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Le vie

del coaching
Le vie
del coaching
Strategie per psicologi irriverenti

Luigina Sgarro
Nadia Osti
Michela Pajola

Prefazione di Francesca Gagliarducci


Le vie
del coaching
Strategie per psicologi irriverenti
Luigina Sgarro, Nadia Osti e Michela Pajola

Edizione eBook
ISBN: 979-12-81075-18-4

© 2023, 2024, Hogrefe Editore, Firenze


Viale Antonio Gramsci 42, 50132 Firenze
www.hogrefe.it

Coordinamento editoriale: Sara Zaccaria


Redazione: Sara Zaccaria e Alessandra Galeotti
Impaginazione e copertina: Stefania Laudisa

Tutti i diritti sono riservati. È vietata la


riproduzione dell’opera o di parti di essa con
qualsiasi mezzo, compresa stampa, copia
fotostatica, microfilm e memorizzazione
elettronica, se non espressamente autorizzata
dall’Editore.
Le autrici

Luigina Sgarro
Psicologa e psicoterapeuta a orientamento cognitivo-comportamentale,
ha lavorato per molti anni nelle risorse umane di grandi aziende mul-
tinazionali, maturando esperienza e competenza nell’ambito dello svi-
luppo organizzativo e dell’executive e team coaching. Collabora con
diverse realtà organizzative, sia private che pubbliche, nazionali e inter-
nazionali, come consulente, formatrice e coach. Ha al suo attivo l’espe-
rienza come docente in Organizzazione aziendale, comunicazione e soft
skills presso la LUMSA, l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, la
Scuola Superiore di Polizia, la Scuola Superiore dell’Amministrazione
dell’Interno (SSAI) e la Scuola Nazionale dell’Amministrazione (SNA).
Per la SNA ha progettato e coordinato il primo assessment center per la
Presidenza del Consiglio dei Ministri, il primo development center per il
corso-concorso per la dirigenza pubblica, il primo progetto di coaching
strutturato e ha lanciato il primo format esperienziale.

Nadia Osti
Psicologa clinica e del lavoro, psicoterapeuta sistemico-relazionale e
coach, si è occupata di progettazione di percorsi di accompagnamento
alle trasformazioni organizzative focalizzandosi sull’analisi, la valuta-
zione e lo sviluppo di comportamenti organizzativi. L’interesse per la
valorizzazione delle persone nelle organizzazioni in cambiamento l’ha
avvicinata al coaching, conseguendo esperienze in aziende di setto-
ri merceologici e dimensioni diverse. Attualmente opera in qualità di
esperto esterno in concorsi pubblici per la selezione di dirigenti, in quali-
tà di docente per la Scuola Nazionale dell’Amministrazione (SNA), dove
ha partecipato, tra le altre cose, al progetto di assessment center e di exe-
cutive coaching con la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Collabora
inoltre con l’Università di Bologna in qualità di professore a contratto e
di executive coach.
Crede che la psicologia porti un contributo indispensabile nei contesti
organizzativi.
Michela Pajola
Psicologa clinica e di comunità, specializzata in psicoterapia psicoana-
litica e successivamente in EMDR, si perfeziona in Teoria e tecnica dei
gruppi con Enzo Spaltro. Intraprende una formazione continua in Co-
municazione non violenta e approfondisce il coaching acquisendo tre
certificazioni: modello ontologico trasformazionale, Voice Dialogue e
Coaching by Values. Ha svolto una formazione in Organizational devel-
opment con Ariele, scuola di psicosocioanalisi ed è trainer mindfulness,
certificazione AIM.
Si muove in ambiti diversificati di intervento: sia contesti privati e dina-
mici in fase di start up, sia realtà consolidate che necessitano di essere
accompagnate in fasi strategiche del loro ciclo di vita. Collabora con enti
pubblici a livello comunale, regionale e, in prevalenza tramite la Scuola
Nazionale dell’Amministrazione (SNA), anche nei Ministeri e con la Pre-
sidenza del Consiglio dei Ministri.
Ha acquisito esperienze variegate in ruoli tecnici, ad esempio selezione,
valutazione del potenziale, formazione alle soft skill, coaching e team
coaching; ma anche gestionali, coordinando team di colleghi in inter-
venti complessi. Promuove un modo di intendere la psicologia come
accompagnamento per le persone e le organizzazioni ad occuparsi dei
propri bisogni con un approccio ecologico e proprio per questo è stata tra
i soci fondatori di Psicologi in Azienda, network di psicologi che operano
nei contesti organizzativi.
Il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi
in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi.
Italo Calvino
Collezione di sabbia, “I mille giardini”, 1984

Viandante, non esiste il sentiero,


il sentiero si fa camminando
Antonio Machado
Proverbios y cantares, “Caminante”, 1912
Ringraziamenti

Ringraziamo i nostri beta reader Carlo Camilli, Lidia Calvano, Francesca


Pagliuso, Mariangela Tripaldi, che con inesauribile pazienza hanno letto
il nostro manoscritto sotto l’ombrellone, fornendoci feedback preziosi
per il completamento delle nostre riflessioni e guidandoci al di là della
nostra autoreferenzialità.
Francesca Gagliarducci per la fiducia e la tenacia nel credere possibile
un cambiamento epocale.
Maurizio Decastri per essere stato un punto di riferimento nella vista di
insieme, guidando l’introduzione dell’assessment e sostenendo quella
del coaching all’interno di contesti pubblici complessi.
Giorgia Borghi per gli spunti teorici e la costanza nel rimettere mano alla
bibliografia.
Antonio, Bruno e Vincenzo per la loro pazienza durante le nostre inter-
minabili call di allineamento, a qualunque ora del giorno, della notte e
nel fine settimana.
Indice

Prefazione. Il coaching e lo sviluppo delle risorse nella Presidenza


del Consiglio dei Ministri di Francesca Gagliarducci XV

Presentazione XIX

1 Accompagnare le persone nel cambiamento


Nadia Osti 1
1.1 Il mentoring 3
1.2 Il counseling 7
1.3 La consulenza psicologica 12
1.4 La psicoterapia 22
1.5 Il coaching 27
1.6 Conclusioni 33

2 Tipi di coaching
Luigina Sgarro 42
2.1 Livelli di apprendimento di Bateson 45
2.2 Una prima distinzione 49
2.3 Il life coaching 50
2.4 Il coaching nelle organizzazioni 53
2.5 Lo specialty coaching o skill e performance coaching (SPC) 54
2.6 Development coaching 56
2.7 Executive e leadership coaching 62
2.8 Team coaching 69
2.9 Group coaching 72
2.10 Peer coaching 75
2.11 Nuove frontiere del coaching: il coach digitale e la chatbot 81
2.12 ll futuro del coaching secondo Forbes 85
2.13 Il coaching può essere un triangolo 88
2.14 Coaching che hanno a che fare con la psiche 90

3 Opportunità e rischi di un processo di coaching


Luigina Sgarro 91
3.1 Opportunità e rischi del coaching 91
XII Le vie del coaching

3.2 I vantaggi del coaching 93


3.3 I rischi del coaching 105
3.4 La professionalità del coach 116

4 Il coach non psicologo


Nadia Osti 118
4.1 Strumenti 119
4.2 Valutazione del rischio 123
4.3 Tecnica vs funzionamento 125
4.4 Transfert e controtransfert 127
4.5 Confini 129

5 Lo psicologo non coach


Nadia Osti 133
5.1 Gli standard della professione di psicologo 133
5.2 I rischi dello psicologo abilitato non coach 138
5.3 Conclusioni 143

6 Coaching e psicoterapia: similitudini e differenze


Luigina Sgarro 145
6.1 I falsi miti 148
6.2 La psicoterapia funziona? 160

7 Lo psicologo coach
Luigina Sgarro 163
7.1 Lo psicologo coach nella relazione di coaching 167
7.2 Il confine visibile 172
7.3 La preparazione come coach 174
7.4 L’esempio del capitale psicologico 176
7.5 Un’opportunità da cogliere 177

8 Orientarsi nelle relazioni di supporto al cambiamento


Luigina Sgarro 179
8.1 Chi cerca aiuto professionale, e quando? 180
8.2 Chi sono i coach oggi? 185
8.3 Le relazioni d’aiuto 186
8.4 Come scegliere 189
8.5 La scelta del professionista 196
Indice XIII

8.6 La valutazione dell’efficacia del coaching 197

9 Gli psicologi al servizio del coaching:


come consolidare una relazione
Michela Pajola 199
9.1 Modelli di riferimento 206
9.2 Coaching e psicoterapia 209
9.3 I quattro “principi attivi” comuni tra psicoterapia e coaching 212
9.4 Conclusioni 228

Bibliografia 229

Sitografia 238

Appendice.
Quadro di sintesi degli approcci psicoterapici classici
e delle loro evoluzioni 239
Prefazione
Il coaching e lo sviluppo delle risorse
nella Presidenza del Consiglio dei Ministri

Nel 2017, come parte del mio ruolo all’interno della Presidenza del Con-
siglio dei Ministri (PCM), mi sono confrontata con la Scuola Nazionale
dell’Amministrazione (SNA) sulla possibilità di svolgere un’analisi pun-
tuale delle esigenze formative dei dirigenti. In tale circostanza mi è stato
proposto un intervento di assessment center, ovvero un’attività che pre-
vedesse un’indagine globale delle “competenze trasversali” della perso-
na e non solo una valutazione della preparazione tecnica.
Un progetto di sviluppo che coinvolge aspetti personali, anche profondi,
come la personalità e la motivazione, al di là della conoscenza e dell’e-
sperienza finalizzata, ha richiesto cura e criterio sia nella comunicazione
del progetto sia nell’interazione di ogni singolo assessor con ciascuno
dei dirigenti coinvolti, anche per vincere la potenziale diffidenza iniziale
verso uno strumento tanto inusuale alle nostre “latitudini”.
Si trattava di un approccio per certi versi molto innovativo, almeno per
la PCM, per questo abbiamo selezionato con particolare attenzione il
team dei professionisti della SNA e, con il loro supporto, abbiamo indi-
viduato gli strumenti per l’assessment e la comunicazione in ogni fase e,
successivamente, progettato dei percorsi di coaching per quanti, a valle
dell’assessment, hanno voluto intraprendere percorsi di sviluppo di que-
sto tipo.
L’assessment nella sua fase realizzativa ha visto il coinvolgimento di ol-
tre duecento dirigenti apicali, tutte persone di grande esperienza, piena-
mente immerse nella cultura organizzativa. L’intervento è stato proget-
tato, coordinato e realizzato da professionisti abilitati, ovvero psicologi
iscritti all’Albo, come previsto dalla deontologia e dalla legge.
Ho quindi iniziato una collaborazione sistematica con la psicologia del
lavoro, con l’idea che per occuparsi di alcuni interventi serva una speci-
fica preparazione o professionalità e che uno psicologo ha delle compe-
tenze distintive per occuparsi delle persone, della loro mente e del loro
XVI Le vie del coaching

sviluppo, che possono essere particolarmente utili in un contesto orga-


nizzativo.
Il continuo confronto con gli esperti è stato l’avvio di un percorso di con-
sapevolezza che, nel tempo, si è sempre più consolidato e dal quale noi,
come dirigenza della Presidenza del Consiglio dei Ministri, abbiamo
potuto ottenere una maggiore comprensione dell’effettivo potenziale di
sviluppo di cui disponiamo.
Aver conosciuto e aver iniziato a impiegare strumenti come l’assessment
center e, successivamente, l’executive coaching, relativamente nuovi
all’interno di un’organizzazione tradizionalmente burocratica, come
quella in cui opero, è stata una fortunata opportunità, perché ci ha aper-
to molteplici possibilità di intervento e ci ha resi maggiormente consa-
pevoli di quanto tali strumenti siano di supporto per un migliore e più
adeguato sviluppo delle persone in un contesto organizzativo. Nel pas-
sato, siamo stati a lungo ancorati a interventi di formazione e sviluppo di
tipo per noi consolidato, basati su conoscenze tecnico-specialistiche, più
che sulla valorizzazione dei talenti di ciascuno, anche sulla base delle
attitudini individuali.
Alla fine della prima analisi abbiamo valutato le azioni di sviluppo possi-
bili emerse dai report dell’assessment center: spesso, tra queste, veniva
menzionato il coaching, individuale e di gruppo.
È stato così che abbiamo iniziato a interrogarci su che cosa davvero fos-
se il coaching, di cui si parla tanto, e in che modo poterlo inserire come
strumento di sviluppo, all’interno di un sistema organizzativo complesso
come il nostro.
Se da un lato è stato da subito chiaro, anche per il quadro normativo, ma
non solo per quello, che per fare l’assessment era necessario ricorrere a
uno psicologo, dall’altro è stato necessario domandarci quali fossero le
competenze richieste a un coach e come inquadrare la sua attività in un
processo di sviluppo.
Quali requisiti avremmo dovuto cercare che garantissero la qualità e la pro-
fessionalità dei percorsi di coaching che proponevamo? Che cosa avrem-
mo potuto dire in proposito ai dirigenti che ce lo avessero chiesto? Queste,
e molte altre, sono le domande su cui ci siamo costantemente confrontati,
che si pongono le stesse autrici, e a cui questo testo trovo dia risposte esau-
rienti e comprensibili, anche a una profana della materia come me.
Prefazione XVII

Il coaching è innanzitutto una relazione e questo testo la esplora cercan-


do di comprendere il rapporto tra la psicologia e il coaching, che hanno
entrambi a che fare con il comportamento, con la mente, con le inter-
connessioni all’interno di un’organizzazione, sulla quale io stessa mi
sono spesso interrogata.
Le autrici fanno un’analisi seria e approfondita sul tema, del quale tutti
parlano ma non tutti dicono le stesse cose, su come e perché è nato il
coaching, come si è sviluppato, quali sono le basi su cui poggia e qual è il
suo possibile futuro. Ma non solo.
Nel testo sono descritte le distinzioni tra mentoring, counseling e coa-
ching, che sono fondamentali e non sempre chiare per chi non è “del me-
stiere”. Vengono poi esplorati i vari tipi di coaching, le potenzialità dello
strumento, ma anche i rischi e come affrontarli. Infine, per sfruttare al
meglio le opportunità, e minimizzare le criticità, si affronta il tema della
preparazione più utile per chi vuole essere un coach.
Ho trovato utili da applicare nella pratica le informazioni contenute nel
capitolo 8, che offre uno schema per aiutare a scegliere il tipo di coa-
ching/relazione più in linea con le esigenze (proprie e dell’organizzazio-
ne) e per valutare l’efficacia del coaching.
Tornando all’esperienza della Presidenza del Consiglio dei Ministri,
riflettere sulle caratteristiche individuali di ciascuno e poterlo fare con
professionisti scelti in modo rigoroso, per esempio ricercando psicologi
abilitati in possesso della qualifica di coach, qual era la maggior parte dei
professionisti che hanno lavorato al progetto, è stato un enorme vantag-
gio, perché ha consentito a molti di coloro che hanno preso parte all’ini-
ziativa di fare una profonda riflessione su se stessi, cosa che non era mai
accaduta prima, e poi di riversare spontaneamente questa riflessione nei
rapporti interpersonali all’interno della nostra organizzazione.
Abbiamo visto che un coach, soprattutto se possiede solide competenze
in merito alla relazione di sviluppo, può affiancare il coachee in un per-
corso che guida e accompagna nella sperimentazione di sé e nella messa
a frutto di competenze e potenzialità.
Aver realizzato un intervento organico che ha previsto una fase di asses-
sment delle competenze e successivamente la possibilità di proporre, tra
le altre iniziative, dei percorsi di coaching a adesione volontaria, ha reso
più tangibile, all’interno della nostra organizzazione, l’idea che il capitale
XVIII Le vie del coaching

umano è il bene più prezioso che abbiamo e che quanto più ce ne prendia-
mo cura, tanto più riusciamo a migliorare il livello di rendimento di cia-
scuno e il clima organizzativo generale. Le persone, in questo processo,
si sentono considerate come tali, non solo in quanto parte di un servizio,
di un ufficio, di un dipartimento, ma come individui. In questo modo, ri-
escono anche a collocarsi meglio all’interno della struttura in cui sono
e a vedere tramite il confronto con un “lettore” esterno, in maniera più
chiara e oggettiva, i propri comportamenti e le relazioni con i colleghi.
Abbiamo osservato una serie di effetti positivi sulla gestione dei colla-
boratori, sul clima organizzativo complessivo, e questo ha generato e sta
ancora generando un profondo processo di cambiamento culturale.
La trasformazione in atto è agevolata anche da un processo di ricambio
generazionale che pian piano si sta verificando, e richiederà del tempo per
mostrare tutti i suoi frutti, ma la osserviamo quotidianamente e ci sta final-
mente facendo uscire da alcuni schemi legati a un modo di pensare all’or-
ganizzazione – ad esempio l’enfasi sulla sola preparazione tecnico-giuri-
dica – ormai superato e che, di fatto, in molti contesti, spesso non c’è più.
Il progetto iniziale non era stato immaginato come calibrato sul medio-
lungo periodo, ma poi abbiamo deciso di trasformarlo in uno strumento
fondante dei nostri percorsi di crescita professionale, di collegare a que-
sti interventi azioni di sviluppo delle potenzialità, che ci consentiranno
di operare al meglio e, di conseguenza, di rendere più incisivo il servizio
che quotidianamente facciamo nei confronti del Paese, che è l’obiettivo
principale della nostra attività.
Questo testo, scritto da tre psicologhe che ho avuto modo di conoscere
proprio grazie al progetto di assessment e poi di coaching con la SNA,
ha un approccio chiaro, tanto da risultare comprensibile anche a quan-
ti, come me, non abbiano una preparazione specialistica e, allo stesso
tempo, esplora in dettaglio il coaching, le sue caratteristiche, le sue sfu-
mature, e può essere un’utile lettura per chi voglia capire di più che cosa
significa far crescere un’organizzazione attraverso le persone e la perso-
na attraverso l’organizzazione.

Francesca Gagliarducci
Capo del Dipartimento del personale
della Presidenza del Consiglio dei Ministri
Presentazione

Quello che avete tra le mani è un libro sul coaching.


“L’ennesimo!” qualcuno potrebbe dire, forse un po’ sconsolato dal nu-
mero di pubblicazioni sul tema che in effetti stanno proliferando da di-
verso tempo sugli scaffali delle librerie.
Eppure, questo non è proprio l’ennesimo libro sull’argomento.
O meglio, non compaiono elementi di contenuto sul coaching: nessuna
teoria dettagliata, niente metodi rivoluzionari e nessun ambito di appli-
cazione innovativo.
Per chi conosce la psicologia cognitivista, si può dire che questo è un
libro di “metacoaching”. Se non c’è familiarità con questo linguaggio,
niente timori, si può esprimere la natura del testo anche in altre paro-
le: è un libro che riflette sullo stato dell’arte del coaching al momento
attuale.
A chi potrebbe interessare questa lettura?
Riteniamo che sia interessante proseguire se appartenete a uno di questi
gruppi:
• psicologi/psicoterapeuti coach possono fare il punto della situazio-
ne rispetto a una pratica della quale molti, forse troppi, parlano. In
questo caso, l’intento che ci muove è partire da solide basi teoriche
e da una modalità rigorosa di riflettere sull’efficacia degli approcci
proposti;
• psicologi/psicoterapeuti non coach, ma interessati al coaching, pos-
sono confrontarsi con colleghi coach che hanno svolto un lavoro di
sistematizzazione sull’argomento;
• psicologi/psicoterapeuti non interessati al coaching, ma curiosi,
avranno modo di comprendere come si sta muovendo questo ambito
di intervento, che occupa una fetta di domanda sempre più rilevante
e che quindi lambisce e si sovrappone spesso anche ad aree che po-
trebbero essere di appannaggio degli psicologi;
• coach non psicologi che siano intenzionati a comprendere come vie-
ne vista la professione da chi è psicologo/psicoterapeuta coach;
• potenziali coachee, sia nella sfera privata sia in ambito organizzativo,
XX Le vie del coaching

che avvertono il bisogno di chiarirsi le idee in merito alle tante propo-


ste che si moltiplicano in questo campo;
• persone desiderose di conoscere più da vicino i fenomeni sociali e
le tendenze che stanno sempre più caratterizzando il panorama del
mondo del lavoro.

A questo punto c’è qualche indizio in più sui destinatari del libro.
Diamo qualche altra informazione.
Questo è un testo sul coaching scritto da tre psicologhe, psicoterapeute e
coach che hanno esperienze pluridecennali nelle organizzazioni.
Le tre categorie professionali di appartenenza citate raccontano l’ordine
cronologico della nostra formazione e non esprimono un valore di rile-
vanza.
Naturalmente, ognuna di noi tre ha il proprio specifico percorso e inter-
preta il ruolo con il proprio stile, ma tutte riconosciamo le opportunità
che i diversi ambiti lavorativi generano l’uno rispetto agli altri. Rifletten-
do assieme, scambiando punti di vista e condividendo le nostre aspira-
zioni in merito a queste attività, abbiamo scoperto che per noi integrare
le tre sfere è fertile e generativo e vogliamo promuovere questa contami-
nazione anche presso i colleghi.
Abbiamo inoltre scoperto che, prima dell’incontro tra noi, nei tentativi
di confronto con altri colleghi psicologi, giungeva qualche timido con-
senso in merito al coaching, forse dettato dalla simpatia che suscitava
il nostro entusiasmo nel cercare di approfondire l’argomento. Eppure,
inesorabilmente, predominava la diffidenza.
Le frasi ricorrenti erano: “Se sei psicologo perché devi formarti come co-
ach? Hai già le competenze che ti servono per svolgere quella professio-
ne!”; “Uno psicoterapeuta competente lavora a certi livelli di profondità,
non ha bisogno di occuparsi di percorsi di coaching”; “Il coaching serve
per motivare, la psicologia è ben altra faccenda”; “Il coaching è un siste-
ma di controllo sociale”.
D’altra parte, a dirla tutta, quando ci confrontavamo con coach non psi-
cologi incappavamo in pregiudizi analoghi, anche se di segno inverso:
“La psicologia non aiuta davvero le persone, fa solo delle sterili anali-
si!”; “Gli psicologi interpretano e fanno diagnosi. Ti dicono se sei sano
o malato di mente e poi ti piantano lì”; “Se vuoi davvero uscire da una
Presentazione XXI

situazione difficile hai bisogno di strumenti concreti, non ti serve uno


psicologo!”.
Insomma, ci è successo di imbatterci in tanti pregiudizi sia relativi alla
psicologia sia al coaching.
In particolare, forse i colleghi psicologi avevano raccolto esperienze di
coaching gestite grossolanamente o, comunque, secondo noi, senza la
professionalità necessaria a esercitare questo ruolo esprimendone tutte
le potenzialità. D’altra parte, le critiche rivolte agli psicologi toccavano
un tema centrale per noi, che riguardava la capacità di accompagnare le
persone nel cambiamento in maniera concretamente osservabile e rile-
vante nei contesti specifici di riferimento.
Quando ci siamo incontrate – benedetta sincronicità! – è stato confortan-
te trovare un sentire condiviso e una comunione di intenti tra noi.
Crediamo fortemente che coaching e psicologia siano ambiti che pos-
sono beneficiare l’uno dell’altro e in questo volume abbiamo sistematiz-
zato il pensiero a riguardo, fondando le nostre riflessioni sulla sintesi di
alcune ricerche che abbiamo raccolto, e raccontando alcuni input deri-
vanti da percorsi di coaching effettivamente svolti.
Il titolo che abbiamo scelto sottolinea come il coaching sia una, anzi tan-
te vie possibili per chi desidera lavorare al servizio del cambiamento e in
particolare, come molte, se non tutte, le strade che portano al coaching
o da esso partono, implichino una contaminazione tra le professioni di
psicologo e il ruolo del coach. Tale contaminazione può diventare un’u-
nione feconda tra il metodo del coaching e la psicologia, intesa come
corpus di teorie scientificamente fondate. Per fare questo ci vuole una
certa dose di “irriverenza”, ed ecco qui il sottotitolo. Sviluppano il tema
Cecchin, Lane e Ray in Irriverenza. Una strategia di sopravvivenza per i te-
rapeuti (2003), dove l’irriverenza è intesa come la capacità di non seguire
necessariamente gli assiomi professati dalle “psicoteologie”.
Ogni capitolo è firmato da una di noi, che ne ha curato in prima persona
la stesura, tuttavia la metodologia con la quale abbiamo realizzato il libro
è quella del testo collettivo, la stessa che ha sperimentato don Milani nel
suo approccio pedagogico. Insieme abbiamo generato idee, le abbiamo
organizzate, criticate e riviste, le abbiamo approfondite e ne abbiamo
ideate delle altre. Insomma, questo volume è scritto a sei mani e tre cuori.
Nel momento del confronto tra noi, abbiamo inoltre condiviso alcuni
XXII Le vie del coaching

fatti aneddotici che hanno destato la nostra perplessità. Durante alcuni


colloqui di lavoro era emerso che il nostro interlocutore ci chiedesse se
fossimo iscritte all’ICF (International Coach Federation), che è una del-
le federazioni private di coach più diffuse e attualmente presenti a livello
internazionale.
Non era sufficiente il fatto che fossimo psicologhe, psicoterapeute e co-
ach, quindi con una formazione ad hoc in questo specifico ambito. Se-
condo il nostro interlocutore, l’iscrizione all’ICF era una garanzia mag-
giore rispetto a tutte queste formazioni congiunte. Questo ci ha fatto
molto riflettere.
Ci siamo domandate: che credito hanno la psicologia e la formazione
che offre? che affidabilità fornisce l’Ordine degli Psicologi, l’ente pub-
blico di riferimento che disciplina la nostra professione e che è vigilato
dal Ministero della Salute, al quale siamo iscritte? che credito hanno le
scuole di formazione di coaching in sé?
Ciò che dava garanzia ad alcune organizzazioni clienti era una federa-
zione privata di coach senza un riconoscimento a livello legislativo. Que-
sto fatto meritava una riflessione più approfondita sulla credibilità della
psicologia a livello sociale e culturale.
Altro aspetto che ci ha stupite è stato il momento in cui abbiamo effet-
tuato una ricerca di psicologi coach che partecipassero a un bando per
svolgere dei coaching in un contesto istituzionale particolarmente deli-
cato. Ritenevamo che l’appartenenza a un ordine professionale offrisse
le garanzie che cercavamo.
Abbiamo fatto davvero fatica a rintracciarne.
Significava che i colleghi psicologi non si formavano come coach? Per
quale ragione un’area così delicata e strategica di intervento nella vita
privata e lavorativa delle persone era lasciata scoperta dalla nostra pro-
fessione? Che cosa ostacolava l’accesso all’ambito del coaching per gli
psicologi?
Ultimamente abbiamo partecipato a un evento in ambito organizzativo
e una nostra collega si è presentata come “leadership coach” e non come
psicologa. Ha dato più importanza a un anno di corso che a cinque anni
di studio, all’abilitazione e all’anno di tirocinio. Ci è sembrato significati-
vo e ci siamo domandate quali valori culturali stiano alla base delle scel-
te individuali dei singoli professionisti.
Presentazione XXIII

Focalizzandoci su queste riflessioni abbiamo deciso di sistematizzare le


informazioni presenti nel panorama attuale.
Nel primo capitolo vengono esplorate le distinzioni tra mentoring,
counseling, interventi psicologici, psicoterapia e coaching. Nel capitolo
compare una disamina per ciascuno di questi ambiti. A livello teorico
vengono delineate differenze nitide tra i vari ambiti e vengono anche
confezionate in modo accattivante. Eppure, un’analisi più attenta mo-
stra che le distinzioni nette che vengono fatte, spesso sembrano essere
pensate in una logica di marketing, che ha necessità di semplificazioni,
rassicurazioni ed enfatizzazioni, ma sono sfumate nei contenuti, lascian-
do spazio ad aree di sovrapposizione evidenti per gli addetti ai lavori.
La nostra riflessione è che l’unico fatto incontrovertibile che diversifica
in modo netto le varie proposte è la formazione necessaria a dichiararsi
appartenente a ognuna di queste categorie professionali.
Ci siamo dunque domandate quale sia la formazione potenzialmente
più sintonica e funzionale agli obiettivi del coaching.
Nel secondo capitolo vengono esaminate le distinzioni tra le varie forme
di coaching proposte al momento attuale. Le declinazioni sono variegate
e, a volte, c’è un uso poco pertinente del termine. Spesso, quando un fe-
nomeno prende piede e se ne ravvedono le opportunità, anche economi-
che, si tende ad abusarne. Utilizzare a oltranza un termine lo inflaziona
fino a rischiare di svuotarlo di significato. Verrà esplorato se questo stia
accadendo anche al coaching. In queste pagine non ci si soffermerà sulle
derive più fantasiose del fenomeno, ma verranno approfonditi gli ambiti
nei quali il coaching mette a frutto il suo pieno potenziale. La riflessione
viene guidata anche utilizzando il modello dell’apprendimento di Gre-
gory Bateson, antropologo e psicologo. La condivisione di casi concreti
rende più esplicito ogni passaggio.
Nel terzo capitolo vengono sondate le specificità del processo di coa-
ching, esplicitandone le caratteristiche peculiari e valorizzando ciò che
questo offre nei vari contesti in cui può essere calzante. Sarà possibile
anche individuarne i rischi, in modo tale da riuscire ad aggirarli senza
soccombervi. In questo capitolo viene anche condivisa qualche rifles-
sione relativa al modo in cui è percepito a livello sociale lo psicologo
e alla zavorra culturale che ancora grava su questa professione. Tra le
conclusioni, c’è uno stimolo per gli psicologi a continuare a promuovere,
XXIV Le vie del coaching

nell’immaginario collettivo ma anche all’interno della categoria di pro-


fessione, la riflessione sul contributo che può portare la psicologia posi-
tiva, intesa come quell’ambito della psicologia che sta approfondendo
lo studio e gli strumenti che sviluppano il benessere e le potenzialità di
ciascuno.
Il quarto capitolo propone riflessioni sulle caratteristiche di un interven-
to gestito da un coach non psicologo che si avventura nel mondo delle
relazioni e delle emozioni con la sola preparazione tecnica che gli ha
proposto la scuola di coaching che ha frequentato. Durante l’arco degli
studi, uno psicologo ha incontrato molti modelli che descrivono il fun-
zionamento degli esseri umani nei loro contesti di riferimento. Una si-
gnificativa parte degli psicologi ha metabolizzato che “la mappa non è il
territorio”1 e che, a seconda della mappa che si utilizza, si può tracciare
un percorso differente. Stando ancora nella metafora, ciò significa che
uno psicologo ha allenato la capacità di utilizzare la cartina della me-
tro se vuole recarsi rapidamente da una parte all’altra della città, ma sa
anche scegliere la mappa dei cinema di un quartiere se vuole vedere un
film o individuare le indicazioni per raggiungere un parco se vuole go-
dere della natura. Uno psicologo può avere più strumenti per rendere
ricca l’esperienza della propria e altrui realtà perché sa che, a seconda
della lente attraverso la quale osserva il mondo, vedrà aspetti differenti.
Forse un coach che apprende un unico modello di coaching rischia più
facilmente di confondere la mappa che ha appreso con la realtà del co-
achee e quindi di ridimensionarne la ricchezza. La citazione di un afo-
risma particolarmente incisivo, scritto da uno dei punti di riferimento
della psicologia mondiale, permetterà la sintesi delle riflessioni che si
propongono.
Abbiamo molti amici tra i coach non psicologi e riconosciamo loro una
solida professionalità che, dal nostro punto di vista, implica quell’in-
sieme di qualità che rimandano a costanza dell’impegno, scrupolosità
nell’aggiornarsi e umiltà nel mettersi in discussione.

1
Questa espressione è una pietra miliare di Alfred Korzybski, linguista e matematico, poi
ripresa e ulteriormente valorizzata da Gregory Bateson, che sottolinea quanto il linguaggio
serva a formarsi un’idea del mondo che ci consente di muoverci in esso con un certo grado
di sicurezza. Allo stesso tempo, è fondamentale non confondere la nostra rappresentazio-
ne della realtà, che è solo una mappa, con la realtà stessa, che è il territorio.
Presentazione XXV

D’altra parte, queste qualità sono le stesse che apprezziamo tra i colleghi
psicologi coach.
Molti coach non psicologi riconoscono che una formazione psicologica
è, per sua natura, articolata e salda e permette un intervento solido per-
ché svolto dopo una riflessione che inquadra la situazione specifica in un
contesto più ampio.
Nel quinto capitolo vengono considerate le modalità di approccio che ri-
guardano gli psicologi che intraprendono la pratica del coaching senza
un’adeguata formazione mirata nello specifico al coaching.
Riprendendo la legge 18/02/1989 n. 56, che definisce la professione del-
lo psicologo, disciplinata anche dal codice deontologico degli psicologi
italiani, si riflette su come la formazione psicologica permette di inqua-
drare in modo organico una situazione e quindi di fare una diagnosi an-
che utilizzando una testistica che solo gli psicologi sono formati a som-
ministrare e a leggere. Oltre agli strumenti conoscitivi, gli psicologi sono
abilitati all’intervento sia in una logica preventiva sia per un sostegno
in ambito psicologico rivolto alla persona, al gruppo e alle comunità di
appartenenza. Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca
e didattica.
Questo percorso formativo risulta, dal nostro punto di vista, una base
fondamentale in sé non sufficiente, in quanto necessita, comunque, di
strumenti specifici di intervento, esattamente come avviene per la psico-
terapia e la somministrazione di alcuni tipi di reattivo che, pur essendo
riservati agli psicologi, richiedono un’ulteriore preparazione specifica.
Anche in questo caso vengono proposte alcune riflessioni alle quali si
tenta di rispondere, come ad esempio: il linguaggio dello psicologo, per
quanto preciso e tecnico, è sempre fruibile o in alcuni casi può risultare
poco facilitante?
Qual è l’approccio che adotta uno psicologo? C’è un’abitudine a sceglie-
re quando è più funzionale adottare un linguaggio diagnostico-astratto
piuttosto che diagnostico-legato all’azione? Gli studi universitari forni-
scono le stesse conoscenze operative e gli strumenti di intervento che dà
una formazione in coaching?
Il sesto capitolo affronta il tema delle differenze e similitudini tra psi-
coterapia e coaching, uno tra i temi più rilevanti e delicati presenti nel
testo. Verranno approfondite la contiguità, ma anche le divergenze, tra
XXVI Le vie del coaching

questi due ambiti che hanno come focus la capacità di accompagnare le


persone nelle fasi di transizione dalla condizione attuale a quella deside-
rata. Questo elemento è così significativo che verrà ripreso da un’angola-
tura complementare anche nell’ultimo capitolo.
Nel settimo capitolo individueremo le caratteristiche dello psicologo
coach che è un professionista che sa muoversi con disinvoltura tra le te-
orie consolidate sull’uomo e sui contesti familiari e organizzativi tipici
dello psicologo e la tecnicalità, specifica e mirata, del coach. Verranno
condivise in queste pagine alcune delle caratteristiche peculiari di tale
figura professionale come l’egoless, la curiosità, la neutralità, la circola-
rità, l’ingenuità. Verranno sottolineate l’importanza etica e strategica di
riconoscere operativamente gli elementi di transfert e controtransfert.
Si introdurrà il tema della malattia mentale nelle organizzazioni. Verrà
approfondito il ruolo fondamentale della riservatezza e anche il vantag-
gio che porta lo psicologo nella lettura dei test.
Dopo una premessa generale sul profilo tipico di coach e coachee che
è possibile incontrare più facilmente nella pratica, nell’ottavo capitolo
vengono proposti due strumenti operativi, dal valore euristico: uno sche-
ma per scegliere consapevolmente il tipo di coaching/relazione più in
linea con le proprie esigenze e una riflessione per creare uno strumento
di valutazione dell’efficacia del coaching basata su un adattamento del
modello di Kirkpatrick. Questo modello è uno dei modi più comuni con
cui gli esperti dell’apprendimento e dello sviluppo misurano l’efficacia
delle soluzioni di apprendimento. Il modello proposto riadatta i quattro
livelli che orientano i professionisti a compiere valutazioni sull’efficacia
dei cambiamenti, tarandoli nello specifico sul processo di coaching.
L’ultimo capitolo di questo volume muove dalle riflessioni presenti nel
testo per sostenere la convinzione che il coaching sia uno strumento pre-
zioso e che la relazione tra psicologia e coaching meriti un’attenzione
maggiore di quella ricevuta fino ad ora proprio dalla psicologia, che forse
l’ha considerato un parente poco nobile.
Le richieste di percorsi di coaching sono sempre più numerose e siamo
certe che gli psicologi che desiderano svolgere interventi utili e gratifi-
canti abbiano la possibilità di apportare un contributo distintivo in que-
sto ambito. In particolare, come Giano bifronte era in grado contempo-
raneamente di guardare al passato ed al futuro, così lo psicologo coach
Presentazione XXVII

è in grado di leggere dinamiche allargate (famiglia e organizzazione) e


percorsi di individuazione.
Lo psicologo coach può accompagnare il coachee in un percorso che si
dipana tra strategia e tecnica, tra problem setting e problem solving per
sostenere la sperimentazione di sé e la messa a frutto di competenze e
potenzialità.
Per concludere, esplicitiamo due ultime precisazioni trasversali a tutto il
testo. Quando parleremo di psicoterapia compariranno come sinonimi il
termine “paziente” e “cliente”. Riteniamo che entrambe queste accezio-
ni descrivano degli elementi essenziali da riconoscere in una persona che
intraprende un percorso terapeutico. La parola “cliente” viene introdotta
da Carl Rogers, psicoterapeuta umanista fondatore della terapia centrata
sul cliente, e sottolinea la sfumatura della parità con il terapeuta che forni-
sce una prestazione di cui il cliente ha bisogno, ma che lascia entrambi in
una relazione di pari dignità. Il termine “paziente”, utilizzato inizialmen-
te da Sigmund Freud, neurologo viennese fondatore della psicoanalisi,
evidenzia la capacità della persona che intraprende una psicoterapia di
“percepire, sentire e, per esteso, soffrire”. Cesare Pavese, aveva espresso
in modo incisivo quanto è fondamentale riconoscere la sofferenza delle
persone, quando aveva affermato: “L’offesa più atroce che si può fare a un
uomo è negargli che soffra” (Il mestiere di vivere. Diario 1935-1950, 1952).
Lo spazio della terapia diventa dunque un luogo protetto nel quale esplo-
rare la propria sofferenza affinché porti frutto e al contempo riconoscere
la dignità della persona che è responsabile del proprio percorso. Ecco per
quale ragione abbiamo utilizzato come intercambiabili i due termini.
Un’ultima specifica riguarda la dicitura “coaching che ha a che fare con
la psiche” che, a nostro avviso, potrebbe comprendere una buona parte
delle casistiche in cui la persona che guida il percorso si definisce mental
coach2, termine che noi, in questo testo, d’ora in poi non useremo. Ab-
biamo inserito questa espressione per identificare quel tipo di coaching
che, dal nostro punto di vista, necessita di una competenza psicologica:
cioè richiede di saper gestire le dinamiche più sottili della relazione tra

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Solo per citare due casi che sono apparsi sulla stampa recentemente, ricordiamo
l’intervista rilasciata da Luciano Sabattini e da Nicoletta Romanazzi: www.ilmessaggero.
it/persone/mental_coach_sportivo_come_diventare_famosi_corsi_cosa_fa_tecniche_
formazione_news-6118140.html (consultato il 20/7/2023).
XXVII Le vie del coaching

il coachee e i suoi interlocutori o tra il coachee e i vari Sé che lo abita-


no3, che si manifestano in particolar modo nei conflitti interiori e nel-
la difficoltà di prendere decisioni. Con questa espressione intendiamo,
inoltre, l’aspetto indispensabile di avere un’adeguata conoscenza di base
del funzionamento delle emozioni e di come facilitarne l’elaborazione in
sede di coaching. Ad esempio, nei percorsi di executive coaching (di cui
si tratterà nel corso del libro) riteniamo fondamentale un “coaching che
ha a che fare con la psiche”, a differenza di altri tipi di percorsi (come, ad
esempio, il business coaching) che non prevedono interventi a matrice
psicologica.

Michela Pajola

3
Modello teorico che fa riferimento alla descrizione della personalità dell’individuo
come una realtà multiforme costituita da molteplici aspetti chiamati anche “Sé”, “voci”,
“sub-personalità” (si veda, Stone e Stone, 1996; Kent, 2015).
Accompagnare le persone
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nel cambiamento
Nadia Osti

Districarsi tra i diversi orientamenti preposti ad accompagnare le persone


al cambiamento è un’impresa ardua e un sentiero costellato da ostacoli.
In effetti, a ben guardare, quando pensiamo al coaching, al counseling,
al mentoring e alla psicoterapia non troviamo nemmeno una categoria
che racchiuda queste discipline in un unico contenitore.
Discipline di aiuto? Professioni che accompagnano al cambiamento?
Possiamo arbitrariamente chiamarle come preferiamo, ma una dicitura
ufficiale che le racchiuda tutte non c’è, quasi a testimoniare, nonostante
le somiglianze di intenti, la confusione e la fatica, per quanti se ne occu-
pano, di coesistere.
Le diverse scuole di formazione al coaching e counseling manifestano
chiarezza di intenti e orientamenti teorici puntuali; a tal proposito sono
stati versati fiumi di inchiostro su riferimenti bibliografici, ambiti di ap-
plicazione e prospettive diverse.
Tuttavia, uno degli ostacoli principali nel cercare di distinguere queste
discipline è quando si passa dalla teoria alla pratica.
Gli stereotipi, i retaggi culturali poco attuali e i pregiudizi abbondano e
confondono le idee di chi si avvicina a queste discipline per esercitare in
coscienza quell’attività oppure poterne fruire al meglio.
Uno stereotipo frequente è quello che sostiene che dallo psicologo ci
vanno i matti; altre convinzioni sono legate all’idea che lo psicologo si
occupi del passato delle persone, a differenza del coach che lavorerebbe
sul futuro del coachee.
2 Le vie del coaching

Spesso, inoltre, si attribuisce alla psicologia una medicalizzazione che,


nella realtà dei fatti, non c’è: basti pensare al movimento sistemico co-
struttivista che sostiene che proprio le categorie diagnostiche, il linguag-
gio e i principi euristici utilizzati dai terapisti possono essere alla base dei
processi di costruzione sociale della psicopatologia.
Un aspetto comune a tutte le discipline oggetto del capitolo è che tutte
sostengono che l’ascolto è una parte fondamentale del processo di aiuto.
Ascoltare: tutti dichiarano di farlo ma quali sono le mappe mentali sot-
tostanti? Quale tipo di premesse si cela dietro a un comportamento di
ascolto attivo o riflessivo, o anche empatico?
Spesso, inoltre, si confondono i livelli. Nel bestseller americano The
heart of laser-focused coaching, Marion Franklin (2019) propone un mo-
dello che riprende la terapia rogersiana integrando counseling, coaching
e psicoterapia, come vedremo nell’esempio citato nel capitolo 6, sulle
similitudini e differenze tra coaching e psicoterapia.
Molti autori e formatori hanno provato a fare distinzioni tra questi ap-
procci, ma le differenze che si possono tracciare sulla carta si sfumano
moltissimo nella realtà, dove diviene necessario continuare a lavorare
sulla sensibilizzazione di clienti e organizzazioni rispetto alla fruizione
consapevole di queste discipline.
In questo capitolo proveremo a fare chiarezza cercando criteri condivi-
si/condivisibili/oggettivi che colorino di differenze e somiglianze le arti
di accompagnare le persone al cambiamento.
Quali sono le pratiche a cui facciamo riferimento?
Vediamole brevemente a una a una, cercando risposte nell’essenza dei
loro fondamenti, nelle definizioni istituzionali, nelle pratiche formative
proposte dalle associazioni di categoria preposte, dalle università o dalle
istituzioni pubbliche o private.
Parliamo di:
• mentoring
• counseling
• consulenza psicologica
• psicoterapia
• coaching.

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