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1 – Le strade ordinarie

Viene definita strada ordinaria la struttura, funzionalmente dimensionata e inserita nel territorio,
poggiante sul terreno sia direttamente che per mezzo di opere sussidiarie (rilevati opere d'arte), in
grado di consentire la circolazione di veicoli con ruote gommate. Esistono numerose classificazioni
che prendono in considerazione diversi parametri:

Dal punto di vista amministrativo si suddividono in:

- autostrade (classe I)
- strade statali (classe II)
- strade provinciali (classe III)
- strade comunali (classe IV)
- strade consorziali, di bonifica e vicinali (classe V)

Fig. 1.1 – Definizione in base alle caratteristiche costruttive.

Dal punto di vista operativo si distinguono in:

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- strade d'interesse nazionale per grandi capacità di traffico e alte velocità di percorrenza;

- strade d'interesse regionale per traffico più limitato;

- strade d'interesse locale per traffico minore.

In base al traffico si differenziano in:

- strade a limitata intensità di traffico (< 600 veicoli/h);

- strade a media intensità di traffico (< 1200 veicoli/h);

- strade ad elevata intensità di traffico (> 1200 veicoli/h).

Dal punto di vista geomorfologico si diversificano in:

- strade di pianura;

- strade di montagna, suddivise in: - strade in cresta;

- strade a mezzacosta;

- strade di fondovalle.

In base alle caratteristiche costruttive (Fig. 1.1) si caratterizzano in:

- strade in rilevato, la cui piattaforma si trova totalmente al di sopra del piano di campagna,
limitata lateralmente da 2 scarpate ad inclinazione variabile;

- strade in trincea, la cui piattaforma si trova totalmente al di sotto del piano di campagna, limitata
lateralmente da 2 scarpate ad inclinazione variabile;

- strade a mezzacosta, la cui piattaforma è situata in parte sopra e in parte sotto al piano di
campagna;

- strade in artificiale, la cui piattaforma è munita di strutture portanti quali ponti e viadotti;

- strade in galleria artificiale o naturale, la cui piattaforma è inserita entro uno scavo in roccia.

1.1 – Definizioni

Ai fini del prosieguo della trattazione si rivela opportuno, a questo punto, introdurre una corretta
terminologia in relazione i diversi elementi che compongono una strada (Figg. 1.2 - 1.5).

Sottofondo: si tratta del il terreno sul quale viene poggiata la sovrastruttura; è il più direttamente
interessato dall'azione dei carichi esterni da questa trasmessi; può essere costituito da terreno
naturale o di riporto oppure può aver subito un processo di miglioramento funzionale. La superficie
che delimita superiormente il terreno di sottofondo costituisce il piano di posa della sovrastruttura.
Qualora non fosse in qualche modo specificato col termine generico di sottofondo s’intende uno
spessore di terreno entro 0.5÷1.0 m.

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Fig. 1.2 – Sottofondo e sovrastruttura.

Sovrastruttura: si tratta della struttura, sovrapposta al sottofondo, destinata a consentire il


regolare movimento dei veicoli distribuendo sul sottofondo i carichi da questi trasmessi ed a
proteggerlo dagli agenti atmosferici (pioggia, gelo etc.). E’ solitamente costituita da più strati:

- fondazione: la parte della sovrastruttura che ha, principalmente la funzione di distribuire i carichi
sul sottofondo. Può essere costituita da uno o più strati: lo strato più profondo viene chiamato
primo strato di fondazione e può anche essere destinato a proteggere il sottofondo dall'azione del
gelo e ad intercettare la risalita dell'acqua. Lo strato più superficiale viene chiamato ultimo strato di
fondazione o strato di base.

- strato di collegamento (binder): determina lo strato di conglomerato bituminoso interposto, nelle


pavimentazioni a bitume, tra lo strato d'usura e lo strato di base.

- strato d'usura (tappeto d'usura): definisce la parte della pavimentazione a diretto contatto con i
veicoli; è costituito da materiale inerte fine legato con bitume.

- manto: l'insieme dello strato d'usura e di collegamento nelle pavimentazioni bituminose è detto
manto. Nelle pavimentazioni in calcestruzzo il termine viene usato per indicare la lastra portante.
Presenta porosità accentuata per ostacolare la formazione di veli d'acqua.

Fig. 1.3 – Sovrastruttura e cordonatura.

Solido stradale: si tratta della figura geometrica delimitata dal piano campagna, dalla superficie
del sottofondo e dalle scarpate del rilevato o dalla trincea.
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Piattaforma stradale (o sede stradale): definisce l'insieme delle carreggiate, delle banchine, dei
marciapiedi e delle piste ciclabili.

Cigli stradali: rappresentano le linee di delimitazione delle banchine o dei marciapiedi o delle piste
ciclabili.

Cordonature: sono formate per lo più da prefabbricati in cls, disposti in modo da mettere in
evidenza spartitraffico e le isole direzionali.

Fossi di guardia: sono le opere idrauliche che vengono realizzate per la raccolta delle acque
provenienti da monte e per il loro convogliamento verso i tombini.

Cunette: costituiscono le opere idrauliche per lo smaltimento delle acque di carreggiata.

Muri di controripa, di sottoscarpa: si tratta dei muri di contenimento costruiti nel caso di trincee
profonde o di alti rilevati per limitare le scarpate e conferire maggiore stabilità alle opere in terra.

Carreggiata: definisce quella parte della piattaforma stradale destinata alla circolazione dei veicoli:
viene suddivisa in corsie (2, 3, 4 o più) le cui dimensioni dipendono dal tipo di traffico, dai veicoli
previsti e dalla velocità di progetto; in generale la larghezza è compresa tra 3.25 m e 4 m.

Qualora la carreggiata fosse in galleria occorre prevedere la costruzione dei marciapiedi sui due
lati eventualmente protetti da barriere di sicurezza; si rivela inoltre opportuno, in presenza di
gallerie lunghe, predisporre piazzali di sosta, provvedere all'illuminazione artificiale graduata
nonché alla costruzione di adeguate opere di drenaggio (cunicoli).

Nel caso di strade con almeno 4 corsie di carreggiate separate, si preferisce, di norma, costruire 2
gallerie separale; questo col doppio scopo di ridurre le sezioni di scavo (quindi le spinte sui
rivestimenti) e d’evitare i problemi di abbagliamento tra i veicoli.

Normalmente la carreggiata è costruita con un profilo convesso (a forma di diedro con spigolo
coincidente con l'asse stradale, o ad arco di circonferenza, oppure ad arco di parabola a seconda
delle condizioni) per favorire lo scolo dell'acqua di carreggiata verso le cunette, senza, comunque,
creare ostacolo alla circolazione, soprattutto in fase di sorpasso.

Fig. 1.4 – Banchine e carreggiata.

Corsia spartitraffico: definisce una corsia variamente predisposta (guard-rail, vegetazione, etc.)
che ha lo scopo di separare le due carreggiate e le due correnti di traffico nelle strade a 4 o più
corsie.

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Banchine: definiscono gli elementi della piattaforma stradale che possono avere un duplice scopo:

- consentire la sosta di emergenza dei veicoli (in questo caso devono avere una larghezza di
almeno 2.5 - 3.0 m e devono essere pavimentate);

- distanziare la carreggiata dalle opere di scolo laterali (in questo caso sono solitamente in terra
ed hanno una larghezza di 1.0 - 1.5 m).

Fig. 1.5 – Fossi di guardia e cunette.

Lateralmente alle banchine di sosta possono venire realizzate anche le banchine erbose, della
larghezza di 0.50÷0.75 m; nel caso di strade in rilevato, vengono usate per l'installazione di
segnaletica verticale e/o di barriere di sicurezza.

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Tab. 1.1 – Conformazione del solido stradale.

Pavimentazione: può essere naturale (Macadam non protetto o protetto), in conglomerato (o


manto) bituminoso oppure in lastre di calcestruzzo (Tab. 1.1 e Fig. 1.6):

Fig. 1.6 – Sovrastruttura flessibile per strade ad elevato traffico.

- la pavimentazione in Macadam non protetto viene utilizzata in strade di classe V in quanto


molto polverosa e poco difesa dall'azione delle acque superficiali;

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- la pavimentazione in Macadam protetto si realizza stendendo uno strato di bitume misto a
graniglia (con diametri compresi entro 2÷10 mm);

- la pavimentazione in conglomerato bituminoso è costituita da uno strato di usura (3÷4 cm di


spessore) sovrapposto ad uno strato di collegamento (sovente di 4÷8 cm di spessore) che ha lo
scopo di migliorare il collegamento con la base;

- la pavimentazione rigida è costituita da lastre di calcestruzzo poggianti su uno strato di base in


misto cementato.

Fig. 1.7 – Pavimentazione in conglomerato bituminoso.

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1.2 - Fasi realizzative di una strada

La realizzazione di una strada, come di ogni altra struttura, comporta le attività di progettazione e
di costruzione dell'opera; ognuna di queste attività viene condotta attraverso diverse fasi operative.

1.2.1. Progettazione

La progettazione di un'opera stradale, per divenire esecutiva, passa attraverso 3 fasi successive:

Progetto preliminare o di fattibilità

Il progetto di fattibilità consiste in uno studio nel quale si prende in considerazione l'ipotesi di
realizzazione di un’opera dal punto di vista tecnico-economico; tale elaborato (nel caso della
strada) fornisce unicamente un'indicazione di massima del tracciato con la scelta di un corridoio,
cioè di una fascia ampia qualche chilometro, in cui possono essere prospettate più soluzioni da
vagliare nelle fasi successive.

Il progetto preliminare è costituito, tra i vari elaborati, da:

- relazione tecnico-economica contenente notizie generali sulla natura e le condizioni geologiche


e geotecniche dei terreni attraversati comprese le valutazioni di convenienza dell'opera in base al
tipo di traffico previsto;

- corografia generale, ossia uno studio, dal punto di vista fisico e antropico, di una regione
redatto sulla base di carte con scala compresa tra 1:100.000 e 1:25.000 nelle quali si segnalano le
principali localizzazioni industriali, agricole, turistiche ed i livelli altimetrici.

- un profilo longitudinale, decisivo per porre in evidenza le zone in cui s’intende ricorrere
all'esecuzione di opere d'arte.

Progetto di massima

Col progetto di massima si realizza uno studio sistematico nel quale vengono messe a confronto le
diverse soluzioni di tracciato proposte nella fase precedente al fine di stabilire il percorso più
opportuno. In tale studio, inoltre, si cerca di stabilire, con buona approssimazione, il rapporto
costi/benefici di una strada. Gli allegati consistono, tra l’altro, di:

- relazione di rilievo territoriale dettagliata comprendente un inquadramento geologico oltre ad un


eventuale profilo geognostico;

- planimetria in scala 1:10.000 o 1:5000;

- profilo longitudinale in scala adeguata (in genere la scala delle ascisse è uguale a quella della
planimetria, mentre in ordinate si usa una scala 10 volte più grande), eseguito sulla base di levate
topografiche tracciate appositamente;

- sezioni trasversali in scala 1:200 - 1:100;

- disegni e descrizioni delle principali opere d'arte;

- calcolo delle quantità e dei costi in base ai movimenti terra prevedibili, alla possibilità di riutilizzo
dei materiali di scavo, alla possibilità di ricorrere o meno a tecniche particolari (rippaggio,
preminaggio etc.).

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In tale fase si iniziano a prendere in considerazione problemi pratici fondamentali quali la
reperibilità d’acqua per i cantieri, la qualità della medesima, la necessità di pozzi, l'ubicazione delle
cave di prestito etc.

Progetto esecutivo

Il progetto esecutivo consiste di uno studio nel quale devono essere prodotti tutti gli elaborati
necessari all'esecuzione pratica dell'opera in ogni suo particolare ed anche tutti i documenti che
regolamentano i rapporti tra ente appaltante e impresa appaltatrice. Il progetto esecutivo consta di:

- relazione descrittiva e illustrativa delle principali caratteristiche dell'opera e delle norme tecniche
da applicare:

- relazione geologica e geotecnica generale e relazioni di dettaglio per le diverse opere d'arte e i
diversi tratti di strada;

- serie di disegni comprendenti sostanzialmente una planimetria in genere in scala 1:2.000; un


profilo longitudinale in genere in scala 1:2.000 - 1:200 delle sezioni trasversali, in genere in scala
1:100 - 1:200, i disegni delle opere d'arte;

- computo metrico nel quale siano previste le quantità relative ai movimenti terra necessari
all'occupazione dei terreni, ai materiali da costruzione per le diverse opere d'arte previste nei
differenti interventi ed agli espropri.

- computo estimativo comprendente i prezzi elementari, la stima dei lavori e degli espropri e quindi
il costo di realizzazione dell'opera;

- capitolati (capitolato generale dello Stato, capitolato della Provincia o del Comune a seconda si
tratti di una strada provinciale o comunale, capitolato speciale dell'opera in appalto).

- programma di lavori con previsione dei tempi di esecuzione delle diverse fasi operative e della
loro sequenza.

- offerta economica per la costruzione della strada.

1.2.2 – Costruzione

Anche la costruzione vera e propria dell'opera stradale passa attraverso più fasi realizzative
successive;

- individuazione sul terreno del tracciato di progetto (topografia e palinatura);

- preparazione del terreno: in questa prima fase si provvede ad eliminare tutti gli eventuali
ostacoli naturali e/o artificiali situati sul tracciato (ad es. alberi, siepi, fabbricati etc.) e ad asportare
lo strato superficiale di terreno vegetale mediante l'azione di macchine quali apripista e
scarificatori;

- movimento terra: tale fase di lavoro, una volta preparato il terreno, consiste nello scavo che,
nel caso di tratti in trincea o a mezzacosta, si estende in profondità, mentre nel caso di tratti in
rilevato viene limitato all'asportazione di un piccolo strato (scorticamento). In questa fase sono
compresi, sia per le strade in trincea, che in rilevato, che a mezzacosta, gli scavi dei fossi di
drenaggio, delle fondazioni per i manufatti e la preparazione di eventuali cave di prestito. A
seconda dell'organizzazione di cantiere e delle esigenze possono operare macchine da scavo
(martelli demolitori, escavatori) macchine per scavo e spostamento (apripista, pale), macchine per
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scavo e trasporto (ruspe), macchine per trasporto (autocarri, dumper, nastri trasportatori,
decauville); in caso si operi in terreni rocciosi, oppure notevolmente compatti, comunque
difficilmente scavabili, diventa generalmente necessario ricorrere ad altre macchine con lo scopo di
rompere preliminarmente il terreno (rippers o perforatrici per la posa di esplosivo). Qualora lo
scavo venga eseguito sino ad una certa profondità, secondo quelle che sono le dimensioni dello
scavo, il tipo di strada, le caratteristiche del terreno, la disponibilità delle macchine, si può optare
tra differenti tecniche d’attacco (laterale, di testa, di profondità, a gradoni, a strati, a tutta la
sezione);

- preparazione del sottofondo: in questa terza fase si opera per migliorare le caratteristiche del
sottofondo, prima fra tutte la portanza. In pratica le operazioni eseguibili si riassumono in:
stabilizzazione, umidificazione, costipamento (utilizzando per la stabilizzazione: polverizzatori,
miscelatori, dosatori; per l'umidificazione: cisterne, irroratori; per il costipamento: rulli vibranti,
piastre vibranti);

- costruzione delle opere d'arte e delle opere di difesa della strada: in questa fase si procede
alla costruzione di ponti e viadotti, nonché alla costruzione di canalette, fossi di scarico, tombini,
muri di contenimento, opere di drenaggio;

- costruzione della sovrastruttura e della pavimentazione; in quest'ultima fase si procede alla


costruzione, strato per strato, della sovrastruttura secondo le modalità previste dal progetto.

- opere di rifinitura e di mitigazione dell'impatto visivo;

- collaudi per controllare la rispondenza tra capitolato d'appalto e manufatto e per verificare
l'effettiva capacità della strada a sopportare carichi (prove di carichi in situ).

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1.3 - Indagine geologico-tecnica

Dal punto di vista geologico-tecnico i problemi relativi alla costruzione di una strada possono
essere così riassunti:

1.3.1 - Fase preliminare

Nella fase di studio preliminare, ossia nella fase in cui si valuta la possibilità tecnica ed economica
di realizzazione di una strada e si avanzano possibili soluzioni per quello che riguarda il tracciato, il
compito dell’operatore è quello di eseguire uno studio di massima che contribuisca alla scelta di un
corridoio, comprendente:

- esame delle carte geologiche e della bibliografia esistente;

- esame delle foto aeree;

- esame geomorfologico basato sulla distinzione delle unità geomorfologiche, sulla loro dinamica
sull’acclività, sulla copertura vegetale, sulla distribuzione delle precipitazioni etc.; tale analisi si
pone la finalità di suggerire la scelta del tracciato di massima ottimale riducendo i costi di
realizzazione dell'opera ed evitando determinate problematiche.

1.3.2 - Fase di progetto

Nella progettazione di massima ed esecutiva, ossia nelle fasi in cui vengono stabilite tutte le
modalità secondo le quali la strada viene costruita, il compito dell’operatore è quello di occuparsi
delle condizioni del tracciato, delle condizioni idrogeologiche, dei problemi relativi alle opere d'arte
e dei materiali da costruzione.

Lo studio delle condizioni del tracciato comprende:

- indagine sulla morfologia generale del terreno e sulla della topografia eseguito in particolare
mediante foto aeree (eventualmente lo studio della topografia può richiedere l'esecuzione di
apposite levate topografiche), il cui scopo è quello di valutare altitudini, dislivelli e forme del
terreno;

- indagine geologica che consta di uno studio litologico (eseguito mediante il rilievo geologico
classico tendendo, però, ad enfatizzare il ruolo dei depositi superficiali segnalandone soprattutto la
granulometria per avere indicazioni sul tipo di macchine per movimento terra da scegliere e sulla
necessità di stabilizzazione), uno studio tettonico ed uno studio geomorfologico indirizzato
quest’ultimo soprattutto alla dinamica geomorfologica e dei versanti. Lo studio geologico è
solitamente esteso ad una fascia di circa 1 km a cavallo dell'asse stradale e, comunque, sempre
sufficiente ad illustrare i problemi della zona, per cui può venire allargata nelle aree in cui sono
prevedibili, ad es., problemi di stabilità. Lo studio litologico ha come obiettivo quello di classificare i
terreni attraversati dalla strada in base alle classificazioni tecniche usate nella progettazione
stradale.

- analisi della stabilità dei versanti attraversati con eventuale preparazione di una carta della
pericolosità; scopo dello studio è quello di suggerire eventuali modifiche al tracciato o alle opere
d'arte.

- analisi dei problemi relativi alla sede stradale prendente in considerazione i problemi del terreno
di sottofondo (valutandone l'idoneità), i problemi della sovrastruttura, i problemi di conservazione
dell'opera (stabilità delle scarpate a medio-lungo termine) con l'ausilio d’indagini in situ e prove di
laboratorio.
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Lo studio delle condizioni idrogeologiche comprende:

- studio dell'idrografia superficiale sia per quanto riguarda i corsi d'acqua (alveo di piena e di
magra) che, per quanto riguarda le zone paludose proponendo le opere di difesa più opportune ed
i piani di bonifica;

- studio della falda di cui si ricerca posizione ed alimentazione (soggiacenza della falda e
dell'eventuale frangia capillare) eventualmente costruendo una carta delle isopieze prendendo in
esame la possibilità di eventuali interferenze con la strada, nel qua! caso si predispongono opere
di drenaggio e l'utilizzo di materiali speciali ad evitare la possibile saturazione della sovrastruttura.

Lo studio dei problemi relativi alla costruzione delle opere d'arte riguarda problemi di
costruzione e problemi di stabilità di manufatti quali ponti, viadotti, gallerie, sovrappassi, sottopassi,
attraversamenti, piazzole, muri di sostegno, opere di difesa da frane e valanghe, drenaggi, cunette,
tombini etc.

Lo studio dei materiali da costruzione ha lo scopo di valutare la possibilità di riutilizzo del


materiale scavato o di una parte di questo, e comunque, di predisporre il reperimento di
determinate quantità di pietre inerti, pietrisco, ghiaie e sabbie; (in alcuni casi sono utilizzabili
materiali di discarica di miniere eventualmente miscelati con materiali clastici in altri casi può
risultare conveniente predisporre centri di frantumazione (con lo scopo di riutilizzare, previa
triturazione, materiali grossolani normalmente inutilizzati); in altri casi ancora occorre procedere
con uno studio per l'ubicazione delle cave di prestito.

1.3.3 - Fase esecutiva

Nella fase esecutiva dei lavori il compito dell’operatore è quello essenzialmente di far fronte ad
eventuali imprevisti e di controllare che le caratteristiche costitutive della strada corrispondano a
quelle previste nei Capitolati.

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1.4 - Studio del tracciato stradale

Come osservato in precedenza esistono numerosi tipi di strade che trasmettono con modalità
differenti i carichi che a loro competono e che pongono problemi diversi. Si distinguono, innanzi
tutto, le strade di pianura e le strade di montagna.

Le strade di pianura implicano unicamente sforzi di compressione con conseguenti:

- problemi legati agli attraversamenti di abitati, corsi d'acqua, vie di comunicazione etc., in
genere superati mediante opere d'arte. Le tecniche di scavo utilizzabili sono funzione
dell'urbanizzazione e della presenza di sovraccarichi sul terreno (ad es. il minaggio nei centri
abitati viene evitato; la presenza di edifici condiziona i lavori di scavo);

- problemi legati alla presenza di litotipi sfavorevoli alla realizzazione di sottofondi stabili
(soprattutto le torbe e i terreni organici);

- problemi legati a possibili marcate oscillazioni della falda e della frangia capillare, rendendo
necessari interventi di impermeabilizzazione e drenaggio;

- problemi legati alla difficoltà di reperimento di materiali per le sovrastrutture;

- problemi legati a possibili esondazioni o erosioni da parte di corsi d'acqua.

Le strade di montagna sono rappresentate da 3 diverse tipologie, ossia:

Strade di fondovalle, che implicano unicamente sforzi di compressione con differenti ordini di
problemi, cioè:

- problemi già elencati per le strade di pianura a parte, in genere, problemi di reperimento del
materiale;

- problemi legati al pericolo di frane e di valanghe;

- problemi legati alla necessità di ricorrere frequentemente ad opere d'arte per superare i corsi
d'acqua ed a gallerie per rettificare il tracciato.

Strade a mezzacosta, che implicano sia sforzi di compressione che di taglio legati strettamente
all'inclinazione del pendio con:

- problemi legati alla stabilità del versante;

- problemi legati alla stabilità della sovrastruttura;

- problemi di carattere idrogeologico e legati all'azione delle acque non incanalate;

- problemi legati al pericolo di valanghe.

Strade in cresta che implicano solo sforzi di compressione con problemi legati a fenomeni di
erosione accelerata, di carattere idrogeologico e climatici (ventosità).

Lo studio del tracciato si esegue, nella fase di progetto esecutivo, prendendo in considerazione i
seguenti punti:

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- valutazione del tipo e del volume di traffico che la strada deve presumibilmente assorbire e suo
possibile incremento in tempi futuri;

- scelta del tipo di strada da costruire con relativa determinazione della larghezza, pendenza,
raggio di curvatura, grado di sicurezza e velocità media di percorrenza;

- esame della carta topografica con individuazione delle zone meno acclivi;

- disegno del tracciolino (o linea guida);

- tracciamento della poligonale d'asse;

- tracciamento dell'asse stradale.

Il tracciolino è una spezzata in cui ciascun segmento s’appoggia a 2 curve di livello successive in
base ad un valore di pendenza prescelto che non deve superare quello massimo prefissato nelle
caratteristiche generali della strada e che è condizionato dalle condizioni orografiche.

Nello studio di un tracciato stradale è comunque, opportuno tener conto delle seguenti
osservazioni generali:

- sono da evitare le curve e le contro-curve senza interposizione di un rettifilo di opportuna


lunghezza;

- è opportuno seguire per quanto possibile l'andamento del terreno cercando di adattarsi ad
esso;

- le curve devono essere sviluppate nelle zone a minor pendenza trasversale del terreno in
modo da ridurre i movimenti di terra (questo vale soprattutto per i tornanti che implicano, in genere,
notevoli volumi di sterro e di riporto);

- gli attraversamenti dei corsi d'acqua devono essere effettuati in rettilineo e possibilmente
normalmente all'ostacolo;

- gli incroci tra due strade devono, per quanto possibile, avvenire a 90° in modo da facilitare i
raccordi e ridurre l'area di occupazione.

Per poter eseguire un computo, sia pur approssimativo, dell'entità degli sterri e dei riporti e stabilire
le successive livellette (tratti a pendenza uniforme) da assegnare alla strada, occorre procedere al
disegno ed all'esame del profilo longitudinale.

Un intero tronco può essere, o meno, ad unica pendenza; nei progetti di strade di limitata
importanza, sempre che sia possibile utilizzare i materiali di scavo per il riporto di rilevati,
l'andamento altimetrico si sceglie in modo che i movimenti di materiale siano ridotti al minimo
possibile e che il volume degli scassi si avvicini a quello dei riporti.

In ogni caso, per la conoscenza esatta della quantità di materiale da scavare e da riportare non è
sufficiente il profilo longitudinale, ma ci si deve rifare anche ad una serie di sezioni trasversali.

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1.5 - Classificazione del terreno nella geotecnica stradale

Un terreno può essere classificato in base alle sue caratteristiche granulometriche e ai limiti di
consistenza distinguendo ciottoli, ghiaie, sabbie, limi e argille secondo quanto esposto in
precedenza (1° vol.).

In Geotecnica stradale si fa spesso riferimento anche a classificazioni specifiche come quella che
va sotto il nome di Indice di Gruppo o di quella nota come Classificazione H.R.B..

1.5.1 - Indice di Gruppo

L'Indice di Gruppo si può definire come un coefficiente di qualità di una terra espresso dalla
seguente relazione:

IG = 0.2 a + 0.005 ac + 0.01 bd

dove a è la % di passante al setaccio 0.075 UNI 2332 meno 35: se tale % > 75 si indica sempre
con 75, se < 35 si indica con 35; b la % di passante al setaccio 0.075 UNI 2332 meno 15: se tale
% > 55 si indica sempre con 55, se < 15, si indica con 15; c il valore del Limite Liquido meno 40:
se tale valore è > 60 lo si indica sempre con 60, se < 40 lo si indica con 40; d il valore dell'Indice
Plastico meno 10: se tale valore è > 30 lo si indica sempre con 30, se < 10 lo si indica con 10.

I valori dell'Indice di Gruppo vengono approssimati all'intero più vicino; tali valori sono ricavabili
anche per via grafica dai diagrammi di Fig. 1.8

Nel diagramma di destra si riporta in ascisse la percentuale di passante al setaccio 0.075 UNI
2332 e si conduce una verticale fino al valore del Limite Liquido posseduto dalla terra, leggendo il
valore dell'ordinata corrispondente.

Nel diagramma di sinistra si riporta in ascisse la % di passante al setaccio 0.075 UNI 2332 e si
traccia una verticale fino al valore dell'Indice Plastico della terra leggendo il valore del l'ordinata
corrispondente.

La somma dei 2 valori fornisce l'Indice di Gruppo della terra, compreso entro valori 0÷20.

1.5.2. Classificazione H.R.B.

Ancora più significativa è la classificazione americana dell'Highway Research Board (H.R.B.)


ufficialmente adottata in Italia dal C.N.R.. Tale valore deriva da una preventiva analisi
granulometrica con determinazione dei Limiti di Atterberg per la frazione limoso-argillosa.

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Fig. 1.8 – Determinazione dell’Indice di Gruppo.

Si assumono 8 gruppi di terre come fondamentali e si indicano con la lettera A e con un indice
numerico da 1 a 8 (Fig. 1.9).

Ai primi 3 gruppi (A1, A2, A3, appartengono le terre ghiaioso-sabbiose individuate dall'avere una %
passante allo staccio 0.075 UNI 2332 ≤ 35%.

Ai gruppi da A4 ad A7 appartengono le terre limo-argillose, che hanno una % passante allo staccio
0.075 UNI 2332 > 35%.

All'ultimo gruppo, infine, appartengono le torbe e le terre organiche (A8) facilmente riconoscibili per
la loro struttura fibrosa, per il colore e l'odore caratteristico.

Alcuni gruppi si suddividono, a loro volta, in sottogruppi individuati dall'aggiunta di un secondo


indice costituito da una lettera o da un numero; è opportuno, inoltre, per le terre contenenti argilla,
far seguire un numero tra parentesi che rappresenta l'Indice di Gruppo variabile, come visto da 0 a
20: ad es. A7.6(12).

L'individuazione del gruppo e del sottogruppo di appartenenza di una terra viene effettuata
mediante semplici prove consistenti in una analisi granulometrica eseguita sui setacci 2, 0.4 e
0.075 UNI 2332 e nella determinazione del limite dello stato liquido (LL) e dell'indice di plasticità
(IP) di una terra.

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1.5.2.1 – Descrizione dei Gruppi e Sottogruppi (Tabb. 1.2 e 1.3)

a) Terre Ghiaioso-Sabbiose (% di passante al setaccio 0.075 UNI ≤ 35%)

Gruppo A1

Costituiscono questo gruppo le ghiaie, le brecce e le ghiaie e le brecce sabbiose, i detriti di cava
provenienti dalla frantumazione di pietrame, le sabbie grosse, le pomici e le ceneri vulcaniche
(pozzolane) aventi una granulometria più o meno assortita, talora con materiale fine legante
(passante, cioè allo staccio 0.075 UNI 2332) in quantità ≤ 24% in peso del totale e di natura
prevalentemente limosa, in quanto l'Indice di Plasticità non deve essere > 6.

Sottogruppi A1a e A1b

A1a si distingue per un notevole contenuto di materiale grosso (trattenuto allo staccio 2 UNI 2332)
e per un contenuto di materiale fine (passante allo staccio 0.075 UNI 2332) < 15%.

A1b è costituito prevalentemente da sabbia grossa con un passante allo staccio 0.075 UNI 2332 <
25%.

Gruppo A3

Tipica del gruppo è la sabbia fine, costituita per oltre il 50% da grani di dimensioni < 0.40 mm con
una % di Limo < 10%. Il materiale è plastico.

Gruppo A2

Costituiscono questo gruppo le terre dei due gruppi precedenti contenenti quantitativi maggiori (ma
non > 35%) di Limo ed Argilla, appartenenti ai gruppi A4, A5, A6 e A7 che seguono nella
classificazione e che possono conferire all'insieme caratteristiche di plasticità anche elevate.

Sottogruppi A2-4 ed A2-5

Comprendono le terre in cui il materiale fine (passante allo staccio 0.075 UNI 2332) è costituito in
prevalenza da Limo appartenente rispettivamente ai gruppi A4 ed A5.

Sottogruppi A2-6 ed A2-7

Comprendono le terre in cui il materiale fine è costituito in prevalenza da Argille appartenenti ai


gruppi A6 ed A7.

b) Terre Limo-Argillose (% di passante allo staccio 0.075 UNI 2332 > 35%)

Gruppo A4

Tipico del gruppo è il Limo non plastico o di ridotta plasticità, poco compressibile. Ne fanno parte
anche i Limi sabbiosi, i Limi ghiaiosi o i Limi con sabbia e sabbia che si differenziano, però, dai
terreni simili del tipo A2-4 per la maggior % di passante allo staccio 0.075 UNI 2332. La % di sabbia
e ghiaia influenza l'Indice di Gruppo il cui valore può giungere fino a 8.

Gruppo A5

Tipico è il Limo fortemente compressibile (come indicato dall'elevato LL) spesso contenente mica.
Fanno parte del gruppo i Limi anzidetti contenenti quantità variabili di sabbia e ghiaia, in % < 65,. il
17
che li differenzia dalle terre A2-5. L'Indice di Gruppo è influenzato dal contenuto di sabbia e ghiaia
ed il suo valore può giungere fino a 12.

Gruppo A6

Tipiche sono le Argille di limitata compressibilità (come indicato dal LL ridotto). Vi appartengono
anche le Argille limose contenenti sabbia e ghiaia in quantità < 65%, il che li differenzia dalle terre
A2-6. L'Indice di Gruppo può raggiungere valori fino a 16 ed è influenzato dalla plasticità del
materiale e dalla percentuale di ghiaia e sabbia contenute.

Gruppo A7

Caratterizzato da Argille ad elevato Limite Liquido e quindi fortemente compressibili che rigonfiano
notevolmente a contatto con l'acqua. Possono contenere anche notevoli quantità di sabbia e ghiaia
(< 65%) che le avvicina alle terre del sottogruppo A2-7. L'Indice di Gruppo può assumere valori fino
a 20 ed è influenzato dalla plasticità del materiale e dalla % di ghiaia e sabbia contenuta. Questo
gruppo si suddivide in 2 sottogruppi:

A7-5 che possiede un Indice di Plasticità modesto rispetto al Limite Liquido [IP ≤ (LL-30)]; sono
terre fortemente elastiche e compressibili, soggette a rigonfiare notevolmente a contatto con
l'acqua.

A7-6, che possiede un Indice di Plasticità più elevato rispetto al Limite Liquido [IP > (LL-30)]; sono
terre soggette a plasticizzarsi ed a subire notevoli rigonfiamenti a contatto con l'acqua (meno
elastiche e

compressibile delle precedenti).

c) Torbe e Terre organiche palustri

Gruppo A8

E' caratterizzato da torbe e terre organiche fortemente compressibili. Sono terre con contenuto
d'acqua naturale elevatissimo (> 100%) che rivelano, sia alla vista che all'odore, la struttura fibrosa
ed il contenuto di materia organica. Sono decisamente da scartare quali terreni d'appoggio di
sovrastrutture o di rilevati.

18
Tab. 1.2 – Gruppi e Sottogruppi per HRB sabbioso-ghiaiose.

19
Tab. 1.3 – Gruppi e Sottogruppi per HRB limo-argillose.

La prova di scuotimento (*) è un test di cantiere che serve a distinguere i Limi dalle Argille. Si
esegue scuotendo nel palmo della mano un campione di terra bagnata, comprimendolo
successivamente fra le dita. La terra reagisce se, dopo lo scuotimento, appare sulla superficie un
velo d’acqua libera che scompare comprimendo il campione fra le dita.

20
1.6 – Portanza dei sottofondi e delle sovrastrutture stradali

Lo studio sulla natura e la composizione di un terreno, ossia la determinazione delle sue


caratteristiche fisiche e meccaniche, come s’è già visto, assume una significativa importanza al
fine di stabilire il comportamento dell'opera stradale.

Un particolare problema, poi, s’incontra tutte le volte che, dovendo poggiare sul piano di sottofondo
(di una trincea o di un rilevato) la soprastruttura che permetta il transito di veicoli, è necessario
adeguare questa alle condizioni di portanza del sottofondo stesso.

Si suole indicare come portanza o capacità portante di un sottofondo il carico specifico, ricavabile
con un dato tipo di prova e con modalità ben definite/' che determina un prestabilito cedimento.

Da questa definizione è deducibile come risulti sufficiente cambiare solo qualche modalità di prova
per ottenere risultati non più confrontabili.

Come sottolineato in precedenza, si ricava un giudizio sintetico su un dato terreno seguendo una
opportuna classificazione. Questa, in base al riscontro di numerose prove sperimentali basate sul
comportamento di soprastrutture esistenti, può rivelarsi in grado di fornire anche elementi di
valutazione dello spessore da assegnare ad una data soprastruttura.

Di questo tipo è la classificazione dell'IG (Indice di Gruppo) o del F.A.A. (→) la quale ultima, come
osservabile, presenta anche il vantaggio di tener conto del gelo e delle possibilità di drenaggio del
terreno.

Tali metodi, tuttavia, sono fondati, quasi esclusivamente, sulla conoscenza delle sole
caratteristiche fisiche del terreno d’appoggio della pavimentazione e non tengono conto delle
condizioni proprie del sottofondo, dell’andamento degli strati, della presenza di una falda freatica
più o meno profonda, della situazione geomorfologica dei terreni sottostanti etc; tali considerazioni
hanno stimolato lo studio e il perfezionamento di criteri basati su prove dirette, consistenti
nell'applicare direttamente i carichi al piano di sottofondo per determinarne, in modo opportuno, la
portanza.

In base a questa si calcola, in seguito, lo spessore della soprastruttura; con criterio a posteriori
questi stessi metodi sono applicabili alla pavimentazione già costruita per definire la portanza di
questa (prova di controllo).

Si nota, altresì, facilmente come un carico applicato sul piano di sottofondo o ad una soprastruttura
stradale, ad es. per mezzo di una piastra, produca un determinato cedimento e come, aumentando
tale carico, i cedimenti si accrescano seguendo una legge non sempre facilmente individuabile.

Di conseguenza, allora, per definire la portanza del terreno a partire dal predetto piano, occorre
fissare gli elementi e le modalità della prova ed in particolare:

- forma e superficie della piastra di carico;

- modalità di applicazione dei carichi;

- cedimento limite (o ammissibile).

Le diverse ricerche per tali prove assumono deformazioni massime, per strade ed aeroporti,
variabili da 0.25 a 0.5 cm rispettivamente; infatti esperimenti pratici hanno dimostrato che fino a
deformazioni dell'ordine di 0.5 cm le pavimentazioni flessibili non mostrano segni di instabilità o
fessurazioni.
21
Tenuto, tuttavia, conto che in realtà i carichi applicati consistono in carichi ripetuti, si ritiene
consigliabile considerare, al fine della determinazione della capacità portante, valori ≤ 0.25 cm; si é
anche soliti definire una portanza di rottura, usata in special modo per le pavimentazioni rigide
(conglomerato di cemento) come quel carico unitario limite che determina la rottura della lastra di
calcestruzzo.

Da tempo, comunque, si sono diffuse prove ottenute sollecitando il terreno o la soprastruttura a


carichi ripetuti; in tal caso la portanza viene definita come quel carico unitario (N/m2) che, dopo un
certo numero di ripetizioni (carico e scarico), determina un prestabilito cedimento.

Sicuramente le prove a cicli ripetuti si rivelano più significative di quelle a ciclo unico, poiché si
avvicinano, in certo senso, alle effettive sollecitazioni indotte dal traffico e consentono, mediante il
confronto delle deformazioni elastiche e plastiche del primo ciclo con quelle dei cicli successivi, di
formulare un giudizio sulla stabilità della struttura ai carichi effettivi e sul più probabile
comportamento del terreno stesso.

In ogni caso, tuttavia, non sono trascurabili le condizioni ambientali nelle quali si esegue la prova;
su questa influiscono principalmente l'umidità e la densità del terreno di sottofondo; anche la
temperatura della pavimentazione, inoltre, risulta opportuno venga presa in considerazione qualora
si operi per stabilire la portanza di essa.

La variazione di umidità del terreno di sottofondo, infatti, può produrre una notevole variazione
della portanza e, con questa, dello spessore da assegnare alla soprastruttura; occorre, quindi,
scegliere, in maniera opportuna, oltre che il tipo di prova, anche il periodo climatico nel quale
eseguirla, in modo da trovarsi nelle più sfavorevoli condizioni sebbene tutto questo non sia sempre
di semplice attuazione.

Spesso, infatti, si deve progettare una strada nel periodo estivo e non è facile eseguire la
determinazione della portanza imbibendo il terreno d’acqua in modo che il grado di umidità
corrisponda a quello ottenibile nel periodo invernale.

E’ da notare, inoltre, che la conoscenza della portanza non risolve totalmente il problema della
determinazione dello spessore da assegnare alla pavimentazione, per la soluzione del quale, una
volta trovata la portanza, occorre far ricorso a nuove ipotesi ed a criteri più o meno empirici.

Una diversa soluzione è stata usata dagli operatori USA che hanno elaborato un metodo che
consiste nella determinazione di un Indice di portanza (Indice C.B.R.), che permette di assegnare
lo spessore di una data pavimentazione, per un dato traffico, in base a dei diagrammi ottenuti sulla
scorta di controlli sperimentali eseguiti in tale funzione.

Quest'ultimo criterio trova, ancor oggi, larga diffusione sia perché fornisce molto facilmente lo
spessore, sia perché dà la possibilità di operare in situ o in laboratorio, ed in quest'ultimo caso
anche nelle condizioni desiderate di costipamento e di umidità.

Riassumendo, allora, la portanza di un terreno, al fine del calcolo della pavimentazione, può
essere stabilita:

- mediante l'Indice di gruppo (IG) in base alle caratteristiche fisiche del terreno di sottofondo;

- con la Classificazione F.A.A. che, come la precedente, si basa sulle caratteristiche fisiche del
terreno ma tiene anche conto delle condizioni di gelo e di drenaggio;

- con le Prove con piastra a ciclo unico dove la portanza è il carico unitario che determina un
dato cedimento;

22
- mediante le Prove con piastra a cicli di carico e scarico dove la portanza è il carico unitario
che, dopo un determinato numero di cicli, definisce un dato cedimento;

- mediante l'Indice C.B.R. che definisce un termine in base al quale si può risalire allo spessore
conveniente da assegnare alla pavimentazione; sotto taluni aspetti anche l'Indice C.B.R. è
funzione delle caratteristiche fisiche e meccaniche del terreno di sottofondo.

Su tutti questi metodi sono state avanzate critiche e proposte modifiche ma, in effetti, ancora oggi
non ci si trova completamente orientati; a parte l’unificazione normativa, infatti, alcuni Paesi
preferiscono un sistema, altri un altro, trattandosi comunque di prove convenzionali i cui risultati
devono essere opportunamente valutati, confrontati ed interpretati.

1.6.1 - Prove di carico con piastra

Una piastra d’acciaio di forma circolare viene posta sul piano di posa in posizione orizzontale e su
di essa si adatta un martinetto idraulico che contrasta con un carico fisso. Questo può essere
rappresentato da un rimorchio opportunamente zavorrato o più semplicemente da una piattaforma
su cui è stato posto il carico.

Azionando il martinetto si carica la piastra e quindi il piano di prova.

Il carico può essere determinato in base alla pressione raggiunta dal fluido nel martinetto, oppure,
per mezzo di un anello dinamometrico. I cedimenti, invece, sono letti direttamente su comparatori,
fissati con prolunghe su una traversa, abbastanza rigida, poggiata al terreno in modo che i suoi
punti di appoggio non siano influenzati dalle deformazioni del terreno sotto carico (Fig. 1.9).

Fig. 1.9 - Apparecchiatura di carico con piastra.

Le piastre usate normalmente hanno forma circolare (Ø 16, 30, 50 e 76 cm). Dalle esperienze
eseguite risulta che, a parità di freccia totale o di freccia elastica, la pressione sopportabile da un
terreno è notevolmente influenzata dalla superficie della piastra di carico. Come si nota dalla Fig.
1.10, in cui sono segnate le isobare della piastra piccola e quelle relative alle esperienze con
piastra maggiore, le linee di pressione si allargano di molto nel caso della piastra più grande,
interessando, a parità di pressione applicata nei due casi, spessori diversi del terreno di
sottofondo.

23
Fig. 1.10 - Esperienza di Kögler-Scheidig a mezzo piastre quadrate di lato d1 e d2: le isobare a sinistra si riferiscono alla
piastra piccola, quelle a destra alla piastra più grande.

Di conseguenza, se il terreno risulta costituito da più strati di diversa natura (ad es., ad uno strato
superficiale di sabbia compatta segue un secondo di argilla plastica) quando si prova con una
piastra di piccola estensione si può ottenere un determinato risultato, poiché la isobara relativa ad
una data pressione interessa soltanto lo strato resistente di sabbia, mentre con una piastra più
grande la medesima isobara interessa anche lo strato di argilla plastica, con risultato
completamente diverso dal precedente.

Con queste condizioni si possono incontrare, in sede esecutiva, risultati non rispondenti, in quanto
i dati forniti dalle prove di carico, per particolari situazioni dell'ammasso, non sono estensibili. Si
rivela quindi consigliabile, tutte le volte che si vuole effettuare un lavoro diligente e preciso,
eseguire, unitamente alle prove, anche dei saggi in profondità mediante trivellazioni o per mezzo di
pozzi d’ispezione; ancora, occorre tener presente che i terreni devono considerarsi come solidi
elasto-plasto-viscosi in cui assume notevole influenza anche il fattore tempo; tale aspetto del
problema, sovente, risulta poco noto e spesso non sufficientemente valutato secondo la misura
richiesta.

Il fattore tempo, infatti, assume influenza per quanto riguarda la velocità d’applicazione dei carichi
(gradiente di carico); risulta quindi conveniente che, in ogni esperienza, tale velocità sia ben
stabilita così come é anche necessario uniformare le letture ai sensori in fase di taratura.

È, altresì, opportuno fermare il carico quando si è raggiunto un prestabilito valore di pressione,


attendendo, poi, l’arresto del display per leggere il cedimento. Dopo tali operazioni si riprende
subito il carico usufruendo sempre del medesimo gradiente.

In genere la lettura della deformazione si esegue quando, raggiunto il carico di prova, il display
indica una deformazione < 0.02 mm al minuto.

Le prove ripetute possono eseguirsi anche a cadenza rapida, applicando e rimovendo il carico in
termini veloci, senza attendere, per le letture, lo stabilizzarsi della deformazione.

24
Eseguendo una prova di carico con piastra di diametro d fino a raggiungere un valore p1 di
pressione sul terreno, la funzione pressioni-cedimenti è una curva del tipo di Fig. 1.11 in cui il ramo
AB è relativo al carico e quello BC allo scarico. E’ da osservare che, allo scarico, si rileva una
parziale restituzione ma che rimane una certa deformazione residua (AC = fp).

Fig. 1.11 - Curva pressioni-cedimenti di una prova di carico a ciclo unico.

Si chiama deformazione totale del ciclo (ft) quella relativa al punto B, deformazione plastica (fp)
quella del punto C, deformazione elastica (fe) la differenza (ft - fp).

1.6.2 - Portanza mediante prova a cicli ripetuti

Eseguendo delle prove a cicli ripetuti (carico e scarico), in modo che nella fase di carico venga
raggiunto sempre il medesimo valore di pressione massima, si ottengono delle curve pressioni-
cedimenti del tipo di Fig. 1.12: da queste si nota che il cedimento plastico di ogni ciclo si va
riducendo all'aumentare del numero di ripetizioni del carico mentre il cedimento elastico, differenza
tra quello totale e quello plastico, si può ritenere permanga costante. Secondo McLeod, per un
dato valore di pressione massima, è plausibile ammettere fe costante e ft = f1 + K log n, dove f1 è il
cedimento totale (o freccia) relativo al primo carico, n il numero di ripetizioni e K una costante.

Fig. 1.12 - Curva pressioni-cedimenti di una prova di carico a cicli ripetuti per lo stesso valore di pressione massima.

Tali leggi risultano valevoli per qualunque valore della pressione massima raggiunta in ciascuna
serie di cicli; al variare della pressione massima variano i valori di fe, f1 e K. In un diagramma
semilogaritmico, avente come ascissa il logaritmo del numero delle ripetizioni di carico e come
ordinata le frecce (Fig. 1.13), le relazioni di McLeod si rappresentano con 2 rette parallele, il cui
intervallo misurato sulla verticale è la freccia elastica; la retta inferiore fornisce i valori totali della
25
freccia plastica (Σfp) ossia la sommatoria delle frecce plastiche dei vari cicli allo scarico; la retta
superiore, invece, i relativi valori della freccia totale (ft).

Fig. 1.13 - Andamento delle frecce totali e delle frecce plastiche in funzione del numero delle ripetizioni del carico (in
scala logaritmica).

Circa la validità di tale legge, soprattutto per elevati valori del numero di ripetizioni del carico, si
avanzano ancora dubbi non risultando sempre possibile l'estrapolazione dei risultati ottenuti
operando in un ristretto campo di numero di cicli.

1.6.2.1 - Highway Research Board Method

L'Highway Research Board, partendo da tali premesse, ha elaborato un metodo per la


determinazione della portanza consistente nell’esecuzione di almeno 3 prove a cicli ripetuti in un
medesimo punto, ossia senza spostamento della piastra. In ciascuna prova si raggiunge un
prestabilito valore di pressione massima prendendo nota delle frecce totali e delle frecce plastiche
ottenute in ciascun ciclo; solo raramente si eseguono misure di cedimenti per valori intermedi.

Di norma non si superano i 6 cicli ma, tenute presenti le relazioni di McLeod, è possibile
l'estrapolazione a 10, 102 e 103 ripetizioni di carico.

Nel calcolare i cedimenti ammissibili si deve fare astrazione da quello plastico dovuto alla
applicazione del carico per l'assestamento iniziale relativo a ciascuna serie di cicli.

In sostanza, in un medesimo punto opportunamente scelto, si eseguono almeno 3 prove di carico


secondo quanto esposto, raggiungendo rispettivamente i valori di pressione massima p1max, p2max
e p3max (Fig. 1.14) notando le frecce totali ft e le frecce residue fp.

Riportati tali valori in un diagramma semilogaritmico avente per ascisse log n e per ordinate i
cedimenti, è possibile ricavare, per estrapolazione, i valori ft ed fp per qualsiasi valore di n ed in
particolare per n = 10, 102, 103 ripetizioni (Fig. 1.15).

26
Fig. 1.14 - Andamento delle frecce in funzione delle pressioni in una prova a cicli ripetuti per 3 diversi valori di pressione
massima.

Fig. 1.15 - Diagramma delle frecce totali - ripetizioni del carico (log) per 3 diversi valori di pressione massima. Le frecce,
determinate a 4 ripetizioni, sono state estrapolate.

Mediante questi valori si ottiene un ulteriore diagramma (Fig. 1.16) avente in ascissa le frecce ed
in ordinata i valori delle pressioni applicate. Supponendo, quindi, che il cedimento, dopo un
prestabilito numero di cicli, debba risultare f *, basta riportare tale valore sull'asse delle ascisse
(cedimenti totali) a partire dall'origine e tracciare la verticale; l'ordinata del punto d’incontro di
questa verticale con la curva, in genere una linea spezzata corrispondente al numero di cicli
prefissato, definisce la portanza del terreno in esame.

27
Fig. 1.16 - Diagramma pressioni - frecce totali al variare del numero delle ripetizioni del carico, per la determinazione
della portanza.

L'Highway Research Board per la determinazione della portanza stabilisce quanto segue:

- prova a cicli ripetuti a cadenza lenta eseguendo da 4 a 6 ripetizioni per ogni incremento di
carico, con piastra circolare Ø 76 cm; la prova viene condotta nel medesimo punto, senza spostare
la piastra ogni volta che si cambia la pressione massima raggiungibile; estrapolazione a 10, 102,
103 e 104 cicli;

- cedimento totale pari a 5 mm, dedotto il cedimento iniziale relativo a ciascuna serie;

- 10 ripetizioni di carico per strade a scarso traffico;

- 103 oppure 104 ripetizioni per piste aeroportuali di circolazione o per strade ad intenso traffico.

Il metodo è applicato anche per definire il carico massimo sopportabile da una sovrastruttura
aeroportuale di tipo flessibile (→ cap. 2)

1.6.3 - Studio della portanza in base alla prova C.B.R. (California Bearing Ratio).

Al fine di determinare la portanza del terreno, oltre ai metodi esposti ne sono stati proposti altri:
alcuni basati su concetti esclusivamente teorici, altri su criteri semiempirici. Fra questi ha assunto
particolare importanza il metodo C.B.R., sia per la relativa facilità di esecuzione, sia perché
consente di dimensionare una pavimentazione a mezzo di appositi diagrammi ricavati dalla
esperienza attraverso uno studio statistico del comportamento di numerose pavimentazioni
esistenti.

Il metodo consiste nel sottoporre un campione del terreno (preparato entro una fustella cilindrica)
ad una prova di penetrazione effettuata a mezzo di un apposito pistone o ago di dimensioni
prestabilite (Ø 50 mm - superficie 19,4 cm2) come in Fig. 1.17, ricavando il carico corrispondente a
valori di affondamento di 2.5 e 5.0 mm, come precisato in seguito. Tali carichi vengono
successivamente riferiti ad analoghi altri ottenuti su un terreno prestabilito; il relativo rapporto %
rappresenta l’Indice C.B.R.

28
Fig. 1.17 – Dispositivo per la determinazione dell’Indice CBR (Controls).

Poiché si tratta di una prova convenzionale occorre rispettare le modalità d’esecuzione; molta
attenzione altresì va posta nella preparazione dei campioni affinché vengano riprodotte le
condizioni in cui potrà venirsi a trovare il terreno, e ciò non è sempre facile, specialmente per
quanto riguarda le condizioni di densità e di umidità; a questo proposito, al fine di operare a favore
della sicurezza, in particolare se si tratta di esaminare terreni di trincea che costituiscono il piano di
posa della soprastruttura e che possono essere parzialmente o totalmente imbibiti d'acqua, è
consigliabile sottoporre a prova il campione, preventivamente compattato all'umidità ottima, in
condizione dì saturazione. Questo si ottiene in laboratorio immergendo in acqua il campione, già
preparato e caricato con un certo numero di pesi costituiti da anelli in piombo (rappresentanti il
peso della soprastante pavimentazione) per 4 giorni, ritenendo tale durata sufficiente a che la terra
sia completamente satura d'acqua. Sotto tali condizioni è opportuno rilevare anche il rigonfiamento
del campione medesimo, durante e alla fine dell’imbibizione in acqua, a mezzo di un comparatore
elettronico.

La preparazione dei provini deve essere eseguita in modo opportuno secondo la particolare
condizione del sottofondo su cui si dovrà poggiare la pavimentazione. Nel caso di rilevato, quasi
sempre, il provino viene approntato alla umidità ottimale, onde conseguire la densità massima (del
secco) di costipamento. La ricerca dell'indice si esegue su tale provino ed, eventualmente, su altro,
preparato in modo analogo, e poi portato a saturazione.

Per i terreni di sottofondo di trincea, è opportuno operare con uno dei seguenti criteri:

- su provini indisturbati, prelevati servendosi di attrezzature idonee;

29
- con provini ricostituiti in laboratorio aventi medesima densità e umidità del terreno
dell'ammasso;

con provini ricostituiti in laboratorio all’umidità ottima di costipamento (AASHTO T193, EN 13286-
47, CNR UNI 10009), a condizione che in situ si raggiungano la medesime condizioni di densità
mediante idonea compattazione del sottofondo. Con quest'ultimo criterio la prova si può effettuare
a saturazione. In ogni caso occorre ricorrere alla prova a saturazione qualora si tema che il terreno
in sito possa trovarsi in particolari condizioni d’imbibizione (ad es., causa risalita d’acqua per
capillarità).

Per i provini da confezionare in laboratorio si utilizza la frazione del terreno passante al crivello da
25 mm sempre che la frazione trattenuta non superi il 35% in peso del totale.

Il terreno, così vagliato e umidificato alla % d'acqua prescelta secondo i criteri esposti, viene posto
entro un apposito contenitore di forma cilindrica (Ø 152 mm, altezza 178 mm) provvisto di una
base perforata e di una prolunga cilindrica, entrambi amovibili. Sul fondo del cilindro si pone un
disco spaziatore, d’acciaio, dello spessore di 51 mm; quindi il terreno va compattato entro il
suddetto contenitore in cinque strati per mezzo di un pestello del diametro di 50,8 rum e del peso
di 4,5 kg, che si fa cadere da un'altezza di 45,7 cm. Di norma il costipamento si esegue applicando
55 colpi per strato (energia di costipamento uguale a quella della prova standard AASHTO).
Terminato il costipamento si toglie la prolunga e si taglia la parte di terra in esubero; in queste
condizioni il provino cilindrico presenta un'altezza di mm 127. Prima di eseguire il costipamento del
primo e dell'ultimo strato si prelevano piccole quantità di terra sulle quali si misura il contenuto
d'acqua. Si determina, inoltre, il peso del campione costipato dal quale si sottrae il peso noto del
contenitore cilindrico e dell'acqua, cosi da ricavare, molto agevolmente, la densità secca.

Fig. 1.18 – Dispositivo per la misura del rigonfiamento prima di una prova CBR a saturazione.

Infine, si dispone una base perforata nella parte superiore (interponendo un foglio di carta da filtro),
si rivolta il campione e si rimuove il disco spaziatore; perciò la superficie che durante la
preparazione era in basso diventa quella su cui si dovrà eseguire la penetrazione; in tal modo il
provino è pronto per la prova.

Se si ricerca l'indice a saturazione occorre lasciare il campione, così preparato, immerso in acqua
per quattro giorni, come avanti specificato. Si ricorda che prima della prova si pongono sulla
superficie del campione dei dischi di piombo forati, in modo da permettere il passaggio del pistone.
Per la prova si fa penetrare verticalmente sulla superficie del campione il pistone con velocità
costante (1 mm ogni 50 s) e s’effettuano le letture al display nel momento in cui si verificano i
successivi affondamenti (0.5 – 1.0 – 1.5 – 2.0 – 2.5 – 3.0 – 4.0 – 5.0 – 6.0 – 7.0 – 8.0 mm). Si
traccia, così, un diagramma come in Fig. 1.19 rilevando i valori dei carichi unitari sul pistone in
corrispondenza degli affondamenti di 2.5 e 5.0 mm. Si riferiscono poi detti carichi a quelli che, per i
30
medesimi affondamenti, sono stati trovati per il terreno campione e precisamente 70 kg/cm2 per
l'affondamento di 2.5 mm e 105 kg/cm2 per 5.0 mm.

Fig. 1.19 – Curve pressioni-affondamenti ottenute con prove CBR per 2 diversi terreni; per il terreno B si è applicata la
relativa correzione.

Per detto terreno l’Indice CBR risulta:

- a 2.5 mm I2.5 = (p2.5 100/70)

- a 5.0 mm I5.0 = (p5.0 100/105)

assumendo come valore Indice del terreno il maggiore dei due purché non differiscano molto fra
loro; in caso contrario si rivela consigliabile ripetere la prova.

Qualora la curva affondamenti-pressioni dovesse presentare all'inizio un flesso, si provvede alla


correzione della medesima (Fig. 1.19, curva B) spostando l'origine delle letture da 0 in 0'; leggendo
in tal caso il carico unitario relativo all'affondamento di 2.5 mm in corrispondenza di M' e non di M;
il valore dell'Indice così ottenuto si definisce Indice C.B.R. corretto.

Per rendere manifesto il comportamento del terreno sotto l'azione del pistone e comprendere,
quindi, il significato della prevista correzione, è necessario a questo punto esaminare più
attentamente il fenomeno.

L'andamento della curva pressioni-affondamenti è determinata da due diverse cause:

- compressibilità del terreno: l'ago si abbassa senza che si verifichino rifluimenti laterali ma per
semplice addensamento dei granuli;

- plasticizzazione: i cedimenti sono dovuti a rifluimento laterale essendo stato superato il carico
critico.

Nel primo caso la curva pressioni-affondamenti presenta il classico andamento di una prova
edometrica (ad espansione laterale impedita, Fig. 1.20a), mentre nell'altro mostra, all'inizio, un
breve tratto rettilineo (comportamento elastico) cui segue un secondo curvilineo (comportamento
plastico).
31
Fig. 1.20 - Andamento delle curve pressioni-affondamenti (prova CBR) in 2 terreni: a) terreno granulare; 6) terreno limo-
argilloso plastico.

Operativamente i 2 fenomeni si presentano in contemporanea, per quanto con diversa entità


determinandosi, eventualmente, in maggior misura il primo all'inizio ed insorgendo, poi, il secondo.
Il diverso andamento della curva degli affondamenti è da imputare alla maggiore o minore
attitudine del terreno alla compressibilità istantanea ed al valore dell'attrito interno. Curve del tipo a
si osservano nei materiali granulari mentre quelle del tipo b si riscontrano nei terreni fini.

Nei terreni granulari si osserva, dapprima, un certo addensamento (concavità della curva verso
l'asse delle pressioni) cui segue un andamento quasi rettilineo fino al raggiungimento della fase
plastica con elevati valori di pressione.

La plasticizzazione, viceversa, prende avvio per valori modesti dell'affondamento nei terreni fini (in
particolare se la prova viene eseguita dopo saturazione) a motivo della loro bassa attitudine
all'addensamento e per il minimo valore dell'attrito interno.

La determinazione del C.B.R. può eseguirsi anche sul terreno in sito servendosi di un'apposita
apparecchiatura detta C.B.R. di campagna. Tali valori sono generalmente inferiori a quelli ottenuti,
per il medesimo terreno, in prove di laboratorio; le variazioni sono da attribuire, oltre alla possibilità
che le caratteristiche del terreno in sito siano diverse da quelle del materiale usato in laboratorio ed
alla particolare modalità d’addensamento, soprattutto all'effetto di contenimento delle pareti della
fustella che si determina nella prova di laboratorio: le differenze più elevate, infatti, si osservano
quando si opera su terreni incoerenti o con scarsa coesione.

E’ ancora da notare che l'Indice C.B.R. di laboratorio, a parità di energia di costipamento, dipende
dal tenore d’acqua usato nella preparazione del campione; ciò anche quando si operi dopo
saturazione.

La legge di variazione dell'indice C.B.R. col contenuto d’acqua viene espressa graficamente da
una curva a campana (presentante un massimo per un determinato w) del tutto analoga a quella
del costipamento cui s’è accennato (Fig. 1.21).

Il valore massimo di densità del secco ed il valore massimo dell'indice C.B.R. non si rilevano, di
norma, in corrispondenza del medesimo contenuto d’acqua, e possono discostarsi molto.

La conoscenza, per un determinato terreno, delle leggi che indicano la variazione dei valori
dell'indice C.B.R. (mantenendo costante l'energia di costipamento) e del peso secco di volume γs
col contenuto d'acqua w permette di determinare il valore dell'indice da attribuire per dato valore
della densità riscontrata in sito nelle condizioni di saturazione e non saturazione.

32
È interessante notare, infine, che la prova C.B.R. oltre a fornire un dato sulla capacità portante del
terreno, può dare un'idea sulle sue caratteristiche meccaniche, motivo per cui, insieme alle altre
prove, può servire ad una più completa conoscenza delle relative proprietà.

Qualora non fosse possibile eseguire la prova C.B.R., Peltier pone di calcolare il valore
approssimato col cosiddetto Fattore di portanza (F), ricavato dal limite di liquidità LL e dall'indice di
plasticità IP della terra mediante la relazione:

F = 4500/LL IP ≈ I

indicato con I l’Indice C.B.R.

La relazione è valida per i terreni plastici perdendo di significato per IP = 0.

Fig .1.21 - Raffronto fra i valori dell'Indice C.B.R. e quelli del peso specifico del secco al variare del contenuto di acqua e
dell'energia di costipamento. In entrambi i casi l'aumento dell'energia di costipamento determina un innalzamento dei
valori i cui massimi corrispondenti sì discostano fra loro.

33
Per i terreni non plastici (ad es. sabbie) Peltier consiglia di assumere F = 20. Questi valori di F
devono risultare vicini al corrispondente indice C.B.R.; in mancanza di questo possono servire ad
usare i diagrammi con i quali si calcola lo spessore delle pavimentazioni in base al C.B.R..

34
1.7 - Modulo di reazione e di compressibilità

Stabilito, come si è visto, il valore di portanza di un terreno come pressione corrispondente ad un


prestabilito cedimento, rimane definito anche il modulo dì reazione K, rapporto fra la sopraddetta
pressione p ed il relativo cedimento f:

K = p/f

se p è misurato in kg/cm2 ed f in cm, K risulta espresso in kg/cm3; quanto più elevato è il valore di
K, tanto migliori sono da ritenersi le proprietà portanti del terreno.

Westergaard, per il calcolo delle pavimentazioni rigide (in calcestruzzo) ha definito


convenientemente un modulo K (detto appunto modulo di Westergaard) quale rapporto fra la
pressione che, in una prova a ciclo semplice, con piastra circolare Ø 76 cm, fornisce un
abbassamento di 0,05" e il cedimento stesso.

Misurando la pressione p in libbre per pollice quadrato (lb/sq inch) ed il cedimento in pollici (inch)
risulta:

K = p/1/20 = 20 p

Quindi, si ha K = 100 se la pressione di 5 libbre per pollice quadrato determina il cedimento di 0,05
pollici alla piastra rigida da 76 cm di diametro. Usando le unità di misura metriche si ottiene:

K = p/0.125 = 8p (kg/cm3)

per cui K = 10 si ha allorché, applicando alla piastra una pressione di 1.250 kg/cm2, il cedimento
risulta pari a 0.125cm.

Orientativamente, terreni granulari del tipo A1 ed A3 forniscono valori di K compresi entro 9÷20
kg/cm3, terreni A2 valori entro 5÷15, mentre per terreni A4 , A5, A6 ed A7 i valori di K sono molto
inferiori (K = 1.5÷6 kg/cm3) e variabili in relazione alle condizioni dell'ammasso.

Al fine di normalizzare una prova sufficientemente semplice da utilizzare per stabilire un parametro
per l'accettazione di determinate strutture in terra, l'Association Suisse de Normalization ha
studiato un criterio di portanza basato su una prova a ciclo unico.

Tale prova viene ottenuta con una piastra da 16 o 30 cm di diametro (per i terreni di sottofondo la
prima, per gli strati della soprastruttura la seconda) e consistente nel rilevare la curva pressioni-
cedimenti.

Si definisce, così, modulo di compressibilità (Me) il rapporto fra un certo intervallo di pressione
Δp (variabile in relazione alla struttura in esame) ed il relativo intervallo di freccia Δf, moltiplicato
per il diametro d della piastra (Fig. 1.22):

Me = dΔp/Δf (kg/cm2)

Assumendo Δf = 1, il campo di variabilità può scegliersi entro i seguenti limiti:

- 1.5÷2.5 kg/cm2 per terreni di sottofondo;

- 2.5÷3.5 kg/cm2 per terreni di fondazione;

- 3.5÷4.5 kg/cm2 per strati di base.


35
Valori accettabili del modulo si ritengono:

- per strati di base Me ≥ 1000 kg/cm2;

- per strati di fondazione Me ≥ 800 kg/cm2;

- per terreni di sottofondo Me ≥ 150÷300 kg/cm2.

Fig. 1.22 - Diagramma pressioni- cedimenti per la determinazione del modulo di compressibilità.

36
1.8 - Distribuzione dei carichi nell'ammasso

Ogni qual volta si ricerca la portanza di un ammasso in relazione a determinati carichi è opportuno
tener presente il modo con cui le tensioni indotte da detti carichi si distribuiscono nel terreno. Tali
studi, in merito ai quali si sono sviluppate numerose teorie, prendono le mosse dalla estensione
della Teoria dell’elasticità ai problemi geotecnici. Questa teoria, come è noto, è applicabile ai corpi
elastici, isotropi ed omogenei. In particolare le ipotesi di partenza riguardano:

- la continuità dell'ammasso considerato;

- la piccolezza delle componenti dello spostamento, cosi da ritenere trascurabili i loro prodotti e
le loro potenze;

- la perfetta elasticità del corpo, in modo da considerare ammissibile la proporzionalità fra


tensioni e deformazioni (legge di Hooke) ed un unico valore del modulo di elasticità a trazione ed a
compressione;

- omogeneità ed isotropia in tutte le direzioni.

Boussinesq considera ancora il terreno incompressibile (coefficiente di Poisson μ = 0,5) e,


supponendo che l'ammasso sia rappresentato da un semispazio elastico, isotropo ed omogeneo
delimitato da un piano orizzontale, fornisce le tensioni interne all'ammasso medesimo dovute ad
un carico P verticale, concentrato, agente sul detto piano limite (Fig. 1.23).

Fig. 1.23 – Tensioni interne ad un ammasso rappresentato da un semispazio elastico, omogeneo ed isotropo generato
da un carico P verticale.

In particolare la tensione radiale σr risulta data da:

mentre la tensione verticale agente su un elementino orizzontale (x,y,z) è data da:

37
e la tensione orizzontale è data dalla:

Se l'elementino si considera normalmente alla verticale del carico alla profondità z (ossia per z = r
e cos υ = 1, si ha:

Frölich perviene ad una relazione più generale, funzione di un parametro n, che deve essere di
volta in volta determinato in relazione alle caratteristiche meccaniche del terreno che si considera.
La tensione radiale è fornita dalla espressione:

quella verticale da:

e quella orizzontale:

Le espressioni iniziali, per μ = 0.5, ossia le ultime, una volta fissato il valore di n, permettono di
ricavare le 3 tensioni, radiale, verticale ed orizzontale, in ogni punto dell'ammasso.

Nella Fig. 1.24 viene riportata la distribuzione delle tensioni verticali σv in un piano z = cost, per n
= 3, 4 e 6; nelle Figg. 1.25 e 1.26, viceversa, è rappresentata la tensione σv in punti x2 + y2 = cost
e la σ0 su un piano z = cost, rispettivamente.

E’ inoltre possibile determinare le isobare per un dato n (Fig. 1.27); in Fig. 1.28, invece, sono
indicate le isobare relative ad una medesima profondità z al variare del parametro n.

38
Fig. 1.24 - Andamento delle tensioni a in un ammasso, su un piano z = cost, per diversi valori di n (Frölich).

Fig. 1.25 - Variazione della tensione σv per i punti x = cost.

Fig. 1.26 – Variazioni della tensione orizzontale σ0 nel piano z = cost.

39
Fig. 1.27 – Determinazione delle isobare per un dato n.

Fig. 1.28 – Determinazione delle isobare al variare della profondità per un dato n.

Dalle esposte relazioni relative allo stato tensionale nell'ammasso per il carico P verticale
concentrato, posto sul piano limite, sono ricavabili quelle corrispondenti a condizioni di carico più
complesse applicando il principio della sovrapposizione degli effetti.

Così per il carico di intensità p, uniformemente distribuito, lungo una linea di lunghezza l, si ricava
la tensione verticale (Fig. 1.29):

La tensione σv su un piano, alla stessa profondità z, ma spostato di nella direzione y, può ricavarsi
considerando dapprima la tensione per un carico lineare di lunghezza (l+y1) e togliendo dal valore
così ottenuto quello della tensione relativa al carico lineare di lunghezza y1.

40
Fig. 1.29 – Determinazione della tensione verticale.

Per le considerazioni svolte sul calcolo delle pavimentazioni è interessante determinare la tensione
verticale entro un ammasso nel caso di carico sulla superficie limite costituito da un carico
uniformemente ripartito p su una superficie circolare di raggio a (Fig. 1.30).

Sempre con le ipotesi di partenza, per i punti corrispondenti alla verticale passante per il centro
della detta superficie circolare, si ha:

essendo β un coefficiente funzione del rapporto a/z (Tab. 1.4).

La tensione orizzontale, alla profondità z, invece, è data da:

Tab. 1.4 - Valori di β in funzione di a/z (carico uniformemente distribuito su un'area circolare).

II massimo sforzo di taglio, poiché σv e σ0 le tensioni principali, è:

41
τmax = (σv – σ0)/2

Nel caso di piastra rigida di raggio a, detto E il modulo di elasticità del terreno, Boussinesq ha
calcolato il cedimento f al centro della piastra:

L’ultima espressione, per μ = 0.5 vale, semplicemente:

f = 1.19 pa/E

II modulo E può venire ricavato, quindi, da una prova con piastra, in base alla conoscenza del
cedimento f, una volta fissati p ed a:

E = 1.19 pa/E

Non sempre, tuttavia, l'ammasso può supporsi vicino alle condizioni di elasticità, isotropia ed
omogeneità motivo per cui l'interpretazione del modulo E con la relazione va usata con opportune
cautele.

Numerose verifiche sperimentali confermano la possibilità di applicare ai terreni le teorie della


distribuzione delle tensioni delle quali si è data una sintetica esposizione; fra queste si ricordano le
esperienze di Kögler & Scheidig, ottenute operando su terreni sabbiosi con carico trasmesso
all'ammasso da un disco rigido del diametro di 45 cm. La distribuzione delle pressioni alle varie
profondità è simile a quella riportata in Fig. 1.30.

Fig. 1.30 - Distribuzione delle pressioni a varie profondità (esperienze di Kögler & Scheidig).

42
1.9 - La preparazione del sottofondo

Si è già definito come sottofondo il terreno naturale sul quale poggia il rilevato o, in assenza di
questo, il pavimento o sovrastruttura.

Il trattamento del sottofondo per renderlo idoneo a sopportare i carichi previsti varia con la natura e
lo spessore del sovrastante rilevato:

- se si tratta di massicciata stradale (la cui larghezza ben raramente supera quella della
sovrastruttura prevista) e il rilevato non supera i 60 cm d’altezza, la si scarifica, omogeneizzando
l'intera superficie interessata compattando poi secondo norma. Nel caso la sovrastruttura poggi
direttamente su questa e la portanza sia sufficiente possono bastare ripristini di quota con rappezzi
in conglomerato bituminoso economico;

- qualora fosse prevista la costruzione del pavimento direttamente su un letto roccioso, questo va
preventivamente scarificato (se la roccia è da mina i fori vanno spinti per 20÷25 cm oltre il piano di
scavo previsto usando poi un rullo a griglia per sminuzzare i detriti) e quindi costipato; l'operazione
è necessaria per regolarizzare la superficie e portarla alla quota prevista prima di ricevere il primo
strato del pavimento;

- per le terre in generale, comunque, è necessario individuarne prima la natura meccanica


attraverso le prove di caratterizzazione e costipamento, la granulometria, i Limiti di Atterberg, il
tenore di umidità naturale, la prova edometrica nel caso di terre argillose, la prova Proctor std o
modificata e, nel caso di sospetta compressibilità accentuata, le prove penetrometriche; ancora, si
richiede a volte la determinazione della capacità portante espressa dal modulo di deformazione Md
(ricavato con prove di carico applicando la piastra da 30 cm e calcolato al primo ciclo di carico
nell'intervallo compreso tra gli incrementi di carico fra 0.5 ed 1.5 kg/cm2); questa prova, tuttavia,
assume carattere di controllo sul piano di posa già trattato mentre il modulo Md deve risultare >
150 kg/cm2 per rilevati con h < 4 m.

Tab. 1.5 – Portanza media dei materiali naturali in kg/m2.

Il terreno vergine, se appartenente ai gruppi A1, A2, A3 di cui alla Tab. 1.6, sia nella sezione in
scavo che al piano di campagna (previa asportazione eventuale della coltre di terra vegetale) deve
43
essere scarificato per uno spessore di 30 cm, portato all'umidità ottimale e compattato al 90÷95 %
della densità ottenuta con la prova Proctor.

Se appartenente agli altri gruppi può, a seconda del gruppo, essere migliorato con la
stabilizzazione, con i metodi descritti nel vol. 2° oppure deve essere sostituito. Come pratica
indicativa ci si deve preoccupare che il materiale di sottofondo abbia un OMC (ottimale di umidità
per la compattazione) < LR (limite del ritiro).

Si rivela altresì molto utile, in ambiente umido, conferire al piano di posa una pendenza del 3-4 %
al dine d’evitare pericolosi ristagni di acque che porterebbero ad aumentare lo spessore della
sovrastruttura ai bordo dove più sono sentiti gli effetti del traffico.

La resistenza di un sottofondo, può cambiare durante la vita della strada; molto frequentemente,
infatti, si verifica una riduzione di tale resistenza detta regressione del subgrade (o del
sottofondo) e nel progetto della struttura si deve tener conto di tale eventualità. Le forme attraverso
le quali tale cambiamento si esplica sono:

- assestamento del materiale per espulsione dell'aria e conseguente riduzione di volume;

- cedimenti più o meno localizzati per l'esistenza di strati poveri (torbe, argille plastiche etc.);

- rigonfiamenti delle superfici in sterro per la diminuita pressione a seguito della rimozione del
materiale sovrastante;

- assestamenti stagionali dovuti a modifiche del contenuto di umidità;

- cedimenti per instabilità delle scarpate.

44
Tab. 1.6 – Classificazione delle Terre (UNI CNR 1006).

45
Tab. 1.7 - Misure da prendersi in presenza di sottofondi poveri.

Calcolati gli sforzi cui il terreno di sottofondo è sottoposto per effetto dei carichi statici (rilevato e
sovrastruttura) e dinamici (traffico), adottando le procedure illustrate e sulla base delle prove di
controllo accennate, la non idoneità momentanea o per futura regressione può essere superata
ricorrendo ad una o più delle seguenti procedure:

- col costipamento meccanico, ottenuto eventualmente anche con l’infissione di pali (molto efficaci
se la falda è bassa);

- con la stabilizzazione meccanica o chimica riservata sopratutto alle terre argillose e limose
oppure quando il rilevato sovrastante è limitato ai 2÷3 m di altezza;

- con formazione di drenaggi trasversali intervallati di 4÷6 m riempiti di materiale granulare oppure
di strati drenanti di sabbia per evitare la saturazione del sottofondo facilitando lo scolamento delle
acque;
46
- con altre forme di drenaggio quali cunette, fossi di guardia, pozzi etc. intese ad abbassare il
livello della falda;

- con la impermeabilizzazione o l'interposizione di strati fibrosi tra il sottofondo e la sovrastruttura


o tra il sottofondo trattato e quello sottostante;

- col rafforzamento indiretto interponendo una sottobase più o meno consistente in appoggio agli
strati di base;

- prevenendo fenomeni erosivi, frane e cedimenti;

- mediante la tecnica del sovraccarico e dei pali di sabbia;

- limitando, viceversa, l'altezza del rilevato;

- rimuovendo per la profondità necessaria il materiale scadente per sostituirlo con altro idoneo.

1.9.1 - Impermeabilizzazione del piano d’appoggio del rilevato o della sottobase e impiego
di strati fibrosi

L’interposizione di fogli di plastica o di uno strato di materiale bituminoso che impedisca la risalita
delle acque del sottosuolo viene trattata in L’interposizione di uno strato fibroso, utilizzando
fascine di legna, graspe d'uva, erbe di palude e simili quando siano disponibili in quantità ed a
basso prezzo è una tecnica economica che si avvale della proprietà delle fibre legnose di
conservarsi a lungo se tenute lontane dall'aria e quindi dai batteri aerobi che ne provocano la
decomposizione. Lo scopo è di proteggere il sovrastante rilevato dalla risalita dell'umidità ed è
applicabile sopratutto su fondazioni sabbiose; i risultati sono proporzionati all’economia del
sistema.

Più moderni ed efficaci risultano i feltri di materiale polimerico (ad es. polipropilene) le cui fibre
vengono fuse tra loro termicamente senza perdere le caratteristiche che conferiscono al tessuto
notevole resistenza allo strappo, agli agenti chimici, sia allo stato secco che bagnato, e notevoli
proprietà filtranti.

Si distinguono i seguenti tipi:

- a filamenti fini orientali senza ordine e saldati ai loro punti di contatto;

- idem incollati a caldo o mediante un legante;

- tessuti.

Le differenti utilizzazioni possibili riguardano:

- qualora sottoposti ad uno strato di terra aumentano notevolmente la portanza di una pista o di un
qualsiasi altro percorso consentendo il transito di veicoli di cantiere che altrimenti
sprofonderebbero.

- qualora posti tra sottofondo e rilevato o sottofondo e pavimento:

- consentono una notevole riduzione del rilevato (quando lo scopo sia il rafforzamento della
portanza del sottofondo) con una funzione analoga a quella del ferro nel cemento armato;

47
- evitano l'inquinamento degli strati portanti da parte del materiale povero sottostante e
l'affondamento, per effetto dell'azione dinamica e ripetitiva del traffico, del materiale granulare con
conseguente deperimento della struttura;

- agiscono quali strati drenanti o alternativamente impermeabili a seconda del tipo scelto quando
appunto si voglia facilitare il flusso dell'acqua trattenendo il solido oppure impedire gli effetti
deleteri dell'umidità.

- qualora interposti tra strati del rilevato ne aumentano la portanza e la resistenza alle frane e
consentono di aumentare l'inclinazione della scarpata.

- qualora stesi sulle scarpate evitano la loro erosione e facilitano l'attecchimento della cotica
erbosa.

- qualora interposti tra tappeti bituminosi ne aumentano notevolmente la portata; risulta molto
efficace la loro interposizione tra un vecchio tappeto fessurato ed un nuovo manto bituminoso
utilizzando però poliesteri con temperatura di fusione > 256°C.

In ogni caso, in presenza di terre molto povere e con falda freatica alta possono costituire una
economica alternativa ai pali.

Fig. 1.31 – Utilizzazione come sottobase di una terra limo-argillosa in regioni piovose.

48
1.9.2 - Assestamento del sottofondo con drenaggi - Pali di sabbia

II progressivo assestamento di un terreno è dovuto in parte alla compressione elastica


conseguente al peso del rilevato e sopratutto alla consolidazione per effetto della riduzione dei
vuoti ed è più accentuato quando si tratta di terre compressibili sature.

Di conseguenza maggiore risulta l'altezza del rilevato e più alto si rivela il valore dell'assestamento.
La tecnica dell'assestamento accelerato mediante sovraccarico è applicabile vantaggiosamente
quando il sottofondo povero è difficile da rimuovere anche se, ad es., i depositi torbosi delle
paludi, adatti all'applicazione di tale tecnica, sovente non si assestano in modo uniforme.

Ancora, si può applicare il sovraccarico sui rilevati aggiungendo ulteriore materiale di riporto (da
rimuovere, poi, almeno dopo 1 anno) sopratutto nei tratti a ridosso delle spalle dei ponti dove altri
sistemi, quali la compattazione, si rivelano di costosa applicazione.

Si può ridurre a tempi brevi l'assestamento di un terreno compressibile saturo ricorrendo a


drenaggi verticali di sabbia spinti fino a raggiungere lo strato solido sottostante sempre che a
profondità accessibile.

Coi drenaggi di sabbia si alleggerisce la pressione idrodinamica che si sviluppa


proporzionalmente al crescere dello spessore del rilevato: l’acqua, che affluisce anche dal terreno
circostante, tende a portarsi in superficie per effetto del sovraccarico e attraverso il filtro costituito
dalla sabbia; drenaggi trasversali o strati filtranti posti sulle colonne di sabbia portano in seguito
l'acqua fuori dell'area interessata.

Il procedimento costruttivo dei drenaggi verticali è schematizzato in Fig. 1.32.

Le colonne vengono normalmente spaziate a 2÷4 metri il loro diametro usuale è di 30-80 cm anche
se in certi casi si arriva a diametri di alcuni metri.

La perforazione del terreno può essere effettuata o con tubi ad acqua ed aria compressa oppure
con pali cavi a punta staccabile od apribile; raggiunto lo strato solido il tubo è riempito di sabbia e
quindi estratto.

Fig. 1.32 - Le successive fasi di costruzione dei drenaggi di sabbia verticali.


49
Ad evitare interruzioni della colonna di sabbia si inietta aria compressa dalla testata man mano che
il tubo è sollevato col duplice scopo di facilitarne l'estrazione e di spingere la sabbia verso il fondo
dove i vuoti sarebbero altrimenti riempiti dalla fanghiglia.

Recenti esperienze hanno convalidato un metodo di consolidamento delle terre argillose deboli
consistente nella perforazione fino a 5 m. sotto il piano campagna con tecnica analoga alla
precedente sostituendo poi alla colonna di sabbia uno stoppino di tessuto poliestere resistente al
gelo ed agli agenti chimici e che, essendo costituito per 20% da materia solida col restante 80% da
aria) è dotato di elevata capillarità.

Disponendo i fori secondo un reticolo di 2 m di lato è possibile ottenere un consolidamento del


suolo fino all'80% del totale entro i primi mesi dalla costruzione del sovrastante rilevato. Un terzo
metodo, impiegato in alcuni paesi del nord-Europa, consiste nell'iniettare, man mano che il tubo
infisso nel terreno argilloso viene ritirato, della calce viva (in quantità 6-9% del peso secco del
terreno cui viene mescolata) all'argilla per effetto della rotazione del tubo (75 giri/60”) durante
l'estrazione: con Ø di 50 cm si possono realizzare ~300 m di colonne in 8 ore.

Fig. 1.33 – Ricostruzione schematica dei drenaggi verticali di sabbia e curve di consolidamento senza drenaggi.

1.9.4 - La tecnica dell'addensamento mediante compattazione dinamica in profondità

La tecnica dell’addensamento per compattazione dinamica profonda può sostituire in alcuni casi i
pali con notevole risparmio e, oltre ad aumentare la capacità portante del terreno, accelerarne
l'assestamento (effetto importante in caso di previsione di costruzione di strutture pesanti,
installazione di macchinari etc.) migliorandone anche il comportamento dinamico (zone sismiche) e
riducendone la permeabilità.

50
Fig. 1.34 - Compattazione dinamica di profondità (metodo per impatto).

I materiali trattabili con successo sono quelli granulari allo stato naturale sciolto, le terre cedevoli in
genere, i rilevati non coesivi includenti anche rottami, strati poggianti su formazioni di calcare (che
tende a disgregarli) ed anche alcune terre coesive.

Le 2 tecniche usate, per vibrazione o per impatto, sono efficaci anche fino a 30 m di profondità.

- nel primo caso, si utilizzano vibratori a poker cioè aste pesanti di acciaio munite di alette lunghe
da 2 a 5 m portate da una gru laddove un motore ausiliario, posto dietro al braccio di questa,
fornisce l'energia ad un vibratore elettrico o idraulico applicato all'asta. II livello del terreno che si
abbassa per effetto dell'addensamento viene continuamente ripristinato con sabbia. L'operazione
può essere condotta per strati partendo da quello inferiore e passando al successivo una volta
raggiunta la densità voluta da accertare mediante SPT. La densità dei centri di compattazione è
dettata dalle esigenze del caso: in presenza di sabbie permeabili le alette delle aste sono più
spaziate e più piccole mentre il processo di vibrazione è svolto velocemente per evitare il
bloccaggio dell'apparato nel terreno; viceversa, se la sabbia è fine, le alette sono più larghe e più
fitte. Nelle terre coesive (limi e argille) dove la vibrazione ha poco effetto pur usando lo stesso
macchinario, s’introduce della ghiaia nel foro aperto dal vibratore che viene costipata
successivamente. L’intervallo delle colonne di ghiaia è previsto entro 1.2÷3.0 m mentre la portata
di ognuna è tra 10÷40 t. La quantità di ghiaia introdotta è un indice dell'efficacia del trattamento.

- il metodo per impatto (Fig. 1.34) consiste nel far cadere un peso (fino a 40 t ) da grande altezza
(fino a 40 m) risultando anch'esso è efficace per terre granulari o depositi artificiali di materiale;
con tale tecnica, maggiore è lo spessore dello strato da compattare, più elevati sono il peso e
l'altezza di caduta. Dopo ogni passata il terreno è livellato con una ruspa che riempie così i vuoti
prodotti dai successivi impatti. I controlli della densità vengono eseguiti tramite Pressiometri, prove
CPT oppure a mezzo di rilevamenti topografici che consentano di misurare la diminuzione
dell'altezza del corpo terroso e quindi del suo volume.

51
1.9.5 - La stabilizzazione con Pali di sale

Alcune argille di particolare natura (e in particolari condizioni ambientali) non sono in grado di
sopportare una struttura stradale che, stimolata dalle vibrazioni causate dal traffico, tende a
sprofondare mentre eventuali ricarichi d’inerti hanno solo effetto temporaneo.

Si tratta di argille che, oltre ad una componente notevole d’inerte molto fine, contengono anche
minerali detti sialliti (caolinite, illite, vermiculite, clorite. montmorillonite) i quali, in presenza
d’acqua, conferiscono alla massa argillosa comportamenti diversi, a volte contrastanti, quali il
rigonfiamento oppure il collasso anche improvviso, motivo per cui il sovraccarico, ossia il corpo
stradale, all’accentuarsi dei fenomeni, viene inghiottito come si trattasse di sabbie mobili.

Tuttavia, se in queste argille ed anche in certi limi argillosi si diffondono particolari sali, la loro
microtessitura, responsabile di tale comportamento, muta radicalmente aumentando notevolmente
la coesione in modo irreversibile.

Il sale che, sotto vari profili, risulta più idoneo per questo mutamento è il KCl (cloruro di potassio)
che deve essere diffuso abbastanza velocemente ed omogeneamente nel terreno fino alla
profondità desiderata.

Le operazioni hanno inizio con sondaggi a carotaggio continuo fino a profondità max di 10÷15 m e
comunque fino all'eventuale strato portante (quasi sempre sabbioso) per sottoporre poi i campioni
alle analisi (soprattutto al diffrattometro a raggi x ) che individuano il tipo di argilla.

Si tratta, quindi, di infiggere dei pali di KCl (Ø 100÷150 mm) secondo un reticolo a maglie quadre di
1.0÷1.3 m di lato, che raggiungano lo strato portante. Il trattamento viene esteso a 2 strisce
parallele alla piattaforma stradale, larghe 3 m ognuna, allo scopo di ottenere un blocco omogeneo
ed isotopo che, se dello spessore di 8÷10 m, sarà in grado di sopportare qualsiasi carico statico e
dinamico. L'esecuzione del palo di sale può avvenire:

- mediante perforazione elicoidale, ossia un intervento rapido, non richiedente attrezzatura


pesante; è tuttavia sconsigliabile nel caso di strade esistenti quando, cioè, si deve anche
attraversare la massicciata stradale oppure si teme la chiusura del foro in profondità per la
presenza di limi o argille sature;

- mediante perforazione con circolazione d'acqua e messa in opera di una colonna provvisoria di
rivestimento; la tecnica è efficace ma lenta e costosa ed inoltre come nel primo caso, usualmente
si estrae materiale in misura superiore al volume del foro eseguito con conseguente diminuzione
della densità dello strato;

- mediante camicia provvisoria per vibro-infissione utilizzando un vibratore da 4 t ed una gru


cingolata; è il metodo che richiede le attrezzature più complesse ma permette l'immissione del sale
attraverso il tubo vibro-infisso senza evacuazione di materiale aumentando, quindi, la densità
essendo il sale costipato dalla vibrazione.

I migliori risultati ottenuti sinora con tale tecnica sono stati individuati su terre poco plastiche e
poco sensitive (s = 2÷4) ed in particolare su limi argillosi ed argille tenere omogenee.

1.9.6 - La sostituzione del materiale inadeguato

E' la soluzione più adottata in presenza di terre organiche miste ad argille e torbe, in zone
paludose e quando la profondità dello strato povero è dell'ordine di qualche metro.

52
La scelta del macchinario di scavo è molto importante; si preferiscono i mezzi cingolati, con scarpe
di tipo largo mentre il peso della macchina deve essere il minimo compatibilmente con la potenza
richiesta. L'escavatore più usato è quello a benna trascinata, dove il largo raggio d'azione del suo
braccio consente di operare a distanza sia per caricare la benna che per depositare il materiale
prelevato nel luogo stabilito senza doppi passaggi.

Per strappare la fitta vegetazione di palude è altrettanto utile la benna mordente (o a stella)
applicata al medesimo braccio dell'escavatore e che può afferrare tronchi, radici, erbe senza
trascinarle verso la piattaforma di operazione; la sua resa però e nettamente inferiore e richiede
maggiore energia meccanica del dragline. L’eccesso d’acqua nel terreno rende comunque lo
scavo poco redditizio sia per effetto del risucchio del liquido sulla benna quando viene sollevata
che per la caduta di materiale dalla medesima per eccessiva fluidità.

La tecnica di scavo varia con la consistenza del terreno da rimuovere: nel caso di materiali troppo
soffici o fangosi che non sopportano il peso della macchina cingolata, si ricorre a zattere in legno o
metalliche che riducono la pressione unitaria; in zone ricche di legname di poco pregio, l'impiego di
tronchi (Ø 10÷25 cm) è spesso il sistema più economico; diversamente si utilizzano piattaforma ad
elementi sganciabili o semplicemente accostati da spostare con l'escavatore stesso che
permettono di operare con sicurezza e rapidità.

Fig. 1. 35 – Tecnica dello scavo in palude.

Un'altra tecnica è illustrata in Fig. 1.35; l'escavatore (1) asporta prima il materiale su una metà
dell'intero scavo previsto per poi spostarsi nell'altra metà (2) mentre il vuoto creato viene di
continuo riempito da una ruspa che vi sospinge il materiale di riporto; il ciclo si ripete avanzando
con l'escavatore in zona (3) mentre la ruspa opera in zona (2) e così via.

Anziché asportare il materiale povero è a volte preferibile spostarlo lateralmente col vantaggio di
una accresciuta densità delle 2 strisce fiancheggianti la piattaforma formata col materiale di riporto.
Allo scopo è possibile effettuare iniezioni d’acqua (jetting) oppure ricorrere all'esplosivo. Il primo
sistema è attuabile in assenza di trovanti o blocchi di argilla compatta e consiste nel fluidificare il
materiale da spostare affondandovi dei tubi d’acciaio Ø 1" (2.5 cm) lungo i quali s’inietta acqua a
pressione (2÷15 kg/cm2).

Le iniezioni sono spaziate tra loro valutando all’inizio, tramite prove, la capacità d’assorbimento
della terra e i tubi vengono introdotti rapidamente fino al fondo e quindi ritirati lentamente mentre
l'acqua è iniettata; una volta raggiunta la necessaria fluidità si avanza col materiale di riporto,
spinto dalla ruspa che, essendo più pesante, prende agevolmente il posto del materiale fluido.

53
Fig. 1.36 – Schema di volata esplosiva per rimozione di materiale non adeguato.

L'esplosivo, viceversa, può essere usato:

- in trincea, in depositi torbosi non più spessi di 5÷6 m: le cariche sono disposte come in Fig. 1.36
ad una distanza pari ad 1/2÷1/3 dello spessore dello strato soffice; quelle centrali vengono esplose
con 1 o 2 s di ritardo rispetto alle laterali. Si richiedono da 0.1 a 1.5 kg di esplosivo per m3 da
spostare (Fig. 1.37);

Fig. 1.37 – Procedimento per cariche successive alla base dell’avanzante rilevato.

- per volate sotto al rilevato, quando lo strato torboso è molto spesso (> 9÷10 m); il consumo di
esplosivo varia tra 0.8÷1.5 kg per ogni 10 m3 di materiale da spostare (Fig. 1.38).

54
Fig. 1.38 – Applicazioni di volate sotto al rilevato.

Fig. 1.39 – Attraversamento di zona paludosa con strato drenante di riporto: (S) sabbia passante al setaccio n. 20 e
trattenuta al setaccio n. 200 ASTM; (C) strato anticapillare di spessore 40 cm e pezzatura entro 2÷50 mm; (M) rilevato:
per h = 4÷5 m → (C+M) = 2÷5 m.

55
1.10 – Miglioramento delle proprietà delle terre per costruzioni stradali

I procedimenti atti a migliorare le caratteristiche delle terre da utilizzabili per costruzioni stradali
sono raggruppabili nelle seguenti attività:

- costipamento (o compattazione);

- stabilizzazione chimica;

- grading o miglioramento della granulometria (stabilizzazione meccanica);

- drenaggio.

1.10.1 - II costipamento

S’intende col termine costipamento l'operazione meccanica con la quale si comprime la terra per
espellerne l'aria e portare così i grani ad intimo contatto nel raggio d'azione delle reciproche forze
d’attrazione molecolare e di attrito; aumenta pertanto la densità e quindi la resistenza del materiale
riducendone la compressibilità e quindi l'assestamento; inoltre si rende più difficile l'infiltrazione
dell' acqua che, come noto, altera le caratteristiche delle terre fini.

Fig. 1.40 – Il meccanismo del costipamento: relazione tra densità e umidità.

Ricordando che per contenuto d’umidità di un terreno s’intende il peso dell'acqua che contiene
rapportato al suo peso secco, quando si compattano in modo identico dei campioni di una stessa
terra a diversi tenori d’acqua, le densità secche ottenute variano: col progressivo aumento
dell'umidità si ottiene prima un aumento e successivamente una diminuzione della densità.

Esiste dunque una % ottimale d’acqua, cui corrisponde la massima densità, usualmente indicata
con la sigla OMC (optimum moisture content). Di conseguenza ogniqualvolta si vuole aumentare la
densità naturale di un terreno si corregge il suo contenuto d'acqua applicando quindi dei costipatori
meccanici.

56
Il terreno di sottofondo (sub-grade), quando la sezione è in riporto, non richiede usualmente il
costipamento in quanto il macchinario da trasporto (scrapers etc.), specie se dirottato di frequente
su percorsi diversi, è sufficiente ad elevare la densità del materiale sopra al minimo richiesto: ciò
vale anche per la parte inferiore del rilevato se questo possiede una buona altezza; fa eccezione lo
strato superiore (~15 cm) della fondazione in taglio che richiede normalmente uno sforzo di
costipamento maggiore.

Alcune terre ricche di micro-organismi che, moltiplicandosi, assorbono grandi quantità d’acqua
eliminabili solo con la loro morte, vanno tuttavia soggette a forti assestamenti così che il
costipamento effettuato con tali mezzi non sempre viene ad offrire risultati validi; è allora
consigliabile, disponendo dell’applicazione, che la medesima venga utilizzata solo alla base di
rilevati di grande altezza.

La presenza di tali micro-organismi è facilmente rilevabile con la prova Proctor effettuando la


medesima prima e dopo l’essiccazione del campione a 130°C comparando i 2 risultati.

Il sub-grade, come detto, raggiunge sovente la densità richiesta grazie al traffico delle macchine
per il movimento terra se il sovrastante rilevato è costruito in strati di 20÷30 cm di spessore ed il
grado di umidità è prossimo all’ottimale.

Si parla quindi di compattazione sopratutto dei rilevati e degli strati componenti il pavimento della
strada, le cui densità richieste devono risultare maggiori man mano che ci si avvicina allo strato di
usura.

1.10.2 - Fattori influenzanti il costipamento

L'aumento della densità di una terra ottenuto meccanicamente dipende, come visto, dal contenuto
di umidità e dall'energia applicata e per un valore fisso di quest'ultima esiste un OMC diverso per
ogni terra (Tab. 1.8) al quale corrisponde la massima densità ottenibile. Analogamente, per un
determinato contenuto d’acqua, è possibile ridurre ulteriormente vuoti d'aria. aumentando lo
sforzo compressivo.

Tab. 1.8 – Normalizzazioni nelle Prove Proctor.

Ogni terra possiede una propria densità secca massima variante tra i 1400÷2100 kg/m3 e l'ottimale
di umidità è, grosso modo, inversamente proporzionale alla densità; in altre parole, i materiali
stradali di buona qualità quali le ghiaie, le sabbie, i prodotti di frantoio, con densità max > 2000
kg/m3 richiedono un OMC del 5-8% mentre le argille richiedono % d’acqua molto superiori
(12÷16% e fino al 28%).

1.10.3 - Misura del costipamento delle terre

La misura della compattezza ottenibile in una terra la si può conoscere attraverso prove standard
con le quali un campione viene compresso entro un determinato volume con uno sforzo

57
compressivo fisso ed aumentando gradualmente la % d’acqua fino ad ottenere la massima densità
secca alla quale si riferirà, in %, la densità ottenuta in campagna.

Aumentando ulteriormente il tenore in acqua si arriva alla saturazione del materiale e l'acqua
rifluisce in superficie o è altrimenti eliminata se si tratta di materiale granulare mentre nelle terre fini
essa si distribuisce uniformemente nel contenitore facendo aumentare il volume e diminuendo
quindi la compattezza della terra per cui la curva della densità (Fig. 1.40) si dispone parallelamente
alla linea di saturazione ad una distanza che rappresenta il vuoto d'aria residuo.

Nella figura, l'intervallo E rappresenta la tolleranza della percentuale di acqua ammesso in


campagna per ottenere la densità minima richiesta (D).

Le prove più comuni sono la Proctor standard (o AASTHO) e la Proctor modificata (modified
AASTHO); quest'ultima, contraddistinta con la sigla T 180-74, fornisce una densità maggiore della
prima di un valore pari al 3% con terre incoerenti e fino a un valore pari al 15% con terre argillose.
Tali prove, pur universalmente adottate dalle routines operative, risultano poco simili (per quanto
attiene al meccanismo della compattazione) a quanto avviene in campagna dove l'operazione è
meno dinamica; da qualche tempo, infatti, prendono sempre più piede prove considerate più
realistiche rispetto al processo di campagna quali l’Harvard Test o la prove del rigonfiamento del
(Californian Road Lab)

A titolo indicativo, in campagna, si richiede usualmente che la compattazione della fondazione e


del rilevato raggiunga l’86-92% della densità ottenuta col la prova Proctor mod.; il 90-95% per lo
strato superiore (20÷30 cm ) del taglio o del rilevato; il 96÷102% per gli strati di sottobase e di
base. Queste ultime %, trattandosi di materiali granulari, sono facilmente raggiungibili disponendo
del macchinario adatto mentre sarebbe molto più difficile raggiungerle nel rilevato costruito con
terre argillose.

Fig. 1.41 – La fustella ed il pistone per la prova Proctor.

1.10.4 - Le prove Proctor standard (o normale) e modificata: (PS e PM)

In entrambe le prove (→ vol. 1°) si utilizza un cilindro o fustella con sovrastante collare, fissabile ad
un basamento ed un pistone scorrevole in una guida che gli consente una corsa verticale di valore

58
fisso. Servono inoltre: un estrattore per togliere dalla fustella il campione costipato, stufa, bilance e
capsule.

La fustella più piccola si usa per le terre contenenti elementi ≤ 5 mm (o passanti al setaccio n. 4
ASTM); la più grande è quella utilizzata nella prova C.B.R. per le terre più grossolane nel qual
caso, però, il ritenuto al setaccio da 2" (50 mm ) va scartato e la frazione compresa tra 3/4" (19
mm) e 2" è sostituita nella medesima proporzione in peso con passante il 3/4" e ritenuto al n. 4
(4.76 mm). Nella fustella grande va preventivamente introdotto un disco spaziatore da 1" se alla
prova è fatta seguire quella C.B.R.

Il campione è preventivamente essiccato a 105°C salvo in presenza di troppi micro-organismi


viventi la cui distruzione altererebbe le caratteristiche della terra in esame (nel qual caso il
campione si essicca all'aria); ne servono circa 2.7 kg per la fustella piccola e 5.5 per la grande
riducendo gli eventuali grumi col pestello.

Acquisita la necessaria esperienza è possibile iniziare la prova partendo con una umidità < 4÷5 %
rispetto a quella ottimale per poi aumentarla progressivamente con 4 aggiunte d’acqua spaziate di
~ 2 punti ognuna facendo in modo che il liquido si mescoli alla terra in modo uniforme (se la terra è

argillosa si devono attendere alcune ore).

Si compatta quindi ogni strato (3 nella prova PS e 5 nella PM) nella fustella munita di collare il cui
compito è solo quello di consentire un uniforme costipamento della terra nel cilindro.

Tolto il collare si elimina l'eccesso di materiale oltre il bordo e si pesa ottenendo, noto il volume del
cilindro e la tara, la densità umida del campione.

Si prelevano poi ~100 g di terra che si pesano subito e nuovamente dopo essiccamento in forno a
110°C. Il contenuto in peso dell'acqua è dato dalla relazione:

pw = peso umido + contenitore - peso secco + contenitore

da cui la % di umidità:

w (%) = peso acqua rimossa 100/peso campione secco

Si ripete la prova su di un altro provino aggiungendo circa il 2% d’acqua e quindi ancora 3 prove
con successivi incrementi del 2% fino a che non si riscontra una decrescita o nessun cambiamento
nel peso specifico della terra umida. I successivi risultati si riportano su un diagramma (Fig.1.42)
tracciando poi la curva che congiunge i punti relativi alle diverse prove. Da tale curva è poi
possibile dedurre il valore della densità massima e l'OMC per ottenerla.

La densità secca si computa con la formula:

densità secca = peso unitario umido 100/(umidità+100)

59
Fig. 1.42 – Esempio di Prova Proctor.

1.10.5 - Considerazioni sulle prove Proctor e sul costipamento in genere

Nelle terre fini esistono tra i grani forze d’attrazione che, se predominanti, conferiscono una
struttura flocculata e forze di repulsione le quali, al contrario, tendono a disporre i medesimi
parallelamente tra loro secondo una struttura regolare. La pressione esercitata dai mezzi
compattivi favorisce il secondo fenomeno aumentando la densità e riducendo la permeabilità.
L'orientamento dei grani è favorito da un contenuto d'acqua leggermente superiore all'OMC che,
per contro, aumenta la permeabilità.

Il problema, in ogni caso, é quello di mantenere nel tempo le caratteristiche ottenute con la
compattazione; le argille, infatti, con la variazione del grado di saturazione, danno luogo ai noti
fenomeni del rigonfiamento e del ritiro mentre per le terre non coesive questo problema non si
pone.

L'umidità ottimale richiesta per costipare un terreno alla densità richiesta dipende, in campagna,
dal tipo di dispositivo impiegato il che significa che il tasso ottimale può risultare leggermente
diverso di quello ricavabile in laboratorio. Aumentando lo sforzo compressivo di un valore
superiore a quello della prova Proctor, I'OMC è minore e la densità è maggiore (Fig. 1.43); al
contrario, in presenza di un eccesso di umidità, ogni ulteriore sforzo di compressione è inutile.
60
Fig. 1.43 – Tipologie risultanti da Prove Proctor.

Esaminando ancora le 3 curve della stessa figura, si può osservare che qualora l'energia
impiegata in campagna non raggiunga quella di laboratorio (caso frequente) e nello stesso tempo
l'OMC sia quello richiesto, la densità ottenuta è molto bassa (punto A) e potrà essere aumentata
aggiungendo acqua.

Ne deriva che in pratica, qualora si dubiti della efficienza del macchinario di costipamento è buona
norma aumentare di qualche unità la % d’acqua indicata dalla Proctor; con l'eccezione delle terre
argillose si può dire che questa norma sia valida comunque.

Nel costipamento, causa la presenza dell'aria, risultano trascurabili le pressioni dei fluidi e le
sollecitazioni si trasmettono direttamente ai granuli; è quindi necessario vincere le resistenze di
attrito tra di essi applicando gli sforzi dei costipatori con direzione ed intensità mutevoli; da ciò
discende l'importanza di una tecnica della compattazione facilitata dall'impiego di rulli vibranti.

Per quanto riguarda la prova Proctor:

- nelle terre coerenti l'OMC è di poco inferiore al limite plastico;

- la necessità di ottenere un’umidificazione omogenea del campione richiede un accurato


sminuzzamento che, se è facile per i materiali incoerenti, non lo è sopratutto per le argille che
devono essere pertanto essiccate ricorrendo a pestelli, frantumatori meccanici etc.

Tab. 1.9 – Valori indicativi delle densità secche max e relativi per alcune terre.

61
L’umidificazione viene poi effettuata con spruzzatori interponendo alcune ore tra l’applicazione ed il
costipamento.

Le prove Proctor, comunque, forniscono risultati di validità generica; di conseguenza, qualora


esistano difficoltà a raggiungere le densità richieste, si devono eseguire prove in campagna, alla
scala naturale e col medesimo equipaggiamento che viene usato durante il corso dei lavori salvo
modificarlo se leggere variazioni dell’OMC non danno esito positivo.

1.10.6 - Determinazione della densità relativa

Per le terre incoerenti per cui la compattazione ad impatto non riesce a fornire una curva ben
definita del rapporto umidità/densità e per le quali la densità massima ottenuta con metodi ad
impatto è inferiore a quella ottenuta con quelli a vibrazione, l'ASTM consiglia la prova della densità
relativa (ASTM D 2049) applicabile alle terre che presentano un massimo del 12% di passante al
setaccio n. 200 (75 μm).

Questo metodo utilizza la compattazione per vibrazione per ricavare la densità massima ed il
travaso per ottenere quella minima.

La densità relativa (Yr) rispetto agli stati più densi e più sciolti ottenuti con la prova è espressa
dalla differenza (tra l’Indice dei pori allo stato più sciolto ed allo stato attuale) sulla differenza (tra
l’Indice dei pori allo stato più sciolto ed allo stato più denso).

Fig. 1.44 – Importanza del corretto contenuto di umidità nel costipamento.

L'apparecchiatura consiste in un tavolo vibrante (60 Hz), una fustella cilindrica in alluminio da 2830
cm3 con piastra per sovraccarico ed una seconda fustella da 14160 cm3 pure con piastra; un
comparatore con una corsa di 2" ed una graduazione a 0.025

62
1.11 – La realizzazione operativa del sottofondo

II terreno di sottofondo ha sovente un comportamento meccanico di difficile valutazione per le


variazioni del tenore d'acqua, per il grado di costipamento e per l'influenza che esercita la sua
natura. Con le prove di laboratorio, di conseguenza, si rischia di non poter tener conto dello stato
effettivo del suolo e per questa ragione è opportuno variare i principali parametri (grado di umidità,
energia di costipamento) su diversi campioni al fine conoscere con sicurezza il comportamento
della terra in esame.

Anche le prove in situ possono risultare poco rappresentative, soprattutto quando, ad es., il
sottofondo da esaminare si trovi a diversi metri di profondità laddove è prevista una trincea
stradale. I metodi di dimensionamento del pavimento si avvalgono soprattutto di prove di portanza
e penetrometriche effettuate sul sottofondo e nelle quali la misura delle deformazioni in rapporto
alle sollecitazioni definisce valori convenzionali (Modulo di Westergaard .modulo svizzero Me,
Indice di portanza CBR) coi quali si possono utilizzare, per scelte speditive, i nomogrammi riportati
di seguito. Per alcuni casi, tuttavia, risulta necessaria anche la conoscenza del modulo dinamico di
deformazione elastica.

Il modulo di elasticità statico (Es) come visto, si basa sulla teoria di Boussinesq relativa alla
deformazione del semispazio omogeneo:

Es = (1.57 p r) (1 – μ2)/δ

dove p è la pressione uniforme; r il raggio della piastra; δ l’affondamento o deformazione elastica


(differenza tra deformazione totale e deformazione plastica); μ il coefficiente di Poisson variante
entro 0.3÷0.5. Es viene espresso in kg/cm2 e si ricava dalla prova statica con piastra rigida che, per
sottofondi, è usualmente quella a Ø 76 cm. Valori indicativi del modulo statico sono riportati in Tab.
1.10 ricavata in zone molto umide (I), a umidità variabile (II), asciutte (III) ed aride (IV)su rilevati (R)
e trincee od al piano di campagna (S), le cui variazioni anche durante l'anno sono notevoli.

Tab. 1.10 – Valori indicativi del modulo statico.

Il modulo di elasticità dinamico (Ed) è quello più usato nel calcolo dello spessore del pavimento a
causa del comportamento elasto-viscoso dei sottofondi e viene misurato sperimentalmente con
piastre vibranti oppure col deflettometro a maglio entro una fascia di frequenze comprese tra 5 e
200 Hertz. Il valore di Ed, sempre > Es, é infatti deducibile secondo la relazione di Baum:

Ed = Es + 700 kg/cm2

Valori indicativi di Ed possono ritenersi: 100÷200 kg/cm2 per le argille plastiche e fino a 1500÷2000
kg/cm2 per le ghiaie di buona qualità. Rapportato, inoltre al valore CBR è Ed = 65÷100 CBR ed al
modulo svizzero Me è Ed = 2÷2.5 Me.

63
Sono detti metodi del gruppo A quelli che si basano sulle esperienze fornite da strade esistenti
aventi carichi di ruota e sottofondi analoghi al caso considerato; sono detti del gruppo B quelli
che si basano .sulla comparazione di prove di resistenza effettuate sul sottofondo e dei risultati
ottenuti con pavimenti costruiti su fondazioni di resistenza analoga.

Entrambi i suddetti metodi sono applicati ai pavimenti flessibili. Per quelli rigidi si applicano teorie
semplificate basate su risultati di prove di resistenza agli sforzi normali o di taglio effettuate sul
sottofondo (Metodi del gruppo C).

1.11.1 - Metodi di calcolo per pavimenti flessibili

II metodo dell'Indice di gruppo appartiene al gruppo A: col termine s’intende una quantità
empirica riferita al sottofondo di cui tanto più alto è il valore quanto più bassa è la resistenza. Tale
indice lo si ottiene, oltre che dalla formula indicata al cap. 2, anche dai diagrammi di Fig. 1.45, qui
riportati per praticità.

Fig. 1.45 – Diagrammi per Indice di Gruppo.

Nei diagrammi, come visto, si entra con la % di passante al vaglio n. 200 serie USA unitamente ai
valori IP ed LL. L'Indice di gruppo é dato dalla somma delle 2 letture sull'ordinata dei 2
diagrammi.

Volendo applicare il calcolo ad un esempio, sia un campione classificato A6 con il 65% di passante
al vaglio n. 200; LL = 32; IP = 13. Impiegando la formula si ottiene:

IG = 0.2a + 0.005 ac + 0.01 bd

in cui a = 65 - 35 = 30 ; b = 55 - 15 = 40; c = 0 (essendo LL < 40); d = 13 - 10 = 3 e pertanto (0.2 x


30) + (0.005 x 30 x 0) + (0.01 x 40 x 3) = ~ 7.

Impiegando, viceversa, i diagrammi di Fig. 1.45 si perviene al risultato di 7.3 (5.8 + 1.5.

Ottenuto l'indice di gruppo gli spessori della base e della sottobase eventuale si ricavano dal
diagramma di Steele (Fig. 1.46) fondato sull’assunto che:

-il costipamento della fondazione non sia < 95% e della base non < 100% delle rispettive densità
secche ottenute con la prova Proctor normalizzata;

64
- le condizioni di drenaggio siano buone; nel caso di rilevato, il massimo livello dell'acqua libera
sia ad almeno 1 m sotto la superficie stradale. Il metodo dell'Indice di gruppo, per l'esiguità dei dati
sui quali si fonda, è da ritenersi di valore indicativo, utile per fattibilità e studi di massima.

Fig. 1.46 – Diagramma di Steele.

La Fig. 1.46 mostra 2 esempi:

1) sottofondo argilloso tipo A6 con IG = 12; traffico medio: le porzioni a e b rappresentano 2


alternative ricavate dal diagramma di Steele;

2) sottofondo A1a con IG = 0 e traffico leggero: la soluzione è rappresentata dalla porzione c.

Requisiti dei materiali per sottobasi, basi e strati superficiali secondo le norme AASTHO M 147-65

I requisiti si riferiscono a materiali di peso specifico normale con valori medi di assorbimento e
gradazione. Qualora si utilizzassero materiali diversi si devono porre limiti appropriati al loro
impiego.

Materiale grosso

II ritenuto al vaglio da 2mm (n. 10) consiste di elementi duri e durevoli provenienti da roccia
frantumata, ghiaia o scorie (loppa). Materiali che si rompono quando congelati e scongelati o
bagnati ed essiccati non possono essere utilizzati. La % di abrasione con la prova Los Angeles
(AASTHO T 96) non dovrà superare il valore 50.

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Materiale fine

Il passante al vaglio da 2 mm consiste di sabbia naturale o prodotta dal frantoio ed altre particelle
minerali passanti il vaglio da 0.075 mm (n. 200). La frazione passante il vaglio da 0.075 mm non
deve superare i 2/3 della frazione passante il vaglio da 0.425 mm (n. 40). La frazione passante il
vaglio da 0.425 mm deve avere 25 < LL ≤ 6 ed un IP ≤ 6.

Ogni materiale deve essere esente da sostanze vegetali e grumi di argilla e conforme alla
granulometria specificata nella Tab. 1.11.

Tab. 1.11 – Valori Norma AASHTO T96.

Materiale per sottobase

Tale materiale deve essere conforme alle gradazioni A, B, C, D, E o F della Tab. 1.11. Laddove
tuttavia l'esperienza locale abbia confermato la necessità di utilizzare minori % di passante al
vaglio 0.075 mm per prevenire i danni del gelo, si rivela opportuno riferirsi tale valore.

Materiale per base

Tale materiale deve essere conforme alle gradazioni A, B, C, D, E o F della Tab. 1.11., valendo le
medesime possibilità di scelta che per le sottobasi.

Materiale per strati superficiali

Tale materiale deve essere conforme alle gradazioni C, D, E, o F: qualora si preveda che il
materiale impiegato nello strato superficiale debba restare per alcuni anni senza trattamento
bituminoso od altro impermeabilizzante, la Direzione Lavori deve specificare un minimo dell'8%
passante al vaglio da 0.075 mm in luogo delle % inferiori previste dalla Tab. 1.11; deve inoltre
essere specificato un LLmax 35% ed un IP compreso entro 4÷9 anziché il valore specificato in
precedenza.

Contenuto d’umidità

Tutti i materiali devono contenere acqua in % pari o leggermente inferiore all'ottimale .

I metodi del gruppo B, come si è detto, si basano su prove di resistenza effettuale sul sottofondo;
molto usata la prova C.B.R. (Califomia Bearing Ratio) descritta in precedenza con la quale,
assieme ai dati sul traffico, si risale allo spessore della sovrastruttura.

La prova è condotta su campioni disturbati con diversi contenuti di umidità nelle apposite fustelle,
costipati secondo la procedura Proctor normale e dopo immersione in acqua per 4 giorni.

Il diagramma AASHO di Fig. 1.47 fornisce lo spessore della sovrastruttura in funzione del CBR.

66
Analogamente il diagramma del Road Research Laboratory inglese di Fig. 1.48 si basa sul valore
del C.B.R. e sul traffico previsto.

Questi metodi sono utili a fornire valori indicativi in fase di progettazione per raffrontare varie
soluzioni.

Fig. 1.47 – Diagramma AASHO relativo a rapporti tra CBR e spessore sovrastruttura.

Fig. 1.48 – Diagramma RRL relativo a rapporti tra CBR e traffico previsto.

67
Tab. 1.12 – Spessori raccomandati dall’Highway Research Board USA per carichi assiali di 8000 kg.

La Shell suggerisce un metodo più elaborato e che parte dal presupposto che gli sforzi critici si
sviluppano:

- sugli strati superficiali del pavimento che tendono a screpolare per effetto dei carichi dinamici
ed in cui l'inizio della deformazione é governato dagli sforzi di trazione sulla parte inferiore del
pavimento stesso;

- sul sottofondo che nella sua possibile deformazione sotto il carico trasmessogli coinvolge gli
strati superiori.

Il metodo Shell si sviluppa, di conseguenza, attraverso 4 fasi:

- studio del sottofondo per determinare il valore del modulo elastico dinamico Ed. Praticamente
tale valore lo si ricava dalla prova C.B.R. effettuata preferibilmente col contenuto di umidità che si
suppone abbia la fondazione a manufatto ultimato e che si riscontra a ~ 1 m di profondità; oppure,
temendo il gelo, eseguendo la prova in condizioni di saturazione. Il diagramma 1 della Fig. 1.49
permette di conoscere E noto il CBR - E (kg/cm2) risulta, in effetti, pari a 100 la % di CBR.

- studio del totale di carichi assiali per corsia previsti nella vita della strada e loro frequenza
ignorando i carichi leggeri (automobili). A scopo di progettazione il traffico è espresso dal numero
N equivalente ai carichi assiali da 10 t. Nel diagramma 2 si calcola il coefficiente LDF (fattore di
distribuzione del carico) e col diagramma 3 si ottiene N. Se LDF fosse di difficile determinazione lo
si può assumere = 5 per le autostrade od altre arterie aventi la corsia lenta e = 2÷3 per le strade a
due o tre corsie ed infine = 1 per le secondarie.

- noti E ed N lo spessore del pavimento è ottenuto da uno dei diagrammi n. 4 – 5 - 6 e 7. Lo


spessore degli strati granulari (base e sottobase) è ricavato sull'ordinata principale di ciascun
diagramma mentre quello degli strati bituminosi sull'ascissa. Per ogni curva del diagramma
(eventualmente interpolata) l'idoneo spessore dell'intera struttura è quindi fornito dalle due
coordinate di un qualsiasi punto della curva stessa.

- i diagrammi riportano delle linee tratteggiate indicanti i CBR minimi richiesti per gli strati di base;
trovata la curva rispondente ai valori di E ed N un punto qualsiasi di tale curva fornisce, attraverso
la sua ordinata ed ascissa, un’idonea combinazione degli spessori di superficie e di base nonché,
per questi ultimi, il CBR minimo.

Nella procedura indicata è opportuno ricordare:

- nei climi temperati gli spessori ottenuti sono in genere in eccesso;

- se si prevede una base in conglomerato bituminoso, occorre utilizzare una sottobase granulare
di almeno 10 cm di spessore;

68
- il tappeto di usura in cc. asfaltico deve essere previsto di almeno 5 cm e fino a 10 cm di
spessore se N > 106; tale spessore è incluso in quello totale che i diagrammi forniscono;

- lo strato di base in cc. bituminoso deve consistere di un aggregato di base con elementi, per il
40% o più, > 3 mm, % dei vuoti < 10 e bitume (pen 40/100) per non meno del 3.5% in peso;

- lo strato di usura deve essere steso dopo qualche mese per dar luogo al traffico di localizzare
eventuali cedimenti della base;

69
Fig. 1.49 – Metodologia Shell: diagrammi 1-3.

70
Fig. 1.50 – Metodologia Shell: diagrammi 4-7.
71
Peltier suggerisce un fattore correttivo (c) per cui moltiplicare lo spessore trovato e che è funzione
di T (= somma dei pesi in t dei veicoli annuali diviso la larghezza della carreggiata).

Tab. 1.13 – Tabella T/c di Peltier (LCPC).

Esempio di progetto di pavimento con la procedura illustrata (Fig. 1.51)

Dati:

- CBR fondazione: 5;

- traffico previsto sulla corsia lenta (la più sollecitata): 10.000 carichi assiali/giorno;

- vita prevista della strada:15 anni;

- distribuzione prevista dei carichi assiali sulla corsia: meno di 3500 kg = 75; 3500÷7250 kg = 20;
7250÷9000 kg = 4; 9000÷12000 kg = 1.

Dal diagramma 1 per CBR = 5 E = 500 kg/cm2;

Dal diagramma 2, entrando con le indicate % dei carichi assiali sulle rispettive diagonali si hanno i
valori parziali del LDF e cioè 0.4 per i carichi < 3500 kg e per i successivi 1.7 – 1.7 – 0.9 per un
totale LDF = 4.7;

Dal diagramma 3, noti LDF, il numero di carichi/giorno e la vita della strada, N = 2.5 x 106.

Dal diagramma 5 per E = 500 e la curva interpolata per N si possono scegliere varie alternative
indicate sul diagramma coi numeri 1, 2, 3. 4:

Osservando ora l'alternativa n. 4 lo spessore del pavimento potrebbe essere così costituito:

- strato d’usura in cc. bituminoso cm 4

- strato di base in cc. bituminoso cm 8

- aggregato sottobase CBR > 80 cm 15*

- aggregato sottobase CBR > 30 cm 24*

totale cm 51 (*) dalle linee tratteggiate.

72
Fig. 1.51 - Raffronto dei risultati ottenuti nel dimensionamento di un pavimento seguendo diverse procedure.

L'alternativa n. 2 offre invece una tipica costruzione in conglomerato bituminoso:

- strato di usura + collegamento cm 8

- base in cc. bituminoso cm 15

- sottobase in aggregato CBR < 20 cm 16

73
Fig. 1.52 – relazione tra CBR e IG: nomogramma per la determinazione dello spessore del pavimento in funzione delle
precipitazioni annue, del traffico e del CBR della fondazione (pavimenti flessibili).

1.11.2 - Metodi di calcolo AASHO e dell'Asphalt Institute of Massachusetts

L'AASHO Test Road ha portato ad un metodo di dimensionamento basato su numerose prove


effettuale e pertanto tra i più attendibili. La procedura è la seguente:

- si determina il valore di S (valore di portanza del sottofondo o strato superiore del rilevato
ricavandolo dal nomogramma di Fig. 1.53a noto il valore R ricavato allo stabilometro, o l'indice
CBR od anche l'indice di gruppo, tracciando una orizzontale.

- si calcola il numero di carichi equivalenti da 18000 lbs, asse singolo, giornalieri usando la Tab.
in Fig. 1.53b: tali carichi si ottengono moltiplicando i carichi assiali previsti al giorno in una
direzione per il corrispondente fattore fornito dalla tabella. Si dovrà procedere per tentativi in
quanto il valore SN (numero strutturale pesato) necessario per entrare nella tabella è anche la
soluzione cercata.

- noti S e i carichi equivalenti giornalieri da 18000 Ibs, dal nomogramma di Fig. 1.53c si ricava il
numero strutturale SN;

- si stabilisce il valore regionale in base alle indicazioni date dal medesimo nomogramma: tale
fattore tiene conto che, durante il disgelo, e comunque quando il terreno é saturo, un carico
dinamico ha un maggior effetto di quando il terreno è gelato; esso inoltre può essere utilizzato per

74
tener conto della falda freatica alta o di altri elementi dannosi. Stabilito r, la retta passante per
questo punto e l'SN ricavato in precedenza, individua l'SN finale.

- si formula la combinazione desiderata di spessori dei vari strati del pavimento a mezzo della
equazione di Fig. 1.53d.

Fig. 1.53 – Metodo AASHO di dimensionamento della sovrastruttura.

Il metodo dell'Asphalt Institute si fonda anch'esso sul valore dell'indice CBR del sottofondo ed è
particolarmente adatto nei casi in cui questo indice è elevato come, ad es., nelle strade di
montagna in cui il sottofondo è roccioso, per cui si prevede un solo strato di base in conglomerato
bituminoso. La procedura è la seguente:

- si suddivide la strada in tronchi omogenei per quanto riguarda l'indice CBR (questa
operazione è comune a tutti i metodi);

75
- in base ai necessari rilevamenti si prevede il traffico giornaliero futuro, ossia quando la strada in
progetto si troverà in esercizio, nonché la sua composizione; il volume previsto è definito col
termine IDT (Initial Daily Traffic).

- a mezzo del nomogramma di Fig. 1.54a si entra coi valori C e D per ottenere un punto sulla
pivot line che, congiunto al valore di E individua l’ITN (Initial Traffic Number) sulla scala A.

- si moltiplica il valore ITN trovato per il fattore della Tab. 1.54b prevista della strada e della
crescila annua del traffico che si è valutata; il risultato è il DTN (Design Traffic Number) che
assieme all'indice CBR del sottofondo (o, alternativamente, al valore portante ottenuto con la
piastra rigida) fornisce lo spessore totale (strati di superficie inclusi) del pavimento in conglomerato
bituminoso a mezzo del nomogramma in Fig. 1.54c.

76
Fig. 1.54 – Dimensionamento della sovrastruttura col metodo Asphalt Institute of Massachusetts.

Per concludere sui metodi di calcolo dei pavimenti flessibili si riporta in Fig. 1.55 il diagramma
B.O.H. del Kentucky Institute anch'esso basato sul valore del CBR del sottofondo.

Il diagramma propone 2 scelte: calcestruzzo bituminoso per il 33% dello spessore totale, oppure
per l'intero spessore ed inoltre 3 curve (rispettivamente per CBR = 2÷6÷15) per ottenere lo
spessore totale quando il calcestruzzo bituminoso ne rappresenti il 66%.

77
Fig. 1.55 – Dimensionamento del pavimento secondo il B.O.H. del Kentucky.

1.11.3 – Metodi del Gruppo C – pavimenti rigidi

I più noti si basano sulle formule di Westergaard e successive modifiche. Anche i nomogrammi di
Pickett e Ray si basano sulle medesime formule. Tali relazioni, che consentono il calcolo degli
sforzi all'interno della soletta dovuti ai carichi di ruota, non tengono tuttavia conto delle
sollecitazioni secondarie dovute alla temperatura, all'umidità e ad altri fattori che in certi casi
possono essere più severe di quelle originate dal traffico.

Nel merito, comunque, è bene ricordare che le formule e i nomogrammi da esse ricavati, sia nel
caso di pavimenti rigidi che flessibili, risultano sempre approssimativi avendo un senso se i
materiali e la loro posa in opera sono della qualità prevista.

Un caso tipico è quello di un materiale granulare stabilizzato con cemento la cui resistenza a
trazione si dimezza se il tenore d’acqua si scarta troppo dall'ottimale oppure se la granulometria
non è quella prevista (è sufficiente, ad es., che il passante al vaglio da 5 mm risulti ~50% anziché
~30%).

Di conseguenza, si rivela più sicuro ricorrere a valori empirici, classificabili (a rigore) nel gruppo B,
ad es. utilizzando il modulo di reazione K, tramite il quale si ottengono gli spessori della soletta e
della sotto-base.

78
1.12 - II rafforzamento di sovrastrutture esistenti (upgrading)

Il problema della rimessa in efficienza di vecchie massicciate, la cui resistenza meccanica é


divenuta insufficiente per le esigenze del traffico attuale, si pone in tutti i Paesi e ad ogni livello
territoriale; per la totalità della casistica, tuttavia, le domande cui occorre dare risposta riguardano:

- quando rafforzare sulla base di considerazioni economiche e tecniche;

- quale metodologia adottare.

I criteri di scelta, per quanto riguarda la prima domanda, si rivelano numerosi; in questa sede
vengono citati :

- l'importanza del traffico sulla strada considerata;

- lo stato della superficie e la meccanica del pavimento della stessa;

- la resistenza al gelo (per le regioni interessate al fenomeno).

Di principio si può dire che l'intervento risulta necessario quando la degradazione del pavimento ha
raggiunto certi limiti definiti, ad es., col sistema PSI (Present Serviceability Index o indice di
viabilità) messo a punto dall’AASHO dopo anni di studi sulla evoluzione delle degradazioni degli
strati dei pavimenti sia flessibili che rigidi.

Su un terreno A6 argilloso, infatti, sono state costruite numerose sezioni-prova di pavimentazione


con spessori variabili di sottobasi, basi in misto granulare e in conglomerato bituminoso sottoposte
a carichi assiali singoli varianti da 2.000 a 30.000 lbs nonché tandems da 24.000 a 48.000 libbre.
Le accurate analisi rivolte alle deformazioni delle strutture portanti e alle deteriorazioni delle
superfici hanno portato ad un’equazione valida per pavimenti flessibili in cui il valore del PSI citalo
è funzione di 3 parametri:

- variazione di pendenza delle superfici rilevate col profilografo;

- valore medio della profondità delle ormaie procurate dalle ruote;

- percentuale di superficie screpolata o rappezzata.

PSI = 5.03 – 1.91 log (1+SV) – 1.38 RD2 – 0.01 √(C+P)

dove SV rappresenta le variazioni di pendenza lungo la linea seguita dalla mola; RD la profondità
del solco in inches misurata con una riga lunga 4 feet; C la superficie screpolata (in inches2) su
1000 inches2 di superficie esaminata e P la superficie rappezzata (in inches2) su 1000 inches2 di
superficie esaminata).

I valori dell'indice di servizio variano da 0 a 5. Dalle prove suddette è risultato che un PSI 4.2 è
normale in un pavimento flessibile mentre un valore riscontrato di 2.5 per strade importanti e di 2.0
per strade ordinarie richiede lavori di ripristino. Valori di 1.5 indicano la necessità di un rifacimento
integrale di più strati.

1.12.1 – Metodologia

Schematicamente, lo sviluppo del rafforzamento si sviluppa nel modo seguente:

79
- misura preliminare delle deflessioni a mezzo di profilografo o deflettografo possibilmente in
condizioni di clima avverse (ad es. nel periodo de! Disgelo, se esiste, oppure con forte piovosità).
Un dispositivo di profilo, normalmente, rileva una deflessione al bordo ed una in asse ogni 3 m con
una velocità di avanzamento di alcuni km/h; i risultati vanno presi e confrontati con cautela se
ottenuti in modi diversi o in diverse condizioni climatiche. Con ottimi risultati si usa anche il radar;
l'apparato, montato su un automezzo, ha una antenna monostatica che illumina un'area di circa
103 cm2 raggiungendo una profondità di 75 cm, mettendo in evidenza laminazioni, fessurazioni e
piccoli vuoti; velocità operativa ~25 km/h;

- ricerca di informazioni supplementari quali i dati climatici, soprattutto sul gelo, il traffico (veicoli
pesanti, periodi di punta etc.), la geologia di superficie (tipi di terreni attraversati);

- analisi dei dati ed esame visuale della pavimentazione per decidere quali misure
complementari adottare e consistenti in:

- sondaggi nel corpo stradale e nella fondazione per riscontrare anche a quale profondità si
trovano i primi materiali gelivi;

- rilievo dei profili trasversali, dei raggi di curvatura delle deformazioni ed accertamento del
grado di regolarità della superficie;

- eventuale auscultazione dinamica a mezzo di vibratore;

- localizzate le deflessioni ed individuati i motivi si divide la strada in zone omogenee per origine
dei difetti (che sono quasi sempre da ricercare nell'eccessivo tenore in acqua della fondazione per
drenaggio difettoso), ponendo in evidenza i punti singolari aventi deflessioni molto marcate; i
passaggi sterro-riporto ad es., sono sovente difettosi;

- definizione della soluzione più appropriata.

Il rilievo dei profili trasversali è importante per accertare la necessità di una risagomatura
preventiva della vecchia massicciata qualora il rinforzo venga effettuato con miscele bituminose,
oppure di un sovra-spessore se il rinforzo previsto è in aggregato naturale; questo ad evitare
pericolose riduzioni dello spessore del rinforzo medesimo.

li prodotto R x d (raggio di curvatura x massimo valore della deflessione) è indicativo della rigidità
relativa tra 2 strati contigui del pavimento: se i due strati, non legati tra loro, sono di buona qualità il
prodotto R x d è praticamente costante comunque sia il valore della deflessione (dell'ordine di
5000-7000 essendo R in m e d in 1/100 di mm ).

Un R x d basso, ad es. < 4500, significa spessore inadeguato del pavimento o materiale mediocre;
se invece alto (> 10.000) può indicare la presenza di uno strato trattato più o meno mediocre;
valori > 15000 rivelano invece strali trattati di buona qualità.

L'auscultazione dinamica è un’operazione complessa riservata allo studio di singoli strati aventi
elevato spessore.

1.12.2 – Soluzioni operative

Si distinguono i 2 casi: non esistono problemi dovuti al gelo oppure il contrario. Nel primo caso:

- si stabiliscono le zone meccanicamente omogenee e per ognuna di esse si definisce lo


spessore del rinforzo (aggregato naturale o miscela bituminosa) in funzione delle deflessioni

80
ottenute nel periodo climaticamente più sfavorevole facilmente rilevabili appunto per la mancanza
di gelo nonché dei prodotti R x d;

- si valutano gli eventuali sovra-spessori o ri-profilature;

- -si sceglie il tipo di rinforzo che, tenendo conto delle disponibilità economiche, deve adeguarsi
alle condizioni esistenti. Al momento, comunque, si ricorre soprattutto a materiali polimerici
(geotessili) sia del tipo non tessuto a bassa rigidità che ai reticolali (grids) ad elevata resistenza a
trazione, che consentono un notevole risparmio del materiale di ricarico sia a livello di sottobase
che di base nonché a feltri antistrappo, della stessa natura, che impediscono la screpolatura dei
manti d’usura.

Esistendo, viceversa, il problema del gelo si valuta, da un lato, lo spessore del rinforzo in assenza
di gelo come in precedenza e, dall'altro, lo spessore del rinforzo così che lo spessore totale degli
strati non gelivi risulti superiore ad almeno 0.8 volte la profondità raggiungibile dal gelo prendendo
poi, quale spessore definitivo, il maggiore dei 2 valori ottenuti.

1.12.3 – Considerazioni

I principi enunciati sono sopratutto validi per il rafforzamento di vecchie massicciate in cui sono
presenti o meno strati in conglomeralo bituminoso.

II problema si complica in presenza di basi trattate con leganti idraulici ed, ancor più, di vecchie
solette in calcestruzzo di cemento in cui sono difficilmente prevedibili le rotture dovute a modifiche
degli appoggi e dove la tenuta del rinforzo è condizionata sopratutto dalle deformazioni localizzale
dovute allo spostamento dei carichi dinamici o a variazioni di temperatura per cui si hanno
movimenti relativi tra i bordi di due lastre contigue (pumping); si aggiunga che l'inconveniente è
difficilmente eliminabile anche con iniezioni di malta di cemento tra le fessure.

In questi casi si viene quindi indotti a prevedere spessori di rinforzo elevati (20÷25 cm) senza le
garanzie di una buona riuscita, motivo per cui torna preferibile ricorrere a nuove solette in
calcestruzzo, anche non armato, sempre che le oscillazioni tra i bordi non siano molto forti.

Appare superfluo ricordare come nei rafforzamenti, ancor più che nei pavimenti nuovi, giochino
ruoli importanti la qualità dei materiali, il costipamento, il drenaggio ed il carattere della esecuzione
in generale.

A tale proposito sono da menzionare gli allargamenti: la loro realizzazione richiede spesso Io
scavo di un cassonetto poco accessibile al macchinario e difficile da drenare. Ne consegue una
fondazione mal costipata ed inadatta a ricevere gli strati del pavimento, sicuramente soggetti a
cedimenti o rapide degradazioni.

E' quindi consigliabile, qualora si preveda tale situazione, stabilizzare la fondazione con cemento
oppure ricorrere ad un getto di calcestruzzo magro.

Qualora con l'allargamento fosse previsto il rafforzamento generale della massicciata con uno
strato, ad es., di 20 cm di materiale trattato, uno spessore supplementare del medesimo materiale
di 30 cm nelle strisce di allargamento rientrerebbe nella normalità.

81
1.13- Strati non trattati

1.13.1 - Pavimenti in sabbia-argilla (Sand-Clay-roads/Betons d'argile)

Rappresentano una versione economica delle basi in misto granulare. Si ritengono ottimali le
miscele che in laboratorio danno i seguenti risultati:

- una quantità variabile di materiale granulare fine che costituisce l’ossatura;

- moderate quantità di limo e sabbia fine per le difficoltà di drenaggio;

- un livello sufficiente in argilla da cementare sabbia e limo quando la superficie è secca ma non
in quantità tale da rendere plastica la miscela bagnata. In mancanza di laboratorio, è possibile
stabilire l'idoneità di una miscela con le seguenti prove dirette effettuate su campione umido cui
sono stati tolti gli elementi > 5 mm;

- il materiale deve presentarsi ruvido;

- deve assumere una forma definita quando stretto nella mano, forma che deve mantenere
quando essiccato;

- deve sporcare poco la mano;

- dopo compressione non deve essere facilmente penetrato dal rovescio di una matita;

- se compresso in un recipiente non deve ritirarsi eccessivamente con l'essiccazione.

I metodi costruttivi sono quelli indicati per i misti granulari; il costipamento viene effettuato con rullo
a piede di montone seguito da gommato su spessore ≥ 15 cm. Baulatura al 2% o meno.

Se protetti da un trattamento bituminoso di superficie, la degradazione della struttura nel tempo


non è maggiore di quella eseguita a macadam.

1.13.2 - Massicciate o strati di base in pietrisco

Si è già detto che i tradizionali macadam all'acqua sono in disuso. I macadam a secco invece sono
tuttora utilizzati sopratutto nel rafforzamento di vecchie strutture ammalorate, richiedendo sempre
uno strato superiore di protezione in conglomerato bituminoso. Si distinguono due tipi usati
alternativamente a seconda delle disponibilità del materiale nella zona:

- macadam a strato sottile (minimum dei francesi) che viene steso per uno spessore compatto di
(D+1) cm (essendo D il massimo diametro dell'aggregato) utilizzando materiale ottimale, a
granulometria controllata, in cui la qualità supplisce allo spessore. E’ la regolarità dei grani che
permette una stesa corretta, normalmente a mezzo motorgrader e rullata con rullo a cilindri lisci.
La granulometria è molto serrata: 40/60, 50/70 o 60/80 mm con tolleranza 0 per la dimensione
massima mentre per la minima si accetta una variabilità entro valori 5÷10%. Quanto alla forma dei
grani si richiedono elementi cubici (può valere al riguardo la regola per cui la somma della
lunghezza e della larghezza deve risultare inferiore al quadruplo dello spessore) mentre per la
durezza si richiede un coefficiente Deval di 15÷16 per strade a forte traffico ed un minimo di 9÷10
per le altre.

- macadam a granulometria distesa: alla più larga tolleranza granulometrica si supplisce con
spessori più consistenti. Sono impiegati in alternativa ai precedenti quando i costi di trasporto
incidono meno. La granulometria si distribuisce entro 20/70 mm÷20/80 mm dove il vantaggio di
82
questi macadam risiede nella loro pienezza che riduce le deformazioni dovute a riempimenti dei
vuoti ed a frantumazione sotto il rullo; si possono così usare elementi semi-teneri (coefficiente
Deval 8÷12) e pertanto la granulometria iniziale si modifica notevolmente col costipamento con
forte formazione di fine.

Lo spessore dello strato è normalmente > 15 cm. Una tecnica impiegata sovente consiste nella
stesa di 2 strali: una sotto-base in macadam a granulometria distesa o, al limite, un tout-venant di
cava con sopra un macadam sottile. Di conseguenza il confine coi misti granulari di cui al
paragrafo successivo è indefinito. Per il costipamento s’impiegano rulli vibranti o a cilindri da 6÷7 t
su sottofondi nuovi e da 12 t su vecchie strade cominciando sempre dai bordi; dopo alcuni
passaggi si spande, se é il caso, la frazione fine (passante il setaccio da 15 mm al 90÷100%,
nonché passante il setaccio da 0.15 mm tra 0÷30%) facendola penetrare con scope meccaniche.

1.13.3 - Basi e sotto-basi in misto granulare

Il termine è più descrittivo che specifico intendendosi l'utilizzo, oggi predominante nelle costruzioni
stradali, di miscele naturali o artificiali (stabilizzati) di pietrisco, ghiaia, sabbia e argilla (quest’ultima
in misura minima) per la formazione degli strati di sotto-base e di base sui quali sono poi stesi gli
strati bituminosi.

I materiali provengono da cave opportunamente scelte, passati eventualmente ai frantoi ed ai vagli


o, ancora, stabilizzali meccanicamente quando la loro granulometria non risponde ai requisiti
richiesti per formare miscele atte a consolidarsi per costipamento.

II materiale di fiume è in genere di buona qualità anche se sovente il contenuto d’argilla è


insufficiente. Il materiale reperibile nei depositi alluvionali, specie se si presenta come un
aggregato cementato, è spesso eccellente. I requisiti richiesti sono quelli riportati in Tab. 1.14
(norme AASHTO) e comunque:

- maggiore è l'angolosità degli elementi e migliore è la legatura; il materiale di frantoio è quindi


desiderabile ed una % di esso deve essere sempre presente nella miscela. Ogni cava contenente
almeno il 20÷25% di elementi eccedenti la pezzatura massima ammessa giustifica l’installazione di
un impianto di frantumazione; in caso diverso vanno tolti mediante il vaglio ed utilizzati
diversamente (nei vespai, per murature etc.). Se tuttavia è accettabile per una sottobase un indice

Tab. 1.14 – Norme AASHTO per sottobasi granulari tipo C.

- di frantumazione (o % di granuli frantumati perché eccedenti la pezzatura ammessa)


relativamente basso, per una base deve sempre essere > 60.

83
- per quanto concerne durezza, non gelività e resistenza chimica il materiale deve presentare
una resistenza alla frammentazione (valori della prova Los Angeles < 30 per sottobasi e < 20 per
basi) ed all'usura specie in presenza di acqua (valori della prova Deval umida > 5 e > 7
rispettivamente per sottobasi e basi);

- per quanto attiene alla purezza con riferimento al contenuto d’argilla, l'Indice di plasticità non
deve essere misurabile e l'equivalente in sabbia della relativa prova deve essere > 40 sia per una
base che per una sottobase qualora si tratti di una strada importante. Ed appunto in base a questa
valutazione, sovente i Capitolati dividono i misti granulari in classi:

- la classe A per sottobasi, la più utilizzata, ammette elementi fino a 75 mm con un livello entro
35÷70% passante al setaccio da 5 mm ed un livello entro 0÷15% di fine; la classe C, la migliore,
richiede i requisiti di cui alla Tab. 1.14;

- per le basi, i requisiti della classe sono riportati in Tab. 1.15. Le classi B e C sono miscele
stabilizzate meccanicamente con tolleranze più strette.

Tab. 1.15 – Requisiti dei granuli di materiale per base classe A.

Per le basi si richiede inoltre :

- alla prova del solfato di sodio perdila max 10%;

- alla prova del solfato di magnesio perdita max1 2%;

- alla prova all'abrasione perdita max 40%;

- elementi oblunghi max 5%; particelle friabili max 0.25%.

Il Road Research Lab. (Tab. 1.16) richiede che il passante al setaccio n. 36 abbia un LL ≤ 25 ed
un IP ≤ 9.

84
Tab. 1.16 – Requisiti dei granuli di base secondo RRL.

La Società Italiana Autostrade per la fondazione o sottobase prescrive:

- dimensione max aggregato 71 mm; esclusa la forma appiattita, allungata o lenticolare;

- granulometria compresa nel fuso di cui alla Tab. 1.17;

- rapporto tra il materiale passante al vaglio 0.075 mm ed il passante a 0.4 mm < 2/3;

- perdita di peso alla prova Los Angeles eseguita sulle singole pezzature, < 30%;

- equivalente di sabbia misurato sulla frazione passante al n. 4 ASTM entro 25÷65 con richiesta
di verifica CBR se il valore è < 35;

- indice CBR a 4 giorni di imbibizione, eseguito sul passante al crivello 25 ≥ 50 (norma AASHTO
180-57 metodo D);

- valore del modulo di deformazione (Md), misurato con la piastra da 300 mm sullo strato
costipato, nell'intervallo 1.5÷2.5 kg/cm2 non deve risultare < 800 kg/cm.

Tab. 1.17 – Fuso richiesto dalla SIA per materiale granulare di sottobase.

85
1.14 - Stabilizzazione delle terre

Il suolo é fisicamente costituito da 5 elementi combinali tra di loro in varie proporzioni: ghiaia,
sabbia, limo, argilla e materiale organico. Le proporzioni di questi elementi definiscono il carattere
del suolo mentre l'acqua, sempre presente, può alterarne il comportamento.

Escludendo i materiali organici, i cui effetti sono sempre negativi, le terre coesive presentano
resistenza decrescente con l'aumento del contenuto d'acqua e, pertanto, in campo stradale, sono
tollerale in % ridotte; tutte !e terre, comunque, raggiungono la massima densità e stabilità se
compattate con una quantità ottimale d'acqua.

La stabilizzazione è il processo di trattamento del suolo per cui:

- s’impedisce che le sue proprietà siano alterate eccessivamente dall'acqua;

- se ne migliorano le caratteristiche di portanza;

Si deve quindi parlare di 2 diverse azioni, per quanto non chiaramente separate, tendenti, la prima,
a preservare l'umidità ottimale mediante:

- l'addensamento dei grani mediante compattazione;

- la protezione della superficie mediante un manto impermeabile (ad es. bitume); oppure,
contemporaneamente:

- interponendo una membrana isolante a separazione dello strato sottostante da quello trattato;

- assicurando il drenaggio;

- addizionando al materiale sostanze che ne limitino l'assorbimento dell'acqua e che agiscano


nel contempo da legante;

- applicando al terreno differenze di potenziale elettrico a mezzo di elettrodi metallici (usato solo
in casi particolari).

La seconda azione tende ad aumentare la consistenza del suolo modificandone la composizione


granulometrica (stabilizzazione meccanica o granulometrica) oppure mediante l'addizione di uno
stabilizzante di natura chimica così da elevare l'attrito interno o la coesione.

Le caratteristiche dello stabilizzante ideale da addizionare ad una terra sono:

- adattabilità a tutti i tipi di terra, con ogni temperatura e condizioni ambientali;

- economicità, facili reperibilità, stoccaggio e trasporto;

- efficacia in piccole quantità, senza catalizzatori o attivatori;

- buona lavorabilità che consenta il costipamento dello strato trattato prima di reagire.

Nessuno degli stabilizzanti conosciuti possiede tutte queste caratteristiche:

- dei leganti idraulici ed aerei (le norme CNR indicano adatti per questo tipo di stabilizzazione le
terre A2-6, A2-7, A6 e A7) il cemento richiede alte %, produce un agglomerato privo d’elasticità,

86
richiede un’accurata messa in opera ed è deteriorabile; la calce si addice solo alle terre argillose
ed ha compiti limitati; le loppe non sono sempre economicamente reperibili;

- il bitume non è adatto per le terre argillose ed è economicamente svantaggioso;

- i prodotti chimici (nitrati e solfati) hanno anch'essi dei limiti d’impiego, sono costosi e d’efficacia
non ancora accertata nel tempo.

1.14.1 - Preliminari per stabilizzazione di uno strato della struttura; metodi costruttivi

La stabilizzazione può essere estesa a qualunque strato della struttura stradale dal sottofondo alla
base ed anche a più strati quando la situazione lo richieda. I metodi per realizzarla sono tre:

- miscelazione in sito (mix-in-place);

- impianto mobile (travelling plant);

- impianto fisso o centrale (centrai plant).

Alle operazioni preliminari necessarie, qualunque sia il metodo adottato, vanno aggiunte quelle
specifiche. Appartengono alle prime:

- l'analisi delle terre da stabilizzare per identificarne caratteristiche e difetti;

- la scelta dello stabilizzante più adatto, della sua quantità percentuale, del metodo di
stabilizzazione tenendo conto della sua disponibilità in situ (distanza d’approvvigionamento,
quantità etc.) e delle condizioni ambientali;

- la determinazione dello spessore dello strato da trattare e dell'umidità ottimale per il


costipamento;

- il controllo topografico delle quote in asse ed ai bordi ;

- l'esame delle condizioni dì traffico (specie se trattasi di strada esistente) e delle possibili
deviazioni durante i lavori;

- lo studio delle modalità d’esecuzione in base ai programma generale dei lavori, ai mezzi
disponibili nel periodo scelto alla stagione etc.

E nel caso di miscelazione in situ:

- la verifica del grado di preparazione del materiale da stabilizzare: eventuale segregazione, grado
di polverizzazione del fine, contenuto di umidità esistente.

Mentre negli altri due casi è necessario:

- approvvigionare l'aggregato per almeno il 50% del totale prima di iniziare i lavori assicurandosi
della efficienza degli impianti di cava;

- curare la posizione e le dimensioni delle aree di stoccaggio, la protezione dello stabilizzante


dalle intemperie, le piste di accesso;

87
- nel caso di una strada esistente, riportare il livello delle banchine alla quota della superficie finita
della base costipando le stesse dopo avere eventualmente ripristinato l'efficienza dei drenaggi.

1.14.2 - Metodo della miscelazione in situ

Utilizzando tale procedura viene impiegato un treno di macchine in successione e le operazioni si


svolgono come segue:

- preparazione dello strato livellando e sagomando con l'aiuto di picchetti in quota ogni 15÷25 m ai
lati della formazione e, nel caso di sottofondo rimuovendo prima sassi, radici, cespugli etc;

- scarificazione e polverizzazione operando sempre dai lati verso il centro e risagomando con la
livellatrice (grader);

- spandimento dello stabilizzante: preventivamente disposto, se in polvere, ai Iati della strada;


l'operazione viene eseguita a mano utilizzando invece un distributore mobile se liquido;

- mescolamento con attrezzi a dischi e a pale; se lo stabilizzante é in polvere lo si mescola alla


terra a secco continuando quindi con l'aggiunta d’acqua fino a che la miscela assume un colore
uniforme; la provvista dell'acqua deve esser assicurata in modo da evitare interruzioni;

- costipamento impiegando rullo dei tipo e peso adatti e senza eccedere nei passaggi; per le terre
sabbiose si raccomandano i rulli vibranti;

- stendimento del manto di protezione; nel caso di stabilizzazione con cemento la prima mano di
bitume va applicata subito per mantenere l'umidità ed evitare il riscaldamento del legante;

- l'impiego del grader è richiesto durante le seguenti fasi:

- preparazione iniziale della superficie;

- dopo la scarificazione e polverizzazione;

- durante la miscelazione per mantenere le quote;

- alla fine del rullaggio.

1.14.3 - Metodo dell'impianto mobile

Le operazioni sono simili alle precedenti con l’eccezione che il materiale è polverizzalo e
mescolato con lo stabilizzante e con l'acqua in una macchina semovente il cui schema è riportato
in Fig. 1.56 e che deposita la miscela pronta per lo spandimento ed il costipamento.

88
Fig. 1.56 – Schema d’impianto mobile per la stabilizzazione.

Presenta il pregio, rispetto al metodo precedente, di una miscelazione più uniforme, più rapida e
più controllata nella dosatura; per contro si rivela più costoso e, nel caso di guasto alla macchina,
viene arrestata l'intera operazione.

1.14.4 - Metodo dell'impianto fisso

E' oggi il metodo più usato e più razionale per la stabilizzazione di sottobasi e di basi nei grandi
lavori stradali. La miscela è preparata in un impianto centrale a produzione continua e quindi
trasportata sul luogo d’impiego con autocarri per i successivi spandimento e compattazione.

Fig. 1.57 – Schema d’impianto di centrale continua per stabilizzazione con leganti idraulici.

Uno schema di centrale continua è riportato in Fig. 1.57 e comprende:

- un insieme di tramogge di dosaggio (3 o 4), una per ogni taglia di aggregato ad es. 0/4; 4/10;
10/20 approvvigionate da pale caricatrici gommate (A); i materiali ne sono estratti coi nastri (N);
che ne assicurano il corretto dosaggio con le diverse velocità. Il dosaggio è pertanto volumetrico
ma con controllo ponderale che assicura uno scarto massimo entro 3÷5%.

- 2 silos (ciascuno contenente il consumo giornaliero) per il cemento od altro stabilizzante


polverulento (S); nel caso invece di materiale granulare si utilizza una delle tramogge (A). (D) è il
distributore alveolare.

- un’apparecchiatura per il dosaggio dell'acqua comprendente un serbatoio (B), una pompa (P)
ed un dosatore (G).

89
- un miscelatore (M) del tipo a 2 alberi ed a pale posto in basso per una manutenzione più facile.

- una tramoggia di carico (U).

La produzione è in genere regolata sulle 300 t/h. L'organizzazione dei trasporti dalla centrale alla
strada è molto importarne. Ad evitare interruzioni e opportuno impiegare una flotta omogenea di
ribaltabili il cui numero deve eccedere di almeno una unità quello necessario, programmando i
tempi di arresto con le esigenze di fabbricazione e posa. l! tempo di trasporto, nel caso dì
stabilizzazione con cemento, non dovrebbe eccedere mediamente i 30 minuti con temperature
medie. Lo spandimento dei cumuli, che vanno opportunamente disposti in base allo spessore dello
strato, è usualmente eseguito col grader.

1.14.5 - La stabilizzazione meccanica delle terre

Premesso che uno strato di materiale è meccanicamente stabile quando sotto il carico previsto
resiste allo spostamento laterale, la miscela di terre più rispondente a tale requisito è quella
composta da: ghiaia o pietrisco di diverse pezzature a sufficiente resistenza alla frantumazione,
sabbia, limo e argilla.

Il tutto correttamente proporzionalo e costipato. Con la stabilizzazione granulometrica o meccanica


si tende così a portare i vari componenti la miscela nelle giuste proporzioni rimediando alle
eventuali mancanze. La sua principale applicazione è negli strati di base. Le corrette proporzioni
per i vari tipi di basi e sottobasi sono riportate nel precedente paragrafo mentre le procedure per
ottenerle sono illustrate nel Vol. 2°.

Come illustrato in Fig. 1.58 per la stabilizzazione chimica è necessario che il materiale abbia una
determinata granulometria; se quello disponibile non rientra nel fuso di prescrizione si può ricorrere
prima alla stabilizzazione meccanica mediante vagliature e miscele.

Fig. 1.58 – Tipo di stabilizzazione più idoneo in base alla plasticità della terra ed al passante al setaccio n. 200 (0.075).

90
1.14.6 - Stabilizzazione con cemento

II cemento esercita sul materiale da stabilizzare 2 azioni:

- azione correttiva di natura fisico-chimica che si esplica sulle terre coesive riducendone gli
inconvenienti provocati dall'eccesso di acqua ed in particolare diminuendo la plasticità;

- azione legante che si manifesta su tutte le terre trattale.

In teoria, tutte le terre polverizzabili possono essere stabilizzate con cemento; i migliori risultati si
hanno tuttavia sulle terre poco. argillose, sui limi, sulle sabbie e soprattutto sui misti granulari
ottenendo i cosiddetti misti cementati che per la loro elevata coesione si avvicinano ai calcestruzzi
magri. Sono da escludere le terre ricche di sali, soprattutto solfati, e quelle contenenti più del 3% di
sostanze organiche (che peraltro possono essere in parte neutralizzate con l'aggiunta di una %
pari a 0.5÷1% di CaCl.

a) Caratteristiche delle terre stabilizzabili

I limiti entro i quali una terra può essere economicamente stabilizzata sono, secondo il Road
Research Laboratory:

massima pezzatura dei grani 78 cm

passante il setaccio da 5 mm > 50%

passante al setaccio n. 36 BS >15%

passante al setaccio n. 200 BS < 50%

Limite liquido < 40%

Indice di plasticità < 18%

Per uno strato di base e traffico pesante i LCPC prescrivono :

- massima pezzatura grani........ 20 mm

- curva granulometrica compresa nel fuso in Fig. 1.59

- Indice di frantumazione > 40%

- Coefficiente Deval umido >3

- Coefficiente Los Angeles < 30

- Equivalente di sabbia > 30

- Indice di plasticità misurabile

- materie organiche < 3%

91
Fig. 1.59 – Fuso granulometrico secondo le prescrizioni LCPC.

b) Qualità del cemento e dell'acqua

Si può usare qualsiasi tipo di cemento che soddisfi alle norme sui leganti idraulici con preferenza
per il tipo normale 325 ed escludendo i cementi ad alta resistenza o a presa rapida per i minori
tempi di lavorabilità che consentono. L'acqua deve risultare esente da sostanze organiche, argille
e sali che possono alterare la presa del legante.

c) Analisi di laboratorio necessarie

- Identificazione della terra: analisi granulometrica, limiti di Atterberg; gravità specifica, % di


materia organica e di solfati; da queste prove si può stabilire se la terra è adatta alla stabilizza-
zione ed ottenere un orientamento sulle modalità esecutive.

- Prove di costipamento: per analizzare il comportamento della terra con diverse percentuali di
cemento e definire densità max ed ottimale di umidità (OMC); si adotta la prova Proctor modificata,
dove un campione della terra previamente pesato (15÷20 kg) e passato al setaccio da 25 mm,
viene essiccato all'aria e poi ripesato per ricavare la % d’acqua perduta. Si divide poi il campione
in 8 parti ed ognuna di esse è bagnata con diversi quantitativi d’acqua con scarti di 1.5÷2 punti tra
due successivi provini così da includere il probabile ottimale. I provini vengono quindi posti in
recipienti ermetici per 24 ore onde consentire un’uniforme distribuzione dell'umidità. Si aggiunge il
cemento in % diverse nel campo ottimale per quel tipo di terra (Tab. 1.18) mescolando
uniformemente e quindi costipando secondo le modalità della prova Proctor modificata per ricavare
la densità max e l'OMC. In campagna, la densità da raggiungere non deve essere < 95% di quella
ottenuta nella prova suddetta.

- Prove di compressione, % di cemento: contrariamente alla stabilizzazione con bitumi, non


esiste un ottimale del legante oltre il quale si ottiene un peggioramento delle caratteristiche della
miscela; ad un aumento del % di cemento corrisponde, entro certi limiti, un aumento della
resistenza meccanica e sono pertanto le considerazioni economiche che limitano tale %.

92
Tab. 1.18 – Quantità usuali di cemento per i diversi tipi di terre.

Pertanto, sulla base della Tab. 1.19, si dà la preferenza a quel minimo di cemento indispensabile
per raggiungere gli scopi richiesti, e cioé:

- attitudine dello strato trattato a sopportare e distribuire i carichi previsti senza deformarsi e
fessurarsi;

- durata nel tempo sotto l'effetto dei carichi ripetuti e delle variazioni di clima.

L'eccesso di cemento, peraltro, accentua il fenomeno del ritiro provocando fessura/ioni accentuati1,
che indeboliscono lo strato (quelle capillari, anche se diffuse,non sono dannose).

La quantità di cemento è determinala misurando la resistenza a compressione di campioni


preparati con diverse %

Dopo aver dosalo gli inerti conformemente alla curva granulometrica scelta, eliminando il ritenuto
al setaccio da 25 mm, si preparano 4 provini per ciascun impasto contenente la medesima % di
cemento e d’acqua; sulla base del tipo di terra si preparano vari impasti con diverse % di cemento
e d’acqua.

Fig. 1.60 – Risultati prove Proctor.

93
La forma dei provini e le modalità dì compattazione variano per i diversi Paesi; le norme CNR
prescrivono l'uso delle fustelle CBR in cui la miscela è compattata in 5 strati con 85 colpi per strato
dell'apposito pestello. Determinato il peso umido dei provini al netto della fustella, il peso di volume
secco è:

γd (dm3) = Pw/V[1+ (w/100)]

dove Pw è il peso del provino umido (kg); V il volume dello stampo (3.24 dm3); w è la % d’acqua.

I provini sono poi conservati nelle fustelle in ambiente umido per 24 h e quindi estratti per farli
stagionare nel medesimo ambiente per 6 giorni.

Segue quindi la prova a rottura per compressione applicando il carico normalmente alle due facce
in ragione di 10 kg/cm2/s. Si assume come carico di rottura la media dei valori ottenuti nei 4 provini
se le differenze non superano il 20%; in caso contrario si scarta quello anomalo o si ripetono le
prove se le differenze oltre il 20% interessano più di un provino.

Le norme CNR prescrivono quindi controlli in corso d'opera su campioni di miscela prelevata
subito dopo la stesa interrompendo la presa del legante con alcool etilico.

Sia Pt il peso del campione essiccato sul quale è effettuata l'analisi granulometrica per via umida; il
peso totale degli inerti Pi cui riferire il peso delle frazioni del passante ai vari setacci è dato da:

Pi = Pt/(1+c/100) in g

dove c rappresenta la % di cemento con cui si è eseguito l'impasto.

La densità secca della miscela costipata in situ non dovrà essere inferiore, come già detto, al 95%
di quella determinata in laboratorio con la Proctor modificata.

- Prove di durevolezza (Prove AASHTO T 135/70 e T 136/70) non prescritte da! CNR: si tratta di
prove d’imbibizione-prosciugamento e gelo-disgelo che vengono eseguite sullo stabilizzato che
appartiene ai 5 cm superficiali dello strale e comunque quando si teme l'azione dell'acqua e del
gelo. Si utilizzano 4 provini cilindrici per ognuno dei contenuti di cemento più significativi costipati
con l'OMC a coppie per ciascuna prova. Per la prova d’imbibizione i provini, dopo 7 giorni di
stagionatura in ambiente umido, sono immersi in acqua per 5 ore.

Misurati e pesati sono poi messi in forno a 70° per 42 ore.

Di ogni coppia eguale, il primo provino è misurato e pesato, il secondo, dopo pesatura è
spazzolato con una particolare procedura (la spazzola è di ferro) quindi pesato nuovamente.

L'operazione è ripetuta dopo 12 cicli di immersione in acqua ed essiccazione.

Per la prova gelo-disgelo, i campioni sono prima tenuti in frigorifero a -23°C per 22 ore ed
altrettante a temperatura normale in ambiente umido. Si procede poi come nella prova precedente.

II dosaggio minimo del cemento da applicare è quello che:

a) dia perdite di peso della miscela rispetto ai peso iniziale, dopo 12 cicli di imbibizione-
essiccamento e dopo 12 cicli di gelo-disgelo inferiori a:

per terre A1a, A1b, A3, A2-4, A2-5 max 14%

94
per terre A2-6, A2-7, A4, A5 max 10%

per terre A6, A7-5, A7-6 max 7%

b) nelle prove precedenti, la variazione di volume dei provini non superi il 2%;

c) dia contenuti di umidità, durante le prove (a) non superiori alle quantità che possono riempire
tutti i vuoti dei provini all'atto della confezione e fornisca una resistenza alla compressione
crescente col trascorrere del tempo e col l'aumento del dosaggio del cemento, nei limiti dei
dosaggi di cui ai punti (a), (b) e (c) precedenti.

d) Resistenze richieste: iI valore della resistenza a compressione dei provini dopo 7 gg di


stagionatura se si tratta di uno strato isolalo dagli effetti dell'acqua e del gelo deve essere
compreso tra 20÷70 kg/cm2; se invece soggetto agli effetti dell'acqua ma non del gelo 35÷90
kg/cm2. (Le norme CNR fissano i limiti 30÷70 kg/cm2 per entrambe i tipi A1 ed A2).

e) Posa in opera della miscela: si è già detto della poca idoneità delle terre argillose alla
stabilizzazione con cemento sebbene in USA e UK si siano ottenuti risultati relativamente
soddisfacenti. In ogni caso le stesse devono essere preventivamente essiccate e frantumate per
poter mescolare il cemento in modo omogeneo; a tale scopo può risultare conveniente lo
spandimento iniziale di circa il 2% di calce viva facilitante lo sbriciolamento. La tecnica, nel caso di
miscelazione in situ, è quella riportata in precedenza ricordando che la densità da raggiungere
deve essere pari al 97÷100% della densità Proctor modificata a seconda dell'importanza dello
strato.

f) stabilizzazione delle sabbie limose: la sempre minor disponibilità di giacimenti di ghiaia in natura
e comunque appartenenti ai gruppi A1, A2-4 A2-5 e A3 e per contro l'esistenza di notevoli depositi di
sabbie con Ø < 2 mm e di limi appartenenti al gruppo A4 porta sempre più all'utilizzo di questi ultimi
nella costruzione di rilevati e di sottobasi ricorrendo alla loro stabilizzazione con cemento. I
materiali sabbioso-limosi debbono comunque rispondere a requisiti minimi quali un Limite Liquido
≤ 25 ed un Limite Plastico non determinabile, pertanto con IP = 0.

L'equivalente in sabbia che caratterizza la quantità e qualità del fine non deve risultare < 11÷12,
valore che già ammette particelle finissime. L'umidità ottimale ricavata alla prova Proctor
modificata di questi materiali è dell'ordine dell'11÷12% con una curva molto acuta il che richiede in
campagna un accurato controllo dell'umidità in fase di costipamento. L'indice CBR pre-saturazione
è abbastanza elevato (30-40%) e post-saturazione varia dal 3÷4% al 15% con umidità ottimale,
effetto che dimostra come queste sabbie, se non stabilizzate, abbiano limiti d’applicazione assai
ristretti durante l'anno in quanto molto suscettibili all'acqua. Lo stabilizzante più idoneo risulta il
cemento 325 nella proporzione del 6÷9 % in peso dell'inerte. Risultano significativi i carichi di
rottura di campioni stabilizzati con diverse % di cemento (valori medi).

g) la terra-cemento (soil-cement): per quanto il termine sia generalmente attribuito ad una terra
stabilizzata con cemento, più propriamente s’intende una miscela contenente mediamente il 10%
di cemento usata con buoni risultati nella costruzione dei rilevati stradali, degli argini, delle dighe in
terra etc. dove è utilizzata quale strato protettivo esterno con spessori minimi di cm 60 in
sostituzione di altre più costose strutture (rivestimenti in ghiaia, calcestruzzo etc.). La miscela, in
cui gli inerti debbono, possibilmente, godere di una granulometria varia, è preparala in cantiere
centrale e posta in opera in parallelo alla stesura degli strati della terra comune non trattata; e
questo per facilitarne il costipamento.

h) prescrizioni sulla stabilizzazione con cemento:

95
- compattare con leggero eccesso d’acqua rispetto all’OMC; nei caso di sabbia a
granulometria uniforme (richiedente sempre un’elevata quantità di cemento) l'impiego di rulli
vibranti porta ad un abbassamento dell'OMC rispetto a quello di laboratorio; risultano necessarie,
pertanto, delle prove in situ prima di dar corso ai lavori, prove che, peraltro, è sempre opportuno
eseguire anche in presenza di altre terre, in quanto il cemento non è riutilizzabile nel caso che. non
raggiungendo la densità prescritta, sia richiesto di ripetere le operazioni;

- compattare il più presto possibile e comunque prima dell'inizio della presa usando la
macchina adatta per il tipo di terra controllando continuamente densità ed umidità possibilmente
con nucleo-densimetri che forniscano risultati immediati; si richiedono, poi, 7 giorni di stagionatura
con le medesime avvertenze applicate per i calcestruzzi. Il traffico di cantiere è ammesso dopo
2÷3 gg solo per i veicoli gommati e se la superficie è stata ricoperta da uno strato di emulsione;

- la resistenza della terra stabilizzata é sempre inferiore a quella ottenuta in laboratorio;


differenze del 10÷40% sono nella norma mentre l'entità dello scarto dipende dall'esperienza del
personale e dall’idoneità del macchinario; pertanto, temendo carenze in tal senso, è opportuno
aumentare la % di cemento suggerita dalle prove;

- la resistenza della miscela aumenta col tempo; mentre con basse % di cemento l'aumento è
costante durante i primi 28 gg, se la % è alta (8÷10%) si perviene al 60÷70% del totale nei primi 7
giorni;

- stabilizzare con temperatura ambiente ≥ 0°C e ≤ 25°C; se la temperatura è elevata risulta


opportuno bagnare il piano di posa;

- non operare sotto la pioggia;

- il tempo intercorrente tra due strisce affiancate non deve superare le 2÷4 ore a seconda della
temperatura ambiente;

- il comportamento di una terra stabilizzata non è sempre tanto migliore quanto più la resistenza a
trazione risulta elevata; essendo, infatti, sempre possibili delle fessurazioni dello strato, queste si
rivelano più marcate nel materiale più resistente con maggiori rischi di una futura degradazione;

- le ghiaie ad elementi molto arrotondati e le sabbie pulite, presso che incompattabili allo stato
naturale, traggono giovamento in tal senso dall'aggiunta di cemento sempre che si proceda al
costipamento dopo qualche ora dalla stesa;

- dopo il costipamento lo stabilizzato conserva un 15÷17% di vuoti (contro il 22÷24% se lo


stabilizzante è calce o loppa d'altoforno) che in parte contengono acqua necessaria per la presa
del legante.

1.14.7 - Stabilizzazione con loppe d'altoforno (laitier)

Le loppe, provenienti direttamente dagli altiforni, sono costituite principalmente da calce, silice,
allumina ed ossidi di ferro mentre la granulazione è ottenuta con getti d'acqua sulle scorie fuse. La
loro utilizzazione in campo stradale è dovuta all'azione legante che si sviluppa quando vengono
poste a contatto, in presenza d’acqua, di un catalizzatore (normalmente calce) in grado di creare
un ambiente basico. Vengono pertanto aggiunte agli usuali misti granulari (indicativamente:
Pietrisco 25÷30% - Graniglia 3/15 50% e sabbia 20%) anche se si possono ottenere risultati
soddisfacenti utilizzando solamente sabbie, grosse e fini, aventi, tuttavia, un buon coefficiente Los
Angeles (> 35) ammettendo anche una % di limo purché la frazione fine, nel complesso, abbia un
Indice plastico < 15.

96
Le loppe vanno aggiunte in una % variabile entro 12÷25% e con tali percentuali si raggiunge una
resistenza a compressione ed a trazione della miscela < 20% rispetto alla miscela aggiunta di
cemento al 4÷5%. Il ritiro dovuto alla presa idraulica è ininfluente mentre quello termico ha luogo
con scarti di temperatura superiori ai 12°C.

Il catalizzatore entra nel processo in % minima (1%) e se si tratta di calce idrata deve avere
finezza Blaine pari a 7000 cm2/g ed un tenore di calce libera > 50%. Maggiore è la frantumazione
della loppa (la cui granulometria è normalmente compresa tra 0 e 5 mm) più intensa si rivela
l'energia di legamento. La preparazione della miscela, assieme all'aggiunta d’acqua (50-60 l/m3)
deve avvenire in centrale ed una volta in silo il prodotto si comporta come un buon misto granulare
non legato; col tempo, poi, assume una certa rigidità sebbene la deformabilità a rottura sia buona.
Lo spargimento della miscela, per uno spessore usuale di 30÷40 cm sciolti, deve essere effettuato
preferibilmente col motorgrader ed il costipamento con rullo vibrante (a media vibrazione) da 8÷10
t ha luogo dopo 2 ore dallo spandimento, effettuando 3÷4 passate cui è opportuno far seguire un
rullo statico da 12 t, preferibilmente gommato, le cui passale sono più numerose.

L'ottimale di umidità per il costipamento, da accertare comunque con la prova Proctor, assume
valori ~6÷7% elevabili fino al 12% se si sono utilizzate sabbie quale inerte.

E' sempre consigliabile il riposo dello strato costipato; anche per qualche settimana, se possibile;
se, al contrario, si dovesse aprire il manufatto subito al traffico (in ogni caso dovrà limitato ai veicoli
leggeri per primi 15÷25 giorni) si rivela opportuna la stesa di un velo d’emulsione bituminosa
basica al 55% (1.5 kg/m2) saturata con sabbia, al fine di evitare il disgregamento dello strato
superficiale. Un’alternativa alla stesa del bitume può essere rappresentata dal mantenimento per
qualche giorno dell'umidità ottimale, sebbene un eventuale eccesso di acqua, come ad es. in
presenza di pioggia, non sia dannoso.

La presa lenta delle loppe d'alto forno, oltre a consentire tempi lunghi nella messa in opera,
consente inoltre, come avviene con la calce, di scarificare e ricompattare eventualmente lo strato
che non ha raggiunto la densità richiesta.

Uno spessore compattato di 25 cm in un pavimento stradale sostituisce vantaggiosamente una


sottobase convenzionale di 30 cm, consentendo inoltre una riduzione dello spessore del
conglomerato bituminoso di base dai 10÷14 cm usuali a 6÷8 cm.

E' richiesto, tuttavia, un buon sottofondo o, nel caso di un rilevato, dell'ultimo strato di 30 cm che
deve essere costituito da materiale non inferiore alla classificazione A2a-A2 e con modulo minimo di
deformazione E = 500 kg/cm2 da accertare con la prova della piastra.

In ogni caso, caratteristiche qualitative inferiori del sottofondo possono essere eventualmente
rimediate conferendo maggior spessore allo strato stabilizzato.

1.14.8 - Stabilizzazione con calce

Nei cantieri italiani la stabilizzazione con calce viene regolata dalle norme CNR che, per la
bisogna, sono tuttavia spesso giudicate troppo parziali e limitate. La calce viva o spenta (più
frequentemente la seconda per ragioni di sicurezza e praticità) vengono usate per stabilizzare terre
molto plastiche (IP >18÷20) ottenendo su esse i seguenti effetti:

- diminuzione della plasticità per flocculazione delle particelle d’argilla cui deriva una certa
friabilità del materiale che diventa, così, più lavorabile mentre il Limite liquido varia di poco,
aumentando per contro quello plastico con conseguente riduzione dell’Indice di plasticità (fino al
40%) se l’IP è dell’ordine di 30÷40.

97
- diminuzione dell'attitudine della terra a modificare il suo volume;

- aumento del limite del ritiro;

- aumento dell'ottimale d’acqua (OMC) per compattare il che consente questa operazione con
terre molto umide come è il caso delle argille (anche 10% in più); ad esso fa riscontro una
diminuzione della densità massima;

- appiattimento della curva Proctor, effetto che facilita il costipamento in quanto s’allarga la fascia
dell'OMC; il fenomeno si riscontra solo con IP > 10, in caso contrario la tendenza è opposta;

- aumento della resistenza della terra per l'azione cementante della calce.

Questi effetti richiedono per manifestarsi un tempo variabile dai 3 ai 14 giorni, è invece necessario
qualche mese per l'ultimo elencato.

La calce è economica, non è di difficile lavorazione; lo strato trattato che non abbia raggiunto la
densità voluta può essere scarificato e costipato nuovamente senza aggiunta di altra calce
(contrariamente al cemento); non risente degli aumenti dì umidità.

E' tuttavia sconsigliabile per le terre incoerenti a meno che non sia addizionata a ceneri, pozzolane
o argilla in quanto l'azione cementante dipende dal contenuto nella miscela di silice ed allumina. In
presenza di terre molto argillose è preferibile la calce viva (CaO) che, prodotta in zolle, viene
polverizzata per l'uso; il problema infatti per le argille è spesso l'eccesso di umidità che viene così
corretto, oltre che con l'apporto di materiale secco, col calore sviluppato dalla combinazione della
calce viva con l'acqua del terreno per formare la calce idrata Ca(OH)2.

Fig. 1.61a - II fuso di Walter Brand che definisce le terre stabilizzabili con la Calce ed altri leganti.

Ottimi risultati si ottengono con le terre pozzolaniche che con la calce acquisiscono notevoli
proprietà meccaniche e refrattarietà all'acqua dopo costipamento (miscela consigliata: 80%
pozzolana, 20% inerte calcareo 5/18 mm, 2÷4% calce); evitare la stagionatura con clima secco per
la forte caduta di resistenza che si verifica. Anche le ghiaie, cosiddette sporche (per il forte
contenuto d’argilla), migliorano notevolmente con l'aggiunta di calce.

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a) Caratteristiche delle terre da stabilizzare: le norme UNI-CNR, come s’è detto poco
soddisfacenti, affinché una terra risulti adatta alla stabilizzazione con calce prescrivono debba
essere di tipo limo-argilloso con IP > 10 (terre del tipo A6, A7) e forniscono un fuso granulometrico
ampio e poco definito.

Altrettanto superficiale si rivela l'indicazione dei dosaggi mentre altri Stati, in particolare USA e UK,
danno indicazioni più particolareggiate e significative (Fig. 1.61a).

A volte, alla stabilizzazione con calce si chiede una azione a breve termine o di bonifica nel caso,
ad es., di strade di servizio; evidentemente non è più necessario attenersi alle norme citate
essendo il rapporto spesa/beneficio impostato su basi diverse.

Al riguardo, è da notare che dopo 48 ore dalla stabilizzazione con l'1% di calce si ottiene, in una
terra limo-argillosa, una caduta dell'Indice di plasticità di 3÷5 punti che aumentano di qualche unità
con l'incremento fino al 5% del legante.

b) Qualità della calce e dell'acqua: come s’è detto i tipi di calce utilizzabili sono:

- la calce idrata in polvere;

- la calce viva macinata.

In Italia si richiede la conformità ai requisiti indicati nel R.D. 2231 del 16.10.39 e nella legge n. 595
del 26.5.65; altrettanto per le calci aeree in zolle che debbono, tra l'altro presentare, un residuo al
setaccio da 0.2 mm < 5%.

Le norme AASHO sono riportate in Fig. 1.61b. L'acqua deve essere esente da impurità dannose
(acidi) e da materie organiche.

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Fig. 1.61b – Caratteristiche della Calce (Norme AASHO).

c) Calcolo delta miscela di progetto. Prove di laboratorio: le % tipiche della calce sono:

- per strati di sottobase e base: 3÷8% (calce viva); 4÷10% ( calce idrata)

- per fondazioni e bonifiche: 1÷3% ( calce viva); 1÷4% ( calce idrata)

100
E’ da notare come la % di calce sia sempre riferita al fine; così, nel caso di ghiaie sporche, si
esclude dal calcolo il peso della ghiaia.

La terra deve essere prima classificata così come si è detto per la stabilizzazione a cemento e si
perviene poi a stabilire il % ottimale di calce e di acqua attraverso le prove di costipamento
(Proctor mod.), CBR e di compressione ad espansione laterale libera condotte su almeno 3
miscele sperimentali con diversi tenori di calce; con queste prove si può stabilire come variano i
valori massimi dell'indice CBR, della densità secca e dell'OMC nonché della resistenza a
compressione.

Si rivela utile anche la prova edometrica per ricavare l'Indice di compressibilità sebbene la teoria
della consolidazione di Terzaghi (che consente di prevedere entro 24 h quale sarà l'assestamento
totale dello strato che avrà luogo in tempi lunghi) sia scarsamente applicabile sulle miscele terra-
calce.

d) Caratteristiche di idoneità della miscela: tali caratteristiche variano a seconda degli scopi: se si
richiede alla calce un’azione di bonifica e per rendere più lavorabile una terra, oppure si vuole
anche modificare sostanzialmente le proprietà meccaniche (azione a lungo termine).

Per quanto riguarda l'indice CBR:

- nel primo caso, dopo 2 ore di stagionatura e senza imbibizione: CBR ≥ 10;

- nel caso di azione a lungo termine su strati di fondazione: CBR ≥ 20;

- su strati di base: CBR ≥ 50;

(dopo 7 gg di stagionatura e 4 gg d’imbibizione). Per la resistenza a compressione:

- nel primo caso, dopo stagionatura di 7 e 28 gg rispettivamente 3 e 6 kg/cm2;

- nel secondo, rispettivamente, 5 e 10 kg/cm2.

(su provini confezionati in fustelle CBR sformati dopo almeno 48 h).

Come accennato, risulta sovente utile l’addizione di % di pozzolana e scorie d’altoforno alla
miscela terra/calce.

e) Procedura col metodo della miscelazione in situ:

primo giorno

- scarificazione con erpice a dischi dello strato nel caso di umidità eccedente o, alternativamente,
bagnare ed attendere per circa un'ora;

- ripetere eventualmente la bagnatura e spandere quindi la coltre di calce sul terreno leggermente
al disotto dell'OMC; per l'operazione si usa lo spandicalce semovente con tramoggia chiusa
portante una coclea al suo fondo avente la funzione di distribuire regolarmente; nel caso di umidità
eccedente può convenire uno spandimento iniziale limitato (1÷2%) per favorire l'essiccazione per
poi completarlo nella giornata;

- bagnare la calce due volte: la quantità d'acqua richiesta col 3.5 % di calce è di ~25 103 l/km per
strada a due corsie; se si usa calce viva occorre, per spegnerla, il 32% d’acqua del peso di CaO o,

101
in pratica ,il 17÷20% in peso della calce; si attende qualche ora per permettere l'idratazione da
ritenersi raggiunta quando la calce si presenta secca;

- nel tardo pomeriggio miscelare la calce alla terra con mescolatore a rotore (pulvimixer) da
almeno 400 HP che operi sulla larghezza di una corsia (a velocità di rotazione variabile tra 500 e
1500 giri/m da scegliere in base alla situazione contingente); evidentemente, nel caso di due
spandimenti successivi quando la terra è troppo umida, seguono due mescolamenti;

- portare il tenore d’acqua al disopra dell'OMC di 1÷2 punti nella fase finale del mescolamento;
secondo giorno o più tardi

- assicurarsi che il tenore di acqua sia leggermente al disotto dell'ottimale;

- costipare alla densità richiesta e coprire subito, se il clima è caldo e secco o col materiale dello
strato seguente o con altri metodi (non esclusa una mano di bitume) o, ancora, mantenere bagnata
la superficie per 5÷6 gg.

Il mezzo compattivo più idoneo resta sempre il rullo a piede di montone seguito, per la finitura, da
quello gommato sempre che non si tratti di ghiaie sporche (contenenti cioè un 15÷30% di limo-
argilla) nel qual caso il primo è da escludere e, in via indicativa, un solo tipo di rullo risulta adatto,
ossia quello vibrante.

Fig. 1.62 - Variazioni dei Limiti Liquido e Plastico in funzione del % di calce nella miscela.

f) controlli in corso d'opera e su strato finito: i controlli in corso d'opera interessano soprattutto
l'Impresa esecutrice che dovrà accertarsi se l'umidità nella compattazione è quella ottimale e se i
risultati, per quanto riguarda la densità prescritta, sono buoni.

Le norme CNR prescrivono che quando la dimensione massima degli elementi lapidei è tale da
non consentire prove di densità in sito e in laboratorio (è il caso delle ghiaie sporche), si determina
il corretto costipamento dello strato eseguendo, appena ultimato, prove di carico con la piastra 30
cm per determinare il modulo di deformazione Md i cui valori minimi consentiti sono:

102
- Md = 150 kg/cm2 quando si tratti di bonifiche di terre;

- Md = 400 kg/cm2 nel caso di miglioramento di sottofondi;

- Md = 800 kg/cm2 negli strati del pavimento.

Fig. 1.63 – Aumento nel tempo della resistenza a compressione con diverse % di Calce.

Sullo strato finito si effettuano prove di densità ed eventualmente dell’Indice CBR i cui valori non
devono risultare inferiori a quelli ottenuti con la miscela di progetto.

g) Commenti alla stabilizzazione con calce: per quanto s’è detto, questo tipo di stabilizzazione è
particolarmente idoneo:

- a migliorare il piano di posa di un rilevato ed il corpo stesso del rilevato se di natura troppo
argillosa;

- a rendere accettabile uno strato di sottobase fatto con ghiaia in natura molto sporca;

- a facilitare la lavorabilità di una terra in genere;

- a migliorare rapidamente la viabilità di cantiere, le strade di servizio etc. cui si abbia


predominanza di terre plastiche con elevata umidità.

La resistenza al gelo di uno strato stabilizzato a calce è generalmente buona in presenza d’acqua:
la terra, infatti, gela solo intorno ai -20°C.

E' tuttavia necessario stabilizzare almeno un mese prima del previsto inizio dei geli per dar tempo
alla calce di entrare in azione.

La presa lenta della calce consente l'apertura al traffico non appena finito i! costipamento, per
contro, rispetto al cemento, è più lunga nel tempo la vulnerabilità dello strato sottoposto agli sforzi
di taglio od ai cedimenti di quello sottostante.

E’ opportuno notare come le norme CNR richiedano la resistenza a compressione solo quando si
stabilizzino terre reattive, ossia quelle in cui la calce provoca, oltre alla variazione quasi immediata
dei limiti di consistenza e del CBR, l'avvio di processo di reazioni chimiche cui segue, nel tempo,
un considerevole aumento della resistenza meccanica.

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Fig. 1.64 - Andamento delle curve pressione/abbassamento nella prova CBR dopo 28 gg di stagionatura e 4 giorni
immersione di campioni di terra tipo A6 (linea continua) ed A4 (linea tratteggiata) stabilizzati con calce e non; é da
sottolineare come variazioni dal 2% all'8% della calce non influiscano eccessivamente sulle curve.

1.14.9 – Considerazioni sulla stabilizzazione con leganti idraulici in genere

Oltre al tipo di terra che determina la scelta del legante, i fattori influenzanti la riuscita sia sono il
profilo tecnico che economico sono:

- la quantità del legante: col cemento la resistenza della miscela aumenta all’incirca
proporzionalmente con la quantità; con la calce l’incremento è meno sensibile.

- la quantità d'acqua di costipamento che non solo influenza la densità raggiungibile ma anche la
resistenza a rottura che è maggiore quando l'umidità è < 2% all’OMC della prova Proctor
modificata.

Fig. 1.65 - Risultato di prova edometrica su argilla naturale e stabilizzata con calce.

104
Scarseggiare in acqua è opportuno anche quando si compatta uno strato poggiarne su materiale
suscettibile all'acqua o impermeabile; in queste evenienze infatti si verifica l'effetto gomma per cui
il mezzo compattivo non produce l'effetto desiderato se non riducendo l'umidità; ancora, le terre
argillose contenenti un 3÷4% di acqua superiore all'ottimale sono spesso non compattabili;

- l’uniformità della miscela;

- il tasso di costipamento: la sua importanza é decisiva per ogni tipo di terra influendo in
modo determinante sulle sue proprietà meccaniche; maggiore è infatti la quantità dei vuoti, minore
la resistenza dello strato; si aggiunga la migliore polverizzazione dei granuli di calce e delle loppe
che aumenta la superficie specifica del legante e quindi la sua efficacia.

Questi effetti sono dimostrati dal fatto che passare da un 100% al 95% della prova Proctor
modificata la resistenza meccanica di una terra stabilizzata diminuisce del 35÷50%.

Fig. 1.66 - Risultati della prova Proctor modificata su terra tipo A6 (LL = 32%; lp = 14.5) dai quali si può notare l'aumento
dell'OMC con l'aumentare del % di calce e la contemporanea diminuzione della densità massima.

Risultati soddisfacenti si ottengono normalmente su miscele granulari con 3÷5 passi del rullo
vibrante con peso statico di almeno 8 t e 10÷18 passi del gommato da 20÷35 t con pressione di
gonfiaggio entro 3÷10 bar;

- la programmazione delle operazioni: oltre quanto si è detto in precedenza nel caso di


preparazione della miscela in impianto centrale è essenziale la organizzazione dei mezzi di
trasporto tenendo conto degli itinerari che possono variare in corso dei lavori e quindi anche i
tempi e delle cadenze di fabbricazione. Il cantiere viene suddiviso in tratte di opportuna lunghezza
sulle quali operare in tempi alterni (particolarmente con la miscelazione in sito della calce) ad
evitare tempi morti alle maestranze ed alle macchine che, per esigenze costruttive, non possono
completare una tratta alla volta.

1.14.10 - Stabilizzazione chimica con gel di terre limo-sabbiose

Terreni classificabili A4 quali miscele limo-sabbia anche con presenza di argilla, non plastici, con
Limite liquido tra 20÷30%, da utilizzare nei rilevati stradali qualora ne venga aumentata la
coesione, possono migliorare notevolmente sotto questo aspetto con l'impiego di composti chimici.
S’è già detto al riguardo che per questo tipo di terre gli stabilizzanti aerei ed idraulici non sono
adatti. Tale aumento di coesione è richiesto se si tiene conto che l'angolo di attrito Φ è dell'ordine
di 28÷32° e la scarpata usuale del rilevato di 1 su 1.5 (pari a 33°40') non regge.

105
Esistono oggi in commercio dei composti allo stato solido (polvere cristallina) che combinati tra loro
in soluzione acquosa e nelle opportune proporzioni reagiscono dando luogo ad un gel con forti
proprietà collanti.

Tra i più usati sono il Nitrato d’ammonio (NH4NO3) ed il Solfato di calcio idrato (o gesso
alabastrino) (CaSO4 n H2O) combinati in soluzione acquosa di silicato di sodio (Na4SiO4).
Mediamente la composizione ottimale, ovviamente variabile da terra a terra, è di 15÷25 cm3 di
silicato e 35 cm3 di Nitrato d’ammonio oppure di Solfato di calcio per ogni 5 kg di terra secca.

Per quanto riguarda le operazioni di campagna è importante il controllo del contenuto di umidità il
cui valore ottimale è ~13%.

Sui cumuli del materiale da stabilizzare si spande prima il Nitrato, che si presentii in polvere, in
ragione di circa 10 kg/m3 e quindi il Silicato di sodio che é semi liquido (5.5 l/m3).

Si stende quindi la terra trattata col grader formando uno strato ≤ 50 cm da costipare con rullo
vibrante del peso minimo di 7 t.

La superficie della scarpata del rilevato va opportunamente protetta dalla possibile erosione
iniziale mediante lo spandimento di una miscela di sostanza collante (ad es. cellulosa o bentonite),
concime granulare per favorire l'inerbimento ed acqua; alternativamente si può coprire con
emulsione bituminosa in ragione di 12 q/h corrispondenti ad una leggera spruzzatura.

1.14.11 - Stabilizzazione con sostanze bituminose

II bitume ha i! duplice compilo di fornire la coesione alle terre incoerenti, alle sabbie fini alle
miscele sabbia-ghiaia oltre che di rendere meno accessibile all'acqua le terre coesive in veste di
impermeabilizzante.

Le stabilizzazioni, con bitumi liquidi ed emulsioni, sono impiegate con successo nei paesi caldi ed
aridi dove prevale la sabbia; l'eccesso di umidità nelle regioni fredde ed in presenza di argille
sconsiglia l'impiego dì stabilizzanti liquidi che tendono ad aumentare la plasticità e diminuire quindi
la resistenza.

Si impiegano a seconda del clima e condizioni del suolo oli stradali (bitumi mollo liquidi), bitumi MC
ed RC a bassa viscosità, emulsioni iperstabilizzate che non rompono anche in presenza di terra
mollo polverosa e comunque quei prodotti che meglio si mescolano alla terra con l'avvertenza che
mai si debbono riempire lutti i vuoti a compattazione avvenuta.

L'aggiunta di kerosene facilita quando è il caso, la penetrazione; l'aggiunta di solventi poco volatili
se da un lato rende la miscela più lavorabile e consente più tempo a disposizione, dall'altro Io
strato costipato resta a lungo plastico impedendo quindi una rapida apertura al traffico;
l'inconveniente è accentuato con la stesa del tappeto di usura che rallenta il processo di
essiccazione o la rottura dell'emulsione.

Nel confronto tra miscele a caldo con bitumi liquidi o emulsioni si può dire che nel primo caso, la
preparazione in impianto centrale fornisce un prodotto molto più consistente ed omogeneo; nel
secondo caso si ha il vantaggio di eseguire la stabilizzazione in sito (l'impianto centrale non è
sempre disponibile) per contro è richiesta una notevole esperienza e macchinario adatto.

a) Idoneità delle terre da stabilizzare e quantità di legante: secondo l’Highway Research Board
(USA) le terre più adatte alla stabilizzazione con materie bituminose sono quelle aventi le seguenti
caratteristiche:

106
- dimensione max elementi non superiore ad 1/3 dello spessore trattato;

- passante il vaglio da 5 mm > 50%; al n. 36 BS (0.425) 35÷100%; n. 200 (0,075) 10÷50%.

- Limite liquido del passante al n. 40 (0.42 mm) inferiore a 35 ed Ip < 10;

- l'umidità naturale ≤ 4%.

Il legante deve mescolarsi bene alla terra ricorrendo eventualmente ad un attivante se l'aggregato
è di natura siliceo-acida:

- i tipi RC1 ed RC2 sono i più adatti per le terre argillose e comunque viscosità alte per le terre inerti
il passante al n. 200 é basso con minimi leggeri per le terre fini. In climi umidi l’emulsione può
essere addizionata al cemento (5-8% di emulsione e 3-5% di cemento); quest'ultimo va aggiunto
dopo che l'emulsione è già stata me scolata alla terra per evitare una rottura prematura.

La percentuale di bitume va da un 2% per le sabbie ed i misti granulari, con eventuale aggiunta di


cemento come filler, ad un max del 4% del peso secco; quantità maggiori sono inutili se non
dannose e comunque non si debbono riempire completamente i pori alla densità stabilita.

Si arriva alla percentuale ottimale confezionando provini contenenti quantità crescenti di legante e
sottoponendoli alla prova Marshall effettuata a temperatura ambiente oppure a quella Hubbard
Field (in cui si richiede un valore della stabilità superiore a 550 kg) su provini asciutti od ancora alla
CBR (minimo 80%); in Gran Bretagna è comune la prova del cono nella quale la resistenza deve
superare i 20 kg/cm2.

b) La tecnica costruttiva non si discosta molto da quelle impiegale nelle altre stabilizzazioni;
l'emulsione sostituisce semplicemente l'acqua salvo diluirla se l'umidità è scarsa.

Evitare un eccessivo rimescolamento della miscela che potrebbe condurre ad una minore stabilità;
la sabbia deve inoltre essere preventivamente inumidita ad evitare che l'emulsione "rompa" prima
che la miscela sia omogenea.

Un notevole miglioramento della resistenza a compressione di una miscela sabbia-bitume


sopratutto in climi caldi, lo si ottiene con l'aggiunta di zolfo in polvere fino ad un 10÷15% del peso
totale della miscela.

Buoni i risultati in tal senso si sono ottenuti nella stabilizzazione di dune nel deserto e l'aggiunta dì
zolfo ha permesso una diminuzione del % di bitume dal 6.5 al 5.

lì macchinano per la polverizzazione della terra, l'applicazione del legante, il costipamento e le


finiture è di norma costituito da:

- macchina stabilizzatrice del tipo che scarifica, polverizza il terreno e io miscela in un'unica
passala col legante bituminoso, lasciando la miscela depositata dietro di sé e pronta per le
successive operazioni di aerazione, livellamento e costipamento; dovrà assicurare una
distribuzione del legame con una precisione dello 0.5% sulla quantità stabilita;

- attrezzature sussidiarie quali: .serbatoi mobili per il legante, autobotti per acqua, graders,
frangizolle o altre macchine adatte per l'aerazione della miscela, terne di rulli a piede di montone,
carrelli pigiatori gommali, rulli lisci e spazzolatrici.

Il laboratorio da campo dovrà essere attrezzalo in modo da poter effettuare le seguenti prove:

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- determinazione della % d’acqua nella emulsione bituminosa;

- determinazione della % di bitume nella miscela terra-bitume;

- determinazione della stabilità della miscela terra-bitume (Hubbard Field o similare);

- determinazione della viscosità Engler.

Prima dell'aggiunta del legante, il materiale deve contenere un’umidità inferiore al 4% in peso della
densità secca e sarà polverizzato in modo che almeno l'85% passi al setaccio da 3/8" (9.5 mm).

E’ altresì opportuno evitare la stabilizzazione con clima freddo (meno di +10°C) o molto umido.
Dopo 48 h dall’ultimazione dello strato se ne protegge la superficie con l'applicazione di un velo
(0.5 kg/m2) del medesimo legante bituminoso usato nella miscela.

c) Trattamenti protettivi superficiali: quando si voglia stabilizzare lo strato superiore (~5 cm) ad es.
di una base si può procedere con:

- l’asportare con la lama del grader lo strato da stabilizzare ammucchiandolo ai lati sulle
banchine;

- il costipare e livellare la superficie della base;

- l’applicare l'emulsione (diluita con acqua: nelle proporzioni di 60% acqua ed emulsione) con 4
passaggi in tutta larghezza e portando sulla formazione, dopo ogni passaggio, 1/4 circa del
materiale precedentemente ammucchiato in banchina. Dopo il terzo spandimento, mescolare
inumidendo la miscela se tendesse ad essiccare troppo:

- il livellare e sagomare;

- il costipare con rullo gommato o vibrante.

1.14.12 - Stabilizzazione con silicato di soda

La stabilizzazione con Silicato di Soda viene applicata nelle massicciate in pietrisco calcareo allo
scopo d’indurire gli elementi troppo teneri se umidi e quindi ridurre la formazione di polvere,
rivelandosi un metodo economico adatto per le cosiddette strade bianche, ossia non protette da
manti bituminosi. Si richiede un alto tenore di silice che favorisca l'indurimento con un rapporto
SiO2/Na2O il più possibile prossimo a 3.5.

Se il calcare è molto tenero si può preventivamente passare il pietrisco in betoniera col silicato a
24° Bomé in ragione di 40 l/m3 di pietrisco; quindi, dopo spandimento e cilindratura a secco, con
rullo da 10÷12 t si sparge ancora il silicato di soda a 35° Bomé in ragione di 3÷4 l/m3 sulla
massicciata secca. Si stende poi un velo di pietrischetto e si rulla con leggera annaffiatura.

Il silicato va nuovamente somministrato dopo che la strada è rimasta aperta al traffico per due
settimane (2÷3 litri per m2).

1.14.13 - Stabilizzazione con cloruro di calcio

Come è noto il CaCI2 è un sale igroscopico che ha la prerogativa di impedire l'evaporazione


dell'acqua ed abbassare il suo punto di congelamento; inoltre,in quanto igroscopico, tende ad
assorbire acqua dall'atmosfera quando l'umidità ambiente è elevata. E' pertanto utilizzato con
compiti antipolvere nei paesi aridi su strade bianche a traffico leggero.
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Riduce inoltre l'OMC di compattazione facendo quindi risparmiare acqua minimizzando i
rigonfiamenti causati dal gelo nelle terre fini.

La soluzione usuale è: CaCI2 al 73.5%; NaCl all’1.5%; H2O al 25%.

La migliore granulometria della terra da stabilizzare è :

aggregato grosso 45÷60%; sabbia 25÷30% ; limo-argilla 15÷20%.

La quantità di stabilizzante si aggira sul kg/m2 interessando uno spesso di 3÷5 cm.

La soluzione va sparsa possibilmente con clima umido ma non piovoso o freddo impiegando una
comune spanditrice. A volte l'eccesso di cloruro di calcio può dare origine ad una leggera
fanghiglia pericolosa per il traffico; è opportuno, in tal caso, consentire alla soluzione di penetrare
in profondità il che si verifica in 12÷24 ore.

1.14.14 - Stabilizzazione con cloruro di sodio (sale marino o salgemma)

L’NaCl ha compiti analoghi al cloruro di calcio; è da usare preferibilmente su terre del tipo A2-4. Col
trattamento aumenta la densità della terra che col 5% di salgemma può arrivare ad un +6% mentre
l'indice CBR a 7+4 gg. raddoppia abbastanza agevolmente.

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1.15 – Pavimenti in calcestruzzo di cemento

Le prime costruzioni risalgono all’inizi del secolo; consistono nel getto di una soletta di
calcestruzzo di cemento con eventuale armatura di ferro e che riassume i compili della sottobase
(non sempre), della base e degli strali di superficie.

I vantaggi di tale struttura sono:

- particolare idoneità per fondazioni poco resistenti;

- eccezionale durala (fino a 40÷50 anni);

- ottima tenuta ai traffici intensi e pesanti;

- minima resistenza al rotolamento e buona adesione delle ruote;

- levata resistenza alle variazioni di temperatura ambiente (da -30°a+60°C};

- buona visibilità per il traffico dovuta alla superficie chiara;

- minima spesa di manutenzione.

1.15.2 - Spessore e forma della soletta - Tecniche costruttive

Si adotta più frequentemente una soletta di spessore uniforme con sagoma trasversale a tetto (Fig.
1.67a) con pendenza dell'1.5÷2%.

Meno adottati gli spessori variabili e cioè più consistenti ai bordi (Fig. 1.67b,c,d) a rigore più
razionali, per le difficoltà costruttive che troppo incidono sui costi; abbastanza frequente tuttavia
per le autostrade, la sezione trapezoidale (fino a 40 cm sul bordo) per ovviare alle maggiori
sollecitazioni nella corsia riservata al traffico pesante.

Fig. 1.67 - Tipi di sagomatura della soletta in calcestruzzo di cemento.

Di norma si costruisce la soletta in un solo getto. L'usanza dei due strati (portante e di usura) con
l'impiego nel primo di inerte più grosso e meno cemento, comporta la necessità di alternare
continuamente i dosaggi agli impianti con costi alla fine più elevati e maggiori probabilità di
contrattempi.

110
La tecnica è pertanto riservata ai casi in cui si interpone l'armatura in ferro. A ridurre gli effetti delle
tensioni interne dovute ai cambiamenti di temperatura e umidità, la soletta è costruita in lastre
separale longitudinalmente e trasversalmente da giunti di contrazione e dilatazione.

L'importanza di questi ultimi è tuttavia diminuita in questi ultimi anni e la loro mancanza almeno per
i climi europei, non porta ad inconvenienti; il contrario invece dove gli sbalzi di temperatura sono
estremi.

La larghezza di ogni lastra, che determina il numero dei giunti longitudinali, è dettata dalla
larghezza della carreggiata e dalla capacità delle macchine finitrici-vibratrici; corrisponde comun-
que a quella di corsia per evitare il giunto dove più frequentemente corrono le ruote e quindi una
strada a due corsie ha un solo giunto longitudinale per cui la soletta è gettata in due metà
omettendo, per le strade urbane, le cunette laterali che ragioni tecniche consigliano di costruire
successivamente; le strade a 3 o più corsie portano invece due o più giunti che delimitano
ciascuna corsia. E’ altresì da notare inoltre l’esistenza dei giunti trasversali di costruzione
corrispondenti all'arresto del getto al termine della giornata lavorativa.

1.15.3 - La fondazione

La fondazione di un pavimento in calcestruzzo di cemento ha vari compiti:

- al momento del getto della soletta deve sopportare il traffico del macchinario senza deformarsi
o deteriorarsi;

- successivamente viene sottoposta agli effetti dell'acqua che circola in superficie sotto la soletta
ed agli sforzi provocati dal passaggio dei carichi, specie agli angoli delle lastre nella corsia lenta;

- deve inoltre partecipare alla distribuzione dei carichi in corrispondenza dei giunti.

Ne consegue che essa non deve essere sensibile all'acqua oltre che resistente all'erosione; in più,
essendo l'elemento determinante dello spessore della soletta, è sempre importante stabilire la
convenienza, o meno, all’interposizione di una sottobase di ~15 cm di spessore di materiale
selezionato (preferibilmente stabilizzato con calce o cemento); questo trattamento è sempre utile
quando si teme il noto fenomeno del pumping sotto le lastre di calcestruzzo. Il materiale, in ogni
caso, deve avere un Indice CBR di almeno 25 oltre ad un Ip nullo.

Inoltre è richiesto un drenaggio efficace insieme ad un grado di costipamento elevato; l'acqua,


infatti, può penetrare nella fondazione o per infiltrazioni laterali o attraverso i giunti della soletta o,
ancora, per capillarità dal sottosuolo ed il maggior danno, in questo caso, viene causato dai
rigonfiamenti conseguenti al gelo quando questo fenomeno è possibile. Altrettanto temibile è un
eccessivo ritiro della terra di fondazione ai margini della soletta per cui questa, priva di supporto,
cede alle sollecitazioni del traffico. Prima del getto si devono verificare le condizioni della
fondazione o dell'eventuale sottobase di riporto:

- sotto il profilo topografico: rispetto alle quote di progetto tolleranze di 10÷12 mm ed avvallamenti
sotto il regolo di 3 m non superiori ai >-o mm;

Requisiti del materiale d’appoggio alla soletta in cc. per limitare il pumping della stessa. (AASHO)

- massima pezzatura ≤ 1/3 spessore strato;

- passante il 0.075 mm 15 % massimo;

- indice di plasticità 6 % massimo;


111
- limite liquido 25 % massimo;

- sotto l'aspetto della portanza nei confronti del macchinario di trasporto-posa del calcestruzzo
l'eventuale impiego del deflettografo permette di verificare la omogeneità della fondazione e la sua
attitudine al riguardo.

Se le caratteristiche geometriche dello strato sono leggermente carenti si può rimediare


riprofilando gli avvallamenti con miscele fini bitumate. Al contrario, l'esistenza di forti deflessioni
che condurrebbero allo sgretolamento della superficie da parte degli autocarri, allo scivolamento
dei cingoli delle finitrici e ad un cattivo profilo finit,o per parlare dei soli inconvenienti immediati,
richiedono che le zone difettose siano scarificate e rifatte. In clima caldo, la fondazione va bagnata
24 h prima del getto della soletta e subito prima del getto stesso ad evitare assorbimento di acqua
dalla miscela; alternativamente sì posso stendere fogli di plastica.

1.15.4 - La composizione del calcestruzzo

Gli inerti, oltre a fornire buone resistenze meccaniche al calcestruzzo, devono assicurare una
superficie finita accettabile. Molto spesso gli inerti sono approvvigionati in 3 frazioni (in mm, maglia
quadra del setaccio):

- sabbia 0/5: pulita (ES >75) contenente meno del 30% di elementi calcarei, con una importante
proporzione di silice che fornisce una superficie resistente e poco levigabile; é opportuno che la
sabbia contenga una quantità sufficiente di fine e che la sua curva si situi nel mezzo del fuso, nella
sua parte bassa;

- ghiaie 5/20 e 20/40: devono presentare un coefficiente Los Angeles < 35 che consente di
impiegare dei buoni calcari i quali hanno i seguenti vantaggi su materiali più duri :

- I’eccellente adesività del cemento al calcare che porta ad elevate resistenze meccaniche;

- il basso coefficiente di dilatazione termica e la riserva d'acqua nei pori del materiale riducono la
fessurazione;

- la bassa abrasività e minor durezza rendono meno costosa la segatura dei giunti; per contro è
da rilevare che l'impiego dei chiodi nei pneumatici può portare ad una rapida usura superficiale se
il coefficiente Los Angeles è >20;

- cemento: si richiede elevata resistenza a trazione e flessione, basso modulo elastico, limitato
ritiro, presa lenta; adatti pertanto i cementi Portland, i Portland con loppe o con ceneri volanti o
ancora pozzolanici; il tempo di presa deve essere superiore a 3 h a 20°C e a 2 h a 30°C per non
creare problemi anche nel caso di trasporti lunghi; occorre evitare la mescolanza di cementi di
marche diverse; per quanto riguarda la resistenza la classe richiesta è la 325;

- additivi: è spesso reso obbligatorio nei capitolati l'impiego di resine tipo Vinsol neutralizzate, o
similari col compito di trattenere aria nel calcestruzzo (3÷6% in volume) per proteggerlo dagli effetti
del gelo e dei sali antigelo; frequente è l'uso di plastificanti per ridurre l'acqua (sulfonati di calcio),
più raro quello di acceleranti o ritardanti la presa.

- I procedimenti per la composizione dei calcestruzzi stradali sono diversi; lo scopo è comunque
quello di ottenere una miscela continua, compatta, lavorabile che sia adatta al clima ed economica.

112
Fig. 1.68 - Curve limite per l'inerte secondo le norme italiane.

II calcestruzzo deve presentare le seguenti caratteristiche:

- tenore d'aria contenuta: 3÷6%;

- abbassamento al cono (prova di consistenza): 2÷5 cm a seconda del tipo di macchina per la
messa in opera;

- resistenza convenzionale a flessione a 28 giorni: 45 bar (norme francesi); (la resistenza


convenzionale è quella per cui si ha il 90% di probabilità che il 90% dei risultati della prova siano
superiori).

Negli USA si prescrive un abbassamento al cono compreso tra 25 e 75 mm con variazioni non
superiori a 25 mm tra due miscele successive ed inoltre, nel caso del doppio strato (di base e di
usura) si prescrive per il primo un minimo di 5.25 sacchi di cemento da 50 kg e 24.6 litri d'acqua
max per m3 e per il secondo, rispettivamente 7.25 sacchi e 28,4 litri.

In Francia, per il progetto della miscela si suggerisce il metodo seguente: chiamati S, C, K, C ed A


i rispettivi dosaggi (kg/m3) della sabbia 0/5, del ghiaietto 5/20, della ghiaia 20/40 , del cemento e
dell'acqua (Fig. 1.69):

- si inizia lo studio con un dosaggio di cemento di 330 (kg/m3); (il dosaggio minimo è comunque
300 kg/ m3);

- il rapporto A/C deve restare < 0.5; la composizione viene definita quando si conosce G/K e S/G
+ K, dovendo la somma dei costituenti rappresentare 1 m3 di calcestruzzo in silo;

- il rapporto G/K, che ha poca influenza sulle caratteristiche del calcestruzzo, può essere assunto
pari a 0.6 (circa il punto medio del fuso per un cc. da 40);

- si ricerca la massima lavorabilità del calcestruzzo, a dosi costanti di cemento ed acqua


variando il rapporto S/G + K;

- fissato così lo scheletro, si modifica il tenore in acqua per ottenere la consistenza e lavorabilità
voluti e si regola la quantità di additivo per un 5% di vuoti;

113
- si preparano 60 provette (14x14x56) per la resistenza a flessione da utilizzare a 7 e 28 giorni;

- si completa lo studio accertando le conseguenze sulla consistenza, lavorabilità e resistenza


dovute a variazioni del % di acqua e del rapporto S/G + K. Qualora si utilizzi anche un
plastificante, si procede fino al punto (e) come se questo non ci fosse e quindi, dopo la sua
aggiunta, aggiustando opportunamente il tenore in acqua.

Una miscela tipica per calcestruzzo stradale è comunque la seguente: (1 m3 di calcestruzzo)

- - pietrisco 25/60 m3 0.60

- - pietrischetto 10/25 m3 0.30

- - sabbia m3 0.40

- - cemento Portland normale kg 350

- - acqua compreso il contenuto umido dell'aggregato l 120÷140

114
Fig. 1.69 – Schema di sintesi per uno studio di calcestruzzo per pavimentazione stradale.

Quanto alla granulometria dell'aggregato in Germania si suggerisce :

- passante il setaccio da 50 mm 100%

- passante il setaccio da 15 mm 65÷75%


115
- passante il setaccio da 7 mm 50÷60%

- passante il setaccio da 3 mm 32÷45%

- passante il setaccio da 1 mm 18÷30%

- passante il setaccio da 0.2 mm 3÷7% (percentuali riferite al peso)

Non è necessario che nella miscela siano presenti tutte le pezzature; recenti prove hanno
dimostrato, infatti, che la mancanza di alcune di esse non compromette le qualità del calcestruzzo.

Fig. 1.70 – Schema di pavimentazione rigida in un’autostrada in Germania.

1.15.5 - Confezione e posa in opera del calcestruzzo

La confezione è sempre meccanica; il calcestruzzo è preparato in impianti fissi (centrali di


betonaggio) analoghi a quello illustrato, e trasportato in situ con ribaltabili se le distanze sono
brevi. Alternativamente si utilizzano autobetoniere che completano la confezione del calcestruzzo
durante il trasporto dopo aver ricevuto i vari componenti da un impianto di distribuzione (centrale di
dosaggio) che rifornisce anche (terzo sistema) i pavers o betoniere mobili su cingoli.

La produzione di una centrale di betonaggio è dell'ordine di 200÷250 m3/h ma può raggiungere


valori molto più alti.

Il dosaggio dei costituenti è realizzato a peso con la eccezione degli additivi e, a volte, dell'acqua
(volumetrico) secondo una sequenza comandata.

116
La messa in opera del calcestruzzo entro casserature metalli che fisse trova oggi sempre meno
consensi essendo molto più convenienti le macchine a casseri mobili (coffrages glissants) guidate
in quota mediante fili tesi lateralmente oppure col laser.

Pur variando nei tipi, esse adottano il principio di eseguire le varie operazioni dallo spandimento
alla finitura, in pochi metri corrispondenti alla lunghezza dei casseri mentre la macchina é in
continuo movimento ed il calcestruzzo é disarmato appena finita l'ultima operazione.

Per le macchine guidate i supporti vanno intervallati di m 10 (m 5 in curva) e la tensione dei fili va
realizzata con cura; per quelle libere è determinante la regolarità del piano d'appoggio in quanto
attraverso i cingoli si riproducono sulla superficie della soletta più o meno le irregolarità della
fondazione.

Le pavimentatrici, a seconda dei tipi, possono effettuare più operazioni, dalla confezione del
calcestruzzo (con gli ingredienti già dosati dalla centrale di betonaggio) allo spandimento, vibratura
e finitura; ma più frequentemente la prima operazione è esclusa.

Il complesso vibratrice-finitrice si compone sostanzialmente di una barra di spandimento posta ad


un livello leggermente superiore a quello della superficie finita e che spinge avanti l'eccesso di
calcestruzzo,cui segue la barra vibratrice (3000 vibrazioni/min) che lo compatta al livello stabilito.

La vibrazione, indispensabile, consente un rapporto A/C mollo basso ed una conseguente maggior
resistenza del conglomerato.

L'eccesso tuttavia può essere dannoso in quanto facilita la segregazione dell'inerte e pertanto
l'operazione va arrestata quando lo strato appare chiuso, senza interruzioni e la malta affiora
lievemente in superficie.

Ultima componente della macchina è la finitrice per la finitura della superficie de! getto.

Il rendimento giornaliero di una pavimentatrice è dell'ordine di 500÷800 m su m 7.50 di larghezza


lenendo conio delle possibili interruzioni causate quasi sempre dalla irregolarità degli arrivi degli
automezzi di rifornimento.

Con una produzione in centrale di 200 m3/h ed uno spessore di soletta di 18 cm la velocità di
avanzamento della macchina su carreggiata a due corsie è regolalo su circa 2.5 m/min.

1.15.6 - Finitura e caratteristiche della superficie

Per rendere la superficie ruvida ed aumentarne quindi l'aderenza quando è bagnata, 3 sono i
metodi applicati:

a) formare delle striature trasversali (righe larghe circa 6 mm e profonde 3, spaziate 25 mm)
ottenute con uno speciale rastrello;

b) spandere uniformemente del pietrisco, pezzatura 20÷30 mm in ragione di 6÷8 kg/m2 sul
calcestruzzo appena gettato. Allo scopo, alla pavimentatrice è applicata una speciale tramoggia
dalla quale, a mezzo di un tamburo rotante, esce in modo regolare il pietrisco la cui penetrazione
nel manto fresco è regolata da una barra trasversale. Può risultare opportuno spandere prima un
ritardante sulla superficie del cls ed il giorno seguente, quando la massa è già indurita, spazzolare
vigorosamente con scopa metallica;

c) irrorare la superficie all'inizio della presa con acqua e quindi rimuovere il fine superficiale per
esporre gli elementi del pietrisco; per questa operazione si utilizza un apposito spazzolone rotante.
117
d) passare al momento opportuno, durante la presa, uno straccio di juta con lo stesso scopo del
precedente; il metodo è frequentemente usato per le strade urbane. Quando per la temperatura
ambiente è da temere una rapida evaporazione dell'acqua si spandono speciali resine in polvere o
liquide (norma AASHO M 148) sulla superficie ancora umida ma senza acqua libera, che formano
una membrana protettiva. Se il prodotto e liquido ne occorrono circa 0.25 I/m2 e per grandi
superfici si impiegano spanditrici meccaniche che regolano automaticamente la quantità di resina
spruzzala variando la velocità di avanzamento. Per superfici limitate si può ricorrere a teli di juta
mantenuti bagnati per almeno 24 ore per poi sostituirli con uno strato di sabbia o ancora un velo di
bitume (0.2 l/m2) da applicare a freddo dopo 24 h dal getto.

1.15.7 – Giunti

a) Giunti di costruzione: finito il getto della giornata, la soletta è contenuta trasversalmente da


una tavola in modo da ottenere un bordo netto, verticale e perpendicolare all'asse stradale; ad
intervalli di 70÷80 cm nei fori preventivamente applicati sulla tavola s’infilano degli spezzoni Φ =
20÷30 mm lunghi 60 cm; i giunti longitudinali che separano 2 getti contigui non vanno di norma
armali e si preferisce un incastro del tipo indicato in Fig. 1.71d.

b) Giunti di dilatazione: si è già detto della loro ridotta importanza. Si formano soprattutto a
ridosso di opere d'arte od altri punti particolari. Una larghezza di 30 mm da riempire con l'apposito
mastice, è usualmente sufficiente e vanno spezzonali (Fig. 1.71e). Occorre comunque tener conto
che per un’escursione termica giornaliera di 5°C si ha un movimento della soletta di ~2 mm su 10
m.

c) Giunti di contrazione-flessione: le solette non armate, con giunti trasversali spaziali a circa 4,5 m
senza spezzoni sono adottali per strade a traffico leggero od urbane od ancora per strade a
grande traffico in cui la sottobase è stabilizzata con cemento. Poiché il loro compito è di localizzare
in modo netto le possibili fessurazioni (dummy joints; joints aveugles) la tendenza è quella di
angolarli (1 su 6) per minimizzare l'impatto dei carichi pesanti e per ridurre l'effetto del salto
quando le due solette non combaciano più verticalmente

Si ricavano col taglio a disco targo 3.1÷6.3 mm per la profondità cui arriva il disco (diamantato se
l'aggregato e duro, al carborundum per il calcare e le arenarje), da effettuare naturalmente prima
che la soletta si fessuri ma col calcestruzzo abbastanza duro

Fig. 1.71 - Tipi di giunti trasversali nelle solette in calcestruzzo.

così da ottenere un solco senza sbavature; alternativamente i giunti si ottengono interponendo un


sottile listello, da togliere a presa iniziata, che penetri per 1/4÷1/5 dello spessore della soletta.

118
L'intervallo tra i giunti deve essere varialo secondo una determinala sequenza (ad es. m
4.00÷3.65÷5.80÷5.50) per evitare effetti di risonanza sui veicoli; se la soletta e armata l'intervallo
può arrivare a 10 m.

I giunti longitudinali, necessari ad ogni limite di corsia (e quindi uno per una carreggiata a 2 vie, 2
se a 3 corsie etc.) e comunque a non più di m 3.8, si ottengono allo stesso modo di quelli
trasversali (il taglio va però eseguito da 24 a 72 h dopo) e vanno di norma spezzonati. I giunti sono
riempiti con prodotti adesivi, impermeabili all'acqua quali:

- prodotti a base di bitume o catrame colati a caldo nel giunto;

- prodotti a base di polimeri a 1 o 2 componenti colati a freddo;

- giunti prefabbricati in neoprene inseriti a pressione.

Questi materiali debbono comunque durare nel tempo senza alterarsi, resistere alle intemperie, ai
carburanti e agli oli, debbono essere insensibili agli sbalzi di temperatura ed aderire efficacemente
al calcestruzzo di cui seguono i movimenti.

1.15.8 -Armamento della soletta

L’armamento della soletta è, di norma, limitato ai casi in cui un sottofondo povero richiederebbe
una più costosa sottobase ed un notevole spessore della soletta; é invece frequente l'inserimento
di spezzoni longitudinali, come si è visto, nonché trasversali per impedire movimenti reciproci delle
corsie; questi ultimi non vanno oliati o bitumati per metà come si usa fare coi primi (Fig. 1.71b).

Le armature reticolari su tutta la superficie della soletta, nel caso di cedimento della fondazione,
riducono le inevitabili fessure mantenendo uniti gli elementi del mosaico di rottura.

La quantità di ferro si aggira sui 2÷3 kg/m2 e si impiegano reti saldate con filo da 4÷6 mm, e maglia
rettangolare 150 x 300; per traffico pesante il peso può giungere tuttavia a 7÷8 kg/m2.

La rete, disposta su un primo strato di cls deve risultare inserita a 5÷7 cm sotto il piano finito.

1.15.9 - Controlli del getto

Come in ogni altra struttura, non è possibile basare i controlli unicamente su prove eseguite a
posteriori. Anche limitando le verifiche di resistenza a 7 giorni e non a 28 non si conoscono che i
risultati dei getti effettuati oltre i 4÷5 km a monte della finitrice e sono pertanto necessari controlli
avanti e durante l'esecuzione.

I controlli avanti riguardano:

a) macchinario: la centrale di produzione del cls deve trovarsi in buono stato di funzionamento, in
particolare gli apparati di pesatura e gli automatismi in genere; altrettanto dicasi per il macchinario
di cantiere;

b) quote topografiche e allineamenti materializzati lungo il tracciato che devono guidare il


macchinario in azione;

c) materiali: un controllo della produzione in cava dell'inerte è più efficace di quello effettuato sugli
stocks; vanno verificate le precauzioni intese ad evitare la segregazione e l'inquinamento delle
miscele; per il cemento si richiede al produttore di garantire una continuità della qualità e quantità
prodotta e di far conoscere i risultati delle analisi da esso effettuale periodicamente mentre in
119
cantiere si eseguono prove a ritmo settimanale oltre a quelle più immediate al ricevimento del
legante, per accertarne la omogeneità (esame al microscopio, tempo di presa, finezza Blaine,
lavorabilità);

d) composizione del calcestruzzo: va analizzata continuamente anche per verificare


l'ammissibilità di possibili variazioni riscontrate nel tempo;

e0) funzionamento dell'apparato di cantiere, ricorrendo all'inizio, soprattutto se l'opera da eseguire


è notevole, al getto di strisce di prova per mettere in luce eventuali carenze. I controlli durante
riguardano i seguenti punti:

e1) parametri di fabbricazione (dosaggi e mescolamento) che devono conservarsi inalterati


durante il corso dei lavori;

e2) caratteristiche del cls fresco: consistenza e tenore d'aria inclusa da verificare ogni 200 m3 di
miscela;

e3) spandimento ed operazioni connesse: spessore della soletta, aspetto della striatura, regolarità
della presa, tempi di taglio dei giunti.

I controlli dopo l'esecuzione concernono sopratutto la resistenza del calcestruzzo, da accertare su


provini prismatici (14x14x56 cm), alla flessione dopo / giorni previo conservazione in acqua a
20°C. Se i risultati non sono accettabili si procede a carotaggi. La regolarità della superficie finita si
controlla col regolo da 3m (entro 24 h dal getto), per correggere subito i difetti della spanditrice-
finitrice, e col profilografo.

1.15.10 - Deterioramento della soletta

Una soletta in cls di cemento, se ben costruita, ha una evoluzione molto lenta. Se non armala e
senza spezzoni ai giunti, la fatica comincia a manifestarsi con uno spostamento in quota della
lastra a monte rispetto a quella a valle, causato da un accumulo di fine sotto la prima proveniente
dal sottofondo inadeguato o dai lati.

A questo fenomeno segue la disgregazione della fondazione soprattutto al bordo della corsia
esterna con eiezione di materiali dai giunti e dal bordo stesso per effetto del pumping o pompaggio
causato dal veicolo che giungendo al bordo della lastra a monte la inflette progressivamente
spingendo l'acqua (che entra così in pressione) sotto il bordo della lastra a valle; al passaggio del
veicolo su quest'ultima si produce il movimento opposto.

Col tempo segue la rottura della soletta. L'inconveniente può essere rallentalo sia restaurando la
impermeabilità dei giunti che bloccando il fine con iniezioni di emulsione di bitume.

Incidono inoltre sul degrado de] calcestruzzo: la non corretta proporzione dell'inerte con alta
proporzione di vuoti e conseguente minor resistenza alla compressione; il maggior valore del
rapporto acqua/cemento e quindi maggiore fessurabilità; le condizioni di getto della soletta
(organizzazione dell'impresa, clima etc.).

L'invecchiamento della soletta comporta la perdita della ruvidezza superficiale con aumento della
scivolosità; si rimedia ripristinando la striatura trasversale con attrezzi al carburo di tungsteno.

Analogamente si possono ridurre gli scalini tra lastra e lastra con levigatrici al diamante mentre le
smagliature localizzate si riparano con malte contenenti resine epossidiche (come il Crylcon,
polimero metacrilato DuPont) sulle quali può essere aperto il traffico 2 h dopo la riparazione.

120
Le lastre che non possono essere riparate, localizzate saltuariamente sulla carreggiata, vanno
demolite e ricostruite impiegando calcestruzzo di cemento alluminoso che resiste al traffico a sole
6÷9 h dal getto.

Se la portanza della soletta è sufficiente ed è richiesto solo il miglioramento della sua superficie, si
può ricorrere al getto di un nuovo strato sottile di calcestruzzo i cui giunti dovranno, ovviamente,
coincidere con quelli sottostanti. La vecchia superficie deve essere preventivamente scarificata
usando apposito macchinario che provvede poi, con getti d'acqua o sabbia a pressione, a
rimuovere i detriti; si spande quindi, mediante scope meccaniche, una boiacca di cemento e
sabbia e prima che possa far presa stendendo la soletta (spessore 5÷7.5 cm) con la finitrice.

Quanto al rifacimento di pavimentazioni in cls di cemento ormai inutilizzabili si può ricorrere ad una
delle seguenti tecniche:

- rottura delle lastre in pezzi sufficientemente piccoli da poterli stabilizzare col rullo e servire da
fondazione ad una nuova soletta;

- stabilizzazione della vecchia pavimentazione con iniezioni, spandimento di un strato di 3-4 cm


di pietrisco bitumato e getto della nuova soletta preferibilmente del tipo continuo (la tecnica
consiste nell'armare longitudinalmente la soletta con un minimo del 0.7% in sezione così che la
fessurazione al ritiro è del tipo cemento armato, cioè fessure di 1/10 mm ogni 30 cm, con giunti ai
soli punti che particolarmente li richiedono;

- stesa sulla vecchia soletta di una base ≥16÷18 cm di calcestruzzo bituminoso (è da notare che
buoni risultati si sono ottenuti col procedimento opposto e cioè vecchie pavimentazioni bituminose,
molto screpolate, sono state ripristinate col getto di una soletta in cls di cemento sulla quale sono
stati poi segati giunti obliqui ad un intervallo di 4÷5 m);

- riciclaggio della vecchia pavimentazione.

121
1.16 - Trattamenti bituminosi superficiali

Si comprendono col termine i rivestimenti ottenuti con l'applicazione di una o più mani di legante
seguite o meno da spandimento di aggregato allo scopo di:

- impregnare di bitume uno spessore variabile della base e provvedere una pellicola di legante
che faciliti l'adesione di un trattamento successivo (applicazioni dì aderenza o di attacco);

- costituire un manto superficiale di limitato .spessore alto a sopportare il traffico (trattamenti


superficiali propriamente detti); in questo caso l'aggregato (pietrischetto o sabbione) serve da
strato d'usura procurando una superficie ruvida per le ruote dei veicoli mentre il legante, oltre ad
ancorare l'aggregato, impermeabilizza la superficie trattata.

Si distinguono in singoli e multipli.

L'applicazione di un prodotto bituminoso su di una superficie stradale richiede che questa sia ben
drenata, corretta nei profili e costipata. Non può essere effettuata su di una superficie sciolta, poco
consistente, polverosa oppure ad elevato contenuto di argilla od ancora che ondeggi sotto il rullo.
Prima del trattamento la superficie va liberata dalla polvere, dai detriti ed altri corpi estranei
spazzandola o lavandola con getti a pressione.

Le spazzatrici oggi in uso sono del tipo trainato oppure portato; sono preferibili queste ultime per il
minor ingombro e l'altezza regolabile delle scope che evita una eccessiva pressione sulla
superficie fresca. I tipi aspiranti sono ancora poco comuni. Particolare attenzione va prestata alla
eventuale esistenza su superfici costipate del cosiddetto biscottino, o sottile strato duro e friabile,
che può formarsi sotto il rullo e che nella successiva rullatura del pietrischetto, sparso sul bitume,
si stacca e con esso lo strato bituminoso. La penetrazione del legante è facilitata se l'aggregato è
leggermente umido; il trattamento va tuttavia fatto possibilmente con clima secco e mai durante la
pioggia.

Si possono impiegare bitumi, catrami o emulsioni: i primi possono essere fluidificati con dei
solventi che evaporano più o meno rapidamente restituendo il bitume di base, oppure flussati
(ossia con aggiunta ad un bitume di base di olio di catrame che lo rende più coesivo ed adesivo)
che sono meno suscettibili alla temperatura dei precedenti.

I bitumi sono di più difficile impiego, richiedono climi caldi e asciutti e, soprattutto, una corretta
temperatura d’applicazione: non tanto bassa da impedire il deflusso del liquido attraverso gli ugelli
e non tanto alta da alterarne le proprietà.

I catrami, puri o modificati con l'aggiunta di cloruro di polivinile per renderli meno sensibili ai
cambiamenti di clima e più coesivi, non richiedono alte temperature di applicazione, sono meno
esigenti e più economici dei bitumi, hanno maggior penetrazione e legano col pietrischetto anche
dopo il raffreddamento; non hanno però la durata dei bitumi.

Le emulsioni ammettono condizioni ambientali relativamente sfavorevoli, si impiegano a freddo,


hanno ottima penetrazione e non richiedono speciali apparecchiature per lo spandimento.

La superficie da trattare deve essere molto umida ed il pietrischetto di copertura deve essere steso
prima della rottura dell'emulsione. Risultano, comunque, meno resistenti dei bitumi e dei catrami.
Oggi, diversamente che in passato, si usano emulsioni cationiche, più adesive di quelle anioniche
(purché il pietrischetto sia pulito) e meno sensibili al clima per quanto, con temperature elevate,
tendano a trasudare.

122
Hanno molta importanza la viscosità dell'emulsione e la velocità di rottura; un’emulsione troppo
fluida tende a colare, se troppo densa rende difficile lo spandimento e quindi il dosaggio; la rottura
deve essere netta e rapida e dopo Io spandimento il bitume di base deve restare solo per incollare
i granuli dell'aggregalo nel minor tempo possibile.

1.16.1 - Spandimento del legante

Si effettua a mezzo di lance a pressione alimentate da caldaie mobili e, per grandi superfici,
meccanicamente con le autospanditrici. Nel primo caso é necessaria una notevole esperienza da
parte del personale; un cattivo spandimento, infatti, porta, ad una superficie trattata in modo
irregolare in cui strisce trasversali, nelle quali il legante è scarso ed il pietrischetto tende di
conseguenza a staccarsi, si alternano ad altre in cui il legante, trasudando, trattiene una maggior
quantità di aggregato. Lo spandimento meccanico si effettua con autobotti nelle quali il materiale
bituminoso è riscaldato alla corretta temperatura, immesso a pressione in una rampa sporgente
posteriormente e munita di ugelli dai quali il legante è spruzzato a ventaglio sulla superficie
stradale.

Tab. 1.19 - Caratteristiche dell'aggregato nei trattamenti superficiali secondo le norme francesi. (LA, prova Los Angeles;
DH, prova Deval umida; A, coefficiente d’appiattimento; P, % di elementi < 1mm; CPA, coefficiente di levigazione
accelerata).

L'operatore è munito di una tabella che fornisce la velocità del veicolo in rapporto alla quantità di
legante richiesta. La disposizione degli ugelli permette che ogni punto della superficie sia raggiunto
da più di un getto; l'irregolare funzionamento degli ugelli ripete l'inconveniente già accennato nello
spandimento a mano con effetti però meno dannosi correndo le strisce longitudinalmente;

Nelle spanditrici meccaniche è essenziale per un buon funzionamento che le diverse parti: pompa,
tubo flessibile, caldaia e rampa, siano mantenute pulite. Il riempimento della caldaia, usando cut-
baks di buona fluidità, s’effettua senza preventivo riscaldamento degli stessi il che è invece
richiesto per i prodotti viscosi; in tal caso è sufficiente un piccolo braciere sul quale si tiene il fusto
per il tempo occorrente a renderli fluidi.

I bitumi puri che sono praticamente solidi a temperatura normale, vanno disciolti oppure tagliati a
pezzi e quindi introdotti nella caldaia.

123
II riscaldatore va acceso poco prima dell'inizio dello spandimento evitando di surriscaldare il
legante (ogni tipo ha la sua corretta temperatura impiegando il minimo prescritto se la temperatura
ambiente è elevata e l'aggregato è secco).

Se lo spargimento é effettuato con lo spruzzatore a mano questo va tenuto con un angolo costante
rispetto alla superficie stradale e ad una altezza di 20÷45 cm da essa a seconda dello spessore
dello strato richiesto; eventuali zone omesse vanno chiuse con uno spazzolone senza tornarci
sopra con lo spruzzatore che va azionalo ad arco il cui raggio e la lunghezza del tubo flessibile.

La pulizia della macchina, a caldaia vuota ed impianto raffreddato, si effettua con nafta che,
introdotta nella caldaia, viene pompata in circuito chiuso facendola ritornare, attraverso lo
spruzzatore, alla caldaia stessa.

Fig. 1.72 - Corretta quantità di legante: a) il legante è scarso e il pietrischetto si stacca specie durante la stagione fredda;
b) la quantità è eccessiva: è antieconomico e si verifica il trasudamento; c) quantità corretta.

1.16.2 -Quantità e qualità del legante e dell'aggregato di copertura

Incidono sulla riuscita di un trattamento:

- la porosità della superficie stradale che interessa la quantità del legante e la pezzatura dei
pietrischetto;

- la durezza del materiale di base che interessa la pezzatura dell'aggregato ed il peso del rullo;

- le condizioni ambientali;

- il tipo, qualità e viscosità del legante e la quantità per mq;

- le caratteristiche dell'aggregato di copertura (pezzatura, forma e natura);

- il peso e tipo del rullo costipatore;

- l’intervallo di tempo prima dell'apertura al traffico.

- Il legante:

- deve essere sufficientemente fluido da bagnare la superficie stradale ed il pietrischetto di


copertura;

124
- deve essere più viscoso se gli elementi dell'aggregato sono grossi, ad essiccamento più lento
se teneri e polverosi;

- va impiegato in quantità maggiore se gli elementi sono tondeggianti per la maggior quantità di
vuoti e se la superficie da trattare è aperta od asciutta o ancora se si prevede un traffico leggero.

L'aggregato di copertura deve provvedere uno strato compatto in cui gli elementi debbono trovarsi
spalla a spalla, il che richiede un leggero eccesso sulla quantità teorica prevista per tener conto
della quantità asportata dal traffico. S’impiega, a seconda dei casi, pietrisco, ghiaietto, sabbia
grossa e, a volte, polvere di cava.

E’ generalmente ammessa una larga tolleranza nella qualità; sono comunque preferibili elementi
duri (massimo valore ammesso alla prova dello schiacciamento 21÷23), di forma cubica con una
percentuale di elementi piatti non maggiore del 15% (un elemento dicesi piatto quando la sua
massima dimensione è più di 5 volte la minima), granulometria uniforme ad impedire che il fine
impedisca il contatto col bitume degli elementi più grossi. La pezzatura di 12 mm dà i migliori
risultati in molti trattamenti per strade a traffico pesante.

Uso del diagramma: per determinare la quantità del legante: trova la linea di fattore o somma algebrica dei valori ottenuti
dalle tabelle; entrare nel diagramma con l’orizzontale corrispondente alla media delle dimensioni minime dell'aggregato a
disposizione fino ad incontrare la linea di fattore ricavata; la verticale condotta da quel punto fornisce, in basso, la
quantità cercata. Per la quantità di aggregato, l'incontro della stessa orizzontale con la diagonale in grassetto individua la
verticale che in alto dà il valore cercato:ad es.: se 12 mm è la media delle dimensioni minime dell'inerte i fattori ricavati
dalle tabelle siano rispettivamente - 4, 0, - 1 e 0 per un totale di - 5, la quantità del legante è ~1 kg/m2 e del pietrischetto
12 l/m2 pari a 16.2 kg/m2.

125
Fig. 1.73 - Diagramma e tabelle per stabilire la quantità del legante e dell'aggregato di copertura nei trattamenti
superficiali.

o a superficie tenera preferire però pezzature più grosse (20-25 mm); per strade a traffico veloce o
superficie dura pezzature da 6-10 mm sono consigliabili per la tendenza degli elementi più grossi a
staccarsi sotto le ruote e proiettarsi contro i veicoli che seguono.

La sabbia è raccomandabile solo per traffico leggero e nelle coperture di aderenza per fissare
l'eventuale eccesso di bitume.

1.16.3 - Spandimento dell'aggregato e rullatura

Dopo lo spandimento del legante (ad impedire la formazione di una striscia più spessa alla fine ed
inizio di ogni tratto bitumato) è opportuno stendere un foglio di cartone per ottenere un taglio netto)
e quando è ancora fresco, si spande il pietrischetto a mano, con badili, oppure meccanicamente.
Nel primo caso la direzione dello spandimento deve essere parallela all'asse stradale e non
trasversale.

Lo spandimento meccanico si effettua o con cassoni trainabili o con autocarri ribaltabili (muniti di
apparecchiatura che regola l'uscita dell'aggregato) che procedono a retromarcia nella direzione di
spandimento. E' opportuno, quando il trattamento è eseguito su una metà per volta della
carreggiata, lasciare nella prima passata di copertura una striscia di 15÷20 cm di bitume scoperto
per meglio allacciare la metà seguente. La rullatura richiede rulli pneumatici con carico di ruota di
almeno 1.5 t; sono da escludere i rulli a cilindri che, in presenza di irregolarità della superficie
anche piccole, tendono a polverizzare il pietrischetto nei sovralzi.

S’inizia ai lati procedendo verso il centro con passate lunghe per ridurre al minimo le manovre, con
azione continua e senza scosse.

1.16.4 - Apertura al traffico

II traffico è sempre dannoso in quanto, specie se veloce, sviluppa forze orizzontali che tendono a
staccare il pietrischetto soprattutto se questo, alla posa, era troppo umido per cui il legame ha
aderito con difficoltà.

In clima caldo l'adesione ha luogo in 15’÷60’ e se si deve aprire la strada al traffico è bene
accertarsi in situ se ciò è possibile. Con temperature elevate anche leganti molto viscosi possono
divenire fluidi ed in tale evenienza è bene attendere che la temperatura diminuisca.

In sostanza, il pericolo del traffico è sempre grande nelle prime ore che seguono il trattamento per
l'alta % di volatili contenuta nel legante e decresce col tempo; dopo 24 h anche la temperatura
ambiente elevata è relativamente dannosa. Si rivela consigliabile usare meno legante se il traffico
previsto è intenso eccedendo invece nella viscosità.

1.16.5 - Tempo atmosferico

Le variazioni di temperatura alterano la viscosità del legante (specie i catrami): temperature


elevate lo rendono troppo fluido e l’aggregato non più tenuto a sufficienza è facile a staccarsi sotto
le ruote; all’opposto la bassa temperatura aumenta la viscosità e quindi il legante non copre
sufficientemente gli elementi dell'aggregato con risultati analoghi.

I trattamenti superficiali vanno evitati nei mesi invernali in quanto la bassa viscosità richiesta
condurrebbe alla perdita dell'aggregato di copertura nella primavera.

126
Analogamente non è consigliabile bitumare nei periodi molto caldi: con temperature ambiente di
28÷33°C. (corrispondenti a 50÷55°C sulla superficie stradale) anche elevate viscosità dei catrami
possono risultare insufficienti.

Poiché il legante non aderisce ad un pietrischetto troppo umido, è opportuno sospendere i


trattamenti quando piove o quando si prevede la pioggia; anche gli additivi che si mescolano ai
catrami per favorirne l’adesione non hanno a volte effetti decisivi.

Spesso la pioggia non danneggia eccessivamente una copertura di aderenza o una prima mano
ma si rivela invece esiziale se cade subito dopo i trattamenti successivi.

1.16.6 - Applicazione di aderenza o mano d'attacco

E' anche chiamata oleatura. Esistono i corrispondenti termini inglesi lack-coat e prime-coat; col
primo si intende la spruzzatura di un legante bituminoso sopra una vecchia superficie già bitumata
per creare l’aderenza necessaria ad nuovo tappeto di usura; col secondo ci si riferisce allo stesso
trattamento ma relativo ad una nuova struttura e cioè ad es.per legare alla sottobase lo strato
bituminoso di base.

Nei lack-coat , per la limitata penetrazione, si usano leganti di media viscosità oppure emulsioni in
ragione di 0.4÷0.7 l/m2 .

Nei prime-coats si impiegano invece leganti mollo fluidi e la quantità è maggiore: da 0.8 a 2,0 l/m2
a seconda della porosità della superficie da trattare.

E' comunque preferibile in entrambi i casi mantenere la quantità in difetto per evitare che il legante
non assorbito venga in seguito assimilato dallo strato seguente col risultato del trasudamento.

Entrambi i trattamenti non richiedono inerte di copertura: si neutralizzano con sabbia grossa e
pulita (e dopo un certo tempo) solo i grumi di legante non assorbito.

E' inoltre importante, per i tack-coats in particolare, lasciare trascorrere iI tempo necessario al
legante per asciugare prima di stendere lo strato successivo; se troppo fresco, infatti, agirebbe da
lubrificante con effetto opposto a quello cercato.

Per contro un’essiccazione prolungata ne limiterebbe l'effetto e faciliterebbe l'incorporamento di


polvere specie se tira vento.

Il prime-coat si applica su superficie secca o leggermente umida, con temperatura ambiente > 12-
13°C evitando tempo nebbioso ed umido.

Il tempo lasciato al legante per asciugare è normalmente di 48 h durante le quali il traffico deve
essere escluso o, alla peggio, se ne potranno ridurre i danni stendendo un sottile velo di sabbia.

1.16.7- Trattamento superficiale monostrato

E’ un trattamento economico che si consiglia per migliorare l'impermeabilità di una superficie


bitumata fessurata, per rafforzarla e renderla meno sdrucciolevole.

Oltre quanto esposto nei precedenti paragrafi, per quanto concerne il tipo di legante si preferisce
l'emulsione acida al 66÷70% nella quantità di ~1 kg/m2 sparsa preferibilmente a caldo (70÷80°C) e
coperta con 6÷8 l di graniglia 3/6 per m2; la quantità aumenta se la graniglia è di pezzatura
maggiore. Il vantaggio dell'emulsione sul bitume puro è la sua rapida rottura che consente di aprire
subito al traffico. Come già segnalato per i trattamenti superficiali in genere, essenziale è che la
127
graniglia sia ben lavala all'impianto evitando il lavaggio sugli autocarri dove la polvere si accumula
al fondo del cassone.

1.16.8 - Trattamenti superficiali multipli (2 o 3 strati)

Sono anch'essi, sia pure in forma più consistente, dei trattamenti di manutenzione della base di
conglomerato anche se a volte possono essere utilizzati per migliorare una superficie stradale non
bitumata. In ogni caso si dovranno prima riprendere buche ed avvallamenti con pietrischetto
bitumato. Per quanto riguarda le caratteristiche e quantità dei materiali è opportuno utilizzare i
riferimenti di Tab. 1.20. Molti trattamenti multipli si eseguono oggi utilizzando le emulsioni
bituminose per i noti vantaggi di questo tipo di legante. Esistono diverse varianti di cui si riportano
le più comuni:

Tab. 1.20 - Trattamenti multipli - Caratteristiche e quantità adottate in Francia.

a) Trattamento doppio strato

- 1a mano con emulsione acida al 65% a caldo (50÷60°C) in ragione di 1.1 kg/m2;

- spandimento pietrischetto 8/12 oppure 10/15 nella quantità di 16 l/m2.

- seconda mano di emulsione acida a 1.2÷1.3 kg/m2;

- spandimento graniglia 3/6 a 6 l/m2;

- rullatura con rullo gommalo anche vibrante.

b)Trattamento ancorato

Si presta per superfici non trattate precedentemente con bitumi oppure molto deteriorate:

- 1a mano con emulsione al 55% sufficientemente viscosa, in ragione di 3 kg in modo da ottenere


una penetrazione parziale (di qui il termine ancorato); per rallentare la rottura, se la stagione è
calda, si inumidisce la massicciata prima del trattamento.

128
Qualora fosse da temere una dispersione di legante, la prima mano si può suddividere in 2 fasi:
circa 2 kg/m2 di emulsione nel primo spandimento e subito dopo il 2° facendo sempre seguire ai
trattamenti una leggera cilindratura; la graniglia di saturazione è normalmente un 10/15 ed un 5
mm, rispettivamente, per almeno 20 l/m2 complessivi; aperta la strada al traffico, per 8 giorni si
dovrà provvedere a che la graniglia resti su tutta la superficie ricorrendo ad eventuali ricarichi; al
termine si asporterà l'inerte non incorporato; dopo un mese, previa pulitura ed eventuali piccoli
rappezzi con pietrischetto bitumato, si applica la seconda mano (o spalmatura) con funzione di
manto di usura.

L'emulsione viene stesa in ragione di 1÷1.2 kg/m2 e quindi, anche dopo un certo intervallo se
opportuno, si spande la graniglia (6/9) a 10 l/m2 con rullatura a rullo gommato, preferibilmente
tandem.

E' del tutto sconsigliato l'utilizzo nella seconda mano della graniglia ricuperata dalla prima. Una
alternativa all'emulsione nella seconda mano è l'impiego di bitume a caldo (a 60÷180°C) in ragione
di 1 kg/m2 con risultati certamente più duraturi; si richiede tuttavia clima caldo ed asciutto.

1.16.9 - Considerazioni sui trattamenti superficiali

- sono indubbiamente di tipo economico e pertanto meno durevoli (2÷5 anni max) dei tipi di
pavimentazione descritti nei capitoli seguenti;

- alle emulsioni è preferibile il bitume a bassa viscosità che può essere steso a temperature
relativamente basse (sempre comunque intorno ai 120°C) purché il clima sia caldo e secco;

Tab. 1.21 - Trattamenti superficiali: leganti tipici per superfici terrose.

- nelle zone ombreggiate ed umide i trattamenti superficiali hanno una durata minore;

- nelle zone gelive si richiedono trattamenti molto chiusi, con bitumi ad indice di penetrazione
vicino allo zero cioè molto elastici e quindi poco fragili durante il gelo;

- un errato dosaggio del legante ha riflessi molto negativi: l'eccesso provoca in estate i
trasudamenti, dannosi e pericolosi per il traffico;

- il pericolo di una cattiva adesione del legante è grande se l'inerte è a reazione acida oppure è
molto umido; un buon rullaggio facilita comunque l'adesione.

129
1.16.10- Considerazioni sull'impiego delle emulsioni bituminose

- applicare la quantità prescritta alla corretta temperatura;

- prendere atto delle caratteristiche fornite dal produttore; i vari tipi si diversificano chimicamente e
sopratutto nei risultati: l’emulsione cationica o acida rompe (il bitume si separa, cioè, dall'acqua
che evapora) chimicamente e oltre a minimizzare gli effetti della pioggia e del freddo essicca più
rapidamente; richiede aggregato siliceo che ha carica negativa. L'emulsione anionica rompe nel
tempo di 3÷6 h, è più adatta per tappeti sottili (non più di 5 mm) e trasuda meno della precedente
in clima caldo;

- evitare che l'acqua contenuta nell'emulsione possa gelare o bollire oppure che ad essa si
mescoli aria; le sue bollicine la rendono instabile;

- si diluisce l'emulsione aggiungendo (molto lentamente) l'acqua e non viceversa;

- evitare spandimenti a temperature molto basse e su aggregato pulverulento;

- nelle cosiddette sabbiature, la sabbia va stesa prima che l'emulsione rompa.

130
1.17 - Macadam a penetrazione

Questo tipo di struttura e ancora usato come strato di base per strade a traffico leggero oppure per
sottobasi e consiste di uno strato di pietrisco a grossa pezzatura trattalo in profondità o con malta
cementizia (colcrete) oppure con legante bituminoso. Se il colcrete è da ritenersi superato dalla
stabilizzazione tipo road-mix l'impiego del bitume a caldo (bitume puro 60÷300 oppure cut-back
150/200 a 180°C) oppure delle emulsioni è ancora comune, operando su spessori di 10÷12 cm per
volta. Dopo lo spandimento del pietrisco ed una leggera rullatura si spande il legante che viene
saturato con pietrischetto 15/20 in ragione di circa 20 l/m2; a distanza di una settimana (bitume a
caldo) o 12 h (emulsione) seconda mano, saturando con graniglia 5/10 (10 l/m2) e rullatura a
fondo. L'impiego di emulsione richiede spesso una terza mano saturata con un velo di sabbia.

Tab. 1.22 - Caratteristiche dei materiali impiegati nei macadam a penetrazione.

Nel caso di massicciate di strade secondarie, provviste di buona fondazione ma che necessitino di
un ripristino, si può ovviare ad un ricarico di materiale lapideo nuovo qualora risultasse troppo
oneroso, ricorrendo alla tecnica seguente:

- si scarifica e si sminuzza con adatto equipaggiamento lo strato superficiale senza intaccare il


piano di fondazione;

- analizzato il materiale di risulta lo si integra eventualmente con le pezzature mancanti in modo


da ottenere uno strato sciolto di 12÷15 cm di spessore con granulometria variante da 0.05 a 70
mm (nella pratica lo scopo è raggiunto spesso con l'aggiunta di tout venant di cava);

- regolarizzata col grader la miscela che dovrà essere leggermente umida specie con tempo
secco, si spande una prima dose di emulsione bituminosa al 55% di bitume in ragione di 1 kg/m2;
dopo rimescolamento ed erpicatura meccanica si spande una seconda dose di emulsione (2
kg/m2) oppure di bitume flussato (1.5 kg/m2);

- rimescolato lo strato trattato col grader e livellato si procede ad una leggera cilindratura
preceduta, se non necessita inumidire, dallo spandimento di circa 5 l/m2 di pietrischetto;

131
- si spande la terza dose di legante (1 kg/m2 di emulsione o di bitume liquido) saturando con 5÷7
l/m2 di pietrischetto 5/10 mm e facendo seguire il rullo;

- nei giorni successivi si spinge a fondo il costipamento regolandosi con l'indurimento dello strato.

132
1.18 - Conglomerati bituminosi (Enrobés et betons bitumineux - Bituminous mixes)

Trovano larga applicazione negli strati di sottobase, base e di superficie delle pavimentazioni
stradali e nelle aree di parcheggio, banchine, marciapiedi etc. sia nelle nuove costruzioni che nei
lavori di ripristino. A seconda dei tipi offrono più o meno accentuati i seguenti pregi:

- superficie antisdrucciolevole e nel contempo scorrevole;

- -resistenza alle sollecitazioni verticali e tangenziali provocale dal traffico per il loro elevato
attrito interno e per la coesione assicurata dal legante;

- resistenza agli agenti esterni (sole, acqua, gelo, prodotti chimici) per la loro compattezza che
assicura anche l’impermeabilità e quindi la protezione degli strali sottostanti dalle insidie
dell'acqua.

I tipi sono numerosi diversificandosi le composizioni sia quantitativamente attraverso diversi


rapporti tra le pezzature dell'inerte che qualitativamente; svariati sono inoltre i metodi di
fabbricazione e gli impieghi. Ne consegue che anche le classificazioni sono diverse a seconda del
criterio adottato. Si riportano in Tab. 1.23 due classificazioni adottate, rispettivamente, in Francia e
in USA, diffuse anche in Italia.

Tab. 1.23 – Classificazioni per conglomerati bituminosi.

1.18.1 – Materiali

L’inerte, con una appropriata granulometria, costituisce lo scheletro portante e fornisce l'attrito
interno che è massimo quando è ridotto il numero dei vuoti (conglomerali chiusi ) ed i granuli,ben
frazionati nelle dimensioni, sono incastrati fra loro. La continuità della curva granulometrica è
tuttavia necessaria solo per la parte fine (< 2mm) ed eventuali salti nell' aggregato grosso non
compromettono la densità della miscela.
133
L'impiego di materiale interamente di frantoio rende più difficile il costipamento che si raggiunge
comunque adeguando spessore dello strato e potenza dei mezzi .

Il grosso, o ritenuto al setaccio n. 4 AASHO (4.8mm), proveniente dalla frantumazione di rocce o


ghiaie, deve essere pulito, duro, durevole e compatto, di qualità uniforme ed esente da materie
decomposte o di natura organica, da argilla e/o altre sostante dannose.

Deve contenere non più del 10% di elementi oblunghi e, una volta ricoperto dal bitume, deve
superare favorevolmente la prova dello stripping .

Se proveniente dalla frantumazione di ghiaie, il materiale di origine deve essere prima vagliato in
modo che non meno del 90% sia ritenuto al setaccio da 3/8" (9.4 mm).

Il fine (o passante il n. 4) deve avere le stesse caratteristiche di pulizia etc. richieste per il grosso;
se ottenuto dalla frantumazione di ghiaie, almeno il 70% in peso del ritenuto al n. 8 (2.4mm) deve
presentare almeno una faccia fratturata.

Il filler (riempitivo) che va aggiunto alla miscela degli inerti quando questa è deficiente in materiale
passante il n. 200, ha il compito di riempire lo scheletro formato dai granuli più grossi per
aumentarne la compattezza e quindi l’impermeabilità, sostituendo in parte il legante che, in
quantità elevata, renderebbe in parte plastica la miscela.

Può essere costituito da polvere di roccia calcarea, cemento e simili e deve presentarsi sciolto,
esente da agglomerazioni e con la seguente granulometria:

- passante il n. 30 AASHO (0.600mm) 100%;

- passante il n. 50 AASHO (0.300mm) 95÷100%;

- passante il n. 200 AASHO (0.075mm) 70÷100%.

La miscela, controllata dopo le diverse operazioni ma prima dell'aggiunta del legante, deve avere
un minimo equivalente di sabbia di 45, un Indice di plasticità max di 6 ed una perdita di stabilità
Marshall, comparando il campione sommerso in acqua a 60°C per 24 h ed immerso per soli 20’,
non maggiore del 25%.

Per quanto riguarda il legante la sua influenza si esplica a seconda del tipo: i bitumi duri, cioè di
modulo elevato, aumentano la resistenza alla rottura a trazione e riducono l’ornierage (formazione
di ormaie) per effetto delle ruote.

Si esplica inoltre a seconda della sua percentuale: fino ad un certo limite, ad un suo incremento,
corrisponde un aumento della compattezza della miscela; poi, al contrario, si ha una caduta delle
resistenze meccaniche ed un’eccessiva deformabilità.

1.18.2 - Progetto della miscela (job-mix)

La miscela di cui è formato un conglomerato bituminoso deve essere tale che gli inerti ed il legante
debbono trovarsi nelle seguenti proporzioni:

- totale inerti 96÷93 % del peso totale

- totale legante bituminoso 4÷7 % del peso totale

134
Si richiedono inoltre i requisiti di cui alla Tab. 1.24. Nel progettare le proporzioni dei vari elementi
componenti la miscela va tenuto presente che oltre alla curva granulometrica è importante la
conoscenza del volume dei vuoti che può variare notevolmente tra miscele aventi la stessa
granulometria; se gli spazi intergranulari sono ridotti, il bitume può riempirli completamente
provocando trasudamenti dello strato durante la stagione calda, rendendo il conglomerato instabile
e la superficie scivolosa mentre una scarsità di legante riduce la resistenza e favorisce l'usura del
tappeto se non la sua

Ulteriori considerazioni:

- nei climi caldi e secchi il conglomerato tende a deteriorare rapidamente per l'effetto essiccante
ed ossidante del sole; la miscela pertanto deve essere più chiusa, con una maggior quantità di fine
e dì legante;

- per gli strati di base e cioè di un certo spessore si preferiscono bitumi duri per evitare pericolosi
rammollimenti nella stagione calda al contrario dei tappeti d'usura che per il loro esiguo spessore
sono più sensibili al freddo diventando fragili;

- l'impiego di bitumi liquidi per gli strali di base, col vantaggio di un più facile ed omogeneo
rivestimento dei granuli fini e di una migliore lavorabilità del materiale deve essere riservalo alle
granulometrie aperte e richiede precauzioni in fase di stesa tendenti a favorire l'evaporazione del
solvente; in caso contrario si potrebbero verificare scorrimenti nella massa del conglomerato.

Tab. 1.24 - Requisiti dei conglomerati bituminosi per basi (B) e disintegrazione strati d’usura (U) nelle strade ordinarie.

Per progettare la miscela si parte quindi dal vaglio e pesatura degli aggregali che vengono
selezionati per le combinazioni rispondenti alle specificazioni.

Si determina poi la densità dopo costipamento delle varie miscele secche ottenibili e quindi la
percentuale dei vuoti che si deve aggirare sul 16÷19% per i calcestruzzi, sul 20÷28 % per le malte
e 20-24% per le malte con pietrisco incorporato.

Allo scopo si può utilizzare la procedura Proctor modificata; noto il peso de! campione e misurato
quindi il volume occupato nella fustella si ha il peso specifico apparente: γa = peso/ volume.

Stabilito col picnometro o altro metodo il peso specifico reale (γr), la % dei vuoti della miscela
secca costipata è:

Va = 100 (γr - γa) / γr

Se tale % non corrisponde al richiesto si provvede alle opportune correzioni aggiungendo o


togliendo aggregato fine.
135
Scelta la composizione ottimale si calcola la % del legante che dipende, come s’è detto, dal
volume dei vuoti oltre che dalla forma dei granuli dell'aggregato, dalla porosità e rugosità delle
superfici e dalla sua ricettività. I vuoti devono comunque restare per una percentuale del 3÷6 % nei
calcestruzzi e 4÷8% nelle malte dei manti di usura per consentire un progressivo consolidamento
dello strato sotto il traffico. L'accertamento della quantità ottimale del legante è oggi fatto
prevalentemente con la prova Marshall.

Stabilita la miscela globale, l'impianto centrale dovrà essere regolato così da proporzionare gli
aggregati, il filler ed il bitume in modo che il risultato finale non si scosti dal progetto più dei limiti
fissati nella Tab. 1.24.

1.18.3 - Procedimenti costruttivi: il sistema road-mìx

E' il sistema per il quale il legame entra a contatto degli clementi dell'aggregalo per miscelazione
meccanica effettuata in situ; é usato solo per conglomerali aperti ed offre vantaggi economici sugli
altri sistemi in quanto l'eventuale eccesso di umidità dell'aggregalo è rimosso dal sole e dal vento
evitando l'essiccazione artificiale; ciò, evidentemente, comporta la necessità di operare in
condizioni ambientali favorevoli. Il mescolamento può avvenire:

- a mezzo di livellatrice (grader): dopo che l'aggregato e stato sparso su di una corsia ed è ben
asciutto, si alternano 3 successivi spandimenti del legante con altrettante passate del motorgrader
così da omogeneizzare la miscela;

- a mezzo di mescolatori meccanici a pale multiple rotami; alcune moderne apparecchiature sono
accoppiate al distributore del legante ed è spesso sufficiente un solo passaggio;

- mediante impianti mobili (travel mixing plants) che proporzionano automaticamente la miscela e
la depositano pronta per il costipamento (Fig. 1.74).

Fig. 1.74 - Schema di impianto mobile: 1) grembiule; 2) coclea di alimentazione; 3) nastro elevatore; 4) alimentatore a
rullo; 5)-6) serbatoio del legante; 7) spruzzatore; 8) miscelatore a pale; 9) pompa del legante; 10) coclea di spandimento;
11) barra battente per un primo costipamento.

Pur essendo evidentemente i risultati diversi a seconda del mezzo usalo, si richiede comunque:

- la superficie d’appoggio deve essere ben costipata, pulita coi corretti profili longitudinali e
trasversali;

- lo spandimento di una mano di aderenza è facoltativo dipendendo dallo stato della superficie;

136
- il 2% di umidità dell'aggregalo rappresenta il massimo tollerabile per i bitumi mentre per le
emulsioni è accettabile un 4÷5%;in caso di eccesso, l'inerte va aerato a mezzo di motorgrader o
altro mezzo meccanico; l'applicazione del legante dipende dal sistema di mescolamento adottato;
impiegando il motorgrader, ad ogni passata si impiegano 2.5÷3.5 l/m2 per un totale di ~1.2 l/m2 e
per cm di spessore dello strato; il mescolamento deve seguire subito la prima applicazione di
legante per evitarne la dispersione ed operando sull'intera larghezza trattata:

- la rullatura, con rulli a cilindri o gommati a seconda del tipo di inerte, si inizia dai lati verso il
centro ed il tempo di attesa dallo spandimento è sempre frutto dell'esperienza: da pochi minuti a
24 h.

1.18.4 - Procedimenti costruttivi: sistema ad impianto centrale (plant-mix)

E' oggi il metodo più diffuso nella esecuzione delle pavimentazioni bituminose e consiste nella
preparazione della miscela in impianto fisso o centrale e nel suo spandimento, a caldo o meno di
frequente a freddo, con macchine che vanno dal motorgrader alle macchine finitrici.

Tab. 1.25 - Tipi di legante usati nei road-mix; a) mescolamento con motorgrader; b) con impianto mobile.

Si distinguono due procedimenti nella produzione del conglomerato in centrale: a miscela/ione


continua e discontinua. Nel primo, i vari inerti essiccati, vagliati e pesati sono meccanicamente
prelevati dai sili ed immessi col bitume e l'additivo nel mescolatore ad azione continua e da qui
negli autocarri per successivi svuotamenti della tramoggia e ciò per evitare la segregazione.

Il procedimento discontinuo si diversifica solo per il fatto che si procede per cicli in ognuno dei quali
la quantità prevista di conglomeralo è erogata per poi passare al ciclo successivo.

a) Trasporto del conglomerato sul luogo di impiego

La produzione di una centrale varia mediamente da 150 a 900 t/h. Un suo arresto significa:

- diminuzione della qualità del prodotto;

- perdita di materiale;

- aumento delle spese.

E' pertanto essenziale in un cantiere stabilire in base ai vari fattori (produzione oraria della
centrale, distanze dei luoghi d’impiego, velocità di trasporto etc) il numero di automezzi al disotto
del quale non sarebbe possibile una continuità di produzione.

E' infatti da aggiungere che una crisi dei trasporti si ripercuoterebbe anche sull’efficienza della
finitrice, un arresto della quale comporta:

137
- diminuzione di qualità dello strato;

- difetti nel profilo stradale;

- perdita di materiale se l'arresto è lungo;

- aumento delle spese.

Oltre al numero adeguato, è necessario che la flotta di automezzi sia omogenea per una più facile
manutenzione e che il sistema di scarico delle benne e la loro capacità siano adeguati al tipo di
finitrice. I cassoni degli autocarri debbono essere in metallo, a tenuta stagna, con pareti e fondo
lisci; vanno tenuti oliati (olio di paraffina) ad evitare che la miscela vi aderisca. In caso di cattivo
tempo vanno coperti con teloni e, nel caso di spandimento a caldo, la miscela deve raggiungere la
finitrice ad una temperatura di almeno 120°C. Se si tiene conto, pertanto, che all'uscita dalla
centrale la temperatura è di 150-170°C, il tempo di trasporto e le conseguenti misure di protezione
vanno attentamente considerate nella programmazione del lavoro.

b) Applicazione

Una miscela bituminosa deve essere stesa su di una superficie accuratamente preparata per
riceverla; in tal modo la fondazione o la sottobase sono conformi a quote e profili di progetto,
drenate e costipate. Anche se trattasi di una superficie bituminosa esistente, deve essere rimossa
ogni sostanza estranea assieme alla polvere. Salvo casi particolari la stesa del conglomerato é
preceduta da una oliatura. Lo spandimento si può eseguire:

- a mano: evidentemente per piccoli lavori la miscela è depositata su piattaforme laterali e di qui
prelevata con forche e stesa a mezzo di rastrelli i cui denti laterali debbono essere distanziati
almeno 2 volte la dimensione max dell'inerte. Non si deve lavorare troppo la miscela perché il
rastrello ne provoca la segregazione facendo salire in superficie gli elementi più grossi. Per
facilitare la stesura è utile, a volte, riscaldare, senza arroventare, gli attrezzi costipando poi lo
strato con mazzaranghe. Arrestare le operazioni in caso di pioggia ed evitare che il personale
cammini sulla miscela sciolta;

- con la livellatrice (motorgrader) soprattutto per strati di base a caldo od a freddo anche se nel
primo caso la macchina lavora con difficoltà e richiede un operatore abile per profilare rapidamente
prima che la miscela raffreddi;

- con la finitrice (paver); essendo autolivellante, non risente delle eventuali irregolarità del
sottofondo e permette applicazioni a velocità, spessore e larghezza variabili consentendo in modo
di adeguarsi al ritmo dei rifornimenti senza subire rallentamenti.

Lo spandimento è normalmente effettuato lungo una corsia per volta escludendo dalla rullatura
una fascia di ~15 cm sul lato interno che sarà rullata con la striscia adiacente; si lascia inoltre tra
corsia e corsia un piccolo gradino (esagerato in Fig. 1.75 per evidenziarlo) al fine di facilitare il
drenaggio. La ripresa di un vecchio giunto richiede che questo sia preventivamente spalmalo con
bitume (RC). Non si deve operare con temperatura ambiente < 4°C oppure con stagione piovosa o
in presenza di nebbia umida od ancora sulla superficie bagnata.

Lo spessore dello strato deve essere almeno 1.5 volte la pezzatura massima e ciò per evitare
strappi nel manto da parte della finitrice. I conglomerati di base, quando lo spessore finito supera i
12 cm, vanno stesi in 2 strati successivi. La velocità della finitrice deve essere quella ottimale per
quel tipo di macchina tenendo conto del ritmo degli arrivi dei trasporti in modo da ottenere uno
spandimento uniforme senza arresti. Negli strati successivi i giunti longitudinali in ciascuno strato
devono essere spostati dai 15 ai 30 cm rispetto a quelli sottostanti. Essenziale è il controllo

138
preventivo delle quote del piano di posa e la messa opera di punti di riscontro, del tipo idoneo alle
caratteristiche della finitrice così che la superficie finita risulti uniforme ed ai livelli previsti. Anche i
riferimenti dell'asse stradale vanno mantenuti fino a completamento.

Fig. 1.75 - Gradino su fascia, lato interno.

1.18.5 - II costipamento

La durata del tappeto bituminoso dipende in buona parte dalla rullatura. Esistono teorie diverse sui
tipi di costipatori da usare e sulle precedenze: tenuto conto, tuttavia, dei mezzi di controllo delle
temperature oggi a disposizione, si può dire che tutte le procedure sono accettabili purché si operi
quando la miscela è lavorabile tenendo presente che la superficie dello strato si raffredda
rapidamente mentre a poca profondità la miscela si conserva plastica a lungo. Le condizioni
ambientali assumono grande importanza al riguardo; nella Fig. 1.76 sono rappresentati due metodi
validi di costipamento: il cosiddetto break-down, o rullatura iniziale, con poche eccezioni segue
subito la finitrice a meno che la temperatura non sia molto elevata oppure se lo strato da costipare
eccede i 4÷5 cm motivo per cui il rullo affonda eccessivamente.

I primi passaggi devono essere comunque molto cauti per evitare ondulazioni e fessurazioni; se il
rullo, tuttavia, nella sua azione spostasse troppo la miscela è opportuno accertarsi della qualità di
quest'ultima. Iniziando col rullo gommato (Fig. 1.76b) la pressione esercitata deve essere
dell'ordine di 3÷6.3 kg/cm2. I rulli a cilindri, equipaggiati con palette e spruzzatori d'acqua per
evitare che la miscela aderisca, devono risultare preferibilmente a 3 assi in quanto il peso tende a
gravare sull'asse in posizione più alta rispetto agli altri riducendo così le possibili ondulazioni;
dovranno inoltre compattare all'indietro e cioè con la ruota di sterzo dietro le altre.

139
Fig. 1.76 – Movimenti dell’operazione di costipamento.

Per gli strati di conglomerato di notevole spessore i rulli vibranti, per la loro azione in profondità, si
rivelano i più idonei; sono consigliati quelli in cui entrambi i rulli, compreso quindi lo sterzante, sono
a vibrazione controllata; si avanza in tal modo con lo sterzante statico per poi farli vibrare entrambi
al ritorno ed in ultimo, nella fase di finitura, togliendo alla macchina ogni vibrazione.

La vibrazione è tanto più necessaria nel costipamento di strati di base; tuttavia deve sempre
cessare automaticamente quando la macchina si ferma o cambia direzione di marcia per impedire
che nel luogo d’arresto si verifichi una depressione dello strato che sarebbe poi molto difficile
eliminare. Lo sforzo compattivo del vibratore è proporzionale alla sua velocità così che lo sforzo
esercitato a 2.4 km/h è praticamente uguale a quello di due passaggi a 4.8 km/h operando con la
medesima lunghezza d'onda; ne consegue che è meglio compattare a bassa velocità e comunque
mai a velocità > 4÷5 km/h. Un altro vantaggio del rullo vibrante è di essere efficace anche a
temperature della miscela relativamente basse (quella ideale per la macchina è 70÷100°C); resta
peraltro discutibile se sia meglio un rullo pesante a bassa frequenza di vibrazioni o viceversa,
quale sia il tipo di sospensione più idoneo e quale il rapporto velocità/frequenza. La risposta
migliore è evidentemente quella che fornisce in situ la massima densità e la migliore finitura.

La rullatura, sia essa statica, dinamica o gommata, va sempre iniziata dal bordo verso il centro con
sovrapposizione di mezza ruota ad ogni passaggio ed evitando di finire le successive passate
sempre allo stesso punto.

Serrare una rullatura vuoi dire costipare subito il bordo libero affinché non si deformi; dopo un
primo consolidamento, si può rullare anche diagonalmente o per traverso se ciò risultasse
opportuno. In curva si inizia dal bordo interno. Si arresta il costipamento quando le tracce delle
ruote non sono più riscontrabili. E’ opportuno evitare le soste del rullo sul tappeto ancora caldo.
L'eccesso di bitume nella miscela viene evidenziato dal suo rifluire sotto il rullo e dall'aspetto
grasso della superficie; all'opposto la miscela povera di legante tende a segregare in ammassi
assumendo un aspetto opaco.

Concludendo, il costipamento deve essere uniforme senza eccessivi ritardi operativi tra una zona e
l'altra e completo nel senso che deve essere raggiunta la densità richiesta ovunque.

140
1.18.6 - Inconvenienti più comuni nella posa dei tappeti bituminosi

Tra i più frequenti è il cracking o formazione di screpolature dovute o ad un eccesso di fine nella
miscela oppure perché questa è troppo calda o fredda. Le fessure e gli ondeggiamenti sono quasi
sempre imputabili a manovre errate del rullo; gli avvallamenti,a soste dello stesso sullo strato
troppo caldo. Gli strappi possono dipendere:

- dalla miscela troppo secca, o troppo ricca o dalla scarsità di fine;

- dalla guida o dalla barra (tamper) della finitrice in cattivo stato;

- dall'esaurimento dell'acqua nel serbatoio della macchina.

La segregazione, o presenza nel tappeto di aree a diversa granulometria, se non è attribuibile


all'impianto centrale, può essere dovuta a troppi rimaneggiamenti. Le ondulazioni ed irregolarità
della superficie sono da attribuire:

- a forti fluttuazioni della temperatura nella preparazione in centrale;

- ad un urto dell'automezzo rifornitore contro la finitrice;

- alle coclee sovraccariche;

- ai controlli di quota difettosi (es. fili di guida laterali non tesi);

- a soste del mezzo compattatore.

Le irregolarità in corrispondenza dei giunti longitudinali si attenuano operando il riscaldatore a


raggi infrarossi posto sul lato della finitrice che ammorbidisce il bordo del tappeto cui ci si deve
colIegare.

1.18.7 - Tolleranze geometriche nelle basi e nei tappeti di usura

Per controllare la regolarità delle superfici, presupponendo si siano rispettate le quote di progetto,
si usa comunemente un'asta di 4 m.

Gli avvallamenti tra i punti di contatto dell'asta, posta sia longitudinalmente che trasversalmente,
non devono superare in altezza i 6÷8 mm per le basi e 4÷5 mm per i tappeti sempre che gli errori
di quota non superino 7 (o 4) mm. Tali valori sono indicativi dipendendo dall'importanza della
strada. Lo spessore degli strati è controllato col prelievo di tasselli (uno per corsia ogni 300 m) e
sono accettate deficienze fino a 5 (o 3) mm. Riscontrando deficienze superiori si devono
intensificare i prelievi e fino a 15 mm si effettueranno le relative deduzioni contabili; deficienze
maggiori, che potrebbero pregiudicare la stabilità della struttura non sono accettate.

Le prove di densità dello strato costipato seguono man mano il progresso dei lavori in ragione di
due per strato e ogni 500 m lineari di strada utilizzando possibilmente densimetri elettronucleonici.

1.18.8 - Conglomerati bituminosi aperti

Si identificano coi pietrischi bitumati e costituiscono il tipo più semplice ed economico delle miscele
bituminose per la maggior tolleranza nella granulometria degli inerti.

La loro stabilità non è basata sul basso contenuto di vuoti, caratteristica delle miscele dense, ma
sulla chiusura meccanica del mosaico ottenuta col costipamento ed appunto per l'alto contenuto di
141
vuoti (circa 15%) non sono adatti come tappeti di usura se è previsto un traffico pesante od in climi
umidi e freddi sempre ché, in quest'ultimo caso, non si ricorra ad un successivo trattamento
superficiale impermeabilizzante.

Tab. 1.26 - Miscele per conglomerati bituminosi aperti.

La loro principale utilizzazione è pertanto negli strati di base e, nelle strade ammalorate, come
strato antistrappo, rappezzi etc. Sono detti antistrappo quegli strati ad alto tenore di vuoti
(25÷35%)che vengono stesi su vecchie pavimentazioni specie del tipo rigido, in presenza di forti
sbalzi di temperatura o fenomeni accentuati di gelo-disgelo con Io scopo di neutralizzare i diversi
movimenti del piano di appoggio e del previsto tappeto sovrastante. Lo spessore di uno strato
antistrappo è intorno a 10 cm e richiede solo un costipamento leggero con rullo a cilindri da 2÷4 t.

Composizione delle miscele

- l'aggregato grosso, proveniente da rocce semidure, pulito, cubiforme, deve avere elementi non
più grossi dei 2/3 dello spessore dello strato costipato;

- l'aggregato fine (< 3 mm) deve contenere una % di filler (passante al n. 200 BS) pari a 2÷5%
del totale; la sabbia può sostituire la polvere di cava ma in tal caso il filler deve essere al massimo
della percentuale ammessa (5%);

- il legante: i bitumi puri richiedono temperature elevate e l'inerte deve essere pre-riscaldato; la
miscela va stesa e costipata a caldo mentre i cut-backs per la presenza di solventi, permettono
temperature di lavorazione più basse e quindi tempi più lunghi a disposizione. La quantità di
legante è minima per inerti duri (granito, basalto) ed aumenta per quelli scadenti (Tab. 1.26).

Con riferimento al clima, sono da preferire i bitumi teneri o cut-backs di grado elevato in climi
temperati riservando la media viscosità in climi caldi e secchi (con aggregato poroso e leggero) ed
operando a temperatura ambiente.

142
Tab. 1.27 - Fuso granulometrico del conglomerato aperto antistrappo.

In inverno e per i rappezzi si impiegano bitumi 180/200. Per i piccoli lavori è frequente il problema
della distanza dalla centrale di produzione col rischio che la miscela arrivi quasi fredda e
comunque poco lavorabile. Lo si risolve con l'uso di bitumi liquidi del tipo 150/300.

Tab. 1.28 - Miscele per rappezzi anche estesi.

Oppure 350/700 a seconda della temperatura ambiente mentre per i rappezzi, se il clima è freddo
ed umido, è preferibile il ricorso alle emulsioni del tipo cationico.

1.18.9 - Conglomerati bituminosi chiusi

Tali composti comprendono i calcestruzzi bituminosi (contenenti un 50÷60% di pietrischetto o


graniglia) e le malte bituminose. Trattandosi di prodotti ad elevate caratteristiche per resistenza e
durata, richiedono numerosi controlli sia sulla qualità dei materiali che sulla confezione ed inoltre
più elevati tenori di bitume. Trovano il loro principale impiego nei manti di usura per strade di
grande comunicazione e per aeroporti dove fondazione e strati di base sono adeguati ai loro costo.
Le malte, che richiedono le più alle % di additivo e di bitume sono utilizzate prevalentemente nelle
strade urbane in quanto forniscono tappeti scorrevoli e di estetica piacevole, mentre i calcestruzzi,
per la loro scabrezza ed economicità, nelle strade extra-urbane.

Tab. 1.29 - Conglomerati chiusi per tappeti d'usura impiegati in Italia.

143
Nei calcestruzzi bituminosi la percentuale dei vuoti nella miscela secca (inerte+filler) non deve
superare il 18÷22%, la prima cifra quando l'inerte ha la massima pezzatura di 20÷25 mm con il
5÷7% di legante previsto (bitumi duri). La miscela corretta, entro ì limiti dei fusi granulometrici, è
ottenuta attraverso le prove di stabilità. Un tappeto di usura, una volta in opera, deve avere una %
di vuoti (3÷6) sufficiente per assorbire eventuali eccessi di legante che, in caso contrario,
provocherebbero trasudamenti rendendo il tappeto instabile; nel contempo deve assicurare
l’impermeabilità dello strato.

Tab. 1.30 - Granulometria della miscela secca per tappeti di usura.

Contribuisce notevolmente ad accelerare il decadimento di un tappeto di usura, la cui durata media


è di 3÷4 anni, la presenza di gomme chiodate molto comuni nelle regioni soggette ai geli; d'altro
lato, le Amministrazioni contrastano la formazione del gelo sulla superficie stradale (verglas) con lo
spandimento di antiderapanti che deve essere tempestivo e comunque costoso.

Per ridurre la portata dei due problemi e garantire una maggiore sicurezza al traffico nei tratti
stradali soggetti al fenomeno, specie se in pendenza, si ricorre al cosiddetto cloutage e cioè
all’amaraggio, su di una matrice di malta bituminosa a tessitura fine, di pietrischetto prebitumato
pezzatura 15/25 in ragione di 6÷10 kg/m2. Il pietrischetto, che deve avere un coefficiente di
frantumazione < 100, è trattato in centrale con circa il 2% di bitume 280/200 opportunamente
flussato affinché i granuli non aderiscano tra loro prima dell'uso.

Tab. 1.31 - Penetrazioni consigliate dei bitumi nei conglomerati a seconda del clima (Asphalt Institute).

144
Stesa con vibrofinitrice la malta bituminosa di supporto (4÷4.5 cm di spessore) si procede a un
breve intervallo alla caduta del pietrischetto a mezzo di una tramoggia semovente provvista di rullo
dentato a taratura elettronica che consente un dosatura calibrata e quindi uno spandimento
uniforme. Segue poi la rullatura, ad opportuna distanza di tempo con tandem a cilindri da 8-9 ton
così da lasciare una superficie rugosa che migliora il coefficiente di attrito radente riducendo
sensibilmente l'usura del tappeto.

Tab. 1.32 - Spessori minimi dei tappeti dì usura (U), collegamento (C) e di base (B) (Asphalt Institute).

1.18.10 - Conglomerati bituminosi semidensi o chiusi economici

Comprendono una vasta gamma di miscele bituminose che si differenziano dai conglomerati chiusi
per le maggiori tolleranze granulometriche. Tra i più noti sono:

a) Miscele di sabbia (dry-sand mix): Sono malte a basso costo composte da sabbia naturale (89%)
mescolata con cut-back (6,5%) e filler (4,5%) ed impiegate come tappeto di usura per strade a
traffico medio-leggero nei Paesi caldi ed asciutti dove la sabbia e facilmente reperibile.

Fig. 1.77 - Sezione di una pavimentazione in conglomerato bituminoso di una autostrada in USA. 1) tappeto di usura (40
kg/m2; 2) binder (70 kg/m2); 3) calcestruzzo bituminoso di base spessore 18 cm; 4) sottobase in aggregato di frantoio (15
cm); 5) fondazione con materiale avente un CBR minimo di 30 e di spessore variabile (15÷30 cm); 6) terreno vegetale.

b) lo slurry-seal: E' un conglomerato simile al precedente, composto di aggregato fine a fuso


granulometrico molto chiuso, asfalto emulsionato ed acqua. Se applicato con criterio riempie
connessure. giunti, screpolature di superfici bituminose ammalorate formando un tappeto della
durata di 2÷3 anni. E' usato con fini analoghi, anche su vecchie pavimentazioni di cemento. Lo
slurry-seal è prodotto e steso da una macchina montata su un comune autocarro a bassi rapporti
di velocità. Lo spessore dello strato è di 5÷7 mm e si presenta appena steso come una malta molto
plastica che non richiede particolari finiture. E'impiegato anche nelle aree di parcheggio, banchine
etc.

145
Tab. 1.33– Valori limite per l'accettazione dei conglomerati bituminosi (norme USCE)

1.18.11 - Conglomerati freddi (grave-émulsion)

Sono mescolanze a freddo di uno scheletro minerale molto vicino a quello dì un conglomerato
bituminoso normale, con emulsione bituminosa a rottura lenta, cationica o anionica a seconda dei
casi. L'inconveniente principale cui si può andare incontro è l'eventuale necessità a rimuovere
l'eccesso di umidità mentre il principale vantaggio è lo spandimento a freddo. Un altro vantaggio è
la possibilità di preparare la miscela in impianti mobili di piccole dimensioni, di facile spostamento
così da poter utilizzare giacimenti di inerte del luogo risparmiando quindi notevolmente sui
trasporti; infine la miscela è stoccata

Tab. 1.34 – Composizione dello slurry-seal. L’emulsione é realizzata o con asfalto lento (minimo residuo 57%) con pen.
60÷70 se ii clima è caldo, oppure dilazionato nel tempo, con bitume 180/200 o 80/100.

Per la stesa, la macchina ideale è il grader che rende facile il rimescolamento e l’aerazione della
miscela quando alla fabbricazione o per effetto di una pioggia, l'umidità e in eccesso.

Il costipamento viene eseguito non appena regolarizzata la superficie dal grader a mezzo di rulli
gommati oppure vibranti a seconda dello spessore dello strato e della composizione. Il grader
continua la sua azione di finitura mentre il rullo é operante. La loro principale utilizzazione è nelle
riprofilature, ricarichi etc. e richiede sempre un sovrastante tappeto di usura.

146
1.18.12 - Asfalti colati

Sono malte bituminose ottenute miscelando aggregato medio e sabbia con mastice di asfalto e
bitume (quest'ultimo in % molto minore).

Si usano oggi per lavori particolari: ricopertura di vecchie massicciate in pietra naturale,
marciapiedi, campi di gioco etc. Possono essere stesi anche durante la stagione fredda, purché
non geli, e consentono il ricupero del materiale per un suo riutilizzo previa aggiunta dell'1÷2 % di
bitume fresco. Due tipiche composizioni sono riportale nella Tab. 1.35.

Richiedono alla posa una temperatura di 160÷180°C e quindi il trasporto dalla centrale richiede
caldaie a rimorchio con focolare e mescolatore.

Tab. 1.35 – Miscele per asfalti colati.

1.18.13 - Conglomerati anti-kerosene

Per ridurre i danni causati dal percolamento di prodotti petroliferi sugli strati di usura soprattutto in
aree di stazionamento, parcheggi ecc. si sostituisce nella miscela al bitume il catrame che è molto
più resistente sopratutto se mescolato a prodotti di sintesi (es. il cloruro di polivinile) che
aumentano la resistenza alla ossidazione ed agli sforzi statici. Si ricorre inoltre a miscele che
portano ad una forte compattezza per rendere la penetrazione del liquido, per ridurre la
circolazione dell'aria nei pori (che invecchia il catrame) e per rendere più rigido lo strato.

147
Tab. 1.36 - Principali inconvenienti e probabili cause nella posa dei conglomerati bituminosi.

1.18.14 - Impiego della gomma nei conglomerati bituminosi

I vantaggi conseguibili con l’aggiunta di gomma sintetica (od anche ricavata da vecchi copertoni)
nei conglomerati bituminosi sono diversi:

- maggiore resistenza all'abrasione, alla flessione ed all'urto;

- minore sensibilità termica dello strato;

- maggiore adesione del legante agli elementi lapidei;

- miglioramento del coefficiente di attrito della superficie.

La gomma sintetica è un prodotto derivante dalla polimerizzazione di sostanze quali il butadiene, lo


stirene etc. ed il suo lattice è una emulsione acquosa in cui le particene di gomma hanno
dimensioni dell'ordine dei decimillesimi di mm. Nei lattici sintetici, appositamente approntati per le
pavimentazioni stradali (soprattutto in corrispondenza dei ponti), il polimero in esso contenuto ha
elevata elasticità, resiste adeguatamente alle temperature di lavorazione ed è molto compatibile
148
col bitume così che la miscela riesce molto omogenea. La quantità di lattice deve essere tale che
la gomma, rispetto al bitume, si trovi nella % dell’1.5÷3 in peso. Indicativamente, la % della gomma
in una malta bituminosa si aggira su valori ~ 0.5%. La Shell fornisce una miscela (Cariphalte-DM)
di due componenti;

- bitume altamente compatibile ai polimeri;

- gomma termoplastica di stirene-butadiene-stirene (SBS) molto stabile per lo stoccaggio.

1.18.15 – L’impiego dello zolfo nei conglomerati bituminosi

Allo scopo di risparmiare bitume si è già sperimentalo con successo lo zolfo thè lo sostituisce per
una % ≤ 30% in quanto altrimenti la miscela indurita sarebbe troppo fragile. L'aggiunta di zolfo dà
al conglomeralo un colore rosso-bruno e l'odore tipico. La bassa viscosità della miscela ne
consente lo spandimento a temperature basse; l'operazione deve essere tuttavia rapida per evitare
possibili emanazioni di H2S e SO2 entrambe dannose. Per evitare modifiche all'impianto lo zolfo
può anche essere addizionato in sito provvedendo la finitrice di apposito serbatoio distributore.
Tuttavia è preferibile la miscelazione in centrale in una speciale unità miscelatrice da cui il
composto viene poi mescolato all'aggregato coi sistemi usuali. Possibili inconvenienti: se
l'aggregato ha elevate proprietà assorbenti, il composto zolfo-bitume o zolfo-asfalto non densifica a
sufficienza lasciando un elevato numero di vuoti. La temperatura di posa del conglomerato deve
essere di 130°C in spessori di 5 cm: il costipamento ha luogo dopo 8 ore impiegando un rullo
vibrante.

149
1.19 - Comportamento reologico del conglomerato bituminoso

Il comportamento reologico di un conglomerato bituminoso è legato alle proprietà visco-elastiche


del legante, per cui lo studio meccanico del conglomerato non può disgiungersi da quello del
bitume. Per quest'ultimo si è già mostrata la possibilità di una più completa analisi visco-elastica
mediante la prova di creep compliance e la definizione del modulo di rigidezza Sm, per la
determinazione del quale è stato presentato il nomogramma di Van der Poel.

Lo studio delle proprietà meccaniche del conglomerato bituminoso, per contro, oltre a mettere in
evidenza l'influenza dei vari fattori che intervengono, deve tendere a determinare gli elementi
necessari a pervenire ad un razionale dimensionamento delle pavimentazioni.

Il primo problema, oltre che con le prove normalizzate (ad es. Marshall), può essere affrontato con
prove statiche (fluage o prova di creep), le quali permettono di apprezzare più chiaramente la
stretta dipendenza fra le caratteristiche meccaniche del conglomerato e quelle del bitume.

II secondo problema, collegato al dimensionamento, riguarda invece lo studio visco-elastico dei


materiali con legante bituminoso al fine di definire le relazioni esistenti fra gli sforzi e le
deformazioni e stabilire la resistenza a rottura sotto l'azione di sollecitazioni ripetute.

Allo scopo di avere gli elementi necessari per un corretto dimensionamento delle sovrastrutture,
alcuni autori hanno ritenuto di ottenere utili indicazioni servendosi di prove di simulazione con
modelli sperimentali, in cui, mediante una ruota gommata o con un carrello a più ruote
opportunamente caricate fatte girare con data velocità su una pista circolare di dimensioni molto
ridotte (Ø ~10 m), si sollecitano strati di materiale bitumato.

Si ha così modo di osservare le impronte più o meno profonde, lasciate dalle ruote (ornierage) per
dato numero di passaggi, nelle previste condizioni sperimentali.

In ogni caso i risultati di queste ricerche, per quanto interessanti, non hanno trovato quei larghi
consensi attesi.

1.19.1 - La rigidezza dei conglomerati bituminosi mediante prove di Creep Compliance

Come per i bitumi anche per i conglomerati bituminosi è possibile definire il modulo di rigidezza Sm
mediante il rapporto fra la sollecitazione σm, costante nel tempo, e la deformazione εm funzione del
tempo t di applicazione del carico e della temperatura T alla quale si opera:

Sm = σm/ε(t,T) (N/m2)

Per temperatura T costante, in una prova di compressione a carico σ, anch'esso costante, su un


cilindretto di conglomerato bituminoso, la legge di variazione εm risulta simile a quella indicata nella
Fig. 1.78 (prova di creep).

Note le funzioni Sm(t) ed Sb(t) a data temperatura, è abbastanza semplice individuare la relazione
(Sm, Sb) in corrispondenza dello stesso tempo di carico t essendo sufficiente leggere nei due
diagrammi Sm(t) ed Sb(t) i corrispondenti valori con i quali si trova un punto del diagramma (Sm,
Sb). Facendo variare il tempo t si determina per punti l'intera curva (Fig. 1.78); la freccia sta ad
indicare che all'aumentare dei tempi di carico i punti rappresentativi (Sm, Sb) si spostano verso il
basso. Come già avvertito, il valore della εm dipende, oltre che dal tempo di carico t, dalla
temperatura T, per cui anche il valore del modulo Sm viene influenzato da T.

150
Fig. 1.78 – Diagrammi σm,t e Sm,Sb.

Il tipo di rappresentazione adottato permette, perciò, di correlare il modulo Sm del conglomerato a


quello Sb del bitume considerando come variabile un fattore (tipo del bitume, temperatura di prova,
sollecitazione) e mantenendo costanti gli altri; la Fig. 1.79 si riferisce a prove eseguite su uno
stesso conglomerato facendo variare soltanto la temperatura. Analogamente si è constatato
sperimentalmente che il diagramma (Sm,Sb) consente un'unica rappresentazione degli effetti del
tipo di legante per date tensione applicata e temperatura di prova (Fig. 1.79).

Fig. 1.79 – Relazione (Sm,Sb) operando su un medesimo conglomerato a T diverse(in alto) e operando a temperatura e
carico costante utilizzando bitumi a diversa penetrazione (in basso).

151
Fig. 1.80 – Rappresentazione del carico σ variabile con t (legge sinusoidale) fra i valori σmax e σmin di compressione e
della corrispondente legge di deformazione; da notare lo sfasamento fra ε e σ.

Infine le prove di Fig. 1.80 si riferiscono a provini di uno stesso conglomerato cui sono stati
applicati valori diversi di σ (T = cost). Risulta evidente, quindi, che il metodo di rappresentazione
esposto fornisce, in una certa misura, il modo di svincolarsi da taluni fattori sperimentali.

1.19.2 - Le sollecitazioni a fatica nei conglomerati bituminosi

Volendo tener conto del comportamento a fatica degli strati in conglomerato bituminoso è
necessario studiare lo stato di sollecitazione ripetuta, assimilabile a quanto avviene nella
pavimentazione, e definire un modulo, che risulterà caratterizzato dalla frequenza f delle
sollecitazioni e che, nello stesso tempo, metta in evidenza il comportamento reologico del
materiale. Il modulo complesso, definito a tal fine, ha nel piano complesso una componente reale
associata al comportamento elastico mentre il coefficiente dell'immaginario interpreta le
caratteristiche viscose che sono responsabili delle perdite di energia, sotto forma di calore, che
intervengono durante la deformazione ciclica.

Se si applica ad un provino cilindrico un carico assiale (di trazione e compressione) sinusoidale di


ampiezza σ0 e con frequenza f = ω/2π (nella fase di dimensionamento della pavimentazione si
deve correlare la frequenza sinusoidale adottata nelle prove di laboratorio con la velocità dei mezzi
sulla strada; di solito si adotta una frequenza 10 Hz ritenuta corrispondente ad una velocità dei
veicoli pari a 25 km/h → Legge di Klomp):

σ(t) = σ0 sen ωt

si ottiene una deformazione che varia anch'essa con legge sinusoidale ma che, per le proprietà
visco-elastiche del materiale, risulta sfasata in ritardo rispetto al carico:

ε(t) = ε0 (sen ωt – φ)

dove φ è l'angolo di sfasamento.

La Fig. 1.80, in particolare, si riferisce ad una sollecitazione sinusoidale di sola compressione fra i
valori σmax e σmin.

152
II modulo complesso resta quindi definito dal rapporto fra σ(t) ed ε(t) :

il cui valore assoluto (costante nel tempo per data frequenza e temperatura di prova) è dato dal
rapporto fra le ampiezze delle due sinusoidi:

È anche possibile raffigurare il modulo complesso E(t) in un diagramma polare: il raggio vettore |E|
rimane costante mentre l'anomalia φ varia in funzione della frequenza. In forma vettoriale, con la
nutazione dei numeri complessi, può scriversi:

E = E' + iE”

Le due componenti E' ed E" prendono rispettivamente il nome di componente elastica e di


componente viscosa (|E| = √E’2+E”2 e tg φ = E”/E’)

È evidente che al variare di ω varia φ ed in conseguenza la componente E' (elastica) rispetto alla
E" (viscosa).

La conoscenza dell'angolo di sfasamento φ fra carico e deformazione è molto importante poiché il


valore di tg φ risulta uguale al rapporto fra componente viscosa e componente elastica del modulo
complesso; conseguentemente l'andamento di φ alle varie frequenze di carico è indice del
comportamento visco-elastico del conglomerato. Ad es. il decrescere di φ indica una diminuzione
di E" rispetto ad E’, ossia un miglioramento delle caratteristiche di risposta elastica del materiale.

Nelle Figg. 1.81 e 1.82 sono riportati i risultati di esperienze a sollecitazioni ripetute eseguite su
provini di conglomerato bituminoso per manto di usura alla temperatura di 20°C e per varie
frequenze di carico ; all'aumentare di f lo sfasamento φ diminuisce mentre aumenta |E|.

Fig. 1.81 - Variazione dello sfasamento φ in funzione della frequenza f con cui si esegue la sollecitazione (T costante) in
un provino di conglomerato bituminoso.

La determinazione del modulo complesso e delle sue componenti elastica e viscosa viene
effettuata mediante prove in cui si fanno variare gli sforzi (compressione, trazione, flessione o
taglio, secondo il particolare tipo di apparecchiatura) con legge sinusoidale di data frequenza fra
un valore massimo ed uno minimo, a temperatura costante, rilevando in funzione del tempo sia gli
sforzi che le deformazioni, e quindi lo sfasamento φ. La prova può essere condotta fino a rottura
così da ottenere il relativo numero di cicli che occorre compiere, nelle prestabilite condizioni

153
sperimentali, perché il provino, la cui forma si sceglie in relazione alle modalità della sollecitazione,
si rompa.

Fig. 1.82 - Variazione del modulo complesso |E| con la frequenza f in prove a fatica eseguite su conglomerato
bituminoso per manto d'usura, a temperatura costante.

Eseguendo più esperienze con provini dello stesso materiale si possono ricavare i valori del
modulo E in funzione della frequenza dei cicli e della temperatura.

Queste indagini si rivelano di notevole interesse per lo studio del comportamento degli strati
bitumati sotto l'azione di carichi ripetuti, poiché consentono di valutare, in linea teorica, lo stato di
accumulo del danno per fatica nella sovrastruttura, in una data fase di esercizio quando siano note
le entità dei carichi e la loro frequenza. Benché il comportamento a fatica dei conglomerati
bituminosi sia molto complesso è stato possibile esprimere la funzione che lega il valore massimo
della sollecitazione sinusoidale σN con il numero N dei cicli di carico da effettuare per pervenire
alla rottura; dalle esperienze svolte si ritiene accettabile la legge espressa dalla relazione:

che lega la sollecitazione σN, la temperatura T, la frequenza f ed il numero di cicli per la rottura N.

In un diagramma bilogaritmico (σN, N), per date T ed f, la relazione è rappresentata da una retta.

Le prove condotte da Verstraeten (Fig. 1.83) sono state effettuate a sollecitazione controllata,
usando, cioè, carichi ad ampiezza di sforzo costante.

154
Fig. 1.83 - Legge che lega εN con il numero N dei cicli di carico per pervenire alla rottura (Verstraeten).

Dividendo l'espressione di σN ricavata in ciascuna prova per il corrispondente modulo E(T,f)


ottenuto nella medesima prova, si ottiene la relazione:

ossia:

in cui il termine D non dipende né dalla temperatura né dalla frequenza. Verstraeten ha proposto
per il parametro D un’espressione generale che fa dipendere questo dalle caratteristiche del
conglomerato:

per cui risulta:

β dipende dalla % di asfalteni; δ dal rapporto Vi/(Vb+Vv) in cui Vi è la % in volume degli inerti, Vb
del bitume e Vv la % dei vuoti del conglomerato.

Si ritiene che il campo di validità della relazione risulti accettabile per frequenze comprese fra 3 e
100 Hz e per temperature variabili da - 20°C a +30°C.

Si osserva che la formula di Verstraeten non tiene conto degli effetti prodotti da una variazione di
ampiezza della sinusoide del carico, cioè nel fissare il valore di σmax (picco della sinusoide) non
risultano determinabili gli effetti prodotti da una eventuale variazione di σmin.

155
Fig. 1.84 - Determinazione dei coefficienti β e δ necessari per pervenire alla valutazione del parametro D (legge di
Verstraeten).

È opportuno, a tal proposito, ricordare che, al limite, per σmin = σmax, il carico dinamico ciclico
diventa statico; motivo per cui avvicinando i due valori si passa da valutazioni di resistenza a fatica
a determinazioni di Creep Compliance. E’ da notare come le condizioni di sollecitazione cui sono
sottoposti i provini nelle prove a fatica si differenzino abbastanza da quelle che possono verificarsi
sulla strada, soprattutto per 3 circostanze:

- mentre in laboratorio i provini sono sottoposti a sollecitazioni sinusoidali con valori costanti di
σmin e σmax, sulla sovrastruttura le sollecitazioni sono distribuite con legge del tutto casuale, sia
come valore del carico che come frequenza;

- nelle prove il materiale è sollecitato sempre nello stesso punto mentre sulla strada i carichi
sono distribuiti nell'ambito della corsia;

- in laboratorio non si tiene conto delle variazioni termiche e dell'invecchiamento naturale del
materiale.

Queste considerazioni indicano che le prove di laboratorio inducono sul materiale condizioni
più severe di quanto poi non avvenga sulla strada. Rimane, quindi, pressoché impossibile
simulare mediante prove di laboratorio situazioni di carico e di deformazione che si avvicinino a
quelle che realmente si verificano, tuttavia i risultati delle ricerche consentono di introdurre nel
calcolo valori che rispondono in maniera soddisfacente alle prevedibili sollecitazioni di lavoro.

In particolare è interessante ricordare come il valore assoluto del modulo complesso aumenti con
la frequenza (per una data temperatura), ossia con la velocità dei mezzi che transitano sulla strada
mentre per una data frequenza diminuisca all'aumentare della temperatura.

Dalle esperienze finora svolte su conglomerati bituminosi chiusi, alla frequenza di 10 Hz, risultano
valori di |E| variabili entro 50÷60 t/cm2 per temperature compresa fra 5÷15°C mentre per
temperature entro 30÷40°C si ha |E| = 15÷20 t/cm2.

156
1.20 - Il drenaggio in superficie

1.20.1 - La baulatura della piattaforma stradale

La baulatura è una misura intesa ad allontanare le acque dal pavimento facendole defluire alle
spalle e quindi, con una pendenza più accentuata, alle cunette laterali. La baulatura deve essere
ridotta allo stretto necessario per evitare il ristagno dell'acqua che, oltre ad ostacolare il traffico,
può penetrare nel pavimento; un suo eccesso è infatti dannoso ai veicoli che slittano più facilmente
sulla superficie bagnala (soprattutto non bitumata) per l'irregolare consumo dei pneumatici in
particolare quelli accoppiati degli autocarri che danno luogo peraltro a maggiori sollecitazioni della
pavimentazione. Il valore della pendenza trasversale dipende dalla scabrezza della superficie
stradale e soprattutto dal grado di finitura della stessa: una superficie liscia e ben finita, ossia
senza avvallamenti, richiede una baulatura minima.

1.20.2 - Cunette e fossi di guardia

Cunette e fossi di guardia hanno il compito di raccogliere l'acqua piovana proveniente dalla
formazione stradale e da aree laterali sovrastanti per convogliarla altrove. Il problema viene
studiato in modo diverso a seconda se la strada è in terreno aperto o in centro abitato; in questo
secondo caso infatti lo studio va effettuato in connessione con quello delle fognature sia che si
intenda riunire le acque di rifiuto delle abitazioni con quelle di scolo oppure tenerle separate.

Fig. 1.85 - Tipi diversi di cunette stradali.

157
Dove la strada è di riporto risulta pratica operativa comune lasciar scorrere l'acqua del pavimento
oltre le spalle e lungo le scarpate fino al terreno naturale; l'erosione è minima se le scarpate sono
ricoperte d’erba oppure se l'acqua scorre lungo di esse in un velo uniforme. Pertanto il periodo
critico sotto questo aspetto è quando il rilevato è ancora nudo essendo allora che l'acqua, specie
se copiosa, provoca profonde erosioni nelle spalle e nelle scarpate mettendo a volte in pericolo
l'integrità del pavimento stesso. La zona più pericolosa è sempre alla base dei raccordi verticali
(valli) ed ovviamente dove il rilevato è alto.

Un rimedio all’inconveniente consiste nella costruzione di piccoli argini al bordo delle spalle che
contengono l'acqua per farla defluire ad intervalli in quei punti in cui la scarpata è stata
preventivamente protetta. Dove la strada è in taglio le cunette laterali, oltre a raccogliere le acque
della piattaforma stradale e delle scarpate, assolvono anche il compito del drenaggio degli strati
portanti mediante la evaporazione che ha luogo sulla loro sponda interna. Sono quasi sempre non
rivestite e vengono formate dal grader in fase di preparazione della piattaforma per l'appoggio
della base. Se il terreno è di natura coesiva è preferita la sezione trapezoidale (Fig. 1.85a) con un
fondo Iargo 40 cm circa ed una profondità variabile da un minimo di 25÷30 cm .

Nei paesi aridi si preferisce la sezione triangolare (Fig. 1.85b) salvo omettere la cunetta in
presenza di terre sabbiose o ghiaiose a forte assorbimento in ogni periodo dell'anno.

La pendenza longitudinale varia da un minimo dello 0.3% per cunette in roccia, argilla o rivestite a
valori più elevati; dove la strada presenta un’accentuata pendenza, le cunette vanno progettate
secondo i calcoli idraulici suddividendole in tratti di uguali sezione e tenendo conto, in ogni tratto
successivo, dell'accumulo d’acqua proveniente dai tratti a monte.

Se si tratta della cunetta a valle e se la medesima non è rivestita è comunque opportuno scaricare
lontano dalla strada ovunque possibile mediante fossi divergenti; l'acqua della cunetta a monte, se
non esiste la possibilità di deviarla in una depressione o in una vecchia cava di prestito (ci si deve
in tal caso garantire che l’eventuale tracimazione non provochi dannose erosioni) viene raccolta ad
opportuni intervalli in pozzetti e di qui, mediante tombini, dispersa sul lato a valle.

Quando per effetto della eccessiva pendenza la velocità dell'acqua, in una cunetta a fondo
naturale è > 0.6 m/s l'erosione è sempre possibile (Tab. 1.87).

Tab. 1.37 – Velocità dell’acqua (m/s) consentita nelle canalizzazioni. Per il terreno naturale i valori si riferiscono a
materiale assestato.

Per controllare il fenomeno possono essere impiegati, separatamente od insieme, due


accorgimenti:

- rivestire la cunetta con materiale resistente oppure sostituirla con una tubazione;

158
- ridurre la pendenza a mezzo di briglie o scalini (Fig. 1.86 e Fig. 1.89) la cui altezza non deve
eccedere 0.8÷0.9 m ad evitare cunette troppo profonde.

Nel primo caso si preferisce possibilmente il pietrame al calcestruzzo in quanto la superficie


scabrosa riduce la velocità; per le briglie è da tener presente che quando la pendenza della
cunetta eccede il 5% il loro costo è superiore a quello del rivestimento.

Concludendo, la strada ideale da drenare è quella con pendenza longitudinale intorno all’1% che
rappresenta l'ottimale per lo scarico della cunetta naturale, con fossi divergenti o caditoie
mediamente ogni 50÷70 m col vantaggio di un dislivello quasi costante tra pavimento e fondo
cunetta. I fossi di guardia o di intercettamento hanno il compito di intercettare le acque provenienti
dai versanti sovrastanti la strada evitando ad esse di scorrere in velocità lungo le scarpate in taglio
provocando erosioni, frane e comunque intasando la cunetta stradale; al piede del rilevato (Fig.
1.86) ne facilitano il drenaggio evitando pericolosi ristagni d'acqua. Hanno normalmente sezione
trapezoidale dimensionata quando è il caso con calcoli idraulici in cui si tiene conto dell'ampiezza
del bacino versante. Il materiale di risulta dello scavo è comunemente utilizzato nella formazione di
un arginello a valle che aumenta la capacità del fosso se questo è a protezione di una scarpata in
taglio oppure per livellare la depressione che si crea a) piede del rilevato.

Fig. 1.86 – Distanziamento delle briglie in cunette a forte pendenza.

La pendenza longitudinale non deve essere tale da provocare l'erosione del letto; in mancanza di
alternative si può interrompere frequentemente il canale principale con deviazioni che portino
l'acqua o alla cunetta stradale lungo canalette di cemento disposte ad intervalli sulla scarpata in
taglio oppure, più economicamente, la disperdano lontano dalla sede stradale lungo fossetti che
corrono secondo le curve di livello; la distanza dell'unghia dalla scarpata non deve essere inferiore
ai 4÷5 metri ad evitare pericolose infiltrazioni; se il terreno naturale è ricoperto da un fitto tappeto
erboso è preferibile non disturbarlo formando il fosso di guardia con la costruzione di un arginello a
valle mediante materiale di riporto.

Fig. 1.87a – Fossi di guardia al rilevato e al taglio.

159
1.20.3 - II dimensionamento delle cunette e dei fossi di guardia

Le cunette stradali, i fossi di guardia e diversivi, i canali aperti in genere così come gli acquedotti
(se il deflusso non è a gola piena) possono essere dimensionati con la formula di Manning;
tuttavia si deve tener conto, oltre che della quantità d’acqua, della natura del terreno e della
pendenza considerate nella formula, di altre esigenze di progetto.

Si preferiscono le profondità maggiori nelle terre compatte e quindi poco permeabili allo scopo di
ridurre l'area occupata; nelle terre sciolte, la dispersione dell'acqua è in rapporto diretto con la
profondità. Una base della cunetta troppo larga facilita l'erosione in quanto una portata ridotta
d'acqua tende a raccogliersi in un proprio letto più ridotto

Pertanto si adotta possibilmente la sezione trapezia di minima resistenza che cioè a parità di area
ha il minimo contorno bagnato e quindi il massimo raggio idraulico :

Fig. 1.87b – Sezione trapezia.

160
Fig. 1.88 - Nomogramma per il calcolo dei valori idraulici in un canale largo m 0.6 alla base e scarpate 1 su 2 (FHA).

Dell'acqua che fluisce in un canale a debole pendenza si dice che ha una corrente sub-critica o
lenta mentre se la pendenza è forte, la corrente è detta super-critica o veloce ed il corretto
dimensionamento del canale dipende da questa distinzione. La corrente è sub-critica se la
profondità dell’acqua nel canale è maggiore della profondità critica (Pc) e viceversa; in pratica la
profondità critica è rappresentata dallo spessore dell'acqua su di una briglia mentre analiticamente,
definendo profondità media il rapporto tra la superficie bagnata e la larghezza al pelo acqua, la
profondità è critica quando la metà di quella media Pm risulta:

Pm = V2/2g

risultando pertanto indipendente dalla pendenza longitudinale, dalla scabrezza della superficie ed
è sempre la medesima con deflusso e sezione trasversale costanti.

161
Gli effetti della profondità critica sono evidenziati nella Fig. 1.90: dove il fondo del canale aumenta
la pendenza la corrente passa da sub-critica a super-critica ed il suo livello già si abbassa a monte
del cambiamento; dove la pendenza ridiventa debole il ritorno in fase sub-critica ha luogo
bruscamente con un risalto che riduce appunto la velocità.

Fig. 1.89 – Canalette con briglie e pozzetti di deviazione a valle delle acque da cunette troppo lunghe.

Un ulteriore appiattimento del fondo riduce ancora la velocità ed aumenta la profondità dell'acqua
a partire da un punto k a monte del cambio di pendenza che prova che con corrente lenta la
profondità dell'acqua di una dalla sezione può essere influenzata dalle circostanze a valle della
stessa. Per quanto riguarda le scarpate di un canale, se si esclude la roccia o il rivestimento, non
devono mai superare il valore di 1 su 2 e si può dire che la sezione migliore è sempre quella che
unisce i costi minimi di scavo e manutenzione.

Fig. 1.90 – Effetti della profondità critica sulla corrente di un canale o di un acquedotto a pelo libero: in A la pendenza è
debole e la corrente sub-critica; in B la pendenza è forte e la corrente super-critica.

162
Nel progetto di un canale si deve sempre prendere in considerazione l'eventualità dell'erosione
controllando se la velocità dell'acqua supera i valori ammessi per quel tipo di terreno (Tab. 1.37) in
questa eventualità si offrono tre alternative :

- allungare il percorso per ridurre la pendenza e quindi la velocità;

- ricorrere alle briglie che raggiungono Io stesso scopo;

- rivestire il canale eventualmente con l'inerbimento, sempre efficace ed economico.

L'inconveniente opposto all'erosione è rappresentato dall'insabbiamento del canale per effetto


della pendenza poco accentuata che consente alle particelle in sospensione di depositarsi al fondo
riducendo col tempo la sezione e quindi la portata.

Il problema viene risolto, per quanto riguarda le cunette laterali, durante la progettazione del profilo
stradale, evitando lunghe livellette orizzontali dove la cunetta è in taglio. Meno economicamente si
ricorre ai rivestimenti molto lisci o frequenti caditoie (e relativi tombini) che permettono nei tratti
intermedi di accentuare la pendenza della cunetta.

1.20.4 – Pozzi assorbenti

Quando lo smaltimento delle acque meteoriche lungo trincee molto lunghe diventa problematico e
comunque quando è difficoltoso disporre di tali acque confluenti nella sede stradale, si può
ricorrere, sempre che la natura del terreno lo consenta, ai cosiddetti pozzi assorbenti o perdenti ai
quali si indirizzeranno cunette laterali e fossi di guardia.

Fig. 1.91 – Attraversamento della sede stradale con una canaletta.

Premesso che la loro efficacia è evidentemente legata alla permeabilità del terreno ed all'altezza
della falda, le ricerche preliminari sono volte all’individuazione di quest'ultima procedendo poi per
gradi nella costruzione dell'opera d’assorbimento risultando sovente l'applicazione di formule di
progetto poco pratiche. Affinché l'efficacia di un pozzo perdente si protragga nel tempo
consentendo alle acque di disperdersi nel mezzo permeabile, è importante che esse siano libere
da limi ed argille che andrebbero ad intasare col tempo i meati del terreno. Di conseguenza un
pozzo deve essere costituito:

163
- da una vasca di decantazione;

- dalla tubazione verticale, ispezionabile, per lo smaltimento delle acque meteoriche nel mezzo
permeabile.

Le vasche hanno dimensioni massime di 2÷3 m di lato e m 1.5÷2.0 m di profondità ed è opportuno


dividerle in scomparti per consentire un primo deposito degli elementi più pesanti trasportati dalle
acque. Nei pozzi perdenti in cls l'elemento smaltitore è realizzato per sovrapposizione di anelli di
cls vibrato alti 50 cm e del diametro di 1÷1.5 m. Ogni anello è provvisto di una decina di fori (Ø 10
cm) ed all'esterno degli anelli è opportuno uno spessore di materiale filtrante di opportuna
granulometria.

I pozzi in cls sono adatti nei terreni molto permeabili quali la ghiaia e la sabbia. Possono essere
ubicati sotto la banchina stradale laterale o mediana nel qual caso devono essere coperti da
adeguata soletta con chiusino d'ispezione oppure, preferibilmente, fuori del corpo stradale.

Una griglia sovrapposta al primo tubo impedisce alle foglie ed altri detriti grossolani di penetrare
nel pozzo. Si rivela utile, se le acque trasportano molto materiale fine, la interposizione di filtri di
tessuto non tessuto che dovranno essere ogni tanto lavati o sostituiti.

Quando si è in presenza di terre con un coefficiente di percolazione verticale molto basso e per
contro è elevato il coefficiente di filtrazione laterale, si può ricorrere a pozzi perdenti riempiti con
materiale ad elevata permeabilità così che l'acqua ad essi confluente possa rapidamente percolare
verso il fondo.

Evidentemente la loro efficacia è tanto maggiore quanto più profonda è la falda. Il materiale
drenante di riempimento deve avere particolari caratteristiche granulometriche così da consentire
un facile passaggio dell'acqua trattenendo nel contempo il fine da essa trasportato e che alla lunga
intaserebbe il pozzo rendendolo inefficace.

L'impiego infatti di soli ciottoli o pietrame che lasciano vuoti notevoli nel filtro causerebbe un rapido
intasamento del pozzo e la formazione di cavità nel terreno da drenare ad esso adiacente.

La soluzione più idonea anche se di più difficile realizzazione è l'adozione di due diverse
granulometrie (Fig. 1.92) col materiale più fine all’esterno.

164
Fig. 1.92 – Sezione verticale ed orizzontale di pozzo assorbente con materiale filtrante.

In alternativa, al filtro di materiale lapideo, si sostituisce uno stoppino di tessuto non tessuto che
può essere più facilmente lavato o sostituito. Infine, quando lo strato drenante del terreno naturale
o la falda acquifera sono a grande profondità (20 m ed oltre) si possono utilizzare tubazioni
metalliche (Ø < 1 m), finestrate nello strato di assorbimento e da infiggere con tecniche simili a
quelle adottate per i pali trivellati.

Essendo di difficile manutenzione a causa della loro profondità, i pozzi metallici, oltre alla griglia di
imbocco, debbono essere provvisti di un cestello costituito da un tubo in lamiera, alto ~1 m e con
al fondo una rete inossidabile, che può essere sfilato con un arganello durante le operazioni di
ripristino. La distanza tra due pozzi successivi deve essere tale da eliminare ogni influenza
reciproca. Normalmente 50÷60 m è la misura minima.

165
1.21 - II drenaggio del sottosuolo

I vari sistemi di drenaggio di profondità hanno il compito di eliminare l'eccesso d’acqua esistente
nel terreno interessato dalla strada e più in particolare:

- intercettare l'acqua d’infiltrazione proveniente dalle scarpate in sterro;

- abbassare il livello della falda freatica così da prevenire la saturazione della fondazione;

- allontanare l'acqua meteorica non raccolta dai drenaggi di superficie che potrebbe infiltrarsi
nella struttura;

Sono pertanto applicati nei seguenti casi:

- quando la strada attraversa terreni ricchi di acqua;

- quando nelle sezioni in sterro le scarpate laterali, di natura erosiva, sono soggette o per la loro
natura o per l'andamento degli strali all'azione dell'acqua proveniente da zone sovrastanti;

- nelle strade a tre e più carreggiate con banchine mediane dove le contro-pendenze e la
notevole larghezza della piattaforma non consentono la completa utilizzazione degli scoli
superficiali.

1.21.1 - La neutralizzazione degli effetti dell'acqua del sottosuolo (Fig. 1.93)

Si ottiene ricorrendo ad una o più delle tecniche seguenti:

a) - elevando il livello del pavimento mediante il rilevato;

b) - interponendo uno strato impermeabile o di intercettamento;

c) - costruendo drenaggi di profondità sottoforma di tubazioni.

Fig. 1.193 – Tre metodi per evitare la risalita della acque del sottosuolo.

a) Nello stabilire il livello del pavimento si deve tener conto del probabile periodo di tempo nel
corso dell'anno in cui il sottosuolo è saturato; ciò dipende soprattutto dalle condizioni climatiche
della zona e della natura del terreno. La Tab. 1.38 fornisce indicazioni al riguardo: in ◊ è fornita la
minima sopraelevazione della base rispetto al previsto livello della falda, in ● rispetto al piano di
campagna nei tratti di strada in cui il drenaggio naturale di superficie è inadeguato.
166
Tab. 1.38 - Altezza minima del rilevato per l'isolamento dalla umidità del sottosuolo.

b) L'isolamento del pavimento mediante una membrana impermeabile; ad es. un foglio di politene
posto ad almeno 60÷90 cm (quest'ultimo valore dove più elevata è l'umidità) dalla superficie del
pavimento ha già dato buoni risultati.

Meno sicura è l'applicazione di una mano di bitume o lo stendimento di uno strato di terra
stabilizzala con bitume per la possibilità di infiltrazioni attraverso fessure e la formazione tra
pavimento e membrana di pericolosi accumuli di umidità. Dove è disponibile sabbia grossa o
ghiaietto fine, di uniforme granulometria, si può interporre uno strato di questi materiali per uno
spessore dai 10 cm (se il sottofondo é sabbioso e normalmente non saturo) fino a 35÷40 cm per
sottofondi argillosi molto umidi.

La contaminazione dello strato con la penetrazione del fine portato dalla circolazione dell'acqua e
evitato proteggendone le due superfici con paglia, muschio, piote erbose e più rapidamente, per
quella superiore, con sottili fogli di plastica. L'altezza della membrana, comunque sia la sua
composizione, rispetto al livello della falda, non deve essere < 20 cm.

La protezione degli strati portanti dalle acque d’infiltrazione provenienti dalle banchine (il cosiddetto
effetto di bordo che può interessare fino a 3÷4 m di pavimento) è ottenuta bitumando le banchine
stesse per una larghezza di almeno m 1.5; l'operazione è tanto più necessaria se la banchina è
stabilizzata.

c) L'abbassamento della falda sotto il corpo stradale può essere ottenuto con lo scavo di un fosso
longitudinale molto profondo, non sempre attuabile, o con la posa di un tubo di drenaggio
seguendo la tecnica indicata in Fig. 1.94.

Fig. 1.94 – Drenaggio di profondità.


167
Una tale costruzione effettuata sotto la cunetta stradale ha pure la funzione di intercettare le
eventuali acque laterali dirette verso la strada ed è comunque indispensabile quando la formazione
posa su di uno strato inclinato impermeabile.

Studi recenti sull’efficacia di queste tubazioni raccomandano:

- l’impiego di tubi in cemento poroso od in plastica con fessure di 1 mm aventi una superficie di
almeno 50 cm2 per mlin di tubo;

- il materiale funzionante da filtro attorno al tubo deve essere sufficientemente fine da impedire
che il terreno adiacente penetri nel tubo; a titolo di es., in presenza di terreno limoso, si deve usare
sabbia (e possibilmente materiale più grossolano verso il centro); in generale, aggregato naturale
0/30 a grani regolari, minimo equivalente di sabbia 40, passante il setaccio da 0,2 mm < 10% (Fig.
1.95);

- la sommità del drenaggio deve essere sigillata con materiale argilloso ad impedire la
infiltrazione dell'acqua di superficie;

- la pendenza longitudinale deve essere tale da evitare il deposito dei detriti lungo il tubo:

- tubi Ø fino a 20 cm: 0,002 se argille: 0,003 se terre sabbiose;

Fig. 1.95 – Caratteristiche del materiale drenante secondo Terzaghi (adottata da norme CNR).

Quando il pavimento stradale raggiunge una notevole larghezza e le condizioni ambientali sono tali
da richiedere il drenaggio sotto a! pavimento stesso, una tecnica comune è quella di disporre i
dreni trasversali a spina di pesce con un collettore centrale che a sua volta scarica ad intervalli
fuori della formazione. I dreni sono oggi prevalentemente costituiti da tubi in PVC forati coperti con
ghiaietto od anche con pietrame.
168
1.22 - Opere relative ad instabilità riguardanti la sede stradale

L'argomento, dal punto di vista tecnico specifico stradale, è sicuramente più puntuale della
trattazione relativa alle instabilità in genere di cui si è trattato La classificazione generale, di
conseguenza, non si presta ad essere seguita nello studio delle opere, motivo per cui si è ritenuto
opportuno distinguere questo in tre parti, riguardanti:

- opere per instabilità preesistenti alla costruzione della sede stradale;

- opere per instabilità che sono determinate dalla costruzione della sede stradale stessa;

- opere riguardanti direttamente la stabilità del corpo stradale e dei sottofondi.

Prima di eseguire queste opere è sempre opportuno svolgere uno studio generale e completo della
situazione geologica interessante la zona prossima a quella in dissesto, procedendo al prelievo di
campioni, in profondità ed in estensione, mediante sondaggi.

Oggi queste indagini sono rese più semplici da dispositivi ad hoc; rientrano fra questi le sonde a
radioisotopi, per la misura della densità e del contenuto d’acqua, i sondaggi elettrici per individuare
andamento e posizione della superficie di scorrimento di una falda franosa, i sondaggi geosismici
studiati e preordinati con opportuno criterio.

1.22.1 - Opere per instabilità preesistenti alla costruzione della sede stradale

Quando ci si trova nelle condizioni nelle quali un tracciato stradale investa zone di cui si conosce
già la preesistenza d’instabilità in atto o potenziali, è necessario che le indagini geognostiche e
geotecniche siano svolte con particolare attenzione, in modo da stabilire l'estensione dell'ammasso
instabile e la causa stessa dell'instabilità. È chiaro che, in queste circostanze, l'apertura di una
trincea, ovvero la creazione di un rilevato, produrranno, oltre che per le variazioni del peso proprio
tolto od aggiunto, anche per l'azione dei carichi mobili, sicuramente un effetto negativo sulle
condizioni generali dell'equilibrio, per cui sarebbe consigliabile allontanare il tracciato prescelto da
queste zone. L'adozione di varianti comporta, in genere, maggiore lunghezza e tortuosità del
tracciato, perciò, in molti casi, e finché permane possibile, è preferibile risanare la zona creando le
opere necessarie a ristabilire l’equilibrio dell’ammasso oppure, in un pendio soggetto alle erosioni,
allontanandolo dalla condizione limite superficiali.

Fig. 1.96 - Piantagioni e gradonature in un pendio soggetto ad erosioni superficiali.

169
Per le corrosioni od erosioni superficiali il rimedio, che si è palesato più conveniente, è costituito da
piantagioni e da protezioni (gradonature, graticciate) come mostrato in Fig. 1.96. Il rivestimento
erboso viene eseguito con coltivazioni, sulle falde erose, di erbe e piante dalle radici profonde ed a
rapida crescita.

L'attecchimento delle piante sull'argilla è difficile per la mancanza di una sufficiente aerazione delle
radici, e quindi sulle falde argillose è necessario scarificare uno strato superficiale di modesto
spessore onde sistemarvi uno strato di terra vegetale. Talvolta, sempre per facilitare lo sviluppo
delle piante sulle scarpate, si adottano le viminate e graticciate.

Si infiggono sul terreno lungo le linee di livello una serie di paletti di legno intervallati di 60÷70 cm e
della lunghezza di cm 60÷100, in modo che fuoriescano per circa cm 30÷40; poi fra le teste di detti
paletti si intessono delle verghe flessibili di castagno o salice, formando un graticcio di vimini
capace di trattenere uno strato di terra vegetale sulla quale si può agevolmente porre il seme o la
piantina (Fig. 1.97).

Fig. 1.97 - Esempio di graticciata per la protezione di una falda dalle erosioni superficiali.

Inoltre, le erosioni possono essere evitate mediante rivestimenti in muratura. Sono, però, da
escludere le strutture rigide in calcestruzzo o in muratura con malta poiché, in questi casi, non
potendosi impedire completamente il contatto delle acque meteoriche con la massa argillosa ad
essa sottostante, questa si renderà prima plastica poi fluida, rigonfiando ed agendo contro il
rivestimento con spinte di tale entità da provocare irrimediabili lesioni in tutta la struttura.

Per il rivestimento di scarpate si usano sovente materiali aridi, che hanno, sia pure in modo scarso,
una certa proprietà legante. Ad es., in Sicilia si adoperano a tale scopo i rosticci di zolfo, ossia i
residui del minerale solfifero provenienti dai calcaroni o dai forni Gill, oggi del tutto sostituiti da
moderni mezzi d’estrazione; rimangono, tuttavia, notevoli riserve di tale materiale accumulatosi,
per molti anni attorno alle miniere.

L'estrazione con questi metodi s’effettuava facendo bruciare il minerale in assenza di aria, in modo
che la sua fusione avvenisse mediante la combustione di una parte dello zolfo contenuto; si
otteneva così una parziale calcinazione del materiale che costituiva la ganga, formata in massima
parte da calcio sotto forma di carbonato o di solfato, per cui esso acquistava proprietà simili a
quelle possedute da una calce idrata.

Costipando uno strato di rosticci, il cui costo praticamente è rappresentato soltanto dalle spese di
trasporto, dopo averlo preventivamente umidificato, si ottiene un ottimo manto di protezione.

170
Fig. 1.99 - Sistemazione con gabbionate per proteggere una strada da possibili fenomeni di instabilità a monte.

Opere ben diverse, invece, devono essere previste qualora si tratti di instabilità le cui cause sono
da ricercare nell'azione di acque di infiltrazione o nell'effetto del ritiro. Tali cause, separatamente o
in combinazione fra loro, producono quei fenomeni normalmente chiamati smottamenti, in cui si
rilevano movimenti di masse non molto estese con velocità variabile, in genere crescente con il
tempo. E’ possibile, allora, provvedere con tre diversi tipi di opere: gabbionate o muri, inerbimento,
cunettoni di guardia. In realtà i cunettoni di guardia rappresentano un provvedimento che va
adottato anche in molti altri casi d’instabilità. Quando è necessaria una grande urgenza si
collocano in modo opportuno alcune gabbionate al piede della falda in smottamento, sempre che
sia facile l'accesso nella zona (Fig. 1.99).

In molti altri casi l'uso delle gabbionate è da preferire alle strutture rigide, specialmente in ammassi
dissestali per plastificazione, almeno finché questi non abbiano raggiunto un nuovo equilibrio,
perdendo l'umidità in eccesso ed adattandosi al nuovo regime idraulico derivante dai dreni e dalle
opere realizzate. Una struttura rigida, come un muro, durante questo periodo di transizione, che
non di rado dura anche più anni, potrebbe risultare non idonea, e provocare dei nuovi, più gravi,
squilibri.

Per quanto riguarda le gabbionate, è opportuno che queste abbiano estensione ed altezza (anche
se a più file) non eccessive, per non aumentare il peso gravante sul terreno; la superficie di
appoggio di una gabbionata dovrà essere scelta sempre al disotto di quella di scorrimento. Per
questa scelta occorre una approfondita conoscenza del tipo di movimento dato che, in molti casi,
lo scorrimento avviene su superfici di neoformazioni, ossia non corrispondenti a superfici di
separazione fra strati di diversa struttura geologica.

I fattori che concorrono a stabilire la formazione di queste superfici di distacco sono molteplici,
perciò, tornando al problema relativo alla scelta del piano d’appoggio delle gabbionate, non
sempre è consigliabile spingerne la ricerca fino allo strato impermeabile, che potrebbe essere
molto profondo, col risultato che l'opera divenga antieconomica.

In tali casi è più conveniente, viceversa, preoccuparsi di evitare le infiltrazioni nella zona a monte.
Le instabilità dovute alle acque freatiche o di falda, quasi sempre accompagnate da cause dovute
a condizioni geologiche e/o strati-grafiche, rivestono notevole importanza in quanto interessano
grandi masse, e perciò sono chiamate comunemente scoscendimenti di massa, o frane vere e
proprie. La falda freatica, scorrendo su una superficie impermeabile, crea le condizioni idonee allo
scivolamento, formando sul piano di separazione un velo di argilla plastificata che funziona da
incentivo agli effetti dello scivolamento della massa soprastante.

Se la massa instabile è di notevole entità, le opere di pronto intervento risultano, quasi sempre,
inadeguate ed antieconomiche. È opportuna, viceversa, la costruzione di opere quando la
situazione non sia compromessa ed il movimento di guardia non sia già in atto; per tale motivo è

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consigliabile che si svolga dapprima uno studio generale e completo della situazione geologica,
procedendo a in profondità ed in estensione mediante sondaggi diretti e indiretti.

Fig. 1.100 - Opere di protezione di una scarpata.

Le opere da eseguire variano, pertanto, da caso a caso, e possono essere costituite da: drenaggi,
masse resistenti (muri e banchettoni di controspinta,che si oppongono alle masse in movimento)
sistemazioni di terrazzamenti, briglie etc. Esempi di tali opere sono indicati nelle Figg. 1.100, 1.101
1.102.

La prima opera da eseguire, in ogni caso, consiste nella sistemazione idraulica della zona a
monte, in modo da intercettare le acque meteoriche prima che esse raggiungano la zona instabile.
Si costruiscono, perciò, fossi di guardia o cunette in modo da circondare la zona in movimento o in
equilibrio limite, e si convogliano le acque mediante dei canali (rivestiti o non) che seguano le
naturali linee di impluvio, fino ai canali di scolo. Per intercettare le acque provenienti da vene o da
falde sotterranee, come visto, si ricorre a drenaggi che, per ben funzionare, devono spingersi fino
al disotto del piano di scorrimento.

Fig. 1.101 – Sistemazione di drenaggi per l’intercettazione di acque provenienti da falde sotterranee in zona instabile.

Talvolta, quando il fenomeno è molto limitato, specialmente in profondità, possono riuscire utili dei
manufatti come contrafforti o speroni, impiantati sugli strati che si trovano a profondità maggiore di
quella del piano su cui avviene il movimento; queste opere hanno la funzione di contrastare la
spinta della massa.

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Fig. 1.102 – Consolidamento di un rilevato ferroviario con drenaggi longitudinali e trasversali con banchettoni al piede.

È interessante accennare anche alle opere stradali di protezione lungo i corsi dei torrenti, che
tendono a scalzare i terreni degli alvei. In questo caso le opere che si consigliano sono:

- le briglie, che, come visto, hanno la funzione di rialzare il letto del corso d'acqua e di difenderlo
dalle erosioni di fondo, moderando la velocità della corrente e trattenendo una parte del materiale
solido (tronchi, ciottoloni, trovanti rocciosi, sabbia etc.),

- difese di sponda, per salvaguardare i fianchi dell'alveo.

Fig. 1.103 - Consolidamento e protezione di una scarpata di rilevato da un torrente; sezione in corrispondenza del
drenaggio trasversale.

Si usano due tipi di briglie: uno, più frequente, è destinato a gradonare l'alveo ripido di un corso
d'acqua in modo da ridurre la velocità della corrente e, conseguentemente, l'erosione ed il
trasporto solido. L'altro tipo è usato nelle tratte in cui l'alveo ha scarsissima pendenza e tende a
vagare; in questo caso le briglie hanno sempre la soglia sagomata e, generalmente, sono
accoppiate con difese di sponda; hanno lo scopo di dare alla corrente una via fissa, riducendo o
annullando la possibilità di vagare.

Le briglie sono più opportune negli alti bacini dei corsi d'acqua mentre si ricorre alle opere di
sponda nei medi e bassi bacini. Le due soluzioni possono, ad ogni modo, adottarsi insieme, ove
necessario. Nella pratica realizzazione occorre badare, in modo particolare, all'azione dinamica
esercitata dalla corrente ed ai pericoli di scalzamento ai fianchi ed al piede. È necessario, ad es.,
che le briglie abbiano una solida fondazione, sempre protetta a valle da una robusta platea
destinata a ricevere l'urto dello stramazzo, e l'usura del materiale solido trascinato dall'acqua che
tracima (Fig. 1.104).

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Le briglie possono eseguirsi in muratura di pietrame e malta ovvero in conglomerato cementizio;
per piccole altezze si può usare la muratura a secco, disponendo alla base (fondazione) una
platea protetta, talvolta, da tronchi d'albero o fascine. Il numero, l'altezza e l'ubicazione dei diversi
salti sono scelti in funzione della pendenza dell'alveo naturale e della erodibilità del terreno (Fig.
1.05).

Fig. 1.104 - Sistemazione di briglie lungo l'alveo di un torrente per ridurre la velocità della corrente d'acqua.

1.22.2 - Opere per instabilità determinate dalla costruzione della sede stradale

Instabilità di questo tipo ricorrono in strade che si costruiscono su terreni argillosi, i quali non
appalesano, a priori, manifesti sintomi di ammaloramenti; ciò dipende, evidentemente, dalla
stagione nella quale si esegue l'opera.

Fig. 1.105 - Sistemazione di briglie lungo l'alveo di un torrente per ridurre la velocità della corrente d'acqua.

I provvedimenti che in queste circostanze si è soliti adottare non sempre riescono di sicura
efficacia; ad es., nel caso di costruzione di un rilevato, può non essere sufficiente la sola
sistemazione del piano di posa mediante costipamento e taglio del pendio a gradoni.

Certamente occorre aggiungere altre opere quali fossi di guardia o cunettoni a monte, rivestimento
delle scarpate, oppure inerbimento delle stesse previa sistemazione di uno strato di terra vegetale,
costruzione al piede di unghie in pietrame a secco etc.

II rivestimento erboso va esteso nelle zone a valle e a monte delle scarpate del rilevato o della
trincea, se queste si presentano nude e quindi suscettibili ai processi di degradazione.

In genere, però, le instabilità dovute all’esecuzione della sede stradale sono dovute a infiltrazioni
diffuse ed i mezzi per prevenirle si riducono ai seguenti:

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- opportuno ristabilimento dell'equilibrio di forze, se questo è venuto a mancare per l'apertura di
una trincea o la esecuzione di un rilevato, mediante la costruzione di un altro rilevato o la
formazione di un'altra trincea;

- sistemazione idraulica in modo da non modificare il regime delle acque preesistente a monte ed
a valle della strada, mediante fossi di guardia, cunette, tombini, drenaggi etc.

Per altri casi particolari si provvedere con opere accessorie già descritte (inerbimento, protezioni
superficiali etc.)

1.22.3 - Opere riguardanti direttamente la stabilità del corpo stradale e dei sottofondi

Per quanto si riferisce ai rilevati, se questi sono eseguiti con terreni idonei e con le modalità
specificate in precedenza, non devono sussistere condizioni d’instabilità sempre che il terreno di
impianto sia sufficientemente stabile e che si sia provveduto alla rimozione dello strato di terra
vegetale ed al costipamento meccanico del piano di posa.

Volendo usare per la costruzione di rilevati terreni limo argillosi (A4, A6, A7), è opportuno limitare la
loro altezza a 4÷5 m, curando in modo particolare il costipamento, la protezione delle scarpate con
uno strato di terra vegetale per favorire l'inerbimento e tutte le opere di scolo (fossi di guardia,
tombini etc.).

Se il piano di posa è soggetto ad ascesa di acque capillari dovrà provvedersi all'asportazione di


uno strato di opportuno spessore (30÷60 cm) del terreno ed alla creazione di un diaframma di
materiale arido, preferibilmente con IP< 4, con granulometria compresa fra 0.2 e 10 cm (Fig.
1.106).

Fig. 1.106 – Opere per la stabilità di un rilevato su un ammasso in cui sono da temere le risalite d’acqua per capillarità.

Qualora si tratti di rilevati costituiti da terreni limo argillosi su terreni di posa potenzialmente instabili
per risalita capillare da falda freatica, è consigliabile adottare drenaggi trasversali (larghezza
1.0÷1.4 m), con trincee a partire da detto piano di posa per profondità da 2 a 4 m, ed intervallati da
12 a 16 m.

In molti casi si completa l'opera con un drenaggio longitudinale a monte (profondità 2÷5 m) e con
le classiche opere idrauliche per le acque di superficie (fossi di guardia, cunettoni, tombini).

Per le trincee, i provvedimenti da prendere sono analoghi (muri di controripa con drenaggi
profondi, strati anticapillari al disotto della pavimentazione, fossi di guardia etc.), e devono avere lo
scopo di allontanare le acque, in modo da mantenere la stabilità delle scarpate e del piano di
sottofondo su cui poggia la pavimentazione (Fig. 1.107).

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Fig. 1.107 - Opere di difesa dalle acque sotterranee in una trincea.

Il processo di consolidamento di sottofondi molto compressibili, eliminando gli inconvenienti che si


producono, spesso, a causa di un assestamento deficitario, può essere accelerato adoperando
pozzi o pali verticali di sabbia. Si tratta di veri e propri pozzi trivellati di piccolo diametro (30÷40
cm), che vengono riempiti di materiale granulare (Fig. 1.108).

Il meccanismo drenante dei pozzi è il seguente: l'acqua contenuta nei pori dell'ammasso terroso al
disotto del piano di posa, non appena questo sarà caricato, tende a spingersi verso le zone in cui
la permeabilità è più elevata, cioè verso i pozzi, rendendo, così, possibile un più rapido
consolidamento.

È opportuno raccogliere i drenaggi verticali, nella parte superficiale, in uno strato drenante
orizzontale di spessore uniforme, il quale deve servire a mettere in comunicazione l'acqua dei
dreni con l'ambiente esterno. Se possibile, inoltre, i pozzi di sabbia si prolungano fino a
raggiungere uno strato permeabile sottostante. La distanza di questi pozzi, il loro diametro, la loro
profondità etc., dipendono da molti fattori: natura dell'ammasso compressibile, sua stratificazione,
azione del carico, grado di consolidamento che si vuole raggiungere.

Fig. 1.108 - Pozzi verticali di sabbia per accelerare il processo di consolidamento del piano di posa di un rilevato.

Per il riempimento dei drenaggi si adotta materiale sabbioso di appropriata granulometria; la


California Division of Highway prescrive quanto segue:

- passante al setaccio 3/4" = 100,0%;


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- passante al setaccio n. 10 ASTM = 40,0%;

- passante al setaccio n. 40 ASTM = 15,0%;

- passante al setaccio n. 200 ASTM = 1,5%.

Applicazioni di questo tipo sono state fatte anche in Italia per il consolidamento di piani di posa di
rilevati, con risultati abbastanza soddisfacenti; non si sono rilevati, viceversa, risultati accettabili
quando si è trattato di terreni torbosi.

In Germania, ad es., sono stati realizzati, per il consolidamento di terreni molto cedevoli, drenaggi
formati da strati di cartone impregnato di sali di arsenico, onde evitare l'azione distruttrice di insetti
ed animali, e di resina melaminica, per conferire una maggiore resistenza all'azione dell'acqua.

Infine, fra le opere riguardanti direttamente la stabilità del corpo stradale si devono includere i muri
di rivestimento delle scarpate, per proteggere queste dalle erosioni superficiali, oppure le
protezioni con reti metalliche e le gallerie paramassi, al fine di evitare la caduta di massi sulla
carreggiata.

Quanto esposto è stato racchiuso nella Tab. 1.39 in cui si è riportata una suddivisione delle
instabilità in base alle cause, con i relativi collegamenti uniti alle principali opere consigliabili.

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Tab. 1.39 – Classificazione delle instabilità degli ammassi terrosi ed opere relative.

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