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FUNZIONI DEL VERDE URBANO:

In relazione ai principali caratteri dell’organizzazione distributiva e alle finalità della progettazione


urbana, il verde svolge numerose funzioni all’interno di un’ampia gamma di declinazioni. Al verde
urbano si possono associare.

1. FUNZIONI DI CARATTERE ECOLOGICO – AMBIENTALE


In relazione alla possibilità di favorire la rigenerazione della vegetazione e ricostruire habitat
favorevoli alla micro-fauna urbana, oltre che alla capacità di contribuire a ridurre
l’inquinamento e migliorare il microclima;

2. FUNZIONI PROTETTIVE E DI TUTELA AMBIENTALE


In relazione all’azione di difesa esercitata in particolare contesti naturali, come argini di fiumi,
scarpate, pendii, terreni instabili;

3. FUNZIONI SOCIALI E RICREATIVE


In relazione alla domanda di socializzazione e ricreazione che i parchi, i giardini, i viali e gli
spazi alberati possono soddisfare;

4. FUNZIONI CULTURALI E DIDATTICHE


In relazione al significato culturale che i parchi e i giardini storici rappresentano per la storia dei
luoghi e delle comunità, e alla possibilità di favorire e approfondire la conoscenza della botanica
e, più in generale, delle scienze naturali e dell’ambiente (a maggior ragione quando il verde è di
pertinenza degli edifici scolastici);

5. FUNZIONI SPORTIVE
In relazione alla pratica dell’attività sportiva consentita nelle aree adibite a verde, soprattutto se
dotate di opportune attrezzature;

6. FUNZIONI RAPPRESENTATIVE, ORNAMENTALI PAESAGGISTICHE, ESTETICHE E


ARTISTICHE
In relazione alla possibilità di migliorare il paesaggio urbano e rendere più gradevoli le città,
favorendo l’integrazione fra spazi pieni e vuoti, fra aree edificate e verdi;

7. FUNZIONI RELIGIOSE E COMMEMORATIVE


In relazione al ruolo di sacralità e monumentale che il verde può conferire ai luoghi (come, per
esempio, nel caso di chiese, monasteri, monumenti, aree cimiteriali);

8. FUNZIONI SANITARIE E TERAPEUTICHE


In relazione alla capacità del verde di contribuire al benessere psicologico e all’equilibrio
mentale delle persone che ne fruiscono, oppure ancora di favorire la convalescenza dei degenti
(soprattutto quando le aree verdi si trovano in prossimità di strutture sanitarie);

9. FUNZIONI PRODUTTIVE
In relazione alla possibilità di utilizzare appezzamenti di terreno (pubblici o privati) per
coltivazioni a orto (destinate all’auto-consumo) in ambito urbano, riproponendo pratiche che
portano a rafforzare il senso di appartenenza ai luoghi in un rinnovato sistema di relazioni fra
città e compagna.

MOBILITÀ
La strada funge da tramite per migliorare il paesaggio.
È un luogo pubblico che ha diverse classi che dipendono da:
- TIPO DI MOVIMENTO
- UTILITÀ DELLO SPOSTAMENTO
- FUNZIONE ASSUNTA NEL CONTESTO ATTRAVERSATO
- COMPORTAMENTO DEL TRAFFICO

STRADE VEICOLARI
Decreto Ministeriale n. 6792 del 2001 – Norme funzionali e generiche per la costruzione di strade
Livelli di strade:
1. PRIMARIA (transito)
2. PRINCIPALE (distribuzione)
3. SECONDARIA (penetrazione)
4. LOCALE (Accesso)
In ambito extraurbano la velocità degli automezzi determinano la qualità della strada
Categorie della strada
a) Autostrada in ambito urbano\extraurbano
L= 3,75 m , min. 2 corsie per lato
b) Strada extraurbana principale
L= 3,75 m , L= 3,25 m di servizio
c) Strada extraurbana secondaria
NO obbligo di spartitraffico, L= 3,75 o 3,25
d) Strada urbana di scorrimento
SI obbligo spartitraffico, L= 3,25, 3,50 con bus, 3,75 per servizio
e) Strada urbana di quartiere
L= 3 , 3,50 per autobus
f) Strada locale in ambito urbano \ extraurbano
L= 3,50 , 3,25 per extraurbano
L= 2,75 per urbano

PISTE CICLABILI
D.L. N. 557 DEL 1999 – Regolamento per le definizioni di carattere tecniche delle piste ciclabili
I percorsi migliori sono quelli più brevi, sicuri e diretti , deve risultare armonica con il contesto
ambientale specifico

Tipologie:
1. Sede propria
2. Una corsia riservata ricavata dalla carreggiata
3. Una corsia riservata ricavata dal marciapiede
Dimensioni
L= 1,5 + 0,5 spartitraffico invalicabile
Raggio di curvatura: ≥ 5m
Pendenza longitudinale media non superiore del 2%
PERCORSI PEDONALI
Decreto Ministeriale n. 6792 del 2001

Dimensioni:
L= 1,5 m
2,5 m marciapiede ottimale senza alberature e panchine
3,5 m marciapiede ottimale con alberature e panchine
Devono garantire: illuminazione, condizioni di visibilità, ubicazione, continuità del percorso

INTERSEZIONI STRADALI
Possono essere:
1- RASO LINEARI
2- RASO ROTATORIA
3- A PIÙ LIVELLI (soprattutto a strade extraurbane)
PUNTO DI CONFLITTO: Un punto in cui due flussi (di traffico) a diversa provenienza\destinazione si
incontrano
Tipologie:
4. Diversione (divergenza\uscita)
5. Attraversamento (intersezione)
6. Immissione (convergenza\entrata)
7. Svolta
8. Scambio

ISOLE DI CANALIZZAZIONE
semplificano lo svolgimento regolare delle manovre di svolta in un incrocio a raso

Possono essere:
9. ISOLE DIVISIONALI
L min 1,20\1,50. Se c’è un cartello stradale si aggiungono 30cm per lato. Si può aggiungere un
rifugio pedonale
10. ISOLE A GOCCIA
11. ISOLE DIREZIONALI
La forma più comune è quella triangolare

LE ROTATORIE
Tipo di sistemazione delle intersezioni a raso fra più strade costituita da 3 o + bracci che
confluiscono in un anello stradale
Non assegna diritti di precedenza a nessuno dei bracci

Aspetti negativi:
12. Notevole ingombro
13. Maggior superficie pavimentata
14. Inadeguati a risolvere nodi stradali nei percorsi ad alta velocità
15. Flusso continuo che ostacola il traffico pedonale di attraversamento
Tipologie:
1. CONVENZIONALI (D > 40m)
2. COMPATTE (25m < D < 40m)
3. Mini rotatorie (14 m < D < 25m)

ELEMENTI DI MODERAZIONE DELLA VELOCITÀ


a. Allargamento dei marciapiedi alle intersezioni
b. Attraversamenti pedonali rialzati
c. Restringimento della carreggiata
 Allargamento del marciapiede,
 introduzione di banchine o isole centrali
d. Dossi e cuscini berlinesi

PARCHEGGI
L. 1150\42 (art.41)
L. 462\67 (art. 18) OBBLIGO DI RISERVARE
PARCHEGGIO 1MC PER OGNI MQ DI
L. 122\89 (art. 2)
COSTRUZIONE PRIVATA

D.M. 1444\68 (art. 3-5) obbligo di riservare una superficie minima di 2,5 mq per ogni abitante
insediabile e una superficie pari al 40% della superfice lorda pavimentata per aree commerciali e
direzionali
Per i disabili -> 3,20 m per ogni 50 posti disponibili
Categorie:

1. Parcheggi terminali (per soste lunghe)


2. Parcheggi scambiatori (collegati ad altre modalità di trasporto)
3. Parcheggi a rotazione (per utenti che compiono brevi soste)

TIPI DI FERMATA
 MANOVRA DIRETTA
 MANOVRA DI INSERIMENTO ED USCITA
Sulla sede stradale si fanno:
1. Corsie di sosta nella stessa carreggiata
2. Banchina di sosta in rientranza di marciapiedi
3. Zone laterali di sosta
Posso essere a sviluppo orizzontale o verticale
Caratteristiche geometriche
16. Profondità della fascia stradale
 2 m per sosta longitudinale
 4,8 m per sosta a 45°
 5 m per sosta perpendicolare al bordo della strada
Corsia di manovra
3,2m per sosta longitudinale
6m per sosta perpendicolare

APPROCCI AMBIENTALI
MACIOCCO
Concetto base : Territorio=esito della continua evoluzione della relazione tra
POPOLAZIONEATTIVITÀ -LUOGHI

1- DELEGITTIMAZIONE DEL PIANO URBANISTICO TRADIZIONALE


Processo di pianificazione è diverso dal processo di attuazione e offre disegni rigidi dello statuto
dei luoghi

2- DIMENSIONE AMBIENTALE DELLA PIANIFICAZIONE


Non più solo valori estetici→ bisogna cogliere significati unificanti del paesaggio-ambiente
Bisogna produrre PROGETTO AMBIENTALE→ il quale è operativo sull’ambiente come
sfondo e campo d’azione

3- DOMINANTI AMBIENTALI
Ovviamente la costruzione di un quadro di compatibilità degli interventi è legato a →
GEOGRAFIA DEI VALORI AMBIENTALI → che sono funzionali alla concezione strutturale
del territorio
Valori ≠ singolarità non rilevanti = Dominanti ambientali → perché significativi per la struttura
ambientale di un’area = Luoghi notevoli →fondamentali per la pianificazione urbanistica
portano significato di relazione con gli altri luoghi = qualcosa di lunga durata → regole guida
per gestione e indirizzo degli interventi

4- VERSO UNA REVISIONE DEL PIANO


C’è bisogno di una nuova pianificazione che coniughi: l’INVARIANZA del piano (cose che non
cambiano come appunto i valori) e la VARIANZA del piano (flessibilità delle scelte e
dell’organizzazione dello spazio)
Si può procedere perciò attraverso:
➔ Approfondimento della dimensione di lunga durata dei valori ambientali e territoriali
➔ Qualificazione dei caratteri gestionali dell’attività di pianificazione e decisione
E perciò:
➔ Fissare a priori un “quadro generale di compatibilità” degli interventi per valori di lunga
durata dell’ambito urbano e territoriale
➔ Organizzazione gestionale di attività di piano attraverso Strutture TecnicoAmministrative ad
hoc”

5- SCHEMA OPERATIVO DELL’ANALISI DEL POGETTO DI PIANO


1) Individuazione delle Unità Paesaggistico Ambientali (UPA) = aree con situazioni ricorrenti
del paesaggio- ambiente
2) Definizione di potenzialità e dei valori paesaggistico-ambientali
3) Analisi degli usi attuali (cioè valutare gli usi attuali in rapporto alla loro compatibilità con la
conservazione attiva dell’ambiente/paesaggio
4) Verifica dei problemi di fruizione
5) Definizione di quadri di compatibilità d’uso
Perciò, le risorse posso definirsi:
17. A prevalente titolo di Salvaguardia (componenti geo-litiche, geo-idrologiche, morfologiche,
manto vegetazionale, fattori climatici, campo fisico, beni culturali)
18. A prevalente titolo di Trasformazione (urbanizzazione, industrializzazione, infrastrutturazione,
trasformazione agraria)

MAGNAGHI
Concetto base: bisogna ripartire dalle COMUNITà LOCALI, ambienti dove vanno ricostruiti
riequilibri bioecologici, socio-territoriali
La composizione delle relazioni di tali ambiti è uno dei connotati tipici della
TERRITORIALIZZAZIONE = riqualificazione dell’ambiente dalla ricerca delle regole culturali e
insediative

1- RIFONDARE LA CITTÀ
Città/territorio = spazio economico di espansione senza misura dopo la WWII Rifondazione dei
luoghi = diventa elemento strategico tra insediamento umano e ambiente (“ricostruire le città
dalle prossimità”)
➔ Ricostruzione del nuovo scenario dai principi ordinatori:
A. Riconoscimento dei Tipi Territoriali e Urbani di lunga durata
B. Riconnessione degli spazi aperti frammentati e degradati attraverso l’espansione
metropolitana
C. Compenetrazione del sistema ambientale (piccole città) a favore di percorsi di fruibilità dei
sistemi ambientali e delle città tra loro

2- PROGETTO DEI VUOTI


VUOTI = spazi aperti residenziali e relitti → diventano figure generatrici del nuovo ordine
territoriale e urbano perché
il progetto è basato sui PIENI = enorme consumo dei luoghi ed artificializzazione
Di conseguenza → desertificazione ambientale I principi ordinatori ora sono:
A) Connessione del sistema continuo delle fasce boscate
B) Protezione zona di ricarica delle falde acquifere
C) Qualificazione ambientale e paesistica del territorio agricolo e forestale
D) Costruzione dei corridoi biotici, ecosistemi filtro, fasce ecologiche polivalenti
E) Zone di pertinenza dei fiumi
F) Enfatizzazione del sistema delle acque e capacità auto-rigenerativa

3- RIDEFINIZIONE DEI CONFINI DELLA CITTÀ


Le nuove Mura della città dovrebbero essere:
 Cinture verdi e corridoi biotici che connettono parchi urbani e periurbani
 Isole pedonali riconnesse attraverso i percorsi ciclabili e trasporto pubblico
 Densificazione dello spazio edificato attraverso la riqualificazione delle zone di frangia

Il limite ridisegna il senso di appartenenza→ recuperare l’identità locale che educa alla sapienza
ambientale, cioè nel rispetto, responsabilità e cura dei luoghi

4- RICOSTRUZIONE DELLO SPAZIO PUBBLICO E NUOVE MUNICIPALITÀ


Riconquista dello status cittadino (new consapevolezza dei cittadini) → rifondazione della città
stessa basata sul rapporto cura degli abitanti- territorio → piano sociale ed ambientalistico
inscindibili

5- COSTRUZIONE DI RETI NON GERARCHIZZATE DI CITTÀ


Diverse fasi per fare ciò:
a. Interpretazione del processo di territorializzazione: individuare il patrimonio territoriale
RESISTENTE (Insieme degli spazi residuali)
b. Riqualificazione dei nodi, cioè dei centri urbani e sistemi territoriali locali
c. Costruzione della rete: relazioni, sistemi e canali di comunicazione

ESPROPIO per causa di pubblica utilità PEREQUAZIONE URBANISTICA

LEGGI: DOVE SI APPLICA:


L. n° 2359 del 1865 -> espropriazione di  PEREQUAZIONE GENERALIZZATA
pubblica utilità – ABROGATA Intero territorio comunale oggetto di
trasformazione
n° 327 del 2001 -> testo unico  PEREQUAZIONE PARZIALE
sull’espropriazione Alcuni ambiti del territorio comunale
FASI opportunamente selezionati

1. Sottoposizione del bene al vincolo OBIETTIVI


presidiato all’esproprio - EQUITÀ
2. Dichiarazione di pubblica utilità - EFFICACIA
3. Determinazione dell’indennità di - ECONOMICITÀ
esproprio
4. Decreto di esproprio FASI
LIMITI 1. Determinare dove si applica
2. Fase estimativa dei suoli che sono
 PREZZO DELL’ESPROPRIO omogenei per “stato di fatto\di diritto”
 INSODDISFAZIONE DEI PROPRIETARI DEI 3. Attribuzione indice edificatorio
SUOLI PLAFOND = sup. utile lorda
realizzabile / sup. territoriale dell’area
4. Formazione del comparto edilizio
L.1150 \ 1942
Regola i sistemi di pianificazione a cascata

SCOPO: Incrementare l’edilizia nei centri abitati e lo sviluppo urbanistico


Questa disciplina si attua a mezzo dei piani regolatori territoriali e dei piani regolatori comunali

PIANI TERRITORIALI DI COORDINAMENTO


SCOPO: coordinare l’attività urbanistica da svolgere
Nella formazione dei detti piani devono stabilirsi le direttive da seguire nel territorio considerato, in
rapporto principalmente:
a) alle zone da riservare a speciali destinazioni ed a quelle soggette a speciali vincoli o limitazioni
di legge;
b) alle località da scegliere come sedi di nuovi nuclei edilizi od impianti di particolare natura ed
importanza;
c) alla rete delle principali linee di comunicazione stradali, ferroviarie, elettriche, navigabili
esistenti e in programma.
Il piano territoriale di coordinamento ha vigore a tempo indeterminato.
PIANI REGOLATORI GENERALI
Il piano regolatore generale deve considerare la totalità del territorio comunale.

Esso deve indicare essenzialmente:

1. la rete delle principali vie di comunicazione stradali, ferroviarie e navigabili e dei relativi
impianti;
2. la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate
all’espansione dell’aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare
in ciascuna zona;
3. le aree destinate a formare spazi di uso pubblico o sottoposte a speciali servitù;
4. le aree da riservare ad edifici pubblici o di uso pubblico nonché ad opere ed impianti di interesse
collettivo o sociale;
5. i vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale, paesistico;
6. le norme per l’attuazione del piano.
(i numeri 2, 3 e 4 sono stati dichiarati incostituzionali con sentenza della Corte Costituzionale n. 179
del 20 maggio 1999)

FORMAZIONE DEL PIANO:

- I comuni hanno la facoltà di formare il piano regolatore generale del proprio territorio.
- La formazione del piano è obbligatoria per tutti i comuni [compresi in appositi elenchi].
- I comuni compresi negli elenchi devono procedere alla nomina dei progettisti per la formazione
del piano regolatore generale entro tre mesi dalla data del decreto
- alla deliberazione di adozione del piano stesso entro i successivi dodici mesi ed alla
presentazione al ministero dei lavori pubblici per l’approvazione entro due anni data del decreto
ministeriale

Nel caso in cui il piano venga restituito per modifiche, integrazioni o rielaborazioni al comune,
quest’ultimo provvede ad adottare le proprie determinazioni nel termine di 180 giorni dalla restituzione.

Il P.R.G. è approvato entro un anno dal suo inoltro al ministero dei lavori pubblici
Il progetto di piano regolatore generale del Comune deve essere depositato nella Segreteria comunale
per la durata di 30 giorni consecutivi, durante i quali chiunque ha facoltà di prenderne visione.

Fino a 30 giorni dopo la scadenza del periodo di deposito possono presentare osservazioni le
Associazioni sindacali e gli altri Enti pubblici ed istituzioni interessate.

La variazione del piano è approvata con la stessa procedura stabilita per l’approvazione del piano
originario

Il piano regolatore generale del Comune ha vigore a tempo indeterminato.

PIANI REGOLATORI INTERCOMUNALI

Si redigono quando si ha la necessità di coordinare lo sviluppo urbanistico di aggregati edilizi di due o


più comuni

PROCEDURA

Il Ministro, sentito il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, determina:

a. L’estensione del piano intercomunale da formare


b. Quale dei comuni interessati debba provvedere al redazione del piano e come bisogna ripartire la
relativa spesa

PIANI PARTICOLAREGGIATI

Il piano regolatore generale è attuato a mezzo di piani particolareggiati di esecuzione nei quali
devono essere indicate le reti stradali e i principali dati altimetrici di ciascuna zona

I piani particolareggiati di esecuzione sono compilati a cura del Comune e debbono essere adottati dal
Consiglio comunale con apposita deliberazione.

I piani particolareggiati devono essere depositati nella Segreteria del Comune per la durata di 30 giorni
consecutivi.

Fino a 30 giorni dopo la scadenza del periodo di deposito potranno essere presentate opposizioni dai
proprietari di immobili compresi nei piani ed osservazioni da parte delle Associazioni sindacali
interessate.

Decorso il termine stabilito per l’esecuzione del piano particolareggiato questo diventa inefficace per la
parte in cui non abbia avuto attuazione, rimanendo soltanto fermo a tempo indeterminato l’obbligo di
osservare, nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti, gli allineamenti e le
prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso.

Se alla scadenza di questo i lavori non risultino ancora eseguiti, il Comune potrà procedere
all’espropriazione.

PIANI DI LOTTIZZAZIONE CONVENZIONATA


Il piano di lottizzazione è uno strumento urbanistico a iniziativa prevalentemente privata, frutto di
scelte concordate tra l'autorità urbanistica, i proprietari e gli imprenditori interessati relative alla
divisione in lotti di una porzione del territorio comunale destinata all'edificazione.

Esso, quindi, costituisce una forma di attuazione della pianificazione urbanistica generale, richiesta
ogniqualvolta si intenda realizzare un intervento edilizio che comporti nuove opere di urbanizzazione o
aggravi la situazione delle opere di urbanizzazione esistenti.

La lottizzazione dei terreni a scopo edilizio è possibile solo dopo l'approvazione da parte del Comune di
riferimento del piano regolatore generale o del programma di fabbricazione.

Quando tali strumenti sono stati emanati, i Comuni, fino a che non è approvato il piano particolareggiato
di esecuzione, possono autorizzare la lottizzazione dopo aver ottenuto il nulla osta del provveditore
generale alle opere pubbliche, sentita la Sezione urbanistica generale e la soprintendenza competente.

L'autorizzazione comunale è inoltre possibile anche quando il Comune che ha adottato il programma di
fabbricazione o il piano regolatore generale non riceva, entro dodici mesi dalla presentazione al
Ministero dei lavori pubblici, alcuna determinazione dalla competente autorità. A tal fine, tuttavia,
è necessario che il piano di lottizzazione sia conforme al piano regolatore generale o al programma di
fabbricazione.

'autorizzazione comunale ai piani di lottizzazione, in ogni caso, richiede la stipula di un'apposita


convenzione, da approvarsi con deliberazione consiliare.

In essa vanno previsti:

- la cessione delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria, in via gratuita ed entro
termini prestabiliti e la cessione a titolo gratuito delle aree necessarie per le opere di
urbanizzazione secondaria;
- l'assunzione, da parte del proprietario, degli oneri delle opere di urbanizzazione primaria e di
una quota (determinata in proporzione all'entità e alle caratteristiche degli insediamenti delle
lottizzazioni) degli oneri delle opere di urbanizzazione secondaria o delle opere necessarie per
l'allaccio della zona ai servizi pubblici;
- i termini entro i quali vanno ultimate le predette opere, che non devono eccedere i dieci anni;
delle congrue garanzie finanziarie per l'adempimento degli obblighi che derivano dalla
convenzione.

La convenzione va trascritta a cura del proprietario.

LICENZA DI COSTRUIRE
Chiunque intenda nell’ambito territoriale comunale eseguire nuove costruzioni, ampliare, modificare o
demolire quelle esistenti ovvero procedere all’esecuzione di opere di urbanizzazione del terreno, deve
chiedere apposita licenza al sindaco

COMUNI SPROVVISTI DI PIANO REGOLATORE

Dovranno includere nel proprio regolamento edilizio il programma di fabbricazione, con l’indicazione
dei limiti di ciascuna zona, secondo le delimitazioni in atto o da adottarsi, nonché con la precisazione
dei tipi edilizi propri di ciascuna zona. potranno anche indicare le eventuali direttrici di espansione.
DECRETO MINISTERIALE 2 APRILE 1968 n° 1444

Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra
gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività
collettive, al verde pubblico o a parcheggi.

CAMPO DI APPLICAZIONE

Le disposizioni che seguono si applicano ai nuovi piani regolatori generali e relativi piani
particolareggiati e lottizzazioni convenzionate

ZONE TERRITORIALI OMOGENEE

A) le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestano carattere storico, artistico e
di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono
considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi;
B) le parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, diverse dalle zone A): si considerano
parzialmente edificate le zone in cui la superficie coperta degli edifici esistenti non sia inferiore
al 12,5% (un ottavo) della superficie fondiaria della zona e nelle quali la densità territoriale sia
superiore ad 1,5 mc/mq;
C) le parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino inedificate o nelle
quali l'edificazione preesistente non raggiunga i limiti di superficie e densità di cui alla
precedente lettera B);
D) le parti del territorio destinate a nuovi insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati;
E) le parti del territorio destinate ad usi agricoli, escluse quelle in cui - fermo restando il carattere
agricolo delle stesse - il frazionamento delle proprietà richieda insediamenti da considerare
come zone C);
F) le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale .

RAPPORTI MASSIMI TRA GLI SPAZI DESTINATI AGLI INSEDIAMENTI RESIDENZIALI E


GLI SPAZI PUBBLICI O RISERVATI ALLE ATTIVITÀ COLLETTIVE, A VERDE PUBBLICO O
A PARCHEGGI

La dotazione minima, inderogabile, di mq 18 per spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde
pubblico o a parcheggio, con esclusione degli spazi destinati alle sedi viarie.

si assume che, ad ogni abitante insediato o da insediare corrispondano mediamente 25 mq di superficie


lorda abitabile (pari a circa 80 mc vuoto per pieno), eventualmente maggiorati di una quota non
superiore a 5 mq

ART. 5. RAPPORTI MASSIMI TRA GLI SPAZI DESTINATI AGLI INSEDIAMENTI PRODUTTIVI
E GLI SPAZI PUBBLICI DESTINATI ALLE ATTIVITÀ COLLETTIVE, A VERDE PUBBLICO O A
PARCHEGGI

1. nei nuovi insediamenti di carattere industriale o ad essi assimilabili compresi nelle zone D) la
superficie da destinare a spazi pubblici o destinata ad attività collettive, a verde pubblico o a
parcheggi (escluse le sedi viarie) non può essere inferiore al 10% dell'intera superficie destinata
a tali insediamenti;
2. nei nuovi insediamenti di carattere commerciale e direzionale, a 100 mq di superficie lorda di
pavimento di edifici previsti, deve corrispondere la quantità minima di 80 mq di spazio, escluse
le sedi viarie, di cui almeno la metà destinata a parcheggi
ART. 7. LIMITI DI DENSITÀ EDILIZIA

Zone A):

- per le operazioni di risanamento conservativo ed altre trasformazioni conservative, le densità


edilizie di zona e fondiarie non debbono superare quelle preesistenti, computate senza tener
conto delle soprastrutture di epoca recente prive di valore storico-artistico;
- per le eventuali nuove costruzioni ammesse, la densità fondiaria non deve superare il 50% della
densità fondiaria media della zona e, in nessun caso, i 5 mc/mq;

Zone B):

le densità territoriali e fondiarie sono stabilite in sede di formazione degli strumenti urbanistici tenendo
conto delle esigenze igieniche, di decongestionamento urbano e delle quantità minime di spazi previste
dagli artt. 3, 4 e 5.
Qualora le previsioni di piano consentano trasformazioni per singoli edifici mediante demolizione e
ricostruzione, non sono ammesse densità fondiarie superiori ai seguenti limiti:

- 7 mc/mq per comuni superiori ai 200 mila abitanti;


- 6 mc/mq per comuni tra 200 mila e 50 mila abitanti;
- 5 mc/mq per comuni al di sotto dei 50 mila abitanti.

Zone C):

i limiti di densità edilizia di zona risulteranno determinati dalla combinata applicazione delle norme di
cui agli artt. 3, 4 e 5 e di quelle di cui agli artt. 8 e 9,

Zone E):

è prescritta per le abitazioni la massima densità fondiaria di mc 0,03 per mq.

ART. 8. LIMITI DI ALTEZZA DEGLI EDIFICI.

Zone A):

- per le operazioni di risanamento conservativo non è consentito superare le altezze degli edifici
preesistenti, computate senza tener conto di soprastrutture o di sopraelevazioni aggiunte alle
antiche strutture;
- per le eventuali trasformazioni o nuove costruzioni che risultino ammissibili, l'altezza massima
di ogni edificio non può superare l'altezza degli edifici circostanti di carattere storico-artistico;

Zone B):

l'altezza massima dei nuovi edifici non può superare l'altezza degli edifici preesistenti e circostanti, con
la eccezione di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con
previsioni planivolumetriche, sempre che rispettino i limiti di densità fondiaria di cui all'art. 7.
Zone C:

contigue o in diretto rapporto visuale con zone del tipo A): le altezze massime dei nuovi edifici non
possono superare altezze compatibili con quelle degli edifici delle zone A) predette.

4) Edifici ricadenti in altre zone:

le altezze massime sono stabilite dagli strumenti urbanistici in relazione alle norme sulle distanze tra i
fabbricati di cui al successivo art. 9.

ART. 9. LIMITI DI DISTANZA TRA I FABBRICATI

Zone A):

per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici
non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza
tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale;

Nuovi edifici ricadenti in altre zone:

è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici
antistanti;

Zone C):

è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all'altezza del
fabbricato più alto; la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si
fronteggino per uno sviluppo superiore a ml. 12.

Le distanze minime tra fabbricati - tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli (con
esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti) - debbono
corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di:

- ml. 5,00 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7;


- ml. 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15;
- ml. 10,000 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15.

Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all'altezza del fabbricato più
alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all'altezza stessa.

Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che
formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni
planivolumetriche.

VAS E VIA

decreto legislativo 152 del 2006 ‘Norme in materia ambientale’.

- PARTE I: Disposizioni comuni e principi generali


- PARTE II: Procedure per la VAS e la VIA
- PARTE III: Norme in materia di difesa del suolo, ambiente e acque
- PARTE IV: Norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati
- PARTE V: tutela dell'aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera
- PARTE VI: Disciplina sanzionatoria degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela
ambientale.

VIA = Valutazione di Impatto Ambientale

VAS = Valutazione Ambientale Strategica.

Due differenti strumenti previsti dalla legge italiana, volti entrambi a protegge e tutelare
l’ambiente dall’impatto che lo sviluppo edificatorio ed umano può causare.

DIFFERENZE
VAS VIA
Ha per oggetto PIANI Ha per oggetto progetti
Considera una VASTA GAMMA di alternative Considera una LIMITATA scelta di alternative
praticabile praticabili
Prospettiva AMPIA, MINORE LIVELLO DI Prospettiva RISTRETTA, ALTO LIVELLO DI
DETTAGLIO DETTAGLIO
INDIVIDUA LE FONTI DI DEGRADO AFFRONTA I SINTOMI DI DEGRADO
AMBIENTALE AMBIENTALE
Si stipula nella fase PRECEDENTE del processo Si stipula quanto NON È PIÙ POSSIBILE
decisionale INTERVENIRE SULLE LINEE
PIANIFICATORIE GENERALI.

VAS

Dal principio è stata la Comunità Europea ad introdurre “la valutazione degli effetti di determinati piani
e programmi sull’ambiente naturale” attraverso l’emanazione della Direttiva 2001/42/CE, detta
anche “Direttiva VAS”, che è entrata ufficialmente in vigore il 21 luglio 2001.

Ad avviare la valutazione ambientale strategica e ad esserne responsabile, dunque, è la pubblica


amministrazione, che ha il compito di elaborare un piano o un programma di pianificazione e deve
provvedervi contestualmente al processo di formazione del piano o del programma stesso.

Deve comprendere le seguenti fasi:

 la realizzazione di una verifica di assoggettabilità;


 l’elaborazione di un rapporto ambientale;
 una fase di consultazioni;
 la valutazione del rapporto ambientale e degli esiti delle consultazioni;
 la decisione finale;
 l’informazione della decisione al pubblico;
 il monitoraggio della situazione.

Per ognuna delle suddette fasi della valutazione, la legge stabilisce le modalità di svolgimento, i
contenuti ed i Soggetti coinvolti.
Vengono introdotti alcuni elementi innovativi che influenzano le modalità di pianificare della
Pubbliche Amministrazioni in maniera sostanziale. In particolar modo, l’ampio criterio
di partecipazione e la trasparenza del processo decisionale, vengono attuati attraverso la fase
di consultazione, con il coinvolgimento sia di soggetti competenti in materia ambientale, che del
pubblico e dei privati cittadini che in qualche misura risultino interessati dall’iter decisionale.

VIA

L’Unione Europea con la Direttiva 337 del 1987 ha sancito la nascita e le linee guida della valutazione
dell’impatto ambientale. Nel nostro paese però questa è stata recepita solo nel 2006, con il Decreto
Legislativo numero 152 del 3 aprile.

Per l’elaborazione di una Valutazione di Impatto Ambientale occorre rivolgersi ad un consulente


specializzato, che possieda le competenze tecniche ed ambientali necessarie per redigere l’elaborato
tecnico da allegare al progetto.

Da un punto di vista operativo, in realtà, sarebbe opportuno distinguere tra verifica di assoggettabilità
alla VIA dalla VIA vera e propria. La verifica di assoggettabilità è una procedura preliminare e
propedeutica, che deve essere attivata per “valutare, ove previsto, se progetti possono avere un impatto
significativo e negativo sull’ambiente” e devono dunque essere sottoposti alla fase di VIA vera e
propria.

FASI:

1 Verifica di assoggettabilità o screening,


per valutare se vi sono i presupposti per l’obbligo della VIA;
1 Studio di impatto ambientale
che è la fase di valutazione vera e propria, attraverso la quale vengono descritti sia i dettagli
del progetto che i potenziali danni per l’ambiente che dalla sua attuazione potrebbero
derivarne;
1 Fase decisionale ad opera dell’ente competente
1 Pubblicazione del progetto e consultazioni;
1 Pronuncia e comunicazione dell’esito;
1 Monitoraggio
che prosegue anche dopo la realizzazione dell’opera, per verificare che le condizioni di
salubrità e compatibilità non siano cambiate.

DECRETO LEGISLATIVO 22 GENNAIO 2OO4

 Articolo 10 – BENI CULTURALI -> Tutti i beni pubblici con più di 20 anni sono beni
culturali => SONO VINCOLATI
 Articolo 13 – BENI PRIVATI -> possono essere tutelati se interessano le dichiarazioni di
beni culturali

Beni culturali sono tutelati se appartengono allo Stato, presentano un interesse culturali e con
più di 20 anni

I beni pubblici mobili (Statue, quadri, ecc..) devono avere più di 50 anni
Ogni intervento è autorizzato dal Ministero tramite LA SOVRAINTENDENZA

 Nella parte III – BENI PAESAGGISTICI -> riprende la definizione di paesaggio diversa
da quella della convenzione europea per il paesaggio
 Articolo 132 – Aree tutelate direttamente dalla legge
 Articolo 134 – Divide i beni paesaggistici tra i Galassini (LEGGE GALASSI)
 Articolo 135 – Sancisce l’obbligo alle regioni di elaborare piani paesaggistici
 Articolo 146 – Punto 4 -> l’autorizzazione dura 5 anni poi, bisogna chiederne un’altra
 Articolo 148 – Commissioni locali per il paesaggio

LEGGE REGIONALE 5 agosto 1992, n. 34 – REGIONE MARCHE

Norme in materia urbanistica, paesaggistica e di assetto del territorio.

ART.1

2. In particolare, nell'ambito delle funzioni amministrative regionali previste dalla vigente normativa
statale, la presente legge definisce:

 a) l'attribuzione alle province delle funzioni in materia urbanistica in conformità alle


disposizioni del comma 5 dell'articolo 15 della legge 8 giugno 1990, n. 142;
 b) l'attribuzione ai comuni delle funzioni in materia di approvazione dei piani attuativi degli
strumenti urbanistici generali;

ART.2

2. A tal fine è ordinato il sistema della pianificazione territoriale, che è costituito:

 a) dal piano paesistico ambientale regionale (PPAR), quale carta fondamentale delle forme
di tutela, valorizzazione ed uso del territorio marchigiano;
 b) dal piano di inquadramento territoriale (PIT), quale disegno generale di sintesi delle
trasformazioni territoriali in funzione dello sviluppo economico-sociale della comunità
regionale;
 c) dai piani territoriali di coordinamento (PTC), quali strumenti per la determinazione degli
indirizzi generali di assetto del territorio a livello provinciale;
 d) dai piani regolatori generali (PRG), quali strumenti della pianificazione urbanistica a
scala comunale.

ART.4

Attribuzione ai comuni di funzioni amministrative in materia di approvazione degli strumenti urbanistici


attuativi
1. I piani particolareggiati di cui agli articoli 13 e seguenti della legge 17 agosto 1942, n. 1150 e
successive modificazioni, i piani di recupero di cui all'articolo 28 della legge 5 agosto 1978, n.
457, i piani per l'edilizia economica e popolare di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167 e
successive modificazioni, i piani per gli insediamenti produttivi di cui all'articolo 27 della legge
22 ottobre 1971, n. 865 e successive modificazioni, i piani di lottizzazione di cui all'articolo 28
della legge 17 agosto 1942, n. 1150 e successive modificazioni, gli strumenti urbanistici previsti
e disciplinati da norme speciali o particolari dello Stato o della Regione, conformi agli strumenti
urbanistici generali oppure rientranti nelle previsioni di cui al comma 5 dell'articolo 15, della
presente legge sono approvati in via definitiva dal consiglio comunale.

ART.8 - Contenuti del piano paesistico ambientale regionale

ART.10 - Contenuti del piano di inquadramento territoriale

1. Il piano di inquadramento territoriale (PIT) stabilisce le linee fondamentali di assetto del


territorio

ART.12 - Contenuti dei piani territoriali di coordinamento provinciali

- I piani territoriali di coordinamento (PTC), nel rispetto del piano paesistico ambientale
regionale (PPAR), del piano di inquadramento territoriale (PIT) e dei piani di bacino di
cui alla legge 18 maggio 1989,

ART 15 – Contenuti del piano regolatore generale -> riprende il d.m. del 1942 con maggior dettaglio
perché si determinano le nuove misure minime e massime messe nel decreto del ‘68

ART 16 - Elaborati del piano regolatore generale

ART 18 – Calcolo del dimensionamento del piano regolatore generale e capacità insediativa teorica

- Il calcolo del dimensionamento del piano regolatore generale avviene in base alla
capacità insediativa teorica, che risulta dalla somma delle capacità insediative di tutte le
aree previste dal piano stesso.
- Per il calcolo della capacità insediativa teorica delle zone residenziali esistenti, per le
quali il piano prevede il mantenimento dello stato di fatto, si assume come numero dei
residenti il maggior valore tra quello corrispondente al 75% dei vani abitabili, al netto
dei lotti inedificati, e quello corrispondente al numero dei residenti insediati al momento
dell'adozione del piano, purchè non si superi il rapporto di un abitante per vano. Non si
computa l'incremento di volume teoricamente possibile per l'ampliamento fino al 20%
degli edifici unifamiliari esistenti ai sensi della lettera d) dell'articolo 9 della legge 28
gennaio 1977, n. 10.
- Per le aree in cui è prevista la nuova edificazione o la ricostruzione previa demolizione,
la capacità insediativa teorica si calcola attribuendo ad ogni abitante da insediare mc.
120 di volume edificabile. Per le aree con destinazione d'uso turistica o turistico-
residenziale, detta attribuzione è diminuita a mc. 80 per abitante.
- Il volume da considerare per il calcolo del numero degli abitanti relativamente alle aree
non comprese nelle zone di cui al comma 3, è pari al prodotto delle superfici edificabili
di piano per il rispettivo indice di edificabilità fondiaria o territoriale.

ART.19 – Zone territoriali omogenee


1. Il piano regolatore generale individua le zone territoriali omogenee previste dall'articolo 2 del
D.M. 1444/1968.

QUESTIONE AMBIENTALE

1. NASCITA ED EVOLUZIONE DELLA QUESTIONE AMBIENTALE


A partire dalle prime riflessioni sulla questione ambientale, sempre più numerose sono
diventate le tappe che hanno segnato e tuttora scandiscono, in tutto il modo, il dibattito
sull’ambiente.
- 1972
a. E’ l’anno della pubblicazione del Rapporto MIT, The limits to Growts,
commissionato dal “Club di Roma”, costituitosi nel 1968 sotto la spinta di un
gruppo di intellettuali che volevano discutere i temi relativi al futuro
dell’umanità. “La scarsità e l’esauribilità delle risorse sono i fattori limite della
ulteriore crescita ed espansione del sistema”. Il Rapporto è caratterizzato da un
rigido determinismo, secondo cui il pianeta sarebbe collassato negli anni 2000.
b. Si tiene a Stoccolma la prima (di una lunga serie fino ai nostri giorni)
Conferenza dell’ONU sull’ambiente. In quella sede il segretario generale
dell’ONU, Maurice Strong, conia il termine eco-sviluppo, inteso come “strategia
di sviluppo fondata sull’utilizzo giudizioso delle risorse locali e del sapere
pratico dei contadini”, applicabile alle zone rurali del Terzo Mondo. Il rapporto
tra sviluppo e ambiente, tra uomo e natura, costituisce il tema centrale della
conferenza.

2. I LIMITI DELLA CRESCITA. IL RAPPORTO MIT


La crescita economica implica un uso sempre maggiore delle risorse di base, che vengono
consumate in tempi storici, mentre la loro riproducibilità avviene in tempi biologici.
Proprio per quest’ultimo motivo viene sviluppato un modello matematico che descrive le linee
di tendenza del sistema. Il modello elaborato da J. W. Forrester tendeva a dimostrare come in un
mondo ‘finito’, la crescita esponenziale di qualunque sottosistema spinga inevitabilmente
quest’ultimo a scontrarsi con i limiti dovuti alla disponibilità delle risorse di base.
Il modello identifica 5 variabili sintetiche:
- popolazione
- agricoltura
- economia
- risorse naturali non rinnovabili
- inquinamento
a. POPOLAZIONE
Le previsioni del Rapporto in merito alla crescita della popolazione sono particolarmente
allarmanti: all’aumento già esponenziale della popolazione si aggiunge l’aumento del tasso di
crescita, con il risultato di una crescita iper-esponenziale
b. AGRICOLTURA
Il Rapporto parte dall’osservazione che la crescita economica avviene a spese di una sempre
maggiore divaricazione tra le condizioni dei Paesi industrializzati (che diventano sempre più
ricchi) e quelle dei Paesi in via di sviluppo (che diventano sempre più poveri)
c. RISORSE
E’ questa la parte più rilevante del Rapporto. Gli attuali trend di sviluppo di popolazione e di
industrializzazione entrano in rotta di collisione con la disponibilità delle risorse, che
costituiscono la base di ogni processo di crescita
Tali risorse vengono sostanzialmente indicate in:
- alimenti (terra coltivabile)
- materie prime
- combustibili fossili
- combustibili nucleari

CONCLUSIONI
- 1. l’attuale tendenza di crescita continui inalterata nei cinque settori fondamentali,
l’umanità è destinata a raggiungere i limiti naturali della crescita entro i prossimi cento
anni.
- 2. Determinare una condizione di stabilità ecologica ed economica in grado di protrarsi
nel futuro. Può essere definita come quella in grado di soddisfare i bisogni materiali di
tutti gli abitanti della terra con le stesse opportunità.
-
3. CONFERENZA DI STOCCOLMA
- Temi
La conferenza è incentrata su una condivisa crisi del modello economico dominante.
come nel Rapporto MIT, il problema della finitezza delle risorse è considerato centrale
nel dibattito sul nuovo modello economico.
- mergono dalla conferenza di Stoccolma nuovi concetti economici
i. BASICS NEEDS
modelli alternativi della crescita, elaborati localmente e basati sul soddisfacimento di
“bisogni umani fondamentali”.
j. SELF – RELIANCE
strategia di sviluppo centrata sulla valorizzazione dei fattori locali ritenuti gli unici
in grado di valorizzare la specificità dei luoghi
k. ECOSVILUPPO
si basa su cinque elementi fondamentali:
 deve essere endogeno
 deve poter contare sulle proprie forze
 deve prendere come punto di partenza i basic needs
 deve promuovere processi coevoluti tra società umana e natura
 deve restare aperto al cambiamento istituzionale
l. GENERAZIONI FUTURE
Il concetto di generazioni future viene ufficialmente introdotto nella definizione di
sviluppo sostenibile dal Rapporto Brundtland.

4. CONCETTI DI RISORSA, CRESCITA, SVILUPPO, SVILUPPO LOCALE, STATO


STAZIONARIO.
 Esistono in natura moltissime risorse, ma esse sono riconoscibili come tali solo quando si
manifesta una domanda, o un bisogno, o un mercato.
 Il riconoscimento di una risorsa è connesso sostanzialmente al particolare livello di sviluppo
tecnologico storicamente dato.
 Una risorsa, potrebbe essere classificata in quanto bene di consumo, oppure come fattore di
produzione, oppure, ancora, ritenuta tale in quanto appaga un godimento estetico dell’uomo
 Ci sono risorse:
- rinnovabili nel tempo indipendentemente dall’azione dell’uomo (energia solare);
- sono rinnovabili a certe condizioni d’uso (suolo coltivabile, acque falda, foresta);
- “teoricamente rinnovabili”, ma in tempi corrispondenti ad ere geologiche (combustibili
fossili, gas naturali) -> queste sono convenzionalmente classificate “non rinnovabili”;
- altre sono presenti nel suolo e nel sottosuolo in quantità finita e non incrementabile nel
tempo (metalli): queste sono classificate “non rinnovabili”.
Nel caso di risorse non rinnovabili, l’obiettivo dello sviluppo sostenibile è in qualche modo
perseguibile se viene avviata una politica che consente una loro sostituzione
Anche alcune risorse prodotte dall’uomo vanno considerate come risorse non rinnovabili:
opere immateriali, opere d’arte, paesaggi artificiali, ecc.

RECAP LEGGI
1865 > Espropriazione di pubblica utilità n. 2359
Abrogata dal D.P.R. n. 327\ 2001 cioè “testo unico sulle espropriazioni”
1939 > Legge Bottai 1089\39 cose di interesse storico – culturale
1497\39 protezione delle bellezze naturali

1942 > PRIMA LEGGE DELL’URBANISTICA (e ultima) – 1150\42


Legge di assetto e utilizzazione del territorio – Norma PTC, PRG, PP, PLC, Regola assetto e incremento
edilizio
1967 > Legge Ponte 765\67
Introduce il concetto di standard e di zone territoriali omogenee
1968 > D.M. 1444\1968
Applicazione legge Ponte
Standard di densità edilizia – altezza – distanza – densità abitativa – quantità minima per spazi pubblici,
servizi, abitazioni
1978 > Piano di recupero urbano dei centri storici
1985 > Direttiva C.E.E. n. 337\1985
Via di progetti pubblici e privati – LEGGE N.431 GALASSO
1986 > Legge n. 349 – istituzione del ministero dell’ambiente
Norme in materia di danno ambientale
1992 > Legge 34\1992 – Regione Marche
Norme in materia urbanistica paesaggistica e di assetto del territorio -> PPAR, PIT, PTC, PRG, PP, PLC
(Simile alle 1150\42 e 1444\68)
2001 > RIFORMA DELLA COSTITUZIONE titolo v art. 117 – 118
- 2001\42\CE valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente
Introduzione della VAS nella redazione di piani e programmi territoriali
- DPR 380\2001 testo unico delle disposizioni legislativo e regolamenti in materia edilizia
Interventi privati sottocategorie e permessi per costruire
2004 > CODICE DEI BENI CULTURALI E DEL PAESAGGIO 42\2004
Elenco dei beni paesaggistici e culturali (chi autorizza e tutela)
2006 > NORME IN MATERIALE AMBIENTALE – TESTO UNICO 152\2006
VAS e VIA e disposizioni generiche di valutazione
2016 > CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI – DECRETO LEGISLATIVO 50\2016

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