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Appunti di Strutture Prefabbricate - BOZZA 04/06/2010

INDICE

INDICE 1

1 INTRODUZIONE 3
1.1 INTRODUZIONE 3
1.2 DEFINIZIONI E CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO PREFABBRICATO 7

2 I COMPONENTI DELLE STRUTTURE PREFABBRICATE 9


2.1 CONSIDERAZIONI GENERALI LEGATE AL PROGETTO DEI SINGOLI COMPONENTI 10
2.2 FONDAZIONI PREFABBRICATE 11
2.2.1 Geometria 12
2.2.2 Messa in opera del pilastro – plinto a bicchiere 15
2.2.3 Messa in opera del pilastro – piastra in acciaio con tirafondi 16
2.2.4 Messa in opera del pilastro – armotubo 17
2.3 PILASTRI 19
2.3.1 Note per il dimensionamento e le relative tollerante. 24
2.4 TRAVI (ORDITURA PRINCIPALE O PRIMARIA) 27
2.4.1 Travi ad “I” 27
2.4.2 Travi a “T” rovescio 30
2.4.3 TRAVI A “L” 32
2.4.4 TRAVI A “Ω” 34
2.4.5 TRAVI AD “H” 35
2.4.6 TRAVI A SEZIONE SCATOLARE O A CASSONE 36
2.5 PANNELLI DI TAMPONAMENTO 37
2.5.1 Classificazioni 38
2.6 ELEMENTI DI ORDITURA SECONDARIA 42
2.7 COLLEGAMENTI TRA PILASTRI E FONDAZIONE ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO.

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1 INTRODUZIONE

ROBA RITAGLIATA QUA E LA


Nel calcestruzzo ordinario precompresso vi è armatura ordinaria.
Dobbiamo stare attenti alle definizioni ed ai termini.
Adesso stiamo parlando di elementi a pannelli verticali le cui dimensioni
generalmente sono di 2,5 x 9/12 m. Questi però non sono numeri assoluti.
Le dimensione di una pilastro prefabbricato 10 anni fa era di 50 x 50 cm, oggi è 60 x
60.
Dobbiamo avere l’idea delle dimensioni reali degli oggetti: il dominio della
dimensione media è sinonimo di conoscenza. Dobbiamo prendere dimestichezza con le
dimensioni e le proporzioni, perché molte cose hanno significato se associate a determinati
dati.

Altri elementi complementari del sistema costruttivo di cui si parla sono i lucernari:
non sono oggetti di calcestruzzo, quindi atti alla prefabbricazione, ma che completano il
sistema costruttivo.

Nell’istante in cui applichiamo queste forze si deve avere un gran rispetto, mai avere
confidenza ed essere a conoscenza del dominio globale dell’operazione. Quella della
prefabbricazione è una tecnologia in cui vi sono punti in cui non è possibile sbagliare.

1.1 INTRODUZIONE

Il corso di Strutture Prefabbricate si occupa di strutture prefabbricate in calcestruzzo


ordinario o di calcestruzzo ordinario precompresso, anche se, ovviamente, esistono
strutture prefabbricate composte anche da altri materiali (ad esempio acciaio o legno
lamellare). Il corso ha l'ambizione di descrivere in generale il mondo del prefabbricato;
dato che in Italia la prefabbricazione è all'avanguardia dal punto di vista delle attività, è
importate conoscere in mondo del prefabbricato anche per le competenze che potreste
essere chiamati ad avere sul mondo del lavoro.
Le strutture prefabbricate vengono utilizzate per diversi utilizzi:
- edifici monopiano ad uso produttivo/sportivo
- edifici pluripiano ad uso residenziale/uffici

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- elementi per realizzazioni di opere infrastrutturali (ponti, gallerie, muri di sostegno)


- traversine ferroviarie
- manufatti per arredo urbano
- oggetti per pavimentazione, canalette, …
- pali centrifugati
Il corso si occuperà maggiormente degli edifici monopiano, anche se il mondo del
prefabbricato è molto esteso. Il corso prevederà l trattazione dei seguenti argomenti:
 Descrizione dei componenti di base:
- per fondazioni
- pilastri
- travi (orditura primaria)
- elementi di solaio (orditura secondaria)
- pannelli di tamponamento
 Principali sistemi costruttivi per la realizzazione di edifici monopiano:
- copertura doppia pendenza
- copertura piana
- copertura pseudo piana
- copertura a shed
 Considerazione sul progetto degli edifici prefabbricati
- dati necessari per la progettazione
- la scelta del sistema costruttivo
- individuazione prestazioni richieste
- tolleranze dimensionali
 Considerazioni sul progetto in zone sismica
 Normative di riferimento
 Considerazioni sul progetto dei componenti prefabbricati
- fasi transitorie dei componenti prefabbricati
- correlazione tra il progetto dei componenti prefabbricati e le tecnologie di
produzione
- aspetti specifici riguardanti il calcolo di componenti prefabbricati
 Cenni riguardanti gli elementi strutturali precompressi
- principio della precompressione
- precompressione aderente
- cavo risultante
- sistema equivalente di precompressione
- materiali (calcestruzzo, acciaio per armature ordinarie, acciaio per armature
precompresse)
- considerazioni sulle tecnologie della precompressione (pre tensione, post
tensione)

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Per quanto riguarda il corso, ci sono vari punti di vista che possono essere assunti per
sviluppare le caratteristiche fondamentali delle strutture prefabbricate.
Noi abbiamo scelto il punto di vista dell'ingegnere che opera all'esterno di uno
stabilimento di produzione/fabbricazione e che ha l'opportunità e necessità di progettare
edifici prefabbricati. Si cercherà nel corso quindi di dare quelle informazioni che servono
alla formazioni di questa tipologia di cultura: è l'utilizzatore. Questo soggetto deve
conoscere i componenti che possono essere utilizzati, come vengono assemblati, deve
sapere i vantaggi, gli svantaggi, i punti critici e le “regole” da rispettare.
Ci sono altri punti di vista più specifici, ovvero quello dell'ingegnere che lavora
all'interno dello stabilimento di progettazione che può avere in generale due attività
principali: la progettazione e la direzione lavori.
Se si realizza un edificio in opera, le dimensioni degli elementi gli giudicate dai
calcoli, successivamente l'impresa esegue delle casserature specifiche in opera. Un
progetto di strutture prefabbricate, al contrario, non ha questa caratteristica, cioè di poter
essere nella forma e nelle dimensioni esterne stabilite dal progettista a libero arbitrio. Le
strutture prefabbricate hanno delle dimensioni standard che chiaramente hanno dei campi
di variabilità, ma che non possono essere scelte al di fuori di quelle che sono le leggi di
modulazione e dimensionali alla base di quel sistema costruttivo. Quindi la progettazione
del prefabbricato da parte di un ingegnere che lavora all'interno dello stabilimento si
esplica nella scelta di diverse forme che possono essere usate per la realizzazione di una
determinato oggetto, e lascia buona libertà all'ingegnere utilizzatore di dimensionare le
armature. Le armature di precompressione possono essere inserite nei manufatti con
prefissate maschere, quindi dimensioni che fissano le distanze reciproche tra i trefoli e i
contorni dell'elemento da costruire. Il trefolo è l'armatura di precompressione
maggiormente utilizzata nel prefabbricato. Progettare una struttura prefabbricata è diverso
dalla progettazione di una struttura in opera, perché la libertà dimensionale e della
disposizione dell'armatura è sicuramente inferiore.
L'ingegnere all'interno dello stabilimento che si occupa della direzione lavori deve
avere una ottima conoscenza tecnologica, impiantistica e dei materiali piuttosto
significativa. Nella sua attività risulta essere fondamentale l'attività di controllo da parte un
sistema di qualità. Una caratteristica ed un vantaggio delle strutture prefabbricate è evitare
che alcuni operazioni critiche del processo produttivo possono essere fatte in maniera
superficiale, lasciando dei varchi eccessivi di errore. La prefabbricazione si contrappone
alla possibilità di errore, dovuta anche da una serie di situazioni ambientali, che si possono
verificare nelle strutture realizzate in opera. La direzione dei lavori in uno stabilimento di
produzione delle strutture prefabbricate è collegate all'attività di controllo di qualità.
L'ultima categoria di ingegneri che si occupa della prefabbricazione è quell'ingegnere
che fa il sistema costruttivo. Mentre il soggetto all'interno dello stabilimento sceglie le
forme e calcola le armature, quest'ultimo si colloca a monte di questa attività e definisce le
scelte sul sistema costruttivo. Il campo di validità dimensionale di una struttura coinvolge

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problemi di mercato, di trasporto, di appetibilità di una certa tipologia in un certo contesto


culturale. È una scelta molto spesso irreversibile, perché ci sono oggetti che non possono
esser modificati o riadattati a certe esigenze. La scelta di un determinato sistema
costruttivo viene fatto da un ingegnere che ha la sintesi di tutto quello che vi è nel mondo
della prefabbricazione: ovvero costi, tempi, spazi, ...La correlazione intima che c'è tra gli
aspetti tecnologici, economici, progettuali, di mercato è fondamentale. Sbagliare una scelta
significa sbagliare il sistema costruttivo, ed è molto rischioso perché dietro ci sono grossi
investimenti.

Lo sviluppo della prefabbricazione è stata diversa a seconda del periodo storico.


In una prima fase veniva richiesta la realizzazione di strutture ad uso residenziale
dove la caratteristica fondamentale era la protezione dalle intemperie. Con l'aumentare
delle richieste, delle normative, della sensibilità del mercato, con il progresso generale, si
sono aggiunti una serie di requisiti tra i quali sono significativi la limitazione gli spazi
eccessivi, quindi diminuire il volume per risparmiare sulla manutenzione; avere una
determinata resistenza al fuoco (adeguamento alle normative e all'importanza della
resistenza al fuoco), si è risolto il problema delle prestazioni illumino metriche (questo ha
introdotto e sviluppato diversi sistemi ed elementi prefabbricati); successivamente sono
arrivati i problemi energetici, quindi di isolamento termico. Recentemente si è introdotto
l'isolamento acustico, valutando sia il rumore che si produce all'interno e quello esterno.
Ognuna di queste prescrizioni è risultata fondamentale nella progettazione e nella
realizzazione.
Ogni elemento prefabbricato strutturale deve avere un comportamento statico
ottimale. Ma non è sufficiente, in quanto i veri parametri che spesso sono più complessi da
gestire, perché sono in relazione e spesso in interferenza tra loro, sono quelli che danno le
prestazioni del fuoco, termo igrometriche, acustiche, ... Il semplice calcolo strutturale non è
più l’unico requisito ma c’è la necessità di prestazioni che necessitano una
interdisciplinarità. È quindi fondamentale avere una persona che abbia la funzione di
sintesi tra le prestazioni, che pur mantenendo un ottimo grado di sicurezza, arriva a trovare
un compromesso tra tutte le altre prestazioni.
L'ingegnere che lavora nel mondo della prefabbricazione deve avere una grande
interdisciplinarità tra le materie strutturali, fisica tecnica, resistenza al fuoco, direzione
lavori, certificazione, ma anche conoscere una grande cultura tecnologica, perché solo in
questo modo può interpretare un progetto di una struttura prefabbricata. Si deve “tradurre”
un progetto architettonico in un progetto prefabbricato. La traduzione se si considerano
strutture in legno o in acciaio è sicuramente diversa.
Una caratteristica peculiare dei componenti per le strutture prefabbricate è la fase
transitoria. La vita di un elemento deve essere seguita dal calcolo, istante per istante, in
ogni fase della sua vita. Il concetto di transitorio non deve essere sottovalutato, ma per la
verifica dell'opera risulta essere un aspetto molto importante. Più le opere sono grandi più i

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transitori sono importanti e condizionano il dimensionamento di ogni elemento. Ad


esempio, si consideri un elemento che è ancora sul banco di precompressione, viene
rilassato, successivamente applicati gli sforzi di precompressione; data la resistenza ridotta
del calcestruzzo (da poco gettato), le dimensioni dell’elemento strutturale possono essere
sostanzialmente modificate per limitare lo stato tensionale in questa fase; la fase esecutiva
risulta essere una condizione che può decidere il dimensionamento del componente
prefabbricato.

1.2 DEFINIZIONI E CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO


PREFABBRICATO

Innanzitutto vengono date alcune definizioni, dalle quali risultano chiare i primi
concetti legati alla prefabbricazione.
Per prefabbricazione intendiamo la fabbricazione di strutture fuori dal luogo in cui
vengono messe in opera. Si considerano quindi due concetti molto importanti: la
progettazione e la tecnologia. Non si può assolutamente calcolare una struttura
prefabbricata se non si conoscono le tecnologie che servono per realizzare la struttura
stessa. Molte delle verifiche che si effettuano sono assolutamente legate alla tecnologia e
alle fasi di vita della struttura. Il legame tecnologia-progettazione vuol dire necessità di
conoscere le tecnologie di produzione per poter progettare correttamente.
Un elemento prefabbricato è elemento di calcestruzzo gettato e maturato in un luogo
diverso dalla posizione finale nell'opera; il prodotto prefabbricato è elemento prefabbricato
progettato e prodotto in conformità ad una norma di prodotto o alla presente norma.
Per dare una definizione più corretta, bisognerebbe anche specificare che il ciclo
industriale sia immutato ai cambiamenti atmosferici, quindi che abbia una ben determinata
qualità e un rigoroso controllo.
I vantaggi e le limitazione della prefabbricazione possono essere così riassunte:
Vantaggi:
 rapidità nella realizzazione degli edifici
- il ciclo produttivo degli elementi prefabbricati di regola, utilizza tecnologie che
rendono rapida la realizzazione
- sono possibili lavorazioni contemporaneamente in stabilimento che nel cantiere
- vantaggi nella correlazione fra fasi di realizzazione dell'edificio
 - uso ottimale dei materiali
- i materiali sono utilizzati nell'ambito di cicli produttivi industrializzati e, di regola,
sono oggetto di ottimizzazioni
- sono presenti controlli di processo
- il calcestruzzo viene prodotto in impianti automatizzati

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- la maturazione del calcestruzzo avviene in situazioni ottimali e mantenuto sotto


controllo
- si possono usare calcestruzzi speciali per usi specifici
- si utilizza la precompressione, quindi vantaggi riguardanti la capacità portante
- controllo dei fenomeni
 possibilità di ottenere svariate finiture superficiali in funzione delle esigenze
architettoniche
 ridotte tolleranze dimensionali
 raggio di trasporto degli elementi prefabbricati: la distanza massima
economicamente accettabile per elementi prefabbricati usuali varia tra i 150 e i 300
km
 possibilità di realizzare elementi con specifiche prestazioni
- termiche
- acustiche
- illuminometriche
 controllo di qualità
- sistema di qualità aziendale
- certificazioni
- fpc (factory product control): insieme di procedure e controlli eseguiti all'interno
dello stabilimento

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2 I COMPONENTI DELLE STRUTTURE


PREFABBRICATE

I principali componenti per ottenere le tipologie strutturali prefabbricati monopiano


(edifici industriali) sono i seguenti
 Plinti e travi di fondazioni
 Pilastri
 Travi (elementi di orditura primaria)
 Elementi di orditura secondaria (componenti che si appoggiano sulle travi)
 Pannelli di tamponamento (componenti che delimitano gli spazi dell’edificio in
verticale)
 Elementi complementari
- Gronde e converse
- Elementi eventuali di orditura terziaria
- Portali di coronamento dei portoni
- Elementi d’angolo a completamento del tamponamento
- Lucernari

Queste tipologie di componenti strutturali sono comuni alla maggior parte degli
edifici. Dalla combinazione di questi elementi si realizza un edificio che però ha come
specificità e peculiarità una serie di oggetti complementari che invece non sono
intercambiabili con altri sistemi costruttivi, in quanto fanno parte di quei dettagli propri del
singolo prefabbricatore e che determinano la qualità dell’insieme.
In questo capitolo si analizzeranno quindi gli elementi strutturali quali pilastri, travi
(orditura principale, direttamente collegati ai pilastri), tegoli (orditura secondaria, i quali si
appoggiano sulle travi), elementi di orditura terziaria (se presenti), denominate anche
“piastrine”, le quali rappresentano un’evoluzione in ambito topologico degli ultimi anni e
che è la frontiera sulla quale oggi si ragiona. Si analizzeranno inoltre elementi esterni quali
i pannelli, e le loro peculiarità.
Per esemplificare quanto detto fino ad ora, si consideri l’elemento di finitura che
serve per realizzare lo spigolo esterno dell’edificio. Possono essere utilizzati modi diversi:
- si può effettuare un taglio a 45° nei pannelli d’angolo, che risulta molto bello dal
punto di vista architettonico, impegnativo da realizzare. Se si ha un paramento curato in un
pannello, tale paramento risulta essere continuo a parte la fessura (interruzione) dei 2 cm
che dividono i pannelli.

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- si può altrimenti fermare un pannello prima e mandare avanti l’altro, ma ciò


comporta che vi è discontinuità delle finiture delle due facce, in quanto la faccia del
pannello ha una finitura diversa dal lato. Se invece tutti i pannelli sono di colore grigio il
problema perde di importanza. Ma oggi c’è una certa cura dei dettagli costruttivi, quindi
ora si fa riferimento a pannelli rivestiti con graniglia colorate, dove lo spessore laterale
rimane di colore grigio.
- la soluzione migliore dal punto di vista architettonico è quella di utilizzare da metà
interasse un elemento specifico d’angolo che permette di ottenere un aspetto architettonico
continuo con l’aggiunta di una finitura interessante.

2.1 CONSIDERAZIONI GENERALI LEGATE AL PROGETTO DEI


SINGOLI COMPONENTI

Ogni volta che si realizza una struttura prefabbricata, bisogna creare una casseratura
o stampo entro cui gettare il calcestruzzo. Questa può anche essere molto complesso ed
articolato, in quanto viene creato una volta sola e serve a produrre migliaia di pezzi. Si può
quindi spendere energie per studiare l’elemento in ogni dettaglio, in modo da migliorarne
le prestazioni di resistenza, di forma, peso e creare così elementi che sfruttino al massimo
il materiale.
Prefabbricare significa produrre pezzi in modo industriale, quindi la ripetitività è
indice che si può risparmiare un po’ di calcestruzzo, eliminando una parte inerte, che non
lavora staticamente più di tanto. Questo comporta un risparmio di materiale, per il
trasporto e per l’assemblaggio. Il costo quindi vi è nell’articolazione del cassero iniziale,
che però viene facilmente assorbito nell’economia del sistema. Il plinto prefabbricato ha
una serie di elementi la cui riproduzione se fosse fatto in opera non sarebbe possibile, per
problemi di costo e anche di possibilità.
Oltre al risparmio del materiale e al trasporto, un terzo fattore importante da
considerare è l'assemblaggio: il peso di un oggetto deve essere correlato ai mezzi che si
avranno in opera. Il peso, infatti, pone dei vincoli sul mezzo di sollevamento e può
accadere che è necessario cambiare il mezzo di sollevamento solo per pochi elementi, con
conseguente forte incremento sul costo complessivo. Quando si progetterà un edifico si
deve avere cura di evitare che ci siano per esempio pochi pezzi che hanno bisogno di gru di
150 ton mentre per tutti gli altri è sufficiente una gru di 30 ton. Queste considerazioni sono
fatte sulla base di una corretta progettazione, della conoscenza delle tecnologie, del
valutare le fasi transitorie fondamentali, perché questo serve per massimizzare i costi. Una
gru deve essere trasportata a pezzi e necessita una complessa opera per la messa in
funzione; quindi si deve evitare di progettare un edificio i cui pezzi siano montati da una

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gru che deve fare solo 3 tiri (in gergo vari). Una scorretta valutazione di questo transitorio
implica un costo aggiuntivo per esempio di 30.000 €.
Il progettista deve effettuare delle scelte, e valutare se conviene fare un struttura a
conci oppure intera. Trasportare una struttura significa chiedere permessi, avere la polizia
che effettua la scorta, spostare i segnali momentaneamente i segnali stradali, si devono
verificare i ponti su cui passano i camion, …. Valutare un transitorio di questo tipo è molto
importante come quanto la progettazione. Bisogna quindi avere una visione della
tecnologia globale per fare delle scelte.

Eliminare del peso ha vantaggi di costo immediato sul materiale, su quello di


trasporto e su quello di assemblaggio. Di contro costa di più lo stampo e si deve effettuare
un progetto accurato delle armature. Il calcestruzzo deve essere armato, quindi se gli
vengono date forme ottimizzate, si hanno forme più complesse, ma anche armature
dedicate. Il progetto è quel giusto compromesso personale tra tutti questi vantaggi e i
diversi problemi.

2.2 FONDAZIONI PREFABBRICATE

Le fondazioni classiche di un prefabbricato sono di 3 tipi, ma in Italia c’è ne una che


è prevalente, ovvero quella del plinto a bicchiere o plinto a pozzetto. Tale nome viene dal
foro che esso ha al suo interno nel quale si infila l’estremità del pilastro. I plinti a pozzetto
sono di varie tipologie e possono essere realizzati in stabilimento o in opera. Uno schema è
riportato in Figura.

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2.2.1 Geometria
Il plinto interamente prefabbricato è caratterizzato dal fatto che tutte le parti di cui è
composto vengono realizzati in stabilimento e poi posati in opera.
Il plinto è formato da una ciabatta di base, dalla quale sporge il pozzetto con un foro
al cui interno viene posizionato il pilastro. Il pozzetto può essere costruito insieme alla
ciabatta (in modo prefabbricato), quindi vi è la possibilità di eliminare del materiale ed
introdurre dei ribs (irrigidimenti), senza perdere del braccio di coppia e che quindi
permettono di minimizzare la quantità di materiale a parità di prestazioni statiche.

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Durante la progettazione si può scegliere se realizzare plinti con bicchiere aventi le


pareti nervate oppure bicchieri semplici. Questa scelta produce alcune differenze in termini
di costi. Risparmiare materiale significa risparmiare sul costo riferito al materiale, ma si ha
anche un risparmio sul trasporto, il quale ha delle regole a cui sono condizionati, ovvero gli
ingombri massimi e i pesi massimi. D’altra parte effettuare una progettazione complessa
significa dettagli più curati per le armature e attrezzature più articolate. Costruire un plinto
con gli irrigidimenti rispetto ad un plinto senza irrigidimenti (che per ovvi motivi avrà
bisogno di spessori maggiori) dipende sostanzialmente dall’importanza del plinto e dalla
previsione del numero di elementi che si costruiranno.
Per un plinto non sono le dimensioni che condizionano il trasporto, ma è il peso.
Quindi avere un plinto più leggero significa poterne portare di più con lo stesso trasporto e
risparmiare nel numero complessivo di trasporti. Il trasporto ha un costo che determina
l’economia globale del sistema.

Per quanto riguarda la forma del bicchiere, la parete interna è presente una rastrema
tura.. Questa è presente a causa dalla tecnologie costruttiva, infatti si deve creare un vuoto
grazie ad un tampone il quale viene inserito durante il colaggio del calcestruzzo e poi
stappato prima del completo indurimento. L’operazione di “stappo” non è possibile se non
si ha un’inclinazione che è mediamente pari al 5% (ma può variare da 3% al 7%). Se non si
ha la pendenza si rischia di non riuscire più a sfilare il “tappo”, a causa delle tensioni di
aderenza e attrito che agiscono tra le pareti di pilastro e collare del plinto. Quando si
creano dei vuoti, come nel caso del foro pel l’alloggiamento del pilastro in un plinto a
bicchiere, si deve stappare il tampone in un lasso di tempo limitato; se questa operazione
viene effettuata troppo presto, il calcestruzzo non si è ancora indurito e perde la forma; se
viene effettuato troppo tardi, c’è il rischio che aumenti l’aderenza tra calcestruzzo e
tampone, con la conseguenza di non essere più in grado di effettuare lo stappo. Nel caso di
elementi molto grandi, tipo le travi da ponte, si ha una superficie bagnata moto estesa (e
quindi una aderenza potenzialmente molto elevata): se sbaglia il tempo dello stappaggio, si
deve gettare la trave, si ha perso un’attrezzatura che deve essere rifatta e che toglie tempo
alla realizzazione dell’opera, e ciò può portare al non completamento dell’opera entro la
data stabilita dalla commessa perché si ritardano tutti i tempi. Si creano danni
incommensurabili. [nota: essendo il peso specifico del calcestruzzo pari a 2500 kg/m3, la
pressione che è esercitata dal sistema di bloccaggio del tappo è pari 2.5 volte quella
idrostatica].
Quando si va a posizionare il pilastro si devono scontare degli errori di tracciamento
e di produzione sia del plinto che del pilastro, errori di verticalizzazione, …, quindi si
devono tenere conto di tolleranze per far fluire la malta al momento dell’inghisaggio,
perché se se non fluisce bene, progettualmente non può essere accettato.
La misura è dettata da due parametri:

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- il fluido che va inserito all’interno, che teoricamente è un microbetoncino o una


malta a ritiro compensato che sono ad alta resistenza perché sono preconfezionate. L’alta
resistenza serve perché è necessario che venga effettuata la presa in tempi rapidi. Abbiamo
un pilastro ed una parete di sostegno e si deve congelare una determinata posizione. La
malta deve andare ovunque, quindi conoscendo la tecnologia della malta dobbiamo
determinare il suo minimo spessore in astratto.
- inoltre dobbiamo considerare la tecnologia dello stappaggio, quindi data la
pendenza si trova la misura finale.

Una tecnologia tale da poter creare il pozzetto con le pareti verticali e non inclinate
proviene da come si realizzano i casseri degli ascensori i quali non possono essere svasati.
I casseri sono realizzati in modo che i tamponi in mezzo siano verticali, quindi chiamati ad
abbattimento di forma. Vi è un cinematismo per cui lo stacco si ha anche negli spigoli, di
conseguenza viene sfilato.

Un’altra dimensione progettualmente importante è l’altezza del bicchiere, la quale è


commisurata alla dimensione del pilastro: questa altezza è tanto maggiore quanto è
maggiore il momento alla base del pilastro a parità di sforzo normale. Più il pilastro è
inflesso, più bisogna fornire un incastro importante, quindi bisogna alzare il bicchiere, in
modo da distanziare le forze che generano la coppia resistente. Le indicazioni CNR
10025/98 indicano che l’altezza deve essere tra 1.2 e 2 volte la dimensione massima della
dimensione del pilastro. Per esempio, dato un pilastro alto 10 m e di pianta 70 x 70 cm,
deve avere un plinto alto 2 volte la dimensione di base e quindi 140 cm. Se si è
ragionevolmente liberi eccedere nell’altezza del plinto è consigliabile anche per la messa in
opera. Per esempio la scuola tedesca impone 2,3a.
Ovviamente, più il plinto è alto più si hanno sollecitazioni basse, quindi è
consigliabile cercare di avere delle forze di taglio alla base del pilastro minori, perché il
pilastro è nato per svolgere funzioni di sforzo normale.

Parlando della ciabatta inferiore, essa è caratterizzata dalle dimensioni di base e dalla
sua altezza.
Per determinare l’altezza si devono considerare 2 fattori. Il primo è quello della
verifica del punzonamento del pilastro (effetto locale) ed il secondo è quello della
rigidezza. Per evitare momenti toppo elevati, il rapporto tra l’altezza e lo sbalzo orizzontale
deve essere indicativamente pari a 1,5.
Per quanto riguarda la profondità del piano di posa del plinto, si deve considerare che
dalla sommità del bicchiere del plinto alla pavimentazione reale dell’edificio è bene avere
circa 50 cm (devo avere lo spazio per potere mettere il pacchetto di pavimentazione
formato dalla pavimentazione industriale, lo stabilizzato, della ghiaia con determinata
granulometria).

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La base dipende sostanzialmente da considerazioni di carattere geotecnico, le quali


tengono conto delle dimensioni sempre maggiori degli edifici e delle considerazioni sulla
sismica. 10 anni fa quando non c’erano determinate esigenze il plinto prefabbricato era di
2,5 x 2,5 m, mentre oggi risulta essere molto più grande, che spesso supera le dimensioni
ammissibili per il trasporto. Nelle zone sismiche dove i plinti superano i 3 x 3 m, sono
inevitabilmente realizzati in opera.
Il plinto può essere prefabbricato o fatto in opera, ma vi è una via di mezzo che cerca
si fruttare i vantaggi della prefabbricazione senza appesantire il problema del trasporto.
Tale situazione è il solo collare ad essere prefabbricato, ovvero viene realizzato il bicchiere
senza la soletta inferiore. Dal collare sporgono armature e, quando si deve realizzare il
plinto, prima di gettare la soletta, si posiziona il collare con i ferri sporgenti i quali
vengono inseriti nella gabbia generale dell’armatura della soletta. Tale oggetto deve essere
posizionato fermo con dei piedini, putrelline, inghisaggi localizzati, tasselli, e ovviamente
si deve fare in modo che il pezzo prefabbricato venga leggermente immerso nel getto (di
solito 2 cm). Questa soluzione esita la realizzazione dell’intero plinto in opera e del
trasporto di oggetti superiori ai 3 x 3 m, realizzando in prefabbricato il pezzo complesso.
E’ come una struttura fatta in opera con un giunto di costruzione. Il collare
prefabbricato ha una sua utilità ragionevole.

2.2.2 Messa in opera del pilastro – plinto a bicchiere


Si sono realizzati i plinti (prefabbricati già posati o in opera) i quali sono ad una
determinata quota e posizione analizzata in sede di tracciamento del plinto. Viene fatto un
nuovo tracciamento planimetrico per il posizionamento dei pilastri per verificare se
qualche plinto è stato spostato più di una certa tolleranza accettabile dal nostro progetto. In
caso non siano in una posizione accettabile si deve rimediare.
Stabilito che si è all’interno delle tolleranze si devono verificare le quote. Una buona
pratica è quello di mantenere il fondo del bicchiere un po’ più basso, perché c’è la
possibilità successivamente di alzarsi grazie a boccole o sistemi di centraggio che
segnalano la reale quota in cui deve appoggiare l’estremità inferiore del pilastro. [nota: Nei
plinti a bicchiere la regola è usare una boccola per il posizionamento del pilastro].
Successivamente, con la maltina di allettamento creata la quota esatta di posa sul
fondo del bicchiere. Questa operazione deve essere separata dalle altre perché è l’unica che
permette di arrivare all’approssimazione voluta. E’ impensabile voler in prima battuta
avere la corretta approssimazione. Effettuiamo la quota e lasciamo maturare la maltina.
Ora i plinti sono nella posizione esatta per ricevere il pilastro. Se si ha una boccola che ha
un riscontro maschio/femmina con il pilastro, oltre a metterla nella quota giusta bisogna
metterla nella posizione planimetrica giusta.
Arriva il pilastro, viene alzato in due punti, fatto ruotare in aria e quando il carico è
totalmente in un unico punto, viene spostato e poi abbassato nel plinto. Tale operazioni
devono essere fatte tutti secondo i criteri di sicurezza per le persone e le cose. Se non si

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hanno le boccole di riscontro bisogna essere molto più precisi e considerare tolleranze
altimetriche e planimetriche.
Il pilastro viene quindi infilato dentro al pozzetto; tra le facce del pilastro e l’interno
del pozzetto vi è uno spazio nel viene inserito un materiale fluido, malta cementizia a ritiro
compensato, che, indurendo, non ritira e ha l’effetto di inghisaggio del pilastro.
Per tenere fermo il pilastro in sicurezza, quindi vengono messe delle tagliole che
bloccano il pilastro nella posizione predefinita. In questo momento serve che il bicchiere
sia alto così l’effetto di contenimento e di stabilizzazione è efficace. Nella maggior parte
dei casi nel momento in cui l’oggetto è stato fissato una determinata posizione, fermo
restando che prima faccio il getto meglio è, a meno di condizioni particolari l’oggetto di
norma può essere lasciato libero dalla gru. L’inghisaggio è efficace ai livelli di auto
stabilizzazione transitoria. Ma questo metodo può cambiare al variare delle dimensioni e
delle condizioni che si verificano. E’ possibile anche che vengano messi dei puntelli
provvisori fino a quando il materiale di inghisaggio abbia fatto presa. E’ per questo che
viene usata della malta a ritiro compensato. Le condizioni transitorie sono sempre
soggettive, perché non sono quelle dello stato finale.

2.2.3 Messa in opera del pilastro – piastra in acciaio con tirafondi


Ci sono sistemi alternativi per il collegamento fondazione-pilastro. Una di queste
prevede che alla base del pilastro venga inserita una piastra solidale al sistema. Questa
piastra riconduce concettualmente il nostro pilastro al caso di una colonna metallica, quindi
dalla fondazione si posano i tirafondi ad una distanza prestabilita, si arriva con il pilastro
che viene infilato nei fori. Poi vi è un controdado sotto che fa da appoggino regolabile per
la piastra, perché avvitandolo e svitandolo si alza ed abbassa lungo la barra filettata. Dalle
fondazioni emergono i tirafondi filettati, poi si mettono i dadi, con i controdadi e la
rondella, poi inserisco la piastra e viene appoggiato il pilastro in bolla, quindi in verticalità.
La planimetria non si può cambiare perché il gioco con il bullone è di 2 mm, si può solo
modificare la quota. Terminato il posizionamento del pilastro si fissano i dati superiori e i
controdadi che sbloccano lo svitamento accidentale. In questo modo vi è un transitorio nel
quale il pilastro appoggia sui tirafondi. Questo metodo è quello analogo alle strutture
metalliche. Le difficoltà si hanno perché l’oggetto deve essere puntellato con elementi
diagonali; il centraggio può essere lungo perché bisogna trovare la quota giusta con la gru
che resta sempre impegnata. Si crea una dima la quale si ottiene forando la piastra alla base
della piastra e che viene consegnata all’impresa che deve fare le fondazioni. Se centro un
foro centro automaticamente tutti i fori, però in questo caso la posizione planimetrica deve
essere effettuata nel momento delle fondazioni.
Un uomo della carpenteria metallica ha come unità di misura il millimetro, il
prefabbricatore nordico ha come unità di misura il millimetro, mentre se si parla con le
imprese italiane hanno come unità i centimetri.

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Nell’istante in cui vengono fatte le fondazioni in condizioni di operatività più


sfavorevoli le tolleranze devono essere maggiori. La scelta di sistemi tirafondati in cui le
tolleranze non ci sono è una scelta che a volte si deve fare, ma è una scelta pesante.
Nell’istante in cui abbiamo puntellato il pilastro, ora dobbiamo gettare la malta a
ritiro compensato. Nel posare la malta, bisogna stare attenti ad evitare la formazione delle
bolle d’aria. Tipicamente, nelle piastre vengono fatti buchi sia per far fuoriuscire l’aria, ma
anche per l’ispezione, controllando che la malta sia presente sotto tutta la superficie della
piastra.
La puntellazione può essere tolta solo quando la malta a presa rapida ha fatto presa.
Il problema della fase transitoria in cui il pilastro rimane sui tirafondi è una condizione che
va considerata al meglio; il progettista assegna lo sforzo normale ai tirafondi e la
stabilizzazione ai puntelli esterni. Con margine di sicurezza bisogna calcolare le tensioni
flessionali che possono derivare dal transitorio e darlo solo ai tirafondi. Questo commento
riprende l’idea fondamentale per la quale bisogna conoscere la tecnologia e sapere come ad
un certo transitorio i tirafondi sono sollecitati, per poi calcolare i tirafondi e fornire
prescrizioni progettuali.
Il vantaggio principale di questa tecnologia è la limitazione della profondità di posa
della fondazione. Con il plinto a bicchiere si scende di solitamente e mediamente di circa 3
m, mentre se utilizziamo il tipo di fondazione descritto precedentemente a parità di 50 cm
di pavimentazione superiore si ha solo una piccola zattera. Quindi si nota che si ha un
differenza pari all’altezza del bicchiere. Questo tipo di fondazione si usa quando si vuole
risparmiare altezza o quando si è in situazioni di falda a modesta profondità.
Questa tecnologia è nata emulando la struttura metallica; infatti ogni pilastro
metallico ha una collegamento alla fondazione di questo tipo. Storicamente è nata negli
Stati Uniti dove la cultura dell’acciaio è predominante. Nelle strutture metalliche però
solitamente il pilastro non è demandato a resistere grosse sollecitazioni flettenti. Si cerca di
dare un terzo elemento (il controvento fatto a croce di S. Andrea o al nucleo scala), tutte le
azioni orizzontali e quelle di stabilizzazione. Se trasportiamo tale tecnologia nel mondo in
cui dobbiamo considerare edifici industriali monopiano si hanno pilasti che risultano essere
delle mensole, quindi con poco sforzo normale e molto momento flettente. Dobbiamo
gestire una giunzione che deve sopportare molte azioni flettenti, quindi i tirafondi invece di
essere 4 possono arrivare ad essere 16, ed invece di avere diametro 20 si ha di 30. Questo è
un altro motivo per cui si preferiscono i plinti a bicchiere.

2.2.4 Messa in opera del pilastro – armotubo


Il terzo modo per giuntare il pilastro è il metodo dell’armotubo. Il pilastro presenta
delle nicchie (e quindi la sezione resistente è minore). In questa tecnologia, nella
fondazione sono inserite preventivamente delle barre di diametro 24 mm che escono dalla
fondazione; il pilastro ha dei canali fatti con delle guaine metalliche zigrinate con diametro
60 entro le quali si innestano le barre. Preventivamente viene messa una maltina nella zona

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inferiore, e rapidamente (prima che la malta indurisca) bisogna centrare il pilastro e


puntellarlo lateralmente. Un modo alternativo è quello di effettuare il getto con la malta in
un momento successivo. Viene quindi iniettata la malta nella guaina dal basso; per poter
far uscire l’aria, si predispone uno sfiato in alto. Si inietta sempre dal basso verso l’alto.
Questo sistema ha l’enorme svantaggio di dover predisporre molte guaine metalliche,
che riducono sezione del pilastro.
La variante dell’armotubo prevede che ci siano i dettagli reciproci, cioè si ha il
pilastro da cui escono le barre e nella fondazione ci sono le guaine che vengono riempite
prima di infilare il pilastro. Anche in questi casi bisogna avere un riscontro nella
fondazione e attivare un sistema di puntellamento prima che la gru se ne vada.
I vantaggi rispetto al sistema con i tirafondi è che tra le barre e le guaine sono
presenti alcuni centimetri di tolleranza che danno la possibilità di modificare la posizione
del pilastro per un aggiustaggio planimetrico (non è possibile con la piastra e tirafondi); nei
nostri casi con grosse armature alla base del pilastro la cosa tecnicamente più corretta è che
le barre fuoriescano dal pilastro perché non si ha manomissione della sezione del pilastro.
In tutti i modi questi sistemi sono nati per esigenze particolari e per pilastri che non hanno
impegni flessionali forti.
Tenendo conto delle situazioni correnti l’antico plinto a bicchiere in Italia è la
soluzione più utilizzata, più versatile e che non porta manomissioni degli elementi con
forature. Nei pluripiano ci sono anche altre tipi di soluzioni. Resta una decisione del
progettista valutare la possibilità di adottare soluzioni differenti.

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2.3 PILASTRI

I pilastri li possiamo classificare il base all'uso. Si distinguono in:


- pilastri con testa a forcella
- pilastri con testa a doppia forcella
- pilastri con testa a capitello
- pilastri con apertura per pluviale
- pilastri a sezione circolare
- pilastri con singola, doppia, tripla o quadrupla mensola (o risega)
- pilastri con collari
- pilastri con sezione decrescente
La geometria di un pilastro è appositamente studiata per essere compatibile con la
destinazione d'uso dell'edificio in cui verrà istallato. Per esempio i pilastri con testa a
forcella sono muniti di due alette che servono per consentire l'istallazione delle rotaie su
cui scorrerà il carroponte nei capannoni industriali:

Alette

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La caratteristica peculiare dei pilastri prefabbricati è la presenza di mensole che sono


utilizzate come appoggi per travi (principali o secondarie) o per travi da carroponte.

La realizzazione delle mensole comporta una variazione della sagoma della


cassaforma. A questo proposito, è importante sottolineare che il pilastro che ha una o due
mensole, non presenta grosse difficoltà per la realizzazione. Premettendo che i pilastri di
sezione rettangolare sono armati e gettati in orrizontale, la creazione delle due mensole
laterali è ottenuta mediante rientranze nelle sponde laterali. Le rientranze sono
opportunamente progettate per poter ricavare la sagoma della mensola e lasciare la
sufficiente flessibilità di posizionamento per poter far fronte ad un numero elevato di
condizioni di produzione. Con il getto del pilastro (che avviene ovviamente in orizzontale)
si possono quindi facilmente realizzare le mensola laterali, con il pregio di avere continuità
del getto con il pilastro, oltre alla continuità delle armature disposte prima del detto stesso.
L’esecuzione di pilastri con più di due mensole (su tre o quattro lati) comporta una
maggiore difficoltà di realizzazione. La mensola sul terzo lato viene tipicamente eseguita
sulla faccia che, durante il getto, si trova sul lato superiore. A causa del fatto che è su

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questa faccia, questa mensola deve essere prodotta successivamente al getto del pilastro;
questo comporta una discontinuità di getto che è preferibile non avere. Ancora più delicata
è la produzione della mensola posta sulla quarta faccia (ovvero la faccia rivolta verso il
fondo cassero). La quarta mensola può essere eseguita solo se è presente una rientranza del
fondo del cassero entro la quale prende forma la mensola. Il problema principale legato
alla presenza del foro nel fondo cassero è dovuto alla flessibilità del posizionamento della
mensola stessa.

La produzione di pilastri prefabbricati circolari è caratterizzata da un cassero posto in


verticale (differentemente da quanto si è soliti fare per pilastri rettangolari). Occorre porre
quindi l’attenzione all’altezza dei pilastri (è bene che l'altezza di questi non superi i 3 m)
poiché gli stabilimenti di produzione risultano normalmente avere quote di solaio non
compatibili con altezze maggiori (nota: si rammenti che il pilastro deve essere “sfilato” dal
cassero dall’alto; ciò significa che per disarmare un pilastro alto 3 m, sono necessari
almeno altri 3 metri (quindi in totale 6) per poter sollevare il pilastro e rimuoverlo
completamente dal cassero). Per la produzione di elementi circolari più alti, per esempio 6
metri, si procede inserendo verticalmente il cassero del pilastro in una fossa. Vi è anche la
possibilità di gettare il calcestruzzo nel cassero diagonalmente, ma non rientra nella
comune pratica esecutiva.
cap itello

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I pilastri a sezione decrescente verso l'alto, cioè con riseghe, non creano particolari
problemi di produzione in quanto vengono gettati sdraiati, e quindi la variazione di sezione
può essere fatta modificando il fondo cassero e la distanza mutua delle sponde laterali.
In Italia si tende a voler nascondere i pluviali, ed è per questo motivo che esistono
pilastri con sezioni appositamente studiate per soddisfare questa esigenza. Il pluviale lo si
mette al centro della sezione in quanto è la posizione meno sensibile per le sollecitazioni di
momento flettente. Il problema principale rimane invece la zona di uscita del pluviale, alla
base, in prossimità del plinto. In questa zona infatti si ha una riduzione della sezione del
pilastro (si noti che il foro in cui passerà il tubo del pluviale ha un diametro di 120/180mm)
– vedi figura. Essendo i momenti spesso alti alle basi il progettista è costretto a fare pilastri
che resistano anche se con un foro alla base lo spazio per il collocamento dell'armatura è
ridotto.

Aletta d'incastro
Lo smusso è a 45°(1,5*1,5cm) si fa quando metto il cassero installandovi all'interno
un elemento metallico.

I pilastri vengono smussati agli angoli perché sono punti deboli e sottili che si
possono rompere facilmente. Per smussare il pilastro si inseriscono degli elementi appositi
direttamente nel cassero, prima del getto, che possono essere di gomma o metallo. Nei
prefabbricati non sono fatti in legno (tipico delle strutture in opera) perché si vuole
riutilizzare la casseratura più volte. Inoltre, la presenza dello smusso serve per evitare che
la boiacca si insinui nelle discontinuità presenti tra i due casseri (fondo cassero e sponda).

le travi che vi si poggeranno dovranno avere una sezione particolare come si evince
dalla figura seguente:
Trave a sezione complessa

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in fondazioni la sezione del pilastro risulta avere la seguente configurazione

Apertura per l'uscita del tubo del pluviale

Lo scolo alla base del pilastro che “attraversa” la sezione del pilastro da grossi
problemi in casi di flessione infatti:

In un progetto di un pilastro prefabbricato devono essere rappresentate tutte le viste


dell'elemento, questo affinché il carpentiere possa eseguire i lavori a regola d'arte. Inoltre il

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progettista deve indicare la classe di resistenza al fuoco, la classe di esposizione


(montagna, mare, nord, sud,...), le tolleranze di produzione. L'azienda produttrice di un
pilastro prefabbricato deve quindi produrre una relazione contenete il progetto, le istruzioni
di montaggio, la classe di resistenza al fuoco, la classe di esposizione, le tolleranze... in
modo da poter essere riprodotto senza alcun tipo di dubbio. Per questo motivo, il pilastro
deve essere rappresentato in tutte le sue viste, devono essere espresse tutte le tolleranze che
i vari elementi possono avere. In oltre, se occorre produrre un pilastro molto alto (quindi
con possibili problemi nel trasporto), si possono eseguire delle giunzioni tra pilastri
attraverso l'impiego di giunzioni di tipo armo-tubo (vedi paragrafo sulle fondazioni). Le
travi e i pilastri vengono giuntati con dei dispositivi meccanici (si veda la figura
sottostante).

2.3.1 Note per il dimensionamento e le relative tollerante.


Come per tutti gli elementi prefabbricati, particolare cura deve essere posta per le
tolleranze. Infatti, la tolleranza di produzione e di montaggio deve essere presa in
considerazione sia durante la realizzazione ma soprattutto anche durante il
dimensionamento degli elementi e delle armature. Se l’oggetto che si posa sulla mensola
del pilastro (ad esempio una trave principale) viene posato con uno scostamento di 2 cm si
ha che il carico sulla mensola è applicato su un punto diverso. Nelle verifiche interviene,
quindi una dimensione di (25-2)*2=46 cm e non 50 cm come avrei voluto. Ho quindi
valori di sollecitazione che sono circa 50/46 = 8% diversi da quelli ipotizzati inizialmente.

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Giunzione di tipo
metallico trave-pilastro trave

a
b=50cm

P
Oggetto che si posa sulla trave, se questo oggetto
viene posato male di 2 cm si ha che il carico agisce su
un punto diverso, quindi interviene nei miei calcoli
solo (25-2)*2=46 cm e non 50cm come avrei voluto.
La mensola viene allora calcolata con una risultante
40cm posizionata in una sezione simmetrica. Ho una
manomissione di 46/50.

Per quanto riguarda il momento flettente M= P·a, sulla mensola, l’errore di 2 cm


significa un braccio che può essere di 22 cm invece di 20, con variazioni di sforzi pari
20%. Il progettista deve quindi individuare le combinazioni peggiori dei dati che possiede
per progettare l’elemento nella configurazione più sfavorevole (coerentemente con le
tolleranze prefissate) in quanto non sarà mai certo che il pilastro venga eseguito e montato
in modo impeccabile. Ssecondo la norma CNR 10025, per esempio, per il
dimensionamento di una mensola i calcoli eseguiti devono essere misti. Il progettista deve
quindi effettuare una ricerca dei parametri di sensibilità. Le dimensioni delle incertezze
sono paragonabili alle dimensioni dei pezzi.

Ci sono anche tolleranze per il posizionamento delle armature, che determinano


variazione delle verifiche di resistenza. Ad esempio, se si posizionano male i ferri di
armatura, può essere più limitata la zona di appoggio trave-mensola del pilastro e
conseguente variazione delle sollecitazioni sulle armature stesse. L’Eurocodice accetta

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comunque una tolleranza nel posizionamento dei ferri d'armatura dell’ordine del 10% per
l’armatura tesa.

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2.4 TRAVI (ORDITURA PRINCIPALE O PRIMARIA)

A differenza dei pilastri, che hanno sezioni poco differenziate, le travi prefabbricate
possono essere utilizzate per coprire luci che variano dai 4 ai 30-40 metri e di conseguenza
esistono sezioni molto differenti tra loro. In particolare le tipologie più utilizzate sono le
seguenti:
✔ Travi a sezione rettangolare;
✔ Travi ad “ I ”;
✔ Travi a “ T ” rovescio;
✔ Travi ad “ L ”;
✔ Travi ad “omega“;
✔ Travi ad “ H ”;
È chiaro che produrre travi con sezioni di questo tipo in opera risulta piuttosto
difficile e comporterebbe un maggior costo di manodopera. Per questo motivo, in opera, si
fanno quasi sempre travi con sezione rettangolare, si accetta di utilizzare più materiale ma
per risparmiare complessivamente. Nel prefabbricato invece si fa esattamente l’opposto: si
tende ad ottimizzare le sezioni; infatti una volta fatta la casseratura si fanno delle
produzioni in serie che permettono di risparmiare una quantità non trascurabile di materiale
con la possibilità di riutilizzare la casseratura. Dalle precedenti considerazioni si deduce
che difficilmente vengono prodotte travi prefabbricate a sezione rettangolare.

2.4.1 Travi ad “I”

Disegno:

Sono costituite da una flangia superiore, una flangia inferiore e l’elemento di


collegamento che è chiamato anima. Nel caso in cui la sezione sia costante lungo l’asse
longitudinale della trave si parla di sezioni ad anime filanti ma, in casi di necessità,
possono presentare dei rinforzi sugli estremi. La presenza di questi ingrossamenti
d’estremità è legata sia a motivi di ingombro che a motivi di calcolo: a volte per esempio è
necessario scavare le flange per lasciare libero il pluviale del pilastro, questa “mancanza”
nella flangia fa sì che si debba aumentare la larghezza dell'anima. Inoltre come sappiamo
lo sforzo di taglio è alto in corrispondenza degli appoggi e un ingrossamento contribuisce
alla resistenza. Infine devono essere sempre rispettate una serie di dimensioni, come le
distanze interferri e copriferri, ed è ovvio che vengono gestite meglio su travi ingrossate.

Disegno

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Si esaminina ora quali sono le funzioni di ognuna delle tre parti costituenti, cioè le due
flange e l'anima.

1) FLANGIA SUPERIORE: deve:


✔ Resistere alle azioni di compressione;
✔ Avere larghezza tale da resistere alle azioni di instabilità
✔ Insieme alla armature deve portare le trazioni indotte dalla
PRECOMPRESSIONE; infatti la flangia inferiore è soggetta a sforzi dovuti alla
precompressione mentre quella superiore no. Questo fenomeno fa sì che la trave
tenda ad inflettersi con fibre tese in alto e compresse in basso (vedi figura). Questi
sforzi sono assorbiti principalmente dall'armatura poiché, come è noto, il CLS non
resiste a trazione.

La larghezza della flangia è strettamente legata alla luce della trave, infatti se
utilizzassimo la stessa sezione per una trave di luce 20 metri e per una di luce 5 metri
la prima risulterebbe essere fortemente instabile. Per aumentare la rigidezza, sia
flessionale che torsionale, e necessario aumentare la larghezza della flangia senza
diminuire in alcun modo la resistenza a compressione poiché quest'ultima dipende
esclusivamente dall'area della sezione, che rimane costante.

2) ANIMA: unisce le due flange e deve resistere agli sforzi di taglio

3) FLANGIA INFERIORE: Il compito principale è quello contenere le armature di


precompressione, di reggere gli sforzi di compressione quando agisce la sola
precompressione nonché eventuali sforzi di trazione che vengono principalmente
assorbiti dall'armatura lenta presente nella falngia. Non sempre la larghezza delle due
flange risulta uguale e in particolare quella inferiore può essere più larga come per
esempio nei ponti poiché mentre agli sforzi di compressione contribuisce sia la
flangia superiore che la soletta, nella parte inferiore non c'è nulla che collabora con la
flangia. In generale si cerca sempre di fare in modo che, agli SLE, non ci siano sforzi
di trazione sull'intera sezione situazione che è ovviamente inevitabile agli stati limite
ultimi. Gli elementi prefabbricati sono praticamente sempre precompressi e questo è
un notevole vantaggio sopratutto perché riduce notevolmente la possibilità di
fenomeni fessurativi. Una trave che non fessura agli SLE resiste di più, sia al tempo

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che ai carichi. La precompressione viene eseguita mediante l'utilizzo barre d'acciaio


chiamate TREFOLI. Solitamente il collegamento tra le flange e l'anima non è a
spigolo retto ma è smussato, questa particolarità non è casuale ma serve per garantire
un miglior deflusso del calcestruzzo nella fase di getto.(eventuale disegno)

Si è visto come la sezione trasversale della trave corrente può variare presentando dei
ringrossi in corrispondenza delle estremità. I vantaggi del ringrosso sono, dal punto di vista
statico per le sollecitazioni di taglio, per effetti localizzati nella zona di appoggio
(ancoraggio trefoli), relativamente agli ingombri nella testa del pilastro. Lo svantaggio è
rappresentato dalle complicazioni che la trave con ringrossi presenta dal punto di vista
produttivo.
Queste travi vengono prodotte nella pista di precompressione. Se ad esempio su una
pista di 100 m si ha un cassero unico (cassero filante) è molto difficile realizzare il
ringrosso. Presenta già meno difficoltà se sono presenti più casseri divisi.
Per questi motivi tecnologici si può scegliere di fare un'anima più grossa rispetto a
quanto necessario per tutta la lunghezza della trave, evitando così le complicazioni
produttive della variazione di sezione.

Per travi prefabbricate è solito l’uso di diagramma di utilizzo: questo è un diagramma


che per una determinata trave (con una fissata sezione) ne fornisce la portata (kg/ml) in
funzione della luce (ml). Grazie a questo diagramma dato il carico si può stimare la
lunghezza della trave. Da prestare attenzione con questi diagrammi perché in alcuni casi
come carico è valutato il peso proprio e il sovraccarico, in altri solo il sovraccarico.

Carroponte: ci può essere una trave a I sulla cui flangia inferiore sono poste le rotaie
del carroponte, mentre la flangia superiore sorregge la copertura. Una stessa trave lavora
quindi a due altezze diverse. Per poter fare ciò le vie di corsa del carroponte devono essere
parallele all'orditura. L'altezza di tale trave deve però essere compatibile con il carroponte.
Ci possono essere carroponti che dalle rotaie necessitano di 2,5 m di altezza (per questioni
di ingombro del carrello e di menutenzione); in questo caso non potrei fare una trave unica
perché richiederebbe una trave troppo alta. La fattibilità di questa soluzione dipende anche
dalla larghezza della flangia inferiore (minima 35 cm).

Altra possibile soluzione per le vie di corsa del carroponte sono l’utilizzo di una
trave con sezione a C (mostrata in figura) che presenta una sella in corrispondenza del
pilastro. Questa trave viene realizzata mediante 2 getti separati: prima si gettano le due

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parti laterali poi si fa il getto che le unisce. Se per esempio a causa della luce che deve
coprire la trave necessita di una sezione alta un metro in corrispondenza del pilastro può
essere di 50 cm.
Il carroponte trasla ortogonalmente al foglio lungo la trave appena illustrata poi il
carrello si muove in orizzontale nel piano del foglio. Nelle due mensole del pilastro si
appoggiano le due travi, che vengono rese solidali mediante una soletta per resistere al
carico orizzontale dato dal carrello che frena. La trave che regge il carroponte è verticale
quindi fornisce buone prestazioni per i carichi verticali ma non per quelli orizzontali
(azione che si deve tenere in conto a causa della frenata del carrello). Allora le due travi
vengono unite così presentano un'inerzia maggiore in orizzontale.

2.4.2 Travi a “T” rovescio


Il classico utilizzo di queste travi è per gli impalcati con getto collaborante di
calcestruzzo sopra. Si usano queste travi per limitare l'altezza dell'impalcato.
Con queste travi si evita ad esempio la situazione seguente: trave a I alta 120 cm e
tegolo di 60 cm, per un'altezza totale dell'impalcato di 180 cm. Nel seguito è riportato un
esempio di dimensioni di un impalcato con l'utilizzo di trave a T rovescio:

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Con la soletta di calcestruzzo di 8 cm, l'appoggio di 2 cm, H1 pari a 60 cm e H2 pari a


35 cm l'altezza totale dell'impalcato diventa circa 105 cm. Ipotizzando di mettere la trave a
T rovescio come la trave a I, cioè totalmente sotto al tegolo l'altezza totale dell'impalcato
aumenterebbe di 60 cm. Inoltre in questo modo si perderebbe la collaborazione tra il
calcestruzzo e la trave a T rovescio.
Lo scopo di tale trave è di limitare l'altezza dell'impalcato (le ali servono per fare da
appoggio ai tegoli), fornisce invece scarse prestazioni in termini di geometria delle aree. A
parità di capacità portante esistono travi che ottimizzando l'area della sezione sono molto
più leggere. Inoltre a causa delle dimensioni notevoli della sezione di queste travi serve
una maggior quantità di armatura di precompressione. [nota: Precompressione di una trave
a T rovescio: 800-1000 tonnellate ]
Le misure inoltre devono essere compatibili. H2 deve avere dimensioni comprese tra
20 cm e 35-40cm (per rispondere a problemi di statica trasversale). H1 è legata all'altezza
del solaio (tegoli di copertura) e di conseguenza alla luce del tegolo. Questo spessore dovrà
essere pari (al massimo può variare di qualche cm) all'altezza; l'altezza complessiva della
trave è data dall'altezza del tegolo (pari a H1) più circa 20-30 cm per H2, quindi essa è
strettamente vincolata ad altre dimensioni.
Se la luce che la trave deve coprire è troppo elevata la sezione non avrà un'altezza
sufficiente per soddisfare la verifica a flessione (non ho molta libertà di modificare le
altezze). Se la luce della trave è ridotta non verrà sfruttata l'altezza della sezione.
ESEMPIO. Data una maglia strutturale ad esempio di 8x12m è buona norma mettere
il tegolo sulla luce lunga e la trave sulla luce corta. Se il tegolo deve coprire una luce di 12
m risulterà dai calcoli che necessita di un'altezza di circa 60 cm. Con un'opportuna
larghezza della trave essa riuscirà a coprire gli 8 m. se invece metto la trave sui 12 m e il
tegolo su 8 m ottengo un'altezza del tegolo di 45 cm. Se suppongo di voler coprire i 12 m
di luce con la trave anziché col tegolo alla trave servirà un'altezza almeno di 120 cm. Per
coprire gli 8 m al tegolo basterà un'altezza di 45 cm. Otterremo di 45 cm e di 75 cm.
Poiché per sono sufficienti 35 cm ho 40 cm in altezza di calcestruzzo sprecato. Inoltre
l'altezza totale dell'impalcato risulta di 120 cm più 8 cm di soletta.

Se la maglia è di 10x12 m l'altezza del tegolo rimane 45 cm quindi anche l'altezza


della trave dovrà aumentare, avremo ad esempio di 50 cm.

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ESEMPIO: trave a T rovescio di altezza 2,20 m relativa a una maglia molto elevata
ad esempio di 25x20 m.
In questo caso si usa una trave così alta dove sopra si ha una copertura che nasconde
la sporgenza della trave. Il problema è che serviranno 2 gronde per raccogliere le acque che
convergono alla trave a causa dell'inclinazione della copertura. L'ingombro sarà notevole
perché le gronde devono essere percorribili per le emergenze e necessitano anche uno
spazio per il passaggio degli impianti di almeno 10 cm. La trave sporgente dovrà essere
tutta impermeabilizzata con metri di lamiera. Questa operazione comporta un elevato
costo. Inoltre, in corrispondenza dell'appoggio della trave sul pilastro il pilastro avrà una
dimensione maggiore per problemi funzionali. Dovranno passarci i due tubi che portano
l'acqua al pluviale che attraversa il pilastro.

2.4.3 TRAVI A “L”


Con questa forma di sezione trasversale l'ellisse centrale d'inerzia ha gli assi non
orizzontali. La trave tende ad andare giù in flessione deviata. Se metto i trefoli di
precompressione senza tener conto di questo la trave quando è scarica può in stabilizzarsi
(svergolamento): da una deformata nel piano, è soggetta a una flessione secondo x e
secondo y (flessione deviata). Con questa forma si ha sollecitazione torsionale anche coi
carichi permanenti. La trave a L è soggetta a sollecitazioni molto diverse rispetto a quelle
della trave a T rovescio. Le asimmetrie possono dare deformazioni molto importanti.
Le travi a L, così come le travi a T rovescio, devono avere staffe per “appendere” la
parte inferiore della trave (armatura di sospensione): esse servono a costituire sistemi
resistenti tipo tirante-puntone che equilibrino il carico e resistono agli sforzi di trazione.

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Le travi a L sono tipicamente travi di estremità. Per tale motivo è possibile avere
anche “variazioni” di sezione per poter fungere anche da parapetto e/o da pensilina esterna.

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Per quanto riguarda la zona d'appoggio, è meglio se la base della trave (a L o a T


rovescio) è completamente appoggiata al pilastro. In caso contrario c’è una risultante
esterna all’appoggio che crea un momento significativo che a sua volta produce trazione
all’altro lato della trave; la trave dovrà quindi essere sempre tirata per evitare il
ribaltamento. L’introduzione di tiranti è sconveniente per problemi legati alla durabilità dei
tiranti (necessari però per evitare il ribaltamento).

2.4.4 TRAVI A “Ω”


Esse hanno una grande rigidità nel piano orizzontale. Presentano possibilità di
appoggio sia sulla parte superiore che sulle due ali. Indicativamente le dimensioni possono
essere 1 m di altezza e 35-40 cm per le ali. La parte interna è in genere sfruttata per il
passaggio di impianti. È costosa ma consente di ottenere maggiori pregi architettonici
rispetto a travi a I o a T rovescio.

Per la loro produzione si usa un sistema costituito da un blocco centrale fissato al


fondino e sponde movibili. Quando il calcestruzzo è maturato si tolgono le sponde e si sfila
la trave dall'alto. Per questo le superfici verticali sono inclinate. Fare una trave a con le
facce parallele è più costoso perché non si riuscirebbe a tenere fissa la forma del tampone
centrale, oltre ad avere grossi problemi di attrito quando si vuole sollevare la trave dal
tampone centrale.
La parte superiore dell'ala è tipicamente orizzontale per installare la rotaia del
carroponte. L'ala è quindi importante sia per la resistenza a flessione (zona in cui sono

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presenti i trefoli da precompressione) oltre ad essere soggetta a flessione trasversale a


causa dei carichi indotti dal carroponte.
Grazie alla sua forma, inoltre il piani superiore è orizzontale: questo è importante per
poter realizzare le gronde per lo scorrimento dell’acqua.

Riassumendo i vantaggi di questa trave sono, oltre alle prestazioni architettoniche, la


possibilità di appoggio su più piani, la possibilità di coprire grandi luci (ad esempio questa
trave alta 2 m può essere usata in una maglia di 25x20 m), la possibilità di essere usata per
portare il carroponte. Inoltre questa forma è particolarmente vantaggiosa per la geometria
delle masse, oltre ad avere due anime che possono sopportare il taglio. Infine, è una delle
poche travi che può essere realizzata con cavi di post-tensione.

Esistono anche travi a Ω con dimensioni più ridotte. Nascono come travi a T
rovescio svuotate. Infatti, la trave a T rovescio comporta un peso notevole e la possibilità
di alleggerirla risulta importante, riuscendo così ad aumentare le dimensioni della base
inferiore senza significativi incrementi di peso. D’altra parte il problema di questa trave è
la difficoltà nella variazione della dimensione. Infatti non si hanno molte possibilità di
variare le dimensioni del tampone che si usa per produrle. Con una trave a T rovescio è più
facile variare le dimensioni ed è quindi più flessibile. Le travi a Ω devono hanno
dimensioni meno flessibili ma, a causa del loro peso limitato, sono più idonee per grandi
luci.

2.4.5 TRAVI AD “H”


Sono travi particolari associate a un sistema costruttivo particolare, a differenza delle
travi a T rovescio che possono essere usate in svariate situazioni. La sezione trasversale è
una trave a Ω con due pensiline che definiscono la conversa. Si possono usare per esempio
quando il tegolo è a sezione costante e si crea un incavo più basso per una raccolta
dell'acqua.

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Se invece il tegolo si abbassa creando un incavo per scolare l'acqua sarà sufficiente
una trave a Ω.

2.4.6 TRAVI A SEZIONE SCATOLARE O A CASSONE

Sono travi a sezione chiusa con un nucleo cavo all’interno del quale sono presenti dei
blocchi di polistirene espanso. Vengono usate in situazioni di particolare impegno.
Forniscono performance statiche ottimali. Infatti, hanno una elevata rigidezza verticale a
causa della lunghezza delle flange, presentano una elevata rigidezza flessionale nel piano
orizzontale, grazie alle dimensioni verticali inclinate (flangia + soletta superiore) oltre ad
una elevata rigidezza torsionale alla Bredt (sezione chiusa).

Il problema di queste travi riguarda la loro produzione. La tecnica per la loro


produzione deve essere molto sviluppata essendo travi ad elevate prestazioni (grazie alle
elevate rigidezze). Esistono diverse tipologie di produzione:
Produzione per getti successivi: si usano due casseri laterali e un tampone
sollevabile; si getta la parte inferiore, poi si toglie il tampone, si mette il polistirene che
funge da cassero a perdere e si finisce di gettare. È un procedimento delicato, bisogna
prestare attenzione a quando togliere il tampone, né troppo presto né troppo tardi.
Produzione con unico getto: si usa un cassero che si deve restringere (abbattimento di
forma) al momento di sfilare la trave dal cassero stesso. La trave dovrà essere sfilata dalla
testa e quindi la necessità di una pista lunga. Si noti che, dato che il calcestruzzo ha peso
specifico pari a 2,5 kN/m3, il cassero interno deve reggere il peso e la spinta del getto
ancora non indurito oltre a potersi stringere per permettere lo sfilamento. Realizzare le
sezioni chiuse è complesso, soprattutto le sezioni con dimensioni ridotte.
Produzione con il polistirolo: si fa un getto unico e il vuoto si crea mediante un pezzo
di polistirolo. Il problema è tenere fermo il polistirolo quando arriva il getto; infatti la

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spinta idrostatica dal basso verso l’alto che il calcestruzzo esercita sul polistirolo è molto
elevata (di nuovo si rammenti che il calcestruzzo ha peso specifico pari a 2,5 kN/m3). Sarà
necessario creare quindi una struttura che tenga fermo il polistirolo opponendosi alla spinta
del getto. Solitamente si usa il polistirolo per blocchi piccoli. Si deve infine far attenzione
al fatto che, se nella fase di getto il polistirolo si sposta, nascono delle asimmetrie nella
trave che possono modificare signficativamente le caratteristiche statiche della trave.
Quindi, per concludere, anche se queste travi sono efficientissime dal punto di vista statico,
la produzione di queste travi coinvolge tecnologie complesse e costose.

Queste travi sono usate:


- Nelle strutture a grande maglia: queste travi hanno luci che possono arrivare a 30-35
metri. Vengono appoggiate ai pilastri e costituiscono l'orditura principale, portando
l'orditura secondaria. Queste travi possono anche essere utilizzate, quando per qualche
motivo un pilastro non ci può essere, per collegare i due pilastri adiacenti a quello
mancante (trave “salta-pilastro”). Si possono usare le travi così anche non solo per un
caso isolato ma ad esempio se viene richiesta una maglia doppia.
Esempio: dal diagramma di utilizzo di una trave con questa sezione si può vedere che
una luce di 30 metri può portare più di 4000 kg/ml: elevate prestazioni.
- Per reggere i macroshed

- Per le vie di corsa del carroponte.

2.5 PANNELLI DI TAMPONAMENTO

Il tamponamento costituisce la parte estera (visibile) della costruzione ed è


l’interfaccia con lo spazio urbano e con l’ambiente. Sono elementi di incontro tra
l’ottimizzazione tecnica, funzionale, economica ed estetica. I pannelli fanno parte di una
qualsiasi struttura, ma nel caso di quelle prefabbricate sono anch’essi prefabbricati.
In questo campo sono state realizzate le soluzioni più disparate a causa
dell'importanza estetica di questi pannelli, i quali rappresentano l'immagine dell'edificio. Il
pannello oltre a funzioni estetiche ha funzioni relative all’abitabilità dell'edificio rispetto
all'isolamento termico e a problemi acustici. Su questo elemento si riversa una serie molto
variegata di prestazioni.
I pannelli di tamponamento non sopportano carichi verticali ma carichi orizzontali,
vento, sisma.. Questi pannelli possono dare problemi termici notevoli, infatti se per motivi

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architettonici sono scuri e sfaccettati possono arrivare a una temperatura esterna di 70°-
80°. [ nota: Secondo l'NTC l'incremento di temperature per superfici scure esposte a sud è
di 46° (è la variazione rispetto all'incremento classico)]. Il colore può portare a
immagazzinamento di temperature significativo, questo crea problemi ad esempio per le
deformate termiche.

I pannelli hanno tante funzioni estremamente importanti e solo come ultima


possiamo annoverare quella di resistenza statica; queste strutture di tamponamento devono
avere una capacità resistente che gli permetta di reggere il peso proprio e quindi ad azione
di compressione e a carichi transitori che sono molto più gravosi dei carichi in opera.
Questi tipi di carico si sviluppano nella fase di movimentazione del pannello ossia, quando
deve essere sollevato e messo in opera, subisce un azione di momento flettente molto
maggiore di quella in opera (anche perché in opera è più che altro compresso dal peso
proprio). I più famosi carichi a cui devono resistere in opera sono quelli causati dal vento e
dalle variazioni termiche. Queste ultime sono importanti a causa della sviluppata
estensione della superficie. Inoltre per tali motivi i pannelli non vengono considerati nel
contributo alla resistenza globale della struttura in quanto non danno contributi
significativi. L’aspetto strutturale è stato definito come l’ultima delle funzioni di un
pannello non per il fatto che non sia importante, anzi la struttura deve ovviamente sempre
essere ben calcolata, ma son altri gli elementi che creano differenze tra uno e l’altro. Una
di queste funzioni delle strutture di tamponamento sono quelle estetiche; la struttura nel
suo complesso deve comunque essere piacevole e quindi è importante analizzare anche
l’aspetto delle finiture esterne. I pannelli devono anche essere funzionali dal punto di vista
di isolamento termico e acustico, ma sempre presentando particolare attenzione all’aspetto
economico che nei limiti deve sempre essere contenuto.

2.5.1 Classificazioni
È possibile distinguere i pannelli di tamponamento prefabbricati in riferimento alla
geometria esterna:
 piani: parallelepipedo spesso 30 cm
 nervati: presentano nervature a vista
 sagomati: creati ad hoc per progetti particolari.
in riferimento alla loro sezione e all'isolamento termico:
 monolitici: pannello pieno con spessore 22-24 cm. Oggi si tendono ad aumentare gli
spessori per ridurre le deformazioni. Si usano per parti interne o pareti tagliafuoco. I
pannelli possono essere monolitici: sono costituiti nella totalità da una struttura piena
che porta a diversi problemi nell’impiego come tamponamento esterno in quanto non
sono dotati di buon isolamento termico; presenta problemi di trasporto in quanto
risulta molto pesante.

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Appunti di Strutture Prefabbricate - BOZZA 04/06/2010

 alleggeriti: son costituiti da due strati di calcestruzzo che avvolgono uno strato di
materiale isolante; presentano 2 croste di calcestruzzo di 6-7 cm poi dei blocchi di
polistirene di circa 12 cm di spessore. L’alleggerimento infatti è molto importante
perché riduce il peso e quindi gli sforzi nelle fasi di spostamento e di trasporto.
Hanno un discreto isolamento acustico in quanto per quest’ultimo è molto importante
la densità (“legge di massa”) fornita dai due strati di calcestruzzo.
 a taglio termico: eliminano molti ponti termici che quelli alleggeriti mantengono e
quindi migliorano l’isolamento; le due croste di calcestruzzo non sono a contatto se
non puntualmente nelle zone di collegamento. Lo strato di isolante è passante in tutto
lo spessore del pannello. Lo strato isolante è in polistirene estruso o espanso. Infine
si possono trovare anche pannelli a taglio termico ulteriormente alleggeriti che
uniscono le qualità di entrambi e risultano particolarmente funzionali
 a taglio termico alleggerito: presentano sia i blocchi di alleggerimento che lo strato
passante di isolante.

Un’altra tipologia (di uso limitato) sono i pannelli aerati i quali non sono utilizzati in
genere nelle strutture industriali, ma in quelle in cui i particolari sono più curati (esempio
edifici direzionali). In tali pannelli sono presenti dei fori alla base in cui viene fatta passare
dell’aria la quale va a sostituire l’aria calda che è formata nell’intercapedine se la parete
esterna è a contatto con alte temperature; questi tipi di pannelli permettono di limitare il
riscaldamento delle pareti interne e quindi degli ambienti.
Infine sono presenti anche pannelli compositi i quali hanno una struttura particolare
che gli permette di resistere al momento flettente diversamente da quelli a taglio termico;
questi sono formati da due strati portanti che collaborano tra loro per sopportare le azioni
orizzontali a cui è soggetto il pannello. La flessione sul pannello si divide idealmente tra i
due strati della parete in sforzi di trazione e compressione; in questo modo si aumenta la
rigidezza ed è possibile ridurre gli spessori, quindi il peso e perciò i costi. I due strati per
funzionare bene devono essere perfettamente collegati e ben armati; sui sistemi di
collegamento di questi pannelli si sono sviluppati diversi brevetti, ma il problema
principale rimane nel dimostrare che la connessione deve essere sufficientemente rigida
per poter essere efficiente e la decisione deve essere presa in seguito a prove sperimentali.
Nonostante presentino notevoli qualità sono ancora maggiormente impiegati e preferiti gli
altri tipi di pannelli.
Analizzando diagrammi di utilizzo impiegati dai fabbricatori (nei quali sono indicati
in funzione dell’altezza dell’elemento prefabbricato lo spessore minimo in grado di
garantire una sicurezza strutturale) si nota che per i pannelli alleggeriti siano caratterizzati
quasi sempre da spessori maggiori a parità di tensione rispetto ai pannelli monolitici;
Indicativamente, per pannelli monolitici lo spessore deve essere maggiore di un
sessantesimo dell’altezza e in quelli alleggeriti un cinquantesimo rispetto alla stessa
grandezza.

I COMPONENTI DELLE STRUTTURE PREFABBRICATE 39/102


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I pannelli possono essere classificati inoltre per la posizione in opera:


 verticali: 10-12 m di altezza per una base di 2,5 m (massima larghezza trasportabile
dal camion)
 orizzontali: 2,5 m di altezza per 10 m di larghezza
Entrambe le tipologie sono caratterizzati da una dimensione massima che è legata a
problemi di trasporto: i pannelli verticali possono essere larghi al massimo 2,5 metri e per
lo stesso motivo quelli orizzontali non possono superare i 2,5 metri di altezza. La scelta tra
queste due tipologie di pannelli e principalmente estetica, ma la scelta si ripercuote
successivamente anche a livello strutturale.
Una significativa differenza riguarda la disposizione delle aperture; se si vogliono
disporre delle finestrature a nastro è necessario l’utilizzo di pannelli orizzontali. Se
l’apertura (una porta) non è grande la posso porre tra due pannelli verticali; in questo caso
si dispongono solo due mensole sopra la porta in modo tale che il peso del pannello possa
essere scaricato ai due laterali; se l’apertura raggiunge dimensioni maggiori non bastano
più le due mensole ai lati ma è necessario disporre una vera trave che abbia lo scopo di
distribuire ai lati il peso. Di conseguenza i pannelli laterali sono maggiormente robusti
poiché devono reggere anche il peso del pannello centrale. Un’altra possibilità è quella di
disporre al di sopra dell’apertura un pannello orizzontale e in quel caso basterebbero solo
due mensole ai lati e per evitare che all’esterno si noti l’impiego di entrambe le tipologie di
pannelli si farebbero delle false fughe per far sembrare tutto omogeneo. Ai lati di una porta
sono sempre posti dei pilastri che in base alla loro distanza decidono la lunghezza dei
pannelli superiori; se l’apertura è più stretta della distanza fra pilastri i pannelli laterali
risulteranno a sbalzo rispetto a questi ultimi; se tale sbalzo risulta eccessivo (supera i 2
metri) sono necessari dei pilastri ulteriori in acciaio che consentono un appoggio
aggiuntivo.

Altre distinzioni nei pannelli vengono fatte sulla base della geometria, della
posizione rispetto alle grandi aperture come le porte e rispetto alle finiture superficiali.

2.5.2 Dettagli
I pannelli posseggono in genere delle armature alle estremità circondate da staffe
oppure vengono anche impiegati dei tralicci metallici. Queste armature sono in ogni caso
integrate da reti elettrosaldate poste sulle facce di calcestruzzo. Nei punti di sollevamento
sono necessarie armature ulteriori: in questi punti dove sono presenti i ganci si vengono a
creare delle tensioni localizzate molto elevate quindi sono necessarie armature ad hoc per
potere sopportare le sollecitazioni “locali”.
Nei pannelli alleggeriti sono presenti ferri in sommità e alla base per evitare che lo
strato portato oltre l’isolante si stacchi dalla parete portante; questi elementi sono di due

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tipi: elementi più robusti, posti alla base, devono reggere il peso proprio della parte portata
del pannello; una seconda tipologia, presente nella parte superiore del pannello, sono solo
tesi in quanto devono evitare solo il ribaltamento della parte portata del pannello. In base al
produttore le forme di questi ferri sono diverse, ma hanno una forma idonea all’ancoraggio
(per trazione) nelle porzioni di calcestruzzo.

Gli spigoli sono un altro problema nella realizzazione dei tamponamenti; questi
possono essere costituiti da elementi ad hoc oppure avere gli angoli smussati a 45° oppure
presentare all’esterno una parete fino in fondo anche se quest’ultima soluzione risulta di
minor pregio (vedi le immagini delle dispense).

2.5.3 Finiture
Come precedentemente detto i pannelli hanno un’importante funzione estetica quindi
è fondamentale parlare delle finiture esterne. Ne esistono di tre tipi:
 Le finiture a cassero: sono caratterizzate dall’assenza di lavorazioni in seguito alla
scasseratura; è la tipologia di finitura più semplice in quanto consiste solo
nell’aggiungere all’impasto di cemento pigmenti colorati per ottenere colori più chiari
o più scuri. Sono possibili in tale ambito però dei trattamenti a “fresco”: la graffiatura
consiste nel far passare sotto un rastrello il calcestruzzo scasserato in modo tale che
rimangano i graffi oppure possono essere messi degli elementi in fondo al cassero in
rilievo al fine di ottenere una faccia esterna particolare.
 Le finiture fuori cassero possono essere di diverso tipo: si può mettere della graniglia in
fondo al cassero prima del getto, una volta gettato il calcestruzzo avvolge la graniglia,
ma prima che si raggiunga la completa maturazione si effettua una lavatura in modo
tale da eliminare lo strato superficiale di calcestruzzo e con conseguente emersione
superficiale della graniglia la quale crea un piacevole risultato estetico. In questi casi si
fa uso spesso di un ritardante in modo tale da poter lavare via il calcestruzzo non
ancora indurito. Altre finiture citate sono la bocciardatura: consiste nell’impiego di una
sorta di martello che porta a creare un effetto di parete rovinata; ed infine la sabbiatura.
 Finiture che consistono nell’applicazione di materiali diversi dopo la posa in opera del
pannello: un esempio molto diffuso è quello dell’impiego dei marmi o dei laterizi
anche se questi sono spessi solo un paio di centimetri e sono solo incollati sul pannello.

2.5.4 Collegamenti
Nella messa in posa del pannello sono presenti altri problemi e uno di questi è di
sicuro quello dei collegamenti; bisogna considerare che il bloccaggio del pannello deve
avvenire in modo pressoché immediato e devono essere garantite le deformazioni dei
pannelli a causa delle variazioni termiche. I collegamenti, di qualunque tipologia siano,

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devono essere durabili e devono consentire una regolazione nella messa in opera in quanto
non è facile disporre il pannello con precisione millimetrica; devono essere presenti
collegamenti progettati per poter recuperare le tolleranze; questi elementi sono in acciaio
inox oppure zincato al fine di aumentarne la durabilità.
I collegamenti sono realizzati con profili metallici che collegano travi e pannelli e
consentono una buona velocità di aggancio; questi sono caratterizzati da guide a forma “c”
che garantiscono l’ancoraggio e queste sono poste in genere una in verticale e una in
orizzontale (vedi immagine) per garantire spostamenti degli agganci che sono costituiti da
bulloni.

I pannelli orizzontali sono sempre appoggiati al bicchiere dei plinti di fondazione per
mezzo di due appoggi che consentono un migliore allineamento e sono caratterizzati da
una certa distanza in quanto tra questi due deve passare sempre il pluviale. I pannelli
verticali presentano la problematica del fatto che non possono appoggiarsi tutti ai plinti
quindi è posto alla loro base una “trave portapannello” che ha quindi lo scopo di reggere i
pannelli centrali che non possono appoggiare direttamente sui plinti. Questa soluzione
presenta il problema del possibile cedimento differenziale tra plinto e trave di fondazione;
il tutto può essere risolto per mezzo dell’utilizzo di un plinto nervato su cui poggia
direttamente la trave portapannello (non più sul terreno); in questo modo il cedimento del
plinto non crea spostamenti differenziali tra struttura e tamponamenti.
Nei pannelli orizzontali sono inoltre sempre presenti delle mensole in calcestruzzo o
in metallo in quanto bisognerebbe evitare che il pannello superiore appoggi direttamente su
quello inferiore e così via.

Infine si è detto che nel mondo anglosassone sono impiegati pannelli che fanno
anche da trave in quanto si appoggiano sui pilastri laterali e hanno grande capacità portante
(in Italia sono in genere portati) e addirittura in alcuni casi rari sono completamente
autoportanti e si appoggiano direttamente in fondazione: non necessitano né di travi né di
pilastri.

2.6 ELEMENTI DI ORDITURA SECONDARIA

Gli elementi di orditura secondari sono elementi strutturali che si appoggiano sulle
travi formando gli impalcati. Si possono classificare, a scopo didattico, in:
 elementi nervati a sezione filante;
 elementi di solai piani;
 elementi speciali di copertura.
Quest'ultimi verranno trattati successivamente perché connessi ai sistemi costruttivi
della tipologia delle coperture a pseudo-piano.

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Nella trattazione degli elementi di orditura secondari ci si riferirà a elementi


strutturali autoportanti, senza trattare quindi tutti quegli elementi di orditura secondaria che
servono per realizzare dei solai di luci basse (6-8 m) tipici delle strutture di civili abitazioni
associate alla lavorazione in opera, quali ad esempio i travetti precompressi e non.
I più comuni elementi nervati a sezione filante sono classificabili in:
 tegoli a “Π” o a “TT“;
 tegoli a “T”;
 tegoli a “U”;
 tegoli a “U” rovescio o a “Ω“;

2.6.1 TEGOLI A “Π” o a “TT“

I tegoli a TT sono la categoria principale sia da un punto di vista di quantità di


elementi realizzati sia da un punto di vista storico. Questa forma consente di avere ottime
doti statiche associate a dei costi piuttosto contenuti. Possono essere utilizzati in copertura
senza o con soletta collaborante realizzati in opera, o in impalcato con la soletta.
Se si effettua una prova di carico di un tegolo precompresso di 15-16 m di luce, e si
valuta la freccia in funzione del carico, si nota che il tegolo ha un’enorme duttilità. Infatti,
il tegolo parte con una freccia verso l'alto, arriva ad uno stadio di carico per cui la freccia si
annulla, si continua ad aumentare la pressione ai martinetti quindi inizia ad esserci una
freccia verso il basso anche notevole. Successivamente si formano delle fessure, a questo
punto si toglie il carico e il tegolo torna ad una posizione quasi orizzontale. Non
perfettamente orizzontale a causa delle fessure che restano disconnesse ma l'oggetto non ha
subito danni irreparabili.
La significativa flangia superiore ha un'area compressa di grande estensione, mentre i
trefoli sono posti nelle due nervature inferiori per sfruttare l’intera altezza del tegolo. Alla
crisi, si arriva sempre prima allo snervamento dell'acciaio, cioè si ha rottura di tipo duttile.
Associato all’ottimo comportamento dal punto di vista statico allo stato limite ultimo
(come visto sopra), si ha un’altrettanto ottimo comportamento allo stato di esercizio per la
presenza di grandi masse centrifugate rispetto al baricentro, e quindi per i valori molto
elevati dell'inerzia e i moduli di resistenza.

I COMPONENTI DELLE STRUTTURE PREFABBRICATE 43/102


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Il rapporto tra la prestazione e il costo rende questo tegolo un elemento difficilmente


superabile.
Dal punto di vista funzionale, presenta inconvenienti legati al fatto che non è una
copertura piana nell'intradosso (le nervature possono disturbare da un punto di vista
architettonico) ed e difficoltosa la realizzazione dei lucernari (aperture superiori per
ottenere illuminazione dal tetto).

Dimensioni
Geometricamente, il tegolo TT è caratterizzato da una larghezza della piattabanda
superiore fissa a 2,50 m (per problemi di trasporto). Dal punto di vista tecnologico non ci
sono problemi a ridurre, tagliando le ali, la larghezza superiore. Questa operazione può
essere necessaria per ottenere una misura prefissata nel progetto architettonico o per
questioni di portata, perché chi ha il ruolo centrale sono le armature e quindi la frequenza
delle nervature. Per esempio, un tegolo largo 2,20 m (con una zona compressa, quindi,
comunque molto larga) avendo un carico relativo a 220 cm porta di più di un tegolo largo
2,50 m con le stesso nervature.
Dal decreto dell'87 lo spessore della piattabanda superiore è di 5 cm (2 pollici).
Dovendo applicare determinate regole sulle dimensioni del copriferro per assicurare la
durabilità del copriferro, soprattutto in classi di esposizioni quali ambiente marine questo
spessore va aumentato.
L'interasse tra le nervature è di 125 cm, con lo scopo architettonico di avere
regolarità dell'intradosso. La nervatura ha altezza che va da un minimo di 30 cm fino a 95
cm, cioè dimensioni complessive del tegolo da 35 a 100 cm. E' caratterizzata dalla
larghezza inferiore e dalla pendenza necessaria per lo scassero.
La larghezza inferiore dipende da fatti geometrici inderogabili, quali la possibilità di
mettere una staffa o una rete di staffe le quali devono essere protette dal copriferro (20-35
mm). Le dimensioni del copriferro dipendono dalla classe di esposizione al fuoco, dai
livelli di durabilità che si vogliono ottenere quindi dalla vita utile della struttura e dai
controlli di qualità che si fanno quindi se la misura è garantita oppure no e un’altra serie di
fattori. (vedi cap. 4 dell'Eurocodice 2 “durabilità e copriferri”).

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Stabilito il copriferro, (ad esempio 25 mm), le dimensioni delle staffe (8-10mm), il


raggio di curvatura per la piega delle armature (anche questo è normato), deve essere
presente lo spazio minimo per poter mettere le armature da precompressione (trefoli). Si
determina così lo spessore minimo (tipicamente 12 cm). Se ho bisogno di tanti trefoli per
problemi di portanza, considerando 6 cm di distanza del copriferro, la distanza tra i trefoli
appaiati è di 5 cm, considerando le dimensioni delle staffe si arriva a 18-20 cm.
A questo punto si verifica se la larghezza ottenuta soddisfa il calcolo della capacità
portante e la resistenza al fuoco che si vuole ottenere. Quando si parla di resistenza al
fuoco si deve prevedere su tutta la lunghezza una o due armature (che possono essere le
armarìture ordinarie stesse) compatibili a livello di vicinanza alle superfici esterne con la
resistenza richiesta. Prevedendo che il fuoco attacchi sui tre lati della nervatura, più questa
è larga e più si va verso il centro della nervatura, più riesco a rallentare il tempo in cui la
temperatura cresce e quindi a proteggere dal fuoco i trefoli di precompressione. Si arriva a
dimensioni della base “b” anche di 24 cm; più usualmente, sono però compatibili con la
resistenza al fuoco e la capacità statica anche le misure 18-20 cm.
Esempio: si ha una luce discreta, un buon sovraccarico, l'architetto richiede
un’altezza contenuta, l’unica soluzione è tener basso il tegolo, usare la precompressione e
allargare la base per farci stare i trefoli e per aumentare W e J nella condizione di esercizio,
diminuendo le deformazioni.

La pendenza delle nervature individua le tecnologie produttive adottate. Se si


dispone di un cassero fisso, la realizzazione del tegolo prevede la posa dei trefoli e delle
armature ordinarie e, successivamente, si getta il cls. Si aspetta il tempo necessario per la
maturazione del calcestruzzo e si rilasciano i trefoli. Applicata la precompressione, il
tegolo si può sollevare l'elemento senza problemi grazie alla pendenza favorevole della
nervatura. Si è soliti considerare una pendenza fissa circa del 4-5 % per poter effettuare lo
scassero, ma occorre fare alcune precisazioni. Se il tegolo è piccolo e quindi con poco peso
proprio, nervature di 35 cm, al rilascio dei trefoli si auto-scassera, si solleva nella parte
centrale, punta alle due estremità e semplicemente con la deformata impressa dalla
precompressione si stacca dal cassero. La superficie di aderenza che deve vincere è

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proporzionale alle superfici di contatto (la dimensione della nervatura più 30 cm per
ognuna delle 4 facce) che, in quanto piccole, non ostacolano la auto-scasseratura.
Aumentando l'altezza del tegolo deve essere aumentata la pendenza per avere la certezza
che sia vinta l'aderenza al cassero (che ovviamente aumenta con l'altezza delle nervature).
Conseguenza di questo è la variabilità della pendenza anche se, come detto prima, è
dell’ordine di 5-6 %.
Il raggio di curvatura, non dettato da problemi statici, può essere sostituito da una
rastremazione ma la prima soluzione favorisce meglio il getto all'interno della nervatura.
Come per tutti gli altri elementi prefabbricati è richiesto allo stesso cassero una certa
possibilità di variare le dimensioni, in questo caso per esempio passare da una lunghezza
della nervatura da 40 a 35 cm. Ci deve essere la possibilità di inserire un elemento
orizzontale che blocchi il getto nella nervatura all'altezza desiderata. Considerata una
pendenza del 6%, se la base inferiore è di 12 cm, quella superiore risulterà essere
approssimativamente di 24 cm. Diminuendo l'altezza delle nervature si passa da una base
“b” di 12 cm a una di 20 cm; più il tegolo diventa basso più la larghezza aumenta a causa
della pendenza. Staticamente parlando, la larghezza della nervatura e altezza del tegolo
sono due misure indipendenti ma diventano dipendenti per problemi tecnologici nel caso di
cassero fisso.

Il cassero fisso per tegolo TT presenta innumerevoli vantaggi, tra i quali il fatto che
la soluzione tecnologica è di facile applicabilità, non si deve fare altro che gettare e
scasserare, non c'è nessuna movimentazione del cassero, se non nel caso di cambiamento
dell'altezza del tegolo. Per contro, se si deve fare una gamma molto divaricata di altezze,
per esempio il classico 135 cm vuol dire che quando passo all'altezza di 100 cm ho un
sovraccarico di peso dovuto alla sezione, che contribuisce solo alla pendenza, di 12 x 95
cm2, cioè 70 kg di calcestruzzo per ogni nervatura in eccesso solo per problemi tecnologici
(in parte questa sezione contribuisce ad aumentare W e J ma solo in piccolo parte essendo
estrema)
Per evitare questo sovraccarico si è pensato a progettare nervature con facce piane
parallele verticali ma è evidente la difficoltà in tal caso nel togliere il cassero compreso tra
le due nervature. La soluzione introdotta è, allora, quella della nervature a facce piane e
parallele ma non verticali; la faccia interna della nervatura va lasciata comunque con

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pendenza verso l'esterno, per i motivi già detti, mentre la faccia esterna può essere presa ad
essa parallela. Sono inclinazioni molto ridotte, intorno ai 3 gradi.
Nella soluzione di nervatura a doppia pendenza non è semplice posizionare
l'elemento orizzontale per cambiare l'altezza, posizionare e muovere per la manutenzione
ordinaria le guaine agli angoli. Nell'ultima soluzione presentata invece risulta più semplice.

I vantaggi di questa soluzione sono legati al fatto che non si trasporta peso inutile
dovuto alla pendenza; la larghezza delle nervatura è indipendente dall'altezza del tegolo;
inoltre vi è la possibilità di dosare pesi e dimensioni in maniera ottimale. Lo svantaggio
principale è legato all’aspetto estetico non ottimale per la non simmetria degli elementi
inferiori.

L'ultimo difetto del tegolo a “TT” è quello di avere tanta massa centrifugata nella
soletta sopra ma poca sotto. Problema ovviato con una soluzione di forma che presenta un
ringrosso inferiore, come riportato nella figura seguente:

Considerando che comunque il cassero esterno alle due nervature va tolto durante le
operazioni di scassero, lo si può fare di questa forma guadagnando massa inferiore. Con
questa soluzione si può quindi aumentare significativamente la capacità portante; c’è la
possibilità di inserire anche tre trefoli appaiati; inoltre, in esercizio, lo stato tensionale
viene ampiamente abbattuto da questa larghezza perché c’è un aumento dell'inerzia; infine,
tecnologicamente non si creano problemi rispetto alla nervatura a spessore costante.
Per variare l'altezza del bulbo inferiore ci sono due possibilità: o si ha la sponda base
come in figura a, quindi si ha un ringrosso eccessivo oppure sulla sponda base si monta un

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tampone interno che ricostruisce la sagoma desiderata (figura b.). Quale delle due
tecnologie scegliere dipende dal numero di elementi da fare con lo stesso cassero, si tratta
di valutazioni economiche.
Lo svantaggio del ringrosso inferiore è legato al maggior numero di staffe da mettere
(occorre staffare anche il ringrosso)

Se ho tegoli prodotti con il cassero fisso, il baricentro delle nervature sta sempre sulla
linea verticale centrale della nervatura, per cui la distanza tra i due assi del baricentro è 125
cm qualunque sia l'altezza del tegolo. Se ho un tegolo a facce parallele o una variante della
prima specie, con un'intermedia difficoltà tecnologica, che permette di avere movimenti
reciproci tra la sponda inferiore e laterale esterna della nervatura, si può realizzare un
tegolo con doppia pendenza ma con parziale movimentabilità dell'oggetto. Conseguenza è
lo spostamento dell'asse della nervatura. Fenomeno evidente anche con la terza tipologia di
forma dei tegoli a “TT”, si sposta l'ascissa x del baricentro. Nel primo caso l'interasse si
considera 125 cm e non da problemi, negli altri casi in cui variando l'altezza del tegolo si
ha una traslazione orizzontale dell'asse (l'interasse è funzione dell'altezza) il progettista
decide qual è il tegolo di riferimento (per esempio tra 30 e 100 cm di dimensioni comuni si
prende 60-70 cm) e a questo assegna 125 cm di interasse, questa dimensione poi diventerà
più piccola quando si farà il tegolo più basso e aumenterà quando si farà il tegolo più alto.

Un ulteriore sviluppo per i tegoli TT è legata all’introduzione nello schema


strutturale di un elemento di orditura terziario (emblematico per capire come si è
sviluppato il mercato). La soletta, alta 8 cm, porta un'orditura terziaria tramite l'appoggio
finale. Nella prima soluzione, ogni tegolo era affiancato e ognuno portava la sua area di
peso; in quest’ultima si possono distanziare i tegoli e mettere negli intermezzi elementi di
orditura terziaria a patto di aumentare la sua portanza, ringrossando la soletta e
aumentando le armature di precompressione. I tegoli a “TT” hanno la possibilità di passare
all'orditura terziaria quasi in maniera continua, lo stesso elemento a livello di carpenteria
(avrà probabilmente armatura diversa) alto 90 cm se deve sopportare 120 kg di neve può
essere messo su 28 m di luce, se lo si mette con elementi di orditura terziaria può avere
luce ridotta a 21,5 m.
Con orditura terziaria si hanno tipicamente 250 cm di tegolo, 250 cm di orditura
terziaria e 250 di tegolo; con i tegoli affiancati si ha un numero doppio di tegoli con costo
superiore a quello di due tegoli con maggiore sezione e armatura e orditure terziarie di 250
cm. I vantaggi dell'utilizzo di orditura terziaria sono quindi nel risparmio del numero di
tegoli oltre alla libera gestione, in termini di prestazioni, del sistema costruttivo: in questi
250 cm tra un tegolo e l’altro si possono, per esempio, adottare sistemi di illuminazioni
naturali.

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Il diagramma di utilizzo permette di individuare subito l'altezza della tipologia di


tegolo di cui si necessita. Esempio: 12 m di luce, carico permanente 1.00 kN/m2, carico
variabile 1.50 kN/m2 per il carico da neve, si ottiene un tegolo di “tipo 4” di 72 cm di
altezza e 250 cm di piattabanda.

2.6.2 TEGOLI A “T”


Il tegolo a T è caratterizzato da una sola nervatura quindi ha meno problemi nella
produzione, ha casseri più semplici, necessita di meno armatura ed è economicamente più
vantaggioso del tegolo a “TT”. Nonostante questi vantaggi, in Italia non è molto diffuso
principalmente per un problema di posa in opera, è evidente che richiede di essere
puntellato.

2.6.3 TEGOLO A “U”


Il tegolo a “U” ha diffusione molto inferiore rispetto al tegolo a “TT”. L'altezza di
questi elementi va da 22 a 36 cm e la larghezza è di circa 120 cm. Le caratteristiche
peculiari sono:
- intradosso piano, non si vedono le nervature del “TT”;
- a compressione ha una resistenza minore, in alcuni caso la rottura è fragile perché c'è
una minore quantità di calcestruzzo compresso (crisi lato calcestruzzo), ma se usati
come tegoli da copertura, una volta verificati dal punto di vista statico, hanno un
buon comportamento;
- la soletta piana è agevolata alla resistenza al fuoco rispetto alla nervatura per
superficie esposta ai fumi;
- - possono essere prodotti con sistemi altamente automatizzati, cioè prodotto con
macchine di tipo vibro-compattatrici. Questa macchina alimentata da carriponte che
scorrono a velocità fino a 1 metro/min su una pista sulla quale sono state posizionate
le armature e i trefoli. Tramite benne i carroponti portano il calcestruzzo contenuto
nel silos sopra la macchina la quale lascia completamente realizzato il tegolo dopo il
suo passaggio. Infatti, questo tipo di macchine hanno la capacità si stendere, vibrare
e dare la forma al calcestruzzo. Nel tempo in cui il calcestruzzo viene attraversato
dalla lunghezza della macchina riesce a mantenere la forma data. Grazie al metodo di
realizzazione, si riesce ad ottiene un prodotto a costi bassi e con la certezza della
qualità del prodotto per i parametri già impostati dalla vibrocompattatrice. La
lunghezza del manufatto è ottenuta tagliando il pezzo unico creato dalla macchina, la
sezione quindi è visibile e misurare il rientro del trefolo che tende ad ancorarsi è un
controllo specifico imposto dalle norme UNI 13369 (“common rules”). Questo
controllo non è possibile, ovviamente, nelle altre tipologie di tegoli.

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2.6.4 TEGOLI A “Ω” (O A “U” ROVESCIO)


Se sono da impalcato, sono spesso completati con un getto di malta tra le due
nervature. La possibilità di avere questo completamento molto importante se si guarda il
comportamento sismico in quanto migliora il collegamento longitudinale fra gli elementi
che si aggiunge alla soletta collaborante superiore.
Se usati in copertura, presentano la terza orditura. Tipicamente però è un'orditura
molto minuta, di scala inferiore e concettualmente diversa da quella invece realizzabile sui
tegoli a “TT“.
Esiste una tipologia di tegoli con doppia pendenza simmetrica rispetto la mezzeria
realizzato con due conci (quindi con armature post tese) che riesce ad arrivare fino a 50 m
di luce.
In qualunque di questi tegoli in cui sia presente spazio tra una nervatura e l'altra c'è la
possibilità di inserire impianti elettrici, di condizionamento ecc. E' comunissimo nei tegoli
a “Ω” nell'Europa del nord l'utilizzo degli sprinkler antincendio.

2.6.5 SOLAI ALVEOLARI


Traggono i principali vantaggi dal fatto di essere costruiti da una lastra piana nella
quale vengono ricavati dei fori. Questo implica che l'intradosso e l'estradosso sono piani e
paralleli. Da un punto di vista estetico l'intradosso piano è apprezzato e apprezzabile; dal
punto di vista dell'estradosso, qualunque cosa si vada a fare sopra, a livello di opere di
finitura, carichi permanenti, solette collaboranti, l'estradosso piano da un enorme vantaggio
in termini di tempi e facilità di realizzazione. Inoltre, un altro grande vantaggio è la grande
resistenza al fuoco per la mancanza di nervature sporgenti.

Inoltre presenta anche un vantaggio di geometria delle masse: a parità di spessore


questi elementi hanno inerzia maggiore di qualsiasi altro elemento. Ma ha anche enormi
vantaggi dal punto di vista produttivo: la produzione a vibrocompattazione o a estrusione
(più utilizzata per questo scopo) porta ai vantaggi già esposti di auto controllo.

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Lo svantaggio principale è il peso notevole e specialmente nei paesi in cui il sisma è


importante questo fatto va considerato con attenzione. Altro elemento negativo di questi
elementi è che normalmente per spessori che vanno dai 20 ai 50 cm di altezza non hanno
armature ordinarie al loro interno sia per la tecnologia con cui vengono realizzate
(estrusione), sia per problemi di produzione. Ci sono solo trefoli di conseguenza il
calcestruzzo con cui vengono realizzati questi elementi è a classe di resistenza elevata,
questo anche per avere caratteristiche di maneggiabilità e di costruibilità.
Le trazioni localizzate, normalmente assorbite dall'armatura (soprattutto quelle che
non possono essere prese della precompressione perché sono di tipo trasversale oppure
sono prodotte dalla stessa precompressione nelle zone d'ancoraggio) devono essere prese
dalla resistenza a trazione del calcestruzzo. Bisogna inoltre fare molta attenzione alla posa
per evitare fessure trasversali che non possono essere assorbite.
Per questi motivi non sono utilizzabili per impalcati da ponte o ovunque vi siano
problemi di stabilità e vibrazioni. Esistono in Italia aziende che producono elementi con
questa tecnologia ma con armatura ordinaria, quindi tecnologia simile ma prodotto
completamente diverso.
Si sono sviluppate tecnologie importanti e specifiche normative per questa tipologia
per accogliere risultati sperimentali.

A livello dimensionale, il solaio ha spessori dell’ordine di 30 cm per 120 cm di


larghezza (numeri praticamente fissi) con la presenza di 5 fori. In prossimità dell'appoggio
sono necessari dei collegamenti alle travi o agli altri elementi di solai, perciò si fanno delle
fresature. In sede di produzione si asporta una fetta superficiale di materiale longitudinale
per ottenere un canale aperto, in linea con il foro. Queste servono per posizionare delle
armature con due braccia, uno superiore e uno inferiore per ottenere un collegamento tra
due lastre consecutive una volta gettata la soletta collaborante.
Gli alveolari devono essere sempre forniti, in queste situazioni di collegamento, di
tappi che chiudono gli alveoli.
Spesso queste lastre sono quotate in millimetri essendo intimamente connesse alle
macchine di solito quotate in mm.

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3 SISTEMI COSTRUTTIVI

I sistemi costruttivi sono dati dalla combinazione degli elementi base illustrati finora,
tra cui si ricordano pilastri, plinti, travi, tegoli e pannelli. In particolare per quanto riguarda
i sistemi costruttivi per coperture si ha la seguente suddivisione:
1) sistemi costruttivi per coperture a doppia pendenza;
2) sistemi costruttivi per coperture piane,
3) sistemi costruttivi per coperture pseudo-piane;
4) sistemi costruttivi per coperture a shed.

3.1 SISTEMI COSTRUTTIVI PER COPERTURE A DOPPIA


PENDENZA

Queste coperture nascono nell'ambito della realizzazione di edifici industriali e sono


quelle che si trovano più frequentemente. Esse si dividono in due sottotipologie principali:
- Coperture con travi a doppia pendenza e con i tegoli a sezione costante;
- Coperture con trave a sezione costante e tegolo a doppia pendenza.

Il primo tipo è quello che si usa principalmente e consente di raggiungere luci


elevate. Storicamente questa tipologia nasce in un contesto culturale in cui non era
richiesto all'edificio di soddisfare importanti prestazioni, in particolare non ci si
preoccupava dell'ingombro di queste strutture nel contesto dell'edificio, ma si richiedeva
essenzialmente che queste assolvessero alla funzione di proteggere dalle intemperie. Le
coperture realizzate con la tecnologia delle guaine impermeabilizzanti erano poche poiché
c'era molta diffidenza nell'utilizzarle avendo riscontrato che queste potevano generare
alcuni problemi di tenuta all'acqua, perciò si preferiva utilizzare lastre di copertura
ondulate che venivano sovrapposte ai margini per generare una copertura continua. Lo
scolo dell'acqua senza infiltrazioni al di sotto delle lastre era garantito inoltre dal porle
inclinate con una pendenza minima del 10%.
Questa pendenza nasce come richiesta prestazionale, infatti, creando travi che
possano soddisfare questa pendenza non si ha la soluzione migliore dal punto di vista
statico in cui si richiederebbe una inclinazione sicuramente inferiore al valore citato.
Di seguito si riporta in figura il prospetto di una trave a doppia pendenza sormontata
da tegoli solitamente di tipo “Π” e appoggiata a due pilastri con i rispettivi plinti.

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La pendenza fa in modo che per trovare la sezione della trave più sollecitata si deve
cercare quella sezione abbastanza vicino all'appoggio da far si che l'incremento di altezza
rispetto alla base non sia grandissimo; inoltre si deve cercare il giusto equilibrio con la
distanza dalla mezzeria per non allontanarsi troppo dal momento sollecitante massimo di
una trave semplicemente appoggiata.
La trave si appoggia inserendosi in due pilastri posti alle estremità di essa. In
particolare sono possibili tre possibili tipologie di teste di pilastri che permettono
l'appoggio della trave: a forcella classica che dà la possibilità di inserire due travi contigue,
a forcella chiusa per i pilastri di bordo in cui si può inserire una sola trave ed infine una
testa che permetta di inserire oltre alle travi altri elementi posti ortogonalmente a queste.
I seguenti disegni illustrano una sezione trasversale delle tre differenti tipologie.

La sezione di una trave a doppia pendenza può essere considerata come quella di una
trave ad “I” stando lontani dall'appoggio, mentre nella zona prossima a quest'ultimo
l'anima tende mediante una rastrematura a ringrossarsi. Il seguente disegno risulta
esplicativo.

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Valutando le sezioni della trave a doppia pendenza non è lecito parlare di sezione filante in
quanto l'altezza di questa si innalza procedendo verso la mezzeria. Esiste la possibilità di
realizzare travi a sezione ringrossate dove si fa fronte a problemi di natura geometrica, di
calcolo poiché si deve fare in modo che la trave resista al taglio ed infine a problemi legati
alle forze di precompressione.
Un'altra problematica legata alla particolare geometria della trave in questione è di
riuscire a contenere l'altezza di colmo: raggiungendo luci elevate che possono arrivare
anche fino a 29 metri , essendo la pendenza obbligata si ha infatti un progressivo aumento
dell'altezza della trave come è indicato in figura, pertanto l'unico modo per non fare travi
troppo alte è quello di contenere l'altezza di queste all'appoggio.

Per fare in modo che non si veda la pendenza della copertura stando all'esterno
dell'edificio si usa fare sporgere i pannelli laterali di tamponamento al di sopra dell'altezza
di gronda della copertura superando di solito l'altezza di colmo di venti centimetri. In
questo modo si ottiene in prospetto l'effetto di una copertura piana. Naturalmente andando
ad incrementare l'altezza del pannello si va incontro ad un problema di costi che
aumentano, ecco perché risulta a maggior ragione ragionevole cercare di ridurre l'altezza
della trave all'appoggio.

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Risulta a questo punto utile avere un’idea sull'ordine di grandezza di una trave. Si
può fare riferimento alle seguenti misure:
- altezza della sezione all'appoggio: da 70 a 100 cm;
- spessore dell'anima nella zona non ringrossata: 10-12 cm;
- spessore dell'anima all'appoggio: 40 cm;
- larghezza del bulbo inferiore: da 35 a 50 cm;
- larghezza bulbo superiore: circa 70 cm;
- lunghezza della trave: da 18-20 m fino a 30-34m; lunghezze superiori creano
problemi di trasporto ma si sono realizzate anche travi di 40 m che raggiungono
altezze di colmo di 3,05 m; un tempo si creavano travi più corte di 12-13 m di
lunghezza non precompresse.

Travi molto lunghe si possono realizzare in due conci, ognuno che corrisponde ad
una metà trave. Questi conci vengono accostati in opera fino a creare una fuga di circa 30
cm, inoltre vengono attraversati da cavi di post-tensione che li uniscono. Si inietta una
resina tra i due pezzi in modo da dare loro continuità. I cavi di post-tensione si trovano in
una guaina, che dopo l'unione definitiva delle due parti mediante martinetti, viene iniettata.

Una problematica comune è quella del sollevamento della trave. Particolare


attenzione va posta sull'altezza del baricentro di questa; infatti, se la trave viene afferrata
ad una altezza inferiore a quella del baricentro si corre il rischio di un ribaltamento della
trave. Si deve quindi sollevare afferrando la trave in un punto di altezza superiore a quella
del baricentro in modo da non generare instabilità. Di solito le travi a doppia pendenza
vengono sollevate in quattro punti. Se i punti di ancoraggio per il sollevamento risultano
essere ad una distanza troppo ravvicinata alla mezzeria si può creare una flessione delle ali
che generano compressioni nella parte inferiore e centrale della trave già precompressa.

Produzione della trave a doppia pendenza


La sezione non costante della trave genera dei problemi di casseratura. Si supponga
intanto che la trave presenti parti ringrossate verso le estremità ma che sia a facce piane e
parallele, ovvero che essa non vari in altezza procedendo verso la mezzeria. In questo caso
un primo problema è quello di realizzare la zona del ringrosso e della rastrematura. Poiché
la sezione non è filante si riscontrano difficoltà a fare scorrere i casseri sulla pista per

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potere realizzare travi a luce via via sempre maggiore, pertanto si adotta la tecnica dei
casseri a conci. In particolare, supponendo di volere realizzare una trave lunga 10 m che
necessita di una zona ringrossata di 150 cm a ciascuna delle due estremità, si adottano due
conci lunghi ciascuno 5 m che vengono collegati nella zona di mezzeria. Fino ad una luce
di 11 m si procede aggiungendo conci alle estremità, che possono pertanto arrivare fino a
50 cm l'uno. Questo fa in modo che la zona ringrossata procedendo da 10 m ad 11 m risulta
sempre più lunga, pertanto si accetta un extra di 50 cm che possono risultare non necessari
dal punto di vista statico, ma che permetteno di non dovere tagliare modificando la
casseratura ogni volta.

Arrivati ad una luce di 11 m si procede lasciando i due conci da 5 m con la zona di


ringrosso da 150 cm e aggiungendo anziché due piccoli conci laterali uno unico centrale di
1 m, ma procedendo verso i 12 m di luce si ritornano ad aggiungere anche quelli laterali. Si
può procedere con giustapposizione di conci successivi fino a raggiungere luci maggiori
procedendo con questo schema dove vengono indicate le lunghezze in metri dei conci da
inserire in mezzeria.
5 x 2 : trave da 10 m;
5 x 2 +1 : trave da 11 m;
5 x 2 + 2 : trave da 12 m;
5 x 2 + 2 +1 : trave da 13 m;
5 x 2 + 4 : trave da 14 m;
5 x 2 + 4 + 1 : trave da 15 m;

5 x 2 + 7 : trave da 17 m;
ecc...

Si osservi che la lunghezza dei conci è fissa, per potere mantenere limitata la loro
tipologia; pertanto una lunghezza di 3 m è realizzata giustapponendo due conci
rispettivamente di 1 e 2 metri.
Naturalmente maggior numero di conci affiancati significano anche più bullonature
per poterli unire e più segni che determinano discontinuità nel getto di calcestruzzo, quindi
minor pregio estetico. Poiché il calcestruzzo nella casseratura viene vibrato, si ottiene
l’inconveniente della rumorosità che si amplifica salendo col numero di conci.

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Tuttavia il problema originario è quello di potere realizzare la trave a doppia


pendenza, pertanto si utilizza la medesima tecnica della trave a facce parallele cercando
tuttavia una simmetria dei conci in quanto la pendenza risulta costante all'aumentare della
luce. Il getto di calcestruzzo per queste tipologie di travi non è autocompattante, sempre
per motivi legati alla realizzazione della pendenza.
È opportuno ricordare che la complessità di realizzazione aumenta con quelle travi
che necessitano di una doppia strombatura, poiché può essere che dopo la prima non ci sia
uno stato tensionale compatibile con l'ottimizzazione strutturale. Ovviamente anche nel
caso della doppia strombatura questa è parte del blocco fisso di 5 m citato in precedenza.
Di seguito si riporta un prospetto ed una sezione trasversale all'anima di una trave a
doppia pendenza e a doppia strombatura.

Le travi a doppia pendenza sono idonee anche per creare sbalzi e pensiline verso
l'estradosso dell'edificio. Grazie al fenomeno del fluage il calcestruzzo col passare del
tempo tende a perdere di resistenza di conseguenza la pensilina tende ad abbassarsi. Per
ovviare a questo problema e per curare maggiormente l'effetto visivo della pensilina si
tende a realizzare la parte intradossata dello sbalzo nella parte di estremità inclinata verso
l'alto. L'occhio umano tende a percepire questa particolare inclinazione come piana.

La copertura si realizza solitamente con tegoli a “Π” che vengono posti sopra alle
travi e costituiscono l'orditura secondaria. Sul colmo ci possono essere anche particolari
tegoli che seguono l'andamento delle due falde. Essi si possono anche trovare a “doppio
Π”. I tegoli a “Π” non sono l'unica tipologia che si può trovare ma vengono usati anche
tegoli grecati od alveolari. Sopra ai tegoli si trova uno strato di materiale isolante, che se
risulta significativo ha bisogno di maggior spazio pertanto risulta compresente ad un
sistema di copertura a doppia listellatura; infine completano la copertura dei laminati

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ondulati opachi sovrapposti all'estremità per garantire la resistenza all'infiltrazione


dell'acqua. Classica di queste coperture è la presenza di fasce luminose a soffitto ovvero
lastre della stessa forma di quelle della copertura ma traslucide che si lasciano attraversare
dalla luce, esse si utilizzano per dare luce agli ambienti interni, ma non danno ricambio
d'aria. Queste lastre costituiscono la tipologia di lucernario detta “a raso”. Naturalmente
per fare in modo che la luce penetri all'interno dell'edificio si devono lasciare distanziati i
tegoli sottostanti. Essi pertanto risultano portare un carico su un'area maggiore dei propri
2,5 metri, si può parlare pertanto di una terza orditura.
Tutti i laminati vengono fissati tra loro mediante viti con guarnizione.
Di seguito si riporta uno schema di questa tipologia di copertura. Essa pur essendo a
raso segue naturalmente l'andamento della doppia pendenza.

Tutti i laminati vengono fissati tra loro mediante viti con guarnizione. A volte queste
coperture possono essere camminabili, pertanto è necessaria la presenza di un parapetto
prima del laminato lucido oppure in alternativa si può installare sotto questo una rete di
sicurezza che funga da anticaduta.
Infine un velario sotto il lucernario fa si che la luce venga sparsa più uniformemente.
Per garantire l'illuminazione all'interno del fabbricato si può anche inserire un
timpano in sommità della copertura che grazie alla possibilità di realizzare infissi apribili si
può garantire il circolo dell'aria fra interno ed esterno.
Infine è comune anche la presenza di shed in copertura che garantiscono sia ricambi
d'aria che l'aumento delle prestazioni illuminometriche.
I successivi disegni illustrano questi ultime due tipologie di illuminazione.

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Per garantire il convogliamento dell'acqua ai pluviali si possono trovare gronde ad


“U” situate all'estremità dell'ultimo tegolo di copertura prima della linea di gronda. In
alternativa si possono utilizzare travi ad “H” o con forme più complesse che essendo poste
sul filo di gronda, raccolgono la disposizione dei tegoli tra due tratti di copertura adiacenti.
Sopra di esse è posta una lamiera impermeabilizzante. Di seguito sono riportati i disegni di
una possibile tipologia di trave ad “U” che serve peri il convogliamento dell'acqua ai
pluviali. La prima che viene illustrata è perimetrale all'edificio, la seconda invece si pone
all'interfaccia di due doppie pendenze consecutive.

Infine è opportuno ricordare una categora particolare di travi a doppia pendenza dette
travi a “Boomerang”. Esse grazie ad una pendenza del 33% vengono utilizzate soprattutto
in edifici adibiti all'allevamento di bestiame poiché garantiscono l'evacuazione dei vapori
caldi dovuti all'allevamento stesso.
Questa tipologia di trave non è precompressa e non raggiunge luci significative.

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3.1.1 TEGOLI A DOPPIA PENDENZA


Sono elementi di orditura secondaria, posati in accostamento sulle travi principali,
che realizzano una copertura a doppia pendenza pur mantenendo l’intradosso piano. Sono
composti da un’anima di spessore costante e una flangia orizzontale superiore di larghezza
pari a 250 cm max. La sezione trasversale aumenta di altezza dagli estremi fino in
mezzeria dove raggiunge la massima dimensione secondo la pendenza longitudinale tipica
del 10%. Proprio in mezzeria, dove si raggiungono le massime sollecitazioni flessionali, la
maggiorazione dell’altezza permette di limitare le tensioni interne. Per questa caratteristica
possono essere utilizzati tegoli di questo tipo nella copertura di grandi luci (anche 40/50
m), realizzati mediante l’unione di due conci contrapposti. In tal caso la sezione trasversale
è di diverso tipo (ad esempio ad omega).
Generalmente presentano una notevole difficoltà di esecuzione, specie a causa della
sezione trasversale variabile e dell’ala superiore. Inoltre occorre, per ottenere la perfetta
planarità dell’intradosso, controllare che la monta degli elementi, dovuta alla
precompressione, sia uguale per ciascuno. È ovvio che per necessità di produzione gli
stessi elementi siano soggetti agli sforzi di precompressione ad intervalli di parecchie ore
(circa 20): si può considerare che l’elemento venga gettato un giorno e scasserato il giorno
successivo. Tra questi l’elemento prodotto di Venerdì verrà necessariamente scasserato, e
subirà la precompressione, il Lunedì successivo, ovvero dopo un tempo che è superiore al
doppio rispetto agli altri, ad un tempo in cui il modulo E del cls è ovviamente superiore e
tale da generare, a parità di sforzi, una monta inferiore. Lo stoccaggio può poi solamente
accentuare l’effetto. Per ovviare al problema si sfruttano maturazioni accelerate o si
scassera il Sabato. Discorso analogo vale per tutti i tegoli ad intradosso piano come
pannelli alveolari o tegoli U.
All’interno della stessa famiglia si producono tegoli a conci separati, con i quali si
arriva a coprire luci di anche 50 m. L’altezza della sezione di mezzeria può raggiungere

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anche i 2 m quindi si tratta di elementi davvero imponenti generalmente di sezione ad W


per sfruttare al meglio le resistenze dei materiali.

Tegoli ad intradosso piano


Si utilizzano nella realizzazione di coperture ma anche solai di piano. Hanno
dimensioni contenute con larghezza, in genere, di 125 cm. Presentano una flangia inferiore
orizzontale di spessore limitato (5/6 cm), irrigidita mediante una nervatura centrale. Si
posano accostati sulle travi principali.

Lucernari a raso
Necessari alla illuminazione dei locali interni, si possono realizzare sia in coperture
piane che in pendenza. In quest’ultimo caso si realizzano posando i tegoli ad una certa
distanza reciproca, lasciando un vuoto nella copertura. Si posano poi all’estradosso dei
tegoli, in corrispondenza del vuoto, lastre ondulate traslucide (in genere di policarbonato)
che permettono il passaggio dei raggi solari. All’intradosso si pone in genere una seconda
lastra lucida munita di una rete di sicurezza anticaduta nel caso in cui la copertura sia
accessibile.
Mentre la lastra di intradosso viene fissata direttamente al tegolo, con chiodature
metalliche, quelle di copertura (lucide e non) vengono chiodate a listelli di legno applicati
a loro volta ai tegoli. Il listello dovrà essere ovviamente trattato ma realizza anche oggi
l’interfaccia ottimale tra le lastre di copertura e gli elementi portanti “duri” della copertura.
Esistono diverse tipologie di fissaggio e di posa, a seconda del tegolo utilizzato, ma il
chiodo viene sempre posto in corrispondenza della monta della lastra per evitare
infiltrazioni di acqua.

3.2 COPERTURE PIANE

Quella della copertura piana è la seconda tipologia costruttiva, in ordine di tempo,


utilizzata per edifici prefabbricati. Garantisce estradosso perfettamente piano, o anche
nervato se la copertura non è pedonabile, e si realizza quindi con tegoli T o TT, ma anche
con pannelli alveolari piani. Il sistema prevede la posa dei tegoli direttamente sulle travi
principali come nel caso di un semplice solaio interpiano.
Si sviluppa principalmente per contenere le altezze del fabbricato, eliminando la
pendenza dell’estradosso. Su luci importanti si possono in questo modo risparmiare anche
decine di centimetri, se non metri, in altezza potendo utilizzare pannelli esterni più corti ed
eliminando eventuali problemi di visuale libera nonché di costo.
Lo scolo delle acque meteoriche è garantito da un massetto in pendenza gettato in
opera (solo se l’estradosso è piano) oppure posando in pendenza i tegoli mediante il rialzo
di una delle travi di estremità. In ogni caso sono necessarie pendenze minime del 2/3 %. A

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completamento della copertura non si utilizzano più lastre ondulate bensì un classico
pacchetto isolante e impermeabilizzante con barriera vapore, materiale di coibentazione e
guaina (anche doppia) bitumata.
La tecnica delle coperture piane permette di realizzare le cosiddette “grandi maglie”
in cui gli elementi di copertura realizzano un’orditura terziaria. In genere, infatti, si
utilizzano travi principali molto performanti, ad esempio scatolari, su cui posano travi
secondarie più esili (ad W ad esempio) a passo costante su cui poi poggia il solaio. In tal
modo si realizzano maglie quadratoidi di dimensioni anche molto elevate (30x30 m)
permettendo l’eliminazione, quindi il diradamento, di alcuni pilastri e la creazione di spazi
aperti molto ampi.
Il problema principale delle coperture piane riguarda la possibilità di
impermeabilizzazione (ora risolto con le moderne guaine bitumate) nonché la realizzazione
di lucernari a raso. Questi si ottengono o scostando due tegoli consecutivi oppure bucando,
quando possibile, il tegolo stesso. In ogni caso sarà necessario realizzare un bordo rialzato
attorno al lucernario (alto anche 40 cm) per evitare infiltrazioni di acqua. Tale rialzo potrà
essere realizzato in opera una volta posata la copertura (ad esempio in muratura), oppure
modificando il tegolo in fase di produzione, oppure ancora utilizzando profili leggeri in
lamiera. La soluzione migliore resta quella della completa prefabbricazione, occorre però
che la parete aggiunta non modifichi il comportamento statico del tegolo stesso, ovvero
dovrà essere non reagente alle sollecitazioni affinché i tegoli accostati in copertura, forati e
non, si comportino allo stesso modo presentando la medesima deformazione: per questo si
pone, in fase di realizzazione, una lastra di scollegamento in polistirene tra il corpo del
tegolo e la parete aggiunta. In questo modo le pareti del pozzetto non contribuiscono in
alcun modo alla rigidezza flessionale del tegolo.
Per realizzare il lucernario si utilizzano lastre in genere non piane, bensì voltate
oppure a timpano, posate sulle pareti del pozzetto e fissate solitamente a profili di legno.
Come visto prima si rende necessaria una rete anticaduta all’intradosso nel caso di
coperture accessibili.

3.3 COPERTURE PSEUDO-PIANE

Quello della copertura pseudo piana è il sistema costruttivo attualmente più


utilizzato. Sono coperture che nel complesso presentano un andamento planare ma sono
realizzate in realtà con elementi dal profilo non piano,detti elementi speciali di copertura,
accostati tra loro oppure interassati a formare lucernari a nastro.
Questo tipo di copertura si sviluppa a partire da quella piana risolvendone i problemi
legati al costo nonché alla difficoltà di garantire una corretta illuminazione degli ambienti.
Il sistema pseudo piano si compone di travi principali, elementi speciali di orditura

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secondaria ed elementi complementari di orditura terziaria orditi da tegolo a tegolo,


cosiddetti voltine, di luce intorno ai 3 metri.
A livello economico è conveniente l’uso delle voltine che permette di ridurre il
numero di tegoli necessari al ricoprimento dell’intero ambiente. Considerando che i tegoli
presentano tutti larghezze di 250 cm circa, accoppiandoli a voltine di 300 cm si va a
dimezzare il numero di elementi speciali che sono sicuramente gli oggetti dal costo più
elevato.
Dal punto di vista funzionale si riescono a garantire molto più facilmente aspetti
estetici e illuminometrici di grande importanza per ambienti di un certo tipo. In tal caso
basterà utilizzare voltine traslucide tra un tegolo a quello successivo.
Discorso a parte richiedono quegli elementi cosiddetti micro-shed che presentano un
profilo particolare tale da permettere la realizzazione di lucernari particolari. Questo
sistema elimina l’orditura terziaria accostando gli elementi ad interassi variabili tra i 260
cm e i 280 cm.

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4 ELEMENTI SPECIALI DI COPERTURA

La CNR 10025 classifica gli elementi speciali di copertura in funzione della forma
nonché dello schema statico. A livello di forma (sezione) si parla di :
A. profili alari semplici
B. profili nervati
C. profili con doppia nervatura
D. profili con sezione scatolare chiusa
E. profili con sezione scatolare aperta
F. profili a micro-shed
G. profili paraboloidici (a doppia curvatura)

Dal punto di vista del comportamento statico si identificano:


I. elementi a trave con nucleo
II. elementi bi flessionali
III. elementi scatolari aperti
IV. elementi a stella
V. elementi di altre forme speciali

Tutti questi elementi sono di regola larghi 250 cm, presentano le sezioni più diverse,
ma sempre costanti tranne gli elementi paraboloidici. Alcuni di questi necessitano di un
timpano alle estremità che garantisca una corretta superficie di appoggio.
Il comportamento di questi elementi è piuttosto complesso per le particolari
geometrie delle sezioni, che possono essere anche asimmetriche. Per molti ad esempio è
scorretto utilizzare la “teoria della trave”, data la deformabilità della sezione trasversale, a
livelli di forte sollecitazione, nonché la sua non necessaria planarità durante l’inflessione. Il
collasso di alcuni può ad esempio presentarsi per perdita di forma.
Per questo nella progettazione nonché nella verifica si utilizzano metodi di calcolo
più raffinati, che tengano conto ad esempio della deformabilità della sezione, come metodi
non lineari agli elementi finiti.
Ad ogni modo le norme del CEN (Comitato Europeo di Normalizzazione)
prevedono, per alcuni elementi speciali di copertura e per pannelli alveolari, ad inizio
produzione quello che viene chiamato ITT (Initial Type Testing) ovvero una serie di prove
iniziali che dimostrino la validità del metodo di calcolo utilizzato per la progettazione
dell’elemento stesso. In particolare si effettuano prove di carico differenti su un modello

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prototipo per valutare la corrispondenza tra il comportamento presunto dai calcoli e quello
reale dell’elemento.
Per altri elementi, per i quali in genere è corretto utilizzare la teoria tecnica della
trave, è previsto invece un ITC (Initial Type Computation) che dimostri la bontà del
modello di calcolo semplicemente con analisi computazionali.
A livello geometrico sono caratterizzati da ali laterali rialzate o comunque pendenti
verso l’interno per garantire lo sgrondo delle acque meteoriche, raccolte dalle voltine,
verso l’asse del tegolo che si comporterà a sua volta da canale di gronda. Molti elementi
possono per questo essere pre-impermeabilizzati in stabilimento. Il rialzo comporta inoltre
l’aumento dell’inerzia del tegolo e la sua capacità portante. È evidente questa caratteristica
negli elementi binervati o scatolari nei quali si cercherà di ingrossare le estremità delle ali
laterali per garantire una certa superficie resistente alle compressioni.
Per il peso derivato dalle voltine gli elementi sono spesso soggetti a carichi
asimmetrici che creano sollecitazione torsionali piuttosto pericolosi per elementi in genere
snelli. Gli elementi scatolari, dotati di nucleo di Bredt, sono i più indicati per resistere a tali
sollecitazioni mentre la cosa si complica nel caso di micro-shed dove lo scivolamento della
neve può aumentare la asimmetria dei carichi trasversali.

Le coperture possono essere realizzate elementi di copertura, classificate nel


documento CNR 10025 come elementi speciali di copertura, aventi:
- a sezione costante o variabile
- con o senza timpano di estremità
- con interasse tra gli elementi (shed).

4.1 COPERTURE A SHED

E' la prima tipologia di copertura utilizzata, capostipite dei sistemi macro-shed, shed
compositi e micro-shed, ormai caduta in disuso a causa di difficoltà di montaggio ed
impermeabilizzazione. La trave viene ordita sulla luce lunga, lo shed su quella corta e
montato tipicamente su un elemento reticolare in acciaio.

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Una sua evoluzione è il sistema a shed con travi canale, scompare l'elemento
reticolare portante per lasciare posto unicamente alla trave principale e ci si avvicina
concettualmente al macro-shed.
Un’altra tipologia prevede l'utilizzo di travi a cavalletto con inversione della
direzione di orditura del solaio che diviene ora parallela all'elemento shed.

L'ultima variante è costituita dagli shed a “z” o “alari”, assolutamente simili ai


moderni micro-shed.

Le coperture a SHED possono essere distinte in:


- MACROSHED sono elementi ad interasse dell'ordine dei 10m e dove è il tegolo o
l'elemento di solaio che regge tale luce e una serie di puntoni riportano il carico sulla
trave principale.

- SHED COMPOSITO con un interasse di 5m fatto tra un elemento speciale di copertura


e l'altro e non è né macro né micro. È ottenuto componendo due elementi: i tegoli
speciali di copertura e gli elementi a shed.

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- MICROSHED con un interasse che va da 2,70 m fino a 2,90 m che dipende


dall'inclinazione della lastrina che si interpone. Questi elementi sono stati catalogati tra
gli elementi speciali di copertura per come si comportano e come si compongono. Nel
capitolo seguente si analizzaranno nel dettaglio.

4.1.1 MICRO-SHED
Tra tutti gli elementi speciali il micro-shed presenta le maggiori difficoltà inerenti la
progettazione nonché la verifica e la realizzazione, allo stesso tempo però garantisce la
soluzione ottimale ai problemi di illuminazione degli ambienti.

sezioni di micro- shed

I micro-shed vengono accostati gli uni gli altri di modo che il ricoprimento dello
spazio sia pressoché totale. In realtà tra elementi consecutivi si lascia uno spazio che va dai
15 cm fino ai 50 cm circa ponendo a chiusura un infisso, generalmente inclinato, che
unisce la coda di un elemento con l’ala dell’elemento precedente. In tal modo l’infisso
risulta apribile permettendo un certo ricambio d’aria. L'interasse varia quindi da 2,70 a
2,90m e dipende dall'inclinazione del vetro a seconda dell'edificio, in più tale inclinazione
favorisce una autopulizia del vetro con la pioggia a battente.

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Il sistema a micro-shed consente un livello di illuminazione diffusa ottimale per le


lavorazioni di precisione. L'efficacia illuminometrica degli shed deriva dall'inerasse tra gli
infissi che hanno un diverso rendimento creando dei coni di luce ed ombra. Passando ai
microshed si ha una ottimizzazione delle prestazioni illuminometriche che permettono
uniformità. Da questo punto di vista è molto importante la curvatura dell’ala dell’elemento
che riflette i raggi solari sull’elemento adiacente, i quali vengono diffusi nell’ambiente.
Spesso proprio per aumentare la riflessione si rivestono le due facce (interna ed esterna)
dell’ala con una lamiera lucida o con altro materiale riflettente.
Staticamente la sezione presenta ellisse centrale di inerzia inclinato rispetto all’asse
di posa, essendo la sezione necessariamente asimmetrica. Questo obbliga a studiare un
posizionamento dei trefoli di precompressione che produca uno stato tensionale ottimale
nonché una deformazione compatibile con la posa. Se poi la sezione è formata da un
semplice profilo alare, il micro-shed sarà dotato di una scarsa rigidezza torsionale che
indurrà deformazioni differenziali tra code e ali degli elementi che andranno a gravare
sull’infisso. È consigliato per questo utilizzare i micro-shed su luci limitate.
Il meccanismo di deformazione dovuto alla sola precompressione comporta inoltre
un corretto studio della forma del tegolo che dovrà permettere all’elemento di inarcarsi e
contestualmente ruotare di modo da scasserarsi automaticamente senza incontrare la
resistenza del cassero stesso.
Per quanto riguarda il problema del vincolo alla trave, il vantaggio dell’utilizzo di
microshed sta nel fatto che è un elemento abbastanza largo; essendo l’elemento largo,
l’azione di momento esercitata dall’azione sismica può essere scomposta in due forze di
modesta entità, le quali sollecitano elementi di connessione che riescono a garantire il
collegamento.
La rigidezza torsionale di tali elementi è fondamentale, innanzitutto perché vale
quello già detto per gli altri elementi e poi perché l'infisso non vuole particolari
deformazioni alle estremità e invece lo spostamento del punto alle estremità è significativo.
I microshed di norma non hanno un nucleo alla Bredt, ma sono molto apprezzati
quelli che contengono le deformazioni e vale soprattutto per luci grandi. Per luci fino a
18/20m va tutto abbastanza bene ma più in là l'oggetto va guardato bene perché le
deformate non sono lineari con la luce. La freccia con il carico distribuito sopra infatti va
alla IV, quindi la deformazione particolare va controllata.
Per la zona in fondo all'edificio è necessario un timpano di chiusura che viene messo,
a causa della preferibile modularità dimensionale, un po’ prima della fine dell'edificio per
evitare che il tegolo interagisca con il pannello.
Quanto detto vale anche per il manto di completamento, ci sono delle pavimentazioni
impermeabilizzanti con scossalina e sistemi meccanici montati e impermeabilizzati con
sistemi in aggiunta. Barriera al vapore, strato coibente e impermeabilizzazione con guaine
sono ormai sempre presenti.

ELEMENTI SPECIALI DI COPERTURA 68/102


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Diverse soluzioni per realizzare la parte terminale dell’edificio.

Per quanto riguarda il problema dello scolo delle acque, la soluzione più usuale è
quello di costruire la pilastrata centrale leggermente più alta per permettere lo scolo
dell'acqua e porre quindi gli elementi a microshed semplicemente accostati. L'inclinazione
che si dovrebbe dare per lo sgrondo dell'acqua è di un 2-3%.

Se abbiamo una struttura in cls che si deforma sotto carico per esempio da neve,
allora si formano delle buche e si ha il ponding (formazione di pozze d'acqua). Escluso

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questo fenomeno che per strutture in calcestruzzo è del tutto trascurabile, all'acqua bastano
pendenze minimali per scendere soprattutto per quando riguarda le guaine che se sono lisce
basta una pendenza dell'1,5%, c'è comunque da verificare che il contromonte non dia
fastidio. Se ho dei tegoli quali quelli illustrati in figura, e ho un contromonte del genere,
devo alzare la pilastrata affinché l'acqua scorra ad ogni modo.
Se c'è un abbassamento del muro c'è da prestare attenzione ai problemi di
controfreccia viscosa,dunque nel tempo, alle tolleranze e a tutta una serie di problemi.
L'1,5% di pendenza, su 20 m, sono 30cm e sono completamente invisibili dall'interno
dell'edificio. È un modo corretto ed è quello che in pratica si fa, ma è meglio comunque
pensare a un po' di più perché l'uso di tali numeri deve essere assolutamente consapevole,
con un calcolo delle frecce viscose, tolleranze ecc. L'acqua deve arrivare in fondo, tutto è
impermeabilizzato ma le stagnazioni sono comunque da evitare.

Nota: Esistono anche, tra gli elementi speciali di copertura, degli elementi poco
larghi, teoricamente accostati almeno a coppie, sui 125cm l'uno. Di solito gli elementi
erano tutti larghi 2,50 m (il massimo trasportabile) e venivano semplicemente accostati.
Con elementi più compatti si cerca invece di guadagnare sull'interasse il più possibile, che
può essere anche pari a 5 m. Automaticamente tali elementi speciali tendono ad uscire
dalla classificazione degli elementi speciali di copertura in quanto hanno un nucleo alla
Bredt, con comportamento assimilabile a quello della trave per quanto riguarda una logica
di tipo longitudinale e trasversale. Tali oggetti assumono sostanzialmente due
configurazioni: con la classica lastrina cieca oppure a shed composito (vedi figure)

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4.2 ELEMENTI AD Y

L'altezza varia tra i 60cm e gli 85cm e larghezza minore di 125 cm. E' una struttura
molto economica per coperture; è caratterizzata dalla forma a Y più una flangia sotto che
serve per alloggiare i trefoli che le conferiscono la necessaria resistenza. Inoltre permette di
appoggiare l’elemento nelle fasi di posa oltre a poterci appoggiare lastre in modo tale da
permette la realizzazione di un intradosso piano. Con queste lastre si formano inoltre
camere d'aria sulla quale vengono posti uno strato isolante e materassini vari, oltre alla
possibilità del passaggio di impianti. L'isolante mantiene con le lastre inferiori isolato
termicamente l'edificio sotto abitabile.

Guardando tale edificio dall'alto si vedono travi, pilastri, tegoli ed è molto importante
come questi ultimi sono vincolati alla struttura.
In zona sismica c'è da mantenere l'impalcato rigido il più possibile (infinitamente
purtroppo non si riesce) e ho degli elementi rigidi accompagnati a vuoti per creare un
vincolo che sia davvero efficace e dunque tale da contrastare lo spostamento in controfase
dei telai. C'è la possibilità allora per tali strutture di mettere due vincoli, due spinotti, sulla
larghezza del tegolo per creare una coppia per fare funzionare tali elementi come trave nel
piano orizzontale che contrasta il moto avanti e indietro dei pilastri creando un
meccanismo a biella. Oggi è fondamentale che i tegoli siano fatti con delle basi molto alte
per dare un'opportuna coppia. Nella realtà se questi sono tenuti molto stretti sono poco
efficaci ed il momento che l'impalcato conferisce al tegolo consiste in due forze orizzontali
con un braccio molto piccolo e gestibile con molta difficoltà.
Ho degli oggetti dove la possibilità fisica di vincolo è limitata e dunque si è
penalizzati dal punto di vista della rigidezza dell'impalcato. Se l'impalcato non risulta
essere rigido allora è necessaria una verifica di compatibilità geometrica del sistema. Se
anche è slegato ma i conti tornano allora può funzionare solo se ogni compatibilità
geometrica con gli spostamenti sismici agli stati limite ultimi, che sono per altro dell'ordine
di decimetri, sono rispettate.

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La sezione ad Y senza la piattabanda sotto che è dell'ordine di qualche decimetro


sarebbe assimilabile ad una sezione a stella. È quindi particolarmente vulnerabile ad azioni
di tipo torcente. È però un tipo di elemento estremamente efficace dal punto di vista della
leggerezza. Per ogni elemento speciale ci sono delle travi di banchina ad o ad H se c'è il
problema dell'acqua, che spesso però non è presente perché si vuole evitare, e sono
elementi piani. Questa trave può fungere anche come una canala di gronda localizzata.

Sono degli elementi speciali di copertura che possono avere delle luci diverse. Le ali
sono ricurvate verso l'alto per raccogliere l'acqua come per diversi tipi di trave che
funzionano da gronda, ma questi sono tegoli e dunque appoggiano sulle travi.

4.2.1 Elementi complementari


Sono degli elementi di orditura terziaria, oltre ai lucernari. Ce ne possono essere di
due tipologie:
- Lamiere metalliche con dentro poliuretano espanso: sono una sorta di pannelli di
lamiera micrometallica e spesso sono dotati di una curvatura.
- Pannello sandwich a doppia curvatura e coibente:

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Viene messa una vite sul vertice in modo tale che con l'impermeabilizzazione si ha la
certezza che se anche ci sono piccoli difetti l'acqua non entra nelle nervature delle lamiere.
Esiste poi la possibilità di avere delle zone opache o con lucernario e poi
impermeabilizzato con delle lamiere.
C'è poi la possibilità di avere un lucernario in policarbonato con il dettaglio della
impermeabilizzazione:
Il problema è il medesimo se si parla delle coperture piane: c'è la necessità di un
muretto nei tegoli per mettere il lucernario. L'impermeabilizzazione deve arrivare fino
sotto il lucernario e sopra viene posta la guaina.
Come già precedentemente detto, è molto importante il dettaglio in testa e coda
dell'infisso. C'è una parte di vuoto per consentire le deformazioni senza danneggiamenti,
dall'altra parte c'è la scossalina con una tasca dove si mette l'infisso e la guaina viene
impaccata sulla scossalina in una certa e determinata posizione. Quello però è un ponte
termico che fa soffrire non poco. Lo shed composito è formato da una lastra piana,
nervature, isolante e un sistema di scossaline con lunghezza tale da permettere all'altro
battente di sovrapporsi e dall'altra parte si ingrandisce per permettere di ospitare l'infisso e
la possibilità di scorrere del policarbonato. Il 33% fino al 50% dei vetri degli shed è
apribile con motorini elettrici.

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4.3 ELEMENTI CON PROFILI PARABOLOIDICI

Sono elementi che presentano un doppia curvatura, trasversale e longitudinale,


realizzata come superficie rigata a partire dalla direzione dei trefoli di precompressione.
Hanno un’elevata portanza specie considerando il modesto spessore della soletta, che varia
dai 6 cm agli 11 cm, L’elevata portanza è dovuta soprattutto al fatto che riescono a portare
i carichi in regime di membrana (principalmente mediante sforzi normali piuttosto che
momenti flettenti).

Ci sono tegoli con luci di 20 m e spessore al massimo 8 cm, con un massimo nella
zona di testata pari a 11cm. È soggetta ad un regime di flessione locale al quale deve
resistere per appoggiare al vincolo oltre ad azioni taglianti globali.
Il regime di membrana fa sì che la resistenza a forze di tipo distribuito sulla
membrana sia altissima, per contro se sollecitata con forze di tipo puntuale allora la
resistenza a tale tipo di sollecitazione è molto bassa. Nasce allora la necessità di selle per
distribuire meglio le reazioni di appoggio.

Per garantire un corretto comportamento di questi elementi occorre posarli su


elementi complementari che presentino la stessa sagoma del tegolo sul lato superiore e un
intradosso piano per la posa sulle travi principali. In tal modo la reazione di appoggio del
tegolo non sarà concentrata bensì distribuita uniformemente sul profilo di modo da
garantire il comportamento a membrana. Si posano in questo modo in accostamento sul
piano orizzontale oppure con una certa inclinazione a formare dei lucernari con un risultato
simile a quello ottenibile con i micro-shed (si veda la figura).
Gli elementi paraboloidici con doppia curvatura hanno il vantaggio di avere armature
pretese rettilinee in quanto i trefoli non necessitano di opportune deviazioni (hanno una

ELEMENTI SPECIALI DI COPERTURA 74/102


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conformazione rettilinea) grazie al fatto che la superficie è rigata; attraverso la loro


combinazione può essere appunto disegnata tale geometria.

4.4 TEGOLI A SEZIONE VARIABILE

Sono elementi dalla forma particolare, aventi intradosso piano, caratterizzati da avere
sezione variabile. Questa è uguale alle due estremità, in forma di U molto allargata, e più
alta e stretta in mezzeria dove di modo da aumentare il braccio della coppia interna.
L’andamento è ovviamente rettilineo e la forma del tegolo è generata dalla superficie rigata
che unisce le sezioni di estremità e quella centrale. La forma è tale da ottimizzare le

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prestazioni del tegolo che risulta piuttosto performante e anche di un certo pregio estetico.
Grande difetto sta nella difficoltà di realizzazione legata alla particolarità del cassero
nonché alla necessità di ottenere la modularità di dimensioni trasversali e luci.

4.5 COMPLETAMENTO DELLA COPERTURA

L’utilizzo di un qualsiasi tipo di elemento speciale richiede l’impermeabilizzazione


nonché la realizzazione di un manto isolante. Fino a qualche tempo fa si producevano
tegoli pre-impermeabilizzati in stabilimento per facilitare e velocizzare la posa.
Rimanevano tuttavia scoperti dalla guaina i ganci di sollevamento che venivano
impermeabilizzati in un secondo momento. Per questo è caduta in disuso questa pratica
preferendo completare la copertura una volta posata.

Per quanto riguarda il problema illumino metrico, ci possono essere diverse


configurazioni e diversi usi possibili:
- conformazione a microshed;
- ceco;
- a lucernari piani;
- elementi distanziati con lastrine: il solaio è opaco ma i costi calano perché sono
associati degli elementi di orditura secondaria che permettono un risparmio e una
gestione della copertura dal punto di vista illumino metrico;

Gli elementi di orditura terziaria sono generalmente voltine in materiale plastico


ondulato, o anche metallico (lamiera), che garantisce una perfetta impermeabilizzazione. Si

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realizzano anche elementi in calcestruzzo nervati piani che sostituiscono le voltine o si


posano in accoppiamento alle stesse.

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Di particolare rilevanza è l’adozione di reti anticaduta, facente parte dei sistemi di


sicurezza dell'edificio, per evitare la possibilità che il personale addetto alla manutenzione
cada nel caso in cui, coperto dalla neve, si trovi a calpestare un elemento di illuminazione
piuttosto che l’elemento di copertura in calcestruzzo. .

Esistono poi dei tegoli che sono anche preisolati e impermeabilizzati: una volta
poggiati è dunque finito il montaggio.

Il serramento è una posizione critica per l'infiltrazione dell'acqua.

Esistono degli altri sistemi per lo smaltimento delle acque. La volontà è quella di
mantenere l'acqua fuori dall'edificio, dunque i sistemi a due pendenze per edifici a due

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campate che raccolgono l'acqua in due punti esterni ma inevitabilmente anche in un punto
interno dell'edificio sono decisamente sfavoriti. Ogni qual volta ci sia più di una campata
l'acqua in qualche modo è interna allo stabilimento.

Questo problema viene ben risolto dalla soluzione a copertura piana dove nel caso
delle due campate si ha una piccola inclinazione funzione:
- della controfreccia e della deformata della trave;
- della impermeabilizzazione, ricordando che le guaine abbisognano di pendenze
minime;
- in riferimento al primo punto (visto che controfreccia e deformata hanno valori
trascurabili per le strutture prefabbricate in cls questo fenomeno in realtà per noi è
trascurabile ma per altre strutture non lo è assolutamente) ci sono da evitare
fenomeni di tipo incrementale di freccia e dunque accumulo delle acque in zone
depresse e di avvallamento, detto effetto ponding.

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4.6 CNR 10025, CAP V, ELEMENTI SPECIALI DI COPERTURA

Vengono definiti elementi speciali di copertura delle strutture di grande luce e di


parete sottile con profilo trasversale deformabile quali voltine, scatolare... L'elemento è
così curato a causa della grande luce, della parete sottile e del profilo trasversale
deformabile; c'è allora la necessità dello studio della statica trasversale e longitudinale. Tra
i diversi metodi che possono essere utilizzati si parte dal metodo della volta-trave o di
Fistenvalder (che è il più semplice) fino al metodo che lavora con le singole aste messo a
punto da Pozzati, estremamente complesso. Del metodo di Fistenvalder se ne parlerà nel
prossimo paragrafo.
La CNR fornisce informazioni sulla flessibilità trasversale e torsionale dell’elemento
in funzione della geometria e della metodologia risolutiva da adottare..

Per il progetto degli elementi speciali di copertura si vanno ad assumere i criteri


generali che verranno dati nel seguito. Posto che i modelli di calcolo forniti non coprono il
progetto delle voltine sottili allora è necessario una opportuna iterazione trai criteri di
verifica con tale tipo di elemento.Si può anche fare una classificazione in base ai sistemi di
scarico sugli appoggi dei carichi:
- a taglio d'anima dove la presenza di armature verticali nell'anima consente una
trasmissione degli effetti di taglio
- sistemi arco-tirante dove la forma usuale dell'elemento o con eventuale altezza
variabile porta a un meccanismo ad arco connesso ad una catena inferiore che
raccoglie la spinta agli appoggi.
Viene poi data un'altra indicazione: longitudinalmente se la sezione è costante e le
lastre sono in posizione almeno subverticale allora la sezione può essere considerata a
taglio d'anima dove i carichi vanno sugli appoggi passando per le anime con meccanismo a
taglio. Se le sezioni sono di tipo variabile e molto ribassate allora lo schema da preferire è
ragionevolmente quello ad arco-tirante dove il tirante è l'armatura.

4.6.1 Analisi delle sollecitazioni

Nel seguito si analizzeranno diverse tipologie di elementi speciali di copertura.


Alcune hanno un comportamento ragionevolmente simile a quello di trave, avendo un
nucleo in grado di fornire buona resistenza torsionale, le altre tipologie necessitano di studi
completamente diversi, soprattutto gli elementi di tipo paraboloide ed sistemi integrati.
Sia la norma, in particolare la norma CNR prevede che “ Per forme regolari si
possono utilizzare le formule per i calcoli correnti nel comportamento longitudinale a trave
aggiustandole con i risultati ottenuti in situazioni controllate utilizzando i più precisi

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modelli analitici” dunque se si dispone di un campo di utilizzo del tegolo ben preciso è
lecito utilizzare metodi di calcolo tipici del modello trave essendo protetti dagli I.T.C
(Initial Type Computation) che garantiscono la correlazione fra il modello utilizzato ed il
risultato reale. Accanto agli I.T.C c'è l'esigenza di attuare anche gli I.T.T (Initial Type
Test), la coerenza dei risultati forniti da questi due studi iniziali garantisce un margine di
sicurezza nello studio semplificato a trave degli elementi speciali di copertura.
Se ho un tegolo usato in condizioni di carico e luce non così variabili, l'interasse è
quello, ho da rispettare un determinato equilibrio tra economia e statica, l'unica grandezza
sulla quale posso giocare è la luce del tegolo: tra i 18m e la luce massima, salvo casi
straordinari. Ci si rende conto dal punto di vista metodologico che è conveniente effettuare
accurate analisi preliminari, valutando la differenza tra le sollecitazioni “di riferimento”
(ottenute con i modelli accurati” e qulle semplificate. Ci si accorge quindi che se fai
calcolo a trave, si sopravaluta il momento resistente del 15%. Dopo avere sperimentato
tutto il range delle possibili variazioni dimensionali (tipicamente ottenendo funzioni
monotone) si verifica quale è il gap tra il calcolato e il calcolo di riferimento più accurato e
di termina di quando il mio calcolo semplice sottostima/sovrastima le sollecitazioni. Una
volta messi a punto questi incrementi (es, 15%), durante la normale progettazione farò il
calcolo semplificato e moltiplicherò i risultati ottenuti per 0,85 riducendo dunque di quanto
consigliato dalle CNR. Occorre prestare attenzione ad estrapolare i dati al di fuori del
campo di variabilità considerata originariamente.
In ogni caso per tali categorie di elementi i modelli analitici o quelli semplificati a
trave devono essere verificati con prove sperimentali. Le CNR forniscono delle grosse
indicazioni che però non ci esimono dalla pratica sperimentale; ecco perché è necessario
che i modelli siano validati con gli ITT o con gli ITC..

Carichi sull'elemento
La CNR non coglie il problema dei carichi da neve nelle coperture corrugate,
valutando tale carico solo come semplice proiezione verticale con una uniforme
distribuzione senza considerare gli eventuali apporti dovuti al trasporto causato dal vento.
La copertura corrugata viene quindi considerata dalla CNR come piana, mettendo in
difficoltà il progettista che coglie questa palese semplificazione a sfavore di sicurezza.
Se si tiene in conto l’accumulo di neve, invece, si possono avere carichi asimmetrici
su ogni elemento di copertura. Dovranno quindi essere verificate due condizioni di carico
(carico uniforme o asimmetrico) sia per gli S.L.U che S.L.E col fine di valutare ogni
possibile effetto differenziale degli stessi:
Il carico totale (che massimizza il momento flettente)
Il carico eccentrico (che massimizza il momento torcente)

[Nota: I micro-shed, oltre ad essere asimmetrici per tipologia costruttiva dovranno


anche essere verificati imponendo un carico asimmetrico]

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Tolleranze
Lo spessore minimo assoluto di qualunque sezione delle parti strutturali non può
esssre inferiore a . La norma fornisce opportune tabelle di controllo qualità per rispettare le
tolleranze, (spessori, copriferri...), realizzate con due controlli iniziali su almeno due
prototipi all'inizio della produzione.

4.6.2 Classificazione degli elementi speciali di copertura in funzione del loro


comportamento statico

In riferimento al comportamento flessionale globale lungo le direzioni principali ed


azioni torcenti, cioè problemi di tipo torsionale, ed azioni combinate torcenti possiamo
classificarli in base alle seguenti 6 categorie:

Per le categorie a) e b) si può applicare, con eventuale taratura ad oc degli algoritmi,


un modello a trave dato dalle prove ma tutto comunque viaggia sul buon senso e verificato
da prove sperimentali con qualche adattamento. Non esistono delle quantificazioni. Per
quanto riguarda gli effetti flessionali trasversali (all'incastro delle ali a sbalzo) sono
calcolati localmente e verificati con condizioni aggiuntive. Per le tipologie strutturali simili
alla trave per quanto riguarda la statica longitudinale allora disgiungi il pezzo, consideri
prima una parte e poi l'altra. Cosa che non si può fare nelle altre classi di tegoli.

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Per esempio per quanto riguarda la grandezza del nucleo di Bredt, non ci vengono
fornite delle dimensioni che ci dicono fino a che punto il comportamento è assimilabile alla
trave e quando invece è necessario fermarsi.
Per le sezioni di tipo c) a comportamento scatolare iperstatico è prevista una
completa analisi del sistema di lastre inclusiva degli stati flessionali e trasversali dovuti ai
carichi e alla deformazione riferita a modello elastico che convenga il comportamento
flessionale ed estensionale della lastra. In genere ci si rivolge al metodo più generale degli
elementi finiti.
I risultati ottenuti con i modelli analitici sopra citati definiscono la distribuzione delle
azioni interne in termini delle autocomponenti di sforzo della lastra. Indicativamente le
verifiche possono condursi localmente adottando opportunamente i criteri delle piastre
presso e tensioinflesse. Per forme regolari si possono predisporre le formule per il calcolo
del comportamento a trave aggiustandole con i risultati di preventive analisi fatte su
situazioni viste coi precisi modelli analitici. Questa è una procedura che viene spesso usata.
Dal momento che i sistemi di tipo d) (a stella) possono avere elevate deformabilità
torsionali, particolare attenzione deve essere riservata alle verifiche a compatibilità del
modello di calcolo adottato.
La CNR stabilisce che le parti di completamento dei sistemi integrati di tipo f)
necessitano di una sistematica adeguata resistenza di affidabilità e durabilità almeno
comparabile a quella delle parti strutturali.
I sistemi singolari devono contare su apposite indagini analitiche combinate con
prove iniziali su prototipi.

4.7 CNR 10025, CAP V, ELEMENTI SPECIALI DI COPERTURA

a) Elementi a nucleo. Hanno un nucleo chiuso con dimensione significativa, cioè più
grande rispetto alle dimensioni delle alette. Non hanno grandi problemi nel calcolo.
Il nucleo centrale può essere pieno o scatolare chiuso. Il deflusso delle tensioni
tangenziali si sviluppa per dare resistenza a torsione circolatoria.

a)

L’effetto torsionale è molto importante nella progettazione. Una sezione chiusa ha


una buona resistenza a torsione: le tensioni si distribuiscono secondo Bredt.

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[ si ricorda la torsione di Bredt. Il nucleo torsionale è la parte scatolare al centro


dell’elemento:

Posso indicare t = τ·s, dove s è lo spessore in cui sono presenti le tensioni tangenziali
τ che conferiscono la resistenza ].

b) Anche una sezione di tipo b) ha una certa resistenza: la componente torcente sulla
trave si scompone in una distribuzione tensionale con un verso su un’anima e con
verso opposto sull’altra anima (Biflessione).

b)
Bisogna considerare il fatto che il carico possa essere asimmetrico. Le azioni torcenti
possono essere scomposte in due contrapposte flessioni applicate alle nervature al
fine di avere una resistenza torsionale significativa (in quanto il braccio tra le due
forze che si hanno nelle due nervature è importante). In quel caso sfrutto la
sovrapposizione di 2 carichi che come somma dia quello asimmetrico:

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Un esempio è un tegolo con le ali rialzate. Non appartengono ovviamente a questa


categoria gli elementi con lastre convergenti in un vertice.

b)

Sistemi scatolari aperti composti da tre o più lastre non convergenti dove gli elementi
scomposti in lastre danno una complessa resistenza alla torsione. Studi di elementi di
tale genere vengono fatti su elementi scomposti in lastre di cui molte sono anche
precompresse. Viene dunque fatto uno studio a lastra e uno studio deformativo
numerico in modo da considerare questo fenomeno.

c) L’elemento c) presenta sezione ancora più sparsa di b).

c)

In questo modo, per l’elemento c), mi nasce un problema di flessione lungo due
piani. Logitudinalmente l’elemento tende a inarcarsi, mentre trasversalmente il carico
fa flettere le alette:

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La CNR ci dice che le categorie a), b) e c) possono essere studiate come normali
travi. Nella realtà il comportamento dell'elemento è ragionevolmente simile alla trave. Il
carico asimmentrico dà sollecitazioni di tipo torcente. Un elemento di copertura può essere
pensato come semplicemente appoggiato.

Alla quale può essere applicata la teoria della trave e quindi, ad esempio, la formula
di Navier: σ = N/A ± M/W
La formula di Navier vale in realtà per sezioni compatte ed interamente reagenti.
Questi elementi speciali in c.a. e sottili hanno una sezione che non è compatta ed è noto
che il comportamento del c.a. è non resistente a trazione. Bisogna però dire che queste
sezioni son in c.a. precompresso e che quindi in realtà sono interamente reagenti.
Questo vale anche per la categoria b) nonostante la sezione non sia compatta:
Però, per poter usare Navier, devo anche avere una sezione compatta, quindi
conservazione della sezione piana. Se nei nostri elementi le alette non sono troppo grandi,
allora non si hanno grandi distorsioni della sezione e posso ragionare come se avessi una
sezione compatta quindi posso utilizzare Navier come nel caso di travi classiche: i risultati
andranno confrontati con quelli ottenuti dagli ITT o ITC.

Il tasto dolente è però la torsione. Per gli elementi di tipo a) e b), il problema è
limitato. In c) è un po’ più significativo. Diventa invece un problema preoccupante per la
tipologia d):

d) Sistemi di lastre a stella con profili a V o ad Y con le lastre convergenti su un asse e


dove l'unica risorsa per resistere alle azioni torcenti esterne è la somma delle reazioni
torcenti delle singole lastrine.

d)
Questa è la tipica sezione a stella dove tutte le parti dell’elemento convergono nello
stesso punto.
Per equilibrare un Momento Torcente (Mt) molto elevato c’è necessità o di valori
elevati di t, o di braccio elevato tra le due forze. La tipologia b) era caratterizzata da
una elevata resistenza proprio perché il braccio (B) era grande. Nella tipologia d)
invece, il braccio (b) è ridotto e quindi, per equilibrio, devo avere elevate tensioni

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specifiche t. Questo fa capire come questa tipologia non abbia buona resistenza a
torsione ed è da evitare soprattutto elevati valori di carico asimmetrico.

Tipologia b) Tipologia d)

Poi ci sono degli elementi di forme speciali e cioè delle soluzioni singolari non
comprese come le voltine sottili quali le seguenti ultime categorie:

e) Paraboloide iperbolico dove i cavi di precompressione sono pochi e rettilinei


dovutamente incrociati e la superficie è naturalmente rigata. I trefoli a linea retta
definiscono una superficie a doppia curvatura.

f) Sistemi integrati dove la resistenza della parte strutturale è potenziata dalle parti di
completamento degli elementi non strutturali. È una situazione imbarazzante: è
strutturale ciò che è strutturale alla luce dell’NTC. Tali materiali strutturali sono
catalogati, mentre l'introduzione di un materiale non strutturale prevede uno studio
dettagliato e sperimentale e se mi dicono che è accettabile allora vado avanti. Se non
è presente un attestato che per altro è molto difficile da ottenere allora non lo puoi
considerare nei calcoli.

f)

[ Nota: per le tipologie con sezioni tipo c) e d) possiamo eseguire un’analisi anche
sfruttando il sistema “a lastra”. Lastra = sezione piana con due dimensioni
paragonabili tra loro e spessore molto piccolo.
Pensiamo quindi ad una sezione compatta con sollecitazioni alle estremità:

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In una lastra ho due Sforzi Normali, tre Tagli e tre Momenti, quindi 8 componenti. In
ogni faccia ho tre Forze e due Momenti; le forze sono una di Sforzo normale (Nx o
Ny) e due di Taglio: una è il taglio verticale t e l’altra è txy, direzionata lungo lo
spessore della lastra, uguale in tutte le facce per la reciprocità delle tensioni
tangenziali. I momenti flettenti sono Mx e My ed il Momento Torcente Mxy , comune
a tutte le facce.
Pensando al solido di De Saint Venant bisognerebbe vedere cosa succede alla lastra
nel caso di ogni sollecitazione; per risalire al comportamento della lastra dovremmo
risolvere equazioni differenziali fino al quarto grado:
q
 4v 
B
Eh 3
essendo B 
12(1  2 )

4.8 METODO DI RISOLUZIONE VOLTA-TRAVE DETTO ANCHE


METODO DI FISTENVALDER

Proviamo a risolvere l’elemento c) senza ricorrere al modello a lastra. L’ipotesi


fondamentale di questo metodo è l’indipendenza tra le sollecitazioni longitudinali da quelli
trasversali. In tal modo, il problema viene diviso in due parti. In un primo momento, si
calcola l’elemento solo dal punto di vista longitudinale, quindi è come se fosse una trave
caricata dal peso proprio p (carico per unità di superficie). Ipotizziamo che la sezione
trasversale rimanga indeformata:

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con q  p  i , essendo i l’interasse degli elementi. Dopo aver valutato il


comportamento longitudinale, si valuta quello trasversale. Si prenda un concio di trave di
lunghezza x :

Vista frontale Vista laterale

Questo concio sarà sollecitato da un Taglio Tx a destra e da Tx + ΔTx a sinistra.


Nella sezione trasversale si avrà una forza pari a ΔTx (Tx + ΔTx – Tx = ΔTx). Il concio è
quindi sottoposto al Taglio ΔTx ed al carcio distribuito per unità di lunghezza q  p  x .
Le due forze sono uguali ed opposte, allora abbiamo equilibrio. Nel metodo di
Fistenvalder, a questo punto, si considera la sezione trasversale come una trave:

Sfruttando la formula di Jourawsky scompongo ΔTx in varie azioni specifiche t:

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T  Sx T  Sx
  t  s 
Ixs Ix
Adesso è possibile calcolare il Momento trasversale My, partendo dal carico p e dai
tagli specifici t. Si noti che le t equilibrano il carico (sezione è auto equilibrata).

Si noti infine che il Taglio è lineare, quindi se prendo un concio di un metro ho


sempre lo stesso valore di incremento di Taglio. ΔTx è costante, di conseguenza il
Momento trasversale My è costante in tutta la trave. Infatti, per definire My ho usato solo t
e solo il carico. Si deduce quindi che ΔTx è costante sia per conci di un metro, sia per travi
molto lunghe, e lo stesso vale per il carico. Ecco che possiamo affermare che il Momento
trasversale è costante. Non possiamo dire altrettanto per il Momento longitudinale! Mx ha
un andamento parabolico.

Il comportamento dei due Momenti è del tutto indipendente (in realtà non sarebbe
così, però è una buona approssimazione).
I Momenti trasversali (My) sono molto inferiori rispetto a quelli longitudinali (Mx).
Questo perché Mx = q L2 8 è un valore molto elevato, essendo l compreso tra i 20 e i 30
metri. My è piccolo, ma anche lo spessore della sezione trasversale è piccolo, quindi ho un
braccio della coppia interna piccolo: ecco di solito son costretto a posizionare uno strato di
armatura significativa in grado di reggere a tensioni elevate.

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Inoltre si ha poco spazio in cui posizionare l’armatura: in spessori così piccoli (s = 8


cm circa) faccio fatica a mettere due strati di armatura, pensando anche ad un copriferro
minimo. Nel caso in cui My sia troppo grande e devo cercare di ridurlo, non serve a nulla
ridurre la lunghezza (L) della trave perché abbiamo visto che My dipende da ΔTx e dal
carico, i quali, per la nostra trattazione sono costanti lungo tutta L (in realtà non sono
costanti ma variano molto poco; la trattazione è stata molto semplificata).
Un altro problema è legato al fatto che avendo sollecitazioni trasversali e
longitudinali, il punto indicato nella figura seguente è teso da My, ma compresso allo
stesso tempo da N. E’ dunque difficile da studiare il suo stato si sollecitazione:

Posso trasformare le sollecitazioni in stati tensionali. Questo lo posso fare solo se la


sezione è interamente reagente. In quel caso sfrutto la teoria del solido di De Saint Venant.
Devo capire se le sollecitazioni in una direzione portano a incrementi o riduzioni alle
sollecitazioni nelle altre direzioni.
La CNR lascia ampio spazio alle verifiche per stati tensionali complessi (SI VEDA
LA CNR). Ad esempio, la resistenza a trazione del cls non fessurato è diminuita a causa
della componente di trazione o compressione in direzione ortogonale a quella presa in
considerazione, mediate la formula:

σx = fcd · K

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K è il coefficiente correttivo in funzione di cosa accade nell’altra direzione. Se lungo


x ho trazione, K diventa un fattore riduttivo. Con trazione incremento l’effetto Poisson.
Se comprimo lungo x con una forza fcd, per Poisson ho una trazione lungo y (ν · σx);
ma se in questa direzione avevo già un’altra componente di trazione (σy), allora la somma
mi darà un valore superiore rispetto a quello supposto. Per questo motivo la resistenza del
cls diminuisce. Nel caso in cui fcd aumentasse, rischierei che il cls entri in crisi per la
trazione lungo y. Se invece avessi uno sforzo di compressione lungo y, questo compensa
l’effetto Poisson, di conseguenza K = 1.
Lo stesso accade anche nei problemi di flessione: devo sempre considerare il
comportamento lungo l’altra direzione. Infatti la CNR ci dice che il momento My può non
stressare eccessivamente lungo il suo piano, ma potrebbe andare a sommarsi come
compressione (o trazione) all’Mx che agisce nell’altro piano.

ELEMENTI SPECIALI DI COPERTURA 92/102


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5 PROGETTAZIONE

Il progetto architettonico contiene disegni di ingombro generale che lascia buona


libertà di agire dal punto di vista strutturale. Dall'esame del progetto architettonico e delle
relative documentazioni aggiuntive vado a desumere le dimensioni delle varie parti
dell'edificio ed alcune caratteristiche prestazionali: In funzione delle caratteristiche
prestazionali che il progetto deve avere, occorre tenere in conto dei seguenti punti:
Illuminazione: Il tema della prestazione illuminometrica è discriminante nella scelta
del tipo di copertura, in particolare dovrò adottare coperture a micro-shed per soddisfare
alte prestazioni illuminometriche, shed compositi per modulare tali prestazioni in funzione
dello spazio. Macro-shed, shed compositi e micro-shed sono inoltre fortemente
condizionati dall'orientazione dell'edifficio. E' dunque evidente come le coperture piane,
così come quelle a doppia pendenza debbano essere scartate quando siano richiesti requisiti
di modularità dell'illuminazione.
Isolamento termico: E' in palese contrasto col tema dell'illuminazione, maggiore è
l'illuminazione richiesta più la trasmittanza termica della copertura diviene elevata a causa
della gravosa conducibilità dei lucernari, in tale caso sarà necessario agire sui pannelli e sul
loro strato di isolante.
Isolamento-acustico: Di norma l'isolamento acustico si tratta in modo specifico,
trattando in modo opportuno. (ad esempio con supporti in gomma per isolare un
macchinario), mentre per isolare totalmente l'edificio si calcola un isolamento specifico
“aggiunto” al pannello poiché di fabbrica tale soluzione non è contemplata.
Particolari finiture dei pannelli esterni: Le finiture sono l'immagine col quale
l'azienda committente si presenta al pubblico, si spende molta energia in questa direzione
determinando un grande numero di prodotti con innumerevoli varianti per soddisfare le
particolari richieste. I pannelli “lavati”, molto di moda, sfruttano una pasta ritardante che
permette, subito dopo lo scassero, di lavare il calcestruzzo in eccesso con acqua ad alta
pressione e far emergere la graniglia. La scelta fra pannello verticale ed orizzontale, deve
essere valutata dal punto di vista statico oltre che da quello estetico.
Pavimentazioni
Configurazione dell'intradosso degli impalcati
Resistenza al fuoco dell'edificio e delle singole sue parti: Esclusi elementi
particolari ( trave ad “Y” senza controsoffitto o elementi con spessore molto piccolo, si
riescono ad ottenere ottime resistenze al fuoco con ragionevole facilità, tralasciando
resistenze estreme superiori a 120.

PROGETTAZIONE 93/102
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Reti fognarie e smaltimento delle acque piovane: Vi è l'esigenza di fare fluire


l'acqua all’esterno dell'edificio, convogliandola sul perimetro esterno, si tende ad esclude
quindi i sistema a doppia pendenza per edifici con molte campate. Bisogna inoltre valutare
in modo opportuno il tipo di copertura anche in funzione dell'applicabilità di pannelli
solari, molto di moda negli ultimi anni, che necessitano di precisi orientamenti e
determinate pendenze per raggiungere la piena potenza in esercizio.
Caratteristiche della zona di ubicazione: Fondamentale per la determinazione della
zona sismica e del grado di sismicità, per ottenere le informazioni da cui estrapolare i
carichi variabili, per la pianificazione del trasporto e montaggio e le valutazioni di
accessibilità dell'edificio.
E' necessario eseguire il progetto del varo e del montaggio per evitare spiacevoli
inconvenienti all'atto della posa, tali progetti possono influire enormemente sul progetto
statico.
Caratteristiche geotecniche e geologiche: Necessarie per la scelta delle fondazioni
fra le tipologie disponibili (pali o fondazioni superficiali).
1) Monopalo: Configurazione di norma da evitare a causa della scarsa resistenza
all'azione tagliante e flettente che potrebbero nascere dell'eccentricità dello sforzo normale.
2) Bipalo: Configurazione migliore rispetto a quella monopalo in quanto, se il centro
di pressione cade dentro all'interasse dei due pali, fa si che non si generino azioni taglianti
o flettenti ma solo una differenza di sforzo normale fra i pali stessi, ma che comunque
necessita di travi di irrigidimento che colleghino fra loro i vari pali (alte come il plinto di
fondazione e molto costose) per opporsi in modo adeguato alle azioni giacenti sugli altri
piani.
3) Tripalo: Configurazione migliore dal punto di vista geometrico, (l'isostaticità nello
spazio si ottiene vincolando tre punti). La capacità portante rispetto alla tipologia
monopalo è triplicata, si tende dunque, o ad aumentare la luce fra i vari elementi tripalo per
sfruttarla al massimo o a ridurla a meno di 6m per non sprecare materiale unicamente a
causa di problemi geometrici.
Sono dunque incentivato ad attuare variazioni di luci sono per ottimizzare la capacità
portante dei plinti di fondazione.
Informazioni riguardanti la presenza di falde acquifere sono discriminanti nella
scelta della tipologia di fondazione ma anche di altri elementi strutturali, evidenziandone
l'interconnessione: la presenza di falda impone l'utilizzo della tipologia “armotubo” che a
sua volta impone un controllo sull'azione flettente per poter essere impiegato, quindi si
dovrà disporre nuclei di controvento che a loro volta imporranno condizioni o limitazioni
sul tipo di impalcato che a loro volta condizionerà altri elementi strutturali.
Eventuali richieste specifiche del committente: Più restrittive e gravose di quanto
non imponga la normativa, spesso dovute alla specifica attività svolta dallo stesso.

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Si dovranno rispettare precisi tempi di consegna che influenzeranno la tipologia


costruttiva e gli elementi da impiegare. Il tempo è condizionante, ritardi si tramutano in
costi e penali.

5.1.1 Conclusione
I parametri progettuali sono talmente interconnessi fra loro da rendere la traduzione
architettonica in realtà costruibile molto complessa, spesso insolubile se si tenta di
massimizzare ogni singolo parametro, è dunque necessario giungere ad un compromesso
progettuale, analizzando l'edificio nella sua totalità ed adottando la combinazione più
vantaggiosa. Il processo di traduzione, per quanto detto, non può che essere iterativo ma
anche interattivo, per via della pluralità dei soggetti coinvolti).

Durante questo processo si eseguono i seguenti step:


- Definizione maglie strutturali
- Definizione delle tipologie strutturali
- Individuazione degli elementi da gettare in opera: La decisione della sequenza di
montaggio è fondamentale ed incide sulle soluzioni da adottare, (ad esempio, gettare
prima tutto il nucleo scala, oppure gettare in opera e montare gli elementi
prefabbricati un piano alla volta cambia profondamente le tipologie costruttive da
adottare).
- Definizione degli elementi atti a resistere alle azioni orizzontali
- Dimensionamento degli elementi strutturali e in opera:
1) calcoli di dimensionamento
2) definizione delle tolleranze: I prefabbricatori lavorano con tolleranze diverse
rispetto ai costruttori in opera, situazione che genera facilmente problemi,(come ogni
volta si tenta di affiancare mondi diversi).
3) approntamento dei disegni d'insieme di larga massima (indicati dimensioni e
carpenterie)
- Calcoli e verifiche:
1) esecuzione dei calcoli e verifica degli elementi prefabbricati e gettati in opera
2) approntamento dei disegni esecutivi da inviare al prefabbricatore
- Controllo del progetto:
1) verifica dei criteri di progetto adottati
2) verifica delle scelte progettuali
3) controllo dei risultati ottenuti con i calcoli
4) controllo degli elaborati grafici
Il controllo deve essere eseguito con metodi semplici che la mente umana possa
dominare agevolmente, sfruttando quindi schemi statici semplici (non la matrice di
rigidezza, in modo tale da prevedere con buona approssimazione il risultato
dell'analisi agli elementi finiti e sapere se essa può avere un senso disponendo di un

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metro di giudizio). Il controllo degli elaborati grafici, matrici sulle quali verrà
“stampato” l'edificio è di importanza cruciale.

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6 FASI TRANSITORIE

Le fasi transitorie sono fondamentali per la progettazione degli elementi


prefabbricati. Ancora oggi, a riguardo, vengono citate norme non più in vigore, le quali
sono state accorpate nelle NTC2008. Queste danno indicazioni sulla progettazione, sul
controllo, sui carichi; il vantaggio delle NTC è quello di avere norme in un unico testo
sintetico; tuttavia queste sono divenute più concise e generiche rispetto alle precedenti
normative cosicché si richiamano spesso le ‘vecchie prescrizioni’ causa la loro specificità.
Le precedenti norme sono di seguito elencate:
DM 3/12/1987, sulle strutture prefabbricate e contenente principi validi sia prima che
post ’87. (non contengono concetti obsoleti).
- Fasi transitorie:
- Movimentazione
- Sollevamento
- Stoccaggio
- Trasporto
- Monitoraggio
- Assemblaggio
Queste 6 fasi non richiamano specificatamente il transitorio del precompresso, non
sono fasi che trattano tesatura e precompressione.
Secondo la norma, “lo scopo delle verifiche è che gli elementi durino nel tempo e
che la struttura resista alle azioni a cui sarà soggetta”. L’opera deve cioè resistere con
ADEGUATA SICUREZZA e il progettista deve considerare TUTTE LE AZIONI a cui la
struttura stessa potrebbe essere soggetta.
Sono quindi 3 i concetti fondamentali espressi nel DM:
- durabilità ( tema moderno )
- sicurezza
- verifiche in esercizio
Inoltre, si specifica che “le verifiche si applicano sia alla struttura che ai singoli
componenti. Le verifiche devono essere soddisfatte e in esercizio e nelle fasi transitorie”.
L'analisi strutturale deve tenere conto:
- del comportamento del singolo elemento della struttura prefabbricata nelle sue fasi,
dal getto al montaggio;
- del comportamento del complesso strutturale tenendo conto dell'effettivo
funzionamento delle unioni e dei giunti. Ci possono essere delle fasi transitorie anche
per i giunti e le unioni, fasi che sono in aggiunta rispetto a quelle del singolo pezzo;

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- le incertezze che possono influire sulla posizione e le incertezze da errori di


geometria, di posa, ..
- le reazioni mutue degli elementi

Esempio di reazione mutua: mensola tozza con carico centrato q, tolleranze connesse
alla produzione o al montaggio. Può essere che la mensola tozza non risulti verificata,
anche se prima lo era per il carico centrato.

Esempio di incertezza: in base alla figura, ci verrebbe da dire che la risultante R si


trovi a metà dell'appoggio. Non è assolutamente scontato! Difatti, R può essere spostata,
per rotazione della trave, di 2-4 cm con conseguenze nei calcoli non trascurabili

se il pilastro fosse stato posto anche di soli 2 cm più indietro, R sarebbe spostata

Esiste una prescrizione degli USA, presente oggi anche nelle CNR italiane, per cui è
stata introdotta una forza H orizzontale minima per il carico q, per problemi di ritiro.
Trave, vincolo, forza verticale V e problemi di ritiro che fanno nascere azioni che
considero pari al 10 % di V ( negli USA H = 20 % V ) .

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Soletta gettata in opera: calcestruzzo con Rck 30 (calcestruzzo C25/30) e trave di


calcestruzzo con Rck 50 (calcestruzzo C40/50) gettata, ad esempio, un mese prima. I due
getti realizzati in tempi differenti fanno sì che nascano scambi di azioni tra trave e soletta
integrativa che devono essere valutati dell'ingegnere.

Esistono due tecnologie per gettare il pannello:


1- calcestruzzo gettato sulla sezione trasversale del banco; il banco è fisso e quando
si effettua l'operazione di scasseratura, bisogna prendere l'oggetto per i ganci, ruotarlo e
sollevarlo. Il pannello, nato orizzontalmente, è preso e sollevato con un primo conseguente
effetto ventosa finché non passa aria; quando viene fatto ruotare si genera flessione,così
che si debba prevedere un'armatura specifica per tale fase. Il calcestruzzo deve avere
resistenza piuttosto alta per sopportare questa fase.

2- il getto viene realizzato come nel metodo precedente, tuttavia il banco è dotato di
un sistema di cilindri, pistoni e cannocchiale che lo ruotano e lo alzano.

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Quest'ultima è una tecnologia più sofisticata della prima e risparmia al pezzo la


flessione poiché con questo metodo resta appoggiato. L'ingegnere deve conoscere la
tecnologia con cui è stato realizzato in pannello, se no rischia di mettere armatura
eccessiva o, viceversa, di non mettere ferri là dove siano fondamentali.

Scassero.
Fase fondamentale, delicata in cui il progettista deve indicare le resistenze minime
che vuole dal calcestruzzo. Il progettista di prefabbricati non si limita a dire la resistenza a
compressione del calcestruzzo dopo 28 gg, ma deve dire anche le resistenze tra getto e
scassero. Il pannello nasce orizzontale poi lo si appende per due punti, così che risulti
fortemente sollecitato. Se è precompresso, vengono su di esso scaricate tonnellate di
precompressione.
Esistono dei DM che prevedono precise verifiche per la precompressione, poiché è il
momento in cui l'oggetto potrebbe stare peggio.
CNR 10025/98 in vigore: “le casseforme non dovranno essere rimosse fino a quando
la resistenza del calcestruzzo non sarà adeguata in modo tale da:
- evitare danni alle superfici e il distacco delle parti più fragili del calcestruzzo, come
spigoli e sporgenze (esempio del tegolo precompresso a TT: quando la
precompressione agisce, il manufatto tende ad inarcarsi verso l'alto e si appoggia sul
cassero in due punti. In questi due punti, se non sono presenti dei particolari
accorgimenti, il calcestruzzo si danneggia

- sorreggere le azioni applicate all'elemento comprese quelle derivanti dall'adesione


alla cassaforma nella sformatura;
- impedire deformazioni dovute a fenomeni elastici ed anelastici del cls “

CNR 10025/84 vecchia norma: aggiungeva, rispetto quella attualmente cogente, che
le forze di aderenza allo stampo potessero raggiungere i 4 kN/mq (valore elevatissimo) .

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Movimentazione ( sollevamento ), stoccaggio, trasporto


DM 3/12/1987: bisogna tenere conto degli effetti dinamici valutati amplificando e
riducendo i pesi degli elementi tramite i coefficienti ( 1±α ) con α≥0.15 dipendente dalle
caratteristiche di sollevamento delle attrezzature.
CNR 10025/98: durante la permanenza in stoccaggio gli elementi non devono subire
azioni che poi rendano incompatibile l'uso dell'oggetto, a causa di deformazioni
permanenti. Deve essere garantita ala stabilità contro il ribaltamento. I manufatti con peso
superiore a 8 kN devo essere specificatamente targettati.
Lo schema di carico del manufatto prefabbricato durante il trasporto deve essere
previsto in fase di progettazione; il progettista deve imporre lo schema di carico.
Egli deve conoscere il mezzo di trasporto che verrà impiegato per l'elemento
prefabbricato, al fine degli schemi di vincolo. Lo schema di trasporto deve essere noto al
progettista così che possa fare le verifiche di conseguenza, per prevedere le armature di
modo che il pezzo resti in quelle condizioni.

Montaggio, assemblaggio
Bisogna verificare il pezzo per tutte le posizioni possibili; il progettista deve quindi
prevedere le condizioni peggiori per dominare a statica dell'elemento prefabbricato.
DM 1987: posa e regolazione degli elementi prefabbricati:
- bisogna ridurre le sollecitazioni dinamiche conseguenti al movimento degli elementi
(quel prima citato 1.15 può risultare un valore troppo piccolo )
- i dispositivi di regolazione devono consentire il rispetto delle tolleranze del progetto,
sia di quelle di produzione dei singoli elementi che di quelle di esecuzione delle
unioni.
Dispositivi di regolazione :dispositivi di cui sono dotate ad esempio le mensole, che
permettono di regolarne la giusta posizione.
NTC ( DM 14/01/2008 ) : sono norme più concise, è maggiore il grado di sintesi
il componente prefabbricato deve garantire sicurezza e prestazione sia come singolo
nelle fasi transitorie, sia come più complesso elemento strutturale una volta installato in
opera
le verifiche del componente vanno fatte con riferimento al livello di maturazione e di
resistenza raggiunto
Questi due concetti riassumono quanto più dettagliatamente trattato dalle vecchie
normative.

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6.1 IL CASO DELLE STRUTTURE A CONCI

Quando un elemento in calcestruzzo è troppo grande, è necessario spezzarlo per


renderlo trasportabile. L'unione dei conci avviene mediante armature precompresse post-
tese; non ci sono alternative.
Conci assemblati in opera con precompressione con cavi di post-tensione ( CNR
10025/84). Nella produzione italiana al massimo 3 pezzi; sviluppo longitudinale dei pezzi :
conci lunghi.
Le armature di post-tensione non devono chiaramente saltare.
DM 1996: non sono ammesse trazioni ai lembi nelle strutture a conci nelle quali non
si possa sperimentalmente dimostrare che il giunto disponga di una resistenza a trazione
almeno equivalente a quella della zona corrente. Nelle zone di giunto devono evitarsi le
trazioni nella realtà dei fatti.
Es ) ponte a cassone con sbalzi realizzato a conci: importante è la resistenza
torsionale. Accettando trazioni al lembo inferiore resta solo la sezione superiore aperta a
resistere, essendo quella inferiore in trazione.

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