscono per la stima del coefficiente di spinta le indicazioni riportate in
Tabella 4.I
Alternativamente, Fleming et al. (1985) suggeriscono di stimare empiricamente il valore del
coefficiente di spinta, legandolo al valore del coefficiente di profondità assunto nella stima della
portata di base (K = Nq / 50). Infine si ricorda che è prassi abbastanza consolidata far riferimento
all'uso diretto dei risultati di prove penetrometriche. Le esperienze raccolte da De Beer (1985)
possono sintetizzarsi nella relazione seguente:
q
fs ≈ c .
150
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Per quanto concerne l'uso di correlazioni empiriche (comprese quelle discusse per la stima della
portata di base) va comunque sottolineato che esse sono state ricavate da esperienze con pali
installati in sabbie silicee. Nel caso di sabbie calcaree, il quadro di riferimento si presenta
significativamente diverso, in quanto l'elevata compressibilità di queste sabbie e la loro
frantumabilità conducono a valori della portata di base e dell'attrito laterale che sono solo una
modesta frazione (tra il 10% e il 20%) dei valori ottenibili in sabbie silicee (per maggiori dettagli si
consulti il testo di Poulos, 1988).
Il valore ultimo andrebbe definito come il valore che provoca l'insorgere di uno stato limite ultimo
nella struttura, essendo privo di significato ( tranne che per un palo isolato) il riferimento a portate
corrispondenti a cedimenti relativi dell' ordine del 25% o oltre.
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Tabella 4.II Confronto tra la portata unitaria di un palo trivellato e di uno infisso.
Cedimento relativo: s/D Qb (palo trivellato) / Qb (palo infisso)
0.05 0.15-0.21
0.10 0.30-0.50
0.25 0.50-0.70
1.00 1.00
Per poter utilizzare la curva di mobilitazione riportata in Figura 4.10 occorre individuare il carico
corrispondente a un cedimento relativo prefissato. I dati disponibili in letteratura fanno riferimento
ad un valore del 5% (si osserva per inciso che sovente in letteratura viene attribuita a tale valore la
definizione di carico critico, pur non essendovi nulla di anomalo nell'intorno di tale valore) e il
carico unitario corrispondente sarà indicato nel seguito come q05.
Jamiolkowski e Lancellotta (1988) utilizzando i dati di 15 prove di carico, suggeriscono la
correlazione empirica riportata in Figura 7.14. In tale correlazione il valore di interesse e riferito
alla resistenza di un penetrometro statico e tiene conto dell'influenza del diametro del palo.
Reese e O'Neill (1988) suggeriscono valori più conservativi, deducibili dalla relazione q005 =
0.06·NSPT
5. Portata di micropali
Il termine micropali indica una categoria di pali di piccolo diametro (inferiore a 250 mm),
impiegati solitamente per realizzare sottofondazioni di strutture esistenti o per realizzare strutture
di presidio o di rinforzo, che richiedono attrezzature di ingombro ridotto e capaci di operare con
qualsiasi inclinazione rispetto alla verticale.
Il micropalo noto come palo Radice (Lizzi, 1985) viene realizzato eseguendo la perforazione con
una batteria di aste munite all’estremità di una corona tagliente adeguata alla natura del terreno. I
detriti di perforazione sono eliminati dal fluido di perforazione (aria, acqua o fango bentonitico a
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seconda della natura del terreno) tramite circolazione diretta, ossia con immissione dall’interno
della batteria di aste e risalita attraverso l’intercapedine tra le stesse e il terreno.
L’ armatura può essere costituita da un ‘unica barra o da una piccola gabbia e il getto di
microcalcestruzzo (gli inerti sono costituiti da sabbia e il dosaggio in cemento e molto elevato,
dell’ordine di 600 kg/m3) viene realizzato dal basso, con un tubo convogliatore. Al termine del
getto si immette, tramite una testa a tenuta, aria in pressione, in modo da sfilare la batteria di aste
e, contemporaneamente, da forzare il calcestruzzo contro il terreno, in modo da occupare il
volume lasciato libero dalla tubazione.
Figura 5.1. Schema esecutivo di pali radice proposto da Lizzi (1985) e macchine per l’esecuzione
I diametri usualmente impiegati sono compresi tra 80 e 250 mm, ai quali corrispondono carichi
ammissibili compresi tra 60 e 80 kN , per i diametri minori, e tra 500 e 700 kN per quelli maggiori
(valutati attribuendo al micropalo una tensione ammissibile dell'ordine di 10-12 N/mm2).
Nel caso dei micropali Tubfix (Figura 5.2), dopo aver eseguito la perforazione, di solito con sonda
a rotazione e circolazione di fango bentonitico, si introduce nel foro un tubo di acciaio di grosso
spessore, munito di valvole di non ritorno in corrispondenza degli strati ai quali si vuole
trasmettere il carico. Questa armatura costituisce allo stesso tempo sia il principale elemento
resistente del micropalo, sia il mezzo attraverso il quale si eseguono le iniezioni in pressione.
Si procede dapprima alla formazione della guaina iniettando attraverso la valvola più profonda una
miscela di cemento cha va a occupare l'intercapedine tra tubo e terreno.
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Successivamente, dopo la fase di presa della guaina, si iniettano (con pressioni che possono
raggiungere alcune decine di atmosfere) le varie valvole (disposte a intervalli regolari, solitamente
ogni 50 cm), eventualmente in più riprese, in modo da realizzare una serie di sbulbature.
La miscela adoperata ha solitamente la composizione seguente: 100 kg di cemento, 50 litri di
acqua, 2.5 kg di bentonite ed eventualmente da 2 a 3 kg di fluidificante.
La Tabella 5.I riporta i carichi specifici per i vari tipi di micropalo in differenti tipi di terreno.
Per quanto concerne i criteri di dimensionamento geotecnico va osservato che il carico limite dei
micropali dipende dalle tecnologie esecutive in modo molto più marcato di quanto avvenga per i
pali di medio e grande diametro, per cui diventa inevitabile ricorrere a criteri di tipo empirico.
Le raccomandazioni pubblicate da Bustamante e Doix (1985), alle quali si fa riferimento nel
seguito, sono alla base delle norme vigenti in Francia (sia per il calcolo dei micropali, sia per il
calcolo dei tiranti) e richiedono come parametri caratterizzanti del terreno la pressione limite pMD
determinata con il pressiometro Menard o con i risultati di prove SPT
Tabella 5.I: resistenza specifica di scorrimento secondo Cheney (1984), Lizzi (1982) e Nicholson (1992)
La resistenza a scorrimento del fusto del micropalo dipende sostanzialmente dalla pressione di
iniezione e dallo sviluppo della superficie di contatto palo – terreno:
Qs = π Ds Ls f s ( pg )
ove Ds e Ls sono il diametro effettivo e la lunghezza di sbulbatura della parte iniettata a pressione
del micropalo. In generale il diametro dei bulbi può essere stimato dal volume del fluido impiegato
per le iniezioni; approssimativamente il volume iniettato deve essere almeno due volte il volume
nominale della perforazione, ed in tale ipotesi si ottiene un diametro effettivo maggiorato di circa il
30 – 50 % del diametro nominale.
Indicando con θ il rapporto di iniezione, si ha:
Vin
Ds = D0 ⋅ = D0 ⋅θ
V0
ove il volume iniettato da considerare è relativo alla lunghezza di palo contenente le valvole.
Per quanto attiene alla resistenza a scorrimento fs, se l’iniezione avviene ad una pressione maggiore
di quella passiva del terreno, si avrà plasticizzazione dello strato a contatto con i bulbi e lo stato di
precarico generato da tale azione, sarà in grado di aumentare la resistenza a taglio del terreno;
indicazioni fornite da Bustamante (1985) portano ad assumere:
p
f s ≈ lim .
10
Nel caso che si abbiano a disposizione risultati NSPT si può indicare:
plim N SPT 1 qCPT
= =
pa 2 10 pa
ove la pressione atmosferica pa è stata introdotta per adimensionalizzare la relazione.
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Nel caso di micropali realizzati in strati argillosi, la perdita di carico del fluido è minore e si
ottengono in genere diametri apparenti dei micropali maggiori. In questo caso la resistenza allo
scorrimento può essere messa nella forma:
f s = c1 ⋅ pa + c2 ⋅ su ,
ove i coefficienti sono desumibili dalla seguente tabella:
figura 5.4: definizione di minipalo e micropalo figura 5.5: definizione dei tipi di micropalo iniettato
tabella 5.III: riepilogo delle formule per la valutazione della portata di micropali iniettati (Juran et Al., 1999)
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La capacità portante dei micropali dipende direttamente dalla pressione normale che si esercita tra
fusto e terreno; nella figura 5.6. sono indicate a confronto valutazioni teoriche e risultati
sperimentali che confermano il trend e danno indicazione di valori medi di confronto.
figura 5.6: relazione tra la pressione di iniezione e il carico specifico per attrito laterale (Juran et Al. 1999)
figura 5.7: schemi geometrici di organizzazione dei micropali in gruppi (Juran et Al. 1999)
Esempi assai interessanti sono presentati da Lizzi (1985) con riferimento alla pluriennale attività
della ditta Fondedile di Napoli. A scopo di esempio si riporta lo schema costruttivo del rinforzo con
reticolo cementato di pali radice del campanile di Burano. In questo caso il reticolo forma un
volume iniettato ancorato alla struttura muraria soprastante in grado di abbassare il baricentro
complessivo e generare quindi un momento stabilizzante che riduce la pendenza del campanile
stesso.
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valori pari a circa metà della tangente dell’angolo d’attrito e che la somma della portata laterale e di
quella alla base è in questo caso del tutto accettabile in relazione allo stato di presollecitazione del
palo.
In genere il completamento dei pali Mega viene ottenuto con la predisposizione di una armatura
all’interno del fusto che viene gettata con calcestruzzo di inerti di piccolo diametro all’atto del getto
del plinto di fondazione stesso. Si comprende quindi che il fusto metallico viene considerato come
un tubo forma a perdere infisso a tratti.
figura 6.1: schema del trattamento T1 e vista del risultato di colonne compenetrate
Il fluido di iniezione viene in generale composto di acqua e cemento con addizioni di bentonite e
fluidificante; l’iniezione parte sempre dalla profondità massima e attraverso la velocità di rotazione
e di risalita della sonda è possibile regolare il diametro e la composizione delle colonne risultanti.
Le proprietà meccaniche del terreno consolidato sono funzione diretta della natura del terreno da
consolidare (in particolare della sua finezza), e della quantità di cemento che viene miscelata con
l’acqua; maggiori concentrazioni di leganti danno luogo a resistenze maggiori delle colonne.
In casi particolari quali le fondazioni di pile da ponte in alvei fluviali è possibile armare le colonne
realizzate sia disponendo al loro interno un tubo metallico che viene infisso a trattamento ancora
non indurito, sia realizzando all’interno della colonna un micropalo vero e proprio che viene
perforato e gettato solo dopo l’avvenuto indurimento della colonna jet.
Le proprietà meccaniche dei trattamenti jet devono in generale essere controllate mediante
carotaggio e prova di compressione, ma devono essere accuratamente progettate in relazione alle
necessità del progetto.
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figura 6.2: schemi dei trattamenti T2 e T3 eseguibili con tubo a canne coassiali.
figura 6.3: procedimento di iniezione e vista della testa con ugelli della sonda
In figura 6.4 viene indicato il rapporto intercorrente tra la concentrazione di cemento dell’iniezione
e la resistenza a compressione della colonna per assegnati tipi di litologia del terreno. Lo sviluppo
della resistenza delle colonne avviene solitamente nel tempo e, nonostante la notevole componente
idraulica del legante, sono necessari periodi lunghi (maggiori di 4 settimane) per sviluppare la piena
resistenza delle colonne. In generale, insieme alla compattazione e cementazione del terreno, si
produce all’atto dell’esecuzione dei trattamenti un abbassamento significativo del piano di lavoro in
quanto il rimaneggiamento produce una coalescenza dei vuoti con conseguente diminuzione di
volume delle zone iniettate.
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figura 6.3: resistenza a compressione dei consolidamenti jet in funzione del tenore di cemento delle iniezioni
Il valore del modulo elastico dei trattamenti dipende sostanzialmente dalla regola delle miscele
applicata ai due materiali combinati nelle colonne: cemento e terreno. Come per altri materiali
cementati naturali il modulo elastico secante può essere ottenuto moltiplicando per un apposito
coefficiente la resistenza a compressione. Nel caso in esame il valore del fattore moltiplicativo varia
da 150 per terreni argillosi fini per arrivare fino a 1000 per terreni sabbiosi o ghiaiosi ove si ottiene
la relazione approssimativamente valida anche per il calcestruzzo.
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dw
γ=
dr
τ
τ0
Esplicitando la deformazione da taglio in funzione della tensione tangenziale e del modulo relativo,
ed integrando, si ottiene il valore del cedimento relativo alla portata laterale (Lancellotta, Calavera
2001):
R0 τ 0 R0 τ 0 R0
R
w=∫ dR = ln L ,
RL G ⋅ R G R0
ove RL è la distanza limite alla quale il cedimento diventa nullo; in via preliminare tale valore può
essere stimato dell’ordine di 4 – 5.
Il valore di τ0 può essere ricavato dall’equilibrio del palo con la quota di carico PS sostenuta
dall’attrito laterale:
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PS
τ0 = ,
2π R0 L
che quindi fornisce la flessibilità per attrito del palo:
P π
CS = S = LGS .
w 2
La portata alla base genera un cedimento della base stessa che può essere in prima approssimazione
calcolato con la formula della piastra rigida su semispazio elastico:
P 4R G
Cb = B = B B .
w 1 −ν
La relazione tra carico totale e cedimento può essere ottenuta sommando le flessibilità e invertendo;
da questa si determina la rigidezza del palo singolo:
PT PB + PS 4 RB GB π
= = + LGS ,
w w 1 −ν 2
−1
4R G π
U T = B B + LGS
1 −ν 2
R0
α ij = 1 − .
R
ln mg
R0
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Se tutti i pali hanno approssimativamente lo stesso carico assiale, la rigidezza di ciascun palo i
appartenente al gruppo sarà conseguenza del cedimento totale che si genera per effetto di tutti i pali
del gruppo che estendono i loro effetti fino al palo dato:
U pi
U pgi = .
∑α
j
ij
Infine, la rigidezza del gruppo sarà stimata sommando le rigidezze di tutti i pali.
E’ da precisare che, qualora tutti i pali abbiano cedimento uguale (in conseguenza della rigidezza
del plinto), i carichi sui diversi pali saranno diversi, ed il calcolo della rigidezza richiederà la stima
del carico presente sui pali
figura 7.2 confronto del fattore di gruppo teorico con le rilevazioni sperimentali (Mandolini, 2000)
figura 7.2 efficienza di un gruppo di pali in funzione della spaziatura (Juran et Al. 1999)
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In prima approssimazione e con riferimento alla figura 7.2, il fattore al denominatore della rigidezza
può essere stimato con il cosiddetto fattore di gruppo, che dipende dal numero g dei pali presenti nel
gruppo; la rigidezza di un gruppo di pali può infine essere espressa dalla relazione:
g ⋅UT g ⋅UT gSp
U G = ∑ U Gi = = = 3 ⋅U T .
i RG 1 gL L
3 Sp
1 AF
ln
R0 gπ
η FG = 1− ,
Rmg
ln
R0
dove l’area specifica di fondazione che compete ad ogni palo è valutata come AF /g e dà luogo ad un
raggio equivalente d’interazione. Per il teorema di reciprocità deve risultare:
U
ηGF = ηFG F .
UG
Nel caso di fondazione rigida l’abbassamento della palificata e del plinto coincidono, e la somma
dei carichi da essi rispettivamente assorbiti, deve essere uguale al carico totale PTOT applicato al
sistema fondale; si ricava pertanto:
(1 − ηGF ) U G (1 − η FG ) U F
PG = PTOT , PF = PTOT ,
U F + (1 − 2ηGF ) U G U G + (1 − 2η FG ) U F
e l’abbassamento vale:
(1 − ηGF ⋅η FG )
w = PTOT .
(1 − η FG ) U F + (1 − ηGF ) U G
Ovviamente la rigidezza del sistema palificata – plinto è pari all’inverso della frazione a secondo
membro.
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Più usualmente gli interventi di ampliamento delle fondazioni con travi o solette superficiali
vengono condotti eseguendo nuovi elementi che vengono solidarizzati a quelli esistenti mediante
cuciture di collegamento (figura 8.2).
In questo caso i problemi di stabilità in corso di esecuzione dei lavori sono assai minori ma le
strutture aggiuntive, inizialmente prive di carico, necessitano di notevoli cedimenti per entrare
efficacemente in forza.
Assai spesso le cuciture vengono sostituite con tasche a coda di rondine che vengono poi utilizzate
per intestare le catene di cerchiatura della soletta di fondazione.
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figura 8.2: schema di esecuzione di solette nervate di fondazione connesse alle strutture esistenti
figura 8.3: sottofondazione con il metodo dei supporti Pynford (Hutchinson 2000)
La figura 8.3 illustra un metodo assai particolare di realizzare la sospensione della costruzione per
ricostruire il reticolo di fondazione. Con il metodo Pynford si utilizzano speciali supporti a seggiola
regolabili che vengono inseriti a forza nelle aperture in breccia in modo da realizzare
progressivamente la sospensione dell’edificio. I supporti vengono poi inglobati nel getto e
rimangono permanentemente nella costruzione.
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La figura 8.4 illustra invece una realizzazione corrente in un edificio del 1900 in corso di
ristrutturazione. In tale edificio le fondazioni sono state portate ad una quota rbassat di circa 1,5 m
in modo da ricavare locali di servizio al piano interrato.
Il sistema dei micropali o dei pali radice può essere utilizzato anche per sostenere la struttura in
modo da poter scavare dei locali interrati al di sotto dell’edificio esistente. Tale operazione richiede
una certa tolleranza su eventuali danni che si possono creare nella parte in elevazione e quindi i
lavori vengono più normalmente portati a compimento nel corso della ristrutturazione globale del
fabbricato.
Occorre in questo caso considerare che la stabilità dei pali deve essere verificata con riferimento al
tratto libero vincolato elasticamente al piede; la verifica è assai agevole una volta che la rigidezza
del tratto infisso è stata correttamente definita.
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figura 9.4 : Rinforzo con reticoli di pali radice del ponte a Cappiano (FI) (Lizzi, 1989)
Nel caso di antichi ponti in muratura, il problema principale è lo scalzamento delle pile in alveo,
che provoca velocemente e repentinamente la rottura del ponte.
In questo campo molte sono state le applicazioni di Lizzi nel corso della sua carriera in Fondedile;
nella figura 9.4 è illustratoi il ponte a Cappiano, uno solo dei tanti ponti che in tutta Europa sono
stati consolidati realizzando un reticolo di perforazioni cementate e armate a partire dal piano
stradale. I risultati di tali interventi sono stati senz’altro molto buoni e durevoli nel tempo.
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Di fatto la presenza del reticolo cementato fornisce non solo una resistenza flessionale alle pile
stesse utile anche per ragioni sismiche, ma impedisce totalmente la perdita di materiale per erosione
intorno alla scarpa della pila.
L’abbassamento del piano fondale con creazione di locali interrati è una delle più comuni attività
connesse con la modifica e il consolidamento delle fondazioni.
Importanti lavori degli ultimi anni hanno riguardato la realizzazione della mediateca nell’edificio
della ex Sala Borsa di Bologna e la creazione del percorso espositivo interrato della Pinacoteca
Nazionale di Bologna. In ambedue i casi si è trattato di consolidare le fondazioni esistenti in modo
da poter eseguire in sicurezza gli scavi e le pareti di contenimento.
Nel caso della Pinacoteca di Bologna l’edificio storico è stato completamente sostenuto con 800
micropali da 200 mm di lunghezza 8 m, realizzati con iniezione a pressione di boiacca alla testa del
palo attraverso una valvola di estremità. I pali sono stati realizzati con inclinazione 10° perforando
direttamente le pareti murarie in fondazione..
Nelle figure 10.1 sono illustrate le fasi di realizzazione dei cordoli perimetrali di collegamento delle
palificate nelle gallerie ove è stato realizzato il cavedio di distribuzione impianti della parte interrata
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della pinacoteca. Nella figura 10.3 è illustrata la sezione tipica del cavedio con gli elementi
strutturali presenti a rinforzo delle parete confinanti.
Nella figura 10.2 è invece illustrata la colonna centrale della parte più antica della Pinacoteca,
risalente al XII secolo. Per tale colonna priva di fondazioni, è stato utilizzato un sistema di forzatura
dei micropali con sospensione della colonna per garantire la sicurezza nel corso della rimozione del
terreno fondale per procedere alla realizzazione del plinto di base a collegare la colonna e i
micropali stessi.
Il procedimento di costruzione ha previsto le seguenti fasi:
a) realizzazione di otto micropali da 12 m intorno alla colonna,
b) realizzazione di una gabbia con angolari e calastrelli e intonaco armato intorno alla colonna,
c) esecuzione di iniezioni armate di stabilizzazione della colonna con appoggi metallici
d) esecuzione di un telaio di contrasto in testa ai micropali,
e) sospensione mediante martinetti della colonna,
f) rimozione del terreno fondale,
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figura 10.2: realizzazione della fondazione sulle colonne in pietra della Pinacoteca di Bologna
Nel caso invece della ex Sala Borsa, lo scavo era inteso a portare alla luce i reperti archeologici
presenti nel terreno del pavimento interno. In tal caso gli interventi hanno riguardato la
stabilizzazione dei plinti delle colonne del portico attraverso la realizzazione di un sistema di
micropali tubfix in grado di sostenere le colonne stesse e da fungere da berlinese di sostegno delle
parti di terreno non comprese nella zona destinata a scavo archeologico.
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Nella figura 10.4 sono illustrate le fasi di sostegno provvisorio delle arcate delle colonne e di
realizzazione dei plinti in calcestruzzo destinati ad inglobare i plinti in muratura presenti al piede
delle colonne.
figura 10.3: schema esecutivo del cavedio impianti nell’interrato della Pinacoteca
Figura 10.4: esecuzione dei plinti e della berlinese per lo scavo della ex Sala Borsa
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Ringraziamenti
Le presenti note non sarebbero state possibili senza le pregevoli pubblicazioni sotto indicate:
dalle quali molte delle formule e delle figure sono state tratte.
Si rimanda quindi alla consultazione delle opere originali indicate per un approfondimento critico e
costruttivo della trattazione necessariamente ridotta di questi appunti.
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