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bana, dalle strade, ai viali, alle piazze, fino agli spazi di transizione, ambienti
intermedi, coperti e semicoperti.
La natura articolata della trattazione, sia delle variabili qualitative, che
quantitative che connotano gli spazi esterni e di transizione descrive una vera
e propria sfida nella prassi di progettazione bioclimatica e per la riqualifica-
zione eco-efficiente dello spazio pubblico della città.
La progettazione e la riqualificazione dello spazio pubblico urbano, inteso
come strada, piazza o semplice luogo di sosta, consentono di migliorare le
condizioni ambientali del contesto e del suo intorno, favorendo le relazioni
sociali tra i fruitori, promuovendo strategie di risparmio energetico, per la
creazione di un ambiente urbano salubre e accogliente. Massimizzare le con-
dizioni globali di benessere ambientale outdoor per gli spazi di sosta e di uti-
lizzo che costituiscono il tessuto urbano densamente costruito, esige una fase
iniziale d’indagine, che coniuga l’analisi delle esigenze dei fruitori alle pe-
culiarità degli spazi stessi, tramite una lettura critica dei requisiti e dei vincoli
ad essi collegati.
In tal senso, ogni intervento di valorizzazione e perfezionamento del com-
fort ambientale deve innanzitutto riconoscere le relazioni che intercorrono tra
spazio costruito, spazio vuoto e spazio antropizzato, per stabilire le basilari
relazioni tra l’ambiente termoigrometrico, acustico e luminoso e mutevoli
condizioni giornaliere e stagionali, di particolare rilevanza in riferimento a
spazi di dimensioni ridotte.
L’aspetto dinamico su ci si deve fondare l’indagine microclimatica tiene
conto dunque dell’estrema mutevolezza dell’ambiente, entro cui delimitare
il campo d’indagine, complessità che aumenta esponenzialmente al variare
delle esigenze e delle percezioni individuali degli occupanti.
La valutazione delle condizioni ottimali per gli spazi pubblici in un am-
biente urbano densamente costruito interessa in differente misura le analisi
di climatologi e progettisti. Contrastanti approcci metodologici e focus di ana-
lisi condotti su diverse scale d’indagine hanno reso insufficiente e quanto mai
disarticolato il contributo essenziale giocato delle variabili microclimatiche
e ambientali nella progettazione degli spazi di relazione e di sosta all’aperto.
Tra i contributi di maggior rilievo, si deve a Jan Gehl1, architetto danese,
il merito di avere redatto il primo studio sui possibili usi dello spazio pubblico
della città, rimanendo, ad oggi, una guida esaustiva per la valutazione dei le-
gami che sussistono tra gli spazi pubblici di relazione e la vita sociale nelle
città.
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J. Gehl, Life between buildings. Using public space, Danish Architecture Press, Island
Press, Washington DC, 1971.
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Il testo successivo, “New City Life” (Gehl, 2006), basa le sue premesse sulla
consapevolezza di come l’uso dello spazio pubblico sia stato radicalmente mo-
dificato negli ultimi cinquant’anni, fino ad assolvere molteplici funzioni, per
rispondere alle attese degli utenti e per migliorare la vita stessa di chi lo abita.
La questione del comfort outdoor si collega dunque ad un interesse mul-
tidisciplinare per la questione microclimatica e architettonica, e mira a co-
niugare le esigenze e i desideri del fruitore con le richieste di riduzione dei
consumi interni agli edifici, sviluppando ricerche autonome, dalla biomete-
reologia alla climatologia urbana.
Assicurare agli utenti la possibilità di servirsi di un ambiente confortevole,
piacevole e rilassante, non solo all’interno degli spazi confinati, ma, in special
modo, all’esterno degli edifici nei quali si trascorre la maggior parte della
giornata, assicura in primo luogo una riduzione dei consumi legati al condi-
zionamento degli edifici, all’illuminazione e più in generale contribuisce ad
abbattere i consumi energetici, fino a migliorare la qualità dell’aria.
L’attenzione crescente per il tema del risparmio energetico ha valicato
dunque i tradizionali confini che relegavano l’analisi agli spazi del solo in-
volucro edilizio, spostando l’attenzione verso la sistematizzazione di para-
metri e indici da tradurre alla scala dell’isolato urbano, dello spazio pubblico
e degli spazi di transizione.
L’approccio ambientale che inizialmente coinvolgeva prevalentemente
l’analisi dell’apporto solare sulle facciate degli edifici coinvolge oggi una
complessa gamma di fattori strettamente interdipendenti, distinguibili tra am-
bientali e fisici.
Il contributo essenziale all’analisi bioclimatica, solitamente incentrata alla
scala dell’edificio, e in seguito estesa alla dimensione urbana, prese dunque
le mosse dai contributi della progettazione urbana ambientale e delle succes-
sive valutazioni di fisica urbana.
I differenti ambiti coinvolti nella definizione di comfort, sia indoor che
outdoor, riguardano essenzialmente sia fattori fisiologici che psicologici: seb-
bene i primi siano stati notevolmente approfonditi, tanto da potersi avvalere
oggi di un’estensiva panoramica di dati storici, i fattori psicologici sono stati,
invece, spesso tralasciati.
Laddove l’ambiente outdoor non si connota come esito di un’azione pro-
gettuale definita e mirata per scopi esclusivi, ma nasce come spazio di colle-
gamento e di relazione tra gli edifici, le valutazioni ex post delle condizioni
di comfort outdoor si connotano per una maggior complessità.
Presupponendo che ciascuno spazio pubblico, semipubblico o di transi-
zione possa nel corso del tempo essere modificato per accogliere distinte fun-
zioni ed essere declinato in specifici usi, occorre dunque tener conto di alcune
funzioni basilari che caratterizzano permanentemente l’ambiente.
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P.O. Fanger definì per primo gli indici per la valutazione del comfort termoigrometrico,
PMV – Voto medio previsto e PPD – Percentuale di insoddisfatti.
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Si faccia riferimento alla norma UNI EN ISO 7730 (2006) “Ambienti termici moderati.
Determinazione degli indici PMV e PPD e specifica delle condizioni di benessere termico”.
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mente urbanizzate, dove aree aperte o zone verdi sono molto rarefatte, la tem-
peratura dell’aria si discosti fino a tre gradi rispetto a quella delle zone peri-
feriche, mentre il delta termico durante le ore notturne può addirittura superare
i dieci gradi.
Il fenomeno dell’isola di calore costituisce dunque uno tra i principali fat-
tori cui prestare attenzione per la creazione di ambienti outdoor di sosta e di
passaggio confortevoli per i cittadini.
Gli spazi vuoti tra gli edifici, così come le piazze e le aree vuote nei centri
storici delle città, presentano dunque elevate differenze di temperatura con
l’intorno, conseguenza della scarsa permeabilità delle superfici che interes-
sano l’invaso dell’area, così come causate dall’assenza di alberi e tappeti er-
bosi che garantirebbero, al contrario, ambienti porosi e umidi.
Le isole di calore urbane possono essere identificate dunque misurando la
temperatura dell’aria e delle superfici, le quali influenzano fortemente la tem-
peratura percepita e il tasso di umidità dell’aria.
Per questo motivo è possibile distinguere due differenti fenomeni: l’isola
di calore, in riferimento alle superfici (Surface UHI), che influenza diretta-
mente la valutazione del comfort outdoor e l’isola di calore atmosferica (At-
mospheric UHI).
Il fenomeno dell’isola di calore si manifesta con maggiore evidenza e ri-
chiede una particolare attenzione durante la stagione estiva, in presenza di
cielo sereno e una maggiore intensità nell’irraggiamento solare. Le isole di
calore atmosferiche possono essere ulteriormente distinte in due categorie:
l’Urban Canopy Layer heat island, l’isola di calore compresa tra la quota del
terreno e la quota delle coperture (UCL), e la Boundary Layer Urban heat is-
land (BLU), zona compresa tra la quota delle coperture e la cima degli alberi
o, più in generale, riferita all’altezza oltre la quale le costruzioni e il paesaggio
urbano non esercitano più alcuna influenza sull’atmosfera.
Il tema del comfort outdoor è pertanto strettamente connesso ai fenomeni
che avvengono nella Urban Canopy Layer. Questa microzona, che può so-
litamente essere associata a un determinato isolato urbano, si differenzia no-
tevolmente dalla zona subito circostante a causa delle peculiarità proprie
dell’UCL in esame, influenzata dalla conformazione dell’isolato, dalle al-
tezze degli edifici che concorrono a determinare l’UCL stesso e dai materiali
di finitura presenti. Per esempio, zone verdi o alberate, con superfici più fre-
sche rispetto ai rivestimenti realizzati in materiali artificiali, contribuiscono
ad abbattere la sensazione di calore percepita, differentemente a quanto av-
viene nelle zone densamente edificate, in cui i materiali di finitura degli edi-
fici, così come i rivestimenti per le pavimentazioni incrementano in maniera
considerevole la temperatura dell’aria e il tasso di umidità relativa. La scelta
di appropriati materiali, soprattutto per le pavimentazioni, parimenti alla
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Alla luce di tali considerazioni, i coefficienti di albedo e di emissività sono considerati
relativamente alla radiazione, a differenza della capacità termica che viene annoverata tra le
proprietà termiche di un materiale.
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In questo caso, i materiali più adatti allo scopo sono i materiali lapidei, il
metallo, il terreno secco e la sabbia. Nelle città e negli spazi vuoti densamente
contornati da manufatti sono le superfici stesse degli edifici a raccogliere e
immagazzinare energia termica, che viene, reimmessa nell’aria senza un con-
trollo effettivo. Per gestire il microclima dell’ambiente esterno designer e pro-
gettisti devono valutare attentamente il ruolo che una appropriata scelta delle
finiture esterne degli spazi aperti riveste nel favorire adeguate condizioni di
comfort outdoor.
Le cosiddette pavimentazioni fredde5 si riferiscono ad una gamma di ma-
teriali di ultima generazione, frutto di una ricerca volta a massimizzare gli ef-
fetti di comfort termico in relazione agli spazi esterni. La scelta dei materiali,
così come dei processi di produzione degli stessi, ha consentito di realizzare
marciapiedi ed elementi per pavimentazioni che tendono ad immagazzinare
meno calore, con temperature superficiali inferiori rispetto ai prodotti con-
venzionali, che solitamente possono raggiungere temperature di picco estivo
di 48-67°C. Queste superfici sono in grado di trasferire il calore verso il basso
e non verso l’atmosfera, dissipano la quota accumulata nel sottosuolo, da cui
si disperde solo durante la notte.
L’esempio di alcune città giapponesi, come Tokyo e Osaka, dimostra come
sia possibile ridurre l’effetto d’isola di calore in un ambiente urbano ricor-
rendo alle nuove tecnologie per le pavimentazioni stradali e pubbliche.
Lastricati e asfalti porosi si avvalgono della presenza di un substrato con
materiali che favoriscono la ritenzione d’acqua, che prima è assorbita e poi
fatta evaporare attraverso l’azione capillare diffusa, permettendo una notevole
dispersione del calore superficiale.
Una valida alternativa alla soluzione delle pavimentazioni fredde è costi-
tuita dalle piantumazioni verdi, che si possono realizzare sia attraverso ampie
superfici trattate a prato, sia attraverso alberi ad alto fusto.
Alberi che creano ombra e piccole piante come viti, arbusti ed erbe tap-
pezzanti contribuiscono a raffreddare notevolmente l’ambiente, oltre ad ap-
portare preziosi benefici nella purificazione dell’aria e nell’abbattimento delle
micro polveri e di altri agenti nocivi.
Il verde in ambito urbano offre notevoli vantaggi di carattere ambientale,
poiché assicura una persistente diversificazione nelle condizioni microclima-
5
A differenza di dei cosiddetti tetti freddi, le pavimentazioni sono solitamente associate ai
cosiddetti pavimenti riflettenti, il termine è principalmente cui pavimenti riflettenti che aiutano
a ridurre la quantità di calore assorbito dalla pavimentazione. Con il crescente interesse e l’ap-
plicazione di pavimentazioni permeabili, che permettono al vapore e all’acqua di permeare
nei vuoti di un marciapiede o tra le fughe di una pavimentazione mantenendo il materiale
fresco e umido, molti sono gli esempi d’impiego si soluzioni simili per aumentare il comfort
outdoor dell’utente finale.
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Altre indagini, tra cui quelli condotti da Allan Jacobs6, hanno dimostrato
come il rapporto ideale tra volume massimo e volume minimo di individui
presenti in una zona di sosta possa essere calcolato attraverso i volumi medi,
che si misurano in relazione al numero di soggetti presenti per minuto per
estensione di superficie considerata.
Allo stesso modo, le ricerche svolte negli ultimi decenni negli Stati Uniti
hanno efficacemente accertato come i soggetti maggiormente sensibili alle
variazioni ambientali degli spazi esterni siano le donne e i bambini, le cui
abitudini riguardo ai tempi di sosta negli spazi esterni siano fortemente in-
fluenzate dalle qualità ambientali, termiche, luminose e acustiche, oltre alle
qualità di sicurezza e accessibilità proprie dello spazio considerato.
Secondo la classificazione di Gehl7, ogni tipo di scelta relativa alle strategie
da adottare e ai materiali da scegliere per assicurare un soddisfacente livello di
comfort termico, visivo e acustico in uno spazio all’aperto dipendono, in prima
istanza, dall’attività prevalente che quivi si svolge. Si può distinguere pertanto
tra le cosiddette necessary activities, optional activities e social activities.
Nel primo gruppo si annoverano le cosiddette attività necessarie, che pre-
vedono un’azione continuata e ripetuta nel tempo, poiché collegate ad attività
ricorrenti, come nel caso degli spostamenti per recarsi al lavoro, a scuola, per
fare shopping, fino a comprendere gli spazi di attesa alle fermate di autobus
e spazi di sosta in genere. In questo caso, considerando l’esiguo intervallo di
permanenza di un soggetto sul percorso, nella piazza o in generale nelle vi-
cinanze dello spazio di transizione, una gestione consapevole e appropriata
dell’ambiente sarebbe eccessivamente articolata e complessa per essere ana-
lizzata efficacemente.
Nella seconda tipologia ricadono invece le attività facoltative, che presu-
mono una partecipazione diretta dell’utente, per le quali il soggetto prova un
reale interesse e per le quali è necessario prevedere spazi appositamente stu-
diati e attrezzati. Questa categoria comprende la vasta gamma delle attività
all’aperto, funzioni che hanno prevalentemente luogo solo quando le condi-
zioni climatiche esterne sono ottimali e invitanti, rendendo queste le azioni
strettamente dipendenti dalle condizioni fisiche esterne. Tra le optional acti-
vities si deve inquadrare la progettazione sostenibile urbana volta a favorire
il comfort outdoor e a promuovere una gestione consapevole degli spazi pub-
blici e di relazione.
Quando le aree esterne sono di scarsa qualità, solo le attività strettamente
necessarie sono portate a termine; qualora invece le zone di passaggio, di sosta
6
A. Jacobs, Great Streets, MIT Press, Cambridge MA, 1995.
7
J. Gehl, Life between buildings. Using public space, Danish Architecture Press, Island
Press, Washington DC, 1971.
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novativi per l’epoca e per gli obiettivi ambiziosi che si prefiggeva, si basava
sull’analisi di misure qualitative, che assicurassero un costante controllo sul
microclima, che furono condotte dal Dipartimento di Energia e Meccanica
dei Fluidi dell’Università di Siviglia.
Vennero testati sistemi numerosi sistemi per il raffrescamento e per l’eva-
porazione, come cascate, torri di raffrescamento, pareti d’acqua, così come
condotti sotterranei d’aria e pavimenti raffreddati ad acqua.
Lo spazio centrale tra gli edifici dell’Isla de la Cartuja fu occupato da un
grande bacino rettangolare d’acqua che doveva fungere da estesa superficie
evaporativa in corrispondenza dei percorsi pedonali, in collaborazione con la
presenza di una fontana controllata elettronicamente i cui getti e spuzzi di acqua
vaporizzata erano attivati in relazione alle condizioni climatiche prevalenti.
Un altro dispositivo bioclimatico messo a punto fu la cosiddetta Rotonda
Bioclimatica, in cui furono integrati tutti i principali sistemi di raffrescamento
conosciuti. La rotonda era dotata di due livelli, uno per le cascate d’acqua e
un livello inferiore, dotato di alberi di diverse altezze, le cui chiome contri-
buivano a ombreggiare la rotonda e incrementavano l’effetto umidificante
dell’area. L’intera zona era ulteriormente coperta da teli rimovibili per scher-
mare la radiazione solare e per favorire la penetrazione di brezze da sud ovest.
La presenza simultanea di arbusti e alberi ad alto fusto, di sistemi di om-
breggiamento naturali e artificiali, grazie al fenomeno del raffrescamento eva-
porativo assicurava dunque un clima confortevole per la sosta e il passaggio
degli utenti, anche nelle giornate più calde.
Le prestazioni di ciascuna soluzione bioclimatica, dalla disposizione di
alberi ad alto fusto, alle soluzioni che prevedevano il ricorso a bacini d’acqua,
fontane e sistemi per la vaporizzazione d’acqua, fino a soluzioni più com-
plesse che integravano differenti dispositivi, come la ventilazione sotterranea,
i pavimenti raffrescati ad acqua, furono egualmente distribuiti in tutte le aree
pedonali dell’Expo.
L’occasione di Siviglia diede dunque modo a progettisti e tecnici di stu-
diare attentamente i rendimenti legati alle soluzioni bioclimatiche menzionate,
nel contesto caldo e secco dell’estate sivigliana. Assunte come condizioni cli-
matiche ricorrenti una temperatura di 45°C e un’umidità relativa pari al 40%,
si valutò quanto ciascuna soluzione contribuisse ad aumentare la sensazione
di neutralità termica e dunque di piacevolezza per gli utenti.
La soluzione di incanalare l’aria nel sottosuolo per poi farla rifluire in
prossimità di una zona di sosta o di passaggio si dimostrò tra le più efficaci,
tanto da abbassare la temperatura dell’aria dai 35°C, fino ai 18°- 20°C, la-
sciando inalterato il tasso di umidità relativa.
Il ricorso a sistemi di vaporizzazione dell’acqua, tramite fontane, ugelli e
semplici vaporizzatori a circuito aperto assicurava invece l’abbattimento della
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Fig. 2. Schemi per il funzionamento delle vasche d’acqua e della ventilazione naturale.
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poroso con un’alta capacità termica, con uno sfasamento piuttosto contenuto
in modo da potersi raffrescare durante la notte, con un valore medio di albedo.
Infine, per le zone totalmente aperte, in assenza di qualsiasi struttura di riparo
o di copertura fu necessario corredare i percorsi pedonali e le sedute per gli
spettatori con materiali di finitura con alte capacità termiche ed elevata emis-
sività, ma basso assorbimento, come ghiaia e materiali porosi per le sedute.
Condizioni climatiche caratterizzate da una forte insolazione e da livelli
di temperatura costanti nel tempo costituiscono una vera e propria sfida nel
caso di città molto popolose, dove prevale l’esigenza di schermare la radia-
zione diretta e creare zone d’ombra in cui la temperatura sia più accettabile.
Il duplice obiettivo in queste situazioni è di fare dialogare in maniera naturale
l’esigenza di integrare dispositivi di mitigazione con l’ambiente circostante,
alterando minimamente il paesaggio, la qualità architettonica, senza snaturare
l’essenza del luogo.
Tra i più recenti tentativi di mitigare le condizioni outdoor, favorendo la
sosta e la permanenza delle persone all’esterno, si ricorda il progetto per la
copertura diurna della piazza antistante alla Moschea del Profeta a Medina.
La moschea, tra le più frequentate al mondo, è circondata da un’estesa zona
pavimentata, che offre l’occasione ai fedeli di riunirsi prima e dopo la pre-
ghiera. La piazza si connota dunque come parte essenziale del complesso re-
ligioso, non come semplice luogo di attesa ma elemento integrante nel
percorso religioso che ogni fedele compie prima di accedere alla Moschea. Il
clima torrido della regione, la costante radiazione solare diretta, così come la
forte escursione termica tra il giorno e la notte, costituiscono le condizioni
con le si è dovuto confrontare il progetto dello studio tedesco Sl-Rash Gmbh,
che ha optato per una copertura trasformabile, ricavata attraverso la disposi-
zione di grandi ombrelli quadrati, di ventisei metri di lato, per formare una
copertura continua durante le ore diurne, quando tutti gli ombrelli sono aperti,
mentre permettono al calore di liberarsi dalla piazza verso il cielo nelle ore
diurne, quando le vele degli ombrelli vengono chiuse. Un altro vantaggio ri-
siede nella possibilità di offrire riparo durante la stagione delle piogge, molto
frequenti e di particolare intensità nelle zone tropicali.
Il vantaggio delle strutture mobili traslucide, congiuntamente alle caratte-
ristiche ottiche della membrana di copertura, consente di schermare la radia-
zione termica, ma di lasciare passare la radiazione luminosa, assicurando
schermo e riparo per i fedeli durante il giorno. Ciascuna colonna a sostegno
delle membrane traslucide è integrata con apparecchi per la luce artificiale,
da attivare quando gli ombrelli vengono chiusi.
L’area coperta totale si estende per 145.000 metri quadrati, poiché ciascuna
vela offre una superficie coperta di oltre 600 metri quadrati, che si differen-
ziano ulteriormente su due diverse quote, organizzate in modo tale che, una
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volta aperte le vele, parte delle membrane si sovrappone per creare maggiore
ombra. L’altezza media delle colonne centrali di ciascun ombrello, di circa
ventuno metri, favorisce la creazione di costanti correnti d’aria, generate dai
gradienti termici tra le vele e l’esterno.
La ricerca tecnologica e morfologica degli elementi di copertura vuole
mantenere una relazione di dialogo, replicando i rapporti dimensionali della
facciata della moschea, tanto da creare un rimando tra il passo delle colonne
centrali e le partizioni della facciata. La parte superiore delle membrane e dei
bracci di supporto richiama forme archetipe: dal calice, alla vela, alle forme
dei baldacchini, fino a replicare forme floreali e vegetali, con il chiaro intento
di porsi in dialogo con le strutture esistenti e favorire momenti di aggrega-
zione al di sotto delle coperture.
La possibilità di aprire e chiudere le membrane, processo che avviene in
circa tre minuti dall’azionamento, è assicurata da un meccanismo elettronico,
che controlla la tensione delle membrane in condizioni sfavorevoli di vento
o di tempesta e garantisce la possibilità di richiudere gli ombrelli durante la
notte, attivando il sistema d’illuminazione artificiale, di cui ogni pilastro cen-
trale è dotato, permettendo ai fedeli di sostare nell’area antistante alla mo-
schea anche nelle ore notturne.
Strutture di copertura simili sono state realizzate in numerose altre situa-
zioni, laddove vi era l’esigenza di massimizzare le condizioni di comfort out-
door per gli utenti e di mitigare per situazioni fastidiose dal punto di vista
climatico.
L’espediente della membrana realizzata in materiale traslucido e leggero
per proteggere dall’eccessiva radiazione solare, ma anche da vento e dalla
pioggia offrendo zone di riparo e di sosta per gli utenti è stato in seguito de-
clinato per coprire piccoli spazi, laddove la città contemporanea si dilata e si
contrae, sviluppando spazi di relazione e di relax.
Una sorta di citazione su scala ridotta delle vele si rintraccia nella coper-
tura che è stata usata per coprire la zona interstiziale tra due edifici a Los An-
geles. Una vela a forma di vortice copre una piccola corte solitamente usata
come spazio di sosta e di attesa prima dell’ingresso alla una zona espositiva
e commerciale vera e propria. La forte vocazione come polo di sosta e di riu-
nione, in una città aggrovigliata tra le strade ad alto scorrimento, richiedeva
l’inserimento di un elemento di schermatura, al di sotto del quale si potesse
generare uno spazio calmo, da cui ripararsi dal sole e dall’umidità della zona.
Il vortice, Maximilian’s Schell, è stato realizzato dal Ball-Nogues Studio
nel 2005, come elemento temporaneo, che funziona come una vela protettiva,
creando una sorta di spazio immersivo, in
cui le interazioni sociali sono favorite dall’atmosfera raccolta e soffusa
che si genera naturalmente.Durante le ore diurne il sole è schermato dalle sin-
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permesso allo studio Paredes Pino Architects di confrontarsi con il tema della
copertura temporanea per ospitare un mercato e altre attività pubbliche, re-
cuperando la vocazione mercatale della zona.
La scelta è pertanto ricaduta sull’allestimento di elementi prefabbricati
che variano in altezza e diametro, disposti in modo libero rispetto agli assi
della piazza, per plasmare la spettacolare immagine di un bosco urbano di
ombre. Gli ombrelloni d’acciaio, con diametro compreso tra sette e quindici
metri e altezze variabili tra i quattro e i sette metri, sono realizzati tenendo
conto dell’effetto ottico che la luce incidente genera sui piani di riflessione:
l’estradosso è trattato con materiali colorati e vivaci, mentre l’intradosso di
ciascun ombrello presenta una finitura diffondente che attenua il discomfort
visivo della forte luce diurna.
Le strutture colorate diventano elementi per la copertura permeabile, di
sotto alla quale disporre i banchi del mercato, ma al tempo stesso fungono da
supporto per l’allestimento di un sistema per l’illuminazione artificiale, così
come il drenaggio e la raccolta dell’acqua piovana. Particolare attenzione nella
fase di progettazione è stata riservata alla scelta dei materiali di pavimentazione
e per le superfici di finitura degli ombrelloni, per attenuare l’effetto albedo,
favorendo il comfort sia visivo che termico; a tale scopo la scelta è ricaduta su
colori quali il rosso, il rosa e diverse gradazioni di marrone. La pavimentazione
della piazza è stata realizzata in ciottoli di materiale ceramico, scelta dettata
dall’esigenza di assicurare una lunga durabilità, anche in caso la piazza sia
resa carrabile in occasione dei giorni di mercato, così come il materiale poroso
attenua i rumori della vicina strada assorbendo il rumore del traffico.
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uniti alla quota principale tramite scale e scivoli, che generano un effetto di
dilatazione ottica e percettiva degli spazi, articolati con zone di vegetazione
bassa, vasche calme e getti di acqua. L’obiettivo del progetto di creare una
zona di relax e di attrazione dallo spazio costruito appena circostante si attua
anche attraverso la realizzazione di complessi giochi di luce dinamica, che,
abbinati ad una progettazione acustica ad hoc sono in grado, all’occorrenza,
di trasformare l’invaso della piazza in una sorta di palco per spettacoli ed
eventi.
Tra le esperienze non ancora completate, attraverso cui i progettisti mirano
a riqualificare l’ambiente urbano per assicurare condizioni di comfort e frui-
bilità si colloca anche il progetto in via di completamento del parco Hydro-
Québec a Montreal.
Si tratta di una zona aperta tra edifici alti, vicino al quartiere degli spetta-
coli e al Centre for Sustainable Development.
Iniziato nel 2008, il progetto di Claude Cormier intende realizzare una
piazza pavimentata sospesa appena sopra una zona verde con alberi e un fitto
tappeto erboso, che rimane in parte coperto dalla pavimentazione in griglia
metallica. In questo modo si coniuga l’esigenza di dotare la zona di un’area
pavimentata piuttosto estesa (oltre tremila metri quadrati) e fruibile dalla cit-
tadinanza, assicurando un’oasi completamente permeabile all’aria e all’acqua,
sia durante la stagione estiva, che in quella invernale.
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