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3. Il comfort outdoor per gli spazi urbani


di Barbara Gherri

Lo studio dei caratteri ambientali urbani per il miglioramento delle con-


dizioni di benessere

La crescente attenzione per la qualità dell’ambiente costruito e il comfort


ambientale degli spazi architettonici ha permesso di adattare le preesistenti
valutazioni di tipo quantitativo e qualitativo all’analisi e alle previsioni rela-
tive agli spazi aperti e di transizione. La valenza sociale e architettonica che
oggi assumono gli spazi aperti, quali le zone costruite e quelle verdi, ricavate
nel tessuto densamente popolato della città, rivestono un ruolo di rilievo, sia
per quel che concerne il traffico pedonale, che per le differenti attività che si
possono svolgere all’aperto.
Incoraggiare i cittadini ad appropriarsi degli spazi esterni costituisce oggi
un tema di grande attualità per le amministrazioni pubbliche, per urbanisti e
architetti, consapevoli che, interventi mirati di riqualificazione e migliora-
mento degli spazi concorrono ad aumentare in maniera efficace il valore della
città, la sua vivibilità e vitalità. La corretta progettazione, assieme a specifiche
operazioni di riqualificazione degli spazi aperti, costituisce un’occasione fon-
damentale per raggiungere l’obiettivo di una città sostenibile. Nel contesto
globale del cambiamento climatico, in accordo con le esigenze di riduzione
dei consumi, la necessità di rendere gli spazi esterni vivibili e desiderabili
dagli utenti, assume una sostanziale rilevanza, per assicurare una piacevole
esperienza di comfort termico, igrometrico e visivo, che concorrono al mi-
glioramento della qualità della vita urbana.
L’influenza esercitata dal comfort termico sulle attività all’aria aperta è
una questione alquanto complessa, che comprende aspetti climatici, morfo-
logici e geografici del luogo, così come gli aspetti comportamentali dei sog-
getti coinvolti.

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Un’esaustiva trattazione della questione richiederebbe, in realtà, l’impo-


sizione di alcune limitazioni al campo d’indagine, assieme ad una suddivi-
sione in macro temi, secondo un approccio analitico, che distingua i parametri
d’indagine in relazione a specifici fattori che influenzano in modo predomi-
nante le valutazioni legate al comfort.
La localizzazione geografica rappresenta il primo elemento discriminante
in una trattazione legata all’analisi degli spazi aperti: è necessario, infatti, ri-
ferirsi al clima prevalente, distinguendo tra contesti freddi, temperati e sub-
tropicali. Le profonde differenze che caratterizzano ciascun ambiente
richiedono dunque soluzioni diversificate, così come approcci alla progetta-
zione e alla gestione degli spazi aperti devono adeguarsi alle esigenze di mi-
tigazione proprie del contesto.
Parimenti, in considerazione della vasta estensione delle casistiche riscon-
trabili per gli spazi aperti, pubblici e semipubblici, un’opportuna distinzione
va inoltre riservata all’indagine morfologica degli spazi, differenziando ne-
cessità e soluzioni riguardanti piazze, strade, vuoti tra le zone costruite e per
tutti gli ambienti di transizione.
La morfologia urbana agisce pertanto in modo predominante sulla qualità
della vita negli spazi aperti, sulla base dei parametri dimensionali e formali,
propri dell’isolato urbano o della porzione di città considerata.
L’influenza della geometria di un aggregato di edifici, così come l’esten-
sione e l’assetto di uno spazio non costruito nel tessuto della città densa, de-
termina effetti e conseguenze tangibili sulla penetrazione della luce del sole,
sulla formazione di correnti d’aria e sulle fluttuazioni della temperatura per-
cepita. Alla luce della variabilità dei molteplici fattori di cui tenere conto, le
ricerche attuali mirano, in maniera congiunta, a definire condizioni e criteri
ambientali di tipo unificato, in grado di adattarsi alle condizioni locali e mi-
croclimatiche proprie del contesto in esame, con lo scopo ultimo di giungere
all’elaborazione di un criterio univoco. Le indagini su di un tema di così
vasto respiro tentano di coniugare la ricerca di soluzioni distanti tra loro, at-
traverso l’elaborazione di un corpus esaustivo di soluzioni, espedienti cor-
rettivi e dispositivi di mitigazione da porre in campo per rispondere alle
esigenze di risparmio energetico e di soddisfazione degli utenti. Conside-
rando che, con più della metà della popolazione mondiale che risiede oggi
nelle città, valutazioni analitiche e proposte progettuali da declinare sulle
esigenze climatiche di ogni regione, rendono le aree non edificate delle città,
ambito di sperimentazione nei progetti di pianificazione urbana e progetta-
zione bioclimatica.
La definizione delle qualità ambientali degli spazi esterni richiede pertanto
una particolare attenzione da porre nei confronti della complessità nei livelli
d’indagine, coinvolgendo differenti aspetti, che concernono la morfologia ur-

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bana, dalle strade, ai viali, alle piazze, fino agli spazi di transizione, ambienti
intermedi, coperti e semicoperti.
La natura articolata della trattazione, sia delle variabili qualitative, che
quantitative che connotano gli spazi esterni e di transizione descrive una vera
e propria sfida nella prassi di progettazione bioclimatica e per la riqualifica-
zione eco-efficiente dello spazio pubblico della città.
La progettazione e la riqualificazione dello spazio pubblico urbano, inteso
come strada, piazza o semplice luogo di sosta, consentono di migliorare le
condizioni ambientali del contesto e del suo intorno, favorendo le relazioni
sociali tra i fruitori, promuovendo strategie di risparmio energetico, per la
creazione di un ambiente urbano salubre e accogliente. Massimizzare le con-
dizioni globali di benessere ambientale outdoor per gli spazi di sosta e di uti-
lizzo che costituiscono il tessuto urbano densamente costruito, esige una fase
iniziale d’indagine, che coniuga l’analisi delle esigenze dei fruitori alle pe-
culiarità degli spazi stessi, tramite una lettura critica dei requisiti e dei vincoli
ad essi collegati.
In tal senso, ogni intervento di valorizzazione e perfezionamento del com-
fort ambientale deve innanzitutto riconoscere le relazioni che intercorrono tra
spazio costruito, spazio vuoto e spazio antropizzato, per stabilire le basilari
relazioni tra l’ambiente termoigrometrico, acustico e luminoso e mutevoli
condizioni giornaliere e stagionali, di particolare rilevanza in riferimento a
spazi di dimensioni ridotte.
L’aspetto dinamico su ci si deve fondare l’indagine microclimatica tiene
conto dunque dell’estrema mutevolezza dell’ambiente, entro cui delimitare
il campo d’indagine, complessità che aumenta esponenzialmente al variare
delle esigenze e delle percezioni individuali degli occupanti.
La valutazione delle condizioni ottimali per gli spazi pubblici in un am-
biente urbano densamente costruito interessa in differente misura le analisi
di climatologi e progettisti. Contrastanti approcci metodologici e focus di ana-
lisi condotti su diverse scale d’indagine hanno reso insufficiente e quanto mai
disarticolato il contributo essenziale giocato delle variabili microclimatiche
e ambientali nella progettazione degli spazi di relazione e di sosta all’aperto.
Tra i contributi di maggior rilievo, si deve a Jan Gehl1, architetto danese,
il merito di avere redatto il primo studio sui possibili usi dello spazio pubblico
della città, rimanendo, ad oggi, una guida esaustiva per la valutazione dei le-
gami che sussistono tra gli spazi pubblici di relazione e la vita sociale nelle
città.

1
J. Gehl, Life between buildings. Using public space, Danish Architecture Press, Island
Press, Washington DC, 1971.

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Il testo successivo, “New City Life” (Gehl, 2006), basa le sue premesse sulla
consapevolezza di come l’uso dello spazio pubblico sia stato radicalmente mo-
dificato negli ultimi cinquant’anni, fino ad assolvere molteplici funzioni, per
rispondere alle attese degli utenti e per migliorare la vita stessa di chi lo abita.
La questione del comfort outdoor si collega dunque ad un interesse mul-
tidisciplinare per la questione microclimatica e architettonica, e mira a co-
niugare le esigenze e i desideri del fruitore con le richieste di riduzione dei
consumi interni agli edifici, sviluppando ricerche autonome, dalla biomete-
reologia alla climatologia urbana.
Assicurare agli utenti la possibilità di servirsi di un ambiente confortevole,
piacevole e rilassante, non solo all’interno degli spazi confinati, ma, in special
modo, all’esterno degli edifici nei quali si trascorre la maggior parte della
giornata, assicura in primo luogo una riduzione dei consumi legati al condi-
zionamento degli edifici, all’illuminazione e più in generale contribuisce ad
abbattere i consumi energetici, fino a migliorare la qualità dell’aria.
L’attenzione crescente per il tema del risparmio energetico ha valicato
dunque i tradizionali confini che relegavano l’analisi agli spazi del solo in-
volucro edilizio, spostando l’attenzione verso la sistematizzazione di para-
metri e indici da tradurre alla scala dell’isolato urbano, dello spazio pubblico
e degli spazi di transizione.
L’approccio ambientale che inizialmente coinvolgeva prevalentemente
l’analisi dell’apporto solare sulle facciate degli edifici coinvolge oggi una
complessa gamma di fattori strettamente interdipendenti, distinguibili tra am-
bientali e fisici.
Il contributo essenziale all’analisi bioclimatica, solitamente incentrata alla
scala dell’edificio, e in seguito estesa alla dimensione urbana, prese dunque
le mosse dai contributi della progettazione urbana ambientale e delle succes-
sive valutazioni di fisica urbana.
I differenti ambiti coinvolti nella definizione di comfort, sia indoor che
outdoor, riguardano essenzialmente sia fattori fisiologici che psicologici: seb-
bene i primi siano stati notevolmente approfonditi, tanto da potersi avvalere
oggi di un’estensiva panoramica di dati storici, i fattori psicologici sono stati,
invece, spesso tralasciati.
Laddove l’ambiente outdoor non si connota come esito di un’azione pro-
gettuale definita e mirata per scopi esclusivi, ma nasce come spazio di colle-
gamento e di relazione tra gli edifici, le valutazioni ex post delle condizioni
di comfort outdoor si connotano per una maggior complessità.
Presupponendo che ciascuno spazio pubblico, semipubblico o di transi-
zione possa nel corso del tempo essere modificato per accogliere distinte fun-
zioni ed essere declinato in specifici usi, occorre dunque tener conto di alcune
funzioni basilari che caratterizzano permanentemente l’ambiente.

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Dal comfort indoor al comfort outdoor: metodi di valutazione a con-


fronto. Prime strategie

Le valutazioni termiche e igrometriche, così come i parametri impiegati


per esprimere il livello di comfort visivo, nascono sulla scorta dalle valuta-
zioni correntemente impiegate per la ricerca di soddisfacenti condizioni di
comfort indoor, per poi essere successivamente trasferiti alle analisi degli
spazi aperti.
I dati microclimatici, comprendenti temperatura, velocità del vento, pio-
vosità media, l’umidità relativa, insieme ai livelli d’irraggiamento costitui-
scono un’essenziale range di parametri e indicatori da cui far discendere una
indagine approfondita dello spazio. La maggior parte di essi è strettamente
dipendente dalle condizioni fisiche dell’intorno. Una zona densamente ricca
di verde, comprendente sia zone di verde verticale sia orizzontatale, sarà per-
tanto soggetta ad un più elevato tasso di umidità relativa, influenzando diret-
tamente la fluttuazione della temperatura, così come una zona aperta in
prossimità di una fortemente costruita, sarà interessata da una maggiore ven-
tosità, causata del fatto che l’aria e le correnti si incanalano più facilmente
tra gli edifici, rendendo lo spazio meno umido rispetto all’intorno.
Un ampio numero d’indici meteorologici è stato sistematizzato per descri-
vere in maniera esaustiva il livello di comodità termico, ponendo in relazione
i tradizionali indici, mutuati dalle analisi indoor, con le condizioni microcli-
matiche locali. Questo ha fatto sì che l’analisi del comfort interno, adattata
per gli ambienti esterni fosse influenzata dalle connaturate limitazioni del co-
siddetto approccio stazionario che, sebbene conforme a descrivere situazioni
di comfort o discomfort dello spazio confinato, si rivela estremamente ridut-
tiva per gli spazi aperti.
L’evidente limitazione, insita nella natura stessa del regime stazionario,
deriva dall’incapacità stessa degli indici statici di considerare efficacemente
gli aspetti variabili dei processi di adattamento individuale, sia nei confronti
delle condizioni termiche, visive e igrometriche.
Il microclima è dunque influenzato da numerosi parametri di tipo ambien-
tale che riguardano innanzitutto le caratteristiche dell’intorno: dalla topogra-
fia, alla natura del suolo, fino a considerare le peculiarità delle coperture
vegetali, come la forma dell’isolato urbano. Nelle zone climatiche temperate,
è possibile modificare il microclima con strategie semplici come l’installa-
zione di barriere frangivento o attraverso il ricorso a elementi che creano di-
scontinuità, che attenuano le radiazioni solari e formano spazi protetti e quieti.
In tal modo è anche possibile controllare e gestire il carico ambientale del-
l’intorno, per ridurre il consumo delle risorse naturali presenti, riducendo con-
seguentemente la produzione di agenti inquinanti.

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Dall’aggregazione di fattori, ambientali e fisici, negli anni Settanta2 vennero


elaborate le equazioni di bilancio termico, che definirono gli indici PMV –
Predicted Mean Vote – e PPD – Predicted Percentage Dissatisfied Index3 –,
inizialmente impiegati per le sole stime del comfort indoor.
Oltre dunque alle relazioni di dipendenza tra gli indici, vanno considerati
anche i cosiddetti fattori antropici, in grado di alterare sensibilmente le con-
dizioni microclimatiche, visive e luminose di uno spazio aperto, particolar-
mente utili in caso d’intervento o di valutazione delle condizioni di comfort
negli spazi della città esistente.
Altri indici contestualmente definiti per valutare le condizioni globali
dell’ambiente esterno con forte vocazione pedonale includono il volume di
traffico pedonale, che si attribuisce alle cosiddette attività statiche e la diver-
sità pedonale – pedestrian diversity –.
In caso di spazi pubblici e di spazi di transizione, in presenza di zone ur-
bane densamente popolate, fondamentali sono gli esiti delle valutazioni sulle
cosiddette heat islands o isole di calore, così come le valutazioni in merito
all’utilizzo di strade e di viali pedonali, ambienti che solitamente sono ritenuti
più interessanti e desiderabili per i pedoni, in misura variabile, in relazione
al periodo della giornata, al clima e alla temperatura.
Il fenomeno dell’isola di calore, meglio comprensibile se ci si riferisce
alla ricorrente differenza di temperatura tra zone cittadine densamente edifi-
cate e gli ambienti rurali circostanti, rappresenta un evidente riflesso dei cam-
biamenti microclimatici, essendo generata da alterazioni artificiali della
superficie urbana, laddove le zone verdi sono state sostituite progressivamente
da zone pavimentate o asfaltate. Le superfici porose e umide vengono in tal
modo sostituite da superfici impermeabili che impediscono l’evapotraspira-
zione, accumulando considerevoli quantità di calore.
In una giornata estiva, fortemente soleggiata e umida, le superfici verticali
degli edifici, così come le coperture e le zone pavimentate, possono raggiun-
gere temperature assai elevate, notevolmente superiori alla temperatura del-
l’aria, rendendo impossibile la dispersione di calore dalle parti più calde,
perfino nelle ore notturne.
In questo modo, la temperatura all’interno dell’isola di calore si attenua
solamente nelle prime ore del mattino, mentre aumenta esponenzialmente in
prossimità del tramonto, quando gli edifici rilasciano il calore accumulato
nelle ore diurne. Il fenomeno dell’isola di calore fa sì che nelle zone forte-

2
P.O. Fanger definì per primo gli indici per la valutazione del comfort termoigrometrico,
PMV – Voto medio previsto e PPD – Percentuale di insoddisfatti.
3
Si faccia riferimento alla norma UNI EN ISO 7730 (2006) “Ambienti termici moderati.
Determinazione degli indici PMV e PPD e specifica delle condizioni di benessere termico”.

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mente urbanizzate, dove aree aperte o zone verdi sono molto rarefatte, la tem-
peratura dell’aria si discosti fino a tre gradi rispetto a quella delle zone peri-
feriche, mentre il delta termico durante le ore notturne può addirittura superare
i dieci gradi.
Il fenomeno dell’isola di calore costituisce dunque uno tra i principali fat-
tori cui prestare attenzione per la creazione di ambienti outdoor di sosta e di
passaggio confortevoli per i cittadini.
Gli spazi vuoti tra gli edifici, così come le piazze e le aree vuote nei centri
storici delle città, presentano dunque elevate differenze di temperatura con
l’intorno, conseguenza della scarsa permeabilità delle superfici che interes-
sano l’invaso dell’area, così come causate dall’assenza di alberi e tappeti er-
bosi che garantirebbero, al contrario, ambienti porosi e umidi.
Le isole di calore urbane possono essere identificate dunque misurando la
temperatura dell’aria e delle superfici, le quali influenzano fortemente la tem-
peratura percepita e il tasso di umidità dell’aria.
Per questo motivo è possibile distinguere due differenti fenomeni: l’isola
di calore, in riferimento alle superfici (Surface UHI), che influenza diretta-
mente la valutazione del comfort outdoor e l’isola di calore atmosferica (At-
mospheric UHI).
Il fenomeno dell’isola di calore si manifesta con maggiore evidenza e ri-
chiede una particolare attenzione durante la stagione estiva, in presenza di
cielo sereno e una maggiore intensità nell’irraggiamento solare. Le isole di
calore atmosferiche possono essere ulteriormente distinte in due categorie:
l’Urban Canopy Layer heat island, l’isola di calore compresa tra la quota del
terreno e la quota delle coperture (UCL), e la Boundary Layer Urban heat is-
land (BLU), zona compresa tra la quota delle coperture e la cima degli alberi
o, più in generale, riferita all’altezza oltre la quale le costruzioni e il paesaggio
urbano non esercitano più alcuna influenza sull’atmosfera.
Il tema del comfort outdoor è pertanto strettamente connesso ai fenomeni
che avvengono nella Urban Canopy Layer. Questa microzona, che può so-
litamente essere associata a un determinato isolato urbano, si differenzia no-
tevolmente dalla zona subito circostante a causa delle peculiarità proprie
dell’UCL in esame, influenzata dalla conformazione dell’isolato, dalle al-
tezze degli edifici che concorrono a determinare l’UCL stesso e dai materiali
di finitura presenti. Per esempio, zone verdi o alberate, con superfici più fre-
sche rispetto ai rivestimenti realizzati in materiali artificiali, contribuiscono
ad abbattere la sensazione di calore percepita, differentemente a quanto av-
viene nelle zone densamente edificate, in cui i materiali di finitura degli edi-
fici, così come i rivestimenti per le pavimentazioni incrementano in maniera
considerevole la temperatura dell’aria e il tasso di umidità relativa. La scelta
di appropriati materiali, soprattutto per le pavimentazioni, parimenti alla

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scelta di determinate essenze arboree per le piantumazioni verdi, concorre


in maniera sensibile a migliorare il comfort termico, scongiurando l’effetto
isola di calore.
Dotare un’area pubblica di una ricca vegetazione, oltre a contribuire alla
formazione di aree protette e riparate dal sole e dal vento, rappresenta una
strategia sostanziale per abbattere la temperatura dell’aria, grazie all’evotra-
spirazione, con cui le foglie rilasciano acqua in atmosfera, dissipando il calore
circostante. Il fenomeno non si verifica dove la vegetazione è stata invece so-
stituita da superfici realizzate con materiali non porosi e impermeabili.
Valutare dunque le condizioni radianti nello spazio urbano si traduce nella
scelta dei più appropriati materiali per le superfici orizzontali e di tutti quegli
elementi che occupano gli spazi pubblici della città, soprattutto in assenza di
vegetazione che sia in grado di mitigare e dissipare il calore accumulato du-
rante il giorno. Le proprietà dei materiali impiegati, in virtù della riflessione
luminosa, ovvero dell’emissività e della capacità termica, condizionano aper-
tamente il microclima della zona, regolando e normalizzando possibili situa-
zioni di discomfort locale per gli utenti.
In tal senso il parametro dell’albedo, o riflessione solare, che rappresenta
la percentuale di energia solare riflessa da una superficie, consente di valutare
preventivamente la formazione di fenomeni di abbagliamento e surriscalda-
mento, che contribuiscono alla formazione di dannose isole di calore negli
strati più bassi della zona considerata.
Poiché gran parte dell’energia del sole è racchiusa nella lunghezza d’onda
della luce visibile, la riflessione solare e i relativi valori di albedo sono da ri-
ferire anche al colore dei materiali di finitura: più scura è una superficie mi-
nore sarà la sua riflessione, mentre più chiaro si presenta il materiale,
maggiore sarà il suo coefficiente di albedo. Le aree urbane presentano in ge-
nere finiture e materiali di pavimentazione con valori di albedo assai inferiori
a quelli delle zone rurali, conseguentemente le superfici esposte alla radia-
zione diretta del sole riflettono meno e assorbono una maggiore quota di ener-
gia termica, il che contribuisce alla formazione d’isole di calore urbane sia a
livello superficiale, che a livello atmosferico4.
Laddove invece il clima è più rigido e il calore deve essere invece tratte-
nuto il più possibile, prima di essere rilasciato in atmosfera, occorre riservare
particolare attenzione alla scelta di materiali, favorendo quelli con un alto va-
lore di capacità termica, che assicurerà la possibilità di bloccare la radiazione
termica, trattenendola il più a lungo possibile.

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Alla luce di tali considerazioni, i coefficienti di albedo e di emissività sono considerati
relativamente alla radiazione, a differenza della capacità termica che viene annoverata tra le
proprietà termiche di un materiale.

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In questo caso, i materiali più adatti allo scopo sono i materiali lapidei, il
metallo, il terreno secco e la sabbia. Nelle città e negli spazi vuoti densamente
contornati da manufatti sono le superfici stesse degli edifici a raccogliere e
immagazzinare energia termica, che viene, reimmessa nell’aria senza un con-
trollo effettivo. Per gestire il microclima dell’ambiente esterno designer e pro-
gettisti devono valutare attentamente il ruolo che una appropriata scelta delle
finiture esterne degli spazi aperti riveste nel favorire adeguate condizioni di
comfort outdoor.
Le cosiddette pavimentazioni fredde5 si riferiscono ad una gamma di ma-
teriali di ultima generazione, frutto di una ricerca volta a massimizzare gli ef-
fetti di comfort termico in relazione agli spazi esterni. La scelta dei materiali,
così come dei processi di produzione degli stessi, ha consentito di realizzare
marciapiedi ed elementi per pavimentazioni che tendono ad immagazzinare
meno calore, con temperature superficiali inferiori rispetto ai prodotti con-
venzionali, che solitamente possono raggiungere temperature di picco estivo
di 48-67°C. Queste superfici sono in grado di trasferire il calore verso il basso
e non verso l’atmosfera, dissipano la quota accumulata nel sottosuolo, da cui
si disperde solo durante la notte.
L’esempio di alcune città giapponesi, come Tokyo e Osaka, dimostra come
sia possibile ridurre l’effetto d’isola di calore in un ambiente urbano ricor-
rendo alle nuove tecnologie per le pavimentazioni stradali e pubbliche.
Lastricati e asfalti porosi si avvalgono della presenza di un substrato con
materiali che favoriscono la ritenzione d’acqua, che prima è assorbita e poi
fatta evaporare attraverso l’azione capillare diffusa, permettendo una notevole
dispersione del calore superficiale.
Una valida alternativa alla soluzione delle pavimentazioni fredde è costi-
tuita dalle piantumazioni verdi, che si possono realizzare sia attraverso ampie
superfici trattate a prato, sia attraverso alberi ad alto fusto.
Alberi che creano ombra e piccole piante come viti, arbusti ed erbe tap-
pezzanti contribuiscono a raffreddare notevolmente l’ambiente, oltre ad ap-
portare preziosi benefici nella purificazione dell’aria e nell’abbattimento delle
micro polveri e di altri agenti nocivi.
Il verde in ambito urbano offre notevoli vantaggi di carattere ambientale,
poiché assicura una persistente diversificazione nelle condizioni microclima-

5
A differenza di dei cosiddetti tetti freddi, le pavimentazioni sono solitamente associate ai
cosiddetti pavimenti riflettenti, il termine è principalmente cui pavimenti riflettenti che aiutano
a ridurre la quantità di calore assorbito dalla pavimentazione. Con il crescente interesse e l’ap-
plicazione di pavimentazioni permeabili, che permettono al vapore e all’acqua di permeare
nei vuoti di un marciapiede o tra le fughe di una pavimentazione mantenendo il materiale
fresco e umido, molti sono gli esempi d’impiego si soluzioni simili per aumentare il comfort
outdoor dell’utente finale.

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tiche dell’area su cui insiste, influendo sul grado di umidità, di ventosità e


procurando tangibili vantaggi in termini di capacità di depurare l’aria, offrire
protezione dal vento e dal rumore. A questi benefici effetti si aggiungono
quelli concernenti il benessere psicologico dell’utente, che si ottengono cre-
ando zone calme e di sosta nella città, tra le strade e gli edifici, proponendo
oasi dove riposare e soffermarsi. In primis, l’ombreggiamento che si ottiene
da elementi vegetali riduce la temperatura delle superfici che si trovano al di
sotto della copertura verde. Gli spazi più freddi riducono a loro volta la quan-
tità di calore trasmessa gli edifici circostanti e favoriscono l’evaporazione di
calore accumulato in eccesso, che si diffonde verso la volta celeste. Alberi e
altri tipi di essenze verdi rappresentano una tra le strategie economicamente
più vantaggiose e sostenibili per evitare la formazione d’isole di calore e fe-
nomeni di discomfort locale.
Ricerche congiunte hanno altresì dimostrato come, la scelta di predisporre
alberi a foglia caduca sul fronte ovest degli edifici offra un cospicuo vantaggio
in termini di raffrescamento dell’edificio, grazie all’ombreggiamento fornito
delle chiome degli alberi. Similmente, la disposizione di alberi verso sud con-
sente di creare una cortina d’ombra durante la stagione estiva, riducendo il
carico energetico richiesto per la climatizzazione interna.
Contestualmente, la scelta di preferire soluzioni verdi per gli spazi pubblici
aperti consente di ottenere un notevole beneficio in termini di abbattimento
locale delle emissioni di gas serra e di polveri sottili, aumentando quindi la
qualità dell’aria, schermando la maggior parte dei raggi UV, a beneficio di
chi sosta in prossimità delle zone verdi. Ricorrendo a soluzioni simili, alberi
sempreverdi possono costituire delle vere e proprie barriere frangivento, per
spezzare flussi d’aria fredda in particolare durante la stagione invernale, ri-
ducendo l’effetto canyon che può presentarsi nelle zone densamente costruite
delle grandi città. In tal senso la scelta delle essenze arboree è decisiva, ri-
guardo al tipo di foglia e alla dimensione della chioma dell’albero, valutazioni
da esaminare per ottimizzare le potenzialità offerte. Tra le altre possibili so-
luzioni di mitigazione, devono anche essere annoverate tecniche relative alle
pareti verdi, green walls o a living walls, ovvero i giardini verticali e pensili.
Le pareti verdi solitamente sono realizzate quando, porzioni d’involucro
verticale sono sufficientemente estese per accogliere innesti di arbusti e fiori,
contribuendo inoltre ad aumentare la copertura verde delle superfici orizzon-
tali circostanti, senza sottrarre spazi alle zone pavimentate. Solitamente si ri-
corre a tralicci o cavi, posti sulla superficie esterna di finitura degli edifici,
fino a soluzioni più elaborate, che prevedono che gli elementi verdi siano pro-
priamente incorporati nella struttura stessa della parete. Studi realizzati negli
ultimi anni hanno dimostrato l’alto potenziale benefico connesso alle pareti
verdi, responsabili dell’attenuazione della temperatura in prossimità dell’edi-

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Fig. 1a. Esempio di parete verde e tetto verde. Losanna, Svizzera.

Fig. 1b. Esempio di parete verde e tetto verde. Losanna, Svizzera.

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ficio, rispetto a un’equivalente porzione di involucro realizzato in modo tra-


dizionale, con le abituali finiture in laterizio di colore chiaro o con intonaco.
Test simili sono stati condotti per valutare la capacità di ombreggiamento e
di raffrescamento in caso di presenza di una parete verde prospiciente uno
spazio pubblico aperto. Barriere verdi, con alberi a diverse altezze e con
ampie chiome possono rivelarsi strategie altrettanto valide per il controllo dei
flussi di aria, agendo come elementi frangivento. Esse assicurano la possibilità
di controllare la formazione di correnti d’aria, la cui velocità può essere causa
di condizioni di discomfort localizzato per i passanti. Il vento rappresenta,
infatti, uno dei fattori che influenzano negativamente le condizioni di comfort
outdoor per spazi aperti, sia per gli effetti termici, che per quelli meccanici
ad esso connessi. I benefici delle correnti d’aria sono altamente auspicabili
nella stagione calda e possono essere favoriti dalla presenza di zone verdi,
all’interno delle quali il flusso d’aria può ulteriormente raffrescarsi. Dal punto
di vista meccanico invece, il vento deve essere controllato e la sua velocità
smorzata: per ottenere questo risultato l’inserimento di barriere verdi frangi-
vento è preferibile rispetto a semplici elementi che intercettino le correnti.
Strutture frangivento appositamente progettate devono essere dunque predi-
sposte a protezione della zona pedonale nello spazio urbano in cui s’innescano
forti turbolenze e per quelle soggette a correnti di aria di forte intensità; ri-
spetto ai frangivento realizzati con strutture solide e opache, come muri o veri
e propri edifici, è preferibile ricorrere a barriere permeabili, in cui i rami e la
chioma degli alberi attenuano i flussi, senza aumentarne la turbolenza. Simile
strategia è da attuarsi anche per impedire l’effetto di canalizzazione del vento
–effetto Venturi-, che può manifestarsi in prossimità di una strada stretta su
cui affacciano edifici alti: l’effetto vorticoso di correnti d’aria, in particolare
alla base degli edifici, può esser smorzato grazie ai filari di alberi che, siste-
mati a una specifica altezza e secondo una determinata distanza, intercettano
il flusso di aria, spezzandolo e rendendolo innocuo.
Di maggior complessità sono invece le analisi che coinvolgono gli spazi
di transizione, zone nelle quali l’ambiente fisico si configura come un ele-
mento di passaggio e collegamento tra l’esterno e l’interno. Le persone ten-
dono solitamente ad usare questi spazi come zone di sosta, di relax per brevi
periodi e come aree di attesa; a questi spazi, così come per le strade e per le
zone a prevalente vocazione pedonale, ricercatori e studiosi hanno dedicato
particolare attenzione, fino a giungere alla definizione di appositi fattori ed
indici.
In tal senso, Gehl propose il calcolo del fattore tra volume pedonale estivo
e volume pedonale invernale. Questo quoziente dimostra come la variabilità
del volume di persone presenti in un preciso luogo di sosta risenta fortemente
della variabilità climatica e termoigrometrica del sito stesso.

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Altre indagini, tra cui quelli condotti da Allan Jacobs6, hanno dimostrato
come il rapporto ideale tra volume massimo e volume minimo di individui
presenti in una zona di sosta possa essere calcolato attraverso i volumi medi,
che si misurano in relazione al numero di soggetti presenti per minuto per
estensione di superficie considerata.
Allo stesso modo, le ricerche svolte negli ultimi decenni negli Stati Uniti
hanno efficacemente accertato come i soggetti maggiormente sensibili alle
variazioni ambientali degli spazi esterni siano le donne e i bambini, le cui
abitudini riguardo ai tempi di sosta negli spazi esterni siano fortemente in-
fluenzate dalle qualità ambientali, termiche, luminose e acustiche, oltre alle
qualità di sicurezza e accessibilità proprie dello spazio considerato.
Secondo la classificazione di Gehl7, ogni tipo di scelta relativa alle strategie
da adottare e ai materiali da scegliere per assicurare un soddisfacente livello di
comfort termico, visivo e acustico in uno spazio all’aperto dipendono, in prima
istanza, dall’attività prevalente che quivi si svolge. Si può distinguere pertanto
tra le cosiddette necessary activities, optional activities e social activities.
Nel primo gruppo si annoverano le cosiddette attività necessarie, che pre-
vedono un’azione continuata e ripetuta nel tempo, poiché collegate ad attività
ricorrenti, come nel caso degli spostamenti per recarsi al lavoro, a scuola, per
fare shopping, fino a comprendere gli spazi di attesa alle fermate di autobus
e spazi di sosta in genere. In questo caso, considerando l’esiguo intervallo di
permanenza di un soggetto sul percorso, nella piazza o in generale nelle vi-
cinanze dello spazio di transizione, una gestione consapevole e appropriata
dell’ambiente sarebbe eccessivamente articolata e complessa per essere ana-
lizzata efficacemente.
Nella seconda tipologia ricadono invece le attività facoltative, che presu-
mono una partecipazione diretta dell’utente, per le quali il soggetto prova un
reale interesse e per le quali è necessario prevedere spazi appositamente stu-
diati e attrezzati. Questa categoria comprende la vasta gamma delle attività
all’aperto, funzioni che hanno prevalentemente luogo solo quando le condi-
zioni climatiche esterne sono ottimali e invitanti, rendendo queste le azioni
strettamente dipendenti dalle condizioni fisiche esterne. Tra le optional acti-
vities si deve inquadrare la progettazione sostenibile urbana volta a favorire
il comfort outdoor e a promuovere una gestione consapevole degli spazi pub-
blici e di relazione.
Quando le aree esterne sono di scarsa qualità, solo le attività strettamente
necessarie sono portate a termine; qualora invece le zone di passaggio, di sosta

6
A. Jacobs, Great Streets, MIT Press, Cambridge MA, 1995.
7
J. Gehl, Life between buildings. Using public space, Danish Architecture Press, Island
Press, Washington DC, 1971.

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e di transito si configurano come spazi realizzati secondo criteri di buona pratica


architettonica e ambientale, esse sono maggiormente desiderabili e piacevoli.
Da ultime si annoverano le attività sociali, che scaturiscono dalla presenza
stessa di spazi pubblici, dai parchi alle grandi piazze, dalla presenza di atri
dei palazzi per uffici, alle corti interne scoperte di edifici pubblici.
Gehl include queste attività in quelle secondarie, poiché si sviluppano in
connessione con altre attività, quando gruppi di persone si trovano nello stesso
intorno. Esse avvengono spontaneamente, come conseguenza diretta dei mo-
vimenti dei soggetti, delle singole preferenze dei singoli e dalle relative ne-
cessità variabili; proprio per questo motivo la sfida di una progettazione e
riqualificazione degli spazi pubblici secondo il principio del comfort outdoor
assume caratteri di particolare interesse in relazione a questi spazi.
Osservando dunque i tre modelli proposti è possibile individuare differenti
ambiti d’intervento sugli spazi pubblici, allo scopo di renderli idonei ad ac-
cogliere attività ricettive, di svago per i cittadini, favorendo la loro perma-
nenza nelle più confortevoli condizioni termiche, visive e acustiche, con
l’obiettivo di rendere gli spazi outdoor fruibili e desiderabili.

La progettazione bioclimatica degli spazi urbani. Casi notevoli

La trattazione di possibili interventi di mitigazione e degli strumenti di


progettazione bioclimatica, per assicurare condizioni condivise di comfort
outdoor, esige una preventiva suddivisione tra aspetti morfologici, ambientali
e successivamente architettonici degli spazi in esame.
Tra i numerosi elementi che contribuiscono a modificare e moderare le
condizioni microclimatiche degli spazi urbani, sia costruiti sia non edificati,
si devono annoverare la morfologia urbana, i sistemi di ombreggiamento, la
presenza o assenza di vegetazione, i coefficienti di albedo dei materiali, i co-
efficienti di riflessione e trasparenza, così come la presenza di acqua e flussi
di aria.
L’analisi della morfologia urbana riguarda la valutazione di quei parametri
che possono tenere conto della forma costruita e di come i volumi edificati si
rapportano tra loro tra gli spazi che si creano. In tal senso, la morfologia ur-
bana è decisiva per comprender il comportamento microclimatico degli spazi
outdoor e in particolare valutazioni geometriche sui fattori di forma e altri in-
dici geometrici sono spesso impiegati per valutare l’impatto di nuovi edifici
o del tessuto urbano esistente in relazione ad uno spazio aperto.
Lo sforzo di recenti ricerche congiunte è quello di mettere dunque a si-
stema le conoscenze teoriche sul microclima urbano e il processo di proget-
tazione urbana o di retrofit di spazi esistenti.

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Il campione di progetti tra loro confrontabili in termini di soluzioni adot-


tate rappresenta dunque solo una ristretta quota delle possibili strategie cui
ricorrere: gli esempi qui presentati, scelti per la loro significatività rispetto al
contesto in cui si collocano, presero le mosse a partire dalle sperimentazioni
degli anni Novanta, condotte in Spagna.
Il contributo caratteristico, che segnò una decisa svolta, sia nell’approccio
metodologico, sia nella prassi progettuale per gli spazi esterni a vocazione
pubblica, è solitamente fatto risalire all’Esposizione Generale di Siviglia del
1992.
Le condizioni climatiche proibitive tipiche dell’estate andalusa richiede-
vano, infatti, specifiche soluzioni attraverso cui offrire condizioni microcli-
matiche accettabili per i visitatori dell’Expo. L’equipe del SAMA – Escuela
Tecnica Superiore de Arquitectura de Sevilla – analizzò pertanto alcune pos-
sibili soluzioni per ottimizzare le condizioni climatiche del luogo, mediante
l’utilizzo di sistemi d’ombreggiatura, ricorrendo ad appositi dispositivi di raf-
frescamento e umidificazione, dedicando una specifica attenzione alla pian-
tumazione a verde delle aree esterne ai singoli padiglioni, così come ai
meccanismi per incentivare il movimento dell’aria.
Nacquero contestualmente anche i primi diagrammi psicrometrici, realiz-
zati a uso esclusivo degli spazi esterni.
L’importanza di questa esperienza risiedeva essenzialmente nella messa a
punto di specifiche tecniche di controllo del microclima, che si ponessero in
equilibrio con i già testati principi di architettura sostenibile e bioclimatica,
impiegati per lo spazio chiuso, sfruttando le risorse naturali disponibili nel-
l’intorno.
In occasione della prima stesura del master plan per l’Expo del 1992, stra-
tegie innovative comparvero per la prima volta a fianco di soluzioni biocli-
matiche tradizionalmente usate per gli edifici, che confluirono in un ricco
corpus di linee guida per le aree aperte.
Nel 1987, a seguito dell’approvazione del Master plan, il seminario spa-
gnolo sull’architettura bioclimatica costituì la prima vera occasione per al-
largare il dibattito internazionale su direttive e sistemi di controllo per il
comfort outdoor.
In particolare, l’attenzione del progetto si catalizzò attorno all’Isla de la
Cartuja, oggi trasformata in un parco scientifico e tecnologico, sede designata
per la sperimentazione, la trasformazione e la gestione degli spazi vuoti tra i
fabbricati di servizio e i padiglioni espositivi.
Gli spazi prescelti fornivano, infatti, l’occasione, non solo per sperimen-
tare differenti sistemi di raffrescamento passivo, ma anche per monitorare nel
tempo l’efficacia di sistemi bioclimatici, come l’impiego di pergolati, spazi
verdi e vasche d’acqua. La fase iniziale del progetto, dai connotati molto in-

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novativi per l’epoca e per gli obiettivi ambiziosi che si prefiggeva, si basava
sull’analisi di misure qualitative, che assicurassero un costante controllo sul
microclima, che furono condotte dal Dipartimento di Energia e Meccanica
dei Fluidi dell’Università di Siviglia.
Vennero testati sistemi numerosi sistemi per il raffrescamento e per l’eva-
porazione, come cascate, torri di raffrescamento, pareti d’acqua, così come
condotti sotterranei d’aria e pavimenti raffreddati ad acqua.
Lo spazio centrale tra gli edifici dell’Isla de la Cartuja fu occupato da un
grande bacino rettangolare d’acqua che doveva fungere da estesa superficie
evaporativa in corrispondenza dei percorsi pedonali, in collaborazione con la
presenza di una fontana controllata elettronicamente i cui getti e spuzzi di acqua
vaporizzata erano attivati in relazione alle condizioni climatiche prevalenti.
Un altro dispositivo bioclimatico messo a punto fu la cosiddetta Rotonda
Bioclimatica, in cui furono integrati tutti i principali sistemi di raffrescamento
conosciuti. La rotonda era dotata di due livelli, uno per le cascate d’acqua e
un livello inferiore, dotato di alberi di diverse altezze, le cui chiome contri-
buivano a ombreggiare la rotonda e incrementavano l’effetto umidificante
dell’area. L’intera zona era ulteriormente coperta da teli rimovibili per scher-
mare la radiazione solare e per favorire la penetrazione di brezze da sud ovest.
La presenza simultanea di arbusti e alberi ad alto fusto, di sistemi di om-
breggiamento naturali e artificiali, grazie al fenomeno del raffrescamento eva-
porativo assicurava dunque un clima confortevole per la sosta e il passaggio
degli utenti, anche nelle giornate più calde.
Le prestazioni di ciascuna soluzione bioclimatica, dalla disposizione di
alberi ad alto fusto, alle soluzioni che prevedevano il ricorso a bacini d’acqua,
fontane e sistemi per la vaporizzazione d’acqua, fino a soluzioni più com-
plesse che integravano differenti dispositivi, come la ventilazione sotterranea,
i pavimenti raffrescati ad acqua, furono egualmente distribuiti in tutte le aree
pedonali dell’Expo.
L’occasione di Siviglia diede dunque modo a progettisti e tecnici di stu-
diare attentamente i rendimenti legati alle soluzioni bioclimatiche menzionate,
nel contesto caldo e secco dell’estate sivigliana. Assunte come condizioni cli-
matiche ricorrenti una temperatura di 45°C e un’umidità relativa pari al 40%,
si valutò quanto ciascuna soluzione contribuisse ad aumentare la sensazione
di neutralità termica e dunque di piacevolezza per gli utenti.
La soluzione di incanalare l’aria nel sottosuolo per poi farla rifluire in
prossimità di una zona di sosta o di passaggio si dimostrò tra le più efficaci,
tanto da abbassare la temperatura dell’aria dai 35°C, fino ai 18°- 20°C, la-
sciando inalterato il tasso di umidità relativa.
Il ricorso a sistemi di vaporizzazione dell’acqua, tramite fontane, ugelli e
semplici vaporizzatori a circuito aperto assicurava invece l’abbattimento della

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temperatura da 29°C a 26°C, che potevano essere facilmente mantenuti in-


variati, a patto di prevederne l’integrazione con pavimentazioni raffrescate
ad acqua o ad aria.
Nello specifico, il report preparatorio al master plan dell’Expo conteneva
una ricca documentazione a proposito delle potenzialità legate all’uso più
conveniente della vegetazione negli spazi pubblici, di sosta o di passaggio.
Nel caso di Siviglia la superficie verde di progetto doveva addirittura superare
la superficie edificata nel rapporto di sessanta a quaranta, grazie alla realiz-
zazione di una sorta di cintura verde nella zona dell’esposizione, suddivisa
secondo tre diversi livelli di altezza (con gli alberi più bassi verso il centro
dell’Expo e alberi più alti, a fungere da cortina protettiva verso la città sto-
rica).
Il progetto del verde prevedeva inoltre di alternare zone a maggior con-
centrazione di verde a zone più rarefatte, in risposta al diverso comportamento
diurno e notturno delle chiome degli alberi. Se di giorno una folta chioma as-
sicurava vaste zone d’ombra e innalzava il tasso di umidità relativa, di notte,
il calore accumulato, poteva disperdersi più agevolmente verso le zone meno
dense.
La corretta scelta delle essenze arboree e delle altezze dei fusti fu fonda-
mentale per attenuare la temperatura percepita che, da circa 35° scendeva a
33°C, concorrendo a innalzare l’umidità e generando, conseguentemente, pia-
cevoli flussi di aria.
Il forte soleggiamento, assieme agli alti livelli di radiazione diretta e dif-
fusa, rese irrinunciabile la predisposizione di sistemi ombreggianti, quali teli
e vele per creare zone d’ombra di diversa intensità. I sistemi schermanti as-
sicuravano al contempo la possibilità di sfruttare le naturali correnti d’aria
generate dai salti termici.
Il tema della ventilazione appariva dunque come una tra le essenziali ri-
chieste a cui la valutazione preliminare doveva rispondere nel contesto caldo
e secco di Siviglia.
Allo scopo di assicurare un costante movimento d’aria pari a circa 1,5
m/sec, che fosse piacevole per gli utenti e che innalzasse il livello di comfort
percepito fu indispensabile prevedere la creazione di zone costantemente co-
perte, con elementi di protezione solare.
La progettazione degli elementi schermanti e ombreggianti presumeva lo
studio preparatorio di ogni brezza e, in particolare, di quelle provenienti da
sud ovest, per migliorare la ventilazione anabatica. L’integrazione tra sistemi
di ventilazione naturale, favorendo i moti convettivi dell’aria, ricorrendo a
soluzioni già ampiamente utilizzate come le torri per captare il vento e sistemi
attivi di ventilazione ausiliaria azionati dall’energia solare, garantiva al tempo
stesso l’aumento controllato di livelli di umidità.

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Fig. 2. Schemi per il funzionamento delle vasche d’acqua e della ventilazione naturale.

Nel progetto degli spazi aperti dell’Expo di Siviglia particolare cautela fu


riservata all’utilizzo dell’acqua, sia come elemento di disegno urbano, sia
come principio mitigatore per il microclima. L’effetto positivo dell’acqua, at-
traverso la progettazione di piccoli bacini, vasche, laghi o canali è, infatti, da
associare all’inerzia termica della massa d’acqua e al potenziale evaporativo
del bacino stesso. La presenza di masse d’acqua garantiva durante il giorno
la formazione di flussi evaporativi per contrastare il calore e assicurava un
costante controllo del tasso di umidità nelle zone circostanti. Per questo mo-
tivo furono progettate, per le zone prevalentemente ombreggiate numerose
vasche, cascate, cortine e muri d’acqua sulle pareti di molti dei padiglioni
espositivi, assieme a sistemi di micro-diffusione e vaporizzatori diffusi in
prossimità dei passaggi pedonali, nelle zone maggiormente esposte alla ra-
diazione diretta.
Vennero così previste tre soluzioni tipo, poi declinate in conformità a pre-
cisi requisiti, sia per gli utenti, sia per i fini espositivi: zone in ombra durante
il giorno e aperte verso il cielo durante le ore notturne; zone in ombra durante
il giorno e coperte da strutture retraibili durante la notte; e zone totalmente
aperte.
Se nelle prime, soluzione di schermatura e ombreggiamento avevano lo
scopo di mantenere il più stabile possibile la temperatura percepita, grazie
alla presenza costante di ventilazione naturale, di notte si doveva favorire la
dispersione del calore accumulato in eccesso: per tali motivi si preferì ricor-
rere a materiali ad alta emissività ad alta capacità termica con un grado di al-
bedo medio; la successiva tipologia di spazi pubblici, da coprire con strutture
mobili quali tendoni o vele, prevedeva il ricorso a pavimentazioni in materiale

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poroso con un’alta capacità termica, con uno sfasamento piuttosto contenuto
in modo da potersi raffrescare durante la notte, con un valore medio di albedo.
Infine, per le zone totalmente aperte, in assenza di qualsiasi struttura di riparo
o di copertura fu necessario corredare i percorsi pedonali e le sedute per gli
spettatori con materiali di finitura con alte capacità termiche ed elevata emis-
sività, ma basso assorbimento, come ghiaia e materiali porosi per le sedute.
Condizioni climatiche caratterizzate da una forte insolazione e da livelli
di temperatura costanti nel tempo costituiscono una vera e propria sfida nel
caso di città molto popolose, dove prevale l’esigenza di schermare la radia-
zione diretta e creare zone d’ombra in cui la temperatura sia più accettabile.
Il duplice obiettivo in queste situazioni è di fare dialogare in maniera naturale
l’esigenza di integrare dispositivi di mitigazione con l’ambiente circostante,
alterando minimamente il paesaggio, la qualità architettonica, senza snaturare
l’essenza del luogo.
Tra i più recenti tentativi di mitigare le condizioni outdoor, favorendo la
sosta e la permanenza delle persone all’esterno, si ricorda il progetto per la
copertura diurna della piazza antistante alla Moschea del Profeta a Medina.
La moschea, tra le più frequentate al mondo, è circondata da un’estesa zona
pavimentata, che offre l’occasione ai fedeli di riunirsi prima e dopo la pre-
ghiera. La piazza si connota dunque come parte essenziale del complesso re-
ligioso, non come semplice luogo di attesa ma elemento integrante nel
percorso religioso che ogni fedele compie prima di accedere alla Moschea. Il
clima torrido della regione, la costante radiazione solare diretta, così come la
forte escursione termica tra il giorno e la notte, costituiscono le condizioni
con le si è dovuto confrontare il progetto dello studio tedesco Sl-Rash Gmbh,
che ha optato per una copertura trasformabile, ricavata attraverso la disposi-
zione di grandi ombrelli quadrati, di ventisei metri di lato, per formare una
copertura continua durante le ore diurne, quando tutti gli ombrelli sono aperti,
mentre permettono al calore di liberarsi dalla piazza verso il cielo nelle ore
diurne, quando le vele degli ombrelli vengono chiuse. Un altro vantaggio ri-
siede nella possibilità di offrire riparo durante la stagione delle piogge, molto
frequenti e di particolare intensità nelle zone tropicali.
Il vantaggio delle strutture mobili traslucide, congiuntamente alle caratte-
ristiche ottiche della membrana di copertura, consente di schermare la radia-
zione termica, ma di lasciare passare la radiazione luminosa, assicurando
schermo e riparo per i fedeli durante il giorno. Ciascuna colonna a sostegno
delle membrane traslucide è integrata con apparecchi per la luce artificiale,
da attivare quando gli ombrelli vengono chiusi.
L’area coperta totale si estende per 145.000 metri quadrati, poiché ciascuna
vela offre una superficie coperta di oltre 600 metri quadrati, che si differen-
ziano ulteriormente su due diverse quote, organizzate in modo tale che, una

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volta aperte le vele, parte delle membrane si sovrappone per creare maggiore
ombra. L’altezza media delle colonne centrali di ciascun ombrello, di circa
ventuno metri, favorisce la creazione di costanti correnti d’aria, generate dai
gradienti termici tra le vele e l’esterno.
La ricerca tecnologica e morfologica degli elementi di copertura vuole
mantenere una relazione di dialogo, replicando i rapporti dimensionali della
facciata della moschea, tanto da creare un rimando tra il passo delle colonne
centrali e le partizioni della facciata. La parte superiore delle membrane e dei
bracci di supporto richiama forme archetipe: dal calice, alla vela, alle forme
dei baldacchini, fino a replicare forme floreali e vegetali, con il chiaro intento
di porsi in dialogo con le strutture esistenti e favorire momenti di aggrega-
zione al di sotto delle coperture.
La possibilità di aprire e chiudere le membrane, processo che avviene in
circa tre minuti dall’azionamento, è assicurata da un meccanismo elettronico,
che controlla la tensione delle membrane in condizioni sfavorevoli di vento
o di tempesta e garantisce la possibilità di richiudere gli ombrelli durante la
notte, attivando il sistema d’illuminazione artificiale, di cui ogni pilastro cen-
trale è dotato, permettendo ai fedeli di sostare nell’area antistante alla mo-
schea anche nelle ore notturne.
Strutture di copertura simili sono state realizzate in numerose altre situa-
zioni, laddove vi era l’esigenza di massimizzare le condizioni di comfort out-
door per gli utenti e di mitigare per situazioni fastidiose dal punto di vista
climatico.
L’espediente della membrana realizzata in materiale traslucido e leggero
per proteggere dall’eccessiva radiazione solare, ma anche da vento e dalla
pioggia offrendo zone di riparo e di sosta per gli utenti è stato in seguito de-
clinato per coprire piccoli spazi, laddove la città contemporanea si dilata e si
contrae, sviluppando spazi di relazione e di relax.
Una sorta di citazione su scala ridotta delle vele si rintraccia nella coper-
tura che è stata usata per coprire la zona interstiziale tra due edifici a Los An-
geles. Una vela a forma di vortice copre una piccola corte solitamente usata
come spazio di sosta e di attesa prima dell’ingresso alla una zona espositiva
e commerciale vera e propria. La forte vocazione come polo di sosta e di riu-
nione, in una città aggrovigliata tra le strade ad alto scorrimento, richiedeva
l’inserimento di un elemento di schermatura, al di sotto del quale si potesse
generare uno spazio calmo, da cui ripararsi dal sole e dall’umidità della zona.
Il vortice, Maximilian’s Schell, è stato realizzato dal Ball-Nogues Studio
nel 2005, come elemento temporaneo, che funziona come una vela protettiva,
creando una sorta di spazio immersivo, in
cui le interazioni sociali sono favorite dall’atmosfera raccolta e soffusa
che si genera naturalmente.Durante le ore diurne il sole è schermato dalle sin-

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Fig. 3a. Maximillian’s Shell.

Fig. 3b. Maximillian’s Shell.

gole scandole di materiale traslucido di cui il vortice è composto, elementi


che spezzano il raggio luminoso, producendo geometrie sempre variabili tra
le lame d’ombra della copertura.
La struttura nasce come un elemento ibrido tra una vela tesa tra due sponde
e una struttura reticolare alla maniera di Otto Frei, realizzata grazie l’elabo-
razione digitale parametrica per rispondere alle necessità acustiche del pro-
getto. La forma delle singole scandole, in fibre rinforzate di nylon e kevlar, è

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stata calcolata e realizzata da una macchina a controllo numerico (CNC): cia-


scuna scandola è rivestita da un tessuto a film sottile, simile a una lama me-
tallica dorata, a protezione dei raggi UV. Ogni scandola, simile a un petalo, è
connessa agli elementi vicini su tre punti con giunti di connessione invisibili
in policarbonato, che contribuiscono ad accentuare il senso di continuità della
curvatura del vortice. Come deformati dalla forza di gravità e dal movimento
rotazionale, i petali continuano a modificarsi in forma e dimensione.
La sensazione di spazio quieto, lontano dal traffico cittadino è ulteriormente
favorita dall’attenzione che i progettisti hanno dedicato all’ideazione un am-
biente acustico che, grazie a elementi di diffusione sonora, trasmette un esile
suono che pare riecheggiare anche sotto i piedi del passante, isolandolo ulte-
riormente dall’ambiente caotico della città circostante. Pur rimanendo un ele-
mento di copertura e di protezione dall’esterno, il vortice consente allo
spettatore di rimanere in contatto con l’esterno, evidenziando in maniera an-
cora più evidente il voluto distacco attraverso il foro centrale nella copertura.
Lo studio Ball Nogues ha investito più di un anno nella progettazione e
successiva realizzazione della struttura, per la quale sono state coinvolte dif-
ferenti competenze allo scopo di ricreare una ambiente completamente estra-
neo alle tradizionali condizioni ambientali della città di Los Angeles. È stata
ideata così una sorta d’installazione multisensoriale che riqualifica uno spazio
di risulta, di attesa e di sosta, in cui le principali componenti ambientali, dal
calore, alla luce, al rumore, sono dapprima negate e poi ricreate artificialmente
per immergere chi vi sosta in una realtà differente e confortevole.
La tendenza di riqualificare zone pubbliche della città contemporanea, allo
scopo di renderle più accoglienti e fruibili per accogliere una grande varietà
di attività outdoor si diffonde con maggior evidenza nei paesi interessati da
un clima caldo umido, laddove la possibilità di trascorrere parte della vita di
relazione all’aperto deve essere agevolata da dispositivi artificiali, che miti-
ghino le condizioni ambientali, spesso proibitive.
L’esempio del Centro Abierto de Actividades Ciudadanas, CAAC a Cór-
doba (Spagna) dimostra come interventi di varia natura, in questo caso una
copertura con strutture mobili a forma di ombrello, possa rinnovare lo spazio
di risulta nel tessuto urbano e renderlo fruibile per attività all’aperto. La piazza
si trova in prossimità della nuova linea dell’alta velocità per Cordoba, in uno
spazio di cesura di cui la città si doveva riappropriare, per realizzare un polo
di congiunzione tra la città e la sua periferia.
La scala del progetto rappresenta uno dei caratteri distintivi dell’inter-
vento, che deve dialogare, da una parte, con le dimensioni della città storica,
dall’altra con la grandezza e gli ampi spazi della prima periferia industrializ-
zata. L’esigenza di creare una zona prevalentemente coperta, ma i cui conno-
tati di piazza e di spazio all’aperto mantenessero la predominanza, ha

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permesso allo studio Paredes Pino Architects di confrontarsi con il tema della
copertura temporanea per ospitare un mercato e altre attività pubbliche, re-
cuperando la vocazione mercatale della zona.
La scelta è pertanto ricaduta sull’allestimento di elementi prefabbricati
che variano in altezza e diametro, disposti in modo libero rispetto agli assi
della piazza, per plasmare la spettacolare immagine di un bosco urbano di
ombre. Gli ombrelloni d’acciaio, con diametro compreso tra sette e quindici
metri e altezze variabili tra i quattro e i sette metri, sono realizzati tenendo
conto dell’effetto ottico che la luce incidente genera sui piani di riflessione:
l’estradosso è trattato con materiali colorati e vivaci, mentre l’intradosso di
ciascun ombrello presenta una finitura diffondente che attenua il discomfort
visivo della forte luce diurna.
Le strutture colorate diventano elementi per la copertura permeabile, di
sotto alla quale disporre i banchi del mercato, ma al tempo stesso fungono da
supporto per l’allestimento di un sistema per l’illuminazione artificiale, così
come il drenaggio e la raccolta dell’acqua piovana. Particolare attenzione nella
fase di progettazione è stata riservata alla scelta dei materiali di pavimentazione
e per le superfici di finitura degli ombrelloni, per attenuare l’effetto albedo,
favorendo il comfort sia visivo che termico; a tale scopo la scelta è ricaduta su
colori quali il rosso, il rosa e diverse gradazioni di marrone. La pavimentazione
della piazza è stata realizzata in ciottoli di materiale ceramico, scelta dettata
dall’esigenza di assicurare una lunga durabilità, anche in caso la piazza sia
resa carrabile in occasione dei giorni di mercato, così come il materiale poroso
attenua i rumori della vicina strada assorbendo il rumore del traffico.

Fig. 4. Centro Abierto de Actividades Ciudadanas.

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Numerosi progetti di rivitalizzazione di piazze urbane o semplici spazi


vuoti hanno, efficacemente dimostrato come un’attenta progettazione che co-
niughi gli aspetti della progettazione bioclimatica con strumenti per il con-
trollo e la mitigazione del microclima siano altamente preferibili per il
raggiungimento di ambiente qualitativamente piacevoli.
Tra gli esempi più recenti, si include il piano globale di proposto da Har-
greaves Associates e Carter & Burgess per il Piano di Dallas Downtown, di
cui il Belo Garden comprende tutti le tematiche della progettazione indirizzata
al raggiungimento del comfort per gli spazi aperti. Il parco, inaugurato nella
primavera del 2012, svolge un ruolo fondamentale nella realizzazione di un
master plan più esteso, che mira a trasformare il carattere, la percezione e so-
prattutto la vivibilità del centro di Dallas. Belo Garden scaturisce dall’esi-
genza di creare uno spazio diversificato all’interno dell’ambiente urbano, con
aree a giardino con alberi sempreverdi e una piazza centrale per incontri oc-
casionali ed eventi informali, assieme ad un punto per raffrescare i passanti,
realizzato con un gioco d’acqua interattivo, progettato per contrastare il sur-
riscaldamento estivo. Il progetto, che interessa quasi oltre otto mila metri qua-
drati di terreno tra alti grattacieli nella zona densamente edificata della città
di Dallas, si connota come una vera e propria attrazione per gli stessi cittadini,
che possono usufruire di un’oasi naturale in cui trovare pace e tranquillità
seppur nel mezzo della città. L’attenzione dei progettisti si è concentrata verso
il tentativo di mitigare l’effetto d’isola di calore: le soluzioni proposte tentano
di moderare le condizioni climatiche di un clima caldo e secco, addolcito
dall’abbondante presenza di alberi, fiori e arbusti tipici, per il 75% nativi della
regione. Il progetto del verde, per riqualificare lo spazio vuoto storicamente
adibito a parcheggio e restituirlo alla città, si basa sull’analisi del potenziale
apporto benefico legato alla naturale crescita degli alberi che, una volta giunti
a completa maturazione, offriranno un ulteriore apporto nella riduzione delle
temperature dell’intorno.
Alcune analogie nell’approccio progettuale, in termini di adozione di stra-
tegie bioclimatiche per il recupero di un’area aperta è quello individuabile
per il One Island East - Taikoo Place a Hong Kong, dello studio Hargreaves
Associates.
Lo spazio urbano è, in questo caso, costretto tra un grattacielo per uffici
alto oltre settanta piani e altri edifici per il terziario, al di fuori dei quali si ri-
versano nelle ore di pausa, migliaia di persone, desiderose di ritrovare il con-
tatto con l’ambiente esterno, dopo le lunghe ore di costrizione negli uffici.
La piazza, per metà pavimentata e per metà piantumata a verde, occupa
un’estensione di quattro ettari, necessari per accogliere i potenziali trentamila
utenti di uffici e residenti dell’intorno. La zona pavimentata è a sua volta tri-
partita in altrettanti riquadri erbosi, rialzati di alcuni centimetri su dei podi,

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Fig. 5. Foro del Parc Hydro-Québec.

uniti alla quota principale tramite scale e scivoli, che generano un effetto di
dilatazione ottica e percettiva degli spazi, articolati con zone di vegetazione
bassa, vasche calme e getti di acqua. L’obiettivo del progetto di creare una
zona di relax e di attrazione dallo spazio costruito appena circostante si attua
anche attraverso la realizzazione di complessi giochi di luce dinamica, che,
abbinati ad una progettazione acustica ad hoc sono in grado, all’occorrenza,
di trasformare l’invaso della piazza in una sorta di palco per spettacoli ed
eventi.
Tra le esperienze non ancora completate, attraverso cui i progettisti mirano
a riqualificare l’ambiente urbano per assicurare condizioni di comfort e frui-
bilità si colloca anche il progetto in via di completamento del parco Hydro-
Québec a Montreal.
Si tratta di una zona aperta tra edifici alti, vicino al quartiere degli spetta-
coli e al Centre for Sustainable Development.
Iniziato nel 2008, il progetto di Claude Cormier intende realizzare una
piazza pavimentata sospesa appena sopra una zona verde con alberi e un fitto
tappeto erboso, che rimane in parte coperto dalla pavimentazione in griglia
metallica. In questo modo si coniuga l’esigenza di dotare la zona di un’area
pavimentata piuttosto estesa (oltre tremila metri quadrati) e fruibile dalla cit-
tadinanza, assicurando un’oasi completamente permeabile all’aria e all’acqua,
sia durante la stagione estiva, che in quella invernale.

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L’intercapedine areata che si genera tra il suolo e la superficie calpestabile,


garantisce una costante traspirabilità e l’aria umida, in prossimità del terreno,
può liberamente circolare anche attraverso la pavimentazione metallica, ap-
portando benefici paragonabili a quelli di un grande parco urbano totalmente
piantumato a verde. In questo modo l’acqua piovana è libera di fluire attra-
verso gli strati, evitando fenomeni irreversibili di compattazione del terreno.
La scelta delle essenze vegetali completa infine il progetto, assicurando un’ap-
propriata quantità di zone ombreggiate e ventilate naturalmente.

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