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Medical Stars: Blue Sky thinking at the point of care

Luca Melis, Alessandro Gallo

Metodologie per la
ricerca qualitativa nelle
life sciences
Teoria e pratica dei metodi per il consenso
e delle tecniche per la facilitazione di advisory
boards e altri expert groups

Con la prefazione di Gilberto Corbellini

Contributi di Silvano Tagliagambe, Camilla Ciani, Chiara


Formigoni, Manuela Lai, Monica Saba, Marcello Secchi



II
Medical Stars: Blue Sky thinking at the point of care
Metodologie per la ricerca qualitativa nelle life sciences
Luca Melis, Alessandro Gallo

ISBN 978-88-6756-665-5

Indirizzo e-mail: shcmilan@springer.com

Via Decembrio, 28 © 2022 Springer Healthcare Italia S.r.l. -  Luca Melis


20137 Milano Pubblicato nel mese di gennaio 2022
www.springerhealthcare.it Hanno collaborato alla revisione di questo testo Luca Melis,
Alessandro Gallo, Filippo Polcaro ed Eleonora Zanaboni.
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Metodologie per la
ricerca qualitativa nelle
life sciences
Teoria e pratica dei metodi per il consenso
e delle tecniche per la facilitazione di advisory
boards e altri expert groups

A cura di:
Luca Melis, Alessandro Gallo

Con la prefazione di Gilberto Corbellini

Contributi di Silvano Tagliagambe, Camilla Ciani, Chiara Formigoni,


Manuela Lai, Monica Saba, Marcello Secchi
a Tommaso e Chiara
perché continuino a costruire un mondo
di buona scienza e buoni discorsi
Sommario

Prefazione XI

Introduzione XV
1 Consenso ed expert opinion come fonti del lavoro scientifico 1
1.1 Cosa si deve intendere per consenso 2
1.2 L’esperto come fonte 3
1.3 Panel di esperti: un razionale 4
1.4 Verso un modello del consenso 6
2 Come funziona e come far funzionare un expert group 11
2.1 I modelli della comunicazione 12
2.2 Le dinamiche del gruppo 13
2.3 La gestione di un gruppo 18
2.4 I ruoli nel gruppo 23
3 Tecniche per l’interazione strutturata negli expert groups 25
3.1 Le metodologie principali 26
3.2 Il metodo Delphi 27
3.2.1 Descrizione del metodo 27
3.2.2 Gli attori 30
3.2.3 Le fasi di una analisi Delphi 31
3.3 La Nominal Group Technique 42
3.3.1 Descrizione del metodo 42
3.3.2 Il setting 43
3.3.3 Le fasi di un NGT 44
3.4 Il Metaplan 49
3.4.1 Descrizione del metodo 49
3.4.2 Il setting 52
3.4.3 Le fasi di un workshop Metaplan 55
4 L’applicazione dei metodi in concreto 63
4.1 La preparazione e gestione dei setting 64
4.1.1 L’organizzazione di un expert meeting in presenza 64

IX
4.1.2 L’organizzazione di un expert meeting in remoto 67
4.1.3 L’organizzazione di una survey 71
4.2 Il passaggio dai dati ai risultati 73
4.2.1 La elaborazione dei dati quantitativi 73
4.2.2 La valorizzazione dei dati qualitativi 82

5 Valorizzare i risultati della expert opinion 85


5.1 Prima della expert opinion: il metodo di ricerca bibliografica 86
5.2 Le banche dati bibliografiche – come strutturare
delle search query 88
5.3 Come funzionano le riviste scientifiche in riferimento
alle banche dati? 93
5.4 L’accesso al full text degli articoli 94
5.5 Prima di avviare la ricerca: definire gli unmet needs
e il quesito (o i quesiti) alla base degli statements 95
5.6 Come ridurre il bias 96
5.7 Il lavoro scientifico dopo la expert opinion: il paper 97
5.8 Altri outcome generati dalla expert opinion: linee guida,
algoritmi, etc 97
5.9 Alcuni limiti della expert opinion, e come gestirli 98

6 Epistemologia del consenso 101


6.1 L’incertezza radicale 102
6.2 L’intersoggettività come risultato della proprietà
di “costringere all’assenso” 103
6.3 L’erosione della proprietà di costrizione all’assenso 104
6.4 Il processo di costruzione del consenso
e dell’intersoggettività 108
6.5 Dall’induzione all’abduzione 110
6.6 La teoria dell’informazione integrata 116
6.7 Conclusione 118
7 Appendice 121
7.1 Acronimi e termini tecnici 122

X
Prefazione
Gilberto Corbellini

L’utilità e il tempismo di questo testo si colgono riflettendo da un lato


sull’evoluzione storica del problema di assicurare una standardizzazione
nell’uso sociale delle conoscenze, che garantisca i migliori esiti nell’interes-
se di tutti coloro che pagano la ricerca o aspirano a godere dei suoi risulta-
ti applicativi, dall’altro constatando una tragedia che si sta consumando
sotto i nostri occhi a fronte della minaccia pandemica: quella degli esperti.
Una delle cose che dovremmo aver imparato da circa due anni di emer-
genza pandemica è quanto sia difficile, malgrado gli strumenti di cui di-
sponiamo e le dichiarazioni di intenti di politici ed esperti, usare in modi
rapidi, efficaci ed efficienti la conoscenza scientifica e la tecnologica mi-
gliore di cui disponiamo. Abbiamo visto che, tranne per un ambito molto
definito come la valutazione della sicurezza ed efficacia dei vaccini, non è
stato facile giungere a un consenso solido, per esempio, sulle misure non
farmacologiche o sull’uso di alcuni presunti trattamenti.
In Italia abbiamo anche osservato gli esperti darsele di santa ragione in
televisione, nel più completo disaccordo quasi su tutto. Affermare che que-
sto sta minando la credibilità pubblica degli esperti è un’ovvietà. Il fatto che
sia così difficile veder emergere spontaneamente il consenso tra esperti e
tra scienziati (profili “epistemologicamente” diversi), ci dice perché e quan-
to sia stato importante, diciamo dagli anni Settanta e Ottanta del secolo
scorso, allestire dei panel di specialisti, soprattutto in ambito medico-sani-
tario. Importante per far chiarezza non tanto sul pluralismo teorico colti-
vato in qualche specialità – per quello ci vogliono gli esperimenti pubblica-
ti e replicati – quanto sulle migliori pratiche che vengono testate usando
diverse metodologie, tanto che si è anche pensato che fossero riconducibili
a una sola, i trial clinici randomizzati e controllati (RCT).
Ricordiamo, en passant, che i RCT evolvono storicamente da una va-
rietà di strategie che risalgono a inizio Ottocento, aventi lo scopo di evitare
gli autoinganni e gli inganni nella ricerca e nell’uso di trattamenti. Via via
che emergevano le metodologie statistiche per usare efficacemente la ran-
domizzazione e prevenire i bias confondimento, a fronte delle opportunità
economiche per la ricerca clinica che si aprivano dopo la Seconda guerra
mondiale, diventava possibile realizzare in modi sistematici sperimenta-
zioni che riversavano valanghe di risultati, senza che però questi trovassero
un consenso applicativo o fossero comunicati ai medici e sanitari in trin-
cea. A questo ha provveduto un programma di conferenze di consenso dei

XI
Prefazione

National Institutes of Health, attivo dal 1977 al 2013, che ha fornito le coor-
dinate metodologiche per capire quali sono i modi migliori e quelli peggio-
ri per preparare e organizzare i panel di esperti, e per comunicare i risulta-
ti delle discussioni di consenso.
La ricerca scientifica non è una attività che mira politicamente al con-
senso. Anzi. Ricordiamo che Max Planck pensava che il consenso tra gli
scienziati fosse un ostacolo all’innovazione teorica. La scienza sarà anche
un’impresa sociale, come si usa dire, ma questo è un truismo. C’è forse
qualche attività umana che non si inserisca all’interno di una impresa so-
ciale? Di fatto, quando siamo intellettualmente onesti, insegniamo ai nostri
studenti a dubitare di quello che diciamo loro (o meglio, come dubitare), e
a non prender per vero quello che dice il primo che arriva, anche se ha
appena vinto il premio Nobel. La scienza si sviluppa o avanza attraverso la
critica, il dissenso, la competizione tra singoli o gruppi di scienziati, e in un
modo del tutto non sovraordinato, ma regolato o canalizzato; accade attra-
verso la selezione delle teorie, delle spiegazioni e delle innovazioni che me-
glio corrispondono alla realtà, o che sono funzionali alla soluzione di pro-
blemi. Il consenso non è, quindi, per la scienza, ma per le scienze applicate,
per dirimere controversie pratiche.
I consensi e le opinioni esperte sono conoscenze applicabili, ricavate da
studi più o meno controllati e quindi già scientificamente filtrati. Expert
opinion e expert consensus, di primo acchito, sembrano locuzioni ossimo-
riche. Cadono nella trappola semantica coloro che negano valore oggettivo
ai documenti licenziati sulla base di metodologie che cercano di estrarre
dal pensiero degli esperti le conoscenze più validate, evitando l’interferen-
za di quei bias soggettivi di cui gli esperti possono essere vittime in modi
peggiori dei non esperti, per integrarle funzionalmente e adeguarle alla
varietà del mondo reale. Infatti i problemi ci sono, e nella raccolta e coor-
dinamento delle migliori conoscenze ed esperienze rispetto a un problema
occorre profilare adeguatamente la pluralità di metodologie in gioco e ag-
girare per esempio le trappole del groupthink.
Se si tratta di opinioni o di un consenso, dicono talvolta i critici, perché
mai si dovrebbe credere ad affermazioni che non hanno uno statuto scien-
tifico, in quanto validato attraverso la sottomissione di un paper al processo
di peer review e a tentativi di falsificazione da parte della comunità a valle
della pubblicazione? Ovvero, cosa mi dice che il consenso non sia stato
raggiunto su basi politiche più che scientifiche? In effetti, la ragione per cui
servono pubblicazioni come questa che avete in mano, dove si discute la
teoria della costruzione del consenso esperto e si forniscono anche le map-
pe per organizzarlo, è che un consensus document è poco credibile se è
stato il prodotto di un fine settimana di discussioni tra amici o colleghi in
un meraviglioso luogo di villeggiatura, senza trasparenza nella selezione
degli studi in base a specifici standard di prova, senza la selezione degli

XII
Prefazione

esperti in modo da evitare interferenze psicologiche o conflitti di interesse


distorcenti o che indeboliscono la qualità dei risultati, etc.
La questione delle contaminazioni industriali e politiche della scienza è
stato un tema sociologico molto dibattuto negli ultimi decenni. Si dice che
l’ethos dello scienziato è cambiato dai tempi della scienza detta “accademi-
ca”, che Robert Merton (1942) aveva racchiuso nell’acronimo CUDOS
(Communalism, Universalism, Disinteredness, Organized Skepticism),
un’etica che valorizzava inclusivamente la creatività e la comprensione
scientifica nel lavoro di ricerca. La scienza post-accademica sarebbe per-
meata da un ethos che John Ziman (2000) ha racchiuso nell’acronimo
PLACE (Proprietary, Local, Authority, Commissioned, Expert), ovvero in-
fluenzata da condizionamenti politici e industriali. Tuttavia, lo storico del-
la scienza Steven Shapin ha mostrato che la vocazione scientifica e le virtù
morali dello scienziato sono rimaste grosso modo le stesse dall’illumini-
smo a oggi, anche se sono cambiate le modalità di accreditamento della sua
reputazione: integrità, onestà e apertura mentale rimangono le qualità che
più caratterizzano la categoria, in ambito sia accademico sia industriale.
Sono queste virtù che consentono di pianificare l’indispensabile lavoro di
raccordo tra esperti, per estrarre dalle loro esperienze le migliori pratiche
al servizio dei cittadini.

XIII
XIV
Introduzione

Ogni giorno milioni di medici in tutto il mondo prendono decisioni


diagnostiche e terapeutiche, nonostante i dati a conforto delle proprie de-
cisioni siano meno di quanto essi desidererebbero. Non si tratta di persone
superficiali o incoscienti, bensì di professionisti responsabili che sanno di
dover operare nell’interesse del paziente, anche nei contesti in cui non esi-
ste ancora un razionale basato su evidenze documentate (evidence-based).
Questi professionisti prendono decisioni sulla base della propria esperien-
za, dell’esperienza altrui (nella misura in cui questa è loro accessibile) e
infine del buon senso. Procedono in questo modo esattamente per questo
motivo: perché – purtroppo – non esiste ancora un razionale evidence-ba-
sed. Nell’attesa di questo, i clinici e i professionisti sanitari hanno il dovere
di operare, e lo fanno talvolta esponendosi a rischi personali dal punto di
vista della imputabilità delle loro azioni sul piano giuridico. Non basta: lo
fanno spesso in solitudine, non disponendo di mezzi strutturati per “socia-
lizzare” il caso specifico e l’ipotesi diagnostica o terapeutica elaborata in
risposta.
Ogni giorno centinaia di prodotti farmaceutici sono sottoposti a scru-
tinio dai medici che li prescrivono, dai pazienti che li assumono, dalle
agenzie governative che ne regolano la registrazione e le indicazioni per
l’uso. Le aziende che li producono hanno investito somme elevatissime per
il loro sviluppo e per la ricerca che l’ha preceduto, spesso stipulando accor-
di con aziende biotech e terze parti, e scommettendo su prodotti che hanno
per definizione un ciclo di vita in cui la fase pre-commerciale (quella in cui
il prodotto viene ideato, sviluppato, testato) è enormemente più lunga ri-
spetto alla maggior parte degli altri prodotti. Per queste aziende, attingere
alla esperienza che i medici hanno sviluppato in real life è fondamentale,
ed è per questo motivo che queste organizzazioni fanno largo uso di gruppi
di consulenti chiamati, con connotazione settoriale, advisory board, il cui
utilizzo è regolamentato non solo dalla legislazione nazionale in vigore ma
anche dal Codice Deontologico di Farmindustria per l’Italia1 e dall’Euro-
pean Federation of Pharmaceutical Industries and Associations (EFPIA)2.
Tuttavia, non sempre questi gruppi di lavoro sono messi nelle condizioni di

Codice Deontologico Farmindustria, 17 marzo 2021 https://www.farmindustria.it/app/


1 

uploads/2018/06/2021-MARZO-17.pdf - ultimo accesso 3 agosto 2021


EFPIA Code of Practice, Final Consolidated Version 2019, 27 June 2019 https://www.efpia.
2 

eu/media/602866/160721-efpia-code.pdf

XV
Introduzione

operare al meglio: talvolta, una quantità enorme e preziosissima di sapere


non è materialmente accessibile o non è utilizzabile dall’esperto, non per-
ché quest’ultimo non la possegga o non voglia condividerla, ma perché le
modalità dell’interazione non sono in sé in grado di elicitare il sapere dall’e-
sperto stesso. Non sempre quindi si utilizza una metodologia adeguata –
con il risultato che l’enorme investimento fatto in advisory board rischia di
generare un misero ritorno, e magari di compromettere anni, talvolta de-
cenni, di sviluppo di prodotto.
Questo libro nasce dalla consapevolezza di questi dati di fatto e dalla
volontà di dare dignità e forza alle azioni tese alla esplorazione di saperi
che possono fare la differenza nel definire come diagnosticare e trattare
patologie che non dispongono (ancora) di sufficienti dati, studi o evidenze
- o che magari non abbiano pienamente espresso il potenziale di cui di-
spongono - sulla base dell’esperienza in real life dei key opinion leader di
tutto il mondo.
Nel caso specifico, si approfondiscono patologie che affliggono una va-
sta platea di pazienti, che ha diritto di essere presa in carico, così come i
professionisti che se ne occupano hanno necessità di essere supportati dal
punto di vista metodologico, nonché di disporre di contesti strutturati in
cui i diversi punti di vista possono essere confrontati al fine di misurare il
consenso esistente riguardo alle opzioni in campo.
Prima di scrivere questo manuale, abbiamo operato una ricerca bi-
bliografica sulle principali banche dati e motori di ricerca di letteratura
medico-scientifica, utilizzando parole chiave come “consensus methods”,
“expert opinion”, “moderation techniques”, ottenendo una volta di più la
prova della fondamentale rilevanza che questo tema metodologico ha as-
sunto sia nel dibattito scientifico in generale, sia più in particolare nell’e-
conomia della trattazione di moltissimi articoli, che si riferiscono a que-
sto o a quel metodo spesso senza chiarirne né il razionale, né le condizio-
ni peculiari d’uso nel contesto specifico.
Il nostro lavoro intende fornire un contributo alla migliore compren-
sione e classificazione delle diverse opzioni disponibili per generare
expert opinion, per avviare un superamento di questo quadro disorgani-
co a vantaggio di una maggiore chiarezza e solidità degli approcci.
Nel Capitolo 1 forniamo il quadro di riferimento in cui si colloca il
concetto di expert opinion, e portiamo argomenti per accreditarne la soli-
dità e la stessa necessità all’interno dell’indagine scientifica. Introduciamo
inoltre alcuni concetti utili per una migliore comprensione del meccani-
smo su cui si basa la raccolta di expert opinion.
Nel Capitolo 2 esaminiamo l’expert group “come gruppo” e ne studia-
mo le caratteristiche e le dinamiche secondo questa ottica, consapevoli che
chiunque guidi o prenda parte a un expert group deve, prima di tutto, pa-
droneggiarne le regole implicite e comprenderne i processi.

XVI
Introduzione

Nel Capitolo 3 presentiamo le principali metodologie accreditate per la


generazione di expert opinion, fornendo per ciascuna di esse tutto il detta-
glio necessario a chi dovrà impadronirsene e servirsene, sia nel ruolo di
conduttore che in quello di partecipante.
Nel Capitolo 4 forniamo molte indicazioni di ordine operativo, utili
nella preparazione di questo tipo di progetti, e completiamo con una breve
ma utile raccolta di metodi per l’analisi quali-quantitativa dei dati generati
nella expert opinion.
Nel Capitolo 5 illustriamo le modalità con cui – a valle della raccolta
della expert opinion – i risultati vengono valorizzati nel lavoro scientifico,
con affondi specifici sia sul modo di intrecciarli a una ricerca bibliografica
ben condotta, sia sulla derivazione di output di vario tipo.
Nel Capitolo 6, partendo dai princìpi che abbiamo enunciato nei capi-
toli precedenti, procediamo a dare loro struttura e ordine, inquadrandoli in
fondamenta solide dal punto di vista epistemologico e collegando quanto
da noi affermato alla riflessione in corso in seno alla filosofia della scienza,
sui vari aspetti legati alla elaborazione del sapere.
In appendice abbiamo predisposto per la comodità del lettore un elen-
co di acronimi e termini tecnici.

XVII
CAPITOLO

1
Consenso ed expert
opinion come fonti
del lavoro scientifico
A cura di Luca Melis

Questo primo capitolo introduce il lettore ai principi di fondo su


cui sono basate tutte le tecniche per il consenso. Chiarisce cosa
debba intendersi per consenso, e quali sono le condizioni d’uso
del consenso tra esperti nel dibattito scientifico. La sua lettura è
utile ai metodologi, ma anche a coloro - tra manager e clinici -
che intendano disporre di un quadro di riferimento più ricco.
Metodologie per la ricerca qualitativa nelle life sciences

 1.1 Cosa si deve intendere per consenso


Il Cambridge Dictionary3 definisce il consenso come “a generally accep-
ted opinion or decision among a group of people”, ossia una opinione o deci-
sione in generale accettata all’interno di un gruppo di persone. È pertanto
immediatamente chiaro il motivo per il quale disporre di una buona defi-
nizione di consenso sia fondamentale, prima ancora di approfondire le tec-
niche e metodologie per misurarlo: in medicina4 (e non solo5), infatti, la
comunità scientifica è solita basare la propria azione non sulle opinioni ma
sulle evidenze.
Viene comunemente definito come “evidente” ciò che sulla base dell’os-
servazione si pone come un fatto: la “e” di e-vidente è ciò che resta dopo
l’elisione della “x” dalla preposizione latina “ex” da cui deriva, il cui signifi-
cato è “da”. L’evidenza arriva “da” un fatto osservabile, da qualcosa che si
pone come prova, fonte certa, riscontro.
La solidità di questo principio è tale che esso è considerato fondamen-
tale per l’intero edificio scientifico. Dobbiamo dunque chiederci con rigore
e severità se davvero esistano delle condizioni in cui sia opportuno sospen-
dere questa regola, e adottare come fonte delle proprie scelte (ad esempio
quelle cliniche) elementi che non siano basati sulla evidenza.
Il principio cui l’evidenza si richiama è la replicabilità6: chiunque, fa-
cendo la stessa prova, osservando la stessa condizione, potrà osservare lo
stesso esito. Il principio di evidenza è alla base del metodo scientifico, sia
nella lunga fase storica in cui ha prevalso un paradigma verificazionista
(ossia tendente a cercare le prove a conferma di una ipotesi), sia nella più
recente fase in cui lo ha soppiantato il paradigma falsificazionista (ossia
tendente a cercare di sfidare, falsificare appunto, una ipotesi, sperando ma-
gari di non riuscirci e con ciò di poterla considerare - momentaneamente,
s’intende – vera7).
Ciò che chiarisce lo spostamento del quadro di riferimento, quando
dall’evidenza si passa al consenso, è ancora l’etimologia: anche in questo
caso nell’etimo della parola c’è, per prima, una preposizione, la preposizio-

Cambridge University Press Online Dictionary https://dictionary.cambridge.org/dictio-


3 

nary/english/consensus
Kea B, Sun BC. Consensus development for healthcare professionals. Intern Emerg Med.
4 

2015 Apr;10(3):373-83.
Le metodiche di condivisione dell’opinione sono utilizzate frequentemente anche in altri
5 

contesti, come ad esempio quello della ricerca sociale e quali-quantitativa. Si consideri ad


esempio la monografia a cura di Carlo Martini e Marcel Boumans Experts and Consensus in
Social Science, pubblicata nel 2014 da Springer
Fanelli D. Opinion: Is science really facing a reproducibility crisis, and do we need it to? Proc
6 

Natl Acad Sci U S A. 2018 Mar;115(11):2628-2631.


Per approfondire il modo in cui l’epistemologia ha chiarito via via gli assunti cui la comuni-
7 

tà degli scienziati si è riferita, in modo più o meno implicito, nelle diverse epoche storiche,
vedi Tagliagambe S. L’epistemologia contemporanea. Editori riuniti; 1991.

2
Capitolo 1  Consenso ed expert opinion come fonti del lavoro scientifico

ne latina “cum”, ossia “con”. Laddove l’evidenza trae forza nel suo provenire
“da” qualcosa, il consenso trae la sua forza dal “con”, dal gruppo di persone
che aderiscono a una idea, un concetto, un modo di agire.
Parrebbe un razionale piuttosto debole: che rilevanza può mai avere
l’accordo intersoggettivo, di fronte alla possibilità di avere una prova ogget-
tiva8? Ma è proprio questo il punto: non sempre disponiamo di prove og-
gettive. E non sempre le prove oggettive si presentano in un modo univoco,
chiaro quanto basta per derivarne indicazioni per la nostra condotta.
Ricorrere al consenso, alla intersoggettività, è quel che facciamo quan-
do non disponiamo di prove oggettive. E se il consenso di cui ci dotiamo è
un consenso tra persone dotate di profonda competenza in una branca del
sapere, allora non siamo in presenza di semplici opinioni, ma di expert
opinions.

 1.2 L’esperto come fonte


Notiamo, a questo punto, che anche la parola “esperto” (e più chiara-
mente ancora la parola inglese “expert”) include in sé la stessa preposizione
“ex” in cui ci siamo appena imbattuti. Dunque anche l’esperto, ossia colui
che ha fatto “esperienza”, trae la sua forza “da” qualcosa, ma da cosa? Stavol-
ta è il greco a venirci in aiuto: la forza dell’esperto è la πεῖρα (peira), il
“tentativo”. Dal tentativo, ex-peira, l’esperto, per accumulazione, ha deriva-
to il proprio sapere. Si potrebbe dire, oggi, attraverso il metodo scientifico,
dopo aver pazientemente, prova dopo prova, accumulato sapere nel corso
dei secoli. Sì, perché l’esperienza costruita col metodo scientifico non muo-
re ad ogni generazione, non si estingue con la scomparsa fisica di questo o
quel singolo individuo, bensì gli sopravvive.
Lo fa grazie alle “infrastrutture” di cui la comunità scientifica si è nel
tempo dotata: le pubblicazioni e i congressi, in primis. Pubblicando, lo
scienziato rende nota ai propri colleghi quella che considera una acquisizio-
ne, la presenta e la spiega, mettendola in relazione con acquisizioni ad essa
collegate o magari avverse; e dà conto di come è arrivato a conseguirla, de-
scrivendo nel dettaglio il metodo e mettendo così chiunque nelle condizioni
di replicare l’esperienza, ottenendo la stessa evidenza. Nei congressi, altret-
tanto, queste conoscenze sono presentate al vasto pubblico della comunità
scientifica “in corpore praesenti”, una comunità che cammina insieme (l’eti-
mologia della parola congresso deriva da cum insieme e gressus, participio
passato del verbo gradior) lungo il sentiero che porta dal sapere del singolo
alla scienza, che è infatti sempre patrimonio di una intera comunità.

La filosofia e più recentemente la fisica hanno da tempo fornito a tutti noi ottimi motivi per
8 

diffidare del concetto di oggettività, tuttavia non è questa la sede per approfondire questo
tipo di dissertazione, per quanto importante.

3
Metodologie per la ricerca qualitativa nelle life sciences

Con le pubblicazioni ed i congressi, la scienza si eleva fino a sopravvi-


vere alle epoche, sempre conservando il suo carattere transitorio, perché
ogni verità è tale fin quando il nostro livello di comprensione non ne pro-
duca un’altra “migliore”, ossia più capace di descrivere e spiegare la realtà,
ma sempre alimentando il passaggio di sapere intersoggettivo tra membri
della comunità scientifica.
È proprio in questo modo che la comunità scientifica crea “esperti”, cioè
persone che traggono (“ex”) il proprio sapere non solo dai propri persona-
li tentativi (πεῖρα), ma dai tentativi di centinaia, migliaia di altri che prima
di loro e per loro accumularono esperimenti e prove, pazientemente scar-
tati o conservati, a beneficio del principio scientifico di cui l’esperto è una
specifica, parziale, imperfetta incarnazione. Nel suo Metalogicon, Giovan-
ni di Salisbury riferiva che il suo maestro Bernardo di Chartres illustrasse
questa idea dicendo che “noi siamo come nani sulle spalle di giganti, così
che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l’acume
della vista o l’altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati
in alto dalla statura dei giganti”9.
È dunque l’esperto legato, nel suo sapere, solo a ciò di cui esiste “già”
evidenza, un notaio di ciò che, per prove sperimentali, ha già trovato certa
dimostrazione? O è piuttosto l’esperto una fonte in sé più complessa, por-
tatore – anche, se non altro – di saperi “in attesa di” più ordinate evidenze?
Qual è il sapere dell’esperto: un sapere che si limita a (talvolta, auspicabil-
mente spesso) incontrare condizioni già note, e la cui applicazione può
quindi limitarsi a essere replicata – o un sapere che (a volte) incontra con-
dizioni nuove, ed è in grado di affrontarle? In che modo lo status di esperto
va posto in relazione con condizioni inedite, ancora non “tentate” (“pei-
ra”)? Quali assunti di base dobbiamo accettare nel momento in cui decidia-
mo che è necessario, che ha senso usare una expert opinion per il lavoro
scientifico?

 1.3 Panel di esperti: un razionale


Abbiamo così disegnato due estremi di un continuum: quello per cui ci
si riferisce, per orientare la propria condotta, al solo corpus di saperi che la
comunità scientifica nel suo complesso accetta come evidenze; e quello per
cui, in ambiti in cui queste evidenze ancora mancano, ci si riferisce alla
competenza di un esperto, uno solo (nella più parte dei casi, ahinoi, se
stessi). Due estremi scivolosi, verrebbe da dire.
Riferirsi alla competenza “dell’esperto” (che si tratti di se stessi o di altri)
è un meccanismo quantomeno dubbio, perché porta con sé un grave ri-

John of Salisbury. The Metalogicon: A Twelfth-century Defense of the Verbal and Logical
9 

Arts of the Trivium. Philadelphia: Paul Dry Books; 2009

4
Capitolo 1  Consenso ed expert opinion come fonti del lavoro scientifico

schio di deriva autoreferenziale, quella che ogni uomo o donna di scienza


rischia di incontrare quando le evidenze vengono meno: fidarsi solo di se
stessi, della propria “esperienza” (l’esperienza di un solo essere umano!) e
su questa base orientare la propria condotta. Un comportamento certo
piuttosto distante da ciò che consideriamo rigore scientifico, e tuttavia un
comportamento estremamente diffuso, visto che è chiaro che ogni giorno,
nella propria esperienza professionale, i clinici incontreranno condizioni
nuove, solo in parte chiare, per le quali non si dispone di sufficiente espe-
rienza ma su cui occorre, tuttavia, operare.
Non è, tuttavia, meno rischioso l’atteggiamento di chi pretende di re-
stringere le fonti della propria condotta alle sole evidenze, intese in senso
stringente. Un comportamento rigoroso e apparentemente da lodare, ma
che incontra almeno diversi problemi, tra cui uno che ci è particolarmente
caro: come ci si comporterà quando si incontreranno per l’appunto quelle
condizioni inedite di cui dicevamo? Ci si potrà permettere di non affron-
tarle? E se no, come allora si dovrà fare in mancanza di evidenze? Siamo
condannati a cadere vittime dell’autoreferenzialità laddove non ci assista
l’evidenza scientifica?
Esiste una via di mezzo tra questi due estremi. E la via di mezzo è uno
strumento di cui ci siamo dotati fin dall’antichità: l’intersoggettività10, il
dibattito, il confronto; la competenza non di uno ma di un gruppo di esper-
ti, un panel - come diremmo noi oggi. La competenza non tramandata ma
nemmeno elusa, la competenza che non detta giudizi ma li propone e li
sfida, alla ricerca di una verità provvisoria, provvisoria come tutte le verità,
che svolga con umiltà il suo servizio a un tempo e a un luogo.
È così che possiamo accettare che, più che il singolo esperto, sia il panel
di esperti a poter rappresentare una adeguata fonte di sapere. Un luogo e
metodo in cui, mancando evidenze sperimentali, il sapere accumulato dai
singoli possa però superare il limite della visione di ognuno, e nel dialogo
acquisire la solidità di cui necessita per fungere, pragmaticamente, da stru-
mento per la comunità dei ricercatori. Per ricercare insieme.
E come può un panel di esperti mettere ordine nel dialogo intorno a
qualcosa? Gli è infatti richiesto di fornire non dubbi, ma verità probabili, o
quantomeno ipotesi accettabili. Come può consegnare alla comunità scien-
tifica una visione che sia “usabile” da tutti, ancorché non ancora confortata
da dati incontrovertibili? Può farlo appunto tramite la selezione, tra tutti,
dei soli temi su cui le diverse competenze ed esperienze convergono. E
questa selezione la chiamiamo consenso.

Intersoggetività: termine coniato dal filosofo Husserl (1859-1938): lo scambio di pensieri e


10 

sentimenti, sia a livello conscio che inconscio, tra due persone o “soggetti”, facilitate dall’em-
patia. Cooper-White, Intersubjectivity. In: Leeming D.A. Encyclopedia of Psychology and
Religion. 2014, Springer

5
Metodologie per la ricerca qualitativa nelle life sciences

Negli ultimi 60 anni i metodi per misurare il consenso nell’ambito di


panel di esperti sono stati usati sempre di più, come un modo per prevede-
re eventi futuri o creare protocolli per la decisione in ambiti in cui ancora
non c’è sufficiente evidenza empirica11.
Nel capitolo 2 discuteremo i meccanismi alla base del dialogo produtti-
vo in questi gruppi di esperti, con un occhio ai modelli che le scienze socia-
li hanno prodotto per comprendere come funzionino e come far funziona-
re efficacemente l’interazione tra essi. Discuteremo la differenza tra un
panel (un gruppo di esperti chiamato a fornire – in presenza o a distanza
– la propria expert opinion intorno a un tema) e un board (un gruppo di
esperti chiamato a regolare il modo e il metodo in cui questa expert opi-
nion vada raccolta ed elaborata). Nel capitolo 3, poi, presenteremo e discu-
teremo nel dettaglio i più accreditati tra questi metodi, offrendo al lettore
una spiegazione chiara per applicare, nei propri contesti, il massimo rigore,
affinché alla competenza degli esperti sia dato il valore che può elevarla dal
rango di sapere individuale al rango di consenso.

 1.4 Verso un modello del consenso


A coloro che cercano in questo libro uno strumento pratico, utile ad
affrontare con metodi più efficaci situazioni complesse, sconsigliamo la let-
tura di questo paragrafo. Ne consigliamo invece caldamente la lettura a chi
vuole comprendere lo sfondo concettuale su cui si colloca la nostra impo-
stazione, e più in generale ai curiosi.
Sosteneva Feyerabend12 in “Contro il metodo”: uno scienziato che desi-
deri massimizzare il contenuto empirico delle sue opinioni e che voglia com-
prenderle nel modo più chiaro possibile deve perciò introdurre altre opinioni;
egli deve adottare cioè una metodologia pluralistica. Egli deve mettere a con-
fronto idee con altre idee anziché con l’“esperienza” e deve cercare di miglio-
rare anziché rifiutare le opinioni che in questo contrasto hanno avuto la peg-
gio. Parecchi decenni più tardi, Giordano commentando Feyerabend13 ci
aiuta a comprendere che le teorie si connotano come “interpretazioni na-
turali”, cioè non resoconti esplicativi obbiettivi di fatti e processi naturali,
ma resoconti intrisi di “pregiudizi”, parole, linguaggio, definizioni, prodot-
ti di un insegnamento protrattosi nel tempo, che costruisce uno sfondo
epistemologico-culturale.

Waggoner J, Carline JD, Durning SJ. Is There a Consensus on Consensus Methodology?


11 

Descriptions and Recommendations for Future Consensus Research. Academic Medicine,


2016 May;91(5): 663-668
Feyerabend PK. Against method: outline of an anarchistic theory of knowledge. Minneapo-
12 

lis: University of Minnesota Press; 1970.


Giordano G. Paul Feyerabend: un ruolo euristico per il dissenso. Humanities Anno VI,
13 

Numero 11, Giugno 2017; DOI: 10.6092/2240-7715/2017.1.1-12

6
Capitolo 1  Consenso ed expert opinion come fonti del lavoro scientifico

Non è messa in discussione la necessità di procedere con rigore nella


ricerca, al contrario: è proprio per spingere questo rigore ai suoi estremi
che si rende necessario indagare sulle trappole che il metodo porta con sé.
E tra queste trappole, che lo si voglia o no, ve ne sono di ineludibili: il lin-
guaggio, il sistema delle relazioni sociali tra gli attori della ricerca scientifi-
ca, le culture dominanti. Il lavoro di Kuhn14 ha reso chiaro a tutti la misura
in cui le pratiche di ricerca sono impregnate di retaggi della cultura domi-
nante in un determinato momento storico, vittime di forme di trasmissio-
ne implicita del bagaglio di conoscenze “tacito” di una disciplina. Laudan15
ha poi chiarito che più “tradizioni di ricerca” possono coesistere in un mo-
mento. Entrambi, ad ogni modo, ci hanno aiutato a superare una concezio-
ne “ingenua” di scienziato come essere unicamente razionale, avulso da
condizionamenti, che opera con un rigore ineccepibile nella propria inda-
gine, applicando ad ogni passo la logica a suo tempo suggerita da Popper16
con la sua famosa Tabella delle Idee.
Oggi sappiamo che, per quanto rigore morale e logico possiamo porta-
re nel nostro lavoro scientifico, non siamo, nelle catene logiche che guida-
no le nostre argomentazioni per quanto razionali, né “ingenui” né “impar-
ziali”. Siamo esseri pragmatici, che orientano la propria condotta a obiettivi
strategici, e talvolta tattici. Questo pragmatismo è una risorsa, perché gui-
da la nostra ricerca nelle direzioni più opportune (ancora Laudan: “la teo-
ria scientifica migliore è quella, che in un dato momento storico, risolve più
problemi e i problemi all’epoca più importanti”) ma è anche un rischio, per-
ché ne vanno governate le derive. Abbiamo bisogno di rifarci a una teoria
della conoscenza scientifica sofisticata quanto basta per prevenire sia gli
irrigidimenti dogmatici, sia le derive autoreferenziali.
Una teoria della conoscenza positiva, che ignori i contributi della più
recente epistemologia, è una costruzione che poggia su basi ben fragili.
Avrebbe infatti bisogno di poter contare su diversi assunti di base: (1) l’esi-
stenza di un soggetto che sia in grado di ricevere e selezionare conoscenza
attraverso (2) organi di senso e di cognizione affidabili, per poi (3) generar-
ne una interpretazione razionale e univoca. Ma, purtroppo per i neo-posi-
tivisti, dobbiamo tutti fare i conti con acquisizioni ben diverse delle scienze
filosofiche e sociali.
Il modello della coscienza cui oggi ci riferiamo è un modello comples-
so, di cui non è nemmeno noto il principio fondativo, mancando le basi
stesse che consentano di individuare il soggetto della conoscenza e delle
scelte17. Non sappiamo in che modo le idee si formano nella nostra mente,

Kuhn T. La struttura delle rivoluzioni scientifiche. Einaudi; 1962


14 

Laudan L. Scienza e relativismo. Controversie chiave in filosofia della scienza. Armando


15 

Editore; 1997
Popper K. I due problemi fondamentali della teoria della conoscenza. Il Saggiatore; 1997
16 

Dennett DD. Consciousness Explained. Penguin; 1993


17 

7
Metodologie per la ricerca qualitativa nelle life sciences

né che cosa esattamente intendiamo quando chiamiamo “nostra” la nostra


mente: a chi appartiene questo labirinto di pensieri? Esiste un “sé” seduto
dietro uno schermo che passa in rassegna le possibilità e seleziona le mi-
gliori? È questo “sé” ad operare quando lo scienziato formula il suo giudi-
zio, scartando una ipotesi a favore di un’altra? Secondo la teoria Dennettia-
na, non è possibile immaginare un “sé dietro il sé”, se non vogliamo preci-
pitare in un gioco di specchi contrapposti che rimanda all’infinito. Dob-
biamo invece accettare che la nostra coscienza non sia un meccanismo
ordinato e monolitico, bensì un’arena in cui molte istanze diverse si con-
frontano e, senza che nemmeno noi ne siamo consapevoli, competono tra
loro. Molte soccombono, altre emergono, e a quelle che emergono noi ri-
serviamo un trattamento di favore: le connettiamo, operiamo affinché sia-
no coerenti, e le nobilitiamo in un discorso unitario, razionale, che non
conserva nulla della potenziale schizofrenia da cui origina.
Lo stesso modello della percezione che abbiamo accettato è lungi
dall’offrirci riparo “oggettivo” ai labirinti della elaborazione cosciente. Dei
nostri organi di senso sono stati ampiamente dimostrati gli innumerevoli
bias, per non dire dell’uso che di questi dati facciamo nel metterli al servi-
zio della interpretazione razionale18. Siamo peraltro pienamente consape-
voli del fatto che il potere creativo del linguaggio e la sua intrinseca ambi-
guità operano sempre nei termini di una co-costruzione, e non di una de-
scrizione, della realtà19.
Come fa notare Tagliagambe, “l’accettazione di qualunque teoria è con-
dizionata dall’adesione a una serie di premesse iniziali, ed […] è ormai venuta
meno l’idea che la descrizione richiami esclusivamente l’idea di resoconto di
osservazioni empiriche […] e che la spiegazione sia soltanto qualcosa da asso-
ciarsi all’idea di enunciati che esplicitano le cause di ciò che si osserva. È in-
vece affiorata sempre di più l’interdipendenza di questi concetti, in quanto ci
si è resi conto che le descrizioni che presentano un interesse scientifico sono
sempre delle classificazioni ragionate le quali, tramite la scelta di alcuni fat-
tori rappresentativi dell’insieme delle caratteristiche degli oggetti studiati,
mettono in luce delle correlazioni e contengono quindi già in nuce determina-
ti orientamenti esplicativi”20.
Senza spingerci al punto di concepire l’autore scientifico come un “nar-
ratore inattendibile” di stampo pirandelliano, dobbiamo però accettarne il
doppio limite che intrinsecamente risiede nella imperfezione e nella par-
zialità del lavoro che conduce. È questo uno scacco matto al concetto stesso
di costruzione scientifica? Niente affatto, al contrario: è la premessa per la
sua maturità. Allo stesso modo con cui secondo Dennett la coesistenza
Allport GW. The Nature Of Prejudice. Political Psychology. 1991 Mar;12(1):125-157.
18 

Berger PL, Luckmann T, Sofri Peretti A. La realtà come costruzione sociale. Bologna: Il
19 

Mulino; 1997 Sett. 272 p.


Tagliagambe S. L’epistemologia contemporanea. Editori riuniti; 1991.
20 

8
Capitolo 1  Consenso ed expert opinion come fonti del lavoro scientifico

nella mente di un soggetto di una moltitudine di idee “concorrenti” non dà


luogo a un quadro schizofrenico ma, al contrario, rappresenta il meccani-
smo fisiologico di analisi e selezione di quello che, tra i tanti possibili, con-
sideriamo come il pensiero “cosciente”; così, nei processi di funzionamento
di un gruppo che dibatte di un tema, opera un analogo meccanismo “de-
mocratico”. Il modo in cui le idee si selezionano in un gruppo, ancorché
distorto dai meccanismi più vari (ad esempio le differenze di potere, i mi-
sunderstanding, ecc.), è comunque basato sulla competizione, o meglio
ancora su quella che oggi le scienze socio-economiche definiscono coope-
tition. Introdotte o affinate da questo o quel membro del gruppo, le idee
pro-poste vengono sotto-poste allo scrutinio dei diversi punti di vista indi-
viduali, e in questo modo sfidate fino alla selezione di quelle che si im-
pongono come “migliori” al livello della “coscienza del gruppo”.
Non si tratta di una scelta che il gruppo, o qualcuno per esso, fa. È que-
sto semplicemente ciò che accade, il modo in cui l’interazione sociale ope-
ra, con meccanismi socio-culturali affinati in millenni di uso del linguag-
gio e da ciascun essere umano acquisiti in un apprendistato che, non a ca-
so, impegna quantomeno i primi 15-20 anni della propria vita, quanto
basta - e non certo sempre - per divenire capaci di esprimere e connettere
le proprie idee in chiave costruttiva nel gruppo. È un meccanismo fine e
prezioso, ma - va notato - che si è sviluppato per bisogni affatto diversi da
quello della ricerca scientifica21. Eppure, nonostante la struttura del lin-
guaggio e dei meccanismi sociali che ne sostengono l’uso possano essere
meglio considerate risposte evoluzionistiche a un contesto materiale che
imponeva la condivisione di informazioni “operative” (sulla presenza di un
pericolo, sulla localizzazione di un animale da cacciare, sulle appartenenze
sociali di altri esseri umani, ecc.), è questo stesso linguaggio, e sono questi
stessi meccanismi, che improntano oggi la nostra interazione. Ed è così
anche nel contesto della scienza, tra tutti quello che ambisce alla maggiore
universalità, e che promette il maggior rigore.
Per questo occorre fondare un modello del consenso adatto al contesto
della ricerca scientifica, per restituire dignità e sistematicità a quella parte
del confronto scientifico che non può dirsi evidence-based, ma di cui ab-
biamo tuttavia bisogno, e che anzi alimenta il quotidiano dibattito tra gli
esperti. Un dibattito che può assumere forme specifiche le più varie (si ve-
da paragrafo 3.1, per il dettaglio), ma che opera sempre come una co-ope-
tizione di idee, e rispetto al quale le metodologie per la raccolta della expert
opinion sono un tentativo di dare regole o, quantomeno, ordine e metodo.

Diamond J. Il terzo scimpanzé. Ascesa e caduta del primate homo sapiens. Torino:Bollati
21 

Boringhieri; 2016 Apr. 480 p.

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